Manifesto delle giovani generazioni L’impegno al quale la nostra organizzazione è chiamata in vista del prossimo 4 marzo ci porta a interrogarci su qual è lo stato del nostro Paese oggi, come lo ritroviamo dopo una legislatura che ha visto la maggioranza del nostro Partito ricoprire un ruolo determinante nelle riforme varate negli ultimi anni, e come vorremmo che fosse in futuro, come vorremmo che continuasse a cambiare, come vorremmo che venisse disegnata la traiettoria di dei prossimi anni. Come ogni processo di rinnovamento politico, anche il prossimo appuntamento elettorale, ci porta a chiederci qual è il ruolo che siamo chiamati ad assumere noi, in quanto Giovani Democratici, in quanto organizzazione che ha il compito e il dovere di rappresentare le giovani generazioni di questo paese. Il nostro Partito ha saputo produrre un programma elettorale che si distingue dalla restante offerta politica nazionale per caratteristiche di serietà e responsabilità di chi ambisce a continuare a guidare questo Paese. All’interno di questa programmazione non mancano proposte che sono destinate a noi giovani che colgono bene il senso di quanto occorre per migliorare la condizione in cui versa la nostra generazione. Rispetto a tutto questo, i contenuti di questo nostro documento non si pongono in una logica di alterità o contrapposizione, ma raccolgono le proposte già emerse puntualmente dall’elaborazione del Partito e cercano di aggiungerne di nuove, che possono o meno sovrapporsi, intrecciarsi e migliorarsi attraverso il confronto reciproco, in una logica incrementale e pur sempre autonoma. Abbiamo pertanto provato a pensare quale potesse essere lo strumento migliore per intervenire all’interno di questa campagna elettorale, con una elaborazione politica che possa caratterizzarsi per gli stessi principi che devono ispirare la nostra rappresentanza: un agire autonomo, condiviso e partecipato. La soluzione che ad oggi ci sembra più adeguata rispetto a questi principi ha trovato la propria traduzione in questo Manifesto. Un documento in cui abbiamo voluto racchiudere le proposte e le riflessioni destinate a rappresentare la nostra generazione.
Una generazione che si trova davanti ad affrontare sfide nettamente più difficili rispetto a quelle che si sono trovati i propri genitori. Rispetto a questa sono stati più gli appellativi emersi, da “millennials” a “generazione Y” o “generazione 1000euro”, che gli sforzi compiuti per cercare in di comprendere e ridurre oggi il livello di svantaggio sociale, politico e culturale, che questo conflitto generazionale continua a determinare. Davanti a ciò è arrivato il momento di esercitare a pieno titolo la nostra autonomia, tracciando confini chiari del nostro operato. Quando abbiamo già avuto modo di parlare di come realizzare questo Manifesto, ci siamo dati una prospettiva entro cui muovere questa riflessione. Il primo paradigma utilizzato è stato relativo alla riduzione della disuguaglianza. Abbiamo scelto di aggiungerne due ulteriori che riguardare in maniera più specifica la questione generazionale di cui soffre il nostro Paese: la riduzione della precarietà e la creazione di innovazione. Il primo da legarsi profondamente al tema della disuguaglianza, quale fattore che meglio raccogliesse e rappresentasse tutte le condizioni di svantaggio di cui soffre la nostra generazione. A questo abbiamo affiancato un elemento spesso evocato nel dibattito pubblico, quale quello dell’innovazione, come fattore determinante nella creazione di valore per la società odierna e rispetto al quale sono i più giovani a rappresentare le energie migliori e più brillanti per rispondere a questo bisogno. Innovazione come contenitore ampio, da non intendersi, quindi, solo di tipo economico, ma anche culturale, sociale e di diritti Il Manifesto si articola in diversi capitoli, ciascuno dei quali raccoglie a sua volta diverse proposte, concentrandoci su: Lavoro, Saperi, Diritti, Cultura, Enti locali e pubblico impiego, Terzo settore, Ambiente, Sport, Mezzogiorno, Europa e dimensione internazionale.
LAVORO Com’è facile immaginare il primo tema dal quale scegliamo di partire, per questo percorso, è rappresentato dal Lavoro, ambito che più di tutti incide sulla attuale condizione giovanile in Italia. Con riferimento al lavoro, prendiamo in considerazione tutti gli aspetti che determinano e incidono sulla condizione del giovane lavoratore: l’inserimento lavorativo, la disciplina contrattuale, la regolazione del lavoro autonomo – inteso anche nella sua accezione di “fare impresa” -, la formazione e le strategie di politica attiva, la previdenza. Gli anni più recenti ci hanno abituato alla sempre maggiore incidenza del tirocinio come strumento di inserimento lavorativo per i più giovani. Pur non rappresentando, giuridicamente, un rapporto di lavoro. In considerazione di questa crescita nel ricorso ai tirocini abbiamo assistito a un progressivo irrobustimento della disciplina di questa formula. La nostra priorità, però, è quella di provare a dare vita a un quadro ancora più chiaro per questa materia, ponendo al centro alcuni aspetti necessari: -
L’obbligatorietà dell’indennità di partecipazione dovrà essere estesa anche ai praticantati obbligatori per l’accesso alle professioni ordinistiche. L’indennità dovrà avere - sia per imprese private, sia per enti pubblici - una quantificazione minima di 600 euro lordi mensili In caso di mancata erogazione delle indennità (che dovranno essere inserite nell’obbligo della tracciabilità che prenderà il via dal 01/07/2018 per tutte le retribuzioni, come previsto dalla legge di Stabilità del 2018) il soggetto ospitante:
1. non potrà ospitare tirocinanti e/o praticanti per almeno 24 mesi; 2. perderà tutte le agevolazioni o forme di forfetizzazione previste dai livelli regionali come sostegno dei tirocini e/o praticantati, con annessa obbligatoria restituzione di quanto già eventualmente ricevuto; 3. avrà l’obbligo di erogazione al/alla tirocinante, per tutte le mensilità, di un’indennità aumentata del 40%.
-
prendendo atto di quanto previsto dalle nuove Linee Guida del 25/05/2017, specie con riferimento al nuovo “meccanismo di premialità” riteniamo necessario che vengano previste anche clausole di stabilizzazione per l’attivazione di nuovi tirocini, al fine di arginare l’abuso dello strumento. Ciò che chiediamo è l’equiparazione dei tirocini all’apprendistato in termini di meccanismi di stabilizzazione automatica. Proponiamo che per le aziende sopra i 20 dipendenti (che possono occupare tirocinanti in misura non superiore al 10% dei dipendenti in forza) venga previsto l’obbligo di stabilizzazione del 50% dei tirocini attivati negli ultimi 12 mesi, prima di poter ospitare un nuovo tirocinante. Per le aziende fino a 20 dipendenti (1 tirocinante per aziende fino a 5 dipendenti e 2 tirocinanti per quelle da 6 a 20), invece, in assenza di almeno una stabilizzazione rispetto ai tirocinanti ospitati negli ultimi 12 mesi, non si deve prevedere l’attivazione di nuovi tirocini nei successivi 12 mesi. Si tratta di piccole definizioni importanti nel prevenire la tendenza a “precarizzare” il ricorso a questo istituto.
-
Con stabilizzazione di tirocinanti si intende la stipulazione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Sempre con questo obiettivo, quindi, proponiamo l’applicazione della contribuzione propria dei contratti di apprendistato per la durata di 36 mesi nel caso di assunzioni a tempo indeterminato.
-
Per quanto concerne i praticantati per gli ordini professionali, invece, il soggetto ospitante non potrà intrattenere più di 2 rapporti di pratica obbligatoria. Dalla data di conclusione di ciascun percorso di praticantato non sarà possibile ospitare nuovi praticanti prima dei 18 mesi successivi, fatto salvo il caso di assunzione a tempo indeterminato di almeno un praticante entro 6 mesi dalla conclusione del percorso. In tal caso saranno valide le agevolazioni di cui al punto precedente.
-
Divieto di attivazione di tirocini per mansioni di basso profilo o rimodulazione della durata massima in base al profilo professionale, utilizzando – per esempio - i valori EQF.
-
Anche i tirocini curriculari necessitano la definizione di diritti anche per coloro che svolgono stage all'interno di un percorso di studio, con riconoscimento di un’indennità minima o un rimborso spese.
La lotta alla precarietà ruota molto attorno alle odierne figure contrattuali. Alleggerire il costo dei contratti a tempo indeterminato è, senza ombra di dubbio, il primo passo da compiere, ma non basta. La principale innovazione del Jobs Act, il famoso contratto “a tutele crescenti”, non ha coinciso con quanto evocato in anni di dibattito politico post riforma Biagi sul riordino dei contratti di lavoro. Serve creare una manovra strutturale per cui chi assume a tempo indeterminato i giovani nei primi 3 anni possa pagare ancora meno, mentre chi vorrà utilizzare i contratti flessibili - magari reiterandoli e senza particolari esigenze aziendali - dovrà pagare molto di più. Vogliamo dare forza ulteriore al contratto a tempo indeterminato perchè esso, oltre a essere la "forma comune" di rapporto, dovrà tornare a essere lo strumento principale - se non unico - di accesso stabile al mondo del lavoro. Ad ogni modo una serie di interventi sull’attuale rapporto tra forme contrattuali potrebbe generare questo risultato: -
Abbattimento del limite di indennizzo economico delle tutele crescenti, oggi fissato a 24 mensilità in caso di licenziamento illegittimo delle tutele crescenti, con ulteriori meccanismi di penalità per licenziamenti illegittimi nei confronti di soggetti “difficilmente ricollocabili”,
-
Riduzione dell’aliquota contributiva a carico aziendale (dal 33% al 25% per i primi 36 mesi) per tutti i datori di lavoro privati che, senza esservi tenuti, stipulano contratti a tempo indeterminato con giovani fino a 30 anni non compiuti. Nel caso di licenziamento nei primi 3 anni il contributo di licenziamento, il c.d. “ticket licenziamento” (pari al 41% del massimale NASPI per ogni dodici mesi degli ultimi 36) sarà quadruplicato. Nel caso di licenziamento illegittimo, inoltre, il datore di lavoro sarà costretto a restituire tutta la contribuzione non versata, aumentata del 50%.
