Tesi di Magistero

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PONTIFICIA FACOLTÀ TEOLOGICA DELL’ITALIA MERIDIONALE – NAPOLI ISTITUTO SUPERIORE DI SCIENZE RELIGIOSE – MATERA

TESI DI MAGISTERO IN SCIENZE RELIGIOSE

La santità nella vita ordinaria in San Josemaría Escrivá

RELATORE: Prof. MANZOLI CONSUELO CANDIDATO: BUFANO GIUSEPPE

ANNO ACCADEMICO 2003-2004


A San Josemaría Escrivá

“Lì dove sono le vostre aspirazioni, il vostro lavoro,

lì dove si riversa il vostro amore, quello è il posto del vostro quotidiano incontro con Cristo. È in mezzo alle cose più materiali della terra che ci dobbiamo santificare, servendo Dio e tutti gli uomini. Dall’omelia “Amare il mondo appassionatamente”.


INTRODUZIONE San Josemaría nacque nel 1902 a Barbastro (Spagna). Ordinato sacerdote all’età di 23 anni, trascorse i suoi primi anni di ministro di Dio a Madrid per poter ottenere il dottorato in giurisprudenza. Questa diverrà poi una prerogativa per i suoi seguaci che vorranno ricevere il sacerdozio, quella cioè di ottenere una laurea civile oltre agli studi teologici. A Madrid, in seguito a una illuminazione divina, fondò l’Opus Dei che aprì, nella storia della Chiesa, un nuovo cammino verso la santità: una santità non più per privilegiati, ma per tutti1. L’Opera nata per volontà di Dio invita tutti i suoi membri a camminare verso il traguardo della santità, mediante la santificazione del proprio lavoro e delle cose ordinarie e, con esse, alla santificazione degli altri. Non è necessario compiere azioni straordinarie per diventare santi. Diceva Albino Luciani, futuro Papa Giovanni Paolo I, in riferimento a una predicazione di san Josemaría, che il Signore vuole da noi tanta bontà, e vuole che la raggiungiamo «con azioni comuni; è il modo di eseguire le azioni, che deve essere non comune»2. È nel mondo, nel proprio stato della vita ordinaria che ogni cristiano deve santificarsi, elevando Cristo in cima a tutte le attività umane. Accusato di massoneria mons. Escrivá godette sempre dell’appoggio di molti vescovi e del pontefice, sino ad ottenere nel 1950 l’approvazione pontificia definitiva con la quale l’Opus Dei fu eretto come primo Istituto Secolare. Non solo. Il Concilio Vaticano II fu significativo in quanto confermò quello che san Josemaría aveva predicato già trent’anni prima: la proclamazione universale alla santità. 1

Cfr. ESCRIVÁ JOSEMARÍA, Lettera del 24.03.1930, in OCÁRIZ FERNANDO, Vocazione alla santità in Cristo e nella Chiesa, in AA.VV., Santità e mondo, Atti del Convegno teologico di studi sugli insegnamenti del beato Josemaría Escrivá (Roma, 12-14 ottobre 1993), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1994, p. 32. 2 LUCIANI ALBINO, Cercando Dio nel lavoro quotidiano, in Gazzettino di Venezia del 25.07.1978, in FARO GIORGIO, Il lavoro nell’insegnamento del beato Josemaría Escrivá, Agrilavoro Edizioni, Roma 2000, p. 5.


CAPITOLO PRIMO

San Josemaría Escrivá de Balaguer


1.1 SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ DE BALAGUER San Josemaría Escrivá nacque a Barbastro (in provincia di Huesca – Spagna) il 9 gennaio 1902. I suoi genitori si chiamavano José e Dolores. Ebbe cinque fratelli: Carmen, la primogenita, María Asunción, María de los Dolores e María del Rosario, tre sorelle più giovani di lui che morirono in tenera età, e Santiago. Originari di Narbona, nella Francia meridionale, gli Escrivá attraversarono i Pirenei per fermarsi nella zona di Lerida, terra catalana al confine con l’Alta Aragona. Coloro che rimasero nella regione aggiunsero al cognome il “de Balaguer”, mentre un altro gruppo proseguí per Valencia, dopo la presa della città da parte di re Giacomo I, il Conquistatore, nel 12383. Josemaría discendeva dal ramo catalano e ottenne di aggiungere al cognome Escrivá il “de Balaguer”. Ringraziando il Signore per essere venuto alla luce in una famiglia cristiana descrive la sua origine con le seguenti parole: “Dio nostro Signore ha fatto in modo che la mia vita fosse normale e comune, senza nulla che chiamasse l’attenzione. Mi ha fatto nascere in un luogo cristiano, come sono soliti quelli del mio Paese, da genitori esemplari che praticavano e vivevano la loro fede4”. Don José era commerciante di tessuti; uomo rispettoso e generoso con i bisognosi, man mano veniva soprannominato San José per la sua bontà. Dolores,

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Cfr. TORNIELLI ANDREA, Escrivá Fondatore dell’Opus Dei, Ed. Piemme, Casale Monferrato (Al) 2002, p. 14. ESCRIVÁ JOSEMARÍA, Meditazione 14-II-64, p. 53, in Meditaciones, Scritti inediti 7, Roma 1986, in TORNIELLI A., Escrivá cit., p. 13; cfr. VÁSQUEZ DE PRADA ANDRÉS, Il fondatore dell’Opus Dei. La biografia del beato Josemaría Escrivá, vol. 1, Leonardo International, Milano 1999, p. 11. 4


chiamata donna Lola, bella ed elegante, si distingueva per la pazienza e il buon carattere. Non ancora compiuti due anni dalla nascita, Josemaría ebbe un’influenza acuta che avrebbe potuto condurlo alla morte. Ritenuto ormai inguaribile dai medici, la mamma Dolores fece un voto alla Vergine di Torreciudad, con la promessa che si sarebbe recata in pellegrinaggio con il bambino se si fosse salvato. Trascorsa la notte il bambino era completamente guarito e mamma Dolores e papà José compirono la promessa: Josemaría venne affidato alla speciale protezione della Madonna. In seguito donna Lola più volte ripeté questo episodio al figlio dicendogli che la Vergine Maria lo aveva guarito per fare di lui qualcosa di grande. «I figli degli Escrivá crescevano in un ambiente di pietà naturale, senza bigotteria. Dio, Gesù, i santi non erano visibili, ma erano realmente presenti nella loro vita. […] I genitori li incoraggiavano nel rapporto con Dio, con i suoi angeli e i suoi santi. Il piccolo Josemaría aveva imparato le preghiere proprie dei bambini, sapeva recitare il Rosario e dire la Salve; ogni tanto, insieme con la sorella Carmen, accompagnava il padre a Messa»5. In quegli anni la famiglia è profondamente colpita dalla morte delle figlie più piccole: María del Rosario, a soli nove mesi di vita; María de los Dolores, chiamata Lolita, due anni più tardi. María Asunción, dopo una grave malattia, muore nel 1913. La scomparsa delle tre sorelle, dalla più piccola alla più grande, porta Escrivá ad una riflessione logica e tremenda: se fosse continuato il corso naturale di quelle morti, il

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BERGLAR PETER, Opus Dei. La vita e l’opera del fondatore Josemaría Escrivá, Rusconi Libri, Milano 1987, p. 24.


prossimo sarebbe stato lui. La mamma lo consolò poiché era stato affidato alla Madonna6. Dopo la morte delle tre figlie, la famiglia Escrivá affronta altre dure prove: il fallimento della società del padre. Nel giro di pochi mesi il benessere economico, di cui godeva la famiglia, scomparve: fu mandata via la bambinaia, la cuoca, i domestici e tutti coloro che erano alle loro dipendenze. Donna Lola si occupò dei servizi domestici, preoccupandosi di mantenere l’ordine in casa e in famiglia. Don José, dovendo risarcire i creditori, dovette vendere anche i suoi beni personali e la casa. Papà José si trasferì a Logroño, capitale dell’omonima provincia, dove incominciò a lavorare in un negozio di tessuti. Successivamente si trasferì tutta la famiglia. Un mattino d’inverno, durante le vacanze natalizie tra il 1917 e il 1918, scorse sulla neve, che nella notte aveva ricoperto le strade della città di Logroño, delle impronte di piedi scalzi. Erano le orme lasciate da padre José Miguel, del vicino convento dei carmelitani scalzi. «Questo segno, poco appariscente e tuttavia visibile, di un’umile donazione a Gesù Cristo, lo commosse profondamente; nel suo cuore nacque una profonda inquietudine e si sentì pervaso dal desiderio ardente di raggiungere un grande amore, o meglio, “il” grande Amore»7. «Le orme del carmelitano sulla neve si convertirono per lui in orme che guidano a Cristo, in orme nelle quali riconobbe i passi di Cristo stesso»8.

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Cfr. TORNIELLI A., Escrivá cit., p. 19; cfr. DOLZ MICHELE, San Josemaría Escrivá, 6 ottobre 2002, Ed. Ares, Milano 2002, p. 12. 7 BERGLAR P., Opus Dei cit., p. 30; cfr. DOLZ M., San Josemaría cit., p. 14; cfr. TORNIELLI A., Escrivá cit., p. 22. 8 Ibidem, p. 31.


Presto lo seguì in cerca di direzione spirituale. Certo di essere chiamato da Dio incominciò a rinnovare la propria vita: preghiera intensa, mortificazioni e penitenze, partecipazione alla santa messa quotidiana nutrendosi dell’Eucarestia. Il padre José Miguel lo esortò ad entrare nell’Ordine Carmelitano. Josemaría chiedeva al Signore di illuminarlo: «capiva però – e ne riceveva conferma nella preghiera – che Dio gli aveva preparato un’altra via. Per essere più disponibile alla volontà di Dio, decise allora di farsi sacerdote»9. «Pur non conoscendo il contenuto della sua vocazione, intuiva che per compierla, quale che fosse, gli era necessario il sacerdozio»10. Josemaría era l’unico figlio maschio e comprendeva bene che i suoi genitori avevano dei progetti per lui; egli un domani avrebbe tirato avanti la famiglia. La mamma e il papà non erano più giovani e da dieci anni non nascevano più figli. Il giovane Escrivá rivolse a Dio una preghiera perché i suoi genitori potessero avere un altro figlio maschio che avrebbe preso il suo posto nei loro progetti. All’età di sedici anni Josemaría entrò in seminario a Logroño (6 novembre 1918) come alunno esterno, com’era consuetudine per gli studenti che vivevano in città; dopo alcuni mesi la sua preghiera venne esaudita: il 28 febbraio 1919 nacque il fratello Santiago. Nel settembre 1920 Josemaría si trasferì dal seminario di Logroño a quello di Saragozza dove continuò gli studi teologici. Successivamente, nel 1923 inizia gli studi

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Registro Histórico Fundador 20166, p. 74, in BERGLAR P., Opus Dei cit., p. 31; cfr. DOLZ M., San Josemaría cit., p. 15. 10 BERGLAR P., Opus Dei cit., p. 31.


di giurisprudenza presso l’università statale «per essere disponibile e con buona formazione giuridica per quando Dio avesse manifestato la sua volontà»11. Gli anni trascorsi presso il seminario San Carlos di Saragozza furono duri, dovuti a forti contrasti con cui Josemaría venne a trovarsi. Era un giovane che amava l’ordine: il vestito e le scarpe ben puliti, si lavava ogni giorno… tutto questo destò stupore ai suoi compagni di seminario, i quali lo chiamavano il signorino. Altri nomignoli gli furono attribuiti per quanto riguarda la sua spiritualità: Rosa mystica dovuto alle frequenti visite che faceva alla Basilica del Pilar; il sognatore, perché trascorreva diverse ore in adorazione davanti al Santissimo Sacramento nella chiesa del seminario. Egli faceva finta di non ascoltare, però ne soffriva dentro. Nel 1924 Escrivá viene provato di nuovo dal dolore: la morte del padre. Ritornò a Logroño e si prese cura della mamma Dolores e dei fratelli Carmen e Santiago. Successivamente, la famiglia si trasferì a Saragozza e alla fine dello stesso anno Josemaría ricevette il diaconato. Dopo circa un mese e mezzo, il 20 febbraio 1925, Josemaría chiede al Vicario capitolare di Saragozza di essere ordinato sacerdote, anche senza l’età canonica. Accordata la dispensa, gli viene conferito il sacramento dell’ordine il 28 marzo 1925 per mano del vescovo mons. Miguel de los Santos Diaz Gómara, all’età di 23 anni. A pochi giorni dall’ordinazione gli fu affidato l’incarico di reggente ausiliare della parrocchia di Perdiguera, un paese di campagna di circa ottocento abitanti, distante pressappoco venti chilometri da Saragozza. Escrivá viene ospitato da una famiglia di contadini e durante la sua permanenza in questo paese, si rese conto della scarsa

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Positio. Biographia Documentata, p. 79, in TORNIELLI A., Escrivá cit., p. 25.


formazione spirituale e di quanti ignorassero il catechismo. Organizzò, così, corsi per adulti e bambini. Trascorsi sette mesi nella parrocchia di Perdiguera ritornò a Saragozza e rimase per due anni senza nessun incarico ufficiale. Questo era il tempo favorevole per recarsi a Madrid dove avrebbe completato gli studi giuridici ottenendo il dottorato. Ricevuto il permesso di risiedere a Madrid per due anni, Escrivá partì, «fermamente deciso a portare avanti i propri progetti, seguendo i suggerimenti interiori della grazia che gli indicavano il trasferimento a Madrid come una tappa che lo avrebbe avvicinato alla risposta che il Signore intendeva dare al suo “Signore, fa che io veda!”»12. A Madrid gli veniva data la possibilità di celebrare la S. Eucarestia nella chiesa di San Miguel. Non potendo esercitare al meglio il suo ministero si trasferì presso le Dame Apostoliche del Sacro Cuore, una istituzione religiosa che aveva una casa per sacerdoti. Donna Luz Rodriguez Casanova, fondatrice delle Dame Apostoliche, fece ottenere l’incarico di cappellano della chiesa del Patronato de Enfermos, dove venivano assistiti poveri, moribondi e bambini abbandonati. Tale incarico non lo distolse dallo studio di giurisprudenza, né dal lavoro di insegnamento presso l’Accademia della città. Anzi, svolse un’instancabile opera di apostolato: preparò migliaia di bambini alla Confessione e alla Comunione, accudì malati e invalidi negli ospedali, si dedicò alle opere di misericordia nei sobborghi più indigenti di Madrid13.

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Positio. Biographia Documentata, p. 197, in TORNIELLI A., Escrivá cit., p. 35; cfr. DOLZ M., San Josemaría cit., p. 19. 13 Cfr. BERGLAR P., Opus Dei cit., p. 13; cfr. VÁSQUEZ DE PRADA A., Il fondatore cit., vol. 1, pp. 295-296; cfr. DOLZ M., San Josemaría cit., p. 19.


1.2 LA NASCITA DELL’OPUS DEI: 2 OTTOBRE 1928 Terminata la sessione universitaria autunnale, don Josemaría si concesse una pausa. Frequentò gli esercizi spirituali, com’era solito fare ogni anno, presso la casa dei Lazzaristi a Madrid, che si trovava vicino al Patronato. Gli esercizi duravano una settimana, dal 30 settembre al 6 ottobre, e don Josemaría portò con sé i suoi effetti personali e alcuni foglietti, gli Apuntes íntimos (Appunti intimi) che egli chiamava Catalinas (caterine, per devozione a Santa Caterina da Siena). In questi foglietti aveva raccolto le grazie straordinarie che il Signore gli aveva dispensato per dieci anni; tali annotazioni rivelavano quanto fosse davvero straordinaria la sua vita14. Gli Appunti intimi li ricopiò su un quaderno che poi gettò nel fuoco, poiché avendo dei contenuti di carattere soprannaturale, qualcuno un giorno, leggendoli, lo avrebbe scambiato per un santo15. Finalmente la sua incessante supplica “Signore, fa che io veda” aveva raggiunto la vetta dalla quale avrebbe potuto scorgere un progetto divino che non proveniva da ieri o da una data ben precisa, ma dall’eternità dell’Amore di Dio16. In quei giorni di esercizi spirituali, per volontà di Dio terminava l’apprendistato e gli veniva comunicata la missione che avrebbe dovuto portare a compimento. Era la mattina del 2 ottobre, giorno della festa degli Angeli Custodi, quando don Josemaría si trovava nella sua camera a leggere i suoi Appunti. All’improvviso ebbe

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Cfr. VÁSQUEZ DE PRADA A., Il fondatore cit., vol. 1, p. 307; cfr. anche p. 366; cfr. TORNIELLI A., Escrivá cit., p. 39. 15 Cfr. DEL PORTILLO ÁLVARO, Intervista sul fondatore dell’Opus Dei, a cura di Cavalleri Cesare, Ed. Ares, Milano 1992, p. 209; cfr. Positio. Biographia Documentata, in TORNIELLI A., Escrivá cit., p. 39. 16 Cfr. VÁSQUEZ DE PRADA A., Il fondatore cit., vol. 1, p. 309; cfr. Romana Postulazione della Causa di beatificazione e canonizzazione del Servo di Dio Josemaría Escrivá de Balaguer, sacerdote, fondatore dell’Opus Dei, Articoli del Postulatore, Roma 1979, n. 45, in BERGLAR P., Opus Dei cit., p. 61.


un’illuminazione su tutta l’Opera, accompagnato dal suono delle campane della vicina chiesa di Nostra Signora degli Angeli. «La festa dei Santi Angeli Custodi… un giovane sacerdote in ritiro che prega nella sua stanza… il suono delle campane che gli giunge da una chiesa dedicata alla Regina degli Angeli… la repentina apparizione dell’Opus Dei davanti ai suoi occhi… queste cose formano un tutt’uno; non c’è niente che sia privo di senso, niente che sia casuale: non il tempo, non il luogo, non le circostanze; tutto concorre all’unità del mistero di una ispirazione divina»17. «L’Opus Dei nacque per esclusivo intervento del Signore, attraverso un’irruzione del soprannaturale così repentina e massiccia che lui non aveva avuto alcun ruolo… l’origine dell’Opera è sempre attribuita esclusivamente a Dio»18. Don Escrivá scriverà nei suoi appunti di essere stato il ricettacolo passivo di una illuminazione divina, lo strumento che avrebbe portato a compimento un disegno di Dio. Un disegno proiettato nella storia e radicato nel Vangelo, il cui messaggio, tutt’oggi risuonante nella Chiesa, consiste nella ricerca della santità e nell’esercizio dell’apostolato in mezzo al mondo. Un messaggio rivolto a tutti: uomini di ogni razza, lavoro, età. Le realtà più comuni della vita quotidiana, il lavoro professionale, i rapporti familiari e sociali – costituiscono l’ambito in cui ogni cristiano deve cercare la propria santificazione nel compimento dei lavori ordinari.

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BERGLAR P., Opus Dei cit., p. 64. TORNIELLI A., Escrivá cit., p. 40; cfr. ESCRIVÁ J., Apuntes íntimos, n. 1871, Scritti inediti 4, Roma 1986, in VÁSQUEZ DE PRADA A., Il fondatore cit., vol. 1, p. 336; cfr. Summarium della causa di beatificazione e canonizzazione. Positio super vita et virtutibus, Roma 1988, n. 537, citato da Álvaro del Portillo, in VÁSQUEZ DE PRADA A., Il fondatore cit., vol. 1, p. 336. 18


Tutti gli uomini commercianti e operai, contadini e avvocati, medici e farmacisti, sportivi, insegnanti e studenti; tutti devono sapere che Dio li aspetta nei loro impegni quotidiani. «Hai l’obbligo di santificarti. - Anche tu. -

Chi pensa che la santità sia un

impegno esclusivo dei sacerdoti e religiosi? A tutti senza eccezione, il Signore ha detto: Siate perfetti come è perfetto il Padre mio che è nei cieli»19. Operò delle ricerche sull’esistenza delle varie istituzioni religiose per verificare se ne fosse già presente una che promuovesse la santità in mezzo al mondo, attraverso il lavoro ordinario, senza cambiare di stato. Non perché non volesse caricarsi dell’impegno a cui era chiamato; anzi, in caso affermativo, avrebbe voluto entrare a farne parte, per mettersi «all’ultimo posto e servire». Questo suo desiderio di nascondersi non poteva compiersi, in quanto non rispecchiava la missione affidatagli. L’esito fu negativo, per cui gli toccò aprire una nuova strada. Terminati gli esercizi spirituali don Josemaría Escrivá si dedicò all’Opera di Dio, ricercando i primi discepoli. Incominciò avvicinando operai e studenti dell’Accademia Cicuéndez dove insegnava. Ma ne conobbe altri facendo apostolato tra i familiari e fra le conoscenze della Dame Apostoliche. Nello stesso tempo si dedicò a promuovere l’Opera tra il clero diocesano. Il 2 ottobre 1928 Escrivá vide che cosa significasse l’Opus Dei nel progetto di santificazione dal di dentro; tutti, uniti, avrebbero percorso quel cammino formando

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ESCRIVÁ JOSEMARÍA, Cammino, a cura di Terrasi E., Roccascese F., Contadini F. e Sarcodi D., n° 291, in Cammino, Solco, Forgia, Ed. Ares, Milano 2002, p. 80, (traduzione dall’originale Camino, n° 291, Ediciones Rialp, Madrid 1996, p. 83); cfr. ROMANO GIUSEPPE, OLAIZOLA JOSÉ LUIS, Il Vangelo nel lavoro. Josemaría Escrivá, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo 1992, p. 14.


una famiglia spirituale attorno al Padre (così i primi discepoli chiamavano il giovane Escrivá perché si sentivano suoi figli per l’affetto umano che mostrava loro). Infine Dio gli affidava un gruppo numeroso di uomini che sarebbero vissuti, conformemente alla loro condizione di cittadini, a pieno titolo inseriti nella vita civile. Furono questi i primi che ricevettero la chiamata divina ad aprire questo cammino di santità in mezzo al mondo, il cammino, cioè della santificazione di tutte le realtà terrene. Per amore a Cristo e agli uomini, questi, si sarebbero resi totalmente disponibili a realizzare questo ideale di santità rinunciando al matrimonio, pur conservando la condizione laicale al cento per cento20. Inizialmente Escrivá scrisse nei suoi appunti che l’Opus Dei si sarebbe differenziata dalle altre istituzioni in quanto non avrebbe ammesso la presenza delle donne. Successivamente, nel febbraio 1930, durante la celebrazione della santa messa ebbe un’altra illuminazione: l’Opus Dei avrebbe avuto anche la sezione femminile. Entrambe le sezioni, maschile e femminile, dovevano seguire l’idea di unità dell’Opera, consistente nel fatto che tutti i membri, senza distinzione di sesso, rispondono in modo uguale alla medesima vocazione: «vocazione a vincolarsi a Cristo nel mondo e a condurre gli altri a Dio»21. Le due sezioni erano separate ma complementari l’una all’altra: gli uomini preparavano il terreno in un nuovo paese; le donne si occupavano della cura materiale di tutti i Centri dell’Opera, creando e conservando quel clima di familiarità proprio dell’Opus Dei. Dal punto di vista giuridico l’Opera non era ancora nata e per un po’ di tempo, non ebbe nemmeno un nome. Il nome Opus Dei nacque dalla domanda: “Come va 20 21

Cfr. BERGLAR P., Opus Dei cit., p. 81. Ibidem, p. 82.


quest’Opera di Dio?” che il padre gesuita Valentín Sánchez rivolse al giovane Escrivá. Questi rimase a pensare e da allora la chiamò per sempre Opus Dei, ossia Opera di Dio22. La nascita dell’Opus Dei avvenne senza rumori, senza che nessuno si rendesse conto, nemmeno don Josemaría. Il Signore agiva in silenzio e l’Opera cominciò a crescere come tutto ciò che è dotato di una vita fisiologica propria. Non creato dall’uomo, ma come una pianta che germoglia e cresce da un piccolo seme, il seme che Dio aveva posto nel cuore di Escrivá. Nell’ottobre 1931 don Josemaría lascerà il Patronato degli Infermi per occuparsi degli ammalati dell’Hospital de la Pasión e dell’Hospital General. Qui non solo allevia le sofferenze dell’anima amministrando i sacramenti, ma presta anche soccorso materiale ai ricoverati. Escrivá si dedicò pienamente nel servizio agli ammalati chiedendo, in cambio, di offrire le loro sofferenze per l’Opera, secondo le sue intenzioni. Per questo, alcune settimane prima di morire, scriverà che: «La forza umana dell’Opera sono stati i malati degli ospedali di Madrid: i più miserabili, quelli che vivevano nelle loro case dopo aver perso ogni speranza umana; i più ignoranti che abitavano nei sobborghi di periferia»23. Gli impegni per «il Padre» si moltiplicavano; nascevano anche nuove vocazioni tra i suoi amici e compagni di studio: Pepe Romano, amico di famiglia; don Norberto Rodríguez, che prese il suo posto al Patronato de Enfermos; l’ingegnere Isidoro Zorzano che aveva studiato con lui a Logroño. Tanti altri se ne aggiunsero in seguito e con i quali svolgeva apostolato tra operai e studenti. Insieme fondarono l’Accademia 22

Cfr. DEL PORTILLO Á., Intervista sul fondatore cit., p. 67. ESCRIVÁ J., Meditazione 19-III-75, p. 185, in Meditaciones, Scritti inediti 7, Roma 1986, in TORNIELLI A., Escrivá cit., p. 50. 23


DYA (Dios y Audacia), in un appartamento di poche stanze dove invitavano i loro amici e vi tenevano corsi e lezioni su argomenti riguardanti gli studi universitari. Don Josemaría era a disposizione per colloquiare con loro, qualora lo volessero. Ogni pomeriggio l’appartamento era affollato di tanti giovani, sino ad occupare anche la camera di Escrivá, che si ritirava in cucina per poter confessare o parlare con qualcuno. In seguito l’Accademia venne trasferita nel centro di Madrid, in via Ferraz n° 50, dove furono affittati due appartamenti abbastanza grandi per ospitare anche una residenza universitaria. I membri provvedevano di tasca loro all’affitto ma la somma non era ancora sufficiente. La famiglia Escrivá, allora, vendette dei terreni ricevuti in eredità da uno zio. Nel frattempo don Josemaría divenne Rettore del convento di Santa Isabel. Con il trasferimento dell’Accademia incominciarono le critiche, in modo particolare, mosse da alcuni dei primi sacerdoti che lo avevano affiancato. Don Lino Vea-Murguía sosteneva l’imprudenza di Escrivá definendolo: «simile a un uomo che si butta da una cima senza paracadute, dicendo: Dio mi salverà»24. Nonostante questa ed altre critiche rivolte nei suoi confronti, don Josemaría continuò ad accettare la loro collaborazione, ma non permise loro di coadiuvarlo nella guida dell’Opera di Dio. Nel dicembre 1934 don Josemaría Escrivá nominò San Nicola di Bari Amministratore Generale dell’Opus Dei, patrono per i problemi economici. «Sono i miei peccati, la mia ingratitudine – scriveva Josemaría – la colpa delle tribolazioni che attraversiamo. E mi veniva alle labbra questo grido: Signore, castiga me e dai impulso all’Opera»25.

