La Miniera Trabonella

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La miniera Trabonella Gruppo di azione locale

“Sviluppo Valle dell’Himera”


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in copertina: Pozzo Luzzatti in una foto d’epoca. Questa, cosÏ come tutte le altre immagini d’epoca della pubblicazione, fa parte di una collezione di cartoline risalente al primo decennio del Novecento


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Indice Introduzione

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Cenni storici: Dai primi anni dell’attività estrattiva al 1911 Dal Grande Disastro al periodo della gestione S.I.A.M.T. La gestione E.M.S. / So. Chi. Mi. Si. e la fine dell’attività estrattiva

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Le condizioni della miniera prima dell’intervento di recupero del G.A.L. “Sviluppo Valle dell’Himera”

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Turismo culturale e naturalistico: il progetto di recupero del G.A.L “Sviluppo Valle dell’Himera”

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Appendice: 1 Testimonianze sacre e profane 2 Il trattamento del minerale di zolfo 3 Gli usi industriali dello zolfo

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Introduzione Posta all’estremo lembo orientale del bacino zolfifero nisseno, la miniera Trabonella è stata nella sua lunghissima storia una tra le maggiori della Sicilia sia per la quantità della produzione, sia per il numero degli operai impiegati. Basti pensare che nel periodo di maggior sviluppo dell’industria zolfifera siciliana, tra il XIX ed il XX secolo, essa forniva circa la metà dello zolfo prodotto dall’intero bacino estrattivo nisseno, dando lavoro ad un totale di quasi 1500 operai, escluso l’indotto. La miniera, in virtù di tali condizioni, può essere presa ad esempio delle vicende dell’industria estrattiva siciliana, dagli inizi rudimentali dei primi decenni del 1800, all’apporto di professionalità qualificate spesso provenienti dal Nord Italia, fino agli investimenti del secondo dopoguerra. Le vicende dell’industria zolfifera siciliana nel suo complesso sono ben note ed il lento ma

inesorabile declino di questo settore portò alla dismissione definitiva dello stesso nel 1988, benché a quella data la maggior parte degli impianti fosse già inattiva da tempo Non è retorico sostenere che con il declino dell’attività estrattiva tramontò un mondo fatto di contrasti vivissimi, di sviluppo e arretratezza tecnologica, di solidarietà e sopraffazioni, di benessere e miseria. Né si può trascurare quanta parte l’industria dello zolfo abbia avuto nello sviluppo economico e sociale di Caltanissetta. Di tutto ciò rimane ancora oggi una traccia concreta tra i fabbricati e gli impianti ormai inutilizzati. Rendere agevolmente fruibile ai visitatori questa realtà, tanto complessa quanto affascinante, è alla base dell’intervento di recupero e sistemazione degli spazi esterni della miniera Trabonella realizzato dal G.A.L. “S.V.H.”. Claudio Torrisi

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Cenni storici Dai primi anni dell’attività estrattiva al 1911 La principale fonte attualmente disponibile circa la data di inizio dei lavori nella miniera Trabonella sono i Cenni sulla storia delle zolfare di Sicilia pubblicati dall’Ing. M. Gatto nel 1889. Secondo l’Autore la miniera Trabonella venne esplorata in un periodo compreso tra il 1820 ed il 1830, e le ricerche archivistiche confermano questo dato. Bisogna tuttavia ricordare il carattere particolare di quelle primitive lavorazioni, costituite per buona parte da scavi in superficie a ridottissima profondità, condotti saltuariamente anche da gruppi di contadini, più che da minatori veri e propri. In base ai dati raccolti è comunque possibile soffermarsi sull’aspetto della miniera in quei decenni iniziali di attività. Con buona probabilità i lavori di estrazione vennero da principio intrapresi nella zona degli affioramenti, ovvero quei punti nei quali la vena di zolfo, per la sua inclinazione, intercettava la superficie ed era visibile a giorno. Nel caso specifico della miniera Trabonella gli affioramenti si collocavano lungo una striscia di terreno posta in prossimità del pozzo Luzzatti ( che a quell’epoca non esisteva ancora ), ed orientata da Sud-Est a Nord-Ovest. Gli scavi condotti lungo gli affioramenti dovevano essere simili a delle trincee, con una profondità alquanto ridotta. Successivamente, quando la vena di minerale utile si insinuava a maggiore profondità, venivano scavati dei cunicoli, le discenterie, divenute tristemente famose per il massacrante lavoro che in esse svolgevano i carusi, categoria di operai utilizzati per il trasporto del minerale, alla quale appartenevano anche numerosi minori. E’ questa una piaga tristissima del lavoro in miniera che si spiega soltanto attraverso le condizioni di diffusa povertà che caratterizzavano la popolazione di allora. Va comunque ricordato che lo sfruttamento del lavoro minorile non era una prerogativa delle miniere siciliane poiché, restando nell’ambito minerario, situiazioni simili si riscontravano ad esempio anche nelle miniere inglesi dello stesso periodo. Il livello tecnico dei lavori era molto limitato, causando sia continui infortuni dovuti spesso a crolli di minerale nelle gallerie, sia la frequente interruzione degli scavi, provocata in primo luogo dalla difficoltà di liberare le gallerie dall’acqua che vi si accumulava, e che veniva edotta a mano, con l’impiego di recipienti o con rudimentali pompe in legno. Le fonti dei primi dell’Ottocento, ed in particolare una statistica del 1839, ci forniscono una indicazione sia riguardo alcuni tra i primi esercenti, o gabelloti della miniera Trabonella, che erano allora i fratelli Giuseppe e Francesco Morelli, droghieri in Caltanissetta,

