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L’AVVOCATODELDIAVOLO
Con la sentenza n. 03241/2020 in commento, il Tar Lazio ha respinto il ricorso presentato dall’associazione Sapar e da alcune società del settore del gioco lecito contro il diniego opposto dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli all’istanza presentata per aver accesso ai dati relativi ai ricavi di filiera del gioco lecito per l’anno 2015, al fine di quantificare la quota di onere ex art. 1, comma 649, della L. 190/2014, su di essi gravante, nonché al fine di tutelare in giudizio la loro posizione, a fronte delle pretese dei concessionari, laddove queste di discostassero dai criteri fissati per legge. La vicenda trae origine, per l’appunto, dall’impugnazione da parte di Sapar della nota dell’Adm n. 133099 del 20 settembre 2019, con la quale le era stato negato l’accesso richiesto ai sensi dell’art. 22 della L. 241/1990. In particolare Sapar aveva richiesto l’accesso alle certificazioni prodotte dall’Agenzia, nonché ad altri documenti da cui risultassero i dati relativi alla raccolta dal gioco lecito tramite apparecchi ex art. 110, comma 6, Tulps per gli anni 2014 e 2015 o relativi allo storno del c.d. deposito cauzionale. In generale, poi, Sapar aveva richiesto di conoscere le comunicazioni dei concessionari recanti le somme riversate ad Adm e ogni altra nota, comunicazione, corrispondenza, atto, documento, provvedimento comunque utile alla fissazione dei criteri e alla quantificazione dell’onere di stabilità tra gli operatori di filiera. L’amministrazione, rigettando l’istanza, ne motivava il diniego sostenendo che la domanda fosse rivolta ad “ottenere l’elaborazione di dati e la certificazione di fatti a carattere massivo, generico e sostanzialmente esplorativa”. L’amministrazione resistente, inoltre, affermava che i dati richiesti non apparivano indispensabili ai fini della quantificazione dell’onere poiché la misura dello stesso era ragionevolmente individuabile da parte del gestore/esercente “sulla base degli accordi degli accordi conclusi con il singolo concessionario e dalla reportistica contabile che dagli stessi scaturisce”. Sapar e le altre ricorrenti, pertanto, si rivolgevano al Tribunale amministrativo per il Lazio deducendo l’illegittimità del diniego opposto sostenendo che l’Adm avrebbe dovuto limitarsi, ai fini dell’ostensione, ad una valutazione di verosimiglianza e plausibilità del collegamento tra interesse e documento richiesti. Le ricorrenti, in particolare, evidenziavano che: i dati relativi alla raccolta complessiva e quelli relativi alla raccolta di filiera dei singoli concessionari sarebbero stati necessari al fine di calcolare, in forza del criterio proporzionale, l’onere gravante sui singoli operatori; i dati relativi allo storno del c.d. deposito cauzionale sarebbero stati finalizzati a calcolare l’effettiva quota di compensi percepiti dai concessionari; le comunicazioni dei concessionari recanti le somme riversate ad Adm sarebbero poi state indispensabili per verificare la corretta imputazione dei pagamenti fatti dagli stessi, anche con riferimento alle quote di gestori ed esercenti, nonché eventuali errori o abusi che potessero tradursi in segnalazioni indebite di inadempimento a carico dei gestori e degli esercenti; le note, le circolari e gli atti di indirizzo di Adm in materia di criteri di riparto avrebbero un’utilità in re ipsa. Sulla base di tali argomentazioni concludevano richiedendo l’annullamento del diniego opposto ed il conseguente ordine all’Adm di esibire gli atti e i documenti richiesti con l’istanza del 27 agosto 2019. Il Tar del Lazio, pronunciandosi sulla Giovanni Adamo Fondatore Studio Legale Adamo (www.studiolegaleadamo.it) Avvocato in Bologna – Cultore della Materia di Diritto Civile nell’Università di Bologna
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di Giovanni Adamo Tassa dei 500 milioni La battaglia dell’accesso agli atti
questione, ha ritenuto il ricorso infondato nel merito, dispensandosi, per tale ragione, dal trattare le molteplici eccezioni opposte dalle società controinteressate costituitesi in giudizio. In particolare il Collegio, richiamandosi alla giurisprudenza consolidata, ha ricordato che l’interesse all’accesso deve essere: diretto, concreto, attuale e strumentale. Tanto premesso, valutata la tesi dell’Adm con cui “esclusa l’esistenza di note, provvedimenti o corrispondenza relativi a “criteri e modalità di esazione del prelievo”, non noti alle ricorrenti” si evidenziava che: “l’atto di convenzione, che disciplina i rapporti tra il concessionario e l’Agenzia quanto a diritti ed obblighi, riconosce al primo la facoltà di avvalersi di organizzazione propria o di terzi (gestori ed esercenti) nello svolgimento delle attività e delle funzioni affidate in concessione, assumendone in via diretta la responsabilità nei confronti dello Stato, il Tar del Lazio deduceva come siano da considerarsi fondamentali “ai fini della ripartizione e quantificazione della quota di onere ex art. 1, comma 649, della legge n. 190 del 2014, “gli accordi contrattuali all’uopo raggiunti dal concessionario, affidatario unico ed esclusivo dell’esercizio in concessione delle attività e funzioni connesse al gioco mediante apparecchi da intrattenimento, con gestori ed esercenti”. Secondo il collegio, dunque, legittimamente l’Adm ha ritenuto che “le certificazioni” relative agli anni 2014 e 2015 distinte per singolo concessionario non fossero indispensabili per “quantificare la quota di onere ex art. 1, comma 649, l.n. 190 del 2014, gravante sugli istanti”, giacché il gestore/esercente avrebbe potuto agevolmente enucleare i dati richiesti sulla base degli accordi conclusi con il singolo concessionario. Il Tar del Lazio, infine, rigettando il ricorso, ha evidenziato come non spetti al giudice amministrativo la valutazione della plausibilità della prospettazione di parte ricorrente in ordine al criterio genuinamente proporzionale da applicare ai fini della ripartizione dell’onere di stabilità tra gli operatori di filiera, ai sensi della legge n. 208/2015. Il Collegio, a tal riguardo, ha rilevato che tale diversa questione è thema decidendum di un giudizio civile, già definito con una sentenza di primo grado dal Tribunale di Roma e attualmente pendente dinnanzi alla Corte d’appello.
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