24 25

TORNIELLI A., Escrivá cit., p. 61. ESCRIVÁ J., Apuntes íntimos cit., n. 1222, in TORNIELLI A., Escrivá cit., p. 62.


Più il confessore non gli consentiva grandi penitenze, più egli si castigava con digiuni, l’impiego quotidiano del cilicio, dormendo per terra, l’uso della disciplina tre volte a settimana… Il 19 marzo 1935, nella festività di San Giuseppe, per la prima volta, ebbe luogo la cerimonia di «Fedeltà». Alcuni membri con vocazione già consolidata, giuravano fedeltà – senza voti né promesse come i religiosi – nel dedicare la propria vita per sempre all’Opera. La cerimonia era completata dall’imposizione di un anello che portava incisa, all’interno, la data della Fedeltà e la parola “serviam” (servirò). A ciascuno dei membri Escrivá chiedeva: «Se il Signore si prendesse la mia vita prima che l’Opera abbia le necessarie approvazioni canoniche che le diano stabilità, tu continueresti a lavorare per portare avanti l’Opera, anche a costo dei tuoi averi, del tuo onore e della tua attività professionale, mettendo, in una parola, tutta la tua vita al servizio di Dio nella sua Opera?»26 Nello stesso anno don Josemaría ottenne dal vescovo di Madrid il permesso di collocare nella Residenza un oratorio, dove potesse essere conservato il Santissimo Sacramento. Non significava un riconoscimento canonico dell’Opus Dei, ma «la pubblica manifestazione della fiducia di un vescovo per don Josemaría Escrivá e per i suoi figli»27. Dal momento in cui ebbe l’illuminazione divina su tutta l’Opera, Escrivá mantenne una stretta unione con la Chiesa, con la gerarchia e con i vescovi diocesani, per amore di Gesù Cristo e per la Chiesa da lui fondata.

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ESCRIVÁ J., Apuntes íntimos cit., n. 1287, in VÁSQUEZ DE PRADA A., Il fondatore cit., vol. 1, p. 580; cfr. TORNIELLI A., Escrivá cit., p. 63. 27 BERGLAR P., Opus Dei cit., p. 135.


1.3 LA GUERRA CIVILE SPAGNOLA E LE ACCUSE CONTRO L’OPUS DEI La crescita dell’Opera era promettente: improvvisamente sbocciarono due nuove vocazioni: due studenti di ingegneria che, successivamente, giunsero al sacerdozio. Erano Álvaro del Portillo, che alla morte di Escrivá divenne primo successore alla guida dell’Opus Dei, e José María Hernández de Garnica. Ben presto, però, l’Opera subisce un’interruzione: il 18 luglio 1936 scoppia la guerra civile in Spagna che durerà circa tre anni. Mentre don Josemaría era intento a progettare l’espansione dell’Opera fuori Madrid e oltre i confini della Spagna, la

guarnigione spagnola di stanza in

Marocco entrava in rivolta contro il governo centrale repubblicano di Madrid. Furono uccise più di seicentomila persone, di cui molti religiosi e appartenenti al clero secolare. La furia antireligiosa era tale che i sacerdoti, se riconosciuti, venivano fucilati per strada28. Non è semplice identificare i luoghi in cui Escrivá si rifugiò in tale periodo: da casa di mamma Dolores a casa di amici e figli spirituali. Molte volte, però, rischiò di essere catturato. Finché nell’ottobre del ’36 ottenne asilo presso la Casa de Reposo y Salud, una clinica per malati di mente, dove rimase per circa cinque mesi, fingendosi pazzo. In seguito fu accolto, insieme al fratello Santiago e ad alcuni suoi figli nell’abitazione del console onorario dell’Honduras, vivendo con altri trenta rifugiati. Spesso si privava del cibo per donarlo agli altri; così dimagrì circa cinquanta chili e in pochi erano in grado di riconoscerlo. Anche durante questo periodo di vita e di

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Cfr. ROMANO G., OLAIZOLA J. L., Il Vangelo cit., p. 17.


predicazione clandestina non cessò di usare la disciplina. «Abitualmente – senza spiegarne il motivo – ci chiedeva di uscire e di lasciarlo un po’ solo nella stanza che occupavamo nella delegazione. Una volta però io avevo la febbre e stavo sdraiato su un pagliericcio: non potevo pertanto uscire dalla stanza. Allora il Servo di Dio mi disse: “Copriti la faccia con la coperta”. Obbedii. Poco dopo cominciai a sentire i forti colpi della sua disciplina. Fu curioso e contai. Non dimenticherò mai il numero: furono mille colpi violentissimi, cadenzati, inferti sempre con la stessa forza e lo stesso ritmo. Il pavimento si coprì di sangue, ma egli stesso lo ripulì prima che entrassero gli altri» 29. Dopo alcuni mesi, nell’agosto 1937, Escrivá ricevette un documento da parte del console onorario dell’Honduras che dichiarava di essere capace di intendere e con il quale avrebbe avuto più libertà di movimento. Don Josemaría girava per la città di Madrid, con abiti da civile, distribuendo l’eucarestia a coloro che lo desiderassero. Nonostante ciò, la sua vita era in pericolo e i suoi “figli” insistettero affinché passasse nella Spagna “nazionale”, da dove avrebbe potuto contattare tutti i membri dell’Opera con maggiore libertà. Escrivá si convinse e, con pochi compagni, intraprese un lungo viaggio a piedi attraverso i Pirenei, scalando cime che arrivavano a misurare 1600 metri di altitudine. Giunti nel Principato di Andorra, il 2 dicembre, il Padre incominciò a intonare la recita del Salve Regina, come ringraziamento alla Vergine Maria. Dopo aver trascorso alcuni giorni nel principato da liberi cristiani, con la possibilità di predicare e celebrare la messa liberamente, ripresero il viaggio verso la Francia. Si recarono a Lourdes dove don Josemaría celebrò la messa e, all’uscita del santuario, davanti alla statua di Papa Pio X rinnovò il suo amore e la sua fedeltà al Santo Padre 30. 29 30

Teste PR 1, mons. Álvaro del Portillo, p. 486, § 1, in TORNIELLI A., Escrivá cit., p. 75. Cfr. TORNIELLI A., Escrivá cit., p. 83.


Nello stesso giorno passarono la frontiera e fecero ritorno in Spagna, nella zona “nazionale”31. Raggiunse Burgos, città sottratta dalla guerra, da dove contattò, tramite lettere o viaggi, i suoi figli spirituali, molti dei quali morirono durante la guerra. Nelle sue lettere li confortava e li invitava a rimanere saldi nella fede e nella preghiera. Francisco Botella e Pedro Casciaro, compagni di viaggio di don Josemaría attraverso i Pirenei, assolvevano l’obbligo militare a Burgos e divennero i suoi più immediati collaboratori. Durante la sua permanenza nella città Escrivá trascorreva molto tempo da solo. Approfittando dell’assenza dei suoi compagni, completò le Consideraciones espirituales, stampate nel 1934, curando la stesura definitiva pubblicata nel 1939 con il titolo di Camino. La nuova opera era costituita da 999 pensieri, parole, idee ed esperienze che il Padre aveva condiviso con altri uomini, sino ad allora. Ma, nonostante i viaggi e la corrispondenza con i membri dell’Opera, don Josemaría riuscì a portare avanti l’elaborazione della sua tesi di laurea in Giurisprudenza. A Burgos trascorreva molte ore della giornata nella biblioteca del monastero medievale cistercense di Santa María de las Huelgas Reales, dove trovò antichi documenti risalenti a più di sette secoli fa32. Nel dicembre 1939, don Josemaría discusse la sua tesi di laurea intitolata La Abadesa de Las Huelgas. Estudio Teológico júridico che sarà pubblicata, come libro, nel 194433.

31

Nella zona nazionale della Spagna, con capitale Burgos, vigeva il regime dittatoriale franchista, instaurato dal 1939 al 1975, dal generale Francisco Franco. 32 Cfr. Registro Histórico Fundador 20157, p. 881, in BERGLAR P., Opus Dei cit., p. 184. 33 ESCRIVÁ JOSEMARÍA, La Abadesa de Las Huelgas, Ediciones Rialp, Madrid 1944.


Nel frattempo Álvaro del Portillo e altri membri dell’Opus Dei fecero ritorno in Spagna giungendo a Burgos. La guerra civile era quasi terminata: le truppe franchiste raggiunsero il Mediterraneo, spezzando in due il territorio che rimaneva ancora ai repubblicani. Dopo una lunga e sanguinosa battaglia sul monte Ebro, le truppe si diressero in Catalogna. Nel gennaio 1939 cadde Barcellona. Alla fine di marzo le truppe nazionali entrarono a Madrid e il 1° aprile 1939 si dichiarò terminata la guerra34. Sin dagli anni Trenta, Escrivá aveva scritto che l’Opus Dei aveva caratteristiche universali. Pertanto il suo sviluppo doveva mirare ad espandersi oltre i confini della Spagna. Don Josemaría predicava il perdono: nonostante le sofferenze patite per la guerra invitava a perdonare e a dimenticare, ad aprire le proprie braccia a tutti, a prescindere dagli ideali politici. In molti membri creò diffidenza tale atteggiamento; ma tanti altri impararono a dimenticare odi e rancori. A Valencia sbocciarono nuove vocazioni e per poter seguire meglio la formazione degli studenti fu affittato un appartamento, costituendo il primo Centro dell’Opera fuori Madrid. Nel frattempo don Josemaría aveva fatto ritorno nella capitale spagnola dove furono affittati tre appartamenti in via Jenner n° 6, per ricostituire la residenza dell’Accademia DYA, caduta in macerie durante la guerra. Il Padre si avvalse della collaborazione della madre e della sorella Carmen, per dare ai futuri centri dell’Opus

34

Cfr. BERGLAR P., Opus Dei cit., p. 187.


Dei il tono e la serenità di una famiglia 35. Anche le vocazioni femminili continuarono a crescere: le ragazze che aveva assistito spiritualmente mentre si trovava a Burgos, chiesero l’ammissione all’Opera. Ciò avvenne anche a Valencia e a Madrid dove, nel 1942, venne aperto un Centro dell’Opus Dei per sole donne, nel quale si ebbe il tabernacolo. Verso la fine del 1939 l’Opus Dei divenne il bersaglio di accuse ed eresie. Escrivá venne incolpato di massoneria e di antipatriottismo. «Lo spunto per gettare discredito su don Josemaría e sull’Opera fu la cappella di via Jenner. Ci fu chi, nelle parole degli Atti degli Apostoli e nei tradizionali simboli eucaristici che ornavano il fregio dell’oratorio, credette di vedere frasi massoniche e segni cabalistici. Così vennero fuori le prime accuse: dissero che Escrivá cambiava la liturgia, che aboliva le immagini sacre e che, grazie a un gioco di effetti speciali nel sistema di illuminazione, simulava fenomeni di levitazione»36. Presto si scoprì che tali accuse provenivano da un religioso e don Josemaría non lo odiò per questo ma, “raccomandandolo a Dio, lo prese in simpatia”37. Un’accusa frequente nei confronti di don Josemaría Escrivá fu l’intenzione di voler sottrarre le vocazioni ai religiosi e la volontà di distruggere le istituzioni di vita consacrata, predicando la possibilità di santificarsi nel mondo, senza voti né abito 38. Era un’accusa infondata in quanto nessuno studente aveva mai chiesto di entrare in un noviziato né aveva mostrato una vocazione allo stato religioso. Oltretutto Escrivá proibì

35

Cfr. TORNIELLI A., Escrivá cit., p. 97; cfr. BERGLAR P., Opus Dei cit., p. 124; cfr. VÁSQUEZ DE PRADA ANDRÉS, Il fondatore dell’Opus Dei. La biografia di san Josemaría Escrivá, vol. 2, Leonardo International, Como 2003, p. 370. 36 Ibidem, p. 104. 37 Cfr. ESCRIVÁ J., Apuntes íntimos cit., 30.09.1931, in TORNIELLI A., Escrivá cit., p. 105. 38 Cfr. Positio. Biographia Documentata, p. 691, in TORNIELLI A., Escrivá cit., p. 106.


di ammettere all’Opus Dei ex seminaristi o ex postulanti di ordini religiosi, come anche coloro che erano entrati in un noviziato, seppur per breve tempo. Ancora più grave e diffusa era l’accusa che l’Opus Dei fosse una società segreta. L’Opera, essendo ancora nei primi anni di crescita, non possedeva una situazione canonica definitiva, pur avendo l’approvazione del Vescovo di Madrid. Per questo l’Opus Dei viveva in una naturale discrezione, senza mostrare pubblicamente la sua missione. Tale riservatezza, però, destò scalpore e si diffuse la voce che Escrivá avesse fondato una setta misteriosa. Il Padre sosteneva che si trattasse del segreto della gestazione: come ogni essere vivente necessita del tempo per giungere a maturazione, così anche il lavoro divino dell’Opus Dei non poteva essere divulgato perché poteva non essere compreso da tutti39. Successivamente don Josemaría fu anche denunciato dal Prefetto di Barcellona in quanto si riteneva che avesse costituito una setta massonica speciale, e che potesse rappresentare, pertanto, un pericolo per lo Stato. Ma le testimonianze circa l’esemplarità della condotta cristiana di Josemaría Escrivá de Balaguer e dei membri dell’Opus Dei, con lui accusati, bastarono affinché il Tribunale assolvesse i presunti colpevoli. «L’attività principale dell’Opus Dei consiste nel dare ai suoi membri, e a tutte le persone che lo desiderano, i mezzi spirituali necessari per vivere da buoni cristiani in mezzo al mondo»40. Fedele a queste parole Escrivá continuava il suo lavoro per diffondere il messaggio di santità nel mondo. Ritenne opportuno aprire un nuovo Centro a Madrid, costituito da un edificio di quattro piani, situato in via Diego León. Il 39 40

Cfr ESCRIVÁ J., Lettera 9.01.1932, n. 62, in TORNIELLI A., Escrivá cit., p. 108. ESCRIVÁ JOSEMARÍA., Colloqui con Monsignor Escrivá, Ed. Ares, Milano 2002, p. 57.


Padre e alcuni membri si trasferirono nel nuovo stabile e con loro donna Lola e la sorella Carmen. Nella primavera del 1941, mentre Escrivá si trovava a Lerída a predicare gli esercizi spirituali ai sacerdoti, morì mamma Dolores e Josemaría fece ritorno a Madrid. Nel ’43 ebbero lo sfratto della residenza di via Jenner per cui trovarono altri due appartamenti per il ramo maschile dell’Opera e, in seguito, fu aperta la prima residenza femminile per agevolare il lavoro di apostolato con le studentesse universitarie. Nel 1975, alla morte di Escrivá, si conteranno 148 residenze diffuse in tutto il mondo, di cui 62 affidate alla sezione femminile. Nel frattempo don Josemaría chiamò tre dei suoi figli invitandoli a ricevere l’ordinazione sacerdotale, compiendo così un altro disegno divino. Tra gli eletti c’era Álvaro del Portillo, che poi prenderà il suo posto nella guida dell’Opera. Il 25 giugno 1944 mons. Eijo y Garay ordinò i primi tre preti dell’Opera 41 e «il giorno successivo all’ordinazione Escrivá si confessò per la prima volta con don Álvaro del Portillo, che da quel momento sarebbe stato il suo confessore per trentuno anni, fino al giorno della sua morte»42. Nel 1946 Escrivá si trasferì a Roma, ritenendo che fosse la sede più appropriata per l’Opus Dei e per il suo sviluppo in tutto il mondo. Don Josemaría dimostrò più volte il suo affetto per il Santo Padre, considerandolo uno dei suoi tre amori principali, insieme a Cristo e a Maria. Basti pensare che la sera del suo arrivo a Roma, alloggiando a poca distanza dal Palazzo Apostolico, nonostante fosse malato di un’acuta forma di diabete, rimase tutta la notte 41 42

Da allora sino ai nostri giorni si contano più di 1500 membri dell’Opus Dei che hanno ricevuto il sacerdozio. TORNIELLI A., Escrivá cit., p. 123.


sul terrazzo a vegliare in preghiera sul riposo di Papa Pio XII. «Cattolico, Apostolico, Romano! – Mi piace che tu sia molto romano. E che abbia desiderio di fare il tuo pellegrinaggio a Roma, videre Petrum, per vedere Pietro»43. Con molte altre espressioni come questa don Josemaría amava considerare il Papa rappresentante di Cristo nella sua Chiesa, di qui la sua profonda devozione per il Santo Padre, e riteneva che il Papato fosse un’istituzione importante e necessaria per assicurare l’unità e l’efficacia della Chiesa nel mondo44. L’amore per il Santo Padre durò per tutta la vita e, parallelamente, crebbe l’affetto e la stima dei papi nei confronti dell’Opus Dei. «Giovanni XXIII aveva già conosciuto lo spirito dell’Opera, quando aveva visitato nel 1954 un collegio universitario a Santiago di Campostela, e aveva preso alloggio in un Centro di Saragozza. Il 5 maggio 1960 ci fu la prima udienza con il nuovo Papa. Paolo VI lo trattava con amore paterno. «Consideriamo con paterna soddisfazione», diceva il Papa nel 1964, «quanto l’Opus Dei ha compiuto e compie per il Regno di Dio, il desiderio di bene che lo guida, l’amore fervente alla Chiesa e al suo capo visibile che lo distingue, lo zelo ardente per le anime che lo spinge sulle ardue e difficili vie dell’apostolato di presenza e testimonianza in tutti i settori della vita contemporanea»45. Nel 1947 don Josemaría Escrivá de Balaguer venne nominato Prelato domestico di Sua Santità, come prova solenne della stima e della benevolenza nei suoi confronti 46.

43

ESCRIVÁ J., Cammino, n. 520, in Cammino, Solco cit., p. 128. Cfr. BERGLAR P., Opus Dei cit., p. 239. 45 Ibidem, p. 43. 46 Cfr. TORNIELLI A., Escrivá cit., p. 128. 44


Con l’espansione dell’apostolato in tutto il mondo, don Josemaría pensò di ammettere nell’Opera alcune persone in qualità di «soprannumerari», che potevano essere sposate, o in qualità di «aggregati». Questa differenza, dipendente da ciascun membro, non significava diversità di vocazione. Anzi, tutti, in ugual modo, dovevano assolvere all’unica chiamata alla santità. I nomi Numerari, Soprannumerari e Aggregati indicano il grado di disponibilità personale dei membri alle attività proprie dell’Opera, occupandosi della formazione degli altri, a viaggiare da un luogo all’altro. Per quanto riguarda i Numerari la disponibilità è piena; gli Aggregati hanno simile disponibilità a quella dei Numerari, salvo alcuni obblighi familiari, di lavoro, di salute che avevano già prima di aderire all’Opus Dei. I Soprannumerari hanno, invece, la disponibilità permessa dai loro obblighi familiari, come l’assistenza della moglie e dei figli, che costituiscono il loro campo prioritario di santificazione e apostolato47.

47

Cfr. Ibidem, p. 129.


1.4 LA SEDE CENTRALE DELL’OPUS DEI: ROMA Nel febbraio 1947, su indicazione di mons. Montini e mons. Tardini, don Josemaría acquistò una villa in viale Bruno Buozzi n. 73, già sede dell’Ambasciata d’Ungheria presso la Santa Sede. Escrivá decise di chiamare l’edificio Villa Tevere, composto da una villa a tre piani e da un edificio più piccolo, per l’abitazione del portiere. Dopo due anni incominciarono i lavori di ristrutturazione e da allora sino al 1960 furono anni duri per Escrivá e gli altri membri, costretti a vivere in ristrettezze e sacrifici. Il 29 giugno 1948, Escrivá aveva eretto il Collegio Romano della Santa Croce. Nel 1951 acquistò una tenuta agricola a Fondi, che ne divenne la sede estiva, e nel dicembre 1953 eresse il Collegio Romano di Santa Maria a Roma. Era un centro internazionale femminile dell’Opus Dei che, successivamente, venne trasferito a Castelgandolfo, nella Villa delle Rose, ricevuta in concessione da Papa Giovanni XXIII come proprietà definitiva dell’Opera nel 1959 48. Durante gli anni di residenza a Roma don Josemaría viaggiò molto sia in Italia che nel resto del mondo. Molti ragazzi e ragazze giunti a Roma dalla Spagna frequentavano le università e facevano amicizia con studenti italiani; ma la stessa cosa avveniva in Portogallo e, negli anni successivi, in Francia, Inghilterra e Irlanda. Ogni anno sarà la volta di un nuovo Paese, in particolare in America Latina, dove nasceranno diverse opere educative per la formazione dei contadini e garantire migliori condizioni di vita. Nel 1949 Messico e Stati Uniti; nel 1950 Argentina e Cile; nel 1951 Venezuela e Colombia; nel 1952 in Germania; nel 1953 Perú e Guatemala; nel 1954 in Ecuador;

48

Cfr. Ibidem, p. 135.


nel 1958 Giappone e Kenya… Oggi appartengono all’Opus Dei persone di ottanta nazionalità diverse, sparse in tutto il mondo, che vivono lo stesso spirito nella grande varietà di lingue e culture49. Intanto il diabete non gli permetteva di svolgere al meglio il suo servizio ministeriale. Finché il 27 aprile 1954, a dieci anni dalla diagnosi di una forma acuta di diabete, guarì repentinamente senza che la malattia lasciasse alcuna traccia. Un giorno cadde in coma anafilattico apparentemente irreversibile; un attimo dopo si riprese, ritrovandosi definitivamente guarito50. Da allora don Josemaría limitò al massimo le attività esterne e le relazioni sociali. «Non comparve più in pubblico, non chiese più udienze e smise di partecipare alle solenni funzioni nella Basilica di San Pietro. La sua unione spirituale con il Santo Padre però non ne soffrì un danno. Divenne caso mai più intima, anche se indiretta: mediante cioè attraverso i rapporti con alcuni stretti collaboratori del Papa quali mons. Montini, mons. Tardini e, più avanti, mons. Samorè e mons. Dell’Acqua…»51. La giornata di don Josemaría Escrivá era densa di preghiera, dal momento in cui si svegliava al mattino, baciando il pavimento e pronunciando la parola serviam, in segno di offerta al Signore di tutte le opere della giornata, sino alla sera prima di andare a letto. Nello svolgimento del suo lavoro volgeva spesso lo sguardo al Crocifisso o ad un’immagine della Madonna, per mantenersi alla presenza costante di Dio. Invocava lo Spirito Santo e gli Angeli, formulava comunioni spirituali e offriva nuovamente al

49

Cfr. ROMANO G., OLAIZOLA J. L., Il Vangelo cit., p. 19; cfr. BERGLAR P., Opus Dei cit., p. 263; cfr. DOLZ M., San Josemaría cit., p. 49. 50 Cfr. Ibidem, p. 20; cfr. TORNIELLI A., Escrivá cit., p. 139. 51 Teste PR 1, mons. Álvaro del Portillo, p. 985, § 4-5, in TORNIELLI A., Escrivá cit., p. 140.


Signore le sue azioni. L’Angelus, l’adorazione eucaristica, la meditazione e la preghiera mentale coronavano la sua vita spirituale. A Roma si trasferirono anche Carmen e Santiago Escrivá, fratelli di don Josemaría. Ma dopo alcuni anni, nel 1957, colpita da un cancro, morì Carmen che sin dalla fondazione dell’Opera aveva prestato aiuto al fondatore. Già da diverso tempo alcuni membri dell’Opera, all’insaputa del Padre, stavano effettuando delle ricerche sulla sua vita e sui legami di parentela. Emerse che don Josemaría era il legittimo erede di due titoli nobiliari: la baronia di San Felipe e il marchesato di Peralta. Questi titoli li ereditò dai suoi avi, sia paterni che materni, ma don Josemaría sembrava non fosse interessato. Voleva rinunciare ma, tale decisione, avrebbe pregiudicato il fratello Santiago, che non avrebbe potuto ottener il titolo se prima non l’avesse rivendicato don Josemaría e successivamente ceduto a lui. Preparò la lettera con la richiesta di riconoscimento del titolo nobiliare nel gennaio 1968 e ne ottenne pieno diritto con decreto del Capo dello Stato di Spagna il 24 luglio dello stesso anno. Nel 1972 rinunciò al titolo, anche se mai ne aveva fatto uso, e lo cedette al fratello52. Intanto, nel 1960, Escrivá divenne Gran Cancelliere dell’Università di Navarra (Spagna), riconosciuta come università cattolica dalla Sacra Congregazione dei Seminari, di cui ne divenne Consultore, e dell’Università di Piura, in Perú.

52

Cfr. TORNIELLI A., Escrivá cit., p. 155.


Nel 1961, Giovanni XXIII gli conferì la nomina di Consultore della Pontificia Commissione per l’interpretazione autentica del Codice di Diritto Canonico e membro onorario della Pontificia Accademia teologica romana 53.

53

Cfr. FABRO C., GAROFALO S., RASCHINI M. A., Santi nel mondo. Studi sugli scritti del beato Josemaría Escrivá, Ed. Ares, Milano 1992, p. 16.