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sia riguardo il primo dato sulla produzione, che ammontava a 69.350,4 casse di minerale, già a quel tempo il valore più elevato tra tutte le miniere del bacino minerario nisseno. Il sistema di coltivazione allora utilizzato era quello per archi e colonne, consistente nello scavo di un reticolo di gallerie ortogonali, che lasciavano appunto delle colonne di minerale aventi il compito di sorreggere la volta. Tale sistema, in virtù della discrezione esistente nello stabilire lo spessore e la dimensione delle colonne, era spesso causa di incidenti, anche funesti, causati dal crollo della volta delle gallerie. Gli anni successivi al 1840 segnarono il tentativo di ripresa dalla profonda crisi che aveva colpito il mercato dello zolfo, a causa dello scarso controllo della produzione che portò al formarsi di ingenti quantitativi di prodotto invenduto, con un drastico calo dei prezzi. Intorno alla metà del 1860 la miniera produceva comunque circa 45.000 casse di minerale all’anno, impiegando 422 operai. Il sistema delle “discenterie” rappresentato nel Piano minerario del 1897

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Negli anni tra il 1863 ed il 1875 la miniera Trabonella fu colpita da una serie di incendi sotterranei, di entità tale da comportarne la chiusura tra il 1875 ed il 1877, come testimoniato dai verbali relativi a tali incidenti. Il primo di questi, verificatosi nel 1863 a causa di un’esplosione di grisou, ebbe conseguenze disastrose, uccidendo 82 operai. La chiusura della miniera, ed il conseguente mancato profitto, causarono addirittura il fallimento del barone Morillo, la cui famiglia figurava dal 1746 quale proprietaria del feudo di Trabonella, in cui era situata la miniera. Durante la gestione fallimentare, la miniera venne data in affitto alla ditta Luigi Scalia & C. nel 1877, la quale riprese i lavori di estrazione costruendo il Piano Inclinato Principale, diviso nelle due sezioni S.Alessandro e S.Luigi, ed arrivando ad una produzione di 10.400 tonnellate di zolfo, ancora una volta e di gran lunga la maggiore di tutto il bacino estrattivo nisseno. A quel tempo lavoravano nella miniera 429 operai. Da una fonte relativa all’anno 1896 si hanno notizie circa la divisione della miniera in diverse sezioni, tutte comunque unite sotto lo stesso proprietario, il barone Morillo ancora fallimentare, e tutte coltivate dal medesimo esercente, ossia la suddetta ditta L. Scalia & C. Queste sezioni erano: la Miniera Grande, la S. Vincenzo, la S. Francesco, la sezione Gavite e la Carrozzo. Il fatto che tutte le sezioni fossero affidate ad un unico esercente costituiva un elemento molto importante per il rendimento della miniera stessa, perché in tal modo si aveva la possibilità di sfruttare il filone di zolfo in maniera razionale ed efficiente, coordinando le operazioni, senza dover modificare o interrompere i lavori per l’invasione di proprietà altrui. La miniera produceva allora 10.200 tonnellate di zolfo con 397 operai impiegati. Gli impianti esterni della sezione San Francesco