-
Il contratto a termine, oggi, costa all’azienda soltanto l’1,40% in più (contribuzione addizionale NASpI) di un contratto a tempo indeterminato. Si rendono allora necessari meccanismi che disincentivino l’“utilizzo facile” di questo strumento:
1. portare la durata massima del contratto a tempo determinato – compresi eventuali periodi di missione - a 24 mesi in luogo degli attuali 36; 2. limitare il numero di proroghe a 3 dalle 5 attuali; 3. aumento della contribuzione a carico aziendale dal 33% al 37% (misura che va ad sommarsi ,nella stessa misura del 4%, alla proposta nel programma del Partito troviamo sulla diminuzione dei costi per il contratto a tempo indeterminato): +2% per primo rapporto a termine; ulteriore +1% per prima e seconda proroga o secondo rapporto a termine con lo stesso lavoratore; ulteriore +1% per terza proroga o terzo o successivo rapporto a termine con lo stesso lavoratore. Tale contribuzione, insieme all’1,40%, verrà totalmente recuperata dall’azienda solo in caso di trasformazione entro i primi 12 mesi di rapporto a termine. 4. riconoscimento del diritto di precedenza per il lavoratore/la lavoratrice anche rispetto alle assunzioni a tempo determinato effettuate entro i 12 mesi successivi dal medesimo datore; 5. abrogazione degli incentivi/agevolazioni all’assunzione previsti attualmente per le assunzioni a termine (ad eccezione di quanto previsto per la sostituzione di maternità). A questo dovrà accompagnarsi: -
una riforma complessiva della somministrazione di lavoro, finalizzata ad arginare eventuali abusi derivanti dalle limitazioni al contratto a tempo determinato di cui sopra.
-
Il lavoro a chiamata necessita quanto prima di una definizione normativa dei settori di attività nei quali può essere strutturalmente utilizzato, superando le ultime normative ferme al 1923 (anche tale tipologia contrattuale dovrà comunque sottostare a limiti quantitativi di utilizzo e ad essa andranno applicati gli aumenti contributivi di cui sopra: +4% se a tempo indeterminato; +2% se a tempo determinato; ulteriore +2% per la seconda e terza assunzione a chiamata; ulteriore +2% per le successive assunzioni a chiamata a tempo determinato);
-
Per le Collaborazioni Coordinate e Continuative, invece, è necessario ricreare fin da subito parametri normativi per la definizione dei compensi, adeguando a quanto previsto nei contratti nazionali di settore o, dove questi non siano presenti, nei livelli di inquadramento equivalenti. Occorre lavorare e concentrarci su quello che da anni è un problema irrisolto: l'accesso al mondo del lavoro da parte dei giovani. Un problema che si è aggravato a causa della crisi economica che ha fatto sbalzare alle stelle il tasso di disoccupazione giovanile e della recente riforma sulle pensioni, con l’effetto di aver allungato l'età pensionabile e, dunque, l'uscita dal mondo del lavoro da parte della popolazione più anziana. Per provare ad invertire questo trend negativo si potrebbe introdurre in Italia, sia nel settore privato, sia nel settore pubblico la staffetta generazionale. Si potrebbe prendere come modello di riferimento il Contrat de Géneration introdotto in Francia con la legge n. 2013-185 del 1 Marzo 2013. L'obiettivo del contratto è quello di creare nuovi occupati, senza intaccare l'occupazione dei lavoratori più anziani. Un modo per poter aumentare il tasso di occupazione, che per quanto riguarda il nostro Paese rimane ancora troppo basso, e anche per non disperdere le competenze che i lavoratori (ormai prossimi alla pensione) hanno acquisito negli anni, che potrebbero essere trasmesse a coloro che per la prima volta entrano nel mercato del lavoro. In Francia l'ingresso si attua con un contratto a tempo indeterminato di tipo full time e per ogni coppia di lavoratori coinvolta lo Stato offre alle imprese con meno di 300 dipendenti alcuni incentivi economici. L e imprese con più di 300 dipendenti sono invece obbligate ad attivare, attraverso accordi collettivi, aziendali o settoriali, il contratto, pena l'applicazioni di sanzioni o la revoca di alcuni sgravi contributivi (previsti dalla legislazione nazionale). Nel settore privato ciò sarebbe possibile attraverso gli accordi aziendali tra azienda e Parti sociali, ma senza incentivi l'accordo risulterebbe troppo oneroso per le imprese. (Nell'ottobre 2015, il gruppo Luxottica ha lanciato il patto generazionale tra dipendenti, il primo introdotto in Italia nel settore privato. Patto che è stato lanciato in via sperimentale, ma che può diventare un modello per il settore privato.) Da quanto rilevato si propone un modello ibrido di “Contratto di generazione” per il sistema italiano che permetta di dirimere il conflitto tra le due generazioni in un’ottica solidaristica e nel pieno
rispetto dell’art. 2 Costituzione, ove si statuisce “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”: 1. Agevolazioni fiscali e finanziarie per le aziende che decidono di adottare la Staffetta Generazionale; 2. Per il lavoratore anziano che decide volontariamente di aderirvi si potrebbe riconoscere, come compensazione alla mansione di tutoraggio e formazione svolta a favore del lavoratore giovane in entrata, la copertura del contributo ai fini pensionistici attraverso la trasferibilità degli ammortizzatori sociali previsti già per i lavoratori giovani di altre imprese, anche a titolo di prepensionamento (es. indennità di disoccupazione; mobilità), senza oneri aggiuntivi per le casse statali perché semplicemente l’erogazione di un ammortizzatore sociale spettante ad una persona, diventerebbe erogabile ad un’altra persona sotto la veste di un assegno di prepensionamento. In questo modo il lavoratore giovane verrebbe inserito in una compagine lavorativa, ove verrà formato da una risorsa umana già occupata e portatrice di competenze professionali, inoltre sarà in grado di produrre per l’azienda che l’ha assunto per tre anni; 3. L’assunzione del giovane lavoratore (la fascia si ritiene debba essere quella tra i 18 e i 35 anni) sarà pari a tre anni, corrispondenti agli ultimi tre anni prima dell’accesso alla pensione per il lavoratore in uscita, il quale potrebbe anche aderire alla Staffetta Generazionale a titolo di prepensionamento, senza attendere il triennio precedente al raggiungimento della soglia pensionistica (un esempio con siti apprezzabili è quello fornito dalle ipotesi del “ponte generazionale tra parenti”); 4. Il rapporto giovane-anziano apporterebbe benefici alla produzione dell’azienda perché il giovane, di per sé portatore di innovazione e nuova conoscenza, completerebbe la propria formazione, a costo zero, grazie all’esperienza pregressa del lavoratore anziano, che continua ad essere una risorsa ineludibile per lo sviluppo economico. Si realizzerebbe una sinergia di risorse umane che è definito trasferimento delle competenze, soprattutto nelle PMI, ove le conoscenze professionali sono indispensabili per il mantenimento della qualità del know-how e della produzione del Made in Italy; 5. Si esclude che il lavoratore anziano debba ridurre il proprio contratto di lavoro da full-time in parttime, come invece si prevedeva nel patto generazionale. Il lavoratore anziano sarà incentivato ad aderirvi per le agevolazioni in termini di garanzia della totale copertura invariata ai fini contributivi, se vi aderirà per il triennio precedente al pensionamento. Ovviamente la staffetta generazionale e/o il contratto di generazione non creano nuovo lavoro, semmai lo ridistribuiscono. Per creare nuovo lavoro servono investimenti pubblici e privati mirati, sopratutto in settori dove siamo fortemente indietro come le infrastrutture materiali e immateriali,
la ricerca e l'innovazione tecnologica. L'idea della staffetta generazionale è un modo anche per superare la logica del conflitto generazione verso un'alleanza tra generazioni che porti il Paese sulla strada della crescita e dello sviluppo. Non dobbiamo nemmeno dimenticarci che tanta parte dei nostri coetanei oggi ha scelto la via del lavoro autonomo. La strada imboccata con la legge 81/2017, a tal proposito, è quella giusta: dare tutele e diritti a coloro che fino a pochi mesi orsono non ne avevano. Per noi, però, stante l’importante e sempre crescente presenza di giovani nel mondo imprenditoriale diviene fondamentale pensare a un vero e proprio “Statuto dei piccoli e medi imprenditori”, soprattutto con riferimento agli under-30. Qualcosa di più di una suggestione, fine di estendere garanzie e tutele anche a un mondo attualmente sprovvisto di strumenti fondamentali. Non possiamo prescindere dal ragionare anche sulla conciliazione vita-lavoro. A tal proposito, dopo anni di misure sperimentali, siamo convinti del fatto che anche i padri lavoratori debbano avere un periodo di congedo obbligatorio, nel primo anno di vita del bambino. Tale congedo deve divenire strutturale, entrando di fatto nel TU della Maternità e della Paternità (D.lgs. 151/2001). Siamo abituati a pensare che per una donna sia naturale prendersi una pausa dal lavoro in caso di maternità, il che non è troppo lontano dall’immagine della classica crocerossina o angelo del focolare. Effettivamente, le statistiche ci dicono che, alla fine, una donna su quattro rinuncia al lavoro in maniera permanente per motivi familiari, contro un esiguo 3% degli uomini. Eppure, di uomini volenterosi e capaci di occuparsi della cura dei propri cari e della propria casa è pieno il mondo. Si perché ciò che buona parte della società ignora è che forse è il caso di comunicare, è che per prendersi cura di un bambino o della casa non servono superpoteri: basta essere normodotati. Detta così bruscamente però rischia di non essere chiaro e di non convincere e servono delle norme per far fare questa strabiliante esperienza anche agli uomini, in modo che se ne rendano conto. Uno di questi provvedimenti potrebbe essere quello sul congedo di paternità.
Come funziona nel resto d’Europa? Innanzitutto, è bene tenere presente che la UE ha chiesto, fin dal ’92, di lavorare al fine di conseguire una legislazione gender neutral, cioè un trattamento che sia uguale per tutti i neo-genitori a prescindere dal loro sesso e genere. I congedi di paternità risultano infatti più vantaggiosi laddove non siano cedibili alla madre, come avviene in molti Stati del Nord Europa. In tutti gli stati membri (ad eccezione del Portogallo), si tratta di una misura non obbligatoria, per lo più finanziata dagli istituti di previdenza nazionali. In Svezia, dove la misura è sfruttata dall’80% dei papà, ai genitori spettano 480 giorni di congedo fino ai nove anni del bambino, e le prime due settimane possono essere condivise. In Slovenia, la nuova legislazione prevede un congedo di paternità di 4 settimane, così come in Spagna. Fanalino di cosa è l’Austria, dove il congedo di paternità può durare un mese, ma è privo di retribuzione. Insomma, anche a livello europeo c’è ancora del lavoro da fare. Non è da escludere che, se l’Italia legiferasse per un trattamento di effettività parità come noi richiediamo, il nostro Paese non possa diventare un’eccellenza in questo ambito, portandosi un po’ più vicino ad altri stati, da sempre più avanzati in materia di parità di genere. Si perché quello che a volte sfugge è che non dobbiamo sempre per forza arrivare dopo gli altri, ma possiamo anche essere i primi nelle battaglie giuste. Curioso, no? Come funziona in Italia? La Legge di Bilancio 2017 ha stabilito, per i nuovi papà, un congedo obbligatorio di 4 giorni, con l’obiettivo di avvicinarci agli standard europei. Per quanto riguarda la precedente legge (che prevedeva un giorno obbligatorio e uno facoltativo), si è osservato che solo due papà su 10 vi facevano ricorso. Ma basteranno 4 giorni a conseguire un’effettiva parità tra i sessi sul tema dei permessi parentali? Forse no, dal momento che il congedo spettante alle neomamme è di gran lunga maggiore. E se proponessimo, allora, un congedo di pari entità per donne e uomini? Se la donna deve stare a casa, allora dovrà stare a casa anche l’uomo nella stessa misura. Come Giovani Democratici, pensiamo che questa sia la soluzione migliore, che recherebbe enormi vantaggi per tutti, per i bambini in primis. Creare tra le mura domestiche un clima paritario fin dalla primissima infanzia, potrebbe essere un primo passo per educare i nostri bambini ad una percezione
SAPERI Università Il capitolo riguardante i saperi riveste una parte altrettanto importante nella nostra elaborazione politica, tra i doveri e le responsabilità più grandi nei confronti della generazione che abbiamo l’ambizione di rappresentare. Partendo dall’Università abbiamo registrato con molta soddisfazione un impegno importante nelle ultime due leggi di bilancio per quello che riguarda il diritto allo studio. La nostra elaborazione si pone esattamente nel solco della direzione tracciata da due anni a questa parte. Non si tratta unicamente di un discorso relativo agli interventi messi in campo dalle regioni, a partire dalla copertura degli idonei sulle borse di studio. Su questo fronte, ci stiamo avviando verso il 100% degli assegnatari e questo già configurerebbe un cambio di passo storico, il cui soddisfacimento va vincolato a livello strutturale. Più in generale, la contrazione in termini di opportunità di studio che vive il nostro Paese, ben dimostrata dai dati Ocse che ci mostrano al penultimo posto per numero di laureati, deve guardare necessariamente all’obiettivo di rendere l’Italia un paese dove l’università sia economicamente più accessibile, intervenendo anche con misure nazionali che vadano specificamente a tutelare la condizione sociale di precarietà data dall’essere studente universitario, rimuovendo progressivamente le barriere di tipo economico che si frappongono rispetto a queste opportunità. Abbiamo pensato a come migliorare il sistema di diritto allo studio italiano rispetto alle misure concepite a supporto della vita studentesca. A tal proposito proponiamo una legge quadro sul Welfare Studentesco, che abbia come oggetto le seguenti misure: - innalzamento della no-tax area fino a 30mila euro di reddito famigliare, al fine di aumentare la platea di beneficiari a seguito della prima introduzione di questo provvedimento nel 2016 che ha già contribuito a uniformare le regolamentazioni degli atenei in materia su un livello di Isee di 13mila
euro, qualcosa di storico rispetto a questo settore ma sul quale possiamo spingere ancora avanti la riduzione della disuguaglianza socio-economica all’accesso; - riscatto gratuito degli anni di laurea, con condizioni di accesso legate alla propria condizione reddituale durante gli studi, in maniera progressiva, vincolando il beneficio ai soli anni di corso previsti da ordinamento senza per chi si laurea fuori-corso; -reddito di formazione, una proposta che guarda all’introduzione di un ammortizzatore sociale concepito nella transizione dall’Università (o dalla scuola) al lavoro che possa essere associato alle medesime condizioni reddituali che regolano il diritto allo studio, per favorire la permanenza degli studenti sul territorio dove hanno studiato o altrove per ricercare lavoro, fornendo una indennità da legarsi a un percorso di formazione da attivarsi a seguito degli studi, in questa maniera si contrasterebbe soprattutto il fenomeno di “mismatch” tra competenze e lavoro svolto che oggi caratterizza la situazione di tanti neolaurati, costretti ad accettare un lavoro con mansioni diverse rispetto agli studi compiuti solamente per trovare una fonte di reddito e di sostentamento; - calmieramento canone di locazione affitti studenti, stabilendo massimali per doppie e singole in ogni città universitaria, un provvedimento che può incrociarsi agevolmente con quanto proposto dal partito in termini di bonus di 150 euro allo stesso modo per chi è in possesso di redditi fino a 30mila euro, convinti che ci sia bisogno di intervenire sul mercato delle locazioni che in città ad alto tasso di fuori sede questo mercato rischia di generare speculazioni molto pericolose e condizioni non eque; - incremento di 200mila alloggi studenteschi in tutto il paese nella misura in cui venga garantito il posto letto a ogni studente fuori sede idoneo alla borsa di studio, una condizione spesso sottovalutata e messa in secondo piano ma che in realtà non può essere scissa dalla questione relativa all’erogazione delle borse di studio e in ultima istanza aiuterebbe a far “respirare” il mercato degli affitti studenteschi; -gestione pubblica ristorazione studentesca, cessazione dell’esternalizzazione ai privati, anche questa una situazione che rischia di degenerare nella misura in cui il decentramento nella gestione
del diritto allo studio finisce con il creare condizioni estremamente differenti anche sul piano della esternalizzazioni dei servizi di ristorazione, laddove questo coinvolgimento dei privati si traduce inevitabilmente con un aumento dei prezzi di un pasto completo, un bisogno importante e che non va trascurato dal momento che si pone quotidianamente sulla vita di qualsiasi studente che, stretto tra lezioni e studio, si trova spesso a dover consumare i pasti fuori di casa; - abbonamento gratuito mezzi urbani per studenti con redditi al di sotto dei 30mila euro, un provvedimento implementato in alcune sperimentazioni locali e che andrebbe definito in maniera nazionale per creare un diritto esercitabile trasversalmente a prescindere dall’ateneo e dalla città di appartenenza; - ingresso gratuito musei per studenti con redditi al di sotto dei 30mila euro, per sancire che la cittadinanza studentesca debba tradursi anche nel diritto alla fruizione di cultura, immaginiamo soprattutto chi si trova in un territorio diverso dal proprio di origine questo può diventare anche uno strumento per conoscere meglio il territorio di “adozione” e favorire i processi di integrazione con la cittadinanza residente; - residenza provvisoria e parallela per studenti fuorisede, legata al periodo di iscrizione, e consigliere aggiunto con funzioni consultive nei consigli comunali ad alto tasso di fuorisede delegato dai consigli studenteschi, proposte queste che vanno a intervenire su chi si trova lontano dal proprio territorio di origine e introducono strumenti che possano favorire la propria partecipazione e la propria rappresentanza, favorendone anche qui i processi di integrazione; - obbligo di convenzione sanitaria per il medico di base per gli studenti fuori-sede in tutti gli atenei, sul modello adottato dall’Università degli Studi di Milano e, precedentemente, dall’Università di Bologna, dando la possibilità agli studenti fuori-sede di accedere facilmente alle cure di base, senza perdere il proprio medico della città di residenza, attraverso un elenco di medici convenzionati del territorio del proprio ateneo; - adozione di una “carta dei diritti” in ogni città universitaria, da sottoscrivere in accordo tra consiglio studentesco e consiglio comunale, uno strumento che possa rafforzare la relazione tra
amministrazione comunale e governance accademica al fine di incoraggiare buone pratiche e progetti di partecipazione e diritti per gli studenti; A queste proposte aggiungiamo quella fondamentale per l’accesso allo studio che riguarda l’abolizione di tutte le forme di selezione in ingresso disciplinate a livello locale. Diritto allo studio però vuol dire anche servizi e tutto quanto riguardi il welfare studentesco. Per questo ci concentreremo anche sul potenziamento degli standard che riguarda alloggi, ristorazione pubblica e trasporti. Tanta parte di riflessione deve essere dedicata anche alla condizione dello studente fuori-sede che riguarda una componente sempre più ampia degli studenti che rappresentiamo. Sono opportune misure specifiche poste a tutela di questa condizione, che riguardino in primis la vita fuori dall’accademia, come la regolamentazione degli affitti e l’agevolazione rispetto al costo della vita, con riferimento oltre che ai trasporti anche alle utenze e alle spese generalmente sostenute grazie al sostegno delle risorse famigliari. Per quanto riguarda la ricerca ci soffermiamo su una esigenza ormai imprescindibile per il sistema accademico del nostro paese: una profonda semplificazione del post-doc. Una regolazione che deve basarsi sulla riduzione dei tempi per l'accesso a posizioni di ruolo e sull'estensione di diritti e tutele sociali e previdenziali per le figure contrattuali pre-ruolo. Obiettivo ultimo è quello di eliminare il ricorso al lavoro precario in univeristà, dando prospettive certe ai giovani ricercatori. A tal fine proponiamo: -un’unica figura del pre-ruolo, unificando la figura di ricercatore rispetto alle attuali due, - la trasformazione dell’assegno di ricerca in contratto specifico del settore che sia equìparato a rapporto di lavoro di tipo subordinato con tutti le tutele che ne derivano. Una menzione particolare spetta anche al voto per i fuorisede. Un tema sul quale ci siamo spesi molto nell’ultimo anno, quando sembrava la legge elettorale fosse già in dirittura di arrivo. La mobilità è un concetto che caratterizza la nostra generazione sia in termini positivi, come aumento delle possibilità di spostamento, sia in termini negativi, come conseguenze sulla propria condizione sociale dettate dal vivere lontano dal proprio paese natio. Un nuovo bisogno che porta all’esigenza
di nuovi diritti, come abbiamo espresso a più riprese. Dare la possibilità a questi studenti di poter votare sul territorio in cui ha sede il proprio studio o la propria occupazione è una istanza di sviluppo e avanguardia sotto il profilo dei diritti politici in questo Paese. Una lacuna che oggi si scontra peraltro con la contraddizione che viene riconosciuto il voto per i nostri coetanei all’estero per studio e lo stesso diritto non è permesso a chi per ragioni di studio si trova lontano da casa ma all’interno dei confini nazionali interni. Analogamente a quanto accade proprio per il voto dall’estero, la modalità più facile da implementare sarebbe rappresentata dal voto anticipato. Con riferimento alle elezioni di Camera, Senato, Europee e Referendum, con la regia delle prefetture, gli elettori fuorisede possono valersi di comunicare in anticipo la propria esigenza per ragioni di studio, lavoro o salute. Le stesse prefetture invierebbero ai Presidenti di seggi corrispondenti al territorio di residenza di votanti, Scuola Anche sul fronte della scuola secondaria possiamo registrare tanta parte di attenzione da parte degli ultimi governi. A riguardare molto da vicino la condizione dei nostri studenti medi è stata l’introduzione dell’alternanza scuola-lavoro, un provvedimento dall’implementazione sicuramente non facile. Oltre alla prossima tutela degli studenti raggiunta attraverso una Carta dei loro diritti, ciò su cui è fondamentale spendersi riguarda la necessaria omogeneità nell’applicazione di questo nuovo modello tra i territori italiani. Aprire i percorsi di studi alle esperienze lavorative significa ricercare un allineamento col mercato del lavoro locale. Questo processo rischia di finire con il riprodurre gli squilibri territoriali esistenti a livello di mercato del lavoro ove non adeguatamente indirizzato e disciplinato. Ciò rende necessaria una maggiore presenza di standard e paletti istituzionali che possano disincentivare la creazione di queste asimmetrie. Allo stesso modo, ciò che spesso viene considerato quando si parla di alternanza scuola lavoro è la maggiore predisposizione di questo sistema per gli studi di tipo professionale, a discapito delle stesse esperienze svolte dai liceali che rischiano di diventare privi di un reale legame con il proprio percorso di studi. A tal proposito proporremo l’introduzione di meccanismi che favoriscano la partecipazione da parte dei
liceali, favorendone la connessione con il sistema universitario, in considerazione della maggiore predisposizione dei liceali al proseguimento degli studi, colmando in questo modo anche una lacuna storica che sconta il nostro sistema in termini di orientamento in uscita. E’ a questo proposito che riprendiamo una proposta avviata in alcuni territori con l’ambizione di vederla estesa a tutto il territorio nazionale: l’alternanza scuola-università. Si tratterebbe di una proposta destinata agli studenti dei licei, in maniera tale da dare loro la possibilità di sostenere il proprio percorso di alternanza svolgendo l’equivalente di 3 cfu di corsi dentro l’università, che possono poi essere fatti valere nella maturazione dei crediti ai fini della maturità di Stato e possono essere altresì riconosciuti l’anno successivo qualora gli stessi studenti si iscrivano a un corso di laurea che comprende i corsi per i quali sono stati frequentati i 3 cfu. In questa maniera si riuscirebbero anche a rafforzare anche in ultima istanza i processi di orientamento da sempre lacunosi nel nostro Paese. Sul fronte della scuola raccogliamo e rilanciamo la sensibilità che da sempre condivide il nostro Partito circa una seria riflessione che riguarda i cicli di studio, investendo pertanto il profondo e radicale rinnovamento del nostro sistema che soffre ancora dei retaggi dell’impostazione gentiliana. Un dibattito che ancora non trova una adeguata discussione. A questo scopo occorrerà soffermarsi sulle specifiche materie che vanno approfondire in maniera egualitaria da parte di tutti gli studenti ai primi anni di scuola superiore e che non possono prescindere dallo studio dei principi di diritto pubblico e dell’economia politica, con specifico riferimento allo studio della nostra Costituzione, del nostro sistema politico, del funzionamento dell’unione monetaria europea, oltre che della sensibilizzazione dei temi riguardanti l’equilibrio tra i poteri dello stato e il ruolo dei media. Quello della scuola rappresenta anche il terreno privilegiato dove costruire i presupposti che possono ridurre in futuro il gender-gap che ancora oggi, a partire dal mondo dell’istruzione, caratterizza il nostro Paese. A tal proposito rientrano proposte come: -
la creazione di nuove campagne di informazione per combattere gli stereotipi di genere, un esempio positivo a tal proposito è l’iniziativa “Il mese delle STEM” lanciata dal Ministero delle pari
opportunità per incentivare le ragazze ad avvicinarsi allo studio delle materie scientifiche), un altro esempio di buona pratica è “Nuvola Rosa”, progetto giunto alla quinta edizione, realizzato da Microsoft in collaborazione con Fondazione Mondo Digitale e growITup che si pone l’obiettivo di coinvolgere più di 1.500 studentesse e giovani donne in tutta Italia attraverso corsi di formazione e insegnamenti che spazieranno dallo sviluppo delle competenze base dell’informatica al coding, dalla robotica all’arte digitale; -
l’introduzione di insegnamenti di educazione all’affettività, fattore dal quale ormai non si può prescindere e che va affrontato senza resistenze dal momento che si tratta di step fondamentali nella crescita di ogni individuo. DIRITTI Questo rappresenta per noi uno dei capitoli più importanti della nostra elaborazione politica. Dobbiamo essere consapevoli che la nostra generazione può farsi protagonista di un avanzamento della nostra cittadinanza e nell’affrontare temi che finora il nostro Paese non è riuscito ad affrontare adeguatamente, in primis sul piano culturale. Parliamo qui di declinare sul piano dei diritti l’equità, la parità di genere, la lotta alle disuguaglianze che passa anche per la cura delle persone. Riteniamo infatti che in uno Stato laico queste situazioni di difficoltà per diverse categorie, siano una sconfitta per tutte e tutti noi. Abbiamo immaginato su questo fronte un pacchetto di misure che possa comprendere:
-
il riconoscimento del matrimonio egualitario, convinti che la lotta per il riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali debba vedere una completa equiparazione dell’istituto civile del matrimonio così come concepito dall’ordinamento statale;
-
la revisione del cambio di sesso del 1982 per le persone transessuali, negli ultimi trent’anni abbiamo assistito a notevoli cambiamenti su questo fronte, è necessario adeguarsi alle legislazioni degli altri paesi europei sul tema, le quali prevedono che il riconoscimento dell’identità di genere da parte
dello Stato civile avvenga a monte del percorso di cambio sesso, senza necessariamente affrontare l’operazione chirurgica; -
legge di contrasto all’omotransfobia, senza alcuna eccezione di sorta per associazioni, organizzazioni politiche o religiose, dal momento che nonostante i progressi culturali e sociali che si sono registrati negli ultimi anni si configurano ancora notevoli rischi dal punto di vista della discriminazione di determinate categorie in ambiti diversi, dalla scuola al lavoro, alla famiglia, alla vita sociale e politica;
-
revisione del sistema delle adozioni, che non debba essere una questione legata al dibattito sulle coppie dello stesso sesso, ma anche riguardare una rielaborazione più complessiva e semplificata burocraticamente di questo istituto, che possa finalmente vedere riconosciuta questa possibilità anche per i single;
-
diritto ad utilizzare il cognome della madre ai figli, non più un diritto “sui generis” come accade attualmente ma che può spettare anche agli stessi figli successivamente, per vedere riconosciuta l’equità anche nella condizione di genitore tra coniugi e coppie di fatto;
-
congedo di paternità, sempre nell’ottica di equità nella condizione di genitore;
-
misure a favore della natalità, strumenti ispirati alle misure varate in Svezia a sostegno della genitorialità, tra cui assegno mensile di 100 euro per ogni figlio fino ai 16 anni, permessi retribuiti per le malattie dei figli sotto i 12 e fino a 120 giorni in un anno, trasporti pubblici gratuiti con i figli in carrozzina, fattore famiglia, senza discriminazione alcuna (non tassare le spese indispensabili per il mantenimento e accrescimento della famiglia, più aumentano i componenti della famiglia più aumenta il reddito non tassabile, più basso è il reddito famigliare e più ci sono vantaggi);
-
aggiornamento in materia di contraccezione e aborto: RU-486 somministrabile in day-hospital e in consultorio su tutto il territorio nazionale, semplificazione dell’iter di accesso alle pratiche di IVG e facilitazione del ricorso all’aborto farmaceutico, creazione per consultori e strutture mediche di bandi riservati per medici non obiettori di coscienza a condizione di esserlo stato almeno nei 24 mesi precedenti, mobilità dei ginecologi nelle situazioni a rischio di interruzione del servizio;
-
separazione strutture mediche abortive e natali, con la progettazione per ogni ASL/ATS di almeno un centro IVG con solo personale non obiettore, o qualora non vi si riuscisse diventa necessario
prevedere una quota di personale non obiettore in misura pari ad almeno il 50% ad ogni turno lavorativo; -
detassazione assorbenti e metodi anticoncezionali, non solo per quanto riguarda i preservativi, con l’abbattimento dell’iva al 5%
-
campagna di informazione DAT (Dichiarazione Anticipata di Trattamento);
-
corsi di educazione al rispetto di genere, alla diversità, all’affettività e alla sessualità nelle scuole,
-
lotta alle nuove tossicodipendenze, attraverso campagne di informazione e sensibilizzazione circa l’abuso di nuove droghe e alcool, e di disintossicazione e reinserimento dei giovani tossicodipendenti,
-
lotta alle MTS e all’HIV-AIDS, che, nonostante l’avanzamento delle terapie e della prevenzione farmaceutiche, riscontra un aumento, soprattutto nella fascia under 25, di nuove infezioni derivanti soprattutto da un calo dell’utilizzo del preservativo nei rapporti occasionali, a prescindere dall’orientamento sessuale, da contrastare con una massiccia campagna di sensibilizzazione sul tema della prevenzione e l’abbattimento dei prezzi delle protezioni;
-
Stop allo stigma correlato ad HIV, nella stessa misura di lotta alle nuove infezioni, è sempre più attuale la necessità di contrastare la discriminazione delle persone sieropositive nella vita sociale, famigliare e lavorativa, con campagne di informazione specifiche; CULTURA La nostra generazione e, dunque, anche la nostra organizzazione possono sentire proprie molte battaglie che trovano, a nostro parere, un punto in comune anche nella parola cultura. La battaglia in materia di legalità, per noi, è una lotta culturale per eccellenza: un conflitto che non possiamo e non vogliamo più combattere prendendo atto a posteriori di quanto ancora di ci sia da fare nel nostro Paese ma provando a sviluppare, tramite soprattutto le Scuole, una proposta di educazione alla legalità che parli di cosa accade nei territori (più o meno noti) dove il fenomeno del caporalato e dello sfruttamento sono all’ordine del giorno; una proposta di educazione che racconti di chi e come ha perso la vita per portare avanti certe battaglie; una proposta che, partendo dalla realtà che ci circonda, dia strumenti culturali, profondi, radicati affinché si provi a sviluppare una
cultura della legalità che non dovrà interessare soltanto le Regioni del Sud ma l’intero Paese: ci sono territori dove, ovviamente, le organizzazioni esistono e sono radicate; esistono però, al contempo, territori dove la mafia esiste anche se in forme e modi diversi, sottesi. Di questo ne sono testimonianza i tanti beni confiscati alle mafie presenti nel Paese: rispetto a questo, anche sulla scia del nuovo Codice antimafia, come Giovani Democratici porteremo avanti una battaglia per facilitare l’assegnazione definitiva di beni confiscati alle associazioni, alle realtà del volontariato e del Terzo Settore. Vogliamo che quegli spazi diventino i primi laboratori di cultura della legalità. Noi Giovani Democratici vogliamo parlare di cultura dell’integrazione: un’azione politica, sociale, culturale profonda che tolga ogni dubbio rispetto a chi, ancora, pensa che quella sull’integrazione sia una battaglia tra “buonisti” e “realisti”; un’azione profonda, appunto, che deve valere più di qualsiasi indicatore economico capace di dimostrare che il “prima gli italiani” rappresenti un perfetto manifesto di quel populismo che gioca su un disagio reale e poco altro. La cultura dell’integrazione va creata attraverso le politiche dell’inclusione, da attivare in sinergia con le istituzioni e i principali attori della società civile, in un sistema complesso di accoglienza, educazione alla cittadinanza, valorizzazione del dialogo e capacità di contaminarsi. L’obiettivo generale deve essere quello di riconoscere il valore di una società aperta, plurale, differenziata che rivolga l’attenzione al superamento delle barriere reali verso la piena consapevolezza dei diritti e doveri del cittadino. Va quindi ripreso il lavoro completamento sfumato per quanto riguarda l’approvazione della legge sulla cittadinanza italiana c.d. "Ius soli" (che modifica la n. 91/1992), ma non va dimenticata anche la necessità di favorire la partecipazione ai corsi di lingua, cultura e cittadinanza italiane, di garantire un accesso al mondo del lavoro soprattutto per le donne straniere, di incentivare nelle scuole la presenza di figure professionali specifiche che coadiuvino al normale processo di socializzazione e, infine, di includere i soggetti più in difficoltà nei piani di emergenza abitativa regionali e locali, evitando però di alimentare rivalità tra le fasce più deboli. Una società integrata si prende cura di tutte le fragilità.
Sempre sul versante della cultura il nostro Partito ha rilanciato nel dibattito pubblico il tema del canone Rai. Siamo convinti che questo dibattito non debba ridursi al tema “canone sì/canone no”. Finché tutti noi paghiamo il canone, occuparsi di Rai resta questione civica e politica e occorre ripensare la televisione di Stato. Noi Giovani Democratici non intendiamo negare quanto sia stata importante la Rai nell’unire il Paese da un punto di vista linguistico, culturale e sentimentale, ma la nostra generazione é già diventata orfana senza nostalgia, poiché del tutto estranea a canali e programmazioni che da tempo non ci coinvolgono né a livello estetico né tematico. Ormai verso la TV pubblica, tolti Sanremo, le partite dell’Italia e poco altro, non proviamo interesse o passioni, sprecando un grande capitale di spettacolo, informazione e cultura. Il presupposto di partenza deve essere la constatazione che è proprio la nostra generazione a rappresentare la fetta di spettatori che meno usufruisce delle reti generaliste. La flessibilità delle condizioni di studio e di lavoro si riflette anche su un consumo di informazione, eventi e programmi di intrattenimento che si avvale di piattaforme OnDemand, tra le quali la più utilizzata è Netflix. La Tv di Stato può e deve farsi interprete della possibilità di coiniugare la programmazione televisa di Stato alle tendenze delle giovani generazioni. Un’idea più complessiva potrebbe essere la riforma dei tre canali principali Rai 1, Rai 2 e Rai 3 sul principio di specificazione programmatica e annessa suddivisione del pubblico, evitando inutili sovrapposizioni tematiche e valorizzando le differenze, con lo scopo di allargare le platee. Secondo questo schema la rete ammiraglia potrebbe essere interamente dedicata all’intrattenimento e allo showtime guardando la Fox, Rai 2 diverrebbe lo spazio dell’informazione, dell’attualità e delle tribune politiche come una BBC News nostrana, e Rai 3 la casa del cinema, delle serie tv, sperimentazioni, eventi e approfondimenti culturali. I canali minori, come Rai 4 e Rai 5 potrebbero diventare le finestre sulle produzioni indipendenti, sugli esordi giovanili e i mondi musicali e sportivi. Altre reti doppione potrebbero essere assorbite o ulteriormente specializzate, per esempio sulla cucina o sui documentari. Inoltre consideriamo forte la necessità di rinnovare completamente il servizio On Demand, “Videoteca” e “portatile” della Rai per competere con le nuove potenze private che fanno dell’home video e della “programmazione fai da te” il centro del loro business,
raccogliendo proprio Il favore della nostra generazione, entusiasta di poter scegliere, alternare e “possedere” film e serie TV. ENTI LOCALI E PUBBLICO IMPIEGO Abbiamo sempre investito molte energie nel formare una nostra piattaforma di rappresentanza sui giovani amministratori, costituendo questa una materia che caratterizza da sempre esperienza, formazione e crescita politica sui nostri quadri locali. Non a caso le proposte che abbiamo scelto per questo capitolo sono il risultato del percorso di partecipazione “Profili Urbani” dedicato a questi temi che ci ha visti impegnati su questi temi a partire dallo scorso autunno: -
ripartizione del territorio nazionale in 1.000 ambiti in cui ricomprendere tutti i Comuni all'interno di un'Unione per ogni ambito; tali enti dovranno diventare i veri riferimenti per Stato e Regioni per ciò che attiene l'erogazione dei servizi pubblici locali. In questo caso ci rifacciamo direttamente a quel che attiene le esperienze europee, con il processo di riforma portato avanti dalla Francia a guida socialista, in cui i Comuni, pur rimanendo nella loro numerosità, hanno visto la nascita di circa 2.000 livelli sovracomunali corrispondenti alle nostre Unioni di Comuni. Il caso di studio migliore, però, va ricondotto all'esperienza del Friuli Venezia Giulia con l'istituzione delle UTI - Unioni Territoriali Intercomunali, corrispondenti alle Unioni, con i seguenti tratti peculiari da diffondere in tutto il Paese: nessun Comune è al di fuori delle Unioni salvo che tutti gli enti che la compongono decidano di fondersi in un solo Comune, in tal caso il nuovo ente non deve far parte di alcuna UTI (per manifesto raggiungimento dell'obiettivo di razionalizzazione); il dimensionamento tiene conto di ragioni storiche, sociali ed economiche, prendendo come prima base di riferimento i confini dei Distretti sanitari (passati da circa 1.000 del 1999 a poco più di 700 nel 2009);
-
approvazione di una legge nazionale in materia di Cooperative di Comunità, puntando ad estendere le novità peculiari elaborate nelle leggi regionali di Liguria e Toscana (no a un minimo di popolazione,
sì a un'identificazione "di scopo") e ad una legislazione che possa prevedere particolari spazi, a livello locale, per politiche del lavoro nelle realtà soggette a forte spopolamento; Su questo punto ci sono due esperienze particolari che hanno mosso la nostra attenzione. [Caso 1. Riguarda il Comune di Sellia (CZ), una realtà di 500 abitanti, che recentemente è stata portata alle cronache per il lavoro svolto dal Sindaco Davide Zicchinella, che ha apportato importanti modifiche alla vita della sua comunità. Il suo lavoro può essere riassunto così: le amministrazioni precedenti si preoccupavano di cambiare gli asfalti con il lastricato e l'arredo urbano, mentre se prima a sedersi sulle nuove panchine erano quattro anziani, domani ce ne saranno tre e così via... è stato dato il massimo impulso allo sviluppo di attività per l'attrattiva, creando musei e un parco-avventura utilizzando gli ampi spazi inutilizzati che offriva la realtà. Ora il paese presenta otto musei più il parco-avventura, composto da una torre per il bungee jumping e ponti sospesi di diverse altezze, dai quali si può godere di un panorama mozzafiato, tra il mare e la folta vegetazione della Sila. Caso 2. Riguarda le Cooperative di Comuni, in generale, e quella di Succiso (RE), in particolare. Presenta almeno due caratteristiche interessanti: la prima riguarda lo sviluppo economico di un'area fortemente compromessa, riuscito nonostante problemi di dissesto idrogeologico e di fortissimo spopolamento. Il secondo riguarda il fatto di essere in un territorio che ha operato una fusione di Comuni, in cui il successo nel recupero di una zona con la sua individualità non è stato declinato, politicamente, in chiave di chiusura e autarchia, bensì al grido di: a ciascuno la sua competenza. I numeri in breve testimoniano l'importanza di queste esperienze e della necessità di dare maggiore attenzione a queste cooperative, andando a collaborare con Legacoop e Confocooperative, per individuare una normativa chiara e semplice per loro, ecco qualche dato: negli anni ’50 Succiso contava oltre 1.000 abitanti, con la presenza di 7 bar, 5 ristoranti, un caseificio, 2 negozi di abbigliamento, un ufficio postale, scuole elementari e medie e altre attività di servizio quale barbieri, calzolaio ed altro ancora. A fine anni ’80 il paese si è trovato senza niente se non la presenza di un bar. Oggi conta circa 65 abitanti stabili. Nel febbraio del 1991 è stata costituita la cooperativa, (conta 55 soci), recuperando i locali della scuola elementare, chiusa nel 1985, che già si trovava in uno stato di abbandono. Si è cominciato con l’apertura del bar, a cui è seguita, l'anno dopo, l’apertura di un piccolo mini market, nel 1994 il ristorante, nel 1998 è stata avviata l’attività di produzione di pecorino acquistando le pecore e, nel 2003, si è allargata ancora l’attività costruendo camere per una recettività di 18 posti letto, diventando così agriturismo. I numeri economici sono ancora più importanti: nel 2012 si stati investiti 330.000,00 € per la realizzazione di un impianto fotovoltaico e nel 2013 è stato ultimato un piccolo centro benessere. Oggi la cooperativa si trova ad avere 7 dipendenti fissi più 5/6 stagionali, ha un fatturato di 680.000,00 €, produce circa 80 q. di formaggio pecorino, 10 q di ricotta, con il ristorante prepara circa 15.000 pasti. Nel corso di questi anni ha effettuato investimenti per circa 1.500.000,00 €, attingendo a leggi regionali, bandi provinciali e facendo ricorso all’autofinanziamento.
Con l’obiettivo di rafforzare la capacità recettiva della Cooperativa, ha ottenuto la vecchia canonica del paese che stiamo trasformando in foresteria che, a investimento ultimato, consentirà di avere ulteriori 25 posti letto, per un investimento complessivo di Euro 125.000,00.]
L’appuntamento di “Profili Urbani” ha fornito anche qualche spunto sotto la prospettiva del pubblico impiego. La riflessione su questo campo è partita da alcuni dati di settore: -
500.000: i pensionamenti previsti nei prossimi 4 anni, con stime che arrivano a quantificare in 600.000 i possibili abbandoni totali. Un dato importante che assume ancor più rilevanza se relazionato al numero di lavoratori e lavoratrici impiegati nella Pubblica (poco più di 3 milioni);
-
50 anni: l’età media nella P.A. Se nel 2001 l’età media toccava i 44,2 anni, entro il 2020 si prevede che gli over 60 rappresenteranno 1/3 del totale dei lavoratori e delle lavoratrici pubblici;
-
2,7%: la percentuale di under 30 impiegati nel Pubblico. Guardando, invece, gli under 35 si va al 6,8%. Questi numeri non possono che essere contestualizzati e letti con particolari “lenti”: da una parte, il grande processo di riforma che stiamo vivendo dal 2015 (con la Legge 124) e, più in particolare, col decreto attuativo 75/2017 dedicato al lavoro pubblico, nonché con il decreto sulla digitalizzazione delle PA; dall’altra, una necessità a cui, da sempre, dedichiamo la nostra attenzione: la necessità di garantire servizi, specie nelle più piccole realtà. Manca, però, ancora un elemento da cui nulla può prescindere. Stiamo parlando del processo di innovazione, un processo che sta profondamente mutando ogni aspetto del nostro sistema produttivo e sociale e che noi siamo chiamati a governare. Davanti a tutto questo riteniamo necessario avanzare proposte ben definite:
-
Un piano straordinario di assunzioni che possa dare risposte all’evidente fabbisogno in termini di forza lavoro della nostra PA.
-
Accompagnare le nuove entrate con un programma di “Staffetta Generazionale”, intesa come vero e proprio “Patto” tra generazioni. Tale patto, oltre a garantire un abbassamento dell’età media, coadiuverebbe il necessario processo di scambio tra nuove competenze e la grande esperienza di coloro che vantano molti anni di servizio.
-
Stante la necessità di garantire servizi, alla luce delle continue novità normative e stanti le tante novità tecnologiche che sempre più le accompagnano, siamo convinti che non si possa prescindere da una formazione continua - specie in termini di competenze digitali - dei lavoratori e delle lavoratrici chiamati a
rispondere costantemente ai tanti bisogni della cittadinanza che trova nel livello locale l’interfaccia diretta con quello che la Politica e le Istituzioni riescono a mettere in campo. -
Per garantire erogazione di servizi nelle realtà più piccole, inoltre, riteniamo necessario un ripensamento delle strutture amministrative, non attraverso fusioni di Comuni ma non la creazione di “contenitori” sovracomunali che abbiano la finalità di mettere a sistema gli enti locali al fine di, appunto, erogare servizi alla cittadinanza, sulla scorta – per esempio – di quanto fatto in Friuli Venezia Giulia dalla Presidente Serracchiani.
TERZO SETTORE Rafforzare (se non creare) nuove forme di cittadinanza è una difficile battaglia che proveremo a combattere, consci del contesto nel quale operiamo, provando a coadiuvare l’azione del Governo in materia di Servizio Civile Europeo. L’Italia, da sempre avanguardista in materia, con il D.lgs. 40/2017 sul Servizio Civile Universale ha dimostrato ancora una volta quale sia l’importanza che il Servizio Civile ricopre per la nostra società: questa Riforma, che introduce la possibilità di svolgimento di parte del periodo di Servizio in Paesi membri e non, deve essere il nostro biglietto da visita per diventare il principale motore a livello comunitario per l’implementazione del Servizio Civile Europeo, inteso come straordinaria opportunità di creare ulteriori opportunità di scambio e conoscenza, di crescita di uno spirito condiviso all’interno degli Stati Membri. La nostra idea è e rimane quella del Servizio Civile Europeo, inteso come sturumento principale - insieme all'Erasmus - di creazione di una consapevolezza profonda del nostro essere europei. Esso rappresenta, inoltre, la natura conclusione di un percorso avviato con evidenza con il D.lgs. 40/2017 che ha istituito il Servizio Civile Universale: proprio per questo - e stante il ruolo politico del nostro Partito e del nostro Paese nel contesto europeo - riteniamo che l'Italia debba essere apripista di un percorso complessivo e indifferibile. Per fare ciò, comunque, non possiamo tralasciare l'importanza del valore più genuino e profondo del Servizio Civile: serve una nuova consapevolezza di ciò che esso rappresenta, delle finalità che si
pone e degli obiettivi che può e deve raggiungere. Non stiamo parlando di "un lavoretto alternativo", dunque, e su questo come GD siamo stati e saremo chiari: ripartiamo dalla Scuola, creiamo momenti politici e/o istituzionali finalizzati alla formazione dei ragazzi e delle ragazze sulla materia, facciamo sì che le carte sul tavolo non vengano più mischiate, definendo confini chiari del Servizio Civile e della sua funzione. In questo ragionamento, crediamo fermamente che quella della Rappresentanza sia la sfida delle sfide: su questo continueremo a lavorare, affinché abbiano ancora più ruolo e voce coloro che possono davvero esprimere il senso più alto di questo straordinario strumento di cittadinanza, progresso e civiltà.
Nell’ambito del terzo settore abbiamo scelto anche di soffermarci su un fenomeno per il nostro Paese, la ludopatia. Un fenomeno che, peraltro, incentiva il riciclaggio organizzata. Riteniamo che il nostro Paese abbia bisogno di una normativa nazionale volta a dare un assetto normativo unitario in materia. Crediamo che la legge debba tendere ad indicare principi generali, punti fermi e linee guida, le cui violazioni dovranno essere adeguatamente sanzionate, per affrontare il e raggio di azione ai sindaci che vivono il territorio e sono in grado di identificare concretamente le problematiche. di mettere a disposizione fondi per garantire adeguate misure di prevenzione e misure riparatorie. A tal proposito lanciamo le seguenti idee:
di azione ai sindaci: conoscono il territorio e per questo dovrebbero avere maggiore discrezione nel fissare le fasce orarie in cui le sale slot possono rimanere aperte e determinare l'ampliamento dei luoghi sensibili nei Comuni;
dovrebbe essere corredato da una normativa nazionale relativa alla predisposizione restare aperta al pubblico; distanza minima di sicurezza da rispettare tra bar, tabacchi e sale slot e divieto di sale scommesse vicino alle scuole e ai centri di socializzazione per anziani;
- diminuzione dell'offerta: meno slot sui territori e vincolo statale con cui prevedere una grandi e dispersivi;
- tessera sanitaria da introdurre nell'apparecchio prima di procedere al gioco per poter del giocatore;
- previsione di incentivi e defiscalizzazione per gli esercizi che rinunciano alle slot machine;
- introduzione di messaggi sui monitor per indicare al giocatore da quanto tempo sta stato speso incentivandolo cosi a terminare;
di sale slot attraverso i vari mezzi di comunicazione (tv, radio, giornali) e divieto di pubblicazione dei numeri non usciti e delle vincite (senza mai sottolineare quanti soldi sono stati persi al gioco nello stesso paese), di appendere cartelli nelle tabaccherie dire quanti biglietti sono stati venduti prima di arrivare a quello vincente);
- misure di prevenzione e controllo del gioco come l'estensione dei requisiti previsti dalla normativa antimafia ai concessionari delle reti online;
organizzata nel settore del gioco illecito: revisione del sistema delle concessioni e illecita nel settore del gioco e delle scommesse, sanzioni amministrative come decadenza in caso di condotte illecite, confisca obbligatoria degli apparecchi utilizzati per commettere il reato, sanzioni pecuniarie per chi commercializza macchinette non conformi alle prescrizioni di legge; attraverso un coordinamento delle verifiche amministrative e tributarie svolte dai diversi apparati dello Stato, un maggiore scambio di informazioni sensibili con la evoluti strumenti informatici;
- maggiore assistenza e sostengo economico con stanziamento apposito di fondi da percepire tramite aumento del PREU per investire in campagne di prevenzione no slot al fine di sensibilizzare ed informare il consumatore sui rischi, ma anche per garantire maggiore sostegno a chi intende curarsi nelle strutture preposte; incremento di sovvenzioni per i centri d'ascolto e le associazioni di volontariato che lavorano sui territori;
- mettere a disposizione fondi per garantire sostegno anche ai famigliari su come trattare soggetti ludopatici e garantire consulenze su come difendere il loro patrimonio. AMBIENTE La nostra idea di sviluppo economico va intesa prioritariamente in chiave di sostenibilità. Questo concetto viene oggi troppo spesso evocato nel dibattito pubblico senza che, tuttavia, veda ricevere azioni reali, effettive e strutturali per essere perseguito come obiettivo di medio-lungo periodo. L’economia circolare sembra oggi rappresentare una strategia di business efficace a tutti gli effetti. Pertanto, non è una questione, anche qui, di buonismo, per cui la tutela dell’ambiente rischia di comportare la perdita di opportunità di guadagno. A guardare su una prospettiva che guarda al futuro di questo paese siamo obbligati anche a fare i conti con i rischi idrogeologici che si sono imposti tristemente nell’attenzione pubblica, sconvolgendo il nostro Paese in anni recenti. E’ a tal proposito che occorre incidere nella promozione di idee di prevenzione che debbono andare di pari passo con una seria regolamentazione del consumo di suolo, tema che impone uno stretto controllo delle concessioni edilizie. Le chiavi di volta che possiamo immaginare a tal proposito sono le seguenti: - restrizioni al consumo di suolo, - incrementare i processi di riqualificazione e rigenerazione urbana, - incentivare il recupero delle aree agricole. SPORT Abbiamo scelto di introdurre un capitolo specifico per quello che riguarda la tutela delle attività sportive nel nostro Paese dal momento che sono proprio gli under30 a esserne più interessati, essendo l’attività sportiva strettamente legata alla condizione giovanile. A tal proposito abbiamo
pensato a una serie di proposte che riguardano sia la tutela e la valorizzazione dello Sport in Italia, sia il ruolo delle figure poste all’insegnamento delle scienze motorie: -
introdurre figure qualificate per insegnare educazione fisica nelle scuole elementari, Numerosi studi dimostrano come, praticare attività sportiva nei primi anni di crescita sia fondamentale per lo sviluppo della persona. In Italia, a differenza di numerosi paesi europei e non, l’attività fisica nelle scuole elementari viene relegata ad essere un “accessorio” dell’attività didattica dello studente dato che questa viene praticata anche attraverso insegnati non laureati in scienze motorie. La proposta è quindi quella di inserire figure laureate e formate nelle scienze motorie al fine di introdurre seriamente l’attività motoria nel percorso didattico delle elementari. Questo permetterebbe di introdurre nuova linfa vitale nelle scuole assumendo quindi nuovo personale ma soprattutto darebbe una nuova prospettiva alla scuola italiana;
-
creazione dell’albo dei laureati in scienze motorie, l’albo professionale per i laureati in scienze motorie è uno strumento che esiste in molti paesi e permette di tutelare la categoria, dando maggior valore alla professione e maggiore cura e attenzione ai destinatari delle attività motorie;
-
istituire un comitato di valutazione delle opere sportive, la condizione degli impianti sportivi è disastrosa e spesso si corre ai ripari troppo tardi. La creazione di un comitato posto a tal fine in ogni comune, che veda la presenza di associazioni sportive e amministratori, permetterebbe di agire nei tempi e nelle misure necessarie;
-
abbattimento barriere architettoniche, sono anni che se ne parla a tal proposito ma l’Italia manca di un serio programma di abbattimento delle barriere architettoniche, soprattutto a partire dagli impianti sportivi. Ragione che permetterebbe di incentivare la pratica sportiva da parte dei nostri coetanei diversamente abili.
MEZZOGIORNO [09:53, 17/2/2018] Mio Senato: MEZZOGIORNO Dopo essere stata rimossa dal dibattito politico italiano o mal posta, vittima anche dei luoghi comuni in chiave secessionista che la Lega Nord ha veicolato, la questione meridionale sembra avere riconquistato l’attenzione degli due ultimi governi. Il Mezzogiorno, come è giusto che sia, ridiventa tema nazionale e la ritrovata centralità è sancita fin dall’inizio con la reintroduzione della figura del Ministro per la Coesione Territoriale e il Mezzogiorno. La vicenda che lega l’Italia a una parte importante del suo territorio, il Mezzogiorno, rappresenta un unicum nella dimensione europea. Se altri Stati dell’UE sono riusciti a ricucire rilevanti divari regionali di sviluppo e benessere, tra il Nord e il Sud del nostro Paese il divario è tra i più consistenti dell’Occidente e il processo di convergenza verso un livello comune di qualità della vita e benessere è ancora lungi dall’essere raggiunto. L’intervento pubblico ha assunto storicamente una mera funzione assistenziale disincentivando le iniziative private. La fuga del capitale umano, che ha raggiunto quota 200mila laureati negli ultimi quindici anni, e l’invecchiamento delle regioni meridionali sono sintomi allarmanti del malessere sociale che si respira al sud.
I dati economici sull’andamento dei mercati dimostrano la stretta dipendenza del nord rispetto al sud con la conseguenza ovvia che quando il sud è in difficoltà tutto il mercato nazionale ne risente. Per motivi economici e non solo, vista l’unità della nostra Repubblica, la questione meridionale è questione nazionale e come tale va affrontata all’interno di un disegno globale di sviluppo che prenda atto della forte interdipendenza tra il sud e il nord del nostro Paese. Un’impresa non facile se si considera non solo l’enorme divario tra sud e nord ma ma anche l’impossibilità di approcciarsi al sud come fosse un aggregato omogeneo. Al suo interno convivono, infatti, punte avanzate di sviluppo e aree depresse, territori agganciati alla competizione europea e internazionale e zone che permangono in una condizione di stasi. Un’impresa tentata dai Governi del Partito Democratico che hanno messo in campo politiche e misure di coesione al fine di ridurre il divario tra Nord e Sud del Paese. Gli esoneri contributivi per le nuove assunzioni, il credito d’imposta per gli investimenti, i contratti di sviluppo, l’istituzione delle Zone Economiche Speciali, l'attivazione della "clausola del 34%", il sostegno alla nuova imprenditorialità giovanile rappresentano uno sforzo concreto delle Istituzioni per la crescita del sud d’Italia. Uno sforzo che vale la pena di continuare a fare confortati dai dati recenti che segnano una ripresa del Sud che certo non è ancora abbastanza ma che incoraggia a perseguire una politica economica coerente che in un quadro complessivo nazionale miri allo sviluppo delle regioni meridionali. Interventi come quello di “Resto al Sud”, che ha immediatamente registrato un boom di domande a dimostrazione di una domanda esistente e significativa, appaiono quanto mai necessari e andrebbero concepiti come strutturali nel medio e lungo periodo, magari modulando la misura del finanziamento. Sarebbe anche auspicabile allargare la platea dei giovani beneficiari a categorie attualmente escluse come quella dei liberi professionisti per fermare un’emigrazione giovanile sempre più di qualità.
I Patti per il Sud hanno destinato risorse enormi ad interventi necessari e urgenti. iI 15 Patti per il Sud riguardano, infatti, 8 Regioni e 7 Città metropolitane e contano 897 interventi, declinati in 5.889 progetti operativi. La necessità è oggi quella di sbloccare i progetti delle opere considerato che solo un terzo degli interventi previsti dai Patti (in valore) sono già diventati cantieri o stanno per diventarlo. Ed è tanto più urgente se si pensa che quasi la metà degli interventi riguardano infrastrutture e che quindi servirebbero ad intraprendere concretamente una seria politica di rinnovamento infrastrutturale per colmare il divario enorme rispetto al resto d’Italia e all’Unione Europea. Positiva è la previsione di destinare al Mezzogiorno, con riferimento ai programmi di spesa delle amministrazioni centrali, un volume complessivo annuale di stanziamenti ordinari in conto capitale proporzionale alla popolazione di riferimento (che per il Mezzogiorno è pari al 34%). La “clausola del 34%” rappresenta finalmente una misura perequativa di distribuzione delle risorse finora avvenuta a vantaggio quasi esclusivo del nord e potrebbe essere estesa ai diversi livelli della pubblica amministrazione. Ciò che è stato fatto finora è tanto ma non è abbastanza. La strada imboccata però è quella giusta, nella consapevolezza che lo sviluppo del Mezzogiorno non è indipendente dal livello nazionale e da quello europeo ma va necessariamente ricondotto in una ampia strategia di sviluppo. In una strategia in cui le politiche economiche, del lavoro, dello sviluppo economico, dell’istruzione vadano nella stessa direzione. Semmai preoccupa la scarsa attenzione ai temi e alle politiche sul Mezzogiorno da parte di molte forze politiche in questa campagna elettorale.
EUROPA E DIMENSIONE INTERNAZIONALE Se guardiamo più lontano, ci troviamo a riflettere sull’Europa. Un Europa che non può progredire sulla strada dell’integrazione senza risolvere le contraddizioni che alimentano le ragioni dei movimenti populisti e favoriscono l’ascesa dei nazionalismi. Se l’Europa è chiamata a scegliere cosa diventare, noi crediamo debba essere il continente della giustizia sociale, della solidarietà, del benessere. Sui flussi migratori, nessun Paese di frontiera, come l’Italia, deve essere più lasciato solo. La Corte europea di giustizia, lo scorso 6 settembre, ha respinto il ricorso presentato da alcuni governi dell’est UE contro la redistribuzione dei richiedenti asilo: la sentenza deve essere il punto di partenza per riformare le regole del Trattato di Dublino realizzando un sistema europeo centralizzato di gestione delle domande di asilo. Un continente che voglia definirsi rispettoso dello Stato di diritto non può non prevedere canali legali di migrazione, anche economica. Per dimostrare solidarietà, l’Unione Europea attraverso i suoi Stati membri dovrebbe, oltre ad aprire un dialogo con i Paesi terzi per contenere il fenomeno migratorio, investire nei programmi di cooperazione internazionale e sostenere il Fondo fiduciario UE – Africa per creare opportunità di lavoro e di crescita nel continente africano. Gli ultimi anni di crisi economica, inoltre, hanno evidenziato i limiti del processo di integrazione europea. Ad esempio, ad un mercato unico e ad una moneta unica non corrisponde ancora un bilancio federale e così l’Unione europea non ha alcuna autonomia finanziaria. Così, la separazione tra le politiche macroeconomiche di competenza dell’Unione e le politiche sociali condotte dagli Stati membri ha impedito la realizzazione di uno spazio europeo che fosse socialmente giusto. Da qui, l’improrogabilità di politiche economiche mirate alla crescita sostenibile, all’occupazione, alla riduzione della povertà che conducano, ad esempio, all’introduzione di un sussidio europeo di disoccupazione e di un reddito minimo di dignità. Inoltre, è necessario rafforzare la rappresentatività delle Istituzioni europee. Affinché i cittadini possano incidere sulle decisioni adottate a livello europeo, è necessario ridimensionare la centralità del Consiglio Europeo e così il peso degli interessi nazionali, occorre una legittimazione politica della Commissione Europea, è urgente dare centralità al Parlamento Europeo.
Quando spingiamo lo sguardo oltre i confini del nostro Paese, la nostra riflessione non riguarda solo l’Europa ma si spinge fino a tutta la dimensione internazionale. Su questo livello c’è un tema sul quale non possiamo che levare un allarme fortissimo, più di quanto sia stato fatto dal dibattito mediatico e dalle istituzioni nazionali. Lo scorso Luglio l’ONU ha adottato a New York il Trattato sulla messa al bando delle armi nucleari non solo per dichiarare illegali le armi nucleari ma per fare in modo che esse spariscano. L’Italia non ha ancora aderito. In particolare il nostro Paese ha votato contro la risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con cui veniva convocata una conferenza ad hoc sul Trattato per la messa al bando delle armi nucleari, né ha partecipato ai lavori della conferenza stessa, come tutti gli alleati Nato, con l’unica eccezione dei Paesi Bassi, che hanno partecipato alla Conferenza ma hanno votato contro l’adozione del testo. Sin dal trattato di non proliferazione nucleare (Tnp) del 1975, l’Italia si è dichiarata “paese non nucleare”, dopo un vivace dibattito. Ha poi sempre sostenuto la non proliferazione nucleare partecipando attivamente al processo che nel 1995 ha esteso il Tnp a tempo indeterminato e ad altri fori negoziali, a cominciare dalla Commissione del Disarmo di Ginevra, di cui il nostro Paese è membro. La nostra proposta su questo punto è molto chiara. La volontà di pace e disarmo è un elemento imprescindibile nella rappresentanza della nostra generazione . Sulla base del mutamento del ruolo degli Stati Uniti e dello scenario politico internazionale è importante garantire che non vi sia un disimpegno dell’Italia sul disarmo nucleare ed il primo passo deve essere la firma del “Trattato sulla messa al bando delle armi nucleari”, così come fatto presente anche da Camera e Senato tra il luglio e il