1.5 GLI ULTIMI ANNI DI VITA DI DON JOSEMARÍA Escrivá era solito offrire la sua sofferenza per la Chiesa, tanto più nei suoi ultimi anni di vita: pregava il Padre celeste di prendere la sua vita in cambio di una nuova ondata di santità nella Chiesa. Era una supplica continua che ebbe compimento il 26 giugno 1975. Ormai il suo obiettivo era proclamare ovunque la fedeltà alla dottrina e alla morale cattolica, l’unione con il Papa, la ricerca della santità54. Tutto il resto passava in secondo piano, anche la questione giuridica dell’Opus Dei. Il 1° aprile del 1970 si recò a Torreciudad, in Spagna, presso il santuario della Vergine, per supplicare la Madonna a fare molti miracoli interiori: la conversione dei cuori. A Torreciudad, fece erigere un nuovo grande santuario affinché diventasse un luogo di penitenza, e dove molta gente potesse trovare assistenza spirituale per riconciliarsi con Dio. Dalla Spagna si recò in Portogallo, in pellegrinaggio al Santuario della Madonna di Fatima. Ritornato in Italia, intraprese presto nuovi viaggi, questa volta oltreoceano. Compì il suo pellegrinaggio al Santuario della Vergine di Guadalupe, in Messico, dove vi trascorse nove giorni supplicando la Mamma Celeste per la Chiesa e per il Papa, per tutto il clero e per la santità di tutte le anime. Pregò anche per l’Opera, affinché potesse continuare il suo servizio nella Chiesa, fedele al carisma ispiratole dal Signore. Nel 1974 intraprese un altro viaggio per svolgervi una catechesi in America Latina dove, già da anni, l’Opus Dei aveva avviato numerose attività di apostolato e dove erano nate nuove vocazioni. Non fu facile questo nuovo viaggio per il fondatore

54

TORNIELLI A., Escrivá cit., p. 167.


dell’Opera a causa del suo fisico già debilitato. Argentina, Cile, Perú ed Ecuador: queste le tappe sudamericane che costarono a don Josemaría una serie di malattie che misero a repentaglio la sua vita. In aereo, a causa dell’impianto di condizionamento si prese un raffreddore che poi divenne faringite. Fu sottoposto ad analisi cliniche per ben due volte ma il risultato non cambiò: era in pericolo di vita e doveva sottoporsi a dialisi. A Lima, in Perú, rimase a letto per una broncopolmonite e la febbre che raggiungeva quasi i 40 gradi. A Quito, in Ecuador, cercò di adattarsi ai circa tremila metri di altitudine, ma, senza speranza, contrasse il mal di montagna, detto soroche, che si manifesta con vomito, vertigini, sonnolenza, difficoltà di deambulazione, e anoressia 55. Il medico che lo curò gli disse che, come consigliava ai turisti che contraevano il soroche, era preferibile ritornare al proprio paese d’origine. Ma don Josemaría gli rispose che non era un turista e che era lì per predicare la parola di Dio56. Ma la malattia lo limitò nelle sue azioni: era impedito a celebrare la Messa e riceveva la Santa Eucarestia da don Álvaro del Portillo. Poteva alzarsi dal letto e con l’aiuto di qualcuno poteva camminare. «Accettò queste limitazioni come un regalo di Dio, che gli permetteva di constatare la propria nullità»57. Fece ritorno in Spagna dove rimase per curarsi. La sua salute era critica: edema polmonare e insufficienza cardiaca. Però, nonostante il suo malessere, don Josemaría Escrivá, autorizzato dai medici, intraprese altri viaggi, in Venezuela e in Guatemala. Però dovette ripartire presto a causa della febbre. Il Cardinal Mario Casariego, arcivescovo di Città del Guatemala, gli chiese di benedirlo. Ma don Josemaría, 55

Cfr. DOLZ M., San Josemaría cit., p. 65. Cfr. TORNIELLI A., Escrivá cit., p. 176. 57 Ibidem, p. 176. 56


ritenendosi indegno, si rifiutò. Il giorno seguente il Cardinal Casariego lo accompagnò all’aeroporto per il suo ritorno in Europa. Si recarono nella cappella dell’aeroporto per pregare davanti al tabernacolo. Ma «quando Escrivá si accinse ad uscire, il cardinale gli sbarrò la strada ed esclamò: “Alla presenza di Gesù Sacramentato e dinanzi a questi suoi figli, non mi muovo di qui se non mi dà la sua benedizione!” Escrivá lo benedisse e gli disse: “Mario, lei ottiene da me quello che nessun altro riesce ad avere”. L’Arcivescovo replicò: “Non potevo perdere la benedizione di un santo!”»58. Ritornato a Roma continuò ad offrire la sua malattia al Signore, finché il 26 giugno 1975 improvvisamente si accasciò al suolo. Tutti i tentativi dei medici furono vani; il suo cuore aveva smesso di battere. Don Álvaro del Portillo gli impartì l’assoluzione e l’Unzione degli Infermi quando ancora era vivo, come aveva sempre desiderato don Josemaría. Dopo aver rivolto uno sguardo amorevole all’immagine della Madonna di Guadalupe, presente nella sua stanza di lavoro, la sua anima si spense59. Il suo corpo fu portato nella Chiesa Prelatizia di Santa Maria della Pace, nella stessa sede centrale dell’Opus Dei. Lo vestirono con i paramenti sacerdotali e sul suo petto gli posero il crocifisso che San Pio X aveva stretto tra le mani sul letto di morte60. I funerali furono celebrati il giorno seguente in quella stessa chiesa, dove tutt’oggi riposa il suo corpo.

58

Ibidem, p. 177. Cfr. DOLZ M., San Josemaría cit., p. 68; cfr. TORNIELLI A., Escrivá cit., p. 183; cfr. DEL PORTILLO Á., Intervista sul fondatore cit., pp. 229-230. 60 Cfr. TORNIELLI A., Escrivá cit., p. 183; cfr. DEL PORTILLO Á., Intervista sul fondatore cit., pp. 232-233. 59


1.6 IL PROCESSO DI BEATIFICAZIONE E L’ELEVAZIONE ALL’ONORE DEGLI ALTARI La fama di santità di monsignor Josemaría Escrivá de Balaguer era già diffusa quando egli era ancora in vita. La sua predicazione agli universitari, ai lavoratori e ai sacerdoti, durante gli esercizi spirituali; l’amore con cui offriva il sacrificio eucaristico; la profonda devozione al Santissimo Sacramento e alla Vergine Maria: una vita pienamente dedicata al servizio del prossimo e per amore di Dio. Un modello esemplare di santità per i suoi figli spirituali, dovuto ai continui colloqui con Dio, dal quale aveva ricevuto innumerevoli grazie per lui e per l’Opera da lui fondata. Anche le sue opere spirituali hanno contribuito alla diffusione della sua fama di santità61, portando molte anime alla conversione. Una suora spagnola ha raccontato di quando dovette trasferirsi in Messico per svolgere il suo servizio. «Si recò negli uffici della Polizia per avere il passaporto; tuttavia erano insorti dei problemi burocratici e la suora aveva anche saputo che il funzionario faceva aperta professione di ateismo. Non le venne in mente altro se non di regalargli una copia di Cammino. Riuscì ad avere il passaporto, assieme ad una consorella che si recò in Colombia. Nel 1980 tornò in Spagna; una domenica andò a Messa nella cattedrale e, all’uscita, fu fermata da un signore che le disse: La colpa è sua, la colpa è sua!. Stupita non sapeva cosa rispondere, quando quell’uomo aggiunse: Lei mi regalò una copia di Cammino prima di partire per il Messico e io, a causa di quel libro, mi sono convertito»62. Dopo la morte del Padre numerosi favori e guarigioni furono attribuiti alla sua intercessione. Per cui don Álvaro del Portillo, Presidente Generale e primo successore 61 62

Cfr. DEL PORTILLO Á., Intervista cit., p. 203. Ibidem, p. 203.


alla guida dell’Opus Dei, nel 1978 nominò don Flavio Cappucci Postulatore della Causa di Beatificazione e Canonizzazione del Servo di Dio Josemaría Escrivá de Balaguer63. Compiutosi il quinto anniversario della morte di mons. Escrivá, in conformità a quanto stabilito dalle norme della Congregazione delle Cause dei Santi, la Postulazione richiede al Vicariato di Roma l’introduzione della Causa di beatificazione e canonizzazione che, dopo una attenta analisi della documentazione presentata concesse il Nihil obstat per la promulgazione del Decreto, datato 19 febbraio 1981, pubblicato dal Vicario Generale, il Cardinal Ugo Poletti 64. Nel marzo dello stesso anno venne istituito dall’Arcivescovo di Madrid un secondo Tribunale, oltre a quello del Vicariato di Roma, incaricato di raccogliere le testimonianze di coloro che risiedevano in Spagna o che preferivano testimoniare in spagnolo. Nel 1982 venne eretto il Tribunale per lo studio di una guarigione miracolosa e per accertarne l’attribuzione all’intercessione del fondatore dell’Opus Dei. Riconosciuto il carattere miracoloso dalla Congregazione della Causa dei Santi, si aprì la strada per la beatificazione del Servo di Dio Josemaría Escrivá 65. Il miracolo riguarda suor Concepción Boullón, spagnola, della congregazione delle Carmelitane della carità, affetta da tumore a localizzazione multipla: alla spalla sinistra, al dorso del piede sinistro e al pollice della mano destra. Non solo. La suora, ormai settantenne, soffriva di altre malattie che, associate alle tumefazioni, la costrinsero a rimanere seduta su una poltrona per tutto il giorno.

63

Cfr. Decreto di introduzione alla Causa di Beatificazione e Canonizzazione, 12 febbraio 1981, in AA.VV., Un santo per amico. Testimonianze sul Beato Josemaría Escrivá, fondatore dell’Opus Dei, Ed. Ares, Milano 2001, p. 366. 64 Cfr. Ibidem, p. 367. 65 Cfr. CAPUCCI FLAVIO, Un mondo di miracoli, Ed. Ares, Milano 2002, p. 7.


Il parere dei medici che l’avevano visitata era unanime: un tumore irreversibile e metastatizzato66. A suor Concepción ormai rimaneva poco tempo di vita e, cosciente di quanto le stava accadendo, accettò la sua sofferenza e la offrì a Dio, senza chiedergli di poter guarire. Neanche le consorelle pregarono per la sua guarigione perché l’atteggiamento della sofferente era l’esemplare accoglimento della volontà di Dio. Ma una notte del giugno 1976 avvenne la guarigione. In seguito a forti dolori che avvertì per tutto il corpo, sentì un senso di pace e rilassamento. La mattina, levatasi di buon’ora, mentre era in bagno a fare una doccia, si accorse di non avere più traccia della tumefazione sulla spalla sinistra e al piede. Tutto era avvenuto senza sapere come. L’attribuzione del miracolo al Servo di Dio Josemaría Escrivá la si deve alla preghiera incessante delle due sorelle di suor Concepción, Josefina e Felisa Boullón, che ricorsero alla Vergine Maria per intercessione del fondatore dell’Opera67. L’affidarsi all’intercessione di mons. Escrivá è particolarmente importante. Le sorelle di suor Concepción non condividevano le accuse che il fondatore dell’Opus Dei aveva ricevuto durante la sua vita; per questo, e per la sua amorosa devozione alla Vergine Maria, ricorsero a lui. «Desideravamo che emergesse la verità su ciò che fu monsignor Josemaría Escrivá de Balaguer; eravamo dispiaciute per le dicerie su di lui. Nelle preghiere a favore di mia sorella – racconta Josefina Boullón – chiedevo che lui le restituisse la salute o almeno le donasse una buona morte»68. Le loro invocazioni furono ascoltate. Un giorno, parlando al telefono con suor Concepción, seppero della guarigione e le riferirono che tutto era avvenuto per intercessione del Servo di Dio. 66

Cfr. Ibidem, p. 12. Cfr. Ibidem, p. 15. 68 Ibidem, p. 16. 67


Essendo stata una guarigione repentina e completa poteva lasciare nel dubbio circa la vera causa della malattia. Tale guarigione riguardava però la spalla e il piede sinistro. Traccia della tumefazione rimase al dito della mano destra, da cui si poté effettuare una biopsia. «Il medico che eseguì il prelievo lo descrive come un indurimento locale nel luogo in cui era esistita una tumefazione, distinguendolo da un vero tumore»69. Era una lipocalcinogranulomatosi, una malattia benigna che però può comportare gravi problemi, se le masse tumorali sono grandi, tante e localizzate in zone delicate70. Quella notte del 1976 non solo scomparvero le masse tumorali, ma furono guarite anche altre malattie di cui suor Concepción soffriva. Suor Concepción morì all’età di 82 anni, dodici anni dopo la guarigione miracolosa, da una malattia renale non collegata a quella di cui era stata guarita. Il 20 novembre 1984 la Congregazione delle Cause dei Santi decretò la validità del processo del miracolo. Per cui il Postulatore, don Flavio Cappucci, nel 1986 incominciò ad elaborare la Positio, l’insieme dei documenti da presentare all’esame della Congregazione delle Cause dei Santi. Nella Positio vengono raccolte le prove provenienti sia dal processo di Roma sia da quello di Madrid, uno studio critico sull’eroicità delle virtù del Servo di Dio71. La Positio venne terminata dopo due anni, un elaborato in quattro volumi per un totale di 6000 pagine, e venne consegnata alla Congregazione delle Cause dei Santi per l’approvazione e conseguentemente approvata anche dalla Congregazione Ordinaria dei Cardinali e Vescovi.

69

Ibidem, p. 18. Cfr. Ibidem, p. 19. 71 Fonte internet: www.escriva.it a cura del sito del Vaticano (www.vatican.va). 70


«Il 9 aprile 1990 il Santo Padre dichiarò l’eroicità delle virtù di monsignor Escrivá che, pertanto, ricevette il titolo di Venerabile» 72. Il 30 giugno dello stesso anno la Consulta Medica della Congregazione presentò le conclusioni di un’analisi tecnica in cui si affermava che la guarigione era inspiegabile in base a cause naturali. I Consultori Teologi si pronunciarono a favore del miracolo e attribuirono la guarigione all’intercessione di mons. Josemaría Escrivá. Il 6 luglio 1991 il Papa ordinò di redigere il Decreto definitivo in cui si dichiarava il carattere miracoloso della guarigione che portò Giovanni Paolo II a beatificare Josemaría Escrivá de Balaguer, il 17 maggio 1992. Sia prima che dopo la beatificazione del fondatore dell’Opus Dei, molti fedeli hanno ricevuto numerosi favori e guarigioni per sua intercessione. Don Flavio Cappucci nel suo libro Favores que pedimos a los santos – 200 relatos en vivo de la intercesión de San Josemaría73, ne raccoglie circa 200 testimonianze. Molti fedeli si affidano a lui nei momenti di difficoltà, e numerose guarigioni gli vengono attribuite: una miocardite fulminante risolta in due giorni 74, recupero istantaneo della vista in un caso di cecità dovuto a un tumore ipofisario 75, risanamento immediato di una cancrena avanzata76. Ma fu la guarigione di una radiodermite cronica cancerizzata ad aprire la strada alla canonizzazione del Beato Escrivá. Nel marzo 1993 la Postulazione della Causa di mons. Escrivá ricevette una lettera con la notizia della guarigione del dottor Manuel Nevado Rey. Servendosi della

72

ESCRIVÁ JOSEMARÍA, Cammino, Leonardo International, Milano 2003, p. 11. CAPUCCI FLAVIO, Favores que pedimos a los santos – 200 relatos en vivo de la intercesión de San Josemaría, Ediciones Palabra, Madrid 2003; Traduzione dallo spagnolo a cura di Bufano Giuseppe: Favori che chiediamo ai santi – 200 racconti dell’intercessione di San Josemaría. 74 Cfr. CAPUCCI F., Un mondo cit., p. 129. 75 Cfr. Ibidem, p. 67. 76 Cfr. Ibidem, p. 59. 73


collaborazione del miracolato, la Postulazione raccoglie i documenti e compie uno studio circa la malattia sofferta dal medico. Certi del carattere straordinario della guarigione la Postulazione consegna la documentazione al Vescovo di Badajoz (Spagna), nel territorio in cui è domiciliata la persona guarita, e richiede di incominciare il Processo diocesano77. Terminato il processo la documentazione fu inviata alla Congregazione della Causa dei Santi, la quale ne decretò la validità. Successivamente il caso passò alla Consulta Medica, incaricata dello studio scientifico delle presunte guarigioni che diede la seguente diagnosi clinica: «cancerizzazione da radiodermite cronica grave al terzo stadio, in fase irreversibile. Prognosi: infausta. Trattamento: non ne fu applicato alcuno. Modalità della guarigione: molto rapida, completa e duratura; scientificamente inspiegabile»78. In una intervista il dottor Nevado aveva affermato: «Ero ormai consapevole della patologia che mi aveva colpito: una radiodermite cronica e irreversibile, che era in via di cancerizzazione. Avevo già visto alcuni miei docenti di chirurgia e colleghi traumatologi morire in seguito a tale tumore maligno, che dalle mani si era poi esteso ai gangli linfatici e ai diversi organi del corpo. Perciò decisi di non avviare su di me terapie che giudicavo inefficaci»79. Le origini della malattia del traumatologo spagnolo risalgono al 1962. Sin dall’età di 24 anni incominciò ad utilizzare la radioscopia a scopo diagnostico e per la riduzione e l’immobilizzazione delle fratture ossee 80. Gli interventi effettuati dal dottor Nevado erano numerosi e frequenti ogni anno: egli utilizzava le proprie mani per manipolare 77

Cfr. Ibidem, p. 153. Ibidem, p. 154. 79 GAETA SAVERIO, Un miracolo in premio, in “Famiglia Cristiana”, rivista settimanale n° 51, 23-30 dicembre 2001, p. 65. 80 Cfr. Ibidem; cfr. CAPUCCI F., Un mondo cit., p. 156. 78


l’arto danneggiato del paziente e pertanto venivano esposte per lungo tempo sotto l’azione dei raggi X. La malattia, giunta ormai al terzo stadio, se non estirpata chirurgicamente, poteva indurre a metastasi sino a condurre alla morte81. Per combattere tale malattia bisognerebbe allontanarsi immediatamente dalle zone d’irradiazione, però quando si è allo stadio iniziale, il che comporterebbe l’abbandono della propria professione, oppure, in fase avanzata, procedere all’amputazione delle dita o della mano. Ma, come abbiamo già citato, egli non volle applicare nessuna terapia. La malattia, pertanto, continuava il suo sviluppo finché incominciò ad avere forti irritazioni e dolori, con perdita della sensibilità delle mani. Ciò condusse il dottor Nevado ad abbandonare nel 1984 il compito svolto sin dall’inizio della sua professione e a limitarsi alla chirurgia minore, fino a quando nel novembre 1992 dovette sospendere gli interventi chirurgici82. Nei mesi di inattività professionale, il dottor Nevado decise di occuparsi di un vigneto di sua proprietà. Per ricevere informazioni circa i contributi stanziati dalla Comunità Europea si recò a Madrid, al ministero dell’Agricoltura. L’incaricato del settore non era presente e il dottor Nevado fu ricevuto dall’ingegner Luis Eugenio Bernardo Carrascal, membro dell’Opus Dei dal 1965, il quale gli fornì tutte le informazioni necessarie e si rese conto delle mani del medico. Si interessò del suo problema e salutandolo gli diede una immaginetta del beato Josemaría

81 82

Cfr. CAPUCCI F., Un mondo cit., p. 158. Cfr. Ibidem, p. 161.


Escrivá83. «Sperando di potergli essere utile, - afferma Luis Eugenio Bernardo –, gli diedi una immaginetta con la preghiera per la devozione al fondatore dell’Opus Dei, Josemaría Escrivá, che era stato beatificato pochi mesi prima, e gli suggerii di mettersi sotto la sua protezione e chiedergli il risanamento delle mani. Accettò molto volentieri l’immaginetta, mi ringraziò per l’interessamento e ci lasciammo dopo esserci scambiati i biglietti da visita»84. Il medico presto incominciò a chiedere la grazia per la sua guarigione, ricorrendo all’intercessione del Servo di Dio. Qualche giorno dopo il suo viaggio a Madrid, si recò a Vienna con sua moglie, per partecipare a un congresso medico. Lì rimase colpito nel trovare libri e immaginette del beato Escrivá e comprese quanto fosse universale la devozione per il fondatore dell’Opus Dei. «Allora cominciai a pregare più intensamente e in brevissimo tempo mi accorsi che non avevo più problemi, tanto da poter nuovamente riprendere a lavorare sin dagli inizi del 1993, nel desiderio di ricambiare il più possibile il bene che avevo ricevuto»85. Una delle infermiere che lo aiutava in sala operatoria disse durante il processo: «Rivedendolo all’opera, mi sorpresi felicemente che fossero cicatrizzate totalmente le serie ulcerazioni che prima aveva e, a un semplice sguardo, non si scorge alcuna alterazione della pelle del dorso delle mani. Non gli chiesi come aveva fatto a guarire da un’affezione così seria e che aveva patito durante vari anni»86. Il dottor Nevado commosso rivelò l’accaduto all’ingegnere Bernardo di Madrid, colui che gli aveva dato l’immaginetta del beato Escrivá. Difatti fu l’ingegnere che 83

Cfr. Ibidem, pp. 163-164; cfr. GAETA S., Un miracolo cit., in “Famiglia Cristiana”, n° 51, 23-30 dicembre 2001, p. 66. Ibidem, p. 164. 85 GAETA S., Un miracolo cit., in “Famiglia Cristiana”, n° 51, 23-30 dicembre 2001, p. 66; cfr. CAPUCCI F., Un mondo cit., pp. 165-166. 86 CAPUCCI F., Un mondo cit., p. 166. 84


informò la vicepostulazione dell’Opus Dei in Spagna nel marzo 1993, che ne ricevette conferma dalla persona guarita. La Consulta medica della Congregazione della Causa dei Santi, dopo aver affermato all’unanimità la guarigione del dottor Nevado, passò il caso ai Consultori Teologi della Congregazione. Essi si pronunciarono in modo affermativo sul carattere preternaturale della guarigione e della relazione con la petizione rivolta al Servo di Dio. Il 21 settembre 2001 la Congregazione Ordinaria dei Cardinali e dei Vescovi membri della Congregazione, confermarono all’unanimità il carattere miracoloso della guarigione del dottor Nevado e la sua attribuzione al fondatore dell’Opus Dei87. Così a cento anni esatti dalla nascita il beato Josemaría Escrivá, il 6 ottobre 2002, viene elevato all’onore degli altari da papa Giovanni Paolo II, alla presenza di circa 500.000 persone provenienti da ogni parte del mondo88.

87

Cfr. Ibidem, p. 155. Cfr. San Josemaría Escrivá, 6 ottobre 2002, Notiziario della Prelatura dell’Opus Dei, n° 35, anno XXVI, I semestre – gennaio/giugno 2003, p. 3. 88


1.7 L’ITINERARIO GIURIDICO DELL’OPUS DEI Fin dalla fondazione dell’Opera Escrivá ritenne necessario uno statuto giuridico con norme e regole rispecchianti il carisma della stessa Opera. Il primo Regolamento è datato 24 marzo 1933, giorno della festa dell’Arcangelo Gabriele, ed è intitolato Normas provisionales, a que se han de acomodar los miembros de la Obra89. Erano due fogli ciclostilati che descrivevano le opere di pietà praticate dai membri dell’Opera 90. In quegli anni il diritto canonico che sanciva ogni dedizione al servizio di Dio, prevedeva il quadro istituzionale degli Ordini e delle Congregazioni religiose. Il carisma dell’Opus Dei, però, non rispecchiava tale istituzionalità, propria della vita consacrata91, e don Josemaría elaborò sei documenti sulla vita, lo spirito, la formazione e l’apostolato dei membri dell’Opera, che chiamò Regulae, Regimen, Ordo, Consuetudines, Spiritus e Caerimoniale. Dopo un anno di lavoro, insieme al regolamento, costumiere e cerimoniale dell’istituzione, li consegnò a mons. Eijo y Garay, vescovo di MadridAlcalá, che il 19 marzo 1941 approvò l’Opus Dei come Pia Unione della Santa Croce. Era una semplice approvazione diocesana, un riconoscimento pubblico, che non erigeva canonicamente l’Opera, ma poneva don Josemaría e i suoi seguaci al riparo dalle accuse volte nei loro confronti. L’Opus Dei allora contava una quarantina di membri e alcune «residenze» in Spagna92. Due anni più tardi, in seguito ad un’altra illuminazione divina ricevuta da Escrivá, 89

«mons. Eijo y Garay chiese il nulla osta alla Sacra Congregazione dei

Traduzione dallo spagnolo a cura di Bufano Giuseppe: Regole provvisorie, che devono impiegare i membri dell’Opera. Cfr. TORNIELLI A., Escrivá cit., p. 113. 91 Cfr. Ibidem, pp. 113-114. 92 Cfr. ROCCA GIANCARLO, L’«Opus Dei» - Appunti e documenti per una storia, Ed. Paoline, Roma 1985, p. 14; cfr. TORNIELLI A., Escrivá cit., pp. 114-115; cfr. VÁSQUEZ DE PRADA A., Il fondatore cit., vol. 2, p. 494; cfr. AA.VV., L’Enciclopedia, La Biblioteca di Repubblica, vol. 15, diretto da E. Cravetto, UTET, Moncalieri (TO) 2003, p. 304 (la voce Opus Dei è a cura di Aldo Berselli); cfr. STEIGLEDER KLAUS, L’Opus Dei vista dall’interno, Claudiana Editrice, Torino 1986, p. 17. 90


Religiosi per erigere la Società sacerdotale della Santa Croce in società di vita comune senza voti pubblici»93. Insieme alla richiesta del nulla osta vi era un elaborato del regime dell’istituto che si voleva erigere, preparato da don Josemaría, il quale aveva ottenuto dal vescovo, l’anno precedente, «la collocazione canonica della carica di rettore del Patronato di s. Isabel, venendo di conseguenza incardinato nella diocesi di Madrid-Alcalá»94. Ottenuto il nulla osta, sia del S. Ufficio, sia dalla Sacra Congregazione dei Religiosi, l’Opus Dei riceveva una struttura confacente con il Codice di diritto canonico allora vigente e don Josemaría Escrivá veniva incorporato all’istituto come primo superiore generale95. Il passaggio da Pia Unione o Pia Società della Santa Croce a Società Sacerdotale della Santa Croce era necessario, poiché Escrivá prevedeva che l’Opera fosse composta di fedeli laici e da sacerdoti che non fossero sacerdoti secolari in qualità di assistenti dell’Opera, ma incardinati dallo stesso Istituto96. «I sacerdoti sono necessari anche per la cura spirituale dei membri dell’Opera: per amministrare i sacramenti, per collaborare con i Direttori laici nella direzione delle anime, per dare una profonda istruzione teologica agli altri membri dell’Opus Dei e – punto fondamentale nella stessa costituzione dell’Opera – per svolgere alcuni incarichi di governo»97. Pertanto era necessario

«avviarsi

verso

una

struttura

giuridica

che

ne

permettesse

l’incardinazione»98.