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Il decennio a cavallo tra il XIX° ed il XX° secolo costituì il periodo d’oro delle miniere di zolfo siciliane. Ed infatti i dati relativi agli inizi del 1900 mostrano un notevole incremento della produzione e dei lavoratori impiegati. Non viene più registrata la sezione S. Francesco, mentre si aggiungono la sezione Maria Carmela e la Trabonella Ovest. Cambiano anche gli esercenti: la ditta Luzzatti Della Torre per la Sezione Grande, la ditta Lo Vecchio & C. per le sezioni Gavite, Carrozzo e Trabonella Ovest. Le sezioni San Vincenzo e Maria Carmela erano esercite rispettivamente dalle ditte G.Curatolo e S.Lipani. La produzione nel 1906 si attestava a 31.415 tonnellate di zolfo, con un incremento del 300% rispetto al 1896, determinando un aumento del numero degli operai impiegati che saliva a 1462. Queste cifre di per sé sono sufficienti a spiegare quale importanza doveva avere la miniera Trabonella nell’economia nissena, basti dire che tutte le restanti miniere del bacino di Caltanissetta, nel 1906, impiegavano 1588 operai.

Pozzo Luzzatti visto da Nord

I fabbricati adiacenti alla palazzina della direzione, in un particolare del Piano minerario del 1892-97

A questo periodo risalgono i primi documenti grafici dai quali è possibile ricostruire l’aspetto degli impianti esterni della miniera. Esisteva già il pozzo Luzzatti, almeno dal 1901, ma contemporaneamente l’accesso al sotterraneo avveniva anche attraverso la Via Operai, una discenteria che correva quasi parallela al riflusso Burga-Pompe, il cui imbocco era situato a fianco della sala dove erano istallate le pompe per l’eduzione dell’acqua dal sottosuolo. All’imbocco del Piano Inclinato Principale si trovava la sala macchine, con l’argano per il traino dei vagoni. Degna di interesse è anche la presenza di edifici come la Pasteria, il Pollaio, il

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Ruderi di una baracca utilizzata dagli operai, situata nei pressi della palazzina della direzione

Magazzino olio e vino o la Scuderia, i quali testimoniano bene la complessità della organizzazione della vita in una miniera di grande estensione, che era in attività giorno e notte con i vari turni e doveva essere autosufficiente per la maggior parte delle necessità. Non mancavano quindi un’officina per la riparazione e la preparazione dei pezzi necessari alle varie macchine, magazzini per il legno, e quant’altro fosse necessario al proseguimento ininterrotto dell’attività estrattiva. Nei medesimi documenti grafici sono visibili alcune case degli operai, le quali consistevano essenzialmente in baracche prive di qualsiasi comodità, ma gli stessi operai utilizzavano per ricovero anche grotte scavate nella roccia circostante o nei cumuli di rosticci, ossia gli scarti della lavorazione, quando non finivano con l’abitare nelle stesse gallerie della miniera. Anche la viabilità è rappresentata in modo particolarmente dettagliato. Infatti, oltre alla strada per Caltanissetta e a numerose vie interne al comprensorio della miniera, è raffigurata quella che conduceva alla stazione ferroviaria di Imera, situata a circa un chilometro a Nord della miniera. Il che testimonia come agli inizi del Novecento questa stazione fosse già esistente ed utilizzata per il trasporto dello zolfo in particolare verso i porti di Licata e Porto Empedocle, o anche a Termini Imerese, ed a Catania, dove esistevano delle raffinerie. Gli edifici descritti formavano in buona parte la cosiddetta Sezione Luzzatti, ed i resti di molti di essi sono attualmente ben visibili nel sito della miniera. Riflusso G. Nuvolari (1898). Il camino

