Doha : città istantanea

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ai miei genitori, Sandra e Maurizio


Indice

Introduzione

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Capitolo 1 MegaCity

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p 60 La cittĂ sperimentata

Conclusioni

Ringraziamenti

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Introduzione “Prima di cominciare a leggere, tu esigi, a buon diritto, risposta a un paio di domande: con quale intento è scritto questo libro? A quale categoria di lettori esso è destinato?” (Albert Einstein e Leopold Infeld, L’evoluzione della Fisica)

città anomala come quella del ricco emirato mediorientale.

comprenderne la vera composizione.

percezione futurista. Ma la velocità con cui cresce la città è direttamente proporzionale 5


Capitolo 1 La città superficiale Analisi preliminare del modello urbanistico di Doha Confinante con l’Arabia Saudita, questo piccolo stato del Golfo Persico, dove vige una monarchia assoluta, conta una popolazione che non supera i due milioni di abitanti, 85% dei quali stranieri. [1] La grande quantità di giacimenti di gas e petrolio fanno dell’Emirato uno dei paesi più ricchi al mondo con un pil di circa 200 miliardi di dollari. [2] Il capoluogo di Al Dawhah, una delle dieci municipalità che compongono la penisola, è la capitale del Qatar: Doha. [3]

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[...] Ci troviamo quindi solo all’inizio della fase dei “mega progetti” che la città ha in serbo per il futuro. [...]

Città in continua espansione e dallo stampo sempre più cosmopolita, è sede del governo e della maggior parte delle società energetiche del paese. Divenuta capitale nel 1971 in seguito all’indipendenza dal Regno Unito, Doha è abitata da 1,4 milioni di persone. [4] Attraversata da un’eccezionale fase di sviluppo, è il classico esempio di “urbanistica istantanea”, una metamorfosi sempre più rapida iniziata poco più di venti anni fa. Le previsioni del ministero dell’Amministrazione metropolitana e dell’Urbanistica dicono che nel 2032 l’area metropolitana di Doha avrà 1.8 milioni di abitanti. [5] Ci troviamo quindi solo all’inizio della fase dei “mega progetti” che la città ha in serbo per il futuro.

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[...] La vera rivoluzione inizia dopo il 1971 a seguito dell’indipendenza dall’Inghilterra [...]

In sessantasei anni Doha è cresciuta esponenzialmente: all’inizio degli anni cinquanta l’economia della città era basata sulla pesca e sul commercio interno e per questo motivo le vie di comunicazione e il paese stesso erano molto ridotti. [6] A metà degli anni sessanta l’espansione delle vie commerciali (pesce e perle) ha dato il via ad una - seppur primordiale “pianificazione” urbana che prevedeva la costruzione di un porto ed arterie stradali più complesse verso l’interno del Qatar. [7] La vera rivoluzione inizia dopo il 1971 a seguito dell’indipendenza dall’Inghilterra: scoppia il boom dell’espansione urbana in seguito agli altissimi profitti petroliferi, lo studio americano William Pereira Architects dà forma al nuovo litorale con il caratteristico profilo convesso che conserva ancora oggi. [8] Dalla fine degli anni novanta ispirandosi al successo di Dubai nella diversificazione economica, il Qatar intraprende una campagna di megaprogetti d’ampio respiro per globalizzare 10

Doha. [9] Oggi la città è suddivisa in quartieri e distretti ognuno dei quali con funzioni e caratteristiche distinte. Negli ultimi trent’anni siamo entrati in una nuova fase urbana, l’era delle metropoli arabe, nella quale Doha sta assumendo sempre più importanza e prestigio.


Tornando indietro di un secolo vediamo nascere una nuova teoria di città ideale: la Città Giardino di Howard. “Alla base del suo piano c’è l’idea che bisogna salvare la città dalla congestione e la campagna dell’abbandono: la città-giardino da lui immaginata avrebbe unito i vantaggi della vita urbana ai piaceri della campagna. [...] Howard rappresenta il suo progetto, proponendo la teoria dei tre magneti: si considerano la città e la campagna come due calamite, ciascuna protesa ad attrarre gli uomini verso se stessa, una contesa in cui interviene una nuova forma di vita partecipe della natura d’ambedue.” [10]

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Utilizzando lo stile teorico e grafico di Howard, dove i magneti superiori corrispondono al deserto e ai giacimenti petroliferi, mi chiedo: è possibile che Doha (terzo magnete) sia una città ideale? L’assenza di barriere architettoniche e urbane unite alle pressochè infinite risorse economiche, possono concepire la città del futuro, oggi? Per indagare questo tema, ho inizialmente diviso la città in tre macrotematiche : Mega City, Artificial Town, Enclosed Town.

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Mega City: Con più di centotrenta grattacieli, senza contare gli innumerevoli cantieri West Bay, è il distretto con la maggiore densità di palazzi. Affacciata nella baia, è il centro del potere di Doha, e copre una zona relativamente ridotta. che ospita un numero sempre crescente di città verticali. Ed è proprio la città verticale la vera protagonista di “Mega City”, torri babiloniche che al loro interno accolgono società, hotel, moschee, centri commerciali, appartamenti, aree sportive e ludiche, ristoranti e molto altro.