93

Ibidem, p. 21. Ibidem, p. 21. 95 Cfr. Ibidem, p. 22. 96 Cfr. LE TOURNEAU DOMINIQUE, Natura giuridica dell’Opus Dei, in AA.VV., Romana – Studi sull’Opus Dei e sul suo Fondatore, Ed. Ares, Milano 1998, p. 186. 97 ESCRIVÁ J., Lettera 14.02.1944, n. 9, in VÁSQUEZ DE PRADA A., Il fondatore cit., vol. 2, p. 626. 98 ROCCA G., L’«Opus Dei» cit., p. 23. 94


Con l’approvazione dell’Opus Dei a istituto secolare, Escrivá fu costretto a distaccarne il ramo femminile. Egli, però, «non fa passare l’intero ramo maschile della precedente pia unione nella Società sacerdotale della Santa Croce»99; per cui si ebbero due gruppi: uno appartenente alla Società sacerdotale della Santa Croce, l’altro appartenente all’Opus Dei. Il motivo della distinzione riguarda il grado di impegno dei relativi membri: gli appartenenti alla Società sacerdotale vivono insieme in famiglia; gli appartenenti all’Opus Dei no. Per cui nell’Opus Dei si incluse il ramo femminile. Da tutto ciò si evince che la Società sacerdotale e l’Opus Dei sono due istituzioni distinte con propria costituzione e propri statuti. A soli tre anni di distanza dall’erezione in società di vita comune Escrivá chiese le approvazioni pontificie. A Roma erano già presenti don Álvaro del Portillo e Salvatore Canals che si occupavano della pratica di approvazione pontificia dell’Opera. Nel giugno del 1946 si trasferì anche don Josemaría e la sua presenza in Italia accelerò il processo di approvazione. Pio XII lo ricevette in udienza e ne rimase molto colpito. In seguito confidò al cardinal Gilroy: «È un vero santo, un uomo mandato da Dio per i nostri tempi»100. Difatti fu Pio XII a dare all’Opus Dei le approvazioni pontificie, prima nel 1947 e poi quella definitiva del 1950101. «Il 2 febbraio 1947, la Costituzione apostolica Provvida Mater Ecclesia crea la figura giuridica degli istituti secolari nel contesto generale delle associazioni di fedeli. Il

99

Ibidem, p. 26. DOLZ M., San Josemaría cit., p. 42. 101 Cfr. Ibidem, p. 42. 100


24 dello stesso mese, con il Decreto Primum institutum102, viene approvato l’Opus Dei come primo103 istituto secolare. Diviene così un istituto di diritto pontificio con la facoltà di incardinare suoi propri sacerdoti»104. Tale approvazione non veniva concessa alla sola Società sacerdotale della Santa Croce, ma ad essa e all’Opus Dei insieme, che ora venivano a costituire un unico istituto denominato Opus Dei. Da allora la divisione interna dell’istituto cambia: pur avendo un’unica approvazione si parlerà di ramo maschile, comprendente anche la Società sacerdotale della Santa Croce, e ramo femminile, con propria gerarchia interna105. In seguito mons. Escrivá chiederà l’approvazione definitiva del suo istituto e delle costituzioni, richiesta avvallata dalle lettere di 110 prelati, tra cui vari cardinali e arcivescovi, che giungerà il 16 giugno 1950 con il decreto Primum inter Instituta106. Il decreto inizia ricordando che l’Opus Dei è il primo istituto secolare riconosciuto dalla Chiesa; segue con una breve storia dell’istituto, dalla fondazione sino ad allora, e termina con la sua fisionomia specificata in sei punti: la natura; l’ordinamento; l’apostolato; lo spirito; la formazione dei membri, loro gradi e caratteristiche; il regime dell’istituto107.

102

Cfr. DE FEUNMAYOR AMEDEO, GÓMEZ-IGLESIAS VALENTÍN, ILLANES JOSÉ LUIS, L’itinerario giuridico dell’Opus Dei, Ed. Giuffrè, Milano 1991, documento n. 22 (testo in latino), p. 753; cfr. ROCCA G., L’«Opus Dei» cit., documento n. 27 (testo in latino), p. 159. 103 «Primo» s’intende in senso giuridico, non storico, in quanto altre fondazioni erano sorte prima dell’Opus Dei, ma approvate solo in seguito come istituti secolari. 104 LE TOURNEAU D., Natura giuridica dell’Opus Dei, in AA.VV., Romana cit., p 186; cfr. ROCCA G., L’«Opus Dei» cit., p. 38; cfr. TORNIELLI A., Escrivá cit., p. 128; cfr. AA.VV., STORIA DELLA CHIESA, La Chiesa del Vaticano II (1958-1978), vol. XXV/2, parte seconda, a cura di Guasco Maurilio, Guerriero Elio, Traniello Francesco, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1994, p. 115. 105 Cfr. ROCCA G., L’«Opus Dei» cit., pp. 39-40. 106 Cfr. DE FEUNMAYOR A., GÓMEZ-IGLESIAS V., ILLANES J. L., L’itinerario giuridico cit., documento n. 31 (testo in latino), p. 767; cfr. ROCCA G., L’«Opus Dei» cit., documento n. 38 (testo in latino), p. 171. 107 Cfr. ROCCA G., L’«Opus Dei» cit., p. 66.


Con l’approvazione definitiva ottenne anche di ammettere dei cooperatori, cioè persone che collaborano con l’Opera pur non facendone parte. Tra questi saranno presenti molti non cattolici e non cristiani. In questo modo la Chiesa affermava ed esprimeva la dimensione ecumenica dello spirito dell’Opus Dei 108. Non solo; da allora i sacerdoti incardinati nelle rispettive diocesi avrebbero potuto iscriversi alla Società sacerdotale della Santa Croce «per ricevere aiuto spirituale, senza che ne soffrisse alcuno dei vincoli canonici e ministeriali da cui erano uniti ai rispettivi Ordinari»109. Ricevuta l’approvazione definitiva del 1950 Escrivá pensò di ritornare in Spagna, ma mons. Montini e mons. Tardini lo convinsero a rimanere a Roma. In questo modo l’Opus Dei sarebbe stata fisicamente più vicina alla Santa Sede cercando l’unità con il Papa e l’universalità cattolica. Tenne accanto a sé don Álvaro del Portillo, allora Procuratore Generale, ma lasciò a Madrid il Consiglio Generale dell’Opus Dei. Tale divisione si ebbe fino al 1956110. Ma soltanto dopo la morte di don Josemaría Escrivá l’Opera ebbe la forma giuridica prevista e desiderata dallo stesso fondatore. Il 28 novembre 1982 papa Giovanni Paolo II eresse l’Opus Dei in Prelatura personale, approvando le sue costituzioni secondo la nuova fisionomia 111. Con la Costituzione apostolica Ut sit venne eretta la Prelatura della Santa Croce e Opus Dei, e don Álvaro del Portillo venne confermato, dal Santo Padre, Presidente Generale dell’Opus Dei, e nominato primo Prelato di questa nuova Prelatura Personale112.

108

Cfr. LE TOURNEAU D., Natura giuridica dell’Opus Dei, in AA.VV., Romana cit., p. 187; cfr. TORNIELLI A., Escrivá cit., p. 130; cfr. LE TOURNEAU DOMINIQUE, L’Opus Dei, Ed. Scientifiche Italiane, Napoli 1992, p. 69. 109 LE TOURNEAU D., L’Opus Dei cit., p. 69. 110 Cfr. TORNIELLI A., Escrivá cit., p. 131; cfr. BERGLAR P., Opus Dei cit., p. 254. 111 Cfr. Ibidem, p. 184; cfr. LE TOURNEAU D., L’Opus Dei cit., p. 78 ; cfr. ROCCA G., L’«Opus Dei» cit., p. 105. 112 Cfr. STEIGLEDER K., L’Opus Dei cit., p. 108; cfr. LE TOURNEAU D., Natura giuridica dell’Opus Dei, in AA.VV., Romana cit., p. 192.


La Prelatura personale è una «istituzione giurisdizionale e gerarchica, costituita da sacerdoti secolari e fedeli laici, i quali sotto la giurisdizione di un prelato, promuovono con la loro vita la ricerca della santità e l’esercizio dell’apostolato nelle circostanze proprie dell’ordinaria esistenza degli uomini»113. Di seguito è riportata la Costituzione apostolica Ut sit in lingua italiana114 tradotta dall’originale in lingua latina115. Costituzione Apostolica "Ut sit" Costituzione apostolica con la quale la Santa Sede ha eretto l'Opus Dei in Prelatura Personale della Chiesa cattolica. GIOVANNI PAOLO VESCOVO SERVO DEI SERVI DI DIO A PERPETUA MEMORIA Con grandissima speranza, la Chiesa rivolge le sue materne premure e le sue attenzioni verso l’Opus Dei, che per divina ispirazione il Servo di Dio Josemaría Escrivá de Balaguer fondò a Madrid il 2 ottobre 1928, affinché esso sia sempre un valido ed efficace strumento della missione salvifica che la Chiesa adempie per la vita del mondo. Fin dai suoi inizi, infatti, questa Istituzione si è impegnata, non solo a illuminare di nuova luce la missione dei laici nella Chiesa e nella società umana, ma anche a realizzarla nella pratica; come pure si è impegnata a tradurre in realtà vissuta la dottrina della chiamata universale alla santità, e a promuovere in ogni ceto sociale la santificazione del lavoro professionale ed attraverso il lavoro professionale. Inoltre, per mezzo della Società Sacerdotale della Santa Croce, si è adoperata per aiutare i sacerdoti diocesani a vivere la medesima dottrina, nell’esercizio del loro sacro ministero. Poiché l’Opus Dei con l’ aiuto della grazia divina, crebbe in tal modo da diffondersi ed operare in un gran numero di diocesi di tutto il mondo, agendo come una compagine apostolica che, formata da sacerdoti e da laici, uomini e donne, è allo stesso tempo organica ed indivisa - cioè, come un’istituzione dotata di una unità di spirito, di fine, di regime e di formazione -, si rese necessario attribuirle una appropriata forma giuridica, che fosse consona alle sue caratteristiche peculiari. Fu lo stesso Fondatore dell’Opus Dei, nell’anno 1962, a chiedere con umile e fiduciosa supplica alla Santa Sede che, in considerazione della natura teologica ed originaria dell’Istituzione e in vista di una sua maggiore efficacia apostolica, le venisse applicata una configurazione ecclesiale ad essa adatta. Dal momento in cui il Concilio Ecumenico Vaticano Secondo ebbe introdotto nell’ordinamento della Chiesa per mezzo del Decreto Presbyterorum Ordinis, n. 10 - che fu reso esecutivo mediante il Motu proprio Ecclesiae sanctae, I, n. 4 - la figura delle Prelature personali dirette alla realizzazione di peculiari opere pastorali, apparve chiaro che tale figura era perfettamente adeguata all’Opus Dei. Per cui, nell’anno 1969, il Nostro Predecessore Paolo VI, di felicissima memoria, accogliendo benignamente la richiesta del Servo di Dio Josemaría Escrivá de Balaguer, lo autorizzò a convocare uno speciale Congresso generale, che sotto la sua guida si occupasse di iniziare lo studio per una trasformazione

113

ILLANES JOSÉ LUIS, La santificazione del lavoro, Ed. Ares, Milano 2003, p. 77. Fonte internet: www.opusdei.it a cura dell’Ufficio Informazioni dell’Opus Dei in Internet. 115 Cfr. ROCCA G., L’«Opus Dei» cit., p. 225. 114


dell’Opus Dei in accordo con la sua natura e con le norme del Concilio Vaticano II. Noi stessi ordinammo espressamente che detto studio venisse proseguito, e nell’anno 1979 demmo mandato alla Sacra Congregazione per i Vescovi, alla quale per sua natura competeva l’assunto, affinché, dopo aver considerato attentamente tutti gli elementi sia di diritto che di fatto, vagliasse la richiesta formale che era stata presentata dall’Opus Dei. La Sacra Congregazione, in espletamento dell’incarico ricevuto, esaminò accuratamente la questione che le era stata affidata, e lo fece prendendo in considerazione sia l’aspetto storico che quello giuridico e pastorale. In tal modo, essendo stato rimosso qualsiasi genere di dubbio circa il fondamento, la possibilità ed il modo concreto di accogliere la domanda, apparve evidente l’opportunità e l’utilità dell’auspicata trasformazione dell’Opus Dei in Prelatura personale. Pertanto, Noi, con la pienezza della Nostra potestà apostolica, dopo aver accolto il parere datoCi dal Nostro Venerabile Fratello Sua Eminenza Reverendissima il Cardinale Prefetto della Sacra Congregazione per i Vescovi, e supplendo, nella misura in cui sia necessario, al consenso di chi abbia, o ritenga di avere, competenza in questa materia, ordiniamo e vogliamo che venga eseguito quanto segue. I L’Opus Dei viene eretto in Prelatura personale di ambito internazionale, con il nome di Santa Croce e Opus Dei, e, in forma abbreviata, Opus Dei. Con lo stesso atto, viene eretta la Società Sacerdotale della Santa Croce come Associazione di Chierici intrinsecamente unita alla Prelatura. II La Prelatura è retta dalle norme del diritto generale e di questa Costituzione, oltre che dai propri Statuti, che sono denominati "Codice di diritto particolare dell’Opus Dei" . III La giurisdizione della Prelatura personale si estende ai chierici in essa incardinati nonché ai laici che si dedicano alle opere apostoliche della stessa Prelatura, limitatamente per questi ultimi all’adempimento dei peculiari obblighi che essi hanno assunto con vincolo giuridico, mediante una convenzione con la Prelatura: gli uni e gli altri, chierici e laici, dipendono dall’autorità del Prelato nello svolgimento dell’opera pastorale della medesima Prelatura, a norma di quanto prescritto nell’articolo precedente. IV L’Ordinario proprio della Prelatura dell’Opus Dei è il suo Prelato, la cui elezione, da farsi in accordo con le disposizioni del diritto generale e particolare, deve essere confermata dal Romano Pontefice. V La Prelatura dipende dalla Sacra Congregazione per i vescovi e, a seconda della varietà delle materie, tratterà le relative questioni con gli altri Dicasteri della Curia Romana. VI Ogni quinquennio, il Prelato, tramite la Sacra Congregazione per i vescovi, sottoporrà al Romano Pontefice una relazione sullo stato della Prelatura e sullo svolgimento del suo lavoro apostolico. VII Il governo centrale della Prelatura ha la sua sede in Roma. L’oratorio di Santa Maria della Pace, che si trova presso la sede centrale, viene eretto in chiesa prelatizia.


Inoltre, il Reverendissimo Monsignor Alvaro del Portillo, canonicamente eletto come Presidente Generale dell’Opus Dei il 15 settembre 1975, viene confermato e viene nominato Prelato dell’eretta Prelatura personale della Santa Croce e Opus Dei. Infine Noi, per l’opportuna esecuzione di tutto quanto sopra, designiamo il venerabile Fratello Romolo Carboni, Arcivescovo tit. di Sidone e Nunzio Apo-stolico in Italia, al quale conferiamo le necessarie ed opportune facoltà, compresa quella di suddelegare per la materia in questione qualsiasi dignitario ecclesiastico, imponendogli l’obbligo di inviare al più presto alla Sacra Congregazione per i vescovi un esemplare autentico dell’atto di esecuzione dell’incarico . Tutto ciò, nonostante qualsiasi disposizione in contrario. Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 28 del mese di novembre dell’anno 1982, quinto del Nostro Pontificato.

AGOSTINO Card. CASAROLI Segretario di Stato SEBASTIANO Card. BAGGIO Prefetto della Sacra Congregazione per i vescovi Giuseppe Del Ton, Protonotario Apostolico Marcello Rossetti, Protonotario Apostolico


CAPITOLO SECONDO

Il lavoro: strumento di santitĂ


2.1 IL LAVORO NELLA STORIA DELLA SPIRITUALITÀ Considerando il lavoro quale componente essenziale della vita dell’uomo, e mezzo attraverso il quale egli si afferma nella società, è possibile affermare che il lavoro è presente nella storia sin dalle origini del mondo. Essendo l’uomo un essere spirituale, e vivendo la sua spiritualità nel quotidiano, il lavoro entra a far parte di questa componente preziosissima. Ma, nonostante diversi studi effettuati in questo campo, non ci sono opere che forniscano una visione d’insieme, lungo la storia, circa le relazioni tra spiritualità e lavoro116. Solo a partire dal monachesimo la teologia spirituale ha conferito un’importanza decisiva al tema del lavoro, inteso non solo come lavoro manuale ma, ampliando la visione, dando anche importanza e valore alle diverse professioni e alla loro incidenza nella crescita della società e della storia. Nel

frattempo

il

monachesimo

si

evolveva

in

diversi

aspetti

e

contemporaneamente si sviluppava anche il tema del lavoro senza, però, apportare una valorizzazione spirituale di esso. La realtà è che la percezione del valore cristiano del lavoro, santificabile e santificante, si lega alla consapevolezza della specificità della vocazione laicale 117. Analizzando lo sviluppo del tema del lavoro, circa l’apporto che esso dà in riferimento alla perfezione cristiana, partiamo dall’ideale monastico, che ha come punto centrale la ricerca personale della santità. Non vi è dunque apostolato diretto, se non all’interno del monastero stesso. Una forma di apostolato indiretto era la presenza dei monasteri costruiti sulla cima dei colli o nei pressi di città e paesi, che rappresentavano 116 117

Cfr. ILLANES J. L., La santificazione cit., p. 47. Ibidem, p. 48.


fonti di spiritualità e spingevano gli uomini a vivere e manifestare sinceramente il proprio credo cristiano. Col tempo le cose cambiavano e il monachesimo incominciò a prendersi cura delle anime al di fuori del convento. L’attività missionaria di molti vescovi condussero molti uomini alla fede. In questa linea, il Concilio di Nimes, convocato da Urbano II, il 2 luglio 1096, proclamò in modo espresso e solenne che i monaci potevano dedicarsi al ministero pastorale, per il quale essi sono pienamente abilitati 118. In seguito sorsero gli Ordini «mendicanti», tra cui francescani e dominicani che, attraverso la nuova figura del frate, poterono portare il Vangelo ovunque. Da allora la predicazione ebbe come obiettivo portare tutti i popoli alla fede cristiana e, dal XVIII secolo in poi, con la nascita di numerose congregazioni, maschili e femminili, l’attività di apostolato crebbe sempre più in conformità alle condizioni storiche del momento. Nello stesso tempo fiorirono le opere di carità e beneficenza per opera degli istituti religiosi. Che cosa avvenne? La spiritualità monastica parlava del lavoro da realizzare nel chiostro; esso aveva una certa somiglianza con il lavoro svolto nel mondo. Per cui vi era un passaggio libero affinché ci si ponesse il problema della santificazione del lavoro svolto nel mondo. Con il rinnovamento successivo, invece, il lavoro manuale non fu più oggetto di attenzione, poiché le attività di carità e apostolato finirono per essere considerate le uniche che potessero condurre alla perfezione cristiana 119. Nel frattempo con il sorgere delle confraternite, legate alle corporazioni di arti e mestieri, si suggeriva una valutazione cristianamente positiva del lavoro. Però, queste 118 119

Canoni 2 e 3: cfr. Mansi, Concilia, XX, col.933, in ILLANES J. L., La santificazione cit., p. 50. Cfr. ILLANES J. L., La santificazione cit., p. 52.


istituzioni erano carenti di spiritualità e non erano in grado di offrire, ai confratelli, una preparazione ascetica e dottrinale che li portasse a santificare il proprio lavoro120. Con l’Umanesimo e il Rinascimento si provò un nuovo interesse per il tema del lavoro dovuto alla diffusione della cultura e alla valorizzazione dell’attività umana, intesa come dominio del mondo. Ma con il protestantesimo tale interesse fu in parte soffocato. Lutero e Calvino, pur considerando il lavoro paragonabile all’azione creatrice di Dio, non scoprirono il valore santificante di esso a causa del «peccato originale come corruzione totale della natura umana»121. Anche la teologia cattolica del Rinascimento e dell’età barocca operò una riflessione profonda sulla vita sociale e sul lavoro. Ma anch’essa risultò incapace di comprendere il valore del lavoro umano. Soltanto nel XX secolo si proclamerà il valore cristiano dell’attività umana, in quanto professione esercitata in mezzo al mondo, come realtà santificabile e santificante. Importante è l’opera di don Giovanni Bosco e delle attività assistenziali tese a elevare la condizione dei meno abbienti, promuovendo la formazione professionale e, dunque, la dignità e il valore del lavoro umano. Così come l’Azione Cattolica che contribuì a promuovere la responsabilità e l’azione dei laici. Ma anche la nascita dell’Opus Dei, che è l’oggetto del nostro interesse, con lo scopo di promuovere la vita cristiana in mezzo al mondo, senza dover cambiare di stato. Durante il lungo processo storico preso in considerazione si può notare quanto poco si parla del lavoro inteso come l’insieme delle attività umane realizzate dall’uomo nel mondo e con quanta frequenza si pone in risalto l’attività ecclesiastica e religiosa. 120 121

Cfr. Ibidem, p. 59. Ibidem, p. 61.


Inoltre possiamo distinguere da un lato l’evoluzione della vocazione religiosa e, dall’altro, la presa di coscienza della vocazione del comune cristiano e della missione che tale vocazione comporta122. La realtà dell’Opus Dei e la sua comparsa nella storia si inserisce in questo processo attraverso il quale la Chiesa riconosce che ciascun uomo, sia esso religioso o comune cristiano, ha una propria specifica vocazione e una missione con la quale si manifesta nel mondo. La vocazione religiosa cerca la perfezione evangelica o la cosiddetta vita di perfezione evangelica che sono proprie dello stato religioso123. Il comune cristiano può raggiungere la santità nel proprio stato e nel mondo, facendo fruttificare la propria vocazione, santificandosi nel luogo del suo incontro con Cristo124. San Josemaría Escrivá parlava di «essere del mondo», di «santificare il mondo dal di dentro», di «stare nel mondo e sentirsi del mondo», escludendo, pertanto, ogni distacco dal proprio luogo originario. In un’intervista, riportata nel libro Colloqui con Monsignor Escrivá, diceva: «I soci dell’Opera sono persone che vivono nel mondo, dove esercitano la loro professione o il loro mestiere. Aderendo all’Opus Dei, non lo fanno per abbandonare il lavoro, ma, al contrario, per cercare un aiuto spirituale per santificare il proprio lavoro ordinario, trasformandolo anche in mezzo per santificarsi e aiutare gli altri a santificarsi. Essi non cambiano di stato – continuano ad essere celibi, sposati, vedovi o sacerdoti –, ma cercano di servire Dio e gli altri uomini nel proprio stato»125.