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La miniera Trabonella Dal Grande Disastro al periodo della gestione S.I.A.M.T. Proprio in questi anni di fervente attività si verificò un grave incidente, tale da essere ricordato nei documenti dell’epoca come il Grande Disastro. Il 20 ottobre 1911 un’ esplosione di grisou uccise 40 operai, ferendone 16. Solo quattro cadaveri poterono però essere estratti dal sotterraneo. Ecco la descrizione di quegli avvenimenti tratta dal verbale di constatazione dell’infortunio redatto dall’allora Ingegnere del Distretto Minerario di Caltanissetta, Angelo Baraffael. Il linguaggio tecnico rende chiara la concitazione del momento e la difficoltà delle operazioni di soccorso: « Venerdì 20 ottobre corrente verso le ore cinque pomeridiane un impiegato della Ditta Luzzatti Moscatelli Della Torre venne ad avvertirmi all’Ufficio delle Miniere che un gravissimo infortunio erasi verificato alla miniera Trabonella […]. Partito immediatamente in compagnia dell’Ing. Svampa di questo Ufficio dell’Ing. Bergmann amministratore generale della ditta esercente e del perito minerario Sig. Catena Giuseppe giunsi nel luogo alle ore sei e mezzo di sera. Quivi mi fu riferito dal vicedirettore Sig. Lo Vullo Michele che verso le ore quattro e un quarto o quattro e mezzo pomeridiane egli […] fu avvertito che al pozzo d’estrazione Luzzatti erasi inteso un colpo di vento ( ventuliata ) […]. Avendo intuito trattarsi di uno scoppio di grisou il Lo Vullo, mentre si producevano […] altri scoppi udibili dall’esterno, sarebbe accorso al pozzo d’estrazione fuggendo dal quale poterono trovare scampo i sorveglianti Agnello Giuseppe e Catalano Liborio dopo aver fatto risalire a giorno una ventina di operai […]. Intanto il numero delle esplosioni sarebbe arrivato a cinque rendendo sempre più violenta e carica di polvere la corrente d’aria […] che si era messa a salire dal pozzo dopo la prima esplosione […]. Il Lo Vullo dopo aver gridato a tutti quelli che si accalcavano in prossimità del pozzo di non scendere e di non far scendere alcuno si avviò verso il piano inclinato d’estrazione il quale avendo continuato a fare da entrata d’aria mostravasi unica via di salvataggio ancora disponibile […]. Al piano inclinato egli avrebbe disciplinato ed affrettato il salvataggio […]. Poterono così giungere a salvamento sessanta operai circa […]. In questo frattempo al pozzo d’estrazione Luzzatti il sorvegliante Scavone Gaspare insieme con Machiavelli Giuseppe ricevitore […] incoraggiati dal fatto che da qualche tempo le esplosioni non si rinnovavano discesero di propria iniziativa collo scopo di andare a porgere aiuto ai compagni che non avessero potuto raggiungere la piatta del pozzo […]. All’imbocco stesso della galleria di carreggio secondo livello essi furono sorpresi ed uccisi dall’ultimo scoppio seguito agli altri poco prima delle ore cinque con intervallo di tempo un po’ maggiore ma più violento di tutti.

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Questo scoppio fu infatti capace di svellere e sollevare un tavolato a forma di segmento circolare ricoprente la porzione della bocca del pozzo non occupata dalla gabbia […] e di svellere e gettare a venti metri di distanza circa un casotto in legno trovantesi dinanzi all’imbocco della via operai […]. Prevedendosi un sinistro il capopompiere Fiorenza Calogero insieme col cottimista Margani Luigi e il picconiere Alaimo Stefano furono incaricati di andare a ricercare i mancanti per la via del piano inclinato, discesivi percorsero la galleria di carreggio […] fino alla piatta del pozzo e trovarono i cadaveri dei due disgraziati abbracciati all’imbocco del traverso banco […]. Tenendo conto di quanto avvenuto riconoscemmo dopo un rapido studio del piano che la ventilazione del sotterraneo doveva essere radicalmente cambiata […]. Fummo avvertiti intanto verso le ore sette e un quarto che al passaggio di un operaio munito di lampada a fiamma nuda erasi acceso il getto di gas uscente dalla via operai […]. Sorvegliando la fiamma uscente dalla via operai si poté riconoscere come essa avendo un’altezza di quindici metri circa si mantenesse […] invariata per circa quattro ore […]. Fu […] deciso di tentare una ricognizione delle parti accessibili del sotterraneo […] per assicurarsi se vi fossero feriti da salvare […]. In questo modo tutte le vie accessibili erano state percorse fin dove era possibile il prolungarsi della vita umana senza incontrare né feriti né cadaveri […]. D’altra parte ogni ulteriore tentativo si rese assolutamente impossibile circa mezzora dopo perché […] ricominciarono di nuovo le esplosioni interne che […] arrivarono al numero di quindici. […] dopo gli ultimi scoppi fu constatata la presenza del grisou […] ed ora esso continua ad uscire in grande quantità dalla buca operai e dai riflussi Pompe e Della Torre, in quantità minore dal riflusso Nuvolari ed è cessato o quasi al riflusso Polettini. Il presente verbale fu redatto all’Uff. delle Min. di Calt., il giorno 26 ottobre 1911.»

