Lavoro nero in Calabria Siamo finalmente i primi nel lavoro … nero. Se vogliamo guardare l’aspetto positivo della cosa possiamo dire che non ci si può additare come fannulloni perché lavoriamo. Le statistiche parlano di percentuali altissime di inoccupati e disoccupati in Calabria, ma alla luce di quanto sopra dobbiamo rivedere questi dati al ribasso. Se invece guardiamo il “nero” per quello che è realmente dobbiamo fare un altro tipo di analisi e prendere in considerazioni tre grossi ambiti: • Sfruttamento del lavoratore • Truffa allo stato, mancata contribuzione fiscale • Doppio lavoro (regolare + nero) o doppia retribuzione (dipendenti statali + nero) La Calabria mostra una debole struttura economica conseguenza della ristretta competitività delle Imprese presenti in Calabria e dalla scarsa propensione all’Impresa, ragione per cui si determina una negativa performance occupazionale regionale. A causa della contenuta espansione produttiva dovuta sia a difficoltà congiunturali che a problemi strutturali e di competitività, nel Secondo Trimestre del 2009 si registra in Calabria un tasso di occupazione (età 15-64 anni) del 43,2% registrando un ulteriore diminuzione del tasso di occupazione dello 2,2%, mentre invece il dato nazionale subisce una diminuzione rispetto al II Trimestre del 2008 di 1,3% confermando una differenza di 14,7 punti percentuali tra il dato regionale e quello nazionale. Il Tasso di disoccupazione in Calabria nel II Trimestre del 2009 è stimato nella percentuale di 11,4%. Se si analizza il dato della media 2008, per fasce d’età si nota che a gonfiare drammaticamente questo risultato è la disoccupazione giovanile con meno di 25 anni superando la soglia del 34,5% nel 2008 mentre invece il tasso delle persone con più di 24 anni anche se superiore alla media nazionale rimane a livelli decisamente più bassi. La condizione di disoccupazione incide in maniera diversa tra i segmenti che costituiscono l’offerta di lavoro. Nel mercato del Lavoro italiano le segmentazioni sono così accentuate da configurare quasi un peculiare “modello di disoccupazione”. Per aver una stima dell’sommerso in Calabria è stata stimato un indicatore chiamato proxy di regolarità. La Lombardia che è la regione che ha il livello di sommerso più basso ha un valore della proxy pari a 100 punti base. La Calabria è la regione che ha un livello di sommerso più elevato che è pari a 160,5, contro una media italiana di 120,9. Ne parliamo col Prof. Domenico Marino Professore Associato di Politica Economica presso l’ Università Mediterranea di Reggio Calabria. Abbiamo posto al prof. Marino alcune domande: • Secondo lei perché la Calabria è prima in questa graduatoria? • Quali speranze per il futuro? R. Il lavoro sommerso non costituisce solamente un problema dal punto di vista economico, ma anche e soprattutto dal punto di vista sociale, poiché i suoi effetti si riflettono sulla sfera privata degli individui, causando dei drammi e sconvolgendo spesso anche il loro equilibrio psicologico. La riduzione dell’economia e del lavoro non regolare, di conseguenza, diviene uno dei principali obiettivi delle politiche del lavoro. Il lavoro nero e l’economia non regolare costituisce, quindi, un indicatore di un utilizzo non efficiente dei fattori produttivi, di evasione fiscale e contributiva e in ultima analisi di disagio economico e sociale. Per questo motivo il dibattito sulla politiche per diminuirne l’impatto è diventato uno dei temi prioritari del semestre di presidenza italiano dell’UE Si consideri inoltre che in molte regioni europee il fenomeno presenta evidenti caratteri di strutturalità; in altre parole, persiste ormai da diversi decenni, a dispetto di altre realtà regionali nelle quali è più un fenomeno ciclico, oppure è un fenomeno che denota una tendenza a un sensibile ridimensionamento. La Calabria è una regione in ritardo di sviluppo caratterizzata da un debole sistema produttivo, da un alto tasso di disoccupazione, da un basso tasso di partecipazione al lavoro e da un uso distorto
del sistema del Welfare. Queste sono condizioni ottimali per la crescita del sommerso. Scatenare lo sviluppo è una ricetta per uscire da questa situazione. Fin quando lo sviluppo sarà debole il sommerso troverà un humus favorevole alla sua crescita. • Quanta colpa ha in questa situazione la Cattiva Politica e la Ndrangheta? Un altro importante aspetto che va sicuramente indagato è il rapporto fra sommerso/informale ed economia criminale. Numerosi sono gli indizi che fanno pensare ad un qualche tipo di rapporto. L'economia criminale caratterizza in misura significativa vaste aree delle regioni meridionali del nostro Paese. Il processo di sviluppo economico sembra influenzato in modo importante dal ruolo assunto dalle organizzazioni criminali rispetto all'economia legale del sistema. Esistono, inoltre, forti relazioni tra economia legale ed economia criminale, non ultima si sperimenta sistematicamente l'esistenza di una "zona grigia" che prende alimento dai profitti realizzati dall'economia criminale per mantenere attività economiche di carattere legale. Una di queste zone grigie è costituita dal sommerso, nel senso che delle imprese che facciano ricorso a manodopera in nero sono sicuramente da classificarsi come imprese che si comportano illegalmente, nel senso che utilizzano mezzi illeciti per competere sul mercato. Va tuttavia smentita la facile economia di pensiero che tende ad identificare l’economia sommersa e l’economia informale con l’economia illegale tout court. Per chiarire questo legame occorre definire esattamente i contorni dell’economia illegale. Si definisce "economia legale" il sistema delle imprese che rispettano le leggi, in particolare rispettano le regole di mercato, mentre le imprese del sistema "illegale" prescindono da queste. Se l'impresa svolge la sua attività avendo come obiettivo la massimizzazione del profitto sotto il vincolo di una funzione di produzione tradizionale esistono almeno tre livelli in cui è individuabile l'azione illegale: • l'impresa raccoglie capitali da attività illecite a costi relativamente bassi per unità di capitale raccolto; • l'impresa acquista servizi di lavoro potendo contare anche su manodopera utilizzata in attività illecite, o comunque legata all'impresa da motivazioni di carattere diverso dal salario; • l'impresa si conquista quote di mercato operando in modo illegale ed acquisendo così un vantaggio competitivo rispetto alle altre imprese. Dal comportamento illegale deriva un vantaggio di costo per le imprese che si comportano in tale maniera. In questa luce una parte del sommerso o dell’informale può essere considerato come il tentativo da parte dell’impresa legale di ridurre i costi per competere con l’impresa illegale, risparmiando sui costi amministrativi dell’impresa. In questo senso non appare confermato il binomio Impresa criminale = impresa sommersa o che fa ricorso al sommerso. Anzi, molto spesso le imprese criminali, ad esempio quelle che riciclano capitali, non hanno né interesse, né convenienza a evadere obblighi contributivi o a rimanere nella zona grigia fra l’emerso e il sommerso. Del resto per imprese di questo genere l’ottenimento di un utile di bilancio è un fatto secondario e quindi non vi è nessuna attenzione alla limitazione dei costi. Questo sistema produce però delle distorsioni, perché le imprese legali sperimentano un differenziale di costo rispetto a quelle illegali e per poter sopravvivere sono costrette a trovare delle forme di riduzione di costo. Il lavoro sommerso è forse la più semplice e la più facilmente realizzabile forma di riduzione dei costi. In questa luce il sommerso avrebbe tra le sue determinanti la distorsione alla concorrenza di mercato causata dalla presenza di imprese che hanno comportamenti illegali. • Quali soluzioni avete proposto per uscire da questo tunnel? La natura complessa del problema come si è connotato nelle pagine precedenti fa si che sia necessario attivare mix di politiche e strumenti per incidere sul fenomeno dell’economia sommersa e del lavoro non regolare. E' necessario attivare congiuntamente politiche di genere e politiche di emersione. Queste politiche possono essere divise in tre gruppi: • Le politiche per aumentare l'occupabilità;
• le politiche tese a migliorare la quantità, le forme e le modalità di erogazione del lavoro; • le politiche tese a potenziare i servizi alla persona e alla famiglia. Per quanto riguarda l'occupabilità, i principali strumenti sono basate su interventi formativi a partire dall'orientamento, dall'analisi delle competenze per finire ad interventi formativi personalizzati e mirati all'ottenimento dell'inserimento lavorativo eliminando tutte gli ostacoli che si dovessero presentare. I Servizi per l'Impiego sono i luoghi naturali dove queste politiche trovano il loro naturale alveo. Tra le politiche formative, particolare rilevanza assume la formazione extrascolastica, che ricomprende anche le attività di riqualificazione professionale. Particolare attenzione in questo senso vanno date alle forme di apprendistato , ai tirocini formativi e alle work experience. L' introduzione di forme di flessibilità volontaria dell’orario di lavoro, sono strumenti fondamentali per ridurre l’incidenza dell’economia non regolare soprattutto nel suo segmento femminile. Dare maggior spazio alla volontarietà nella riduzione dell'orario di lavoro sembra sicuramente una strada da seguire e una innovazione contrattuale da introdurre. Per evitare delle ricadute negative sulle imprese occorre elaborate delle misure compensative che evitino che questo strumento di flessibilità possa essere dannoso per l'impresa.. Per quanto riguarda, infine, il terzo gruppo di interventi, quelli sui servizi alla persona e alla famiglia, si evince che non sono sufficienti interventi puntuali, quanto piuttosto una politica complessiva di tutti i servizi, non solo di quelli legati alla maternità (asili, asili nido, ecc.), ma anche di tutti quei servizi indirettamente utili ai lavoratori (trasporti, gestione degli orari degli uffici pubblici, come anche di quelli scolastici, servizi per gli anziani, ecc.), comprendendo anche i servizi privati (commercio, servizi privati alla persona, ecc.); Questo quadro fa si che siano praticamente inutili delle politiche dell'impiego indifferenziate, sia quelle basate su meccanismi di incentivazione che quelle basate unicamente sulla formazione. Servono piuttosto delle innovazioni sia di tipo istituzionale, che di tipo contrattuale che di tipo formativo, congiunte a servizi alla persona di tipo innovativo • La Chiesa è il mondo cattolico come possono incidere positivamente in questo campo? • Se lei dovesse dare un consiglio al MLAC cosa le direbbe, in quale campo le chiederebbe di impegnarsi? La Chiesa ha sicuramente un ruolo molto importante da giocare in questo contesto. In primo luogo dal punto di vista educativo. L’educazione alla legalità e alla regolarità del lavoro è senza dubbio un campo molto importante di impegno della Chiesa. Sommerso poi in alcuni contesti vuol dire sfruttamento della persona e la Chiesa non può mancare di dire una parola forte di condanna di queste situazioni di illegalità. I peccati sociali dei cattolici vanno evidenziati con forza perché hanno un impatto molto forte sulla credibilità della Chiesa. Un serio esame di coscienza andrebbe poi fatto sull’utilizzo che le strutture cattoliche alcune volte fanno del lavoro non regolare. Ricordando che non pagare il Giusto Salario all’operaio è indicato dall’A. T. come uno dei “Peccati che grida Vendetta davanti al trono di Dio”. Ringraziamo il Prof. Domenico Marino per la disponibilità a discutere con noi su questi argomenti e per le indicazioni che ci ha dato. Vorrei provare io a indicare cosa dovrebbe fare il MLAC, e non solo il MLAC, in questo contesto. Si dovrebbe preoccupare di sensibilizzare la Chiesa Locale a tenere desta l’attenzione su questi argomenti. Aiutarla a far entrare nel proprio cammino catechetico educazionale ordinario il mondo del lavoro, delle imprese e del lavoratore. Assicurarsi che nella capillarità delle parrocchie i consigli pastorali si occupino e si preoccupino di far crescere la consapevolezza che uno stile di vita nuovo, crescere nella legalità e nella ricerca del bene comune, è necessario per affrontare le sfide presenti e per dare speranza al futuro. Chiedere, senza sconti, che le realtà ecclesiali che a qualsiasi titolo si occupano di lavoro, siano essi datori di lavoro o lavoratori, siano “il sale della terra e la luce del mondo” Mt 5, siano testimoni veri davanti agli uomini e a Dio.