122

Cfr. Ibidem, p. 69. Cfr. ESCRIVÁ J., Colloqui cit., n. 62, p. 103. 124 Cfr. Ibidem, n. 62, p. 104. 125 Ibidem, n. 24, p. 54; cfr. ILLANES J. L., La santificazione cit., p. 78. 123


2.2 IL LAVORO: STRUMENTO DI SANTITÁ

«Il lavoro è la prima vocazione dell’uomo, è una benedizione di Dio, e si sbagliano, purtroppo, quelli che lo considerano un castigo. Il Signore, il migliore dei padri, ha collocato il primo uomo nel Paradiso, «ut operaretur» - perché lavorasse»126. Il libro della Genesi apre gli orizzonti della salvezza con la creazione del mondo e di tutto ciò che in esso sussiste. L’uomo, creato a immagine e somiglianza del Creatore127, viene posto nel giardino di Eden perché lo coltivasse e lo custodisse128 e, insieme alla donna postagli accanto, ricevette il compito di moltiplicarsi, riempire la terra e dominarla129. Il lavoro, pertanto, rappresenta una componente essenziale dell’uomo. Questi, «nell’adempimento di tale mandato, riflette l’azione stessa del Creatore dell’universo»130. Il lavoro serve all’uomo per la realizzazione della sua umanità e per poter giungere alla pienezza della sua vocazione umana131. L’uomo, chiamato a custodire il “giardino” sviluppa la sua vocazione divina, derivatagli dal compito ricevuto da Dio e collabora alla sua azione creatrice132. Il Dio invisibile si fa visibile nel suo Figlio Unigenito e invita l’uomo a conformarsi a Lui per condurlo nell’eternità della vita divina. «In questa prospettiva Escrivá vede la necessità di un impegno del cristiano nel lavoro fatto di una doppia fedeltà: a Dio che lo salva, e dunque alla fede, al Vangelo, alla Chiesa… e fedeltà alla terra, e cioè alle realtà terrene, al lavoro fra queste; un 126

ESCRIVÁ J., Solco, n. 482, in Cammino, Solco cit., p. 365; cfr. ESCRIVÁ JOSEMARÍA, Il lavoro rende santi, a cura di Gaeta Saverio, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 1997, p. 57. 127 Cfr. Gen 1, 27. 128 Gen 2, 15. 129 Cfr. Gen 1, 28. 130 GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica sul lavoro umano Laborem exercens, n. 4, Ed. Paoline, Roma 1981, p. 10. 131 Cfr. Ibidem, n. 6. 132 Cfr. CONCILIO VATICANO II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, n. 34, Ed. Paoline, Milano 1988, p. 29; cfr. FARO GIORGIO, Il lavoro cit., p. 9.


lavoro da fare con competenza e dedizione… perché nel lavoro, come in tutta la storia dell’uomo Dio ci attende»133. Il lavoro ordinario è, nel pensiero di san Josemaría, «il cardine sul quale poggia e ruota la nostra chiamata alla santità»134. Il lavoro, pertanto, non è una maledizione per l’uomo; anzi, rappresenta uno strumento per la sua santificazione. La sofferenza e la fatica, legate al lavoro, entrano in un secondo momento nella vita umana. Sono la conseguenza del “primo peccato” dell’uomo e della donna che impediva l’unione con Dio. Esso non è un castigo, ma cammino di salvezza135: attraverso la riconciliazione, operata da Cristo, ogni uomo può raggiungere il fine ultimo: la propria santificazione. Iddio crea il mondo volutamente perfettibile; ora sta all’uomo perfezionarlo con il suo lavoro e la sua creatività. «L’uomo, quando lavora e lavora bene, sta perfezionando l’opera di Dio. La stessa creatura umana è, a sua volta, perfettibile: potrà pervenire a una piena realizzazione soltanto lavorando virtuosamente, per amore dei suoi simili e di Dio»136. Affinché il lavoro possa essere uno strumento di santificazione personale ed efficace mezzo di apostolato deve essere svolto bene alla presenza di Dio, curandone i dettagli. Il libro del Levitico ci ricorda: «non offrite nulla con qualche difetto, perché non sarebbe gradito»137. «Una persona devota, dalla vita di pietà non bigotta, compie il suo dovere professionale con perfezione, perché sa che questo lavoro è preghiera

133

FARO G., Il lavoro cit., p. 9. MAY W., Santità e vita ordinaria, in AA.VV., Santità cit., p. 59; cfr. ESCRIVÁ JOSEMARÍA, Amici di Dio, n. 62, Ed. Ares, Milano 2003, p. 85. 135 Cfr. DERVILLE GUILLAUME, Emmaus è il mondo, Ed. Città Nuova, Roma 2002, p. 35. 136 FARO G., Il lavoro cit., p. 72. 137 Lv 22, 20. 134


innalzata a Dio»138. E ancora: «Lavora con allegria, con pace, alla presenza di Dio – In questo modo, inoltre, realizzerai il tuo compito con buon senso: lo porterai a termine anche se stremato dalla stanchezza, lo completerai per bene…, e le tue opere saranno gradite a Dio»139. Durante la celebrazione della messa, in occasione della festa della Trasfigurazione del Signore, il 7 agosto 1931 a Madrid, don Josemaría Escrivá comprese, su ispirazione divina, che tutti gli uomini avrebbero dovuto elevare Cristo al vertice di tutte le attività umane140. Mettere Cristo nel lavoro quotidiano, nella professione di ognuno, significa diventare altri Cristi; permettergli di entrare nella nostra vita e rendere testimonianza di Lui nelle varie attività. Inoltre la nostra santificazione nel lavoro non può attualizzarsi senza l’accostamento ai sacramenti e la partecipazione alla celebrazione eucaristica. Ogni lavoro è ben gradito al Signore purché svolto con amore. Scriveva il Cardinale Albino Luciani, divenuto poi Giovanni Paolo I, che: «Escrivá de Balaguer, con il Vangelo, ha detto continuamente: Cristo non vuole da noi solo un po’ di bontà, ma tanta bontà. Vuole però che la raggiungiamo non attraverso azioni straordinarie, bensì con azioni comuni; è il modo di eseguire le azioni che dev’essere non comune. Là, nel bel mezzo della strada, in ufficio, in fabbrica, ci si fa santi, a patto che si svolga il proprio dovere con competenza, per amor di Dio e lietamente in modo che il lavoro quotidiano diventi non il “tragico quotidiano”, ma quasi il “sorriso quotidiano”» 141. Non

138

ESCRIVÁ J., Forgia, n. 739, in Cammino, Solco cit., p. 671; cfr. OGNIBENE FRANCESCO, Noi cristiani ordinari. Che rivincita, articolo apparso su Avvenire del 8 ottobre 2002. 139 Ibidem, n. 744, p. 672. 140 Cfr. ESCRIVÁ J., Apuntes íntimos, n. 217, in ILLANES J. L., Lavoro, carità, giustizia, in AA.VV., Santità cit., p. 180; Cfr. ESCRIVÁ J., Colloqui cit., n. 59, p. 96; cfr. ESCRIVÁ J., Via Crucis cit., p. 98. 141 LUCIANI A., Cercando Dio cit., in Il Gazzettino, Venezia, 25.07.1978, in ILLANES J. L., Mondo cit., p. 68; cfr. FARO G., Il lavoro cit., p. 5.


c’è differenza tra la professione di avvocato e quella di medico; tra l’essere un contadino e l’essere un insegnante. «Qualunque cosa facciate, - scriveva san Paolo fatela di cuore come per il Signore e non per gli uomini, sapendo che come ricompensa riceverete dal Signore l’eredità»142. Più volte ripeteva mons. Escrivá che, essendo il lavoro un dono di Dio, non aveva senso dividere gli uomini in categorie diverse, in relazione al tipo di lavoro svolto; esso testimonia la dignità dell’uomo, del suo dominio su tutto il mondo visibile, sviluppa la sua personalità, unisce gli uomini; rappresenta una risorsa per il sostentamento della propria famiglia e della società143. Ognuno ha il compito di santificarsi nel proprio stato di vita, nel suo lavoro offerto costantemente al Signore, perché è in quello stato che Dio ha chiamato ciascun figlio suo per collaborare all’opera della creazione. Per di più, se siamo chiamati a servire il Signore nello stato laicale, non dobbiamo pensare che la santità sia una meta irraggiungibile. Affermava il beato Josemaría Escrivá: «Io non ti dico che puoi santificarti malgrado tu non sia che un laico, un semplice battezzato che vive e lavora nel mondo. Io ti dico che tu puoi – devi – santificarti proprio perché sei così»144. Quando Escrivá proclamava negli anni Trenta la chiamata universale alla santità, attraverso il proprio lavoro e senza dover cambiare di stato, molti non percepirono la relazione immediata delle sue parole con il Vangelo. Successivamente il Concilio Vaticano II, nella Costituzione apostolica Gaudium et spes, confermò il suo insegnamento dichiarando che «offrendo a Dio il proprio lavoro, l’uomo si associa

142

Col 3, 23-24. Cfr. ESCRIVÁ J., È Gesù cit., n. 47, p. 108; cfr. ILLANES J. L., La santificazione cit., p. 145. 144 MESSORI VITTORIO, Opus Dei: un’indagine, Ed. Mondadori, Milano 1994, p. 134; cfr. FARO G., Il lavoro cit., p. 97. 143


all’opera stessa redentiva di Cristo, il quale ha conferito al lavoro una elevatissima dignità, lavorando con le proprie mani a Nazareth»145. Pertanto il lavoro è partecipazione all’opera della creazione, ma essendo stato assunto da Cristo nella sua vita, esso «diventa attività redenta e redentrice»146. L’uomo, divenuto figlio di adozione per mezzo dello Spirito Santo, può ristabilire l’armonia del creato, rotta dal peccato di Adamo, e riconciliare con Dio tutte le cose 147. Per questo il lavoro occupa una posizione di rilievo nella spiritualità del fondatore dell’Opus Dei, in seno alla santità di ogni cristiano. Esso rappresenta la libera e responsabile attività umana per cooperare all’edificazione del Regno di Dio. Scriveva P. Rodríguez, in Vocación, trabajo, contemplación che «quando l’uomo lavora, non solo trasforma le cose, ma allo stesso tempo e soprattutto realizza il suo proprio essere e, se cristiano, lavorando realizza e sviluppa il suo proprio essere cristiano. E questo realizzare il nostro essere cristiani è ciò che si chiama santificarsi nel proprio lavoro»148. La nostra vocazione divina ha in sé una missione, «ci invita a partecipare al compimento della Chiesa, a essere testimoni di Cristo dinanzi agli uomini e a portare a Dio tutte le cose»149. «Ecco il motivo per cui dovete santificarvi – collaborando al tempo stesso alla santificazione degli altri – santificando precisamente il vostro lavoro e il vostro ambiente»150.

145

CONCILIO VATICANO II, Gaudium et spes cit., n. 67, p. 66; cfr. FARO G., Il lavoro cit., p. 98; cfr. DERVILLE G., Emmaus cit., p. 35. 146 ESCRIVÁ J., È Gesù cit., n. 47, p. 108. 147 Cfr. Ibidem, n. 112, p. 229. 148 MAY W, Santità e vita ordinaria, in AA.VV., Santità cit., p. 60. 149 ESCRIVÁ J., È Gesù cit., n. 45, p. 105. 150 Ibidem, n. 46, p. 106.


La nostra santificazione nel lavoro possiamo raggiungerla a patto di unire il nostro lavoro con quello di Cristo, cosa possibile solo svolgendo l’attività con amore. «La dignità del lavoro è fondata sull’Amore», diceva il fondatore dell’Opus Dei, «il lavoro nasce dall’amore, manifesta l’amore, è ordinato all’amore… Sapendoci posti da Dio sulla terra, amati da Lui ed eredi delle sue promesse, il lavoro diviene preghiera, rendimento di grazie»151. Non solo. Esso è anche apostolato. Per cui, attraverso il lavoro dobbiamo rivelare l’amore di Cristo agli altri e condurli a Dio Padre 152. Sull’esempio della Vergine Maria che portava dentro di sé il Salvatore del mondo, dobbiamo santificarci portando in noi Cristo. Pertanto, avendolo dentro di noi, possiamo e dobbiamo donarlo agli altri: «ecco cosa significa santificare gli altri, la testimonianza di una vita offerta, lo spirito di sevizio, la gioia di dare una mano, lo sforzo di ascoltare, la considerazione del lavoro altrui, il sorriso quando si è stanchi, un consiglio atteso, l’assicurazione di una preghiera»153. «Dobbiamo dare quello che riceviamo, insegnare ciò che impariamo, partecipare agli altri – senza montare in cattedra, con semplicità – la nostra conoscenza dell’amore di Cristo. Ciascuno di noi, nel realizzare il proprio lavoro, nell’esercitare la propria professione nella società, può e deve convertire la sua occupazione in un compito di servizio»154. Ecco che la concezione del lavoro, come vocazione umana, nella spiritualità dell’Opus Dei e del suo fondatore, divenne parte importante della vocazione divina:

151

Ibidem, n. 48, p. 108; cfr. ILLANES J. L., La santificazione cit., p. 114. Cfr. Ibidem, n. 49, p. 109. 153 DERVILLE G., Emmaus cit., p. 36. 154 ESCRIVÁ J., È Gesù cit., n. 166, p. 325; cfr. DERVILLE G., Emmaus cit., p. 36. 152


ogni uomo, nella sua vita deve santificare il lavoro, santificarsi nel lavoro e santificare attraverso il lavoro155. Quando mons. Escrivá si riferiva al lavoro come mezzo di santità e di santificazione, intendeva non un lavoro generico e impreciso. Egli esaltava il lavoro professionale. Per cui non il lavoro «considerato come mera attività intellettuale e manuale, né tantomeno come semplice forza trasformatrice della natura, ma il lavoro visto nella pienezza delle sue dimensioni antropologiche e sociali, come occupazione stabile che qualifica chi la realizza e allo stesso tempo lo inserisce nel costituirsi e nel divenire della società umana»156. Il lavoro professionale caratterizza la vita ordinaria di ciascuno e, pertanto, non si può parlare di santificazione del lavoro se non in parallelo della santificazione della vita ordinaria e viceversa. Una vita di fede che non influisce sullo svolgimento della professione sarà una vita cristiana che rimane al di fuori del vivere concreto e che porterà alla scissione tra corpo e anima 157. Più volte don Josemaría, nella sua predicazione, esortava i fedeli a non vivere una doppia vita.

In maniera particolare ricordiamo l’omelia

Amare il mondo

appassionatamente, pronunciata nel campus dell’Università di Navarra (Spagna) l’8 ottobre 1967. «A quegli universitari e a quegli operai che mi seguivano verso gli anni Trenta, io solevo dire che dovevano saper materializzare la vita spirituale. Volevo allontanarli in questo modo dalla tentazione – così frequente allora, e anche oggi – di condurre una specie di doppia vita: da una parte la vita interiore, la vita di relazione con Dio; dall’altra, come una cosa diversa e separata, la vita familiare, professionale e 155

Cfr. ESCRIVÁ J., Lettera del 15.10.1948, n. 6, in FARO G., Il lavoro cit., p. 103; cfr. ESCRIVÁ J, Colloqui cit., n. 55, p. 91; cfr. MAY W., Santità e vita ordinaria, in AA.VV., Santità cit., p. 59; cfr. ESCRIVÁ J., Amici cit., n. 9, p. 30; cfr. ESCRIVÁ J., È Gesù cit., n. 46, p. 107. 156 ILLANES J. L., Lavoro, carità, giustizia, in AA.VV., Santità cit., p. 173; cfr. ILLANES J. L., La santificazione cit., p. 43. 157 Cfr. Ibidem, p. 173.


sociale, fatta tutta di piccole realtà terrene. No, figli miei! Non ci può essere una doppia vita, non possiamo fare come gli schizofrenici, se vogliamo essere cristiani: vi è una sola vita, fatta di carne e di spirito, ed è questa che deve essere – nell’anima e nel corpo – santa e piena di Dio: questo Dio invisibile lo troviamo nelle cose più visibili e materiali»158. Tutto questo è molto importante. Se il lavoro professionale svolto bene e con amore è preghiera innalzata a Dio, è incontro quotidiano con Cristo, pone in relazione gli uomini tra di loro, afferma la dignità dell’uomo stesso, esso deve contribuire, insieme alla fede, a formare la vita di ognuno e a raggiungere la perfezione cristiana. Per poter santificare il lavoro, e affinché esso possa essere mezzo per la propria santificazione e per la santificazione degli altri è necessario che tale lavoro sia svolto da un uomo cristiano. Per questo il binomio uomo-cristiano deve svilupparsi in maniera parallela e inscindibile159: il corpo necessita dell’anima per elevarsi alla perfezione divina; l’anima ha bisogno del corpo per manifestarsi nella quotidianità del mondo. La predicazione di san Josemaría Escrivá e lo spirito dell’Opus Dei sembra siano fondati sul lavoro quale fulcro della vocazione umana o come mezzo in primis di santificazione. In realtà non è così. Lo stesso san Josemaría affermava più volte che: «l’arma dell’Opus Dei non è il lavoro, è la preghiera: per questo trasformiamo il lavoro in preghiera ed abbiamo anima contemplativa»160. Una «preghiera che nasce dalla consapevolezza di essere figli di Dio, creati per amore e destinati all’amore» 161. Il lavoro e la preghiera devono concorrere alla piena identificazione dell’uomo a Cristo. Il 158

ESCRIVÁ J., Colloqui cit., n. 114, p. 191; cfr. ILLANES J. L., Lavoro, carità, giustizia, in AA.VV., Santità cit., p. 171. Cfr. ILLANES J. L., Lavoro, carità, giustizia, in AA.VV., Santità cit., p. 178. 160 DEL PORTILLO Á., Intervista cit., p. 45; cfr. ESCRIVÁ J., Lettera 15.10.1948, in ILLANES J. L., La santificazione cit., p. 172. 161 FARO G., Il lavoro cit., p. 110. 159


Padre scriveva in Cammino: «In primo luogo preghiera; poi espiazione; in terzo luogo, molto in terzo luogo azione»162. Ovviamente, la preghiera che si fa lavoro, spesso non si esprimerà in parole neanche mentali, ma piuttosto nella consapevolezza di svolgere ogni attività davanti a Dio e per servire gli altri: per amore. Non c’è un momento della giornata in cui sia possibile sentirsi interiormente soli. Se ciò dovesse accadere, è perché ci dimentichiamo di Lui»163. Per giungere a santificare la professione, in questo modo, è necessario, pertanto, impegnarsi a lavorare bene, con serietà umana e soprannaturale. In una Lettera, datata 15 ottobre 1948, san Josemaría scriveva: «se mi dicono che un figlio mio è, per esempio, un cattivo maestro ma un buon figlio mio, che me ne importa se non è un buon maestro? Che me ne faccio? Perché, in realtà, se non ha adoperato i mezzi per migliorare nella sua professione, non è un buon figlio mio… Non so che farmene di un uomo senza zelo professionale»164. In questa prospettiva l’uomo può santificare il proprio lavoro professionale se è «dotato di una caratteristica che fu fondamentale nel lavoro di Giuseppe: lo spirito di servizio, il desiderio di lavorare per contribuire al bene comune. Il lavoro di Giuseppe non tendeva all’affermazione di sé. Il Patriarca lavorava con la consapevolezza di compiere la volontà di Dio, pensando al bene dei suoi – Gesù e Maria – e avendo presente il bene di tutti gli abitanti della piccola Nazareth»165. Come san Giuseppe anche Cristo ha svolto il suo lavoro con amore. Il cristiano è chiamato ad imitarlo nello svolgimento della propria attività professionale e ad accettare e portare la Croce nelle fatiche e nelle pene di ogni giorno, così come Cristo accettò e 162

ESCRIVÁ J., Cammino, n. 82, in Cammino, Solco cit., p. 39. FARO G., Il lavoro cit., p. 111. 164 ESCRIVÁ J., Lettera del 15.10.1948, in BERGLAR P., Opus Dei cit., p. 304; cfr. FARO G., Il lavoro cit., p. 112; cfr. ESCRIVÁ J., Amici cit., n. 61, p. 84; cfr. ILLANES J. L., La santificazione cit., p. 113. 165 ESCRIVÁ J., È Gesù cit., n. 51, p. 112; cfr. FARO G., Il lavoro cit., p. 113. 163


abbracciò la sua Croce. Anche nel lavoro la Croce non mancherà mai. Josemaría Escrivá ha proclamato instancabilmente che un giorno senza Croce è un giorno senza Cristo166. Non a caso la Croce è fondamentale ed è presente nella vocazione all’Opus Dei. Il Padre precisava: «Quando vedi una povera Croce di legno, sola, senza importanza e senza valore… e senza Crocifisso, non dimenticare che quella Croce è la tua Croce: quella d’ogni giorno, quella nascosta, senza splendore e senza consolazione…, che sta aspettando il Crocifisso che le manca: e quel Crocifisso devi essere tu»167. Quindi un lavoro santificato dipende da vari fattori, tra cui il più importante è l’amore. È nel lavoro svolto con amore che l’uomo ritrova la sua dignità, non nel lavoro in sé, come sosteneva Marx168. Per questo Josemaría Escrivá non faceva distinzione dei diversi lavori. Non c’è un ordine di importanza delle varie professioni: tra l’impiego di uno spazzino e quello di un ministro il più valoroso è quello di colui che svolge il proprio lavoro con più amore di Dio169. Dunque la santità è trasformare il lavoro in atto di amore, contemplando Dio in atteggiamento di preghiera. Quando ciò avviene il lavoro diventa efficace servizio agli altri, manifestando l’amore con le opere170. Per questo la preghiera è posta al vertice di tutto: senza di essa il cristiano non santificherà mai la sua attività professionale. Scriveva mons. Álvaro del Portillo, primo successore alla guida dell’Opus Dei, che «il lavoro nutre l’orazione e l’orazione nutre il lavoro. Fino a tal segno che il lavoro in sé, in quanto servizio reso all’uomo e alla società, diviene preghiera grata a Dio: atto nel 166

Cfr. BERGLAR P., Opus Dei cit., p. 311. ESCRIVÁ J., Cammino, n. 178, in Cammino, Solco cit., p. 58; cfr. anche 277, p. 77. cfr. FARO G., Il lavoro cit., p. 114. 168 Cfr. FARO G., Il lavoro cit., p. 116. 169 Cfr. Ibidem, p. 116; cfr. BERGLAR P., Opus Dei cit., p. 228; cfr. ESCRIVÁ J., Forgia, n. 705, in Cammino, Solco cit., p. 664. 170 Cfr. Ibidem, p. 117. 167


quale l’uomo tutto intero, nel proprio essere e nel proprio agire, dona se stesso a Dio»171. «Lavoriamo e lavoriamo molto e bene, senza dimenticare che la nostra arma migliore è l’orazione. Pertanto, non mi stanco di ripetere che dobbiamo essere anime contemplative in mezzo al mondo, che cercano di trasformare il lavoro in orazione»172. Infatti mons. Escrivá non proponeva una semplice connessione tra lavoro e preghiera, ma la piena unione tra le due realtà, sino a che il lavoro si trasformi in preghiera173. Nel decennio successivo alla fondazione dell’Opera, san Josemaría visse per alcuni mesi a Burgos, in Spagna, dove elaborò la sua tesi di dottorato. Qui è presente una cattedrale gotica con altissime guglie, e osservandola attentamente notò con quanta perfezione fu costruita. In seguito utilizzò tale immagine per la sua predicazione. In un’omelia del 1960, riportata in Amici di Dio, scriveva: «Mi piaceva salire su una delle sue torri, per far contemplare da vicino a quei ragazzi la selva di guglie, un autentico ricamo di pietra, frutto di un lavoro paziente, faticoso. In quelle conversazioni facevo notare che tutta quella meraviglia non era visibile dal basso. E, per materializzare ciò che tanto spesso avevo loro spiegato, commentavo: questo è il lavoro di Dio, l’opera di Dio!: portare a termine il lavoro professionale con perfezione, in bellezza, con la grazia di questi delicati merletti di pietra. Capivano, davanti a una realtà così palese, che tutto quello era preghiera, un bellissimo dialogo con il Signore. Coloro che spesero le loro

171

DEL PORTILLO ÁLVARO, Il lavoro si trasformi in orazione, in Rendere amabile la verità. Raccolta di scritti di Mons. Álvaro del Portillo, Libreria Editrice Vaticana, Roma 1995, p. 649. 172 ESCRIVÁ J., Solco, n. 497, in Cammino, Solco cit., p. 367; cfr. FARO G., Il lavoro cit., p. 119. 173 Cfr. ILLANES J. L., La santificazione cit. p. 125.


forze in quel lavoro, sapevano perfettamente che dalle strade della città nessuno si sarebbe reso conto del loro sforzo: era soltanto per il Signore»174. Ulteriore mezzo per lavorare bene e santificare il nostro lavoro, e la nostra vita attraverso di esso, è costituito dalle virtù umane, che dobbiamo conquistare, e le virtù soprannaturali che riceviamo attraverso i sacramenti. Le virtù sono il mezzo con cui ogni cristiano può giungere alla perfezione cristiana nel mondo e aumentare così la propria capacità di servire tutte le anime nel suo lavoro 175. Inoltre esse mettono in relazione con tutti gli ambienti umani, in modo particolare con il mondo del lavoro. «Amate la giustizia. Praticate la carità. Difendete sempre la libertà personale e il diritto che tutti gli uomini hanno di vivere, di lavorare, di essere assistiti nella malattia e nella vecchiaia, di fondare un focolare, di mettere al mondo dei figli, di educarli in proporzione al talento di ognuno, di ricevere un trattamento degno di uomini e di cittadini»176. Tutti i cristiani devono coincidere nel comune desiderio di servire l’umanità intera, senza distinzione di lingua, razza, nazionalità o credo. Servire l’umanità nel servizio reso a Dio e per amor suo177. Ma il lavoro esige anche partecipazione e responsabilità, due atteggiamenti che la coscienza di ogni uomo espliciterà meglio, in base al proprio bagaglio di virtù. «Dato che ci dobbiamo comportare sempre come inviati di Dio, dobbiamo ricordare molto bene che non lo serviamo con lealtà quando trascuriamo il nostro lavoro; quando non condividiamo con gli altri l’impegno e l’abnegazione nel compiere i doveri

174

ESCRIVÁ J., Amici cit., n. 65, p. 89; cfr. ILLANES J. L., La santificazione cit., p. 134; cfr. FARO G., Il lavoro cit., p.

35. 175

Cfr. FARO G., Il lavoro cit., p. 122. ESCRIVÁ J., Lettera del 15.10.1948, n. 29, in ILLANES J. L., La santificazione cit., p. 116; cfr. FARO G., Il lavoro cit., p. 123. 177 Cfr. ESCRIVÁ J., Lettera del 31.05.1943, n. 11, in ILLANES J. L., La santificazione cit., p. 117; cfr. ESCRIVÁ J., È Gesù cit., n. 167, p. 328; cfr. FARO G., Il lavoro cit. p. 123. 176


professionali; quando diamo motivo di essere giudicati scansafatiche, leggeri, superficiali, disordinati, pigri, inutili… Perché chi trascura questo genere di doveri, solo in apparenza meno importanti, difficilmente riuscirà vittorioso nei doveri della vita interiore, che certamente sono più difficili»178. Se invece lavoriamo con lo scopo di santificarlo entrano in relazione una serie di virtù: «la fortezza, per perseverare nel lavoro, nonostante le naturali difficoltà, e per non lasciarsi mai vincere dal suo peso; la temperanza, per spendersi senza riserve, superando la comodità e l’egoismo, la giustizia, per compiere i nostri doveri verso Dio, verso la società, la famiglia, i colleghi; la prudenza, per sapere in ogni circostanza che cosa conviene fare e metterci all’opera senza indugi… E tutto, insisto, per Amore, con il senso vivo e immediato della responsabilità del frutto del nostro lavoro, e della sua portata apostolica»179. Un lavoro svolto alla presenza di Dio permetterà di abbattere l’egoismo, l’esaltazione del proprio operato, il potere; in cambio emergeranno lo spirito di povertà e

di

umiltà:

«sono

i

frutti

saporiti

dell’anima

contemplativa

nell’azione

professionale»180.

178

ESCRIVÁ J., Amici cit., n. 62, p. 85. Ibidem, n. 72, p. 96; cfr. FARO G., Il lavoro cit., p. 125; cfr. ILLANES J. ., La santificazione cit., p. 119. 180 ESCRIVÁ J., Lettera del 9.01.1932, n. 58, in ILLANES J. L., La santificazione cit., p. 118; cfr. FARO G., Il lavoro cit., p. 125. 179


2.3 LAVORO E APOSTOLATO «Ciò che ti meraviglia a me sembra ragionevole. – Che il Signore sia venuto a cercarti nell’esercizio della tua professione? Così cercò i primi: Pietro, Andrea, Giovanni e Giacomo accanto alle reti; Matteo seduto al banco degli esattori… E – sbalordisci! – Paolo nel suo accanimento di mettere fine alla semenza dei cristiani»181. Questa affermazione del fondatore dell’Opus Dei circa l’apostolato fa riferimento al compito di ogni cristiano; può sembrare strano che, attraverso il lavoro, possiamo contribuire alla conversione di molte anime. Ma è proprio così! «L’apostolato – scriveva san Josemaría – non è qualcosa di diverso dal compito di ogni giorno: si confonde con il lavoro quotidiano, quando esso è trasformato in occasione di incontro personale con Cristo. In questo lavoro, impegnandoci gomito a gomito negli stessi problemi dei nostri compagni, dei nostri amici, dei nostri parenti, potremo aiutarli a raggiungere Cristo»182. È sbagliato però considerare l’apostolato come testimonianza di qualche pratica di pietà. Attraverso il lavoro il cristiano è chiamato a dare l’esempio di un lavoro santificato e illuminare i propri amici e colleghi nel loro operato183. «L’evangelizzazione del mondo del lavoro – ha scritto il Santo Padre Giovanni Paolo II – comporta fedeltà e onestà nel compimento del servizio professionale, coerenza morale nelle scelte piccole e grandi e solidarietà fraterna per quanti hanno bisogno. … L’annuncio di Gesù Cristo, unico Salvatore, sia proposto in ogni luogo di lavoro quale dono e grazia di rinnovamento interiore e forza di cambiamento sociale. … Chi crede in Lui, e lo segue, trova la luce e la forza per essere sale e lievito in ogni

181

ESCRIVÁ J., Cammino, n. 799, in Cammino, Solco cit., p. 187; cfr. FARO G., Il lavoro cit., p. 130. ESCRIVÁ J., Amici cit., n. 264, p. 299; cfr. FARO G., Il lavoro cit., p. 130. 183 Cfr. Ibidem, n. 61, p. 84; cfr. ILLANES J. L., La santificazione cit., p. 113. 182


ambiente e circostanza»184. Ogni cristiano, in virtù del sacramento del battesimo, ha l’obbligo di fare apostolato: «è un fatto connaturale alla sua condizione: non è qualcosa di aggiunto, di sovrapposto, di estrinseco alla sua attività quotidiana, al suo lavoro professionale. L’ho ripetuto incessantemente – scriveva mons. Escrivá -, da quando il Signore volle che nascesse l’Opus Dei: bisogna santificare il lavoro, santificarsi in esso e santificare gli altri attraverso l’esercizio della propria professione, vivendo ciascuno nel proprio stato»185. Secondo questa concezione san Josemaría non parlava tanto di fare apostolato quanto di essere apostoli. L’apostolato non è un compito da svolgere, a cui dedicare parte del proprio tempo. È vivere la vita intera e il proprio lavoro con la coscienza della propria personale missione cristiana. L’apostolato diventa, allora, un atteggiamento che porterà il cristiano a una completa dedizione personale senza limiti di tempo186. Essendo un’azione connaturale all’uomo, e pertanto appartenente alla sua vita ordinaria, l’apostolato si esprimerà con semplici parole, naturali, frasi di ogni giorno. «Il comune fedele non agisce in forza di rappresentanze ufficiali, né su mandato gerarchico: non ha altro titolo che la sua condizione di cristiano, e questo è sufficiente»187. Il modo di portare Cristo agli uomini è quello del vissuto quotidiano, nella naturalezza e nella semplicità, dedicandosi al proprio lavoro professionale, alla cura della famiglia, partecipando alle preoccupazioni degli altri. «Comportiamoci così, e offriremo a quanti ci sono vicini la testimonianza di una vita semplice e normale che pur con i limiti e difetti propri della nostra condizione umana, è tuttavia coerente. E 184

GIOVANNI PAOLO II, Lettera del Santo Padre ai lavoratori della città di Roma del 7.12.1998, n. 9, in FARO G., Il lavoro cit., p. 131. 185 FARO G., Il lavoro cit., p. 131. 186 Cfr. ILLANES J. L., La santificazione cit., p. 165. 187 Ibidem, p. 155.


vedendoci uguali a loro in tutto e per tutto, gli altri si sentiranno spinti a chiederci: come si spiega la vostra gioia? Dove trovate la forza per vincere l’egoismo e la comodità? Chi vi insegna a vivere, la comprensione, la convivenza leale, a dedizione a servizio degli altri? È allora il momento di svelare loro il segreto divino della vita cristiana, di parlare di Dio, dello Spirito Santo, di Maria. È il momento di trasmettere, attraverso le nostre povere parole, quella pazzia dell’amore di Dio che la grazia ha riversato nei nostri cuori»188. Un mezzo efficace di fare apostolato, secondo lo spirito dell’Opera di Dio, è dato dalla diffusione della cultura. Più volte il fondatore ammoniva che i primi ai quali indirizzare l’annuncio di Cristo Risorto sono gli intellettuali. Non perché si voglia discriminare gli altri. Anzi, «di cento anime – diceva san Josemaría Escrivá – ce ne interessano cento; siamo per la moltitudine»189. Ma gli intellettuali perché, «una volta conquistati dalla fede, costituiscono il nesso più rapido di dispiegamento della dottrina»190. Mons. Escrivá paragonava gli intellettuali alle cime innevate dei monti, che appaiono lontane e fredde. Esse se si fanno illuminare dal sole (della generosità, della virtù), possono sciogliersi e trasformarsi in torrenti che irrigano la pianura dell’umanità191. La dimostrazione del fatto che l’Opus Dei sia per la moltitudine e quindi che non discrimini le classi sociali più basse, è dato dalla maggioranza dei fedeli aderenti all’Opera: «nati nelle favelas delle città sudamericane, nei quartieri operai delle

188

ESCRIVÁ J., È Gesù cit., n. 148, p. 294; cfr. ILLANES J. L., La santificazione cit., p. 156. ESCRIVÁ J. Lettera del 6.05.1945, in BERGLAR P., Opus Dei cit., p. 196; cfr. FARO G., Il lavoro cit., p. 135. 190 FARO G., Il lavoro cit., p. 134. 191 Cfr., Ibidem, p. 135. 189


metropoli occidentali, nei villaggi dell’Africa Nera e dell’Estremo Oriente, nelle isole dell’Indonesia, conducono la propria vita in quegli ambienti, lì diffondono la fede e contagiano gli altri con il proprio ideale. Nei paesi del Terzo Mondo, anche l’Opus Dei è Terzo Mondo»192. L’apostolato, infine, esige che ogni cattolico coerente abbia una solida e continua formazione dottrinale religiosa: infatti «uno dei più potenti e pericolosi alleati del demonio è l’ignoranza in generale e l’ignoranza religiosa in particolare»193. Quindi, ancor prima di portare Cristo agli altri, ogni cristiano deve formarsi e avere una cultura che sia specifica al proprio mestiere, corrispondente alla vocazione professionale di ciascuno194.

192

ROMANO GIUSEPPE, Opus Dei: chi, come, perché, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 1994, p. 193. BERGAR P., Opus Dei cit., p. 314; cfr. FARO G., Il lavoro cit., p. 137. 194 Cfr. Registro Histórico Fundador 20750, pp. 510-511, in BERGLAR P., Opus Dei cit., p. 315. 193


CAPITOLO TERZO

La santità dei laici


3.1 LA SANTITÀ DEI LAICI NELLA SPIRITUALITÀ DI

SAN

JOSEMARÍA ESCRIVÁ E NEL CONCILIO VATICANO II Quando Dio ha creato l’uomo lo ha reso non solo creatura, ma figlio e membro della famiglia divina. Mediante il battesimo «Dio nostro Padre ha preso possesso della nostra vita, ci ha incorporati alla vita di Cristo e ci ha mandato lo Spirito Santo»195. Dunque, in virtù del sacramento, siamo chiamati a compiere la volontà di Dio e a camminare lungo il sentiero della santità. É nel e attraverso il Battesimo che diventiamo figli di Dio, fratelli e sorelle di Gesù Cristo196, un solo corpo per mezzo del suo Spirito197. Per mezzo della fede «tutti i fedeli, di qualsiasi stato o grado, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità: da questa santità è promosso, anche nella società terrena, un tenore di vita più umano»198. Essi sono «abilitati e impegnati a manifestare la santità del loro essere nella santità di tutto il loro operare»199. Già nell’Antico Testamento Dio esortava il popolo d’Israele a perfezionare la propria vita: «Siate santi, perché Io, il Signore, Dio vostro, sono Santo»200. Con la venuta di Cristo nel mondo, l’invito alla santità viene esteso a tutti gli uomini. Ogni cristiano deve tendere all’identificazione nel Figlio Unigenito e raggiungere la perfezione che è propria del Padre celeste201.

195

ESCRIVÁ JOSEMARÍA, È Gesù che passa, a cura di Francesco Contadini e di Ernesto Terrasi, n° 128, Ed. Ares, Milano 2003, p. 260, (traduzione dall’originale Es Cristo que pasa, n. 128, Ediciones Rialp, Madrid 1973, p. 277); cfr. ESCRIVÁ JOSEMARÍA, Il Santo Rosario, 1^mistero della luce: Il battesimo nel Giordano, Ed. Ares, Milano 2003, (il testo non presenta numerazione di pagina) 196 MAY WILLIAM, Santità e vita ordinaria, in AA.VV., Santità cit., p. 45. 197 Cfr. 1 Cor 12, 13; cfr. CONCILIO VATICANO II, Costituzione Lumen Gentium, n. 7, Ed. Paoline, Milano 1965, p. 10. 198 CONCILIO VATICANO II, Costituzione Lumen Gentium cit., n. 40, p. 74; cfr. CEI, La Verità vi farà liberi, Catechismo degli adulti, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1995, p. 414. 199 GIOVANNI PAOLO II, Christifideles laici, n. 16, Ed. Paoline, Milano 1989, p. 23 200 Lv 19, 2; cfr. Lv 11, 44. 201 Cfr. Mt 5, 48.


Secondo il beato Josemaría Escrivá la santità è «la pienezza della filiazione divina»202 in quanto comunione perfetta con Dio e piena identificazione con Cristo. «Ogni uomo ha una vocazione e una missione divine, attraverso la realizzazione delle quali trova la pienezza del suo essere. In questo senso la perfezione cristiana può essere definita come fedeltà alla propria vocazione, e il cristiano può essere considerato perfetto nella misura in cui riesce a compiere ciò che Dio vuole personalmente da lui»203. La vocazione cristiana, o vocazione divina alla santità in Cristo, verte su due dimensioni: una soggettiva, in quanto ogni uomo è personalmente chiamato alla perfezione; l’altra oggettiva, perché ogni circostanza della vita di ciascuno può essere luogo e mezzo di santificazione204. Durante la sua vita mons. Escrivá incessantemente ha predicato la vocazione universale alla santità nelle due dimensioni sopra citate. In modo particolare, tale predicazione, si evince nella sua prima Lettera datata 24 marzo 1930: «Siamo venuti a dire… che la santità non è una cosa riservata a dei privilegiati: che il Signore ci chiama tutti, che da tutti aspetta Amore: da tutti, ovunque si trovino; da tutti, qualunque sia il loro stato, la loro professione o il loro mestiere. Perché questa vita normale, ordinaria, senza spettacolarità, può essere un mezzo di santità: non è necessario abbandonare il proprio stato nel mondo per cercare Dio, a meno che il Signore non dia a un’anima la

202

ESCRIVÁ J., Lettera del 02.02.1945, n. 8, in OCÁRIZ F., Vocazione alla santità in Cristo e nella Chiesa, in AA.VV., Santità cit., p. 29. 203 ILLANES JOSÉ LUIS, Mondo e santità, Ed. Ares, Milano 1992, p. 50. 204 Cfr. OCÁRIZ F., Vocazione alla santità in Cristo e nella Chiesa, in AA.VV., Santità cit., p. 31.


vocazione religiosa, giacché tutti i cammini della terra possono essere occasione di incontro con Cristo»205. Anche il Concilio Vaticano II asseriva che: «Per loro vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio… Ivi sono chiamati da Dio a contribuire, quasi dall’interno e a modo di fermento, alla santificazione del mondo mediante l’esercizio del loro proprio ufficio»206. Era il 25 gennaio 1959 quando Giovanni XXIII annunciò al mondo la convocazione di un nuovo Concilio Ecumenico. Don Josemaría Escrivá ne seguì con gioia, dal 1962, l’apertura e lo svolgimento del Concilio Vaticano II. In esso vedeva il soffio dello Spirito Santo che anima e rinnova continuamente la Chiesa207. Un rinnovamento in perfetta sintonia con il messaggio spirituale dell’Opus Dei: la proclamazione della chiamata universale alla santità. Nonostante Papa Giovanni XXIII voleva nominarlo consultore del Concilio, don Josemaría rinunciò, partecipandovi in modo indiretto, per sovraccarico di lavoro. Pertanto, il Papa nominò don Álvaro del Portillo perito conciliare 208. Il fondatore dell’Opera era quotidianamente aggiornato dello svolgimento del Concilio e dei suoi sviluppi, in quanto tre Padri conciliari erano membri dell’Opus Dei. Anche molti vescovi, periti e teologi gli facevano visita e discutevano con lui. Don Álvaro del Portillo si dedicò al tema «i laici nella Chiesa». A riguardo don Josemaría, in un colloquio con un vescovo che sosteneva che il ruolo dei laici era di riformare in senso cristiano le strutture temporali, rispose: «Purché abbiano anima contemplativa, 205

ESCRIVÁ J., Lettera del 24.03.1930, in OCÁRIZ F., Vocazione alla santità cit., p. 32; cfr. BERGLAR P., Opus Dei cit., p. 90; cfr. ESCRIVÁ J., È Gesù cit., n. 20, p. 57. 206 CONCILIO VATICANO II, Costituzione Lumen Gentium cit., n. 31, p. 60; cfr. ROMANO G., OLAIZOLA J. L., Il Vangelo cit., p. 40. 207 Cfr. TORNIELLI A., Escrivá cit., p. 155. 208 Cfr. BERGLAR P., Opus Dei cit., p. 292.


Eccellenza! Altrimenti non trasformeranno nulla; anzi, saranno loro a farsi trasformare: e invece di cristianizzare il mondo, si mondanizzeranno i cristiani»209. Un altro vescovo aggiunse che i laici devono “ordinare le strutture secolari secondo il volere divino”. E don Josemaría intervenne: «Sì, ma prima devono essere loro ben ordinati dentro, coll’essere uomini e donne di profonda vita interiore, anime di orazione e sacrificio. Se no, invece di ordinare queste realtà familiari e sociali, porteranno in esse il proprio disordine personale»210. Alla chiusura della prima sessione del concilio morì Papa Giovanni XXIII e gli succedette l’arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini, con il nome di Paolo VI, al quale sarebbe toccato di portare a termine il concilio. Esso fu per l’Opus Dei un’autenticazione di ciò che Escrivá, per grazia di Dio, aveva riscoperto tre decenni prima. «Una delle mie maggiori gioie è stata appunto vedere come il Concilio Vaticano II ha proclamato con grandezza la vocazione divina del laicato. Senza ombra di presunzione, - affermava mons. Escrivá -, devo dire che, per quanto si riferisce alla nostra spiritualità, il Concilio non ha significato un invito a cambiare, ma ha invece confermato ciò che, per la grazia di Dio, stavamo vivendo e insegnando da tanti anni a questa parte»211. Per questo il Cardinal Poletti nel Decreto di introduzione alla causa di beatificazione e canonizzazione scrisse che: «Per aver proclamato la vocazione universale alla santità, fin da quando fondò l’Opus Dei nel 1928, mons. Josemaría Escrivá de Balaguer è stato unanimemente riconosciuto come un precursore del

209

Romana Postulazione della Causa di beatificazione e canonizzazione del Servo di Dio Josemaría Escrivá de Balaguer, sacerdote, fondatore dell’Opus Dei, Articoli del Postulatore, Roma 1979, n. 212, in BERGLAR P., Opus Dei cit., p. 293. 210 Teste PR 13, mons. Julián Herranz, p. 864, § 1, in TORNIELLI A., Escrivá cit., p. 157. 211 DOLZ M., San Josemaría cit., p. 56.


Concilio…»212. In seguito fu definito il «pioniere della spiritualità dei laici, che ha aperto il cammino della santità, a uomini e donne di tutte le condizioni, anticipando le dichiarazioni dei documenti del Concilio Vaticano II»213. Che la proclamazione della santità non è riservata a dei privilegiati – commentava il cardinal Sebastiano Baggio - «sembrava a molti un’eresia… Dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II questa tesi è divenuta un principio scontato. Ma ciò che continua ad essere rivoluzionario nel messaggio spirituale di monsignor Escrivá de Balaguer è la maniera pratica di indirizzare verso la santità cristiana uomini e donne di ogni condizione…»214. Non è necessario dunque compiere azioni straordinarie per giungere al traguardo della santità; essa comprende anche piccole azioni ritenute insignificanti, purché compiute in piena comunione con Dio215. Di qui la necessità, secondo mons. Josemaría Escrivá, di santificarsi attraverso la santificazione del proprio lavoro e del proprio ambiente. Dobbiamo amare il nostro lavoro ma anche il mondo in tutti i suoi ambiti, nei quali dobbiamo innalzare la croce di Cristo Signore: «Gesù vuole essere innalzato proprio lì: nel rumore delle fabbriche e delle officine, nel silenzio delle biblioteche, nel frastuono delle strade, nella quiete dei campi, nell’intimità delle famiglie, nelle assemblee, negli stadi… Lì dove un cristiano può spendere la sua vita onestamente, deve porre col suo amore la Croce di Cristo, che attrae a Sé tutte le cose» 216. È in questo, infatti, che Dio ci chiama; non solo alla nostra santificazione personale e alla santificazione degli altri, ma anche a santificare il mondo per 212

AA.VV., Un santo cit., p. 361; cfr. LE TOURNEAU D., L’Opus Dei cit., p. 57. LE TOURNEAU D., L’Opus Dei cit., p. 57. 214 Ibidem, p. 57. 215 Cfr. RUPPI COSMO FRANCESCO, La santità dei laici, in “L’Osservatore Romano” del 4 aprile 2001. 216 ESCRIVÁ JOSEMARÍA, Via Crucis, Ed. Ares, Milano 2001, p. 98; cfr. ROMANO G., OLAIZOLA J. L., Il Vangelo cit., p. 40. 213


riconciliare tutte le cose con Lui. Questa è una missione affidata alla Chiesa intera; in modo particolare i fedeli laici hanno il dovere di santificare il mondo dall’interno delle attività e delle strutture temporali217, che è reso possibile solo per la grazia di Dio, attraverso l’intima unione di amore con il suo Figlio Gesù. Pertanto, la santità consiste nell’amare in modo perfetto, nell’amare come siamo amati da Dio, in Cristo218. È nel mondo, nella nostra vita ordinaria che dobbiamo santificarci e santificare tutto ciò che ci circonda. Questo è il carisma dell’Opus Dei e del suo fondatore Josemaría Escrivá: elevare al Padre le realtà terrene, «cercando la propria santificazione nel compimento dei doveri ordinari»219. «L’Opera è nata per contribuire a far sì che questi cristiani inseriti nel tessuto connettivo della società civile – con la loro famiglia, gli amici, il lavoro professionale e le loro nobili aspirazioni – comprendano che la loro vita, così come è, può essere l’occasione di un incontro con Cristo, ed è pertanto una strada di santità e di apostolato. Cristo è presente in qualsiasi onesto impegno umano: la vita di un comune cristiano – che ad alcuni forse sembra una vita scialba e meschina – può e deve essere una vita santa e santificante»220. «… È la vita ordinaria il vero “luogo” della vostra esistenza cristiana. Figli miei, lì dove sono gli uomini vostri fratelli, lì dove sono le vostre aspirazioni, il vostro lavoro, lì dove si riversa il vostro amore, quello è il posto del vostro quotidiano incontro con Cristo. È in mezzo alle cose più materiali della terra che ci dobbiamo santificare , servendo Dio e tutti gli uomini»221.

217

Cfr. CONCILIO VATICANO II, Costituzione Lumen Gentium, n. 31, p. 60. MAY W., Santità e vita ordinaria, in AA.VV., Santità cit., p. 50. 219 Positio. Biographia Documentata, p. 222, in TORNIELLI A., Escrivá cit., p. 40. 220 ESCRIVÁ J., Colloqui cit., n. 60, p. 98; cfr. ILLANES J. L., Mondo cit., p. 47. 221 ESCRIVÁ J., omelia Amare il mondo appassionatamente, n. 113, in Colloqui cit., p. 190. 218


3.2 L’ATTUALITÀ ECCLESIALE DEL MESSAGGIO SPIRITUALE DI SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ Oggi il messaggio di san Josemaría Escrivá verte su alcuni punti fondamentali della spiritualità dell’Opus Dei, presenti sin dalla sua fondazione, anticipando così il rinnovamento apportato dal Concilio Vaticano II. Su questi punti, aggiornamento, ecumenismo, pluralismo, libertà, santificazione del lavoro222, l’Opera muove i suoi passi, fedele all’insegnamento di Cristo e al Magistero del Papa. Il tema dell’aggiornamento lo ritroviamo con Giovanni XXIII per ciò che riguarda la «ripresa della vita della Chiesa in rapporto alle mutate situazioni del mondo moderno, ripreso e sviluppato poi nel Concilio Vaticano II»223. Innanzitutto l’aggiornamento è strettamente collegato alla fedeltà in quanto non significa cambiare totalmente ma modificare qualcosa pur restando fedele alla struttura originaria. Peraltro sarebbe superficiale considerare l’aggiornamento come cambiamento o pensare che qualsiasi cambiamento aggiorni. Determinati cambiamenti, voluti da gente che è fuori e contro la Chiesa, «farebbero retrocedere il Popolo di Dio nel suo cammino storico di molti secoli…»224. Per quanto riguarda i membri dell’Opus Dei l’aggiornamento è racchiuso nella sua spiritualità, riconoscendo che la santità è per tutti, «poiché ci si può santificare in ogni lavoro onesto quali che siano le circostanze in cui esso si svolge» 225. Il dialogo ecumenico tanto atteso dal Concilio Vaticano II, con il decreto Unitatis redintegratio226, fu considerato la «tappa fondamentale sulla via che va dalla condanna

222

Cfr. FABRO C., GAROFALO S., RASCHINI M. A., Santi nel mondo cit., p. 116. Ibidem, p. 117. 224 Ibidem, p. 117; cfr. ESCRIVÁ J., Colloqui cit., n. 1, p. 22. 225 Ibidem, p. 117. 223


all’unione»227 tra i cattolici e i non cattolici. In realtà l’Opus Dei già in precedenza aveva accolto cooperatori non cattolici al suo interno, ottenendo l’approvazione pontificia nel 1950228. L’Opera «da quando è stata fondata non ha mai fatto discriminazioni: lavora con tutti e convive con tutti, perché in ogni persona vede un’anima da rispettare e amare»229. Per questo mons. Escrivá poteva dire a Giovanni XXIII, in modo scherzoso ma con molto rispetto: «Io non ho imparato l’ecumenismo da Vostra Santità»230. Ma lo sforzo di annunciare Cristo ai non cattolici e ai non cristiani sarebbe privo di senso se poi trattassimo male i nostri fratelli cattolici: ogni parola diverrebbe una chiacchiera ipocrita231. «Per questo – affermava mons. Escrivá – ritengo ipocrita, bugiardo, lo zelo che induce a trattar bene i lontani, mentre si calpestano o si disprezzano coloro che vivono la nostra stessa fede»232. E ancora, scriveva in Solco: «Triste ecumenismo quello che sta sulla bocca di cattolici che maltrattano altri cattolici»233. Il pluralismo è strettamente collegato sia all’aggiornamento che all’ecumenismo, ma anche al principio di libertà personale di ciascun uomo. L’Opus Dei, «in quanto istituzione a scopo unicamente spirituale e di natura secolare, lascia a ogni membro la libertà delle sue opinioni in campo temporale: Quando si capisce fino in fondo il valore della libertà, quando si ama appassionatamente questo dono divino, si ama il 226

CONCILIO VATICANO II, Decreto sull’ecumenismo Unitatis Redintegratio, Ed. Poline, Milano 1965. AA.VV., STORIA DELLA CHIESA, La Chiesa del Vaticano II (1958-1978), vol. XXV/1, parte prima, a cura di Guasco Maurilio, Guerriero Elio, Traniello Francesco, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1994, p. 372. 228 Cfr. TORNIELLI A., Escrivá cit., p. 130; cfr. LE TOURNEAU D., L’Opus Dei cit., p. 69 ; cfr. FABRO C., GAROFALO S., RASCHINI M. A., Santi nel mondo cit., p. 118; cfr. DOLZ M., San Josemaría cit., p. 50. 229 DOLZ M., San Josemaría cit., p. 50. 230 Ibidem, p. 50; cfr. ESCRIVÁ J., Colloqui cit., n. 22, p. 49; cfr. FABRO C., GAROFALO S., RASCHINI M. A., Santi nel mondo cit., p. 118. 231 Cfr. ESCRIVÁ J., Amici cit., n. 226, p. 262; cfr. FABRO C., GAROFALO S., RASCHINI M. A., Santi nel mondo cit., p. 119. 232 Ibidem, n. 227, p. 262. 233 ESCRIVÁ J., Solco, n. 643, in Cammino, Solco cit., p. 403; ESCRIVÁ J., Il lavoro rende cit., p. 39. 227


pluralismo che la libertà necessariamente comporta»234. Nell’Opera fondata da mons. Escrivá in tutto ciò che non riguarda la fede «ognuno pensa e agisce come vuole, con pienissima libertà e con pienissima responsabilità personale. Il pluralismo – pertanto – non costituisce in modo alcuno un problema per l’Opera: anzi, tale pluralismo è una manifestazione di buono spirito. Appunto perché il pluralismo non è temuto, ma amato come legittima conseguenza della libertà personale, le diverse opinioni dei fedeli non impediscono nell’Opus Dei la massima carità nei rapporti reciproci e la mutua comprensione»235. Per quanto concerne la libertà, dalla quale ne deriva il pluralismo, don Josemaría afferma che essa sta nella scelta del bene, in Dio, cioè sul fondamento della verità 236. Non è facile comprendere pienamente la libertà di Gesù Cristo, una libertà immensa sino a dare la sua vita in croce. Partendo appunto dalla sua immolazione, noi uomini, suoi seguaci ma anche suoi accusatori, riusciremo a capire che il retto uso della libertà consiste nel disporla al bene, e che il suo orientamento è sbagliato, quando, usando questa facoltà, ci dimentichiamo dell’Amore degli amori, e ce ne allontaniamo237. Se chiedessimo al Signore che cosa si aspetta da ciascun uomo perché egli lo compia volontariamente, Cristo risponderebbe: Veritas liberabit vos238, la Verità vi farà liberi. Questa verità che guida l’uomo nella sua vita ad agire liberamente deriva «dalla

234

FABRO C., GAROFALO S., RASCHINI M. A., Santi nel mondo cit., p. 120; cfr. ESCRIVÁ J., Colloqui cit., n. 98, p. 163. 235 ESCRIVÁ J., Colloqui cit., n. 98, p. 163; cfr. anche n. 67, p. 112. 236 Cfr. FABRO C., GAROFALO S., RASCHINI M. A., Santi nel mondo cit., p. 122. 237 Cfr. ESCRIVÁ J., Amici cit., n. 26, p. 46; cfr. ESCRIVÁ J., Il lavoro rende cit., p. 58. 238 Gv 8, 32.


relazione fra Dio e le sue creature: sapere che siamo opera delle mani di Dio, che siamo prediletti dalla Santissima Trinità, che siamo figli di un Padre eccelso»239. Gratuitamente il Signore, con la grazia divina che ha riversato nei nostri cuori, ci ha donato anche un grande bene soprannaturale: «la libertà personale, che per non corrompersi e diventare libertinaggio, ci richiede integrità, impegno efficace di comportarci secondo la legge divina, perché dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà (2 Cor 3, 17)»240. Solo coscienti di tutto questo agiremo da persone libere. La santificazione del lavoro rappresenta il fulcro principale dell’Opus Dei: «impegnandosi nella propria professione intellettuale o nel proprio mestiere manuale, i membri agiscono nelle strutture temporali come il lievito nella massa. Cioè indirizzandole cristianamente e divinizzandole»241. La vocazione umana, essendo parte integrante della vocazione divina, implica la propria santificazione, «collaborando al tempo stesso alla santificazione degli altri, affermava don Josemaría nell’omelia Nella bottega di Giuseppe pronunciata nel 1963 -, santificando precisamente il vostro lavoro e il vostro ambiente, e cioè la professione o il mestiere che riempie i vostri giorni, che dà una fisionomia peculiare alla vostra personalità umana, che è il vostro essere presenti nel mondo»242. Il lavoro non è solo lo strumento indispensabile per il progresso della società e con il quale l’uomo si afferma in essa, «ma anche un segno dell’amore di Dio per le sue creature e dell’amore degli uomini fra di loro e per Dio: un mezzo di perfezione, un cammino di santità. Per questo l’unico scopo dell’Opus Dei è sempre stato quello di

239

ESCRIVÁ J., Amici cit., n. 26, p. 47; cfr. FABRO C., GAROFALO S., RASCHINI M. A., Santi nel mondo cit., p. 122. ESCRIVÁ J., È Gesù cit., n. 184, p. 368. 241 FABRO C., GAROFALO S., RASCHINI M. A., Santi nel mondo cit., p. 131. 242 ESCRIVÁ J., É Gesù cit., n. 46, p. 107. 240


contribuire a far sì che nel mondo, in mezzo alle realtà e alle aspirazioni temporali, ci siano uomini e donne di ogni razza e condizione sociale intenti ad amare e servire Dio e gli uomini nel lavoro quotidiano e per mezzo di questo lavoro»243. Ma si consideri che l’attività temporale in sé non è santa; è necessario che l’uomo lavori bene e molto, e in particolare ha bisogno della grazia perché il lavoro acquisti valore soprannaturale244. Altro tema di grande attualità nella Chiesa del dopo Concilio, al quale mons. Escrivá ha dato un grande contributo per la scoperta o la loro riscoperta in modo originale, riguarda il ruolo dei laici nella Chiesa. Come abbiamo già evidenziato in precedenza il Concilio Vaticano II ampliò gli orizzonti della salvezza con la proclamazione universale della santità. Non più una santità relegata solo per alcuni, ma una santità che è per tutti. Pertanto confermò ciò che il fondatore dell’Opus Dei aveva predicato trent’anni prima. Ogni cristiano, sia esso sacerdote, religioso o laico, uomo o donna, entra a far parte del Corpo Mistico della Chiesa, attraverso il Battesimo, ed è chiamato ad essere alter Christs, ipse Christus. A differenza della tradizione che riserva l’espressione al sacerdozio ordinato, Escrivá lo intende in senso largo, estendendolo al sacerdozio comune di tutti i fedeli. Il sacerdozio comune si esplica attraverso la partecipazione al culto della Chiesa, non solo nella liturgia, ma «mediante la trasformazione attiva in preghiera di tutte le attività temporali; apostolato personale attivo e responsabile»245.

243

ESCRIVÁ J., Colloqui cit., n. 10, p. 33; cfr. FABRO C., GAROFALO S., RASCHINI M. A., Santi nel mondo cit., p. 132. 244 Cfr. FABRO C., GAROFALO S., RASCHINI M. A., Santi nel mondo cit., p. 133. 245 FABRO C., GAROFALO S., RASCHINI M. A., Santi nel mondo cit., p. 141.


L’esaltazione del sacerdozio comune dei fedeli non va a scapito del sacerdozio ordinato in quanto don Josemaría insegnava che ogni cristiano deve identificarsi misticamente a Cristo; l’identità del sacerdote con Cristo è già data immediatamente a motivo del sacramento dell’ordine. Affermava Santa Caterina da Siena: «Tutti noi cristiani possiamo e dobbiamo essere non soltanto alter Christus, ma anche ipse Christus: un altro Cristo; lo stesso Cristo! Ma il sacerdote lo è in modo immediato, in forma sacramentale»246. Attraverso il sacramento dell’ordine il sacerdote si identifica a Cristo e lo rappresenta sulla terra. Il sacerdozio ministeriale si distingue nell’essenza, e non solo nel grado della partecipazione al sacerdozio di Cristo, da quello comune di tutti i fedeli. Chi riceve il sacramento dell’ordine, il sacerdozio ministeriale si aggiunge al sacerdozio comune di tutti i fedeli247. Ma tale sacramento non conferisce a chi lo riceve un valore superiore; egli «non è più cristiano di un fedele qualsiasi, però è lecito affermare che è più sacerdote: egli appartiene, come ogni altro cristiano, al popolo sacerdotale che Cristo ha redento, ed è, in più, contrassegnato con il carattere del sacerdozio ministeriale»248. Escrivá elaborò nel corso degli anni una nuova spiritualità per i fedeli laici che non teneva conto dei consigli evangelici appartenenti alla vita religiosa, come aveva fatto san Francesco di Sales trecento anni prima di lui. Anche san Francesco di Sales predicava la santità per tutti, insegnando una spiritualità per laici, attraverso la pratica dei consigli evangelici dei religiosi apportandone alcuni adattamenti. Escrivá invece

246

Ibidem, p. 142. Cfr. Ibidem, p. 143; cfr. ESCRIVÁ J., É Gesù cit., n. 79, p. 171. 248 ESCRIVÁ JOSEMARÍA, La Chiesa nostra madre, Ed. Ares, Milano 1993, p. 12. 247


predicò una spiritualità laicale: per lui bisogna materializzare la santificazione, cioè il lavoro materiale deve trasformarsi in preghiera e mezzo di santità249. Egli diffuse una mentalità laicale, molto differente dalla mentalità laicista che è contrapposta a quella ecclesiastica. Per lui la fede non è una circostanza accidentale: una vita senza Dio, una morale senza Dio, una religione senza Dio sarebbe priva di senso. «L’essere cristiani non è una circostanza accidentale: è una realtà divina che si innesta nel più profondo della nostra vita dandoci una visione chiara e una volontà decisa, per poter agire secondo il volere di Dio»250. Escrivá non concepiva nemmeno la scissione tra le realtà sacre da quelle profane, in quanto Cristo, il Figlio di Dio, ha assunto la natura umana e ha consacrato la terra con la sua presenza e con il suo lavoro251. La fede, vissuta con mentalità laicale, ingloba tutta l’esistenza del cristiano: «La fede e la vocazione cristiana impregnano non una parte, ma tutta la nostra esistenza. I rapporti con Dio sono necessariamente rapporti di dedizione e assumono un senso di totalità. L’atteggiamento dell’uomo di fede è di guardare alla vita, in tutte le sue dimensioni, con una prospettiva nuova: quella che ci è data da Dio»252. La mentalità laicale è necessaria per l’esercizio della vocazione del laico, non perché risponde alla vocazione di “soldato” della Chiesa, ma perché – secondo Escrivá – «il laico si sente libero e responsabile nell’impegno, che gli compete specificamente

249

Cfr. LUCIANI ALBINO, Cercando Dio nel lavoro quotidiano, in “Il Gazzettino”, Venezia, 25 luglio 1978, in FABRO C., GAROFALO S., RASCHINI M. A., Santi nel mondo cit., p. 145. 250 ESCRIVÁ JOSEMARÍA, È Gesù cit., n. 98, p. 207. 251 Cfr. Ibidem, n. 120, p. 245; cfr. FABRO C., GAROFALO S., RASCHINI M. A., Santi nel mondo cit., p. 146. 252 Ibidem, n. 46, p. 106; cfr. FABRO C., GAROFALO S., RASCHINI M. A., Santi nel mondo cit., p. 146.


in virtù del battesimo, di santificare il proprio ambiente mediante l’assolvimento dei suoi doveri quotidiani»253. Diffondere la mentalità laicale deve condurre: -

«a essere sufficientemente onesti da addossarsi personalmente il peso delle proprie responsabilità;

-

a essere sufficientemente cristiani da rispettare i fratelli nella fede che propongono – nelle materie opinabili – soluzioni diverse da quelle che sostiene ciascuno di noi;

-

a essere sufficientemente cattolici da non servirsi della Chiesa, nostra madre, immischiandola in partigianerie umane»254. È chiaro che questo programma di vita lo si può attuare grazie alla libertà

concessa dalla Chiesa e dalla libertà personale e responsabile derivante dalla dignità di essere uomini e donne creati a immagine di Dio. Pertanto nel compimento dei doveri di cittadini – nella politica, nella vita universitaria e professionale – ognuno deve addossarsi le conseguenze delle proprie libere decisioni, assumendo la responsabilità dell’indipendenza personale di ciascuno. «E questa cristiana mentalità laicale vi consentirà di evitare ogni intolleranza e ogni fanatismo, ossia vi farà vivere in pace con tutti i vostri concittadini e favorire anche la convivenza nei diversi ordini della vita sociale»255.

253

FABRO C., GAROFALO S., RASCHINI M. A., Santi nel mondo cit., p. 147. ESCRIVÁ J., omelia Amare il mondo appassionatamente, in Colloqui cit., n. 117, p. 194; cfr. FABRO C., GAROFALO S., RASCHINI M. A., Santi nel mondo cit., p. 147. 255 Ibidem, n. 117, p. 195. 254


3.3 LE OPERE DI SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ 3.3.1 – CAMMINO Considerato il best seller della letteratura spirituale, dopo la Bibbia e l’Imitazione di Cristo, Cammino è il primo e il più popolare libro che abbia scritto san Josemaría Escrivá. Nato negli anni della guerra civile spagnola (1936-1939), Cammino si rifà al nucleo fondamentale che risale al 1934, quando l’autore raccolse una serie di riflessioni su argomenti ascetico-mistici intitolata Consideraciones espirituales256. Durante gli anni della guerra civile Escrivá e alcuni suoi compagni, dopo aver attraversato i Pirenei per raggiungere la Francia e poi passare nella zona nazionale della Spagna, raggiunsero Burgos, città sottratta dalla guerra. È qui che don Josemaría lavorò alla stesura del libro che verrà poi pubblicato nel 1939, a guerra ultimata. Utilizzando lo stesso metodo delle caterine, ampliò le Considerazioni spirituali di più di cinquecento pensieri raggiungendo il numero di 999 punti, tra pensieri, parole, idee ed esperienze vissute dall’autore e condivise con altre persone 257. 999 pensieri – il numero è dato dalla devozione dell’autore alla Santissima Trinità –, spunti di meditazione, divisi in capitoli, «che spaziano in tutti gli aspetti della vita cristiana di chi vuole essere e comportarsi da figlio di Dio in mezzo al mondo: dal carattere all’apostolato, passando per la preghiera, il lavoro e le virtù»258. Cammino, affermava don Josemaría in un’intervista al giornale Le Figaro di Parigi, «non è un’opera riservata ai soci dell’Opus Dei: è stata scritta per tutti, anche per

256

Cfr. FABRO C., GAROFALO S., RASCHINI M. A., Santi nel mondo cit., p. 25. Cfr. VÁSQUEZ DE PRADA Á., Il fondatore cit., vol. 2, p. 378. 258 DOLZ M., San Josemaría cit., p. 32; cfr. FABRO C., GAROFALO S., RASCHINI M. A., Santi nel mondo cit., pp. 2526. 257


i non cristiani. […] Cammino va letto con un minimo di spirito soprannaturale, di vita interiore e di impegno apostolico. Non è un codice per l’uomo d’azione. Vuole essere un libro che induca a entrare in rapporto con Dio e ad amarlo, e a servire tutti gli uomini».259 Cammino invita il lettore a convertirsi a Cristo, a seguirlo e a indirizzare la propria vita verso la strada della santità: «Che la tua vita non sia sterile. – Sii utile. – Lascia traccia. – Illumina con la fiamma della tua fede e del tuo amore. Cancella con la tua vita d’apostolo, l’impronta viscida e sudicia che i seminatori impuri dell’odio hanno lasciato. – E incendia tutti i cammini della terra con il fuoco di Cristo che porti nel cuore»260. L’obiettivo di quest’opera è guidare colui che la legge sulla via della preghiera e dell’Amore, attraverso la meditazione delle sue considerazioni. Cammino è un’opera «di riflessione e di consultazione, alle cui pagine il lettore può fare ricorso senza stabilire un ordine rigoroso di lettura»261. Nel prologo di presentazione del libro, scritto da mons. Lauzurica, Vescovo di Vitoria (Spagna), si legge: «In queste pagine aleggia lo spirito di Dio. Dietro ogni sua massima c’è un santo che vede le tue intenzioni e attende le tue decisioni. Le frasi sono spezzate perché sia tu a completarle con il tuo comportamento»262. Fin dalla fondazione dell’Opus Dei, Escrivá desiderava «scrivere libri di fuoco e di farli correre per il mondo come una fiamma viva, che dia luce e calore agli uomini e trasformi tanti poveri cuori in braci ardenti per offrirli a Gesù come rubini della sua 259

ESCRIVÁ J., Colloqui cit., n. 36, p. 73; cfr. DOLZ M., San Josemaría cit., p. 132. ESCRIVÁ J., Cammino, n. 1, in Cammino, Solco cit., p. 23; cfr. VÁSQUEZ DE PRADA Á., Il fondatore cit., vol. 2, p. 386. 261 VÁSQUEZ DE PRADA Á., Il fondatore cit., vol. 2, p. 387. 262 ESCRIVÁ J., Cammino cit., p. 5. 260


corona di Re»263. Cammino ne è l’esemplare: conosciuto ormai in tutto il mondo, in modo particolare tra i giovani, ha venduto quattro milioni e mezzo di copie nelle varie edizioni tradotte in quarantaquattro lingue 264. 3.3.2 – SOLCO Nel 1950, nella nota alla settima edizione di Cammino, san Josemaría prometteva che presto avrebbe incontrato i suoi figli spirituali e altri lettori in un altro libro intitolato Solco. «Y que reugues, al Señor y a su bendita Madre, por mi: para que pronto tú y yo volvamos a encontrarnos en otro libro mío – Surco –, que pienso entregarte dentro de pocos meses»265. In realtà fu sempre ostacolato a fare l’ultima revisione del testo a causa dell’intenso lavoro. Per cui l’opera uscì dopo la sua morte, nel 1986. Anche Solco, come Cammino, è una raccolta di pensieri per la meditazione ed è frutto della vita interiore e dell’esperienza di anime di mons. Escrivá 266. Quindi le sue considerazioni «fanno sfilare in questo libro un insieme di qualità che devono risplendere nella vita dei cristiani: generosità, audacia, allegria, sincerità, naturalezza, lealtà, amicizia, purezza, responsabilità…»267. Queste qualità, chiamate virtù umane, mons. Escrivá le aveva scoperte in Gesù Cristo, perfetto Dio e perfetto Uomo. È Cristo il vero modello, l’ideale umano per ogni cristiano; è a Lui che dobbiamo identificarci. Ma non potremmo vivere la vita divina senza prima essere molto umani. «Molti sono i cristiani che seguono Cristo, sbalorditi di fronte alla sua divinità, ma lo dimenticano in quanto Uomo…, e 263

ESCRIVÁ J., Apuntes íntimos, n. 218, del 7.08.1931, in VÁSQUEZ DE PRADA Á, Il fondatore cit., vol. 2, p. 393. Cfr. DOLZ M., San Josemaría cit., 132. 265 Traduzione dallo spagnolo a cura di Bufano Giuseppe: «Prega, il Signore e la sua Mamma benedetta, per me: affinché presto possiamo rincontrarci in un altro libro mio – Solco –, che spero di poterti donare nel giro di pochi mesi». ESCRIVÁ J., Camino cit., Nota a la séptima edición, p. XX. 266 Cfr. ESCRIVÁ J., Solco, in Cammino, Solco cit., Presentazione di Álvaro del Portillo, p. 240; cfr. DOLZ M., San Josemaría cit., p. 133. 267 Ibidem, p. 241. 264


così falliscono nell’esercizio delle virtù soprannaturali – nonostante l’armamentario esteriore di devozione –, perché non fanno nulla per acquisire le virtù umane»268. In altre parole, le qualità umane sono indispensabili per poter agire bene sul piano soprannaturale. Infatti san Josemaría in quest’opera ha un orientamento antropologico, concentrandosi sulle virtù umane, raggruppandole in 1000 pensieri 269. Questi pensieri hanno l’intenzione di incoraggiare e guidare l’orazione personale cercando di imitare la Vergine Maria 270. Particolarmente significativo al riguardo è che tutti i capitoli di Solco si concludono con un pensiero alla Madonna: ogni cristiano che vuole identificarsi a Cristo non ha altra via sicura e diretta della devozione alla Mamma Celeste271. Solco, meno conosciuto di Cammino, è stato tradotto in diciannove lingue e ne sono state vendute mezzo milione di copie272. 3.3.3 – FORGIA «Come non prendere la tua anima – oro puro – per metterla nella forgia e lavorarla col fuoco e col martello, fino a fare di quest’oro nativo uno splendido gioiello da offrire al mio Dio, al tuo Dio?»273. Con queste parole tratte dal Prologo, mons. Josemaría Escrivá apre il suo nuovo libro Forgia, pubblicato postumo nel 1987.

268

ESCRIVÁ J., Solco, n. 652, in Cammino, Solco cit., p. 406. Cfr. FABRO C., GAROFALO S., RASCHINI M. A., Santi nel mondo cit., p. 29; cfr. DOLZ M., San Josemaría cit., p. 133. 270 Cfr. ESCRIVÁ J., Solco, n. 443, in Cammino, Solco cit., p. 354. 271 Cfr. Ibidem, Presentazione, p. 246. 272 Cfr. DOLZ M., San Josemaría cit., p. 133. 273 ESCRIVÁ J., Forgia, in Cammino, Solco cit., Prologo, p. 503; cfr. DOLZ M., San Josemaría cit., p. 134. 269


Forgia è di carattere ascetico-mistico e contiene 1.055 punti di meditazione aventi un chiaro aspetto autobiografico: sono gli Apuntes íntimos, scritti dal fondatore dell’Opus Dei nei suoi quaderni spirituali, che usò negli anni Trenta274. L’essenza di Forgia può essere sintetizzata nella seguente affermazione: «La vita di Gesù Cristo, se gli siamo fedeli, si ripete in qualche modo in quella di ciascuno di noi, tanto nel processo interno – la santificazione – quanto nella condotta esterna»275. Quest’opera, tradotta in quattordici lingue, è incentrata «sul progressivo itinerario della vita interiore verso l’identificazione con Cristo»276, che seppure si realizza per mezzo dei sacramenti, richiede, da ciascun cristiano, lo sforzo personale di corrispondere alla grazia. Insieme a Cammino e a Solco, Forgia fa parte di una vera e propria «trilogia per la meditazione del cristiano, scritta con l’ambizione di farne un contemplativo in mezzo al mondo»277. «Forgia,

in

definitiva,

accompagna

l’anima

nell’itinerario

della

sua

santificazione, da quando percepisce la luce della vocazione cristiana fino a quando la virtù terrena si apre all’eternità»278. 3.3.4 – IL SANTO ROSARIO e VIA CRUCIS Due opere dedicate alla pietà popolare tradizionale sono Il Santo Rosario, scritto di getto nel 1931 e pubblicato nel 1934, e Via Crucis, opera postuma pubblicata nel 1981.

274

Cfr. Ibidem, Presentazione di Álvaro del Portillo, p. 494. Ibidem, n. 418, p. 598. 276 DOLZ M., San Josemaría cit., p. 134. 277 FABRO C., GAROFALO S., RASCHINI M. A., Santi nel mondo cit., p. 30. 278 ESCRIVÁ J., Forgia, in Cammino, Solco cit., Presentazione, p. 496. 275


Con questi due libretti san Josemaría si unisce alla pietà popolare per contemplare e glorificare i quindici misteri della vita della vergine Madre di Dio, con la gioia della nascita del Figlio suo, i dolori della Passione e la speranza e il trionfo della glorificazione di Cristo279. Il Santo Rosario presenta nelle sue pagine il modo di meditare e recitare il rosario propri dell’autore: una profonda devozione alla Vergine Maria che lo immergeva nelle scene evangeliche e lo impegnava a contemplare nel silenzio la vita di Gesù e di Maria. I due capisaldi dell’opera sono l’infanzia spirituale e la contemplazione. San Josemaría scriveva nell’introduzione del libro: «Devo dire un segreto, una verità che potrebbe diventare veramente l’inizio del cammino per il quale vuole condurli. Amico, se vuoi essere grande, fatti piccolo. Per essere piccolo bisogna credere come credono i bambini, amare come amano i bambini, abbandonarsi come sanno abbandonarsi i bambini, pregare come pregano i bambini. E queste cose, tutte insieme, sono necessarie per tradurre in pratica quanto sto per dirti in queste righe: L’inizio del cammino che ha per termine l’amore folle per Gesù, è un fiducioso amore alla Madonna»280. La contemplazione, invece invita il credente a partecipare ai misteri dal di dentro, come un personaggio in più. «Ammireremo i suoi trent’anni di vita nascosta… Assisteremo alla sua Passione e alla sua Morte…»281. È dunque un rosario biblico, strettamente legato alla Sacra Scrittura.

279

Cfr. FABRO C., GAROFALO S., RASCHINI M. A., Santi nel mondo cit., p. 32. ESCRIVÁ J., Il Santo Rosario cit., Introduzione dell’autore (il testo non presenta numerazione di pagina); cfr. DOLZ M., San Josemaría cit., p. 135. 281 Ibidem. 280


La settima edizione italiana, pubblicata nel 2003, è stata ampliata con l’introduzione dei misteri luminosi, posti in appendice. Nell’introduzione scritta da mons. Javier Echevarría, attuale Prelato dell’Opus Dei, si precisa che tali misteri, non presenti nella recita del rosario nel 1931, tuttavia furono contemplati e predicati con amore da san Josemaría, come ogni brano del Vangelo. Le meditazioni raccolte in questo libro, quindi, sono state prese dagli scritti del fondatore dell’Opera, per consentire una contemplazione completa del santo rosario282. Anche Via Crucis è un libro devozionale che invita il lettore a contemplare la vita di Cristo attraverso le quattordici scene della sua Passione e Morte. San Josemaría consigliava sempre la meditazione costante del Vangelo, e in modo particolare i brani della Morte e Risurrezione di Cristo, per crescere nella fede, contemplare la sua umanità e per potersi identificare con Lui. «Tali scritti, pieni di sincera devozione, ci fanno pensare al Figlio di Dio, uomo come noi e vero Dio, che ama e soffre nella sua carne per la redenzione del mondo»283. Quest’opera, dunque, nasce con l’intenzione di aiutare a pregare e, «con la grazia di Dio, crescere nello spirito di compunzione e di gratitudine verso il Signore»284. Pertanto, ad ogni stazione della Via Crucis, sono state aggiunte alcune meditazioni, tratte da precedenti predicazioni di mons. Escrivá. «La Via Crucis non è una devozione triste. Mons. Escrivá ha insegnato spesso che la gioia cristiana ha le sue radici a forma di croce. Se la Passione di cristo è via dolorosa, è anche il cammino della speranza e della sicura vittoria»285.

282

Cfr. Ibidem, Appendice, Introduzione di Javier Echevarría. ESCRIVÁ J., Amici cit., n. 299, p. 329; cfr. ESCRIVÁ J., Via Crucis cit., Prefazione di Álvaro del Portillo, p. 12. 284 ESCRIVÁ J., Via Crucis cit., p. 13. 285 Ibidem, p. 14. 283


3.3.5 – LE OMELIE Le tre opere omiletiche di mons. Escrivá, È Gesù che passa, Amici di Dio e La Chiesa nostra Madre, sono meno conosciute di Cammino ma presentano aspetti ancor più profondi della sua spiritualità e personalità. Prevalentemente riservata ai membri dell’Opus Dei, la sua predicazione mirava alla formazione spirituale286. Durante la sua vita san Josemaría predicò in tutto il mondo e a tutte le categorie di persone: dai contadini agli studenti, dai medici agli avvocati e magistrati, a sacerdoti e a insegnanti. La sua predicazione presenta uno sfondo biblico e liturgico, con abbondanti riferimenti ai Padri della Chiesa e alla Teologia di san Tommaso. 

È Gesù che passa Quest’opera pubblicata nel 1973287 raccoglie diciotto omelie pronunziate tra il

1951 e il 1971, e comprendono tutti i tempi dell’anno liturgico, dall’Avvento alla solennità di Cristo Re. Il filo conduttore di questa raccolta di omelie lo si può individuare nel senso della filiazione divina, presente in modo costante nella predicazione del fondatore dell’Opera di Dio. Se ci facciamo guidare dallo Spirito Santo, diventiamo figli di Dio, eredi di Dio e coeredi di Cristo288. Questo passo biblico ci indica il cammino che, nello Spirito Santo, attraverso Gesù Cristo, conduce a Dio Padre. Nella vita cristiana, quindi, è fondamentale il rapporto costante con Cristo che si realizza con l’accostamento al sacramento dell’eucarestia e attraverso la meditazione della Parola di Dio che è preghiera. Significativa è al riguardo l’omelia Nella festa del Corpus Domini nella quale scrive: «Il nostro Dio ha deciso di rimanere nel tabernacolo per essere nostro alimento,

286

Cfr. FABRO C., GAROFALO S., RASCHINI M. A., Santi nel mondo cit., p. 35. ESCRIVÁ DE BALAGUER JOSEMARÍA, Es Cristo que pasa, Ed. Rialp, Madrid 1973. 288 Cfr. Rm 8, 14-17; cfr. ESCRIVÁ J., È Gesù cit., Presentazione di Álvaro del Portillo, p. 13. 287


per darci forza, divinizzarci, per dare efficacia al nostro lavoro e al nostro sforzo. Gesù è allo stesso tempo seminatore, seme e frutto della semina: è il Pane di vita eterna»289. E ancora: «Quando il cristiano intraprende il cammino del rapporto ininterrotto con il Signore – ed è un cammino per tutti, non una vita per privilegiati – la vita interiore cresce sicura e salda; e si consolida nell’uomo quella lotta, amabile ed esigente ad un tempo, necessario per realizzare fino in fondo la volontà di Dio»290. Quest’opera di grande valore per la formazione cristiana tratta vari argomenti: la vocazione cristiana, l’esempio di Gesù Cristo, il lavoro quale strumento di santificazione e di apostolato, il matrimonio come vocazione divina, l’Eucarestia, la Vergine Maria e altri ancora. 

Amici di Dio È il secondo volume di omelie, pronunciate tra il 1941 e il 1968, ma pubblicate

postume nel 1977. A differenza di È Gesù che passa, che è centrato sui misteri principali della fede, Amici di Dio, comprendente anch’essa diciotto omelie, traccia un panorama delle virtù naturali e soprannaturali nella vita quotidiana del cristiano 291. Quest’opera comprende i grandi temi della spiritualità cristiana secondo la visione fondazionale del 2 ottobre 1928: la grandezza della vita quotidiana, il dono della libertà, l’importanza delle virtù umane, l’umiltà, la castità, l’importanza dell’orazione, la fede, la speranza, la carità, l’apostolato…292.

289

ESCRIVÁ J., È Gesù cit., n. 151, p. 301. Ibidem, Presentazione di Álvaro del Portillo, p. 15. 291 Cfr. FABRO C., GAROFALO S., RASCHINI M. A., Santi nel mondo cit., p. 43. 292 Cfr. DOLZ M., San Josemaría cit., p. 138. 290


Pronunciate e scritte in modo chiaro e diretto, le omelie di mons. Escrivá sanno colpire il fondo dell’anima. Per questo le sue opere, tra cui Amici di Dio, hanno condotto san Josemaría a essere annoverato tra i maestri della spiritualità del Novecento. Con lui la predicazione diventa orazione, colloquio con Dio, cosicché queste omelie sono considerate «una catechesi di dottrina e di vita cristiana in cui, mentre si parla di Dio si parla con Dio: questo è forse il segreto della loro grande forza comunicativa, perché sempre fanno riferimento all’Amore»293. Sin dalla prima omelia di quest’opera Escrivá esorta alla chiamata alla santità che è per tutti: «Dobbiamo essere santi – se mi consentite l’espressione – da capo a piedi: cristiani veri, autentici, canonizzabili: altrimenti avremo fallito come discepoli dell’unico Maestro»294. E segue: «La santità che il Signore esige da te si ottiene compiendo con amore di Dio il lavoro, i doveri di ogni giorno, che quasi sempre sono un tessuto di cose piccole»295. Una santità raggiungibile attraverso l’esercizio delle virtù umane e in modo particolare dell’umiltà, cioè riconoscersi piccolo come un bambino davanti a Dio296. Josemaría utilizzava l’espressione la vibrazione dell’umiltà297, «perché la piccolezza del bambino, assistito dalla protezione onnipotente di Dio suo Padre, vibra in opere di fede, di speranza e di amore, e di tutte le altre virtù che lo Spirito Santo infonde nell’animo»298.

293

ESCRIVÁ J., Amici cit., Presentazione di Álvaro del Portillo, p. 10. Ibidem, n. 5, p. 26. 295 Ibidem, n. 7, p. 28. 296 Cfr. Ibidem, n. 108, p. 127. 297 Cfr. Ibidem, n. 202, p. 234. 298 Ibidem, Presentazione, p. 11. 294


Questo cammino di santità, proposto dal fondatore dell’Opera di Dio, ha un profondo rispetto per la libertà, necessaria affinché possa nascere il desiderio di servire Dio e di amarlo sopra ogni cosa. È nella libertà che l’amore si irrobustisce, affonda le radici: «Santi non si nasce: il santo si forgia nel continuo gioco della grazia divina e della corrispondenza umana»299. La vita del cristiano che decide di rispondere alla vocazione divina, viene a rispecchiare le parole del Signore riportate nel Vangelo di Giovanni: «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi»300. Per cui siamo figli di Dio, Amici di Dio – da cui il titolo dell’opera – e non dobbiamo pensare «all’amicizia divina come una risorsa per casi estremi»301. Gesù Cristo è vero Dio e vero Uomo: nostro fratello e nostro amico – a Dio ricorriamo come figli, in un fiducioso dialogo che deve riempire la nostra vita; e come amici, perché «noi cristiani siamo innamorati dell’Amore»302. 

La Chiesa nostra Madre È la terza opera omiletica pubblicata postuma303 che raccoglie tre omelie inedite

su temi ecclesiologici, pronunciate tra il 1972 e il 1973, quando mons. Escrivá soffriva molto per l’interpretazione abusiva delle decisioni decretate durante il Concilio Vaticano II, e l’omelia Amare il mondo appassionatamente, già comparsa nel suo libro Colloqui con Monsignor Escrivá. Con questa opera egli difende la Chiesa e mostra il suo amore filiale per lei. 299

Ibidem, n. 7, p. 27. Gv 15, 15. 301 ESCRIVÁ J., Amici cit., n. 247, p. 282; cfr. ESCRIVÁ JOSEMARÍA, Vita d’orazione – Verso la santità, a cura di Terrasi Ernesto, Ed. Ares, Milano 1995, p. 24. 302 Ibidem, n. 183, p. 214. 303 La prima edizione italiana è stata pubblicata da Edizioni Ares, Milano 1976. 300


Il fine soprannaturale della Chiesa è la prima omelia di quest’opera, pronunciata il 29 maggio 1972, giorno della festa della SS. Trinità, con la quale denuncia la presenza di molte persone, all’interno della Chiesa, e con alte cariche, che «pretendono di proporre un’immagine della Chiesa che non è santa, che non è una, che non può essere apostolica, perché non poggia sulla roccia di Pietro, e che non è cattolica, perché è percorsa da illegittimi particolarismi, da capricci umani»304. A questo segue la denuncia alla Chiesa attuale, nella quale si ascoltano delle eresie circa la non santità del matrimonio e quella del sacerdozio, contro il primato del Papa, eresie contro la concezione immacolata di Maria e la sua verginità, eresie contro la presenza reale di Cristo nell’Eucarestia e contro la sua gloriosa risurrezione305. La risposta di Escrivá è che la Chiesa non deve impegnarsi a piacere agli uomini, poiché essi non daranno mai la salvezza eterna: chi salva è Dio, e salva nella Chiesa e mediante la Chiesa, come è stata voluta da Cristo, costituita cioè dal Papa, assieme ai vescovi, ai sacerdoti, ai diaconi e ai laici306. La seconda omelia intitolata Lealtà verso la Chiesa, pronunciata il 4 giugno 1972 nella II Domenica dopo Pentecoste, sviluppa alcuni punti della precedente omelia rivelandone la natura divina della Chiesa, secondo le note del Simbolo di Fede dei cristiani. La Chiesa è una, santa, cattolica e apostolica «anche se in questi ultimi anni alcuni l’hanno dimenticato spinti da un falso ecumenismo»307.

304

ESCRIVÁ J., La Chiesa nostra cit. p. 23; cfr. FABRO C., GAROFALO S., RASCHINI M. A., Santi nel mondo cit., p.

55. 305

Cfr. Ibidem, p. 24; cfr. ROMANO G., OLAIZOLA J. L., Il Vangelo cit., p. 126. Cfr. Ibidem, p. 33; cfr. anche p. 35; cfr. FABRO C., GAROFALO S., RASCHINI M. A., Santi nel mondo cit., p. 57. 307 Ibidem, p. 41. 306


Sacerdote per l’eternità è l’ultima omelia inedita pronunciata il 13 aprile 1973, nel Venerdì Santo, e medita sulla natura del sacerdozio cattolico, sulla sua necessità e dignità, sul rapporto tra sacerdoti e laici e sulla messa 308. Mons. Escrivá vede l’identità del sacerdote in quella stessa di Cristo, ma «la Passione per la santità non è che una e non fa differenza essere sacerdoti o laici […] perché la santità non dipende dalle circostanze del proprio stato – celibe, sposato, vedovo, sacerdote – ma dalla personale corrispondenza alla grazia»309. «Il sacerdote compie e rinnova il sacrificio del Calvario in persona Christi e la presenza o l’assenza dei fedeli alla santa messa non modifica in nulla questa verità di fede»310. 3.3.6 – COLLOQUI CON MONSIGNOR ESCRIVÁ Colloqui con Monsignor Escrivá è un’opera che raccoglie sette interviste rilasciate da san Josemaría, fra il 1966 e il 1968 – anno in cui fu pubblicato –, alla stampa internazionale. Tenuto conto della lunga evoluzione giuridica dell’Opus Dei, questo libro raccoglie, dalla viva voce del fondatore, svariate spiegazioni e descrizioni dell’Opera, i suoi tratti istituzionali e la vita dei membri. Ma anche gli aspetti fondamentali nella vita della Chiesa e della società civile, e cioè i frutti del Concilio Vaticano II, il ruolo dei laici, la figura del sacerdote, la donna nella società e nella Chiesa e l’università 311.

308

Cfr. DOLZ M., San Josemaría cit., p. 139. ESCRIVÁ J., La Chiesa nostra cit. pp. 8-9; cfr. FABRO C., GAROFALO S., RASCHINI M. A., Santi nel mondo cit., p. 53. 310 FABRO C., GAROFALO S., RASCHINI M. A., Santi nel mondo cit., p. 54. 311 Cfr. Ibidem, p. 59. 309


La prima intervista, in ordine cronologico, tra quelle presenti in questo libro, fu pubblicata dal quotidiano Le Figaro312 di Parigi e riguarda l’apostolato dell’Opus Dei nel mondo. Così come anche l’intervista rilasciata al settimanale vaticano L’Osservatore della Domenica313 riguarda lo spirito e l’apostolato dei membri dell’Opera. Anche le interviste rilasciate alla rivista Palabra314 di Madrid, e quelle ai corrispondenti di Time315 di New York e del New York Times316 affrontano la situazione della Chiesa in quegli anni e del ruolo dei laici al suo interno, l’importanza della presenza del sacerdote in mezzo agli uomini, e del ruolo dell’Opus Dei nella Chiesa e nel mondo317. Le ultime due interviste, invece, affrontano due temi specifici: quello dell’università – intervista rilasciata alla rivista studentesca Gaceta Universitaria318 di Madrid –, un tema che ha sempre interessato mons. Escrivá, quello dell’educazione e della formazione; e quello dei problemi che la società pone alla donna e alla famiglia 319. Il libro si chiude con l’omelia Amare il mondo appassionatamente, pronunciata da don Josemaría nel campus dell’Università di Navarra nel 1967, nella quale si tratteggiano le linee portanti della spiritualità dell’Opus Dei.

312

GUILLEMÉ-BRÚLON JACQUES, L’apostolato dell’Opus Dei nei cinque continenti, in Le Figaro, Parigi, 16 maggio 1966, in ESCRIVÁ J., Colloqui cit., p. 71. 313 ZUPPI ENRICO, FUGARDI ANTONINO, Che cos’è l’Opus Dei, in L’Osservatore della Domenica, Città del Vaticano, nn. 20, 21, 22 (maggio-giugno 1968), in ESCRIVÁ J., Colloqui cit., p. 95. 314 RODRÍGUEZ PEDRO, Spontaneità e pluralismo nel popolo di Dio, in Palabra, Madrid ottobre 1967, in ESCRIVÁ J., Colloqui cit., p. 21. 315 FORBATH PETER, Perché è sorta l’Opus Dei?, in Time, New York, 15 aprile 1967, in ESCRIVÁ J., Colloqui cit., p. 53. 316 SZULC TAD, Perché tanta gente si avvicina all’Opus Dei?, in New York Times, New York, 7 ottobre 1966, in ESCRIVÁ J., Colloqui cit., p. 83. 317 Cfr. ESCRIVÁ J., Colloqui cit., Presentazione di Manuel Cabello, p. 17. 318 GARRIGÓ ANDRÉS, L’università al servizio della società attuale, in Gaceta Universitaria, Madrid, 5 ottobre 1967, in ESCRIVÁ J., Colloqui cit., p. 125. 319 SALCEDO PILAR, La donna nella vita sociale e nella Chiesa, in Telva, Madrid, 1 febbraio 1968, in ESCRIVÁ J., Colloqui cit., p. 141.


3.3.7 – LA ABADESA DE LAS HUELGAS La Abadesa de Las Huelgas è uno studio teologico-giuridico che don Josemaría, licenziato in legge, elaborò per la sua tesi di dottorato e che discusse nel 1939. «L’ampio studio espone le origini e lo sviluppo del reale monastero de Las Huelgas, fondato alla fine del secolo XII presso Burgos. Prendendo in esame tutti i documenti e la letteratura specializzata (tra cui varie pubblicazioni in lingua tedesca), affronta dettagliatamente la questione della giurisdizione e della pratica di governo delle abadesse del monastero, che seppero mantenere una posizione di quasi autonomia»320. Lo studio diventerà un vero e proprio libro nel 1944 con il medesimo titolo, pubblicato dalle Ediciones Rialp di Madrid 321. Il libro suddiviso in dodici capitoli, ripercorre la storia del monastero de Las Huelgas: dalla fondazione (capitolo I), alle relazioni tra i vescovi e la giurisdizione delle abadesse (cap. VII), l’appoggio dei Re di Spagna (cap. IX), la giurisdizione spirituale delle donne (cap. X), e i confronti del monastero de Las Huelgas con altre abbazie reali in Europa (cap. XI)322.

320

BERGLAR P., Opus Dei cit., nota n. 36, p. 382. ESCRIVÁ J., La Abadesa cit. 322 Fonte internet: www.unav.es/centrojescriva; notizie fornite dal Centro de Documentación y Estudios Josemaría Escrivá de Balaguer, Edificio de Bibliotecas. Universidad de Navarra, Pamplona (España). 321


CONCLUSIONE San Josemaría Escrivá, perché? Dovendo affrontare un argomento per la discussione di tesi ci si domanda quale tema sviluppare e perché? Ho riflettuto molto alle varie argomentazioni che mi sono state presentate durante il corso di questi quattro anni di studio. Ma la scelta è caduta su un argomento che, se ben ricordo, è stato affrontato, seppur in linea differente, in modo vago e non esaustivo: la chiamata universale alla santità, proclamata in modo solenne nel Concilio Vaticano II, è un argomento che riguarda tutti e in ogni momento della storia dell’umanità. Ricordo ancora il giorno 8 ottobre 2002, quando in pieno discernimento, una mia cara amica, che ringrazio e a cui dedico parte di questo lavoro, mi parlò di Josemaría Escrivá e in modo particolare della sua opera più conosciuta intitolata Cammino. A dir la verità non avevo mai sentito parlare di lui e nemmeno dell’Opus Dei, se non due giorni prima, data della sua canonizzazione che seguii con molto interesse in televisione. Allora io esordii dicendo: «Chi è, il santo che il Papa ha canonizzato domenica scorsa?». E così è nato un piccolo interesse per lui, che man mano ha sviluppato in me una profonda devozione. Leggendo le sue opere e la sua vita mi accorsi che ogni sua parola e ogni sua predicazione invitava alla santificazione personale e degli altri, attraverso la santificazione del lavoro e delle cose ordinarie. Due mesi prima avevo trovato un lavoro e così decisi che La santità nella vita quotidiana, con particolare riferimento al lavoro, sarebbe stato il tema di questo


elaborato, cercando di seguire, nella mia vita e nel mio lavoro, l’insegnamento di questo grande maestro della spiritualità del Novecento. Questo viaggio è stato molto affascinante per un verso, ma provocante nell’altro. Affascinante perché san Josemaría mi proponeva un percorso, seppure con vari ostacoli che si possono incontrare durante il cammino, per perseguire la santità attraverso lo svolgimento del mio lavoro, rimanendo nel mio stato di comune cristiano. Provocante perché la sua predicazione, facendo eco nella mia vita e nella mia attività, e rendendomi conto di quanto poco amore offro al Signore, mi spingeva a migliorare, e lo fa tutt’ora. Mi sento figlio di Dio, che rappresenta la prima prerogativa per santificare il lavoro, ma non posso dire di aver santificato la mia vita, sino ad oggi, o per lo meno di averla santificata in pieno, attraverso il lavoro. Molte volte, preso da qualche preoccupazione o per altri motivi, ho tralasciato il mio dovere non compiendo in pieno l’insegnamento del fondatore dell’Opus Dei. Ma questo non mi scoraggia: alcune cose stanno cambiando nella mia vita grazie al suo messaggio spirituale. Per cui devo impegnarmi ancora di più per affrontare quegli ostacoli che si frappongono tra me e il traguardo finale, e cercare la santità nel mio quotidiano.

Come

scriveva

san

Josemaría,

nell’omelia

Amare

il

mondo

appassionatamente, «c’è qualcosa di santo, di divino, nascosto nelle situazioni più comuni, qualcosa che tocca a ognuno di voi scoprire. […] Non vi è altra strada, figli miei: o sappiamo trovare il Signore nella nostra vita ordinaria, o non lo troveremo mai»323.

323

ESCRIVÁ J., omelia Amare il mondo appassionatamente, in Colloqui cit., n. 114, pp. 191-192.


Parlare di san Josemaría Escrivá e della sua Opera in poche righe si rischierebbe di tralasciare buona parte della storia della Chiesa e della storia della spiritualità. In questo elaborato credo di aver sviluppato le tappe salienti della sua vita e del suo insegnamento, sperando che la lettura dello stesso, possa aiutare a identificarci sempre più a Cristo, mediante la santificazione propria e degli altri.


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2. STUDI AA.VV., Romana – Studi sull’Opus Dei e sul suo Fondatore, Edizioni Ares, Milano 1998.

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3. RIVISTE

GAETA SAVERIO, Un miracolo in premio, in Famiglia Cristiana, n° 51, 23-30 dicembre 2001.

OGNIBENE FRANCESCO, Noi cristiani ordinari. Che rivincita, in Avvenire del 8 ottobre 2002. PRELATURA DELL’OPUS DEI, Notiziario: San Josemaría Escrivá, 6 ottobre 2002, n° 35, anno XXVI, I semestre – gennaio/giugno 2003. RUPPI COSMO FRANCESCO, La santità dei laici, in L’Osservatore Romano del 4 aprile 2001.

4. OPERE DI SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ 4.1 Opere in lingua italiana ESCRIVÁ JOSEMARÍA, Amici di Dio, Edizioni Ares, Milano 2003.

ESCRIVÁ JOSEMARÍA, Cammino, Edizioni Leonardo International, Milano 2003.

ESCRIVÁ JOSEMARÍA, Cammino, Solco, Forgia, a cura di Terrasi E., Roccascese F., Contadini S. e Sarcomi D., Edizioni Ares, Milano 2002.


ESCRIVÁ JOSEMARÍA, Colloqui con Monsignor Escrivá, Edizioni Ares, Milano 2002.

ESCRIVÁ JOSEMARÍA, È Gesù che passa, a cura di Contadini Francesco e Terrasi Ernesto, Edizioni Ares, Milano 2003.

ESCRIVÁ JOSEMARÍA, Il lavoro rende santi, a cura di Gaeta Saverio, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1997.

ESCRIVÁ JOSEMARÍA, Il Santo Rosario, Edizioni Ares, Milano 2003.

ESCRIVÁ JOSEMARÍA, La Chiesa nostra Madre, Edizioni Ares, Milano 1976.

ESCRIVÁ JOSEMARÍA, Via Crucis, Edizioni Ares, Milano 2001. ESCRIVÁ JOSEMARÍA, Vita d’orazione – Verso la santità, a cura di Terrasi Ernesto, Edizioni Ares, Milano 1995.

4.2 Opere in lingua spagnola

ESCRIVÁ JOSEMARÍA, Camino, Ediciones Rialp, Madrid 1996.

ESCRIVÁ JOSEMARÍA, Es Cristo que pasa, Ediciones Rialp, Madrid 1973.

ESCRIVÁ JOSEMARÍA, La Abadesa de Las Huelgas, Ediciones Rialp, Madrid 1944.

4.

INTERNET

www.escriva.it a cura del sito Vaticano www.vatican.va. www.opusdei.it a cura dell’Ufficio Informazioni dell’Opus Dei in Internet.


www.unav.es/centrojescriva a cura del Centro de Documentación y Estudios Josemaría Escrivá de Balaguer, Edificio de Bibliotecas Universidad de Navarra, Pamplona (España).


INDICE INTRODUZIONE ___________________________________________________ 3

CAPITOLO PRIMO: San Josemaría Escrivá de Balaguer __________________ 4 1.1 SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ DE BALAGUER _______________________ 5 1.2 LA NASCITA DELL’OPUS DEI: 2 OTTOBRE 1928 __________________ 11 1.3LA GUERRA CIVILE SPAGNOLA E LE ACCUSE CONTRO L’OPUS DEI 18 1.4 LA SEDE CENTRALE DELL’OPUS DEI: ROMA____________________ 27 1.5 GLI ULTIMI ANNI DI VITA DI DON JOSEMARÍA__________________ 31 1.6 IL PROCESSO DI BEATIFICAZIONE E L’ELEVAZIONE ALL’ONORE DEGLI ALTARI _________________________________________________________________ 34 1.7 L’ITINERARIO GIURIDICO DELL’OPUS DEI _____________________ 43

CAPITOLO SECONDO: Il lavoro: strumento di santità ___________________ 51 2.1 IL LAVORO NELLA STORIA DELLA SPIRITUALITÀ _______________ 52 2.2 IL LAVORO: STRUMENTO DI SANTITÁ __________________________ 56 2.3 LAVORO E APOSTOLATO ______________________________________ 69

CAPITOLO TERZO: La santità dei laici________________________________ 73 3.1 LA SANTITÀ DEI LAICI NELLA SPIRITUALITÀ DI

SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ E NEL

CONCILIO VATICANO II___________________________________________ 74 3.2 L’ATTUALITÀ ECCLESIALE DEL MESSAGGIO SPIRITUALE

DI SAN JOSEMARÍA

ESCRIVÁ_________________________________________________________ 80 3.3 LE OPERE DI SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ ________________________ 88


3.3.1 – CAMMINO ____________________________________________________ 88 3.3.2 – SOLCO _______________________________________________________ 90 3.3.3 – FORGIA ______________________________________________________ 91 3.3.4 – IL SANTO ROSARIO e VIA CRUCIS ______________________________ 92 3.3.5 – LE OMELIE ___________________________________________________ 95 

È Gesù che passa _______________________________________________________ 95

Amici di Dio ___________________________________________________________ 96

La Chiesa nostra Madre __________________________________________________ 98

3.3.6 – COLLOQUI CON MONSIGNOR ESCRIVÁ _______________________ 100 3.3.7 – LA ABADESA DE LAS HUELGAS _______________________________ 102

CONCLUSIONE __________________________________________________ 103

BIBLIOGRAFIA __________________________________________________ 106


Ringrazio il Professor Manzoli Consuelo, Docente di Storia della Chiesa presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Matera, per l’abile collaborazione nella stesura di questa tesi.

Ringrazio il Dott. Massotti Manuel e il Dott. Mendiz Alfredo, Numerari dell’Opus Dei, per la gentile collaborazione nella ricerca dei testi utilizzati per la realizzazione di questo elaborato, e per la cortese attenzione offerta durante la mia visita presso la Chiesa Prelatizia di Santa Maria della Pace, in Roma.

Ringrazio i miei Genitori, per il loro affettuoso sostegno in questi anni di studi e per la fiducia che mi hanno donato. Grazie!


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