Il pozzo Luzzatti con gli edifici annessi in un dettaglio del Piano minerario del 1907. Tali fabbricati insieme ad altri furono coinvolti nelle gravi esplosioni che colpirono la miniera il 20 ottobre 1911

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In seguito, nel 1934, fu calcolato che negli otto giorni successivi al disastro si svilupparono in totale 1.760.000 mc. di grisou. Oltre al gravissimo carico di vite umane, incidenti di così vaste proporzioni costituivano un danno enorme per la continuità dei lavori, poiché gli incendi che si sviluppavano nel sottosuolo (si ricordi che lo zolfo è combustibile ) potevano protrarsi per anni, se non per decenni. Il metodo allora maggiomente utilizzato per domare il fuoco nel sotterraneo era quello di tappare ermeticamente con murature le gallerie incendiate, in attesa che il fuoco, consumato l’ossigeno, si spegnesse. Spesso però, a causa di fenditure nella roccia l’incendio continuava ad alimentarsi a lungo, a volte addirittura, come si è già detto, per decenni. Così a tre anni di distanza da quegli avvenimenti, nel dicembre 1914, esisteranno solo dei progetti per la riapertura della miniera Trabonella, ancora inattiva. Il verbale di constatazione di infortunio del 26 ottobre 1911 e i verbali di altri incidenti anteriori a quella data forniscono, congiuntamente alla ricostruzione di quegli episodi, anche preziose notizie riguardo i centri di origine delle maestranze che a quel tempo lavoravano nella miniera. Dai documenti risulta che alla miniera Trabonella lavorassero operai provenienti dai comuni di: Castrogiovanni ( Enna ), Pietraperzia, Villarosa, Naro, Campobello di Licata, Delia, S. Cataldo, Serradifalco, Cattolica, Palma di Montechiaro, Poggioreale, Giardini, Lercara, Sommatino, Favara, Riesi, Caltagirone, Ravanusa, Piazza Armerina e Caltanissetta stessa, naturalmente. Nel periodo dell’esercizio D’Oro-Lo Pinto & C., ditta che dal 1914 prese in affitto la miniera, l’attività di estrazione andò gradualmente spostandosi intorno ad un nuovo pozzo, situato a Ovest della sezione Luzzatti e più a monte di questa, detto appunto pozzo D’Oro, costruito nel 1916. Sarà questa la zona in cui si concentreranno in seguito i nuovi impianti della miniera. Con atto del 24 giugno 1920 venne costituita la Società Anonima Miniere Trabonella, amministrata dagli eredi del barone Morillo, che successe alla ditta D’Oro-Lo Pinto & C. nell’esercizio della miniera. I dati statistici risalenti al 1926 indicano come, a quella data, la miniera non si fosse ancora ripresa dall’incendio del 1911. La produzione di zolfo, infatti ammontava a sole 938 tonnellate e gli operai impiegati erano appena 70.

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Dal 1927, per effetto della Legge n° 1443, la proprietà della miniera passò allo Stato, nella fattispecie al Corpo Nazionale delle Miniere, dipendente dal Ministero dell’Industria. Tuttavia il carattere di questa legge era più formale che sostanziale e nel caso specifico della miniera Trabonella, alla proprietà del barone Morillo si sostituì la concessione perpetua della S.A.M.T., amministrata dal barone stesso. Intorno al 1930 la miniera aveva ripreso ad essere sfruttata a pieno regime con una produzione di 10.800 tonnellate di zolfo e 526 operai impiegati. E’ necessario comunque far presente una difficoltà che si riscontra nel valutare correttamente questi dati statistici, dovuta al fatto che sulla produzione di una singola miniera influivano contemporaneamente sia l’andamento generale del mercato dello zolfo sia accidenti particolari verificatisi nella miniera stessa, come scioperi o incidenti, ed è molto difficile riuscire a scindere in maniera appropriata questi influssi. E’ certo comunque che l’industria zolfifera siciliana, come si è detto inizialmente, si trovò dai primi decenni del 1900 in costante declino per la concorrenza del prodotto estero, in particolare americano, e successivamente del petrolio dal quale tuttora si estrae lo zolfo. Nel secondo dopoguerra le competenze del settore zolfifero siciliano passarono alla Regione che le esercitò attraverso il Corpo Regionale delle Miniere, istituito con L.R. n° 21 del 29 luglio 1958, e dipendente dall’Assessorato all’Industria.