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Ma facciamo un passo indietro. “Nel 1909 la promessa rinascita del mondo annunciata dalle Globe Tower, raggiunge Manhattan sotto forma di un’illustrazione che è in realtà un teorema che descrive le prestazione ideale del grattacielo: un’ esile struttura metallica che sorregge 84 piani orizzontali, tutti aventi le medesime dimensioni del lotto. [...] Ognuno di questi livelli artificiali è trattato come un territorio vergine, come se tutti gli altri non esistessero, in modo da creare un regno strettamente privato attorno a una casa di campagna isolata e ai suoi servizi accessori.[...] Lo scheletro del teorema del 1909 definisce il Grattacielo di Manhattan come una formula utopica per la creazione illimitata di territori vergini in un unico lotto urbano.” [11]

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[...] West Bay è quindi in continua crescita in un’area che però si sta velocemente riducendo [...]

“A causa di un’apparentemente insaziabile richiesta di investimenti”, [12] West Bay è quindi in continua crescita in un’area che però si sta velocemente riducendo, nonostante le vaste quantità di spazio libero poco fuori il distretto. Sempre più tra le protagoniste nel panorama mondiale, Doha offre quindi una visione di sè sempre più ascendente ed innovativa, da un lato ispirandosi alla cultura dei grandi grattacieli statunitensi, dall’altro mettendosi in competizione con le città arabe più popolari come Dubai. Ed è proprio la voglia di notorietà che fa emergere a West Bay grattacieli dal design eclettico, in un paese dove la contestualizzazione non è ancora concepita, l’architettura diventa uno strumento per creare forme bizzarre, pensate per tramutarsi in simboli.

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[...] una corsa verso l’eccesso [...]

Doha si trasforma allora in un circuito, dove si gareggia per realizzare il grattacielo più alto, l’architettura più appariscente, la struttura più tecnologica: una corsa verso l’eccesso, che ricorda la forsennata evoluzione di una New York anni 30, in cui inizia “ [...] la commedia dell’architettura, con i protagonisti intenti ad impersonare le proprie opere. Sfilano le torri più alte e più recenti, con gli architetti vestiti di un abito a “gradoni” e con i copricapi tutti diversi, in un’operazione manifestamente ironica ma, in fondo, assai esplicativa”. [13]

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[...] L’eccesso è bello [...]

Ricordate il motto “Less is more” ? Bene. Dimenticatevelo. In Qatar, come negli Emirati Arabi Uniti, più si costruisce, meglio è. L’eccesso è “bello”. In una realtà in cui le risorse finanziarie superano concettualmente lo spazio edificabile, creare terre artificiali facendole emergere dal mare non è così incredibile. É il caso de “The Pearl”. “I lavori dell’isola sono iniziati nell’ottobre del 2004, un megaprogetto di 400 ettari, situato a nord di Doha, con un costo stimato di 20 miliardi di dollari; due grandi baie artificiali, cinque alberghi a 5 stelle, 18mila ville di lusso con spiaggia privata e palazzi d’appartamenti a tema, i cui modelli vanno dal Magherb arabo alla Riviera mediterranea.” [14] La Perla, copia qatarina della Palma di Dubai, è il frutto di un lavoro colossale che ha previsto l’utilizzo di milioni di tonnellate di sabbia desertica e marina e di altrettante tonnellate di roccia.[15] 34


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La fase dei “paesaggi artificiali” non si ferma alla Perla, ma bensì continua con la realizzazione di Katara, un centro culturale e di svago sviluppato sul litorale. “Villaggio” all’aperto dedicato ai locali e ai turisti, sede di centri culturali e scientifici, offre alla popolazione di Doha un luogo di relax in contrapposizione alla congestionata e caotica zona urbana della città. Spiagge attrezzate, percorsi pedonali, piazze e servizi, un luogo che si accende particolarmente all’imbrunire, accogliendo le famiglie. 38


[...] Una barriera architettonica che costringe la popolazione a spostarsi esclusivamente in auto [...]

Circondata da colline artificiali, realizzate modellando la sabbia e ricoperte da un manto erboso sintetico, Katara, è un area chiusa, delimitata dalle enormi arterie stradali che separano ogni quartiere di Doha. Una barriera architettonica che costringe la popolazione a spostarsi esclusivamente in auto, trasformando così la bicicletta, da mezzo di trasporto a semplice gioco per bambini. La particolarità che salta subito all’occhio, attraversando Katara, è infatti l’utilizzo delle biciclette; caricate all’interno dei bagagliai delle macchine, vengono consegnate ai figli appena arrivati a destinazione, così che essi possano divertirsi scorrazzando per la piazza.

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[...] gli edifici (ma anche gli sportelli delle banche) sono “acconciati” come costruzioni arabe antiche [...]

Il concetto di “artificiale” non si ferma soltanto al paesaggio ma continua, comprendendo anche la storia; o meglio l’antico. Esempio lampante di “antichità artificiale” è il Souq, il mercato “vecchio”. Essendo una città giovanissima, Doha cerca il legame con il passato, un luogo dove si possa respirare la cultura araba di un tempo, il Souq appunto. Il mercato vecchio è un agglomerato di ristoranti e negozi posizionati in modo apparentemente casuale, un brulicante bazar in realtà ordinato e organizzato. “…Questi ritardatari rallentano il progresso culturale dei popoli e dell’umanità, poiché l’ornamento non è soltanto un opera di delinquenti, ma è esso stesso un delitto, in quanto reca un grave danno al benessere dell’uomo, al patrimonio nazionale e quindi al suo sviluppo culturale…” [16] diceva Loos, e chissà cosa avrebbe aggiunto se avesse passeggiato per il Souq, dove gli edifici (ma anche gli sportelli delle banche) sono 44

“acconciati” come costruzioni arabe antiche, corrose e sporcate dal tempo.


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[...] vere e proprie “città orizzontali” che si estendono per migliaia di mq. [...]

“…more and more, more is more…” [17] “Analogamente, “di più è meglio” non è una dichiarazione programmatica, ma esprime la constatazione che nel Junkspace, lo spazio spazzatura, l’accumolo e l’affastellamento hanno sostituito forme più alte di organizzazione come la gerarchia degli spazi e la composizione”. [18] Non resta che parlare quindi delle Enclosed Town, banalmente definiti centri commerciali, sono delle vere e proprie “città orizzontali” che si estendono per migliaia di mq. Creati al massimo su quattro o cinque livelli, i “Mega Mall”, offrono alla popolazione tutti i servizi che una città (vera) può loro promettere. Divisi in zone, come fossero quartieri, ospitano un numero di attività sbalorditivo: negozi, ristoranti, bar, cinema, spa, aree relax, uffici, centri sportivi, parchi di divertimenti, banche, sale di preghiera e molti altri servizi. 50

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[...] la cultura italiana è percepibile solo con l’immaginazione [...]

L’esempio che merita decisamente una visita è senza dubbio “il Villaggio”. una struttura interamente dedicata a Venezia, gondole comprese. Si, gli arabi amano l’Italia. Come non rendere omaggio al Bel Paese con un copia (decisamente fantasiosa) di Venezia? Pareti di cartongesso ricreano le facciate delle case venete, con i balconi e le finestre, un canale navigabile (letteralmente con una gondola) percorre tutta l’asse principale; archi e colonne dagli stili bizzarri decorano la struttura, mentre il soffitto presenta nuvole bianche e un cielo azzurro, entrambi dipinti con cura. Se la cultura italiana è percepibile solo con l’immaginazione, è invece tangibile quella statunitense, in particolare torna alla mente il contesto di Las Vegas o di Disney World, un luogo dove ll’esagerazione è tutto. “Less is a bore”. [19]

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La mancanza di un’urbanistica storica unita alle temperature spesso insopportabili, fanno di Doha un luogo privo di spazi di ritrovo urbani; aree cittadine accessibili in modo agevole, come i centri città, in Qatar non sono ancora concepiti. Per questo motivo i grandi centri commerciali, il mercato vecchio e Katara, diventano le uniche mete per il semplice ritrovo. Si può dunque affermare che a Doha manca a tutti gli effetti un vero e proprio centro città. La divisione in distretti, ognuno dei quali raggiungibile esclusivamente in auto, crea quindi una “città nella città”.

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West Bay 60

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Katara 72

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Villaggio Mall 90

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Capitolo 2 La città sperimentata Il modello di Kevin Lynch “Che cosa significa effettivamente per i suoi abitanti la forma di una città?”[20] “Sembra che per ogni città data esista un’immagine pubblica, che è la sovrapposizione di molte immagini individuali. O forse vi è una serie di immagini pubbliche, posseduta ciascuna da un certo numero di cittadini.”[21] Ne “L’immagine della città” Lynch sostiene che le persone nei contesti urbani si orientino per mezzo di mappe mentali. Egli analizza tre città americane: Boston, Jersey City e Los Angeles analizzando come le persone leggano consapevolmente o meno, l’urbanistica delle stesse. Il concetto centrale è quello di leggibilità, uno strumento che esprime la misura in cui il paesaggio urbano può essere letto; 96

la gente che si muove nella città innesca automaticamente un processo di individuazione del percorso. Gli elementi minimi rintracciati da Lynch sono: -Percorsi, itinerari lungo i quali le persone di muovono -Margini, confini e interruzioni della continuità -Quartieri, aree urbani relativamente ampie -Nodi, punti di interesse strategico -Riferimenti, punti di esterni di 22 orientamento [ ]

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[...] Il lavoro fu quello di portare a termine due analisi fondamentali [...]

“[...] per comprendere il ruolo delle immagini ambientali nelle nostre vite abbiamo dovuto guardare attentamente a qualche area urbana e parlare con i suoi abitanti. Dovevamo sviluppare e mettere alla prova il concetto di figurabilità e anche venire a sapere, attraverso il confronto dell’immagine con la realtà visiva, quali forme conducono ad immagini marcate, per poi suggerire qualche principio di disegno urbano. Il lavoro fu quello di portare a termine due analisi fondamentali: un sistematico sopralluogo, condotto a piedi nell’area, prendendo nota di ogni particolare vantaggio o difficoltà nella struttura potenziale dell’immagine. Una lunga intervista tenuta con un campione ridotto di cittadini per scoprire le immagini individuali che essi possedevano del loro ambiente fisico.”[23] Ed è proprio al modello di Lynch su cui il secondo capitolo si basa. Ho provato a sperimentare le sue teorie, interrogando i cittadini di Doha ed esplorando a piedi il distretto di West Bay. 100

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[...] Può disegnarmi l’immagine mentale che ha della città? [...]

Di nazionalità e di ceti sociali differenti, i dieci intervistati, totalmente casuali, hanno interpretato la città, naturalmente basando la loro breve analisi sui punti e sulle esperienze a loro più familiari. Le persone che ho intervistato sono state: - studentessa di ingegneria, donna, libanese, presso la Carnegie Mellon University - taxi driver, uomo, indiano - chef, uomo, siriano - businessman, uomo, libanese - hotel manager, uomo, qatarino - tourist (familiare di un lavoratore), donna, americana - shop manager, donna, francese - salesperson, uomo, pakistano - building contractor, uomo, arabo - professore universitario, uomo, indiano, presso Qatar University 102

La domanda è stata per tutti la stessa: “Può disegnarmi l’immagine mentale che ha della città?” dando loro in mano block notes e matita. Dopo alcune comprensibili esitazioni, dai disegni è emerso che chi non possiede un’auto e si sposta utilizzando esclusivamente il taxi come la studentessa, la shop manager europea, il professore universitario e la turista, tende a disegnare la città utilizzando i riferimenti come i grandi edifici, l’aeroporto e i quartieri. Essi si soffermano infatti sulle zone da loro più frequentate: West Bay, il Souq, i due grandi centri commerciali, Katara e l’università. 103


Il professore universitario a differenza delle tre ragazze ha delimitato la città all’interno di un rettangolo, con all’interno gli anelli stradali, spiegando che Doha è chiusa da due barriere naturali, il mare e il deserto. Forma simile utilizzata anche dall’imprenditore immobiliare, il quale ha creato una griglia nella quale evidenzia i quartieri più in via di sviluppo per quanto riguarda i progetti urbani. Prendendo come riferimento solo i grattacieli in cui essi lavorano e qualche zona più estesa, il businessman, lo chef, il manager mostrano la parte della città più simbolica, i primi soffermandosi più su West Bay centro della vita lavorativa della città; il secondo sui quartieri più turistici (Souq e Katara). Tutti e tre muniti di auto riportano, in modo abbastanza casuale, le principali vie; le strade che vengono sempre riportate sono i ring che circondano la città. 104


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Il commerciante, si sofferma più di tutti sul distretto di West Bay, disegna uno zoom del quartiere, segnalando il grand numero di grattacieli e accenna agli anelli stradali. Il più esperto per quanto riguarda la struttura stradale di Doha è senza dubbio il tassista. Indica con precisione le vie principali e i quartieri più popolati. Spiega poi che la città è comunque in continuo cambiamento, gli interventi stradali sono così numerosi che il traffico è decisamente un problema. In ogni disegno, emerge una linea comune a tutti gli intervistati, essi infatti rappresentano pressochè allo stesso modo il margine della baia, delineando la forma tondeggiante del litorale, disposizione ad anelli della città e i quartieri più importanti.

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[...] Ho deciso allora di effettuare un sopraluogo a piedi [...]

Dalle interviste emerge una conoscenza abbastanza scarsa di Doha. Soprattutto per quanto riguarda la viabilità stradale (eccetto per il tassista), pare che le persone conoscano bene quartieri e riferimenti ma decisamente poco cioè che sta al di fuori da questi. I nodi e i percorsi urbani vengono per la maggior parte delle volte non inseriti affatto, mentre per quanto riguarda i margini, gli unici ad essere rappresentati sono quelli con il mare e il deserto. Mi chiedo dunque com’è possibile che sia così difficile muoversi e quindi assorbire la città in tutte le sue sfaccettature urbane. Ho deciso allora di effettuare un sopraluogo a piedi, nel distretto più “vivo” e più citato durante le interviste: West Bay.

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[...] È la città stessa a impostare il senso di marcia [...]

Partito dall’Ezdan Tower alle 11.00, entro subito in un’area residenziale dove percepisco uno stacco visibile dalla zona dei grattacieli a quella delle abitazioni. La cosa particolare è la mancanza di continuità dei marciapiedi nonostante il circondario sia composto da ville unifamiliari. Avanzando di un centinaio di metri la via si immette in una strada a 3 corsie per lato; agli estremi sono presenti però dei percorsi pedonali che si protraggono per circa un chilometro. Per tutta la lunghezza del tratto si nota subito la mancanza di attraversamenti pedonali, le persone per trasferirsi da un lato all’altro sono costrette a scavalcare il guardrail. È la città stessa a impostare il senso di marcia. Per arrivare nel cuore di West Bay, è necessario allungare il tragitto di un altro chilometro, procedendo su un marciapiede estremamente stretto, interrotto dai numerosi lavori lungo la strada. Giunto nel centro del distretto incontro una nuova ostruzione: i cantieri. Valicarli diventa decisamente complicato, e mi 118

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[...] perché ti sposti a piedi? [...]

trovo a deviare il percorso allungandolo ulteriormente. Alla domanda della polizia locale (!!!) “…perché ti sposti a piedi?” dopo essere stato fermato per controlli, capisco che camminare in una città decisamente concepita per le auto diventa perfino sospetto. Oltre ad essere vista come un’attività anomala, camminare risulta anche pericoloso, soprattutto nelle ore di punta dove il traffico diventa incredibilmente congestionato; la mancanza di disciplina e l’alto numero di automobili fanno di Doha una città con un alto tasso di incidenti stradali [24]. Il sopralluogo si conclude tornando all’Ezdan Tower alle 13.15: 7,5 km in 135 minuti.

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Se “l’esplorazione” ha risposto alle domande sulla viabilità ne ha scaturite delle altre su un piano urbano/sociale: Chi abita Doha? O meglio, è possibile che la città sia un luogo dal carattere bipolare? Chi sono le persone che vivono la strada? E quelle che vivono la città? Ho continuato quindi l’esplorazione, ora però da un punto di vista sociale. Sebbene siano cordiali, discutere con i qatarini risulta alquanto complicato ed ermetico se ci si inoltra in tematiche delicate come eventuali problemi sociali del paese. In cerca di risposte vere, mi sono rivolto a persone che sì abitano Doha, ma essendo cresciute in realtà decisamente lontane da quella araba, hanno un occhio critico e soggettivo rispetto ai pro e contro della città. Questi lavoratori stranieri vengono definiti Expat [25].

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[...] costretti a diventare dei veri e propri schiavi. [...]

È emerso che la capitale del Qatar è divisa praticamente in caste: una scala gerarchica dove all’apice del potere troviamo l’Emiro, in altre parole il leader massimo della città. A seguire i Locals, i qatarini dalla nascita. Questa porzione di popolazione gode di un numero molto elevato di benefici pubblici; al centro della piramide troviamo l’Upper class, coloro che sfruttano la ricchezza del paese per fare businness. Immediatamente dopo fanno seguito i lavoratori temporanei, quasi sempre giovani professionisti che iniziano la loro carriera trascorrendo alcuni anni in Qatar. Al penultimo posto troviamo i lavoratori arabi non Qatarini i quali seppur tra le ultime posizioni distaccano e di molto la condizione della classe più “bassa” : i lavoratori asiatici e africani. Provenienti dalle zone più povere dell’India, dell’ Africa e dell’Asia, vengono assunti come operai nelle grandi società, trovandosi il più delle volte costretti a diventare dei veri e propri schiavi. 124

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[...] Il reclutamento del personale straniero avviene attraverso un sistema che si chiama Kefala [...]

“Il reclutamento del personale straniero avviene attraverso un sistema che si chiama Kefala -sponsorizzazione- ed è l’unico mezzo attraverso il quale un lavoratore può entrare a lavorare nei paesi del Golfo. La sua responsabilità è assicurarsi che venga concesso il visto al potenziale lavoratore del quale, poi, insieme alla società di reclutamento, si valuterà il possesso dei requisiti richiesti dall’azienda. I lavoratori devono pagare di tasca propria gli agenti di reclutamento prima di giungere nel paese in cui andrà a prestare la propria manodopera. Durante la prima fase, il migrante firma il contratto di lavoro con un certo salario, ma poi, molto spesso, all’arrivo in Qatar scopre che quell’accordo non ha più valore ed è obbligato a firmare un altro che prevede una paga di gran lunga inferiore. Lo straniero, una volta entrato nel paese, non può più cambiare occupazione se non con il consenso del suo sponsor, il quale ha il potere di denunciare il suo sottoposto per diserzione, condannandolo al carcere.” [26] 128

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È questa allora la faccia nascosta di Doha? Una cattedrale del deserto sorretta da un esercito di sfruttati? Ebbene si. “WELCOME TO DOHA”. Nel 1927 la mente di Fritz Lang concepisce “Metropolis” un lungometraggio fantascientifico, ambientato in una metropoli futuristica: grattacieli moderni, ponti sospesi, automobili, macchine volanti, tecnologia avanzata e schiavi. “Ci viene sbattuto davanti agli occhi un brulicare di operai lavoratori in un contesto di massificazione estrema, reso ancora più incisivamente dal fumoso ambiente claustrofobicamente sotterraneo e chiuso. Di fronte abbiamo degli uomini meccanici i cui movimenti ipnoticamente ritmici ci costringono a pensare di essere in errore e che siano invece macchine dall’aspetto di uomini. L’abbruttimento a cui sono ridotti si ripercuote ovviamente anche al termine del turno di lavoro e, infatti, poco dopo li vediamo scendere dalle scale come manichini lobotomizzati 130

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[...] Emerge un nuovo magnete [...]

mantenendo lo stesso ritmo di catena di montaggio.”[27] Il film di Lang rispecchia in tutto e per tutto la condizione di Doha e la sua doppia personalità: da un lato lo sfarzo e il progresso, dall’altro la nuova condizione di schiavismo moderno. Emerge un nuovo magnete parallelo ma opposto al precedente, la calamita in questo caso non è protesa verso le persone, ma è capovolta: una realtà presente ma apparentemente nascosta. Mi chiedo dunque, se Doha è abitata dalle prime cinque posizioni della piramide sociale, dove si trova il sesto e ultimo gruppo? Il popolo che vive ogni giorno strade e cantieri dove si nasconde? Nasce quindi la quarta realtà: “Hidden town”.

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Capitolo 3 La città nascosta “Slum: quartiere della periferia cittadina, molto povero, costituito da abitazioni misere e fatiscenti.” [28] Londra XIX secolo: “Il passaggio da un’economia agricola e artigianale ad una industriale implicò un forte inurbamento dovuto all’enorme domanda di mano d’opera che la mutata realtà produttiva richiedeva. La nuova classe operaia nata in questo modo si addensa nelle grandi città imponendo

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radicali cambiamenti nella struttura e nell’organizzazione delle stesse. In realtà all’inizio il problema è affrontato con sufficienza dotando le aree periferiche di case a schiera e palazzi, ammassati gli uni agli altri, senza alcun tipo di controllo o di pianificazione. […] Veri e propri paesi che sorgevano attorno ad un nucleo centrale, le fabbriche. Trasferiti con le famiglie, i lavoratori acquistavano casa nei quartieri periferici industriali, così da essere al più stretto contatto, loro malgrado, con il posto di lavoro. I ghetti operai sorti nelle periferie delle grandi città industriali inglesi, iniziarono ben presto a soffrire di problemi igenico-sanitari dovuti all’eccessivo ammassamento di persone

in un unico luogo privo di efficienti metodi di smaltimento rifiuti, determinando spesso diffuse epidemie.[…] Il problema quindi iniziò ad essere affrontato dalle amministrazioni preoccupate in verità soprattutto dalle violente insurrezioni degli operai che, forti dell’appoggio di filosofi come Hengel o Marx e aiutati dai primi sindacati sorti in loro tutela, rivendicavano un maggior interessamento dallo stato alla loro causa.” [29] Motivi questi che hanno portato ad una ricerca di progetti urbanistici mirati alla salvaguardia delle classi più povere, teorie che prevedevano città più sane e vivibili. L’esempio più significativo sono senza dubbio le teorie sulla “Città Giardino” di Howard. 135


[...] Avete mai visto un documentario o un reportage sulle condizioni di vita dei lavoratori in Qatar?[...]

Doha 2014. Sono le 19.00 e come da un formicaio, cominciano ad uscire, dai colossali cantieri, frotte di operai. Sfiniti, si fanno posto sulle corriere parcheggiate sul ciglio della strada. Saliti tutti, partono. Avete mai visto un documentario o un reportage sulle condizioni di vita dei lavoratori in Qatar? Immagino pochi. Come mai è così difficile trovare informazioni su queste persone? Perfino nell’universo sconfinato di internet è piuttosto complicato riuscire a scovare materiale di questo tipo. L’immaginario collettivo, alla parola “metropoli arabe”, si ferma allo sfarzo e al lusso che queste possono offrire; è difficile considerare quella dimensione parallela - praticamente nascosta - nella quale lo sfruttamento e il degrado sociale vengono censurati. Dimensione questa rappresentata dalla classe operaia. 136

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[...] Guadagno meno della metà di quanto promesso. [...]

Emigrano dai paesi più poveri del Sud-Est Asiatico, sono manodopera a basso costo utilizzata per lo sviluppo del Paese. “Lavorano 10 ore al giorno nei cantieri e guadagnano meno di 200 dollari al mese, fra l’altro non garantiti: fra le violazioni riportate nell’inchiesta del Guardian vi sono il mancato pagamento dello stipendio e il ritiro del passaporto. Sono costretti a lavorare anche con temperature che superano i 40 gradi e molti hanno denunciato di non aver accesso ad acqua potabile.” [30] “La storia di Pascual, 38 anni, filippino, è esemplare: << A Manila mi avevano garantito uno stipendio di 1.400 ryal (280 euro), vitto e alloggio. Ho due figli, ho detto sì subito. Mi sono indebitato per sei mesi di lavoro. In Qatar ho consegnato il passaporto allo sponsor, che mi aveva fatto venire e garantiva per me. Guadagno meno della metà di quanto promesso. Inutile fare denuncia: non ho più i miei documenti. 140

Lavoro 12 ore al giorno, non ho assicurazione o una tessera sanitaria. Se rinuncio a due mesi di stipendio, mi restituiranno il passaporto. Ma chi paga il ritorno? >>” [31] Siamo di fronte quindi ad una ad una schiavitù moderna, in molti aspetti simile a quella utilizzata per costruire le piramidi 4000 anni fa.

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[...] Fifa World Cup 2022[...]

Un evento imperdibile nel calendario qatarino è segnato per il 2022. I Mondiali di Calcio. Fissato provvisoriamente tra il 15 novembre e il 15 gennaio, il campionato del mondo porterà nella capitale del Qatar - come già da programma, - una serie di mega progetti da 200 miliardi di dollari. Stadi all’avanguardia, linee metropolitane e molte altre infrastrutture. La città quindi acquisirà sempre di più un’importanza globale non solo per quanto riguarda le risorse energetiche ma anche per quelle urbanistiche e strutturali. Miliardi di dollari investiti quindi per dare a Doha un volto ancora più appariscente e moderno, incarichi colossali gestiti da archistar come Rem Koolhaas e Zaha Hadid. “Sarà lo studio OMA a realizzare il masterplan per l’ampliamento della città di Doha. Si tratta di un progetto immenso e molto ambito che vedrà la costruzione di una gigantesca fetta di terra adibita a business area e a quartieri residenziali. Anche con i velocissimi tempi di costruzione delle città degli 144

Emiri, per portare a termine la prima parte del progetto ci vorranno quasi 10 anni, ovvero appena in tempo per i mondiali di calcio.”[32] Se da un lato lo stupore e le attese per questo mondiale sono altissime, dall’altro gli scandali su corruzione e sfruttamento sono altrettanto elevati. La “Fifa World Cup 2022” diventa quindi uno degli esempi più tragici di schiavitù moderna.

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[...] Un record raccapricciante [...]

L’ambasciatore nepalese in Qatar Maya Kumari Sharma ha recentemente descritto l’emirato come un carcere aperto. “Più di 500 lavoratori migranti indiani sono morti in Qatar dal gennaio 2012, rivelando per la prima volta la scala scioccante di morti tra coloro che costruiscono le infrastrutture per la Coppa del Mondo. […] I dati dell’ambasciata indiana mostrano che 233 indiani sono morti nel 2010 e 239 nel 2011, portando il totale in quattro anni a 974.” [33] “Secondo i dati dell’ambasciata del Nepal a Doha, sarebbero 44 i nepalesi morti in Qatar tra il 4 e l’8 agosto 2013, di cui più della metà per infarto o incidente sul lavoro. […] Il giorno seguente, l’ambasciata dell’india a Doha ha fatto sapere che quasi ogni giorno d’agosto in media è morto un cittadino indiano.” [34] Un record raccapricciante che prevede entro il 2022 un numero di vittime sul lavoro pari a quelle del World Trade Center.

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[...] Vorrei andare a casa ma non posso [...]

Una città sostenuta, quindi, da un esercito di uomini usa e getta. Ma dove vivono queste persone? Dove vengono portate al termine del turno di lavoro? Scoprirlo durante il viaggio per me è stato impossibile. Per accedere all’interno degli alloggi operai è necessario avere una serie di permessi che ad uno studente per di più straniero non è concesso avere in alcun modo. Ho dovuto quindi appoggiarmi alle immagini e alle testimonianze estratte da un reportage prodotto da Espn: Qatar World’s Cup (2013). Squallore e disagio sono i protagonisti indiretti di questo documentario, che offre una testimonianza senza filtri su uno dei tanti campi nell’estrema periferia della città. Sono luoghi privi di ogni norma igienica, container ammassati in cui molto spesso manca acqua corrente ed elettricità. Per dormire sono costretti in stanze minuscole, il più delle volte condivise da una dozzina di persone. 150

Le cucine e i servizi sono luoghi disgustosi e malsani a rischio di gravi infezioni. “I lavoratori intervistati denunciano il fatto che non sono stati pagati e che la loro situazione è difficile anche con le loro famiglie, visto che non riescono a mandare i soldi che spetterebbero loro per quanto svolto. <<Vorrei andare a casa ma non posso pagarmi il biglietto, è da un anno che non mi pagano”, dice un uomo visibilmente provato.”[…]

le famiglie: <<Quando ci chiamano e ci chiedono i soldi, io gli devo spiegare che qui non ci pagano. Spesso mi chiedono perché sono venuto a lavorare qui se non mi danno i soldi.>>”[35]

“<< Siamo costretti a lavarci con le taniche di acqua salata e quella che beviamo non sarebbe potabile>> dice un altro operaio. Altri ancora denunciano le difficoltà con 151


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[...] Una città che punta alla velocità [...]

Uomini tenuti in trappola, senza possibilità di fuga. Doha diventa quindi una città dalla doppia faccia: una consona alle esigenze dell’uomo (delle classi posizionate nella punta della piramide), l’altra esigente di uomini, di forza lavoro sacrificabile. Una città che punta alla velocità, senza preoccuparsi del prezzo da pagare. “Nel mio primo manifesto (20 febbraio 1909) io dichiarai: la magnificenza del mondo s’è arricchita di una bellezza nuova, la bellezza della velocità. Dopo l’arte dinamica la nuova religionemorale della velocità nasce in quest’anno futurista della nostra grande guerra liberatrice. La morale cristiana servì a sviluppare la vita interna dell’uomo. Non ha più ragione d’essere oggi, poiché s’è svuotata di tutto il Divino.” [36] Il movimento futurista, concepito da Marinetti prende piede verso il 1909 con il Manifesto Futurista, un elogio alla velocità e al progresso. 168

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Come Marinetti, Sant’Elia ipotizza nel Manifesto dell’Architettura Futurista, seppur utopisticamente, la città Futurista: una nuova civiltà industrializzata dove le macchine vengono eroicizzate. Un’esagerazione, vista ai giorni nostri, ma che in realtà non si discosta molto dalla realtà dei fatti. “[...] Nella vita moderna il processo di conseguente svolgimento stilistico nell’architettura si arresta. L’architettura si stacca dalla tradizione. Si ricomincia da capo per forza.” [37] Se ci pensate Doha non è un classico esempio di città futurista reale? Alla luce di quanto detto fino ad ora, il progresso inarrestabile e le risorse inesauribili unite all’oppressione e allo sviluppo urbano senza controllo non sono alle basi di questa città?

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Conclusioni Doha? Dov’è? La capitale del Qatar?...ah…Ma è vicino a Dubai vero?” E tu prima di arrivare a leggere questo capitolo, sapevi cosa fosse Doha? Io stesso devo ammettere che, nonostante abbia realizzato questo reportage, non riesco ancora a definire questa città. Mi spiego: se Doha fosse un essere vivente come lo descrivereste? Lo mettereste nella lista dei buoni o dei cattivi? Catalogare un paese così giovane, che è solo all’inizio del suo sviluppo, non è cosa semplice; non è facile essere del tutto oggettivi e non è così immediato fare un confronto diretto con altre città. Dubai, è “araba”, è sorta nel deserto e ostenta la sua ricchezza: potrebbe ricordare Doha? Forse. La piramide sociale in sostanza è quella, gli eccessi 172

pure, ma allora perché non è corretto posizionarle sullo stesso piano? Prima di tutto Dubai è basata sul turismo e sul mercato immobiliare; è difatti la metropoli delle grandi sfide al nuovo: la prima ad avere una località sciistica al coperto, la prima ad avere un hotel galleggiante e la prima a superare gli 800 metri di altezza con il grattacielo più alto del mondo, il Burj Khalifa. Parallelamente è reduce da una grave crisi finanziaria, un crash da 100 miliardi di dollari e prestiti esorbitanti chiesti ad Abu Dhabi (l’emirato limitrofo), il cui emiro ha finanziato la costruzione del Burj Dubai, chiamato poi in suo onore Burj Khalifa (letteralmente: Torre dell’emiro Khalifa). 173


[...] la nuova terra delle opportunità [...]

Doha quindi sebbene decisamente meno popolare è di gran lunga più ricca, e indiscutibilmente immune a qualsiasi crisi economica. L’emiro Tamin bin Hamad al-Thani mira a rendere Doha una “città globale”, il servizio metropolitano, gli stadi, i quartieri di ultima generazione sono solo alcuni degli obiettivi che faranno ascendere la città nei prossimi anni. Il fatto che Doha sia una fucina di progetti colossali distribuiti in una sola decade crea un numero elevatissimo di posti di lavoro mirati ai professionisti stranieri. La corsa per raggiungere il futuro per primi, unita alla completa decontestualizzazione rispetto al territorio, rende Doha una città malleabile: una sorta di tela bianca dove ognuno può aggiungere la propria firma. Il Qatar dunque diventa “la nuova terra delle opportunità”; se 174

[...] gli uomini-macchina sono semplicemente uomini [...]

una volta si cercava fortuna oltre oceano, oggi si è certi di trovarla nei paesi del Golfo Persico. Alla luce di quanto riportato nel terzo capitolo però, Doha è in realtà una città “Iceberg”. Se ci immergiamo per un attimo sott’acqua - dimenticando il progresso e il benessere in superficie - ci troviamo davanti alla faccia oscura di Doha, la dimensione in cui vivono e lavorano gli operai. Uomini privati dei propri diritti e della propria libertà, costretti come schiavi a lavorare senza sosta, temendo ogni giorno per la propria vita. La culla del progresso economico è allo stesso tempo una trappola per chi vuole sfuggire dalla povertà. Attraente e

generosa per chi la progetta, diventa un luogo di oppressione per chi la costruisce. Ma la velocità con cui cresce la città è direttamente proporzionale allo sviluppo sociale? Doha è senza dubbio la città istantanea: senza la costrizione del passato come accade in quasi tutto il resto del mondo, può espandersi e mutarsi senza scendere a compromessi. Voi tra 50 anni costruireste un grattacielo accanto al Colosseo? Per molti la mancanza di una tradizione architettonica è un vuoto incolmabile; probabilmente però è proprio questo che potrebbe fare di Doha la città del domani.

Il passato non viene visto nè in chiave nostalgica nè in chiave critica. Il passato non esiste, l’interesse è solo verso il futuro. Ma il futuro per essere definito tale deve comprendere tutti gli aspetti dell’evoluzione umana, sia essa tecnologia, sia essa sociale. Se Doha fosse un’ambientazione per un film di fantascienza, allora sì, la possiamo considerare come città del futuro: uomini macchina usa e getta utilizzati nelle operazioni edilizie più faticose e pericolose, veri e propri “oggetti” utilizzati dalle menti più preparate per creare un luogo avveniristico pensato per i più fortunati. Pensandoci, Doha è proprio questo, con la differenza che gli uomini-macchina sono semplicemente uomini, e non replicanti. Se la libertà è il diritto dell’anima di respirare, Doha è una città che toglie il fiato. 175


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Lynch K., L’immagine della città Coccia F., Commento sul libro “L’immagine della città” Lynch K., L’immagine della città , Left.com, Doha: una città da schianto

Note

di Thiene D., Salute Internazionale.info, Le nuove piramidi 1 Black I.,

Ferrigni S

World Cup Slaves

Body Metropolis

Baraldi A., Analisi della città Europea, 5 Rizzo A.

Limes, Qatar 2022: gli schiavi (immigrati) valgono un mondiale,

Delirious Doha Calandri M.

6 Lonely Planet.it, Qatar

Oma chosen to masterplan Airport City in Qatar

Doha: viaggio nella capitale del Qatar, tra lusso e mare Rizzo A.

Delirious Doha

9 Rizzo A.

Delirious Doha

10 Wright H., Istant Cities, Rizzo A.

Limes, Qatar 2022: gli schiavi (immigrati) valgono un mondiale, Intorcia F.S. pg. 16

11 Koolhaas R., Delirious New York, Delirious Doha

Qatar

Il Mondiale degli schiavi

D’Alessio M.

Vorrei tornare a casa ma non posso

Marinetti F.T., La nuova religione-morale della velocità, 11 maggio 1916 Sant’Elia A., L’Architettura Futurista

Koolhaas R., Delirious New York, Rizzo A.

Delirious Doha Dubai’s Palm

16 Loos A., Ornamento e Delitto Ingels B., Yes is More Ingels B., Yes is More 19 Ingels B., Yes is More Lynch K., L’immagine della città 178

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Ringraziamenti Koolhaas R. Koolhaas R. Davis M. Sechi B. Lynch K Ingels B. Wright H. Rendgen S. e Wiedemann J.

La Qatar University e la Carnegie Mellon University per avermi accolto.

revisioni.

svolgimento del lavoro.

fare. Il piÚ grande ringraziamento è rivolto a mia sorella Valeria. 180

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