BIRRA - UNA STORIA ALCOLICA

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“Una storia alcolica” di Giovanni Didonna Gigi Totaro




Politecnico di Bari Dipartimento ICAR | CdL Disegno industriale Corso di Realizzazione del Prodotto Grafico Prof. Michele Colonna A.A. 2018/2019 Studenti: Giovanni Didonna - Gigi Totaro Stampato presso: Tipografia Idealstampa - Turi (BA) Carta: Carta edizione 80g Font:


BIRRA

“Una storia alcolica” di Giovanni Didonna Gigi Totaro



INDICE •

STORIA..........................................................................................11

ORZO..............................................................................................23

MALTO...........................................................................................33

LUPPOLO.......................................................................................39

LIEVITO.........................................................................................45

COLORE.........................................................................................55

TIPI DI BIRRA...............................................................................63

BICCHIERE....................................................................................79

PRODUZIONE...............................................................................87

CONSUMO.....................................................................................99



PREFAZIONE Il volume tratta tutti gli argomenti inerenti al mondo della birra, dalla storia, ormai acquisita con certezza scientifica in tutta la sua nascita ed evoluzione, ai vari sistemi di produzione. I diversi ingredienti sono descritti minuziosamente, evidenziando gli aspetti che influiscono sulla qualità del prodotto finale. Contrariamente a quanto accade per il vino, gli agenti della fermentazione che portano a ottenere questa diffusissima popolare bevanda sono differenti a seconda del tipo di birra che si desidera ottenere. Inoltre si trovano birre prodotte con frumento e altri cereali, le birre “rosse”, le birre “bianche”, le birre analcoliche, le Bock, le Ale, le Pils, le Dortmunder, le Kriek, le ormai rare ma gustosissime birre Trappiste, le doppio malto, le birre aromatizzate e numerose altre. Spazio opportuno trovano la temperatura di servizio e i bicchieri idonei per ciascun tipo di birra.


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StORIa “Date a un uomo una birra e ci perderà un’ora. Insegnategli a farsela da se e ci perderà una vita intera”. The Home Brew Company

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UNA LEGGENDA MAI INVENTATA La birra non è stata mai inventata! Quando scaviamo nella memoria dei nostri antenati alla ricerca della birra originale, non la troviamo. Indoviniamo piuttosto come si è sviluppata: un composto di grani d’orzo e d’acqua. Gli archeologi testimoniamo che il primo cereale coltivato è stato l’orzo, il più facile da coltivare, che ha contribuito a trasformare quei popoli da nomadi in stanziali e a formare i primi villaggi. Piano piano le tecniche agrarie si perfezionarono e portarono alla produzione di un “surplus” che occorreva “immagazzinare”. Si presentarono allora delle difficoltà per proteggere le riserve dai vermi e dai roditori. Essendo la necessità madre di tutte le invenzioni, la donna inventa una tecnica originale di conservazione cioè mantenere i grani in recipienti riempiti d’acqua che poi grazie ai lieviti selvaggi mettono in atto una fermentazione: la birra comincia così a delinearsi. Quando si nutre di questo “intruglio”, l’uomo primitivo si sente rinvigorito e soprattutto più felice: la durezza della vita gli appare più sopportabile e vede in tutto questo un intervento divino.

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La saliva delle donne La donna scopre che la birra fermenta più rapidamente se mastica i grani, infatti l’enzima ptialina nella saliva trasforma l’amido in zuccheri adatti alla fermentazione. Ai giorni nostri, in molte zone dell’America Latina, le donne che masticano i grani e sputano nella marmitta, ripetono il più antico rituale di birrificazione conosciuto sulla terra. L’impronta femminile sulla fabbricazione della birra si protrae sino al Medio-Evo. Le leggi germaniche decretano che spetta esclusivamente alla tenutaria la proprietà del materiale di brassaggio che spesso fa parte della sua dote di matrimonio. In Gran Bretagna sono le famose “Ale Wives” che preparano la nobile bevanda e il mestiere di vendere la birra è largamente dominato dalle donne.

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I SUMERI La prima traccia inconfutabile dell’esistenza della birra ci viene da una tavoletta di argilla dell’epoca predinastica sumera (circa 3.700 a.C.), il celebre “monumento blu” che descrive i doni propiziatori offerti alla dea Nin-Harra: capretti, miele e birra.Dai caratteri cuneiformi dei sumeri sappiamo inoltre che le “case della birra” sono tenute da donne, che la birra d’orzo è chiamata sikaru (pane liquido) mentre quella di farro è detta kurunnu e che altri tipi vengono ottenuti mescolando in proporzioni diverse le prime due. Da ricordare almeno la niud addolcita con zucchero di datteri e la bi-du, la più “ordinaria” che serviva a calcolare il salario-base degli operai (3 litri al giorno!). La più antica legge che regolamenta la produzione e la vendita di birra è, senz’alcun dubbio, il Codice di Hammourabi (17281686 a.C.) che condannava a morte chi non rispettava i criteri di fabbricazione indicati e chi apriva un locale di vendita senza autorizzazione

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GLI EGIZI Gli Egizi attribuirono a Osiride, protettore dei morti, l’invenzione della birra ed essendo stretto il legame tra birra e immortalità, i più ricchi si facevano costruire delle birrerie in miniatura per le loro tombe. Ai Faraoni erano dovuti come tasse dalle città, dai territori e dalle province, migliaia e migliaia di vasi di birra e, come per i Sumeri, il salario minimo era liquido (due anfore di birra al giorno). Birra è sinonimo di vita e le sue virtù curative diventano famose: il “papiro Ebers” ci offre 600 prescrizioni mediche per alleviare le sofferenze dell’umanità il cui ingrediente principale è la birra. Le scuole superiori insegnano la fabbricazione della birra prima della scrittura e della lettura. Si stabilisce che la vendita della birra in cambio di oro e argento è proibita in quanto il venditore può esigere solo orzo in quantità uguale alla birra venduta, pena l’essere gettato nel fiume. Gli Egizi chiamarono la birra “zythum” e i loro cugini d’oltremediterraneo, i greci se ne ispirarono per chiamarla “zythos”e migliaia di anni dopo gli studiosi utilizzano la radice greca per designare gli elementi della fermentazione: zymotechnia (1762), zymotico (1855), ecc. La birra dell’epoca è un alimento che immaginiamo piuttosto zuccherato, alquanto spesso e che sviluppa un basso tenore alcolico.

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I GALLI I Galli migliorano tre aspetti del fare la birra: utilizzano pietre riscaldate per la cottura, inventano le botti per un più lungo periodo di conservazione (fino a otto mesi) e inventano una famosa pozione magica mescolando ad una birra di frumento una parte di idromele. Aromatizzano le loro birre con anice, assenzio e finocchio mentre i Druidi preparano anch’essi un’infusione magica dai poteri curativi impiegando un ingrediente segreto: la salvia.

IL MEDIOEVO Nel Medioevo la libertà di fare e vendere birra costituisce un privilegio che è saldamente nelle mani delle Chiese e dei nobili che ovviamente si arrogano il diritto di produrre e commerciare la birra. Solo quando non sono in grado di far fronte alla crescente domanda, concedono la licenza ai privati in cambio di tasse alquanto salate. Con la nascita di sempre più potenti corporazioni di commercianti, la birra diventa una delle principali forze economiche. Nel 1376 ad Amburgo operano ben 457 birrai e si distinguono due differenti tipi di birrerie: quelle gestite dai birrai “di mare” che esportano i loro prodotti e quelli “di terra” che rispondono al mercato locale.

IL “GRUYT” I Crociati contribuiscono all’incremento dell’utilizzo delle spezie che, portate dalle spedizioni in Oriente, danno senza dubbio una birra di qualità superiore. L’insieme di vari aromi, detto “gruyt” da un termine sassone, può essere formato da un numero elevato di spezie: ambra, lampone, pepe, finocchio, giusquiamo, lavanda, anice, zafferano, cannella, genziana e chiodi di garofano. Molte città episcopali stabiliscono , diremmo oggi “monopolisticamente”, un “diritto di gruyt”, una vera e propria forma di tassazione che obbliga il birraio ad acquistare una quantità di gruyt proporzionale alla quantità di cereali impiegati. Con l’irresistibile ascesa del luppolo (XIII° secolo) il gruyt viene relegato ai libri di storia. Tuttavia l’impiego di spezie non sparì completamente ed ancora oggi molti birrai soprattutto del Belgio, ma anche scozzesi e scandinavi, contribuiscono a mantenere questa tradizione che ha portato, con l’avvento delle birre da degustazione, ad un crescente utilizzo delle spezie.

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I MONACI La produzione di birra monastica debutta all’epoca carolingia. Già nel 770 nell’Abbazia di Gorze in Mosella, il mastro birraio opera per i suoi silenziosi fratelli. I monaci perfezionano in modo significativo i metodi di brassaggio e diventano fino al XII° secolo gli esclusivi detentori delle conoscenze e delle tecniche. Nella famosa Abbazia di S.Gallo in Svizzera, nascono le geniali tecniche che permettono di dividere la stessa produzione in più mosti. Il primo mosto che si estrae, ricco di zuccheri e destrine, dà una birra forte e prelibata chiamata “prima melior”. Il malto utilizzato trattiene tuttavia una forte proporzione di zuccheri “imprigionati” che, con l’aggiunta di acqua seguita da una filtrazione, permette di ottenere una birra meno ricca di zuccheri e destrine, più leggera e di minor valore (“da tavola”) chiamata “secunda” per il consumo dei monaci che potevano (a seconda delle regole del singolo monastero) berne dai 5 agli 8 litri al giorno! Un’ulteriore diluizione poteva essere fatta per ottenere la cosiddetta “tertia”, la birra offerta ai mendicanti. Dopo le note vicissitudini, i saccheggi ed espopri partiti con la Rivoluzione Francese e con Napoleone, i monasteri ritornano a produrre birra ma la maggior parte cessa l’attività all’inizio del XX° secolo. In Inghilterra, Enrico VIII mise brutalmente fine alle attività brassicole dei monasteri e a tutt’oggi non si segnalano oltremanica cenni di ripresa.

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La bottiglia di vetro È solo nel XVIII° secolo che si assiste a una vera e propria industria del vetro. Lo sviluppo della bottiglia di vetro si ha verso il 18801885 con l’invenzione della vetreria meccanica che coincide con l’avvento delle birre a bassa fermentazione. Il consumatore può ora ammirare il suo nettare e questo lo spinge a preferire birre sempre più chiare e dorate, il cui bellissimo aspetto viene esaltato dalla trasparenza del vetro. Si dice che la prima volta che la birra sia stata inserita in una bottiglia, sia dovuto ad un monaco che per portarsi dietro la sua birra la inserì in una bottiglia di vino, dimenticandosela dentro. Quando si accorse del fatto, scoprì, con grande sorpresa, che la birra era rimasta molto fresca e che si era conservata ottimamente

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LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE Già prima delle grandi invenzioni contribuirono a migliorare i procedimenti medievali: il termometro inventato nel 1714 da Fahreinheit e l’idrometro di M. Marin, datato 1768. Questi strumenti sono all’origine dei primi “quaderni di brassaggio” che permettono di avere informazioni precise sulle diverse fasi: un esempio significativo può essere rappresentato dall’inoculazione del mosto il cui momento giusto veniva deciso immergendo la mano oppure quando si riusciva a vedere la propria immagine riflessa. La rivoluzione industriale e quella scientifica si affermano in Europa nel XIX° secolo, sconvolgendo irrimediabilmente il mondo della birra, trasformato da due fattori fondamentali: da una parte la meccanizzazione che permette di aumentare il volume prodotto e dall’altra la possibilità di controllare rigorosamente ogni tappa della produzione in modo scientifico. La prima macchina a vapore in campo birrario è attribuita a James Watt che nel 1785 utilizza la nuova tecnologia per produrre una “porter” a Londra. Daniel Wheeler fa brevettare una macchina per tostare il malto nel 1817 e apre la strada ai malti chiari e scuri, prima sconosciuti. Jean-Louis Baudelot inventa nel 1856 il “raffreddatore del mosto” che permette di recuperare il mosto raffreddato e passare subito alla fermentazione. La macchina per il ghiaccio artificiale, inventata da Carrè tre anni più tardi, esercita un impatto significativo per la birrificazione non solo a livello del raffreddamento del mosto ma soprattutto per molte altre operazioni come la bassa fermentazione e la possibilità di produrre lungo l’intera annata.

IL XX° SECOLO La birreria diventa un’impresa industriale che deve affrontare una concorrenza sempre più feroce e deve migliorare la sua produttività mantenendo prezzi bassi. L’evoluzione dei mezzi di comunicazione e dei trasporti favoriscono gli spostamenti delle birre e di conseguenza il loro confronto. Si sviluppano pertanto dei “giganti” dell’industria birraria prima negli Stati Uniti poi via via in tutto il mondo provocando la diminuzione in caduta verticale delle piccole birrerie. Alla fine del XIX° secolo si contavano più di 3.000 piccole birrerie in Belgio e più di 2.000 negli Stati Uniti, mentre meno di cent’anni dopo il loro numero era vertiginosamente sceso a poco più di un centinaio in Belgio e a qualche dozzina negli Stati Uniti.

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LA BIRRA DEL BEL PAESE Viene attribuito agli Etruschi il merito di aver portato in Italia l’orzo, l’ingrediente fondamentale per la preparazione della birra. Ben presto nell’Antica Roma e in tutto l’impero romano si cominciò a consumare abitualmente birra anche se veniva considerata una bevanda “pagana e plebea” al confronto del “divino e nobile” vino. Nell’anno 87 d.C., Tacito, infatti, parla della birra dei Germani paragonandola al “vinus corruptus” cioè andato a male! Non la pensava così suo suocero, Agricola, che portò tre mastri birrai da Glevum, l’odierna Gloucester ed aprì a Roma nella sua villa, una birreria privata. Augusto esentò la classe medica dalle tasse perché Musa, il suo medico, l’aveva guarito dal mal di fegato ricorrendo alla “cervisia”. La birra fu, in seguito, una delle vittime delle invasioni barbariche che distrussero gli impianti di produzione, sia pure artigianali, delle città. Del periodo medievale, si ricordano solo degli episodi isolati legati alla vita monastica. Tra il 529 e il 543, manoscritti riportano che mentre San Benedetto da Norcia era presso l’Abbazia di Montecassino, nel Lazio, si produceva birra e questa è la prima birra d’Abbazia Italiana e forse del mondo. Nel 600 d.C. il futuro San Colombano, monaco di origine irlandese, fonda l’Abbazia di Bobbio, nel piacentino, e tra il 612 e il 613 fa miracoli con la birra. La ripresa non avviene in Italia nei secoli seguenti per l’influenza determinante del clima e delle credenze religiose. Infatti come cattolici vediamo nel vino la bevanda sacra, benedetta nell’ultima cena, e nella birra il simbolo del paganesimo delle genti del Nord. Il ritorno della birra nel nostro paese non avviene sotto buoni segni, portata infatti dai famigerati lanzichenecchi che saccheggiano Roma nel 1527. La prima brasserie italiana è la Spluga di Chiavenna che inizia la sua attività nel 1840, seguita subito da quelle formate da lungimiranti imprenditori austriaci che volevano entrare in un mercato nuovo, come Wurher, Dreher, Paskowski, Metzger, Caratch, Von Wunster imitati ben presto da commercianti italiani, come Peroni e Menabrea. Dobbiamo arrivare alla metà del secolo diciannovesimo perché finalmente anche in Italia sorgano le prime vere e proprie fabbriche, tutte a carattere artigianale. Dopo varie vicissitudini collegate alle due guerre mondiali e alle sempre più alte tassazioni, si è giunti ai giorni nostri all’inevitabile concentrazione di grossi e potentissimi raggruppamenti internazionali che hanno rapidamente portato all’acquisizione delle piccole fabbriche, facili prede, vittime di irreversibili crisi.

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ORZo “Era un uomo saggio chi ha inventato la birra”. Platone

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L’ORZO L’orzo è un cereale, impiegato come alimento, ottenuto dalle cariossidi dell’Hordeum vulgare (Graminacee), utilizzate come tali oppure trasformate. L’Hordeum vulgare, da quanto ne sappiamo, era già coltivato in Medio Oriente nel VII millennio a.C. e poi fu diffuso, grazie ai commerci, in tutto il mondo. Già Ippocrate elogiava le proprietà medicamentose dell’orzo e lo descriveva così: “Dissetante e di facile escrezione, non comporta astringenza né brutta agitazione, né gonfia il ventre”. La resa di questo cereale della famiglia Poaceae, genere Hordeum, è in forte aumento anche se risente ancora della bassa resistenza all’allettamento. Questo cereale, oltre che per la granella d’alimentazione, viene coltivato per il foraggio, ovvero per l’alimentazione degli animali da allevamento, e inoltre viene utilizzato nell’industria degli alcolici già dai tempi dell’antico Impero romano. L’utilizzo dell’orzo abbraccia diversi settori: utilizzato trasformato in farine, nella panificazione, da solo o miscelato con altre farine ma anche per piatti tipici e dolci, macinato grosso si ottengono delle semole grosse adatte a piatti tipici nordafricani simili al cuscus, previa trasformazione in malto, l’orzo è impiegato come materia prima nei birrifici per la produzione della birra, e nelle distillerie per la produzione di liquori ad alta gradazione alcolica come il whisky. Negli ultimi anni, grazie alla globalizzazione, c’è stata una crescita esponenziale della richiesta di orzo nel mercato.

PROPRIETÀ E BENEFICI DELL’ORZO L’orzo ha proprietà rimineralizzanti, contiene, infatti, una discreta quantità di fosforo, potassio, magnesio, ferro, zinco, silicio e calcio. Contiene, inoltre, vitamine del gruppo B e vitamina E. Ha proprietà antinfiammatorie, in particolare a carico della vescica e dell’intestino. Essendo piuttosto ricco di fibre, aiuta a regolarizzare la funzionalità intestinale ed è particolarmente utile in caso di stitichezza. Il decotto d’orzo stimola la digestione e, se applicato sulla pelle, aiuta a risolvere le infiammazioni cutanee. Può essere utilizzato anche per fare gargarismi, in caso di infiammazioni della gola.

CALORIE E VALORI NUTRIZIONALI DELL’ORZO L’orzo contiene zuccheri, amidi, proteine, enzimi, tannino, cellulosa e composti azotati. L’amido viene convertito in zuccheri semplici e complessi durante l’ammostamento dagli enzimi diastatici. Le proteine del chicco servono come cibo per il germoglio. Queste sono ridotte essenzialmente da enzimi proteolitici in polipeptidi, peptidi e amminoacidi. Siccome gli enzimi sono proteine, il contenuto di proteine è indice del potere enzimatico. Sono presenti peptidi delle vitamine del complesso B, necessari per lo sviluppo del lievito. I fosfati invece sono responsabili dell’acidificazione del mosto e sono utilizzati dal lievito 24


nella fermentazione, insieme ad altri elementi minori. La cellulosa, i polifenoli ed i tannini sono presenti nel guscio e possono portare a sapori aspri nella birra finita se percolano con l’acqua calda dello sparging. Acidi grassi e lipidi supportano la respirazione del chicco durante la maltazione, ma se sono troppi finiscono nel mosto portando sapori di ossidato e una schiuma non persistente. Emicellulosa e gomme solubili sono prevalentemente polisaccaridi e occupano il 10% del grano. Le gomme sono solubili, ma l’emicellulosa dev’essere ridotta dagli enzimi appropriati in frazioni che permettano una buona persistenza della schiuma, altrimenti provocherebbero problemi di limpidezza nel prodotto finito. La composizione dell’orzo è molto simile a quella del mais, si differenzia però per la maggior quota proteica e per la minor quota lipidica. Il 65/70% è costituito da carboidrati. 100 g di orzo perlato contengono 319 kcal / 1333 kj. Inoltre, per ogni 100 g di questo prodotto, abbiamo: • • • • • • • • •

Acqua 12,2 g Carboidrati 70,5 g Zuccheri 0 g Proteine 10,4 g Grassi 1,4 g Colesterolo 0 g Fibra totale 9,2 g Sodio 3 mg Potassio 120 mg

• • • • • • • •

Ferro 0,7 mg Calcio 14 mg Fosforo 189 mg Vitamina B1 0,09 mg Vitamina B2 0,08 mg Vitamina B3 3,1 mg Vitamina A 0 µg Vitamina C0 mg

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ULTERIORI CEREALI Cereali non maltati sono stati introdotti nella produzione, perché offrono una risorsa economica di carboidrati e non alterano il contenuto proteico del mosto. Possono essere usati in congiunzione con malti molto proteici come il six-row americano per dare un mosto più fermentabile e meno pieno. Gli amidi devono essere gelatinizzati prima dell’ammostamento, con una bollitura preliminare in una procedura di doppio ammostamento oppure riducendo i fiocchi passandoli in rulli caldi. I grani di cereali più comuni sono quelli di mais, grani di riso, sorgo (in Africa), orzo in fiocchi, fiocchi di segale, e frumento. Il mais e il riso sono pesantemente usati nello stile America light lager, mentre il frumento è un ingrediente chiave della Wit belga e del Lambic. Entrando più nello specifico, l’orzo possiede un cariosside rivestita da glumelle che proteggono l’embrione durante la germinazione e sono fondamentali per la filtrazione durante la produzione del mosto. Sono due le varietà che possono essere usate per la birrificazione: il disctico (detto anche tow.row) e il polistico (six-row). Il primo è coltivato prevalentemente in Europa ed è il più adatto per la produzione di birra, il six-row è tipco del Nord America e, visto il suo elevato contenuto proteico, è spesso usato assieme ad altri cereali. L’orzo distico, è a sua volta, normalemente classificato in autunnale e primaverile a seconda del periodo nel quale viene coltivato. Molto tempo prima che la chimica esistesse come scienza, birra e vino venivano prodotti in grandi quantità, almeno alcuni millenni fa. In primo luogo, anche se a qualcuno sembra ovvio, chiariamo che l’alcol presente nella birra non viene aggiunto, è generato naturalmente. È generato da un processo biochimico chiamato fermentazione alcolica e proviene dalla fermentazione di un lievito di zuccheri d’orzo. Ma in cosa consiste questa fermentazione? Qual è il processo chimico che avviene? farro piccolo

Tipi di farro e grano 26

farro grande

grano duro

grano tenero


FERMENTAZIONE ALCOLICA La fermentazione è il processo che converte lo zucchero in alcol, in particolare in un alcol con due atomi di carbonio, etanolo e anidride carbonica. Questo processo viene eseguito da organismi viventi, ma in particolare alcuni tipi di funghi noti come lieviti. Nel nostro caso, il componente principale è Saccharomyces cerevisiae . Questi lieviti sono dedicati alla produzione di etanolo, in cambio di zucchero. È come se l’uomo per migliaia di anni avesse “addomesticato” i Saccharomyces cerevisiae , così da poter lavorare nella produzione di alcol in cambio di cibo (zucchero). Il processo può essere diviso in due parti. La prima parte, nota come glicolisi o glicolisi (grigego glicos , zucchero e lisi , rottura) è comune ad altre vie metaboliche e il cui prodotto è l’anione piruvato. La seconda parte è la fermentazione stessa, in cui il piruvato viene trasformato in alcol. orzo distico

Struttura interna chicco d’orzo

gluma crusca

endosperma

embrione

orzo esastico

Tipi di orzo 27


GLICOLISI O GLICOLISI L’intero processo inizia quando questi organismi si nutrono. Zucchero presente nel dell’orzo è la forma di saccarosio e coinvolge legame di una molecola di glucosio e fruttosio, saccarosio, quindi diciamo che è un disaccaride. Il saccarosio quando idrolizzato diventa una molecola di glucosio e una molecola di fruttosio. Quest’ultimo è isomerizzato in glucosio in modo semplice. Queste due molecole di glucosio ottenute sono pronte per l’ingresso nelle vie metaboliche di Saccharomyces cerevisiae per trasformarla in etanolo e quindi ottenere energia. Possiamo dividere il processo della glicolisi in tre parti distinte:

FOSFORILAZIONE DEL GLUCOSIO La prima reazione della glicolisi è la fosforilazione del glucosio, con la quale possiamo attivarla ed essere in grado di utilizzare quell’energia nei processi successivi. È un processo che consuma energia sotto forma di ATP (Adenosin Tri Phosphate). La prima parte consiste nella fosforilazione dell’idrossile legato al carbonio 6 del glucosio, consumando una molecola di ATP. Questa reazione è catalizzata da un enzima, esochinasi, che ha bisogno di un coenzima con magnesio. Una volta che il glucosio attivato, il passo successivo è l’isomerizzazione di glucosio-6-fosfato in fruttosio 6-fosfato, catalizzata dalla fase enzima glucosio-6-fosfato isomerasi. L’ultima fase di questo componente e un secondo fosforilazione, questa volta al ossidrile carbonio 1 del fruttosio 6-fosfato, risultando in una nuova molecola, fruttosio 1,6-bisfosfato, con consumi energetici nuovamente forma di ATP e con magnesio come cofattore. Questo passaggio è un processo altamente irreversibile ed è catalizzato da un enzima, la fosfofuctokinasi-1.

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ROTTURA DEL PENTOSIO FRUTTOSIO -1,6- BISFOSFATO È un processo in cui non c’è consumo o produzione di energia sotto forma di ATP. La molecola di fruttosio-1,6-bisfosfato è suddivisa in due molecole di sopra aldolasi, fruttosio-1,6 bifosfato particolare aldolase, rende diidrossiacetone fosfato e gliceraldeide-3-fosfato. Entrambe le molecole di tre atomi di carbonio sono convertibili l’una con l’altra da un enzima, il triosofosfato isomerasi. Pertanto di un fruttosio-1,6-difosfato otteniamo due cellule gliceraldeide-3-fosfato.

O

HO HO

HO HO ATP

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HO

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O

HO

DEFOSFORILAZIONE Questa fase inizia con l’ossidazione del carbonio aldeidico ad un gruppo carbossilico è un processo che avviene in due parti e comporta la generazione di una molecola di ATP (ricordiamo che ogni molecola di glucosio produce due gliceraldeide-3-fosfato). La prima parte consiste in una fosforilazione del carbonio aldeidico per ottenere l’1,3-bifosfoglicerato, una molecola molto energetica. Questo passaggio si verifica con il consumo di un NAD + (è ridotto a NADH dal contributo di protoni) fosforo inorganico sotto forma di fosfato. È catalizzata dall’enzima gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi e ha un magnesio come cofattore. La seconda parte consiste nella defosforilazione di 1,3-bifosfoglicerato da parte dell’enzima fosfoglicerato chinasi a 3-fosfoglicerato. Questa seconda fase produce energia sotto forma di ATP e ha un magnesio come cofattore.

O HO HO

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HO O HO HO O O P HO

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O HO

O

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NAD+

O

O

P HO HO

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NADH,H+

O

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HO

Mg2+

ADP

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O

HO

HO

O

O

O

O

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O

O HO

P HO

HO

Il passo successivo è l’isomerizzazione di 3-fosfoglicerato dalla reazione di cui sopra per dare 2-fosfoglicerato, l’enzima che catalizza questa reazione è mutasi. L’unica cosa che succede qui è il cambio di posizione del fosfato dal carbonio 3 al carbonio 2. L’enzima di enolasi rilascia una molecola d’acqua dalla molecola formando un doppio legame tra carbonio 2 e 3, dando luogo a una molecola chiamata fosfoenolpiruvato. Questa enolasi ha bisogno del cofattore di magnesio per il suo funzionamento. Infine si verifica la defosforilazione del fosfoenolpiruvato, ottenendo piruvato e ATP. Reazione irreversibile eseguita dall’enzima piruvato chinasi e magnesio come cofattore. In questa fase viene prodotta un’altra molecola di ATP. L’acido piruvico è un composto organico chiave nel metabolismo. È il prodotto finale della glicolisi, una via metabolica universale in cui il glucosio viene scisso in due molecole di piruvato e viene generata energia (2 molecole di ATP). L’acido piruvico è un composto organico chiave nel metabolismo. È il prodotto finale della glicolisi, una via metabolica universale in cui il glucosio viene scisso in due molecole di piruvato e viene generata energia (2 molecole di ATP).

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O O

O O HO

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HO

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O

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O Mg2+ H2O

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FERMENTAZIONE Una volta formato il piruvato (e con esso la fine della glicolisi), può richiedere tre percorsi. Se abbiamo abbastanza ossigeno, possiamo entrare nel metabolismo aerobico, dove diventa anidride carbonica e acqua. Questo è noto come respirazione cellulare ed è il processo complesso che le nostre cellule utilizzano per fornire energia. È prodotto nella matrice dei mitocondri ed è noto come il ciclo di Krebs. Se non abbiamo abbastanza ossigeno, l’acido piruvico entra in un percorso anaerobico o in un percorso di fermentazione. In questo caso, può prendere due percorsi:

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FERMENTAZIONE LATTICA Il cui prodotto è acido lattico. Le nostre cellule muscolari effettuano questa fermentazione quando facciamo uno sforzo molto intenso, e il risultato è la rigidità dovuta all’accumulo di acido lattico nel muscolo. FERMENTAZIONE ALCOLICA In cui il piruvato viene prima convertito in acetaldeide, quindi degradato in etanolo e anidride carbonica. Nella fermentazione alcolica , la prima reazione è una decarbossilazione del piruvato. Ciò significa che la molecola di piruvato perde una molecola di anidride carbonica, e cioè di carbonio del gruppo carbossilico, e diventare una molecola più semplice, acetaldeide (acetaldeide o). È una reazione complessa, catalizzata da un enzima chiamato piruvato decarbossilasi. Una volta che l’ acetaldeide viene prodotta , subisce un’altra reazione, catalizzata da un enzima chiamato alcol deidrogenasi e utilizza NADH (nicotinammide adenina dinucleotide) come coenzima in un terreno leggermente acido. Questo è un processo redox, dove NADH è ossidato a NAD + e l’acetaldeide riduce l’ etanolo. Il processo globale di glicolisi più la fermentazione alcolica è il seguente: C6H12O6+6H+2PO4+2ADP+2C6H12O+2CO2+2H2O+2ATP

CONCLUSIONI Il processo qui descritto per la fermentazione della birra è lo stesso per qualsiasi tipo di bevanda alcolica. Il sapore diverso è caratteristico della fonte di zucchero con cui vengono nutriti i lieviti. Zucchero genera orzo birra (in realtà è il mosto, una miscela di orzo, acqua e luppolo), riso zucchero genera sake , canna da zucchero generare cachaza, uva produce vino, etc.

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MaLtO

“L’acqua può diventare anche una buona bevanda, se mescolata con malto e luppolo!” Proverbio tedesco

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CHE COS’È IL MALTO? Il malto (dall’inglese malt a sua volta dal sassone mealt voce del verbo meltan ‘disciogliersi’ da cui derivano i nomi del malto in molte lingue germaniche è la cariosside (chicco) di un cereale che ha subìto germinazione. A meno che non sia specificato altrimenti, con “malto” ci si riferisce comunemente al malto d’orzo. Il malto d’orzo è un dolcificante naturale che si ottiene dall’orzo fatto prima germinare, essiccare e poi cotto in acqua e ridotto in polvere o in forma liquida ottenendo un prodotto denso e omogeneo dal sapore dolce ma decisamente meno rispetto a quello dello zucchero. Si tratta dell’unico vero malto anche se sotto questa denominazione spesso si fa riferimento anche allo sciroppo di riso e lo sciroppo di mais. L’orzo è la sorgente più comune per gli zuccheri fermentabili utili alla birra. Il nucleo del chicco d’orzo è il seme di una pianta della famiglia delle Graminacae. Il malto d’orzo è formato da chicchi d’orzo, germogliati fino ad una lunghezza desiderata, a cui vengono tagliate le radichette per poi venire tostati fino al colore desiderato. All’interno dei chicchi risiede un germoglio, che è effettivamente la parte che germoglia, e un endosperma, che è amido, ossia la riserva di nutrimento per il seme. Entrambi sono circondati dal guscio che è per lo più cellulosa. L’acrospira è la porzione della pianta nascente che uscirà dal terreno. Crescendo dal germoglio la lunghezza dell’acrospira è, storicamente, indice del progresso della germinazione. Mentre la germinazione procede, gli enzimi agiscono sulle proteine e i carboidrati attivandoli e trasformandoli. Il grado di germinazione è chiamato modificazione; la modificazione, solitamente, si riferisce a quanto le proteine a matrice gommosa dell’endosperma sono state degradate e quanto le altre proteine sono diventate solubili in acqua. Si possono usare molti metodi per indicare il grado di modificazione del malto. È importante riconoscere che, mentre il processo di maltazione è designato per inizializzare lo sviluppo degli enzimi che saranno usati per catalizzare le reazioni di ammostamento, gli effetti dei vari regimi di maltazione dipendono dal ceppo d’orzo. Mentre malti poco modificati, di solito, hanno un set più completo di enzimi, hanno anche più proteine, che richiedono ulteriori trattamenti di degradazione enzimatica, per evitare opacità da polifenoli (chill haze). L’obiettivo di chi prepara il malto è di trovare il giusto bilanciamento tra la degradazione delle proteine e la disponibilità di amido, mentre non deve permettere che troppi carboidrati vengano consumati nello sviluppo della pianta. In altri termini si tenta di ottenere le caratteristiche desiderate del malto, mantenendo il potenziale dell’orzo. È diventato difficile reperire malto poco modificato, che richiede estesi protein rest (pausa proteine) per l’ammostamento. 34



LE PROPRIETÀ DEL MALTO D’ORZO Il malto d’orzo ha un alto contenuto di maltosio (uno zucchero) ed è ricco di aminoacidi e sali minerali (tra cui potassio, sodio e magnesio). Si tratta quindi di un alimento nutriente e dalle valide proprietà, ottimo sostituto dello zucchero ma anche del miele per dolcificare. Tra l’altro, se si utilizza come dolcificante per torte, biscotti o prodotti da forno è anche in grado di favorire la lievitazione (i lieviti infatti si nutrono di zuccheri). Si tratta poi di un prodotto naturale dalle doti benefiche nei confronti dell’intestino ma anche dal potere depurativo dato che aiuta il buon lavoro del fegato, organo deputato all’eliminazione delle tossine. Grazie alla presenza degli enzimi digestivi, inoltre, questo prodotto naturale è anche amico dello stomaco. Il malto d’orzo è poi un ottimo energizzante naturale, grazie alla presenza degli zuccheri che sono a lento rilascio e quindi garantiscono un apporto di energia più costante nel tempo. Per questa caratteristica viene spesso utilizzato anche da chi pratica sport. Uno studio italiano di qualche anno fa ha dimostrato infine che un principio attivo presente nel malto d’orzo, il maltolo, ha proprietà antitumorali ed è in grado di condurre le cellule degenerate all’apoptosi (autodistruzione). Ricapitolando il malto d’orzo è: • • • • • • • •

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dolcificante favorisce la lievitazione ricco di vitamine e sali minerali benefico per l’intestino depurativo contiene enzimi digestivi energizzante naturale antitumorale


VALORI NUTRIZIONALI DEL MALTO D’ORZO Il malto d’orzo è ricco di acqua ed è proprio per questo che dolcifica meno rispetto al più tradizionale zucchero, contiene poi maltosio (che è simile al fruttosio), vitamine e sali minerali. Valori nutrizionali: • • • • • • • • •

carboidrati 71,30 g zuccheri 71,30 g acqua 21,10 g proteine 6,20 g potassio 320 mg fosforo 236 mg magnesio 72 mg calcio 61 mg sodio 35 mg

• • • • • • • • •

ferro 0,96 mg rame 0,20 mg selenio 12,30 mcg vitamina B1 0,01 m vitamina B2 0,39 mg vitamina B3 8,12 mg vitamina B5 0,17 mg vitamina B6 0,50 mg folati I2 mcg

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LuPpOlO

“Quando la bevo sto benissimo: l’umore è allegro, il cuore contento e il fegato felice”. Tavoletta sumera, 3600 a.C.

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LA CONTROPARTE AMARA I luppoli sono la controparte amara e speziata dei malti; sono essenziali nella birra. Storicamente, precedentemente all’uso del luppolo, venivano utilizzate varie spezie amaricanti per bilanciare il dolce del malto. Il luppolo (Humulus lupulus) è una pianta a fiore appartenente alla famiglia delle Cannabaceae. I luppoli per birrificare sono fiori a cono della vite Humulus lupulus, una pianta simile alla cannabis. Gli ingredienti essenziali sono concentrati nelle ghiandole lupoline, situate alla base delle brecheole, o nelle foglie del cono.

PROPRIETÀ DEL LUPPOLO Da sempre il luppolo ha accompagnato la storia di molti popoli nordici non solo per la produzione di birra ma anche per le sue spiccate proprietà, visto che in esso nel tempo sono stati analizzati centinaia di diversi principi attivi. Nel processo produttivo della birra,le caratteristiche primarie del luppolo sono: • • • •

Fornire una base amaricante a blilanciamento della dolcezza apportata dal materiale fermentiscibile. Aumentare la stabilità microbiologica. Conccorrere nella stabilizzazione della schiuma. Influenzare, a seconda degli stili in maniera minore o maggiore, il gusto e l’aroma.

È in grado di agire sul sistema nervoso come ipnoinduttore e blando sedativo, ottimo per combattere l’insonnia, il mal di testa e molte forme di gastrite e riflussi gastrici di origine nervosa. Inoltre, supporta il lavoro della digestione, contribuisce a lenire i disturbi legati alla menopausa e aiuta la rigenerazione della pelle e dei capelli. Questo suo uso storico lo ha fatto entrare nel Formulario Galenico Nazionale in miscela con altre erbe per specie per tisane ad uso sedativo e calmante. Il luppolo, inoltre, contribuisce a parecchi aspetti secondari della birra: ha un’azione di prevenzione anti batterica, favorisce la coagulazione in pentola di proteine, fornisce una buona schiuma stabile. Le varietà di luppoli spesso vengono associate a precisi stili; anzi, alcuni stili sono definiti dalla loro impronta di luppolo. Le Ale britanniche, sono associati con luppoli del luogo (Est Kent Golding, Northen Brewer e Fuggles), e molte richiamano le caratteristiche di aroma e sapore di questi. Gli stili continentali, soprattutto quelli più luppoleggianti, sono associati alle varietà locali. È importante notare che la regione di coltivazione è decisivo per definire le caratteristiche del ceppo. I luppoli europei classici cresciuti in climi americani molto differenti esibiscono tonalità diverse da quelle cresciute sul suolo europeo.

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Una birra molto amara È la Top of the Hops della britannica Yorkshire Brewing la birra con più luppoli al mondo. Per produrla vengono utilizzati ben 2012 luppoli. Questa cifra strabiliante è stata raggiunta raccogliendo le diverse varietà di luppoli sperimentali della Wye Hops, azienda specializzata nella ricerca sui luppoli stessi. Il raccolto è durato solo un giorno ed ha reso 750 kg di luppoli secchi. La coltivazione del luppolo ha requisiti simili a quelli della patata, dove è possibile coltivare patate, è possibile anche coltivare il luppolo. Non a caso la Germania è il paese al primo posto nella coltivazione del luppolo con oltre 34 mila tonnellate all’anno.

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MODALITÀ D’USO La pianta del luppolo conta oltre 100 principi attivi e in particolare numerosi terpeni, acidi amari, tannini, flavonoidi e fitoestrogeni che possono essere usati sia per via interna che per via esterna.

USO INTERNO La tisana sottoforma di infuso di luppolo è l’ideale per agevolare il sonno, per combattere il mal di testa e per calmare tosse e dolori allo stomaco. Per prepararla servono 5 g di coni di luppolo essiccati per 250 ml di acqua. L’assunzione è di una tazza di infuso sino a 3 volte al giorno dopo i pasti principali è sufficiente per avere gli effetti benefici ad esempio come rimedio per l’insonnia o per calmare la tosse. Ad uso interno possiamo trovare capsule di estratto secco da assumere durante il giorno secondo il dosaggio riportato sulla confezione. Vengono inoltre prodotti naturali come la tintura madre, la polvere e altri rimedi monodose tutti di derivazione della sostanza che si estrae dal fiore femminile del luppolo che viene nominata luppolina. Le proprietà rimangono sempre rivolte a contrastare i disturbi di insonnia, nervosismo, dismenorrea e problemi digestivi.

USO ESTERNO L’infuso è ottimo anche per gli impacchi in caso di pelle secca, dolori muscolari e infiammazioni. Concentrando l’infuso si possono ottenere lozioni molto efficaci.

DESCRIZIONE DELLA PIANTA Il luppolo è battezzato come Humulus lupulus ed è una pianta perenne a portamento rampicante che può crescere sino a 7 metri di altezza. Presenta foglie cuoriformi con margine seghettato e incise da 3 a 5 lobi. La pagina inferiore della foglia è resinosa mentre quella superiore è più ruvida. Nella pianta di luppolo troviamo fiori unisessuali verdognoli: i fiori delle piante femmine sono coni membranosi mentre quelli delle piante maschili sono pannocchie pendule che portano il polline. Non sono fiori appariscenti proprio perché è il vento è responsabile dell’impollinazione e quindi la una colorazione del fiore non è necessaria per attirare gli insetti. La fioritura avviene in estate. L’impollinazione è anemofila (trasporto per mezzo del vento) e in settembre-ottobre, con la maturazione dei semi, le brattee assumono una consistenza cartacea che aumenta la dimensione del cono. I frutti sono degli acheni di colore grigio-cenere. La parte che viene utilizzata per ottenere i rimedi erboristici sono i coni dei fiori femminili che sono ricchi di ghiandole resinose, produttrici di sostanze amare e oli essenziali, specifiche delle proprietà del luppolo. 42


Ci sono attualmente 5 varietà tassonomiche riconosciute nel genere Humulus e sono: lupulus - luppolo Europeo; cordifolius - luppolo Giapponese; lupuloides, neomexicanus, pubescens - luppoli Nordamericani.

HABITAT DEL LUPPOLO Generalmente il luppolo ama terreni umici e freschi, meglio ancora se lavorati. Lo si rinviene facilmente lungo i fiumi ed i corsi d’acqua al di sotto dei 1200 metri. La sua presenza in natura è molto comune nell’Italia settentrionale; il luppolo selvatico è peraltro presente in tutte le regioni, isole comprese, benché diventi progressivamente più raro verso sud. È coltivato a scopi commerciali in entrambi gli emisferi, indicativamente tra il 30° e il 52° di latitudine, ed essendo molto resistente ai climi freddi può resistere fino a −30 °C. La coltivazione del luppolo ha avuto inizio solo durante il IX secolo d.C. in Germania. In precedenza, fin da tempi preistorici, il luppolo era già utilizzato, ma non coltivato.

CENNI STORICI I primi che hanno utilizzato il luppolo per produrre birra erano i monaci francesi della Piccardia nel 822 dC. Se si pensa che le prime birre risalgono a molto prima della nascita di Cristo, l’utilizzo del luppolo nella preparazione della birra è relativamente recente. Gli antichi romani, invece, erano soliti mangiare il luppolo come una qualsiasi verdura e in alcuni casi li aggiungevano anche alle insalate. Tutt’oggi molte ricette di origine romana utilizzano il luppolo come ingrediente principale. Nella cucina tradizionale contadina il luppolo veniva raccolto alla stregua degli asparagi e cucinati allo stesso modo ottenendo ottimi piatti caserecci.

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LIEvItO “Resta con la tua birra, la birra è un flusso continuo di sangue, un’amante continua”. Charles Bukowski

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LA SCOPERTA DEL LIEVITO Leuwenhoeck nel 1680 identifica il lievito di birra ma non è in grado di spiegarne nè la natura nè come agisce, cosa che riesce nel 1739 a Cagniard-Latour che attribuisce la fermentazione ad una cellula di lievito. La sua teoria, basata su una cellula invisibile, viene duramente contestata dagli scienziati dell’epoca ma già l’anno dopo Anton Dreher e Gabriel Sedlmayr identificano il lievito come l’ingrediente segreto che fa la gloria delle birre bavaresi. Questo lievito, esportato in Boemia, fornisce l’occasione a Plzen nel 1842 di lanciare uno stile che sconvolge il mondo della birra. La Pilsner Urquell (cioè “fonte originale”) diventa il punto di riferimento di moltissime birrerie che si ispirano alla sua celebrata bionda per proporre nuovi prodotti ad un mercato sempre più crescente. I lavori di Pasteur sulla fermentazione del 1876 spianano la strada alla comprensione dell’azione del lievito e a quella dei batteri responsabili dei problemi che portano al cattivo gusto. I risultati delle sue ricerche spingono le birrerie ad equipaggiarsi di un laboratorio e nel 1883 Emil Hansen della danese Carlsberg sviluppa la tecnica per isolare un’unica cellula di lievito che permetterà finalmente si birrai di esercitare un controllo totale sulle birre che produce.

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DA MOSTO A BIRRA L’elemento centrale della trasformazione del mosto in birra è la fermentazione alcolica. Come meglio specificato nella trattazione del processo produttivo, si distinguono due fasi: la fermentazione principale, che determina lo sviluppo della maggiore quantità di alcol ed incide maggiormente nella formazione del prodotto finito, e quella secondaria, che determina la “presa di spuma”. Elemento centrale della zimurgia sono i microrganismi: infatti, senza essi, nessun mosto potrebbe diventare birra! Entrambe le fermentazioni menzionate avvengono ad opera di lieviti, microrganismi unicellulari appartenenti al regno dei Funghi, genere Saccharomyces. A tale taxon appartengono tutti i microrganismi responsabili delle fermentazioni dei più comuni prodotti alimentari, come il vino, il pane, la pizza. Essi si sviluppano nel mosto “nutrendosi” dello zucchero presente e fornendo come sostanze di “rifiuto” etanolo ed anidride carbonica. Questo processo spiega appunto perché durante la fementazione il tenore zuccherino del mosto diminuisce via via a favore della presenza di alcol. La formazione di alcol avviene in rapporto ben preciso rispetto alla quantità di zucchero del mosto consumato: è sufficiente, infatti, moltiplicare la diminuzione della concentrazione zuccherina del mosto, espressa in grammi per litro (g/L), per 0,06 per calcolare il titolo alcolometrico volumico % approssimativo della birra finita.

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Il lievito madre Il lievito madre è un lievito “vivo” e differisce dal lievito di birra per molti aspetti. Il lievito madre è un composto che, una volta preparato per la prima volta, va unito ad acqua e farina per ottenere un impasto dal quale, in seguito ad una lunga lievitazione, se ne tratterrà una parte che verrà utilizzata per l’impasto successivo. In sostanza, il lievito madre è una pasta viva che si alimenta grazie ad una sorta di moto perpetuo, diventando così inesauribile. A differenza del lievito di birra che invece è un prodotto disponibile in panetti freschi oppure in polvere secca e va semplicemente aggiunto alla propria preparazione. I prodotti realizzati con lievito madre hanno un sapore migliore, durano di più e l’impasto risulta più digeribile.

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IL PROCESSO DI FERMENTAZIONE La fermentazione è il cuore della birrificazione. Durante questo processo, il mosto creato dalle materie prime è trasformato in birra dal lievito. La fermentazione si divide solitamente in tre stadi: primaria, secondaria e condizionamento (o lagering). Si parla di fermentazione quando il lievito produce tutti i composti relativi all’alcol, al sapore e all’aroma che si trovano nella birra. La manipolazione della temperatura, i livelli di ossigeno, la quantità di lievito e la scelta del ceppo influenzano notevolmente la produzione dei composti di relativi al sapore e all’aroma durante la fermentazione.

FERMENTAZIONE PRIMARIA Il primo stadio della fermentazione inizia quando il lievito viene introdotto nel mosto raffreddato e aerato. Il lievito utilizza subito l’ossigeno presente per produrre steroli, un composto vitale per l’espansione della coltura. Quando l’ossigeno è terminato, il lievito passa alla fase anaerobica in cui la maggior parte degli zuccheri del mosto sono ridotti a etanolo e CO₂. La crescita del lievito avviene durante la fermentazione primaria. L’entità e il tasso della crescita del lievito sono direttamente collegati alla produzione di composti relativi al sapore e all’aroma.

FERMENTAZIONE SECONDARIA Per fermentazione secondaria si intende quella che si svolge dopo che la maggior parte degli zuccheri del mosto sono esauriti è si verifica un netto calo del tasso di fermentazione. Durante questa fase, la maggior parte degli zuccheri finali sono esauriti e alcuni metaboliti secondari vengono trasformati del lievito. Hanno inizio la flocculazione e il deposito del lievito a causa dell’aumento del contenuto alcolico e dell’esaurimento di zuccheri e nutrienti. Durante la fermentazione secondaria avviene la riduzione del diacetile e alcuni birrai incorporano in questa fase anche la pausa per il riassorbimento del diacetile.

CONDIZIONAMENTO La fase del condizionamento avviene al raggiungimento della densità finale con il raffreddamento del serbatoio fino a 0°C – 3°C. Durante questa fase il lievito continua a flocculare e depositarsi; anch’esso condiziona la birra riducendo vari composti aromatici indesiderati. Le ale non traggono giovamento da lunghe fasi di condizionamento come le lager: con l’invecchiamento gli aromi desiderati si affievoliscono nelle ale, perciò è raccomandato il condizionamento più breve possibile prima del confezionamento. In questa fase, l’esposizione all’ossigeno è estremamente dannosa per la qualità della birra.

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ALTA E BASSA FERMENTAZIONE Storicamente, la denominazione “alta fermentazione” si riferisce alla tendenza di questi lieviti a salire sulla superficie del mosto durante la fermentazione. Viceversa, i lieviti a bassa fermentazione preferiscono lavorare sul fondo del tino. Più praticamente, però, questa nomenclatura viene ormai associata alle temperature di fermentazione: mentre entrambe le famiglie di lieviti possono fermentare tranquillamente fino a temperature di 30°C, i lieviti ad alta tendono a produrre il profilo aromatico migliore quando vengono fatti lavorare intorno ai 20°C, mentre per i lieviti a bassa fermentazione si preferiscono temperature di lavoro intorno ai 10°C. Molti lieviti ale entrano in stato dormiente e smettono di fermentare quando la temperatura scende sotto i 10°C, mentre quelli lager possono continuare a fermentare, seppure molto lentamente, anche al di sotto dei 5°C. Lavorando a temperature più elevate, i lieviti ale fermentano abbastanza velocemente producendo una maggiore quantità di composti aromatici. Ne risulta un profilo organolettico della birra caratterizzato da varie combinazioni di aromi fruttati e speziati, per alcuni ceppi anche molto evidente (si pensi al mondo delle birre belghe). Di contro, i lieviti lager, lavorando a temperature modeste, fermentano più lentamente rilasciando una concentrazione minore di composti aromatici. Questo rende il profilo organolettico delle birre a bassa fermentazione piuttosto neutro e lascia ampio spazio agli aromi degli altri ingredienti come malto e luppolo. La temperatura più bassa tiene a freno la proliferazione dei microrganismi contaminanti che potrebbero prendere il sopravvento sul lievito. Per questa ragione le birre a bassa fermentazione si diffusero a macchia d’olio a partire dal 1800: le basse temperature venivano in soccorso al birraio che all’epoca non disponeva di pratiche di sanitizzazione adeguate. Le fermentazioni condotte a bassa temperatura producevano birre più pulite poiché bloccavano l’azione di batteri e lieviti selvaggi mentre i lieviti a bassa fermentazione portavano avanti il loro lavoro indisturbati. Questi ceppi di lievito si diffusero dapprima nelle regioni con un clima che rendeva pratico mantenere tali temperature durante tutto il periodo di fermentazione. Il centro Europa, e in particolare la Baviera con le sue grotte, furono il principale centro di incubazione per questi nuovi ceppi di lievito. Dopo l’invenzione della refrigerazione, il passo dal sud della Germania al mondo intero fu breve. Esistono centinaia di ceppi diversi di lieviti, ciascuno diverso dall’altro per caratteristiche tecniche (attenuazione, flocculazione) e per contributo aromatico al profilo organolettico della birra. La varietà è maggiore nella famiglia dei lieviti ad alta fermentazione, sia per l’intensità aromatica che sono in grado di produrre, sia per le mutazioni genetiche avvenute grazie alla vasta diffusione e al continuo riutilizzo di questi lieviti.

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FERMENTAZIONE NATURALE È un tipo di fermentazione completamente diversa dalle altre due, perché sfrutta i lieviti e i batteri che si trovano nell’aria – come il Brettanomyces, che fortunatamente non sopravvive alle alte percentuali alcoliche e quindi alla birra finita. Per fare in modo che batteri, lieviti e mosto si incontrino naturalmente e che la fermentazione inizi si mette a raffreddare il mosto di birra in grandi vasche, poco profonde, che si sviluppano in senso orizzontale. In questo modo si massimizza l’impatto della superficie a contatto con l’aria. Dopodiché, il mosto viene pompato in botti di castagno o di rovere dove fermenta. Alcuni produttori illuminati, come Cantillon, utilizzano anche anfore che vengono lasciate a fermentare in una sorta di cantina. L’esposizione avviene comunque solo nei mesi freddi, e la birra può essere bevuta già alla fine dell’estate seguente, come prodotto giovane. Le birre a fermentazione spontanea hanno diversi gradi di acidità che dipendono dallo stile.Nelle birre a fermentazione spontanea rientrano due stili: Iris e Lambic e relativi sottostili come Gueuze, Faro, Kriek, Framboise. Questo è quel che vorrebbe la tradizione, rispettata da molti birrifici della zona denominata Pajottenland, che si estende per un raggio di 20-30 km a sud-ovest di Bruxelles, cioè della patria del Lambic. Eppure, una legislazione poco attenta alla salvaguardia della tradizione ha fatto in modo che non fosse escluso dalla denominazione Gueuze (miscela di Lambic con età che vanno dai tre anni a meno di un anno) un mosto non prodotto al 100% attraverso il metodo della fermentazione spontanea. Quindi, molti prodotti etichettati come “lambic” contengono, in realtà, una percentuale di normale birra ad alta fermentazione. Ci sono birre fatte così, che seguono i dettami della categoria, e ci sono birre “Disneyland”, come le chiama Kuaska, cioè fatte con ingredienti assurdi e/o tecniche stravaganti.

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La birra dello spazio Nello spazio la microgravità rende impossibile il consumo di birra e altre bevande gassate. Ma il birrificio australiano 4 Pines, in collaborazione con l’azienda aerospaziale Saber Astronautics, ha recentemente sviluppato un rivoluzionario prodotto che salverà le serate di astronauti e turisti spaziali: la birra a gravità zero, una birra a basso contenuto di gas che può essere consumata senza problemi anche migliaia di km sopra la Terra. Chiamata “Vostok”, dal nome della prima missione spaziale con equipaggio umano, la rivoluzionaria bevanda è una stout Irladese, una birra scura dal gusto deciso e affumicato. La scelta dei mastri birrai è caduta su una ricetta dal sapore così intenso perchè nello spazio la lingua degli astronauti soffre di un leggero ingrossamento che fa percepire i sapori molto più attenuati. 53


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CoLoRe

“Tutti noi abbiamo bisogno di credere in qualcosa: io credo che tra poco mi farò una birra…” Homer Simpson

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QUANTI COLORI PUÒ AVERE LA BIRRA? Le tre categorie principali sono: Chiara, Ambrata e Scura. Ma le sfumature possono essere tantissime. L’ingrediente responsabile della colorazione della birra è il malto. È proprio il malto che, a seconda della sua tipologia e del grado di tostatura, dà origine alle diverse birre per colore e per sapore. A bassa temperatura si ottengono i malti chiari (lager, pale), a temperatura maggiore quelli più scuri (crystal). Si può giungere fin quasi a bruciarli per arrivare ai malti neri. Il colore e il gusto della birra chiara si può correggere anche con i cosiddetti malti additivi, più scuri, aggiunti nelle giuste proporzioni. Una volta maturato il malto viene “essicato” e, in base al tempo di permanenza a una certa temperatura, si producono malti di diverso tipo: • • • •

Malti chiari: vetostati a temperature fino a 80° e danno luogo a birre chiare. Malti ambrati: si ottengono con temperature di 100°-110° e danno luogo a birreosse. Malti scuri: si ottengono con temperature fino a 150° e danno luogo a birre scure. Malti speciali: per esempio quelli cosidetti “coloranti” che si ottengono con temperature fino a 200°, oppure il tipo “chocolate” a 230°, che danno luogo per esempio a birre stout.

La storia della stima del colore della birra nasce alla fine del 1800, precisamente nel 1883 quando Joseph W. Lovibond utilizza per la prima volta dei vetrini colorati per raffrontarli al colore della birra. Per decenni la tecnica istituita da Lovibond fu utilizzata, tanto che ancora oggi parliamo di gradi Lovibond [°L] per descrivere il colore della birra (addirittura il nome di alcuni malti come ad esempio Cara 60 o il Crystal 120 devono parte del loro nome al grado di colorazione nella scala Lovibond di quel particolare malto tostato). La principale pecca del metodo Lovibond però è il fatto che la stima del colore sia lasciata all’interpretazione umana (ovvero della persona che compara il colore della birra con il campione di vetro). Nella metà del XX secolo quindi, per ovviare alla scarsa scientificità del metodo Lovibond, furono introdotti due nuovi standard per la misurazione del colore: lo standard SRM (Standard Reference Method) negli Stati Uniti e l’ EBC (European Beer Color) in Europa. Entrambi questi metodi si basano sull’utilizzo di uno spettrofotometro per la misurazione del colore. I rapporti fra queste diverse scale di misura si possono riassumere nella seguente equivalenza: 1°L=1 SRM=2 EBC . La misurazione del colore: lo standard SRM (Standard Reference Method) negli Stati Uniti e l’ EBC (European Beer Color) in Europa.

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Entrambi questi metodi si basano sull’utilizzo di uno spettrofotometro per la misurazione del colore. I rapporti fra queste diverse scale di misura si possono riassumere nella seguente equivalenza: 1°L=1 SRM=2 EBC . Chi possiede uno spettrofotometro può misurarsi direttamente il grado di colore della propria birra, per tutti gli altri la misurazione può essere realizzata in due maniere: • •

misurando con una comparazione visiva il colore della nostra birra con campioni di riferimento calcolando il grado di colorazione della nostra birra in base ai grani che impieghiamo per produrla

Per eseguire una comparazione visiva è sufficiente identificare il colore che più si avvicina a quello della nostra birra fra quelli presenti nella tabella ( alla paginae 8-9). Identificato il colore si va a leggere il grado EBC corrispondente. La scala SRM (Standard Research Methods) è basata sui gradi Lovibond. Un grado EBC corrisponde a circa 2 gradi SRM. La tedesca Pilsner, di colore biondo chiaro è EBC:6 – SRM:3, mentre la scura Porter, è EBC: 57 – SRM 29. I gradi Lovibond debbono il nome al birraio Joseph Williams Lovibond (1833-1918), un vero antesignano della moderna tecnica di valutazione del colore, oggi basata su tecniche spettrofotometriche.

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SCALA LOVIBOND Joseph ebbe, almeno agli inizi, una vita difficile. Nacque a Long Sutton nel Somerset e rimase orfano di madre a 5 anni. A 13 anni lasciò la casa paterna e s’imbarcò su un mercantile. Nel 1849, partecipò alla corsa all’oro in California. Una volta tornato in patria entrò in società, nel 1854, con il padre e due fratelli nella fabbrica di birra a Greenwich, dando vita alla John Lovibond and Sons, Ltd. Nel 1869, si trasferì a Salisbury con la famiglia e comprò una fabbrica di birra. Diventò Sindaco, Magistrato e County Councillor di Salisbury. Morì nel 1917, dopo breve malattia.WW Lovibond è famoso per l’invenzione del tintometro, il semplice apparecchio che mise a punto per valutare il colore della birra. Il tintometro era basato sul confronto fra il colore del liquido e una serie di vetrini colorati, impiegati anche in combinazione fra loro e classificati numericamente. L’interesse per la descrizione della “sensazione” di colore si era già affermato a partire dai primi decenni nel secolo XIX e aveva portato alla nascita di una specifica tecnica di misurazione detta colorimetria.

SCALA DEL COLORE ARANCIONE Intorno alla metà del secolo, quest’ultima ottenne i primi, pratici, risultati. È noto che gli artisti e i tecnologi si sono inizialmente adoperati con maggior impegno degli scienziati nella messa a punto di modalità pratiche per la caratterizzazione dei colori e loro valutazione quantitativa. Da questo punto di vista, proprio la Nomenclature of Colours, del pittore e decoratore David Ramsay Hay (1798-1866), è ritenuta una delle prime raccolte di campioni di colori. Un settore da cui sono venuti altri importanti contributi è, in primo luogo, quello dell’arte tintoria. Qui i chimici erano presenti da molto tempo e l’esempio di Michel Eugène Chevreul (1786-1889), dirigente alla Manufacture Royale des Gobelins e ideatore del cerchio cromatico, è forse fra i più illustri. Detto ciò, non sembra azzardato affermare che la colorimetria moderna si sviluppò tecnicamente, su basi empiriche, proprio grazie al citato Lovibond, il quale cercava un sistema per misurare il colore della popolare bevanda. Con l’opera The Measurement of Light and Colour Sensations pubblicata nel 1893 e la successiva integrazione, Lovibond propose il tintometro per misurare la sensazione di colore provocata da campioni di tipo diverso, introdusse le prime scale di valutazione comparativa e abbozzò una teoria. Il tintometro Lovibond trovò immediate applicazioni pratiche anche in campo medico, incluse le indagini sul colore del sangue in relazione alla salute degli individui. Ebbe un tale successo che nel 1896 Lovindon diede vita alla The Tintometer Ltd per produrlo in serie. In versione comprensibilmente più evoluta rispetto all’originale, il tintometro è tuttora impiegato in vari settori tecnologici e per l’analisi delle acque.

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Berliner Weisse Blanche / Wit Pils tedesche Weizzen / Weisse Gose Helles Kolsch Pils Ceche Golden Strong Ale Kellerbier chiare Gueuze Lambic Blonde Ale Tripel American Pale Ale Saison English India Pale Ale American Ipa Double Ipa Doppelbock Kellerbier Ambrate Bitter Best Bitter Marzen Barley Wine Flanders red Ale Dubbel Alt American Barleywine Rauchbier Dark Strong Ale Dark wild Bock Oud brown Schwarzbier Porter Stout Imperial Stout

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10-20

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TIPI DI BIRRA “Nel vino c’è la saggezza, nella birra c’è la forza, nell’acqua ci sono i batteri” Proverbio tedesco

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LA CLASSIFICAZIONE PER COLORE Il colore della birra è l’elemento distintivo immediato percepito da tutti i consumatori. Il colore dipende dalla qualità e miscela dei malti impiegati nella produzione. A tal fine si possono considerare tre categorie fondamentali di prodotto: le birre chiare, le birre scure e le birre ambrate o rosse. Il colore della birra dipende dal grado di tostatura del malto. Ed il malto è “qualunque cereale posto in condizioni di germinatura segnata dalla apparizione della radichetta”. Quando si desidera usarlo si ferma la germinazione ponendo i semi nell’essiccatoio. Più si tostano più scura diventerà la birra.

BIRRE CHIARE Le birre chiare sono spesso chiamate bionde o dorate e comprendono un’infinita gamma di cromature che vanno dal giallo paglierino poco carico all’oro intenso. La chiara è ottenuta da malti sottoposti a blando essiccamento, detti per l’appunto “malti chiari”. Il colore chiaro è tipico delle Pilsner e delle altre Lager a media gradazione, che rappresentano ormai la stragrande maggioranza delle birre consumate in Italia e nel mondo. Le dizioni equivalenti maggiormente utilizzate nelle altre lingue sono: • • •

HELL-HELLES BLONDE GOLDEN o anche PALE,

Per le birre chiare di frumento si tende a utilizzare la qualificazione di colore “BIANCA”, in assonanza con la terminologia specifica di questa tipologia (“Blanche”* per i belgi, “Weiss”* per i tedeschi).

BIRRE SCURE Birre scure sono ottenute da “malti scuri”, sottoposti ad un essiccamento più prolungato ed a temperature più elevate. La gamma cromatica delle birre scure spazia dal marrone al nero. Spesso le birre scure sono percepite come birre più forti; in realtà colore e gradazione sono caratteristiche fra loro indipendenti. La tonalità scura è tipica delle Stout* e Porter* britanniche, delle Rauchbier* e Scwharzbier* in Germania e di alcune Doppelbock* tedesche. Le dizioni equivalenti maggiormente utilizzate nelle altre lingue sono: • • •

DUNKL-DUNKEL-DUNKLES o anche SCHWARZ BRUNE BROWN, DARK e BLACK

BIRRE ROSSE ( AMBRATE ) Le birre rosse sono nella gran parte dei casi delle birre ambrate, con tonalità di colore che vanno dall’oro rossiccio al marrone rossastro. 64


Questa categoria di birre è ottenuta da malti che hanno subito un essiccamento leggermente più prolungato dei malti chiari, con affumicamento, ma senza tostatura finale (“Malti Vienna”). La tonalità ambrata è tipica, anche se non esclusiva, delle “Ale”* britanniche e belghe ma anche di alcune Lager (le “Vienna”*, e alcune “Bock”*). Alcune birre hanno un colore rosso più intenso dovuto alla presenza di particolari ingredienti, come, ad esempio, le speciali “Lambic”* all’amarena e alla fragola. Le dizioni equivalenti maggiormente utilizzate nelle altre lingue sono: • •

AMBREE e ROUGE AMBER e RED

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LA CLASSIFICAZIONE ALCOLICA La classificazione legale della birra assume come riferimento la gradazione saccarometrica e la gradazione alcolica dei prodotti. In materia spesso si crea una certa confusione perché a volte sono indicati i parametri saccarometrici e a volte quelli alcolici. È quindi opportuno chiarire preliminarmente i due tipi di gradazione.

GRADAZIONE SACCAROMETRICA Essa esprime la percentuale di estratto secco contenuta nel mosto di malto, in rapporto alla massa totale del mosto stesso. È espressa in “gradi plato”. L’estratto secco è ciò che resterebbe del mosto se si facessero evaporare l’acqua e le altre sostanze volatili; in concreto, quindi, l’estratto secco del mosto è costituito in grandissima parte dagli zuccheri e in piccolissime parti dalle altre sostanze cerealicole non trasformate in zucchero e dai sali minerali contenuti nell’acqua. Dopodiché con il processo di fermentazione l’estratto del mosto si scompone in tre componenti: alcool, anidride carbonica, estratto residuale non trasformato.

GRADAZIONE ALCOLICA Poiché l’alcool è solo uno dei componenti derivati dall’estratto originario del mosto, il “grado alcolico” finale (quantità d’alcool in rapporto alla massa totale della birra) è largamente inferiore al grado saccarometrico. Così, ad esempio, per una birra tipo Pils, con 12 gradi saccarometrici, la gradazione alcolica è intorno ai 4 gradi in peso e ai 5 gradi in volume (l’alcool è più leggero dell’acqua). In Italia e nella maggior parte dei paesi europei sull’etichetta è indicato normalmente il grado alcolico in volume, così come accade per il vino, mentre in qualche paese extra-europeo suole essere indicato il grado alcolico a peso. Ciò chiarito, prendiamo in considerazione le categorie di prodotti previste dalla legislazione italiana.

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Una, cento, mille birre Esistono più 400 tipi di birra. Tanti sono quelli che hanno partecipato all’ultima edizione del Mondial de la biere di Strasburgo. Ma c’è chi dice che solo le birre del Belgio siano 400. La più costosa tra esse? La Vielle Bon Secours in vendita esclusivamente al Bierdrome di Londra. Prezzo: 780 dollari per una bottiglia… da 12 litri. La birra più costosa al mondo invece è la Vielle Bon Securs, venduta per il “modico” prezzo di 1000 $ a bottiglia in esclusiva al Bierdrome di Londra. Tra i mille tipi di birre esistono alcune con ingredienti davvero assurdi! Come la birra per cani al sapore di manzo, quella alla pizza e persino la Celest Jewel Ale, birra di Dogfish Head realizzata con polvere lunare!

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BIRRE LEGGERE – BIRRE LIGHT Secondo la legge italiana sono “light” le birre tra i 5 e i 10,5 gradi saccarometrici e, comunque, con una gradazione alcolica ridotta fino ad un massimo di 3,5 gradi in volume. La qualificazione “light” (leggera) è, quindi, riferita alla gradazione alcolica. Naturalmente assorbendo meno alcool si assorbono anche meno calorie: si tenga conto che un grammo di alcool equivale a 7 Kcal. Nel Nord America dove impazzano le diete “low carb” (a basso assorbimento di carboidrati) sono state lanciate con successo le c.d. Low Carb Beer che sostanzialmente sono delle birre light (a gradazione alcolica più contenuta) con meno carboidrati (zuccheri) rispetto ad una birra normale. Nell’ambito della famiglia delle birre a gradazione contenuta possono essere inserite anche le c.d. Beer Cooler (letteralmente birre rinfrescanti) ottenute dalla miscelazione di birra e bibite, come ad esempio la tedesca Radler al limone e la corrispondente francese Panachè. Stanno ora diventndo di moda in alcuni mercati (come quello tedesco) nuove varianti di beer cooler (alla cola, ai succhi di frutta, ecc).

BIRRE ( NORMALI ) Sono tali le birre con almeno 10,5 gradi saccarometrici ed una gradazione alcolica superiore ai 3,5 gradi in volume (in genere tra i 4 e i 5 gradi). Nei paesi a lingua tedesca per le birre con una gradazione saccarometrica compresa tra 11 e 15,9 gradi si usa la qualifica di “Vollbier” (letteralmente birra piena).

BIRRE SPECIALI Secondo la legge italiana sono qualificabili come tali le birre con almeno 12,5 gradi saccarometrici. Va specificato che la dizione “Speciale” (“Spezial” in tedesco, “Special” in inglese, “Spéciale” in francese, “Especial” in spagnolo) è alquanto abusata e utilizzata con significati non sempre omogenei tra un paese e l’altro e tra i vari produttori, per cui, come ogni termine abusato, esso tende a perdere di significato.

BIRRE DOPPIO MALTO La qualificazione doppio malto non va presa alla lettera: è vero che per avere una birra più forte occorre impiegare più malto, ma non è vero che per produrre una birra “doppio malto” ci sia bisogno di una quantità doppia di malto. Il grado alcolico della birra non è necessariamente una misura della qualità del prodotto; in realtà il consumatore che si avvicina ad un bicchiere di birra non cerca un pugno nello stomaco ma un ristoro dissetante.

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LA CLASSIFICAZIONE COMMERCIALE I produttori tendono ad usare una classificazione commerciale. I produttori tendono ad usare una classificazione commerciale collegata al posizionamento di marketing delle loro birre, che tiene conto non solo delle caratteristiche qualitative intrinseche del prodotto e della confezione, ma anche della particolare destinazione di consumo/canale e delle caratteristiche d’immagine. Da questo particolare punto di vista i produttori tendono a distinguere le birre secondo le seguenti fasce di mercato: le birre economiche, le birre standard, le premium (e super premium) e le specialità.

BIRRE ECONOMICHE ( SAVING ) Sono quelle destinate a coprire le fasce più basse di prezzo nei vari canali di vendita: rientrano, quindi, in questa categoria le birre vendute nei discount e le birre da primo prezzo esposte nei supermercati con marchi anonimi e senza storia, con confezioni senza pretesa e con qualità essenziale, ovviamente senza alcun sostegno pubblicitario o promozionale. Il peso di questa famiglia di prodotti è cresciuto nel tempo.

BIRRE STANDARD Sono rappresentate per lo più dai marchi nazionali più noti, con un posizionamento di prezzo medio o medio-basso, con prodotti di buona qualità, ma senza particolari caratteri distintivi, appartenenti alla categoria delle birre chiare a bassa fermentazione e con una gradazione media. Esse rappresentano delle birre da tavola destinate al quotidiano consumo e sono canalizzate nei negozi e supermercati alimentari e nei locali non specializzati. In Francia è molto utilizzata la equivalente qualificazione di “BIÈRES DE LUXE”.

BIRRE PREMIUM E SUPERPREMIUM Rispetto alle birre standard, le premium hanno una qualità più curata, delle confezioni più ricercate, un’immagine più distintiva (grazie a sforzi pubblicitari più finalizzati) e, quindi, un posizionamento di prezzo più elevato . Se questo posizionamento viene ulteriormente stressato sul piano qualitativo, dell’immagine e del prezzo si parla più propriamente di birre super premium. Può accadere che alcuni prodotti qualificati ufficialmente come “premium” in realtà abbiano poi un posizionamento allineato alle standard o siano sottoposti ad una frequenza promozionale tale da competere di fatto sulle fasce sottostanti Nella fascia premium e superpremium sono posizionate tutte le lager di maggior prestigio nazionale e internazionale con il supporto di importanti investimenti in pubblicità e promozione.

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Una birra presidenziale Il presidente Barack Obama ha la sua birra personale. Ăˆ la White House Honey Ale, che ha fatto il suo debutto a una cena presidenziale nel 2011. La producono gli stessi chef della Casa Bianca, ma Obama - per non gravare sul bilancio federale - paga personalmente per l’acquisto degli ingredienti e della attrezzatura necessaria per far fermentare gli ingredienti. La ricetta - rimasta segreta per qualche tempo - prevede anche l’aggiunta di miele prodotto negli alveari del giardino della Casa Bianca.

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LA CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA Le birre, pur facendo riferimento ad una comune definizione merceologica di base, presentano un notevole livello di differenziazione in relazione alla diversità delle materie prime utilizzate, ai diversi processi di trasformazione e, anche, alle diverse tradizioni storiche, culturali e di consumo delle varie zone birrarie. In tal senso si suole parlare di una vera e propria “cultura della birra”, nello stesso modo in cui si parla di “cultura del vino”. Gli esperti parlano di differenti “tipologie“ birrarie; ogni tipologia fa riferimento ad una precisa tradizione produttiva e di consumo e ognuna di esse ha un suo carattere ed una propria personalità. La differenziazione tipologica delle birre parte innanzitutto dal metodo di fermentazione adottato e dalla miscela di cereali impiegati in produzione. In tal senso possiamo innanzitutto enucleare le quattro aree fondamentali di riferimento tipologico: • • • •

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le birre a bassa fermentazione le birre d’orzo ad alta fermentazione le birre di frumento ad alta fermentazione le birre di frumento a fermentazione naturale


BIRRE A BASSA FERMENTAZIONE Il “metodo della bassa fermentazione” si caratterizza per il fatto che il processo produttivo avviene a basse temperature (tra i 6 e i 12 gradi) ed i lieviti, a fine fermentazione, si depositano in basso. Le birre a bassa fermentazione tendono ad essere più pulite e fresche, rispetto alle birre che utilizzano differenti metodi di fermentazione; vanno servite fredde, a temperature tra i 7° e i 9°.

LAGER Con questo termine vengono genericamente individuate tutte le birre a bassa fermentazione. “Lager” in tedesco vuol dire “deposito” o “magazzino”. L’uso di questo termine deriva dal fatto che all’epoca in cui i produttori bavaresi cominciarono a sperimentare il metodo della bassa fermentazione, non solo producevano a basse temperature, ma immagazzinavano anche il prodotto in depositi a basse temperature (“lagering”). Va sottolineato che la gran parte delle birre consumate in Italia, in Europa e nel mondo appartengono a questa categoria. La grande famiglia delle Lager naturalmente comprende numerose varianti tipologiche.

PILS – PILSEN - PILSNER É la tipologia più nota e diffusa delle lager. Il nome deriva dalla città ceca di Pilsen dove per la prima volta fu fabbricato questo tipo di birra. Dall’aspetto oro pallido, a volte con riflessi verdolini, il prodotto si caratterizza per un gusto secco, decisamente ma gradevolmente amaro e molto luppolato, con abbondante schiuma e una gradazione alcolica tra i 4 e i 5 gradi. In questa famiglia tipologica rientrano innanzitutto alcune pils tipiche delle Rep. Ceca (come la mitica Pilsner Urquel -Originale), alcune tra le più prestigiose marche tedesche (come Krombacher, Beck’s, Bitburger, Warsteiner, Veltins, Radeberger, DAB Original, Kulmbacher, Konigsbacher, Holsten, Brinkoff’s N. 1, Hasseroder), alcune note marche belghe (es. Maes Pils, Loburg e Primus), altre danesi (es. Ceres Top Pilsner) e spagnole (es. Estrella Damm), ma anche alcuni importanti marchi nazionali (come Forst Vip, Pedavena, Birra Morena Pils).

DOPPELBOCK Nella tradizione tedesca una lager che supera i 7,5 gradi alcolici viene nominata Doppel Bock, sovente di colore molto scuro e con una corposità più accentuata rispetto ad una semplice Bock*. Va segnalata la consuetudine dei produttori tedeschi di utilizzare per le doppelbock dei marchi terminanti con la desinenza in “ator” Si possono ricordare alcune tipiche doppelbock tedesche (come Salvator, Celebrator, Maximator, Kulminator- più nota come Eku 28-, Triumphator), ma anche altre lager super-forti di altri paesi, come le scozzesi Tennent’s Super e Slalom Strong Lager, l’olandese Bavaria 8.6, la danese Ceres Old 9, l’italiana Black Royal Strong Lager, la francese La Bière du Demon e la svizzera (ora austriaca) Samichlaus (Triple Bock). 73


VIENNA Questa tipologia è originaria della capitale asburgica e viene fatta risalire all’opera creativa di Anton Dreher, il più famoso birraio austriaco. Nella versione originale indica una lager dolce, particolarmente maltata, di media alcolicità, con un colore ambrato. Ciò è dovuto all’impiego di particolari malti, detti per l’appunto “Malti Vienna”, affumicati ma senza tostatura finale. È difficile trovare questa tipologia di birra nella versione originale a livello industriale, ma è possibile reperirla in qualche micro-birreria. Si veda, ad esempio, la Theresianer Vienna di Hausbrandt.

MÄRZENBIER È la birra di marzo che va però consumata ad inizio autunno, soprattutto in occasione della Oktoberfest. Questa specificità temporale risale all’epoca in cui, non essendo ancora disponibili le moderne tecnologie di produzione, in estate non si produceva e, quindi, in marzo veniva predisposta la produzione di scorta che doveva servire per i consumi dell’inizio autunno. La märzenbier è una lager bronzo-ramato e presenta una gradazione alcolica un pò più alta rispetto alle normali lager (mediamente 5,5°). Poiché il prodotto è molto consumato in occasione dell’oktober fest, questa tipologia di birra viene talvolta indicata anche con la denominazione OKTOBERFEST, anche se sotto questa denominazione confluiscono spesso delle märzen di tonalità chiara. Le lager di questa specie sono tipiche di alcuni produttori bavaresi (si vedano, ad esempio, la Paulaner Oktoberfest, la Hacker Pschorr Märzen, la Lowenbrau Märzen, la Augustiner Octoberfest), ma sono prodotte anche da alcuni produttori al di fuori della Germania (si vedano, ad esempio, l’italiana Menabrea Amber e l’austriaca Villacher Märzen).

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LE BIRRE D’ORZO AD ALTA FERMENTAZIONE Il “metodo dell’alta fermentazione” si caratterizza per il fatto che la produzione avviene ad alte temperature (tra i 15 e i 25 gradi) e i lieviti, a fine fermentazione, risalgono in superficie. In questa categoria rientrano le famiglie tipologiche delle “Ale”, “Stout”, “Porter” nonché le “Birre di Frumento” che andremo a considerare come categoria a parte.

ALE Dal latino “alere” (crescere) e “alimentum” (cibo). “Ale” era il nome della birra in Inghilterra quando la si produceva ancora senza luppolo. Molto più avanti il termine “Beer” entrò in uso nella lingua inglese, ma solo per indicare la “bière” luppolata esportata dai mercanti belgi a Londra. Col tempo anche i conservatori inglesi si convinsero a luppolare le proprie “ale”, ma questo termine continuò ad essere usato per indicare le birre tipiche inglesi con fermentazione a caldo. In termini più generali la denominazione “ale” identifica le birre ad alta fermentazione, di colore prevalentemente (ma non esclusivamente) ambrato, con gusto e gradazione variabile, a seconda degli stili specifici. In qualche paese il termine viene impropriamente utilizzato anche per indicare birre ispirate alle “ale” tradizionali, ma realizzate con il procedimento della bassa fermentazione.

PORTER Era la birra scura più consumata a Londra nel periodo della rivoluzione industriale. Nasce dalla pratica, allora in voga, di miscelare tre birre diverse: la leggera e a buon mercato Beer, la più forte e costosa Ale e, la migliore di tutti, detta Two Penny. In inglese “Porter” vuol dire “facchino” ed è probabile che il prodotto si sia diffuso inizialmente proprio tra i facchini che frequentavano le taverne-pub dei mercati generali di Londra. La Porter somiglia molto ad una Dry Stout*, meno corposa e con una particolare nota di caffè per l’impiego di malti torrefatti ed in genere con una più elevata gradazione. Nel dopoguerra le Porter erano quasi scomparse; oggi sono state riprese, soprattutto a livello artigianale.

TRAPPISTA È la tipologia più famosa delle strong ale belghe e olandesi. Le trappiste sono così dette perché sono preparate dai monaci trappisti che, ancora oggi, le producono all’interno delle proprie abbazie (sei in Belgio e una in Olanda). Rappresentano le classiche “birre da meditazione”, ad alta fermentazione, rifermentate in bottiglia, ad alta gradazione, molto corpose, dal gusto fruttato e aromatizzato, con colori che spaziano dall’oro, all’ambrato ed al marrone scuro.

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LE BIRRE DI FRUMENTO AD ALTA FERMENTAZIONE Appartengono a questa categoria le birre ottenute da una miscela, all’incirca paritetica, d’orzo e frumento, lavorate con il sistema dell’alta fermentazione. La forte presenza del frumento conferisce al prodotto un sapore caratteristico ed unico ed una abbondante schiumosità. Nel dopoguerra questa categoria tipologica stava scomparendo, ma negli ultimi anni ha avuto un notevole risveglio nei consumi, sia nei paesi d’origine, sia nei paesi che non hanno mai avuto questa tradizione. Dato che si tratta di birre più dissetanti e rinfrescanti, esse vanno servite a temperatura fredda (tra gli 8 e i 9 gradi).

LE BIRRE DI FRUMENTO A FERMENTAZIONE NATURALE Il “metodo della fermentazione spontanea” si caratterizza per il fatto che al mosto non vengono aggiunti gli appositi lieviti pre-selezionati; il mosto, collocato in vasche a cielo aperto, attrae e utilizza i fermenti naturali presenti allo stato libero nell’atmosfera. I prodotti ottenuti con questa metodologia hanno il fascino delle birre antiche, ma sono prodotte in quantità limitate solo in alcune zone del Belgio (provincia del Brabante), dove esistono le combinazioni ambientali che consentono di realizzare questo tipo di fermentazione. Naturalmente, poiché le condizioni ambientali non sono mai esattamente uguali e ripetibili nel tempo, questi prodotti presentano una certa variabilità qualitativa. Vanno servite a temperatura di cantina (tra i 13 e 15 gradi).

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BICcHIERI “Basta una birra a colazione e le ragnatele se ne vanno, la voce ti si alza di due ottave e ti sorge un bel sole dentro�. Robert De Niro

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AD OGNI BIRRA IL SUO BICCHIERE La forma del bicchiere per la birra è molto importante, non esistono infatti bicchieri universali, anche se i bicchieri a chiudere da vino bianco (il classico bicchiere da degustazione) è un buon compromesso per quasi tutte le tipologie. La birra a bassa fermentazione, non hanno profumi molto intensi e decisi, e quindi devono essere servite in un bicchiere che ne esalti le sue caratteristiche: in questo caso un bicchiere stretto e slanciato ( il Flute), un bicchiere che riduce al minimo il contatto con l’aria e la dispersione dell’aroma. Le birre ad alta fermentazione sviluppano profumi molto intensi e prediligono bicchieri ampi. Queste vanno invece servite in un bicchiere con il bordo superiore leggermente svasato. È il caso di birre doppio malto e strong ale, che non a caso esigono calici capienti e panciuti, mentre i prodotti più impegnativi, come le birre d’abbazia belghe, vanno addirittura servite in spesse coppe di vetro. Ci sono poi casi in cui anche le birre ad alta fermentazione, come quelle ottenute da grano, sono gustate al meglio in un bicchiere lungo e slanciato. In ogni caso la scelta del bicchiere è molto personale. Infatti, il bicchiere ha un forte impatto personale e fisico, alcune birre si prestano ad essere servite in più tipologie di bicchieri, diverse tra loro, ma che comunque mantiene ed esterna le sue caratteristiche. Nel caso delle birre, il bicchiere ha il compito di dare piena evidenza alla schiuma che protegge la bevanda dal contatto con l’aria. Per ottenere una schiuma densa e di sufficiente spessore occorre versare la birra in un bicchiere bagnato e tenuto leggermente inclinato. Ogni bicchiere ha un suo nome, e il mastro birraio sa quale bicchiere associare ad ogni birra. In alcuni di noi resiste la tentazione di associare la bionda al boccale o al calice a tulipano e la scura al baloon. Questo tipo di associazione è spesso valida, ma non sempre, dipende dal tipo di birra oltre che dal colore. Prima di ogni utilizzo, il bicchiere deve essere lavato con cura con acqua tiepida. È inoltre opportuno abbassarne la temperatura con un leggero risciacquo in acqua fredda.

TULIPANO Il bicchiere a tulipano si utilizza comunemente anche per whisky o brandy, ma si rivela anche l’ideale per alcnune birre ad alta fermentazione o basse fermentazioni complesse, come le birre doppelbock. Il fondo largo e tondo è creato appositamente per incrementare la trasmissione del calore dalle mani e l’ossigenazione della birra. Il finale, che si restringe, è appositamente creato per impedire la formazione di schiuma troppo abbondante, e intrappolare gli aromi della birra. Valorizza le birre aromatiche come le Belghe d’Abbazia ma è adatto anche per le Pilsner. Il tulipano si presta dunque 80


per birre di buona complessità, spesso accompagnate da un tenore alcolico importante. Le birre che si prestanto ad essere servite con il bicchiere a Tulipano sono: • • •

Abbey tripel Ale belghe Lambic e Gueuze

BOCCALE Il boccale è il bicchiere da birra più famoso. Nato per le birre tedesche a bassa fermentazione, e soprattutto per le feste birraiole tedesche (come l’Octoberfest). Presenta una forma cilindirca ampia che lascia sviluppare liberamente la capacità di schiuma, inoltre la spessezza del vetro garantisce un buon riparo termico per un mantenimento della temperatura. Se siete fortunati potete provare la versione in ceramica, che garantisce una tenuta termica ancora maggiore, e soprattutto il tappo protegge la birra dalla dispersione degli aromi o da evetuali contaminazioni dell’ambiente. Il boccale è l’ideale per degustare: • • •

Marzen e Oktoberfest Bier Export,Hell Golden Ale

WEISSBIER Come fa intuire il nome, il bicchiere Weissbier è nato e pensato esclusivamente per le birre Weiss tedesche. Il finale largo favorisce la formazione di un cappello di schiuma imponente e compatto. Il corpo svasato aiuta la formazione della schiuma, creando un piccolo vortice ogni volta che il bicchiere viene sollevato e abbasato; facilitando la salita degli aromi classici delle birre weiss. Questo bicchiere ovviamente si presta sia per weiss chiare che scure. Il bicchiere Weissbier è l’ideale per degustare: •

Weiss

COPPA La forma del bicchiere a coppa varia da produttore a produttore, abbinate nel sapere comune delle birre belghe, spesso i birrifici usano questo bicchiere per creare un riconoscimento immediato, che non sempre rispecchia le caratteristiche della birra. Il bicchiere a coppa si presta 81


bene per birre che hanno bisogno di ossigenazione per sviluppare i suoi profumi ( grazie alla sua ampiezza) e quindi a birre molto profumate; inoltre l’ossigenazione favorisce la riduzione della schiuma. Il bicchiere a coppa si presta bene per: • • • •

Birre belghe D’abazzia Triple Bock Birre Trappiste

BICCHIERE ALTO Detto anche bicchiere cilindrico, ha una struttura sottile ma alta che permette di esaltare il colore delle birre chiare e fresche. È un bicchiere che si presta ad accogliere: • •

Lager Porter

FLÛTE Con il termine Flute usato per indicare un bicchiere da birra, solitamente si intende il Pilsner flute. La forma conica aiuta a mantenere la schiuma, a favorire la salita degli aromi in birre con scarso impatto olfattivo, e favorisce l’aspetto visivo di birre particolarmente limpide e chiare. Le birre che necessitano del Flute sono le: •

Pils

Il classico bicchiere flute invece (quello da bollicine) può essere utilizzato per le birre leggere e frizzanti, come le birre fruttate: • • •

Framboise Apple Kriek

BALLON Il bicchiere a ballon ha una forma sferica molto allargata che favorisce la formazione di schiuma e allo stesso tempo garantisce un buon scambio termico che permette alle birre di sprigionare i profumi. Le birre che si prestano ad essere servite con questo bicchiere hanno tendenze alcoliche molto elevate e un corpo ben strutturato: 82


• • • •

Birre Trappiste Birre da meditazione Barley wine Strong Ale

PINTA NONICK La Pinta Noncik, conosciuta anche con il nome di pinta imperiale inglese, fu introdotta dal parlamento britannico nel 1824, utilizzando un sistema di misura ufficiale, la pinta inglese appunto, che corrispnde a 0,586 litri. Le due pretuberanze, denominate nonick, furono introdotte invece negli anni 60’ per l’utilizzo nei pub, per facilitare la presa ed evitare che i bicchieri si incastrassero l’uno con l’altro. La pinta Nonick, come tutte le pinte, ha una bocca molto larga, favorendo sorsi abbondanti e lunghi, ed è quindi adatta alle “season beer” di tipo anglosassone. Le birre che ben si prestano sono: • • • •

Engish Pale Ale Bitter English India Pale Ale English Porter

PINTA IRLANDESE Simile alla pinta inglese, si differenzia per una leggera svasatura verso la fine che le permette di trasmettere meno calore alla birra, essendo la superficie di contatto tra il vetro e la mano inferiore. Come per la pinta inglese, l’ampiezza alla bocca ne facilita la bevuta e amplifica i profumi. La Pinta iralndese è diventata famosa soprattutto per merito della birra Guinness che l’ha scelta come icona di stile. La birra che ben si presta a questo bicchiere è : •

Guinnes Pinta

BOCCALE TEDESCO Il vetro è spesso per conservare la freschezza e lavorato per valorizzare il perlage, mentre la forma cilindrica dà un effetto neutro sulla schiuma. Adatto per birre come: • •

Märzen Export

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°C Weizen/Weisse Helles Kelllerbier chaire Kolsch Pils tedesche Pils ceche Berliner weisse Blanche/wit Gose Best bitter Bitter English india pale ale Dark mild Porter Stout Double ipa Doppelbock

5 6 7 8 9 10 11 12 13

Tripel

Alt Marzen rauchbier American ipa American pale ale kellerbier ambrate schwaezbier gueuze framoboise oud buin lambic bock saison blonde ale

14 Barkley wine American barleywine Golden strong ale Dark strong ale Dubbel

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15 16 17 18

imperial stout


Belgio, in crescita furti di boccali di birra Sempre più turisti in Belgio si portano via i boccali di birra come souvenir dopo aver bevuto: e così i locali ricorrono a contromisure, in alcuni casi piuttosto curiose come a Gand dove chi consuma birra deve consegnare la sua scarpa come garanzia. A Bruges, un bar ha dovuto introdurre allarmi e congegni di sicurezza legati al gambo dei bicchieri. “Per qualche ragione – ha raccontato il proprietario Philip maes al Guardian – alcuni clienti pensano che quando pagano per bere, il bicchiere sia in regalo”. Maes dice di aver speso 4 mila euro per il suo sistema di allarme. I boccali di birra belgi sono disponibili in una vasta gamma di forme e dimensioni, dai calici ai flute ai cosiddetti tulips, per le birre che hanno un sapore migliore quando hanno una schiuma voluminosa. Fra i bicchieri preferiti dai turisti di Bruges ci sono quelli con le insegne del Brugse Zot, l’unico birrificio centrale della città. 85


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PROdUzIoNe “Verba volant, scripta manent, birra Tennent’s”.

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IL PROCESSO DI PRODUZIONE La tecnica di produzione della birra è rimasta sostanzialmente immutata per secoli ed ancora oggi il birraio compie gesti molto simili ai suoi colleghi del passato. Ovviamente alcune cose sono mutate, soprattutto nella attrezzatura disponibile (ieri in legno e oggi in acciaio), nella migliore termoregolazione di tini cottura/cantine e nella maggiore attenzione alla sanitizzazione. Anche i tempi di lavorazione sono rimasti praticamente i medesimi: la giornata di lavoro di circa 8 ore per una “cotta” odierna non differisce molto da quella di una “cotta” antica. Ed il tempo necessario per realizzare 20 litri di birra in maniera casalinga è molto simile a quello impiegato in una produzione professionale di svariati ettolitri! Le fasi di preparazione del mosto di birra possono essere riassunte in: • • • • • • • • •

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Frantumazione del malto Miscelazione e saccarificazione Filtrazione Bollitura Whirlpool e pausa di decantazione Raffreddamento ed ossigenazione Fermentazione Maturazione e filtrazione Commercializzazione


acqua

malto

preparazione del malto

orzo

mosto

lievito

birra-torbida

birra

+

+

mosto bollente

+

fermentazione

ďŹ ltrazione

imbottigliamento

Schema di produzione della maggior parte delle birre 89


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FRANTUMAZIONE DEL MALTO Nelle birrerie artigianali la produzione di una cotta comincia dalla frantumazionedel malto. È un’operazione delicata e fondamentale, che richiede inprimo luogo un cereale con il giusto grado di friabilità. La macinatura si effettuacon mulini a due o più rulli che ne regolano la finezza. L’obiettivo è disalvaguardare il più possibile l’integrità delle glume, le bucce aderenti allacariosside, e di frantumare la parte bianca e amidacea del chicco. Questa operazione incide naturalmente sulla qualità del prodotto finale. La finezza della macinazione ha infatti effetti sulla resa finale: più è grossolanapiù sarà bassa la resa in birra. Il grado di finezza è imposto anche dallecaratteristiche della piastra di filtrazione. Negli impianti in cui le piastre difiltrazione hanno luci di passaggio del mosto troppo larghe, la macinazionesarà inevitabilmente grossolana. Di conseguenza, la resa sarà bassa.

MISCELAZIONE E SACCARIFICAZIONE Il processo di miscelazione e saccarificazione si effettua in sala cottura in appositi tini. Al malto frantumato viene aggiunta acqua secondo precisi rapporti proporzionali. I tini dispongono di un sistema di riscaldamento, di un agitatore con regolatore di giri e di una sonda termica. Il birraio, modulando le temperature e il loro tempo di permanenza, attiva i diversi enzimi del malto affinché disgreghino l’amido e lo trasformino in zuccheri. La reazione biochimica produce zuccheri di varia complessità, che determineranno le caratteristiche del prodotto finale: corpo, grado alcolico e consistenza della schiuma. Mediamente i tempi di ammostamento variano dai 90 minuti alle due, tre ore. Le temperature richieste vanno dai 35° C alla soglia termica di disattivazione di tutti gli enzimi che si colloca intorno ai 78° C. Durante la saccarificazione, va controllato anche il pH perché gli enzimi non solo agiscono a temperature diverse, ma anche in diverse condizioni di acidità. È inoltre importante regolare la velocità del miscelatore: un ritmo eccessivo può generare vortici, che provocano l’assorbimento di ossigeno, la conseguenteossidazione della miscela di acqua e malto e la formazione di gel di betaglucano. Queste reazioni rendono più difficoltosa la successiva filtrazione del mosto e peggiorano stabilità e qualità della birra finita.

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FILTRAZIONE

Anche quest’operazione richiede appositi tini e consiste nel separare il mosto – cioè la frazione liquida del composto saccarificato – dal residuo solido detto trebbie di birra.Il liquido filtrato viene raccolto nella caldaia di bollitura, che spesso è la stessa dell’ammostamento. La filtrazione comporta mediamente dalle due alle tre ore. Se ne impiegano invece più di quattro nelle miscele ad alta viscosità (basso rapporto acqua/ malto; elevato contenuto di betaglucani; impiego di cereali crudi; temperatura della miscela non corretta; eccessiva altezza dello strato filtrante; eccessiva velocità della pompa di aspirazione del mosto filtrato, ecc.). Se la velocità del processo è auspicabile, l’obiettivo principale resta comunque un mosto particolarmente limpido. Un parametro rilevante per stimarne la qualità è il grado di acidità (pH) che dev’essere fra 5,2 e 5,4. Durante la filtrazione, si esegue anche il lavaggio delle trebbie (sparging), che consente di estrarre ulteriori quantità di zuccheri.

BOLLITURA Il mosto filtrato viene collocato in un’apposita caldaia per una vivace bollitura che, effettuata a pressione ambientale, dura tra i sessanta e i novanta minuti. Durante il procedimento, si aggiungono il luppolo o i luppoli nelle quantità previste dalle varie ricette e che, per effetto del calore, innescano la loro azione amaricante. Il riscaldamento provoca la coaugulazione dei polifenoli con le proteine del mosto e la solubilizzazione dei componenti amari (isomerizzazione degli alfa-acidi). Ha inoltre un effetto sterilizzante e, con l’evaporazionedell’acqua e la conseguente concentrazione del mosto, aumenta il grado zuccherino. Induce anche la formazione di composti aromatici tra zucchero e proteine, come le melanoidine (sostanze coloranti ed aromatiche), mentrecontiene l’impatto del dimetilsolfuro (DMS), il cui odore di mais cotto è facilmentepercepibile.

WHIRLPOOL E PAUSA DI DECANTAZIONE Dal mosto caldo (wort) si eliminano i precipitati – i coaguli tanno-proteici (trub) generati durante la cottura – attraverso un effetto whirlpool (mulinello). Nel tino Whirlpool, il mosto arriva tangenzialmente. Il movimento circolare spinge la parte liquida verso le pareti e quella solida al centro. L’efficacia del vortice, indotto da una pompa collegata a un sistema di tubazioni, dipende dalla velocità d’ingresso del mosto che non deve superare i 3,5 metri al secondo.

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Cenosillicafobia Al mondo esistono tantissime fobie. C’è chi è claustrofobico e ha quindi paura degli spazi chiusi, chi soffre di aracnofobia e non può resistere alla vista di un ragno. Chi ha paura degli spazi affollati, chi dei clown. Ma lo sapete che esiste anche la fobia di avere il bicchiere di birra vuoto? Ci sono persone, infatti, che non riescono a sopportare la vista di un bicchiere di birra rimasto vuoto. Questa paura ha un nome: si chiama cenosillicafobia. Secondo alcuni studi dei ricercatori del Missouri ne soffrirebbe negli USA il 5% della popolazione. La fobia compare già in adolescenza. Chi soffre di cenosillicafobia va incontro a veri e propri attacchi di panico di fronte a un bicchiere di birra completamente svuotato, ma anche a comportamenti aggressivi.

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RAFFREDDAMENTO ED OSSIGENAZIONE Al termine della pausa di decantazione, che richiede non meno di venti minuti, e prima di avviare la fermentazione, il mosto deve essere raffreddato. Lo si immette perciò in uno scambiatore di calore che ne abbassi la temperatura. È opportuno che il raffreddamento sia rapido, perché la permanenza nel whirlpool favorisce la sintesi di precursori del dimetilsolfuro. Il mosto raffreddato viene poi trattato con aria sterile o con ossigeno puro per predisporlo all’azione dei lieviti. Nella fase iniziale il metabolismo dei lieviti necessita infatti di almeno 9 milligrammi di ossigeno per ogni litro di mosto.

FERMENTAZIONE Sono i lieviti che trasformano il mosto fino a fargli assumere il profilo chimicofisicoed organolettico della birra da bere. Ogni birraio può adottare – per il processo fermentativo – tecniche diverse, che dipendono dalla scelta di lieviti a bassa oppure ad alta fermentazione, dalle temperature e dalle caratteristiche strutturali dei serbatoi. Fondamentale è la saturazione in anidride carbonica, perché determina la gasatura finale. La si può ottenere: •

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Con estratto residuo. Prima che la fermentazione sia ultimata, i serbatoi vengono messi in pressione chiudendo la valvola di sfiato dell’anidride carbonica. La procedura va compiuta quando il residuo zuccherino da fermentare oscilla fra 1 e 1,5 gradi Plato. Con immissione di CO₂. Il trattamento impone l’utilizzo di anidride carbonica per usi alimentari. La dissoluzione del diossido di carbonio risulta tanto più intensa quanto più è bassa la temperatura e, in proposito, si possono consultare apposite tabelle per correlare la pressione applicata, il grado di saturazione in grammi/litro e la temperatura. Attraverso il Kräusening. È una tecnica usata di solito per le birre a bassa fermentazione e consiste nell’aggiungere alla birra giovane il 10% (in volume) di altra birra nella fase di massima attività dei lieviti che è ben visibile quando le schiume nel fermentatore sono alte bianche ed increspate (fase di Kräussen). Attraverso la rifermentazione. La procedura, non consigliabile per qualsiasi tipo di birra, consiste nell’immissione di zuccheri, mosto e lieviti freschi prima dell’imbottigliamento. L’ulteriore processo trasformativo, se condotto con la dovuta perizia, garantisce diversi anni di stabilità, un maggior tasso alcolico e un’evoluzione del profilo organolettico simile alla stagionatura del vino. Se la rifermentazione non è svolta correttamente, si ottiene al contrario un prodotto altamente instabile, che si degrada in tempi brevissimi.Sono solitamente rifermentate le birre belghe tradizionali, come, per esempio,la Chimay prodotta dall’Abbazia di Notre-Dame de Scourmont.


Birra e salute Da uno studio condotto in Olanda è emerso che la birra può portare alcuni benefici in tema di prevenzione di problemi cardiaci. La bevanda ricavata dal luppolo è infatti ricca di vitamina B6, in grado di prevenire nel corpo umano l’aumento di un particolare tipo di aminoacidi chiamato ‘omocistrina’, che si ritiene possa provocare un incremento del rischio di attacchi di cuore. La ricerca olandese, è stata condotta su un campione di 111 soggetti sani che, a cena, hanno bevuto per tre settimane birra, vino rosso o superalcolici e acqua. I ricercatori hanno scoperto che i livelli di omocistrina non aumentavano dopo il consumo di birra mentre crescevano quando i soggetti assumevano vino o superalcolici. Inoltre, in coloro che avevano bevuto birra è stato possibile registrare un aumento del 30 % del livello di vitamina B6 nel sangue. 95


MATURAZIONE Dopo la fermentazione, la birra viene pompata in appositi tank affinché acquistile caratteristiche necessarie alla commercializzazione e al consumo. La maturazione, che avviene a basse temperature – anche sotto lo zero, consente alla bevanda di ottenere limpidezza e di bilanciare, in forma abbastanza stabile, la dolcezza del malto, l’amaro del luppolo, la gradazione alcolica e lagasatura. Ogni tipo di birra matura in tempi diversi e per bevande, particolarmente complesse, rifermentate e molto alcoliche, può protrarsi per alcuni mesi. Di norma la durata della fase maturativa si aggira fra le 5 e le 10 settimane e il periodo più lungo è richiesto dalle birre chiare a bassa fermentazione.

FILTRAZIONE E COMMERCIALIZZAZIONE Prima di passare al confezionamento, a livello artigianale è ormai accettata la filtrazione del prodotto. Si esegue su strati grossolani di farine fossili, di cellulosa o simili. Si ottiene così un prodotto più limpido, dal gusto più fine ed elegante. La birra può essere prodotta e servita direttamente alla clientela nei cosiddetti Brew Pub, che spesso lasciano “a vista” impianti e serbatoi. La birra in fusto o bottiglia richiede invece tempi e macchinari di riempimento. Le procedure di confezionamento sono particolarmente delicate perché implicano elevati rischi di infezioni microbiologiche e di alterazioni chimicofisiche. È quindi indispensabile osservare le dovute precauzioni igieniche, anche quando le bevande non rischino ossidazioni come nel caso dei prodotti rifermentati.

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CoNsUmO “Amo il gusto della birra, la sua schiuma bianca, viva, la sua profondità ramata, il mondo che sorge all’improvviso attraverso le pareti brune e umide del vetro… la spuma negli angoli”. Dylan Thomas

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A TUTTA BIRRA! La birra prodotta in Italia piace sempre di più. Da noi, come all’estero. E così il 2017 è stato un anno record. L’export ha raggiunto 2,7 milioni di ettolitri, in crescita del 7,9% rispetto al 2016 e la produzione ha fatto segnare il valore più alto in assoluto (15,6 milioni di ettolitri), in aumento del 7,5% rispetto al 2016. Buono l’impatto sull’occupazione che ha raggiunto 140.000 addetti totali (duiretti, indotto): 3.000 in più rispetto al 2016. A gonfie vele il consumo pro-capite che per la prima volta tocca quota 31,8 litri, record assoluto ed in aumento di 0,4 litri rispetto allo scorso anno. La crescita della quota annuale di birra consumata si è tradotta, poi, in un aumento dell’1,6% dei consumi sul territorio nazionale che oggi superano i 19 milioni di ettolitri. In un Paese come l’Italia, a forte tradizione vinicola, la birra si è conquistata stabilmente un suo spazio e tende ormai a competere senza alcun soggezione con la bevanda vino anche in occasione dei pasti. In realtà il consumo di birra in Italia si sta ormai avvicinando sempre più a quello del vino. In ogni caso la birra è oggi la bevanda alcolica preferita da chi ha meno di 54 anni. Sono i dati principali che ermegono dall’Annual Report 2017 di AssoBirra, l’associazione che raggruppa 2 malterie e circa 40 tra grandi, medi e piccoli birrifici, rappresentativa di più del 90% della produzione nazionale e del 71% di birra immessa al consumo nel nostro Paese. Il fatto poi, che a fronte di un consumo pro-capite in aumenti si registri un sensibile calo dell’import (- 9,1% rispetto al 2016) significa evidentemente che agli italiani la “nosra” birra piace sempre di più. Tra l’altro il rapporto di Assobirra evidenzia l’aumento del 3,4% della produzione italiana di malto (75.800 tonnellate).

15,6

2017

2017

milioni HL

Dati relativi alla produzione, esportazione,e importazione di birra in Italia. Fonte Report annuale 2017 AssoBirra (associazione dei birrai e maltatori). 100

6,4

milioni HL

milioni HL

milioni HL

2007

7,0

6,1

2007

1,1

milioni HL

milioni HL

1997

2,1

2011

milioni HL

milioni HL

1997

2,7

milioni HL

1997

15,6

15,6

IMPORT

EXPORT

2017

PRODUZIONE


Buona per legge Una delle prime leggi mai scritte riguarda la birra. Il re babilonese Hamurabi, un sovrano babilonese, sesto re della I dinastia di Babilonia, stabilĂŹ che tutti i cittadini dovevano bere una razione di birra ogni giorno, la cui quantitĂ dipendeva dallo status sociale. Inoltre condannava a morte chi non rispettava i criteri di fabbricazione indicati (ad es. annacquava la birra) e chi apriva un locale di vendita senza autorizzazione, le donne che servivano cattiva birra invece dovevano essere affogate. Nella cultura mesopotamica la birra aveva anche un significato religioso: veniva bevuta durante i funerali per celebrare il defunto ed offerta alle divinitĂ per propiziarsele.

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IN CASA O FUORI CASA? Anche nel 2017, infine, si è confermato un trend in attoda diversi anni: la supremazia del consumo in casa rispetto a quello fuori casa. Lo scorso anno i consumi On Trade (fuori casa) sono stati pari al 37,6% del totale, in diminuzione dell’1,8% rispetto al 2016, mentre più del 60% degli acquisti ha riguardatoil settore della distribuzione moderna e tradizionale. Nel recente passato la forbice tra On Trade e Off Trade ha sempre lambito la quota del 20%, salvo poi allargarsi negli ultimi tre anni e passare dal 18,4% del 2014 al 24,8% del 2017. Il mese in cui si sono avute le maggiori vendite di birra lo scorso anno è stato Giugno, che ha preceduto, di poco, le vendite registrate a Luglio, Agosto e Maggio, confermando, quindi, il primato della stagione estiva nei consumi di birra in Italia. Nel nostro Paese, infatti, quasi una birra su due viene bevuta nel periodo che va da Maggio ad Agosto: negli ultimi anni il peso della concentrazione estiva sul totale delle vendite è passato dal 44,9% del 2014 al 46,7% del 2017, con picchi di oltre 47% nel 2015.

IL CONSUMO MINORILE Recentemente l’OMS ha pubblicato i nuovi dati relativi ai comportamenti degli adolescenti riguardo all’alcol, che fanno parte dello studio HBSC (Health Behaviour in School-aged Children), svolto ogni 4 anni e che coinvolge i ragazzi di 11, 13 e 15 anni. La buona notizia è che nel complesso il consumo settimanale di alcol è diminuito significativamente tra il 2002 e il 2014 sia fra i ragazzi che fra le ragazze nella maggior parte dei paesi europei, quella meno buona è che non è così dappertutto e le differenze fra le nazioni sono ampie: fra le femmine si va dal 2% al 26% di consumatrici settimanali di alcol e fra i maschi dal 3% al 33%. L’Italia non ne esce affatto bene: siamo il terzo paese in Europa per numero di ragazzi maschi quindicenni che fatto uso di alcol più di tre volte nell’ultimo mese. Quasi uno su tre, contro una su sei fra le ragazze. La situazione più grave si riscontra a Malta e in Danimarca, dove sono elevati i tassi di consumo di alcolici sia fra i ragazzi che fra le ragazze, e in Romania fra i 15 enni maschi. Ma che cosa bevono i più giovani? Soprattutto birra. Nel complesso la prevalenza del consumo settimanale di birra è stata del 12% tra i ragazzi e del 4% tra le ragazze, ma non sono i paesi di lingua tedesca, come vorrebbe lo stereotipo, o i paesi nordici, a mostrare i consumi maggiori fra i giovanissimi. Fra le ragazze, la più alta prevalenza di consumo settimanale di birra è stata osservata in Grecia (10%), Italia e Malta (9%). Fra i maschi invece in Croazia (25%), Israele (23%), Romania (22%) e ancora una volta in Italia (21%). I

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62,4%

37,6%

IN CASA

FUORI CASA

31,8 l CONSUMO BIRRA PROCAPITE CONSUMO DI BIRRA IN % IN ITALIA

Fonte: Report annuale 2017 AssoBirra (associazione dei birrai e maltatori).

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MICRO BIRRIFICI IN ITALIA La produzione ha raggiunto nel 2017 il valore più alto in assoluto (15,6 milioni di ettolitri) in aumento del 7,5% rispetto al 2016: un dato che testimonia lo stato di salute del settore in un contesto in cui laproduzione industriale nazionale ha registrato, nei dodici mesi del 2017, un aumento medio del 3%, stando all’indagine ISTAT diffusa a febbraio 2018. L’eccezionalità del momento vissuta dal settore birrario non è riconducibile, però, soltanto alla crescita delle esportazioni; anche nel mercato interno,infatti, si continua a registrare un apprezzamento per la birra commercializzata in Italia, con livelli di consumo pro-capiteche per la prima volta toccano quota 31,8 litri, record assoluto ed in aumento di 0,4 litri rispetto allo scorso anno. La crescita della quota annuale di birra consumata si è tradotta, poi, in un aumento dell’1,6% dei consumi sul territorio nazionale che oggi superano i 19 milioni di ettolitri. Il 2017 ha visto anche un sensibile calo dell’import, diminuito del 9,1% rispetto al 2016 e17 attestatosi a 6,4 milioni di ettolitri. Ancora una volta il principale esportatore di birra nel nostro Paese è stata la Germania,con oltre 2 milioni di ettolitri (il 31% del totale dell’import Italiano), seguita da Belgio (23,7% dell’import), Paesi Bassi(11,5%) ed in successione da Regno Unito, Polonia, Danimarca, Francia, Slovenia, Austria, Repubblica Ceca, Irlanda, Spagna, Romania, Grecia, Svezia, Malta, Portogallo, Estonia e Finlandia. Complessivamente dai Paesi UE continua a provenire la quasi totalità (94,6%) delle nostre importazioni, mentre fra quelli extraeuropei primeggia il Messico con oltre 270.000 ettolitri. Il settore della birra artigianale ha registrato recentemente un vero e proprio boom. Dopo la nascita, in tutto il Paese,di nuove realtà imprenditoriali per gran parte giovanili, oggi i micro birrifici superano quota 850. Le organizzazioni censite daNord a Sud contano 3000 addettie si suddividono in birrifici artigianali (693) e brew pub (162). La quota di mercato a loro associabile è del 3,2%, per un produzione complessiva di 483.000 ettolitri. La regione in cui sono presenti più strutture è la Lombardia, che guida questa speciale classifica con 134 organizzazioni. Più staccate, invece, Piemonte(80), Veneto (74) e Toscana(63), mentre la regione del Centro-Sud con più strutture è la Campania, che annovera 55 birrifici artigianali e brew pub. La filiera di produzione della birra – a partire dalle coltivazioni agricole fino al prodotto finale – si è modernizzata prima delle altre, trainata dagli standard produttivi e qualitativi di primo livello della produzione birraia italiana. Dal punto di vista della qualità e della sicurezza, infatti, tutte le coltivazioni d'orzo da birra italiane sono costantemente monitorate e assistite, giorno per giorno, da strumenti altamente tecnologici. Così facendo possiamo avere una tracciabilità assolutamente rigorosa della materia prima di base e un calcolo della sostenibilità agronomica del nostro prodotto.

104


= Microbirrificio

24

75

105 169

89

92

106

67 102 110

75

99 42

16

62

28 19 9

28

44

Mappa Microbirrifici attivi in Italia. Fonte: www.microbirrifici.it 105


AD OGNI REGIONE LA SUA BIRRA! L’ironico e divertente sito internet Oltreuomo ha pubblicato una simpatica classifica che suddivide la penisola in base alla marca di birra che più si beve in ogni singola regione italiana. Un piacevole viaggio da nord a sud dell’Italia attraverso le marche più o meno conosciute delle birre. Di seguito sono riportate i risultati più divertenti della classifica del sito internet Oltreuomo. 1664 (Valle d’Aosta): una birra francese discreta proprio come i valdostani. È l’unico marchio disponibile nei quattro bar di Aosta. DAHLBERG (Liguria): con i suoi 0,45€ a lattina la Dahlberg, front-runner della scuderia In’s, riesce ad appagare più l’avarizia che le papille gustative del popolo ligure. RADLER (Lombardia): terra di hipster, designer e biciclette a scatto fisso, la Lombardia è la regione italiana a più alta concentrazione di cose inutili. La Radler, un incesto tra birra e bibita analcolica, è una di queste. HEINEKEN (Emilia-Romagna): geneticamente votati al lambrusco, gli emiliani fingono interesse per questo marchio nella speranza che l’Heineken Jammin’ Festival ritorni presto a Imola. NASTRO AZZURRO (Toscana): marchio che eccelle nel marketing, proprio come piace a Renzi. Per quanto riguarda il gusto, democristianamente diremo che abbiamo assaggiato birre migliori. FRANZISKANER (Lazio): marchio che funge da trait d’union tra le gerarchie ecclesiastiche, tradizionalmente più legate al vino, e il mondo dei birrifici. Il collo della bottiglia ricoperto da un foglio dorato è invece un omaggio al supercafonal capitolino. COCA-COLA (Molise): il Molise è l’amico sfigato che in birreria ordina “Una Coca piccola, grazie. Senza ghiaccio e con una fettina di limone”. PERONI (Sud Italia): il Meridione è rigidamente monoteista in fatto di birre. Un’ortodossia motivata dal ricordo felice che le peroncine a 1€ lasciano anche ai settentrionali in vacanza al Sud. Come urlò un lealista napoletano all’entrata di Garibaldi in città: “Hai abbattuto i Borboni, ma non sconfiggerai le Peroni”. SANS SOUCI (Sicilia): la Sans Souci ha conquistato i fegati dei siciliani non tanto con il suo gusto discutibile, quanto con la promessa di relax e quiete insita nel suo nome. ICHNUSA (Sardegna): perché se avessi affibbiato ai sardi una birra diversa da quella autoctona mi avrebbero sgozzato come un capretto.

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Un’isola da record I sardi sono i più assidui consumatori di birra in Italia. L’isola ha il primato di litri di bionda scolati per abitante. Ogni sardo beve 61,7 litri all’anno. Bambini e anziani compresi. Quasi il doppio rispetto alla media nazionale, che non supera i 30 litri a testa. La Sardegna è un’anomalia nel panorama dei consumi di birra in Italia, che è il paese in cui si ha la quota pro capite più bassa d’Europa. Questo perche in Italia la birra si beveva una volta solo d’estate e in Sardegna la bella stagione dura di più. Il fatto che i sardi abbiano iniziato a considerarla bevanda da pasto prima del resto del Paese e ad apprezzarne gli abbinamenti con il pesce per esempio è un altro fattore che ha determinato il boom dei consumi nell’isola.

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finito di stampare nel febbraio 2019 da due studenti imbranati e dalla tipografia Idealstampa di Turi (BA).





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