In basso, differenti tipologie di armatura delle gallerie A sinistra in legname, a destra in blocchetti di calcestruzzo vibrato. Si noti in entrambe la presenza delle rotaie e del nastro trasportatore

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Questo periodo dell’industria zolfifera siciliana presenta aspetti contraddittori. Se da un lato la posizione di dominio sul mercato mondiale era ormai assolutamente cessata e anzi lo zolfo siciliano aveva solo una quota marginale di questo stesso mercato, d’altra parte le poche miniere rimaste attive, le più estese, erano beneficiarie di una serie di investimenti per impianti di una certa rilevanza, come nel caso della miniera Cozzodisi presso Casteltermini, della Trabia-Tallarita, tra Riesi e Sommatino, e della stessa Trabonella. Va inoltre ricordato come proprio nel secondo dopoguerra si concretizzò la costruzione del villaggio minerario di S. Barbara, che serviva gli operai di tutto il bacino estrattivo nisseno. Esaminando i dati statistici relativi agli anni 1950-1960 si può constatare il lento ma continuo diminuire della produzione della miniera Trabonella e soprattutto la chiusura progressiva delle miniere di minore estensione. Nonostante il declino dell’industria siciliana dello zolfo, il decennio dal 1950 al 1960 fu caratterizzato da un’intensa attività della miniera. A testimoniare ciò, oltre alla costruzione dei nuovi fabbricati tra i quali l’impianto di flottazione dello zolfo e quello per la produzione del ventilato, vi è una serie di documenti che indica i numerosi investimenti effettuati in quegli anni a beneficio della miniera stessa con i contributi erogati dalla Regione. Negli anni 1953/54 furono richiesti contributi per la costruzione di un acquedotto di servizio alla miniera. Nel 1955 altri contributi furono richiesti per l’impianto anti-grisou e per quello di ripiena pneumatica, con la quale, attraverso un condotto, si riempivano le gallerie esaurite con pietrame macinato spinto da aria compressa. Nel 1954 fu scavato un nuovo pozzo, situato a poca distanza dal pozzo D’Oro e ad ovest di quest’ultimo, detto appunto Pozzo Nuovo, raggiungente la profondità di 420 metri e del quale resta tuttora visibile il castello in profilati metallici. Nel 1956 fu presentata un’istanza all’A.S.T. per l’acquisto di automezzi necessari al trasporto delle maestranze provenienti da Caltanissetta, S.Cataldo, Villarosa, Riesi e Sommatino alla miniera e viceversa. Sempre nello stesso anno furono richiesti contributi per la costruzione della strada di accesso al pozzo Nuovo e al fabbricato bagni e spogliatoi. Fu inoltre contratto un mutuo con l’I.M.I. per un valore di 220.000.000 di Lire dell’epoca, per l’acquisto di macchinari e materiale presso diverse ditte italiane ed estere. Nel 1959 un altro contributo venne richiesto per la costruzione di due dormitori. E’ estremamente complesso dare un giudizio su tutti questi investimenti. Va tenuto presente che la miniera rappresentava pur sempre una grande realtà industriale che dava occupazione ad almeno un migliaio di operai, compreso l’indotto. Ed infatti i dati relativi alla produzione indicano come, nel 1956, questa fosse ancora abbastanza elevata con 9108 tonnellate di zolfo estratto e 513 operai impiegati. Se valutati in quest’ottica, gli investimenti di quegli anni assumono un carattere di necessità volto ad assicurare continuità all’attività mineraria stessa.

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Intorno ai pozzi Nuovo e D’Oro, si concentrarono tutti i nuovi fabbricati della miniera. Nel 1959 fu varato il Piano di Riorganizzazione, con la legge n° 4 del 13 marzo dello stesso anno, di cui beneficiarono, oltre alla Trabonella, diverse miniere. Questo programma prevedeva una serie di investimenti in edifici e impianti, con fondi anticipati dalla Regione che le imprese avrebbero dovuto restituire, in seguito, a ristrutturazione avvenuta. Al termine dei cinque anni previsti dal Piano, tuttavia, la maggior parte delle imprese, tra le quali S.I.A.M.T. ( Società Industriale Anonima Miniere Trabonella, ) risultava inadempiente, per cui la Regione revocò le singole concessioni per affidarle ad una propria società.

”Impianto macinazione e flottazione”, veduta esterna

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Gli impianti esterni della miniera nella planimetria eseguita dall’ I.G.M. per conto dell’Ente Autonomo per l’Industria Solfifera nel 1931

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La miniera Trabonella La gestione E.M.S./So.Chi.Mi.Si. e la fine dell’attività estrattiva Nel 1967, dunque, la Regione revocò la concessione della miniera Trabonella alla S.I.A.M.T., con Decreto del Presidente della Regione Siciliana n° 83/A del 12 luglio 1967, per affidarla in gestione all’Ente Minerario Siciliano tramite la So.Chi.Mi.Si., a decorrere dal 11 gennaio 1967 (con D.A. n° 262 del 18 marzo 1971 ai sensi della L.R. n° 2 del 11 gennaio 1963). Con la gestione dell’E.M.S. si avvia alla fase conclusiva l’attività della miniera Trabonella, nella quale non intervengono sostanziali modifiche sino a quando, il 3 dicembre del 1975, il sotterraneo venne chiuso (ai sensi della L.R. n° 42 del 6 giugno 1975). Rimasero invece ancora in attività l’impianto di flottazione, con minerale proveniente da altre miniere, assieme all’impianto di produzione del ventilato di zolfo, utilizzato in agricoltura. Nel 1988, infine, la Regione, con la Legge n° 34 dell’8 novembre, decretò la dismissione del settore zolfifero con la chiusura definitiva di tutti gli impianti ed il pensionamento degli impiegati del settore.

Pagina a destra, gli impianti della zona Pozzo Nuovo in una veduta generale in direzione Nord In basso i “Silos minerale terzi”, che raccoglievano il minerale inviato da altre miniere e destinato alla lavorazione negli impianti della Trabonella

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La miniera Trabonella Le condizioni della miniera prima dell’intervento di recupero del G.A.L. Sviluppo Valle dell’Himera Diversamente da quanto avvenuto in altri siti minerari dismessi e contravvenendo anche a quanto aveva stabilito la Legge Regionale n° 34/1988 che all’Art. 8 recita: « L’E.M.S. […] provvederà alla chiusura delle miniere di zolfo […] curando il recupero dei beni e delle attrezzature utilmente asportabili », la chiusura della miniera Trabonella non fu seguita da nessuna opera di salvaguardia dei fabbricati e degli impianti, né ci si prese cura di asportare quanto di ancora efficiente si trovasse nella miniera stessa come, ad esempio, le macchine di movimento terra e le attrezzature varie. Chi avesse visitato gli impianti abbandonati ne avrebbe ricavato l’impressione di una fuga improvvisa più che di una dismissione programmata. Uno stato di cose che si è protratto fino ai nostri giorni, sebbene da tempo si parli di musealizzazione dei siti minerari nisseni. Tuttavia, pur nell’incuria generale, non sono stati abbattuti gli edifici costruiti nel dopoguerra né, cosa particolarmente rilevante, buona parte dei fabbricati più antichi. Tra questi la palazzina della direzione, risalente alla seconda metà del 1800, il camino del riflusso Nuvolari (una galleria utilizzata per ventilare il sotterraneo ) del 1898, ed alcune abitazioni degli operai che si conservano tuttora in buono stato. Altri edifici, quali le scuderie, la cappella, la centrale elettrica sono tuttora riconoscibili, pur se in condizioni di particolare degrado. Allo stesso modo sono ancora presenti alcuni degli impianti utilizzati per la fusione dello zolfo, cioè calcaroni e forni Gill, insieme alla viabilità d’epoca. Tutto questo costituisce a ben vedere un autentico patrimonio sul quale però, per motivi che non è il caso di approfondire in quest’occasione, le autorità competenti non hanno finora preso provvedimenti di tutela e conservazione. A fianco, mezzi di movimento terra abbandonati nella miniera

Pagina a destra, la zona della ex-direzione della miniera

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La miniera Trabonella Turismo culturale e naturalistico Il progetto di recupero del G.A.L. Sviluppo Valle Dell’Himera Sarebbe quanto mai impensabile ipotizzare qualunque attività di fruizione del sito minerario Trabonella senza discutere di un progetto complessivo atto a sostenere la riqualificazione ambientale delle aree naturalistiche e ad agevolare, attraverso la realizzazione di un insieme di azioni integrate nell’ambito del turismo culturale e naturalistico, la fruizione del patrimonio del comprensorio di riferimento. Si pone, infatti, con sempre maggior vigore, il tema del turismo sostenibile, vale a dire di un turismo che sia accettabile in termini di ambiente ed anche di comunità ospitanti, di un turismo che consenta l’immediata fruizione dei beni attraverso la valorizzazione delle risorse esistenti (ciò che si ha e non ciò che si desidererebbe avere chissà tra quanti anni e con quanti sforzi). Un esempio, ormai diffuso e consolidato, è sicuramente quello fornito dall’agriturismo, che rappresenta un modo di recuperare ambienti, costruzioni e modi di vita, riproposti con finalità aggiuntive diverse da quelle originali, e che riesce a coniugare sia il desiderio di natura dei visitatori sia il recupero, il riutilizzo e la rivitalizzazione di alcune delle caratteristiche della vita agricola altrimenti in pericolo di abbandono. Un altro esempio simile è costituito dal bed and breakfast, che utilizza strutture private in ambienti urbani, permettendo al turista di conoscere, almeno in parte, il “vissuto” di un luogo senza l’intermediazione delle strutture professionali. Una proposta, invece, molto più radicale, e totalmente innovativa, è quella che va sotto il nome di urbsturismo, termine sicuramente non pensato in una prospettiva di marketing, ma certamente importante per quanto riguarda i contenuti. Si tratta di un progetto complesso, che, partendo da un’idea filosofica, e coinvolgendo diverse discipline (dalla bio-architettura, all’urbanistica, alla telematica), si sta attuando in Basilicata, ma con prospettive di ampliamento ad altre realtà territoriali, in Italia e in particolar modo in Sicilia, regione la cui vocazione territoriale è per moltissimi aspetti simile a quella della Basilicata. Il termine è stato coniato nel 1993 da Armando Sichenze, professore di Composizione Architettonica all'Università di Potenza, con l’idea di lanciare un turismo compatibile che assolva ad una funzione rilassante e rigeneratrice mediante l’utilizzo delle risorse ambientali e culturali che abbondano in tante località del Mezzogiorno, quello che lui ha definito il « Grande Giacimento delle città-natura del Mediterraneo ». In rapporto al mercato, l’urbsturismo si propone ad una nicchia di turisti-viaggiatori particolari, ma in continua espansione, che sono alla ricerca di un benessere ecologico in cui la qualità di risorse, ambienti e relazioni sia l’elemento fondamentale. L’idea è di trovare una nuova forma di relazione tra la vacanza, il viaggio e l'ospitalità, focalizzando l’attenzione sul tema della piccola città, l’urbs appunto, che presenti un evidente e stretto contatto con una grande risorsa di sostegno di tipo naturalistico (paesaggi, boschi, laghi, fiumi ecc.). Dopo il turismo industriale e di massa, dopo le esperienze del turismo alternativo (come l’ecoturismo) esiste una forte domanda di natura e cultura, di tempi lenti, di rapporti interpersonali e di un contesto urbano a misura d’uomo.

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Si cercano anche le strade inesplorate che conducono a luoghi inattuali ma pieni di senso, dove magari c’è qualcuno che attende e che accoglie senza aver l’aria di dover far soldi …, si fa una vacanza per recuperare le proprie risorse migliori, le proprie energie, ma anche un viaggio per ritrovare un’ospitalità domestica spontanea e non industriale. La diversità con il semplice agriturismo si pone sul piano di una integrazione unitaria di risorse, che solo nelle piccolissime città immerse nella natura può fornire un insieme ospitale, ecologico ed economico, naturale e culturale, storico ed ambientale. La filosofia di fondo del progetto considera che le cose, gli uomini, gli elementi dell’ambiente, e anche le opere artistiche, in mancanza di un progetto sono solo enti: se nessuno li cura, stanno lì ad esistere nella natura, al di fuori del turismo. È quello che è successo per tanti luoghi del Sud, in particolare per tanti paesi e cittadine della Sicilia, abbandonati e dimenticati, ma soprattutto mai considerati come una risorsa completa e complessa per un turismo culturale di pregio. Perché questi elementi diventino risorse occorre che una cultura, un progetto, comincino a considerarli come modi d’essere che creano benefici a prescindere da uno sfruttamento turistico, ma utili anche a questo fine. Ma sono importanti anche il metodo e il processo di sviluppo. Nella proposta di utilizzo turistico dei paesi e delle piccole città siciliane è fondamentale la metodologia di recupero, inteso come riconversione ecologica e valorizzazione delle risorse naturali esistenti, senza stravolgimenti o forzature. In questo senso, la costituzione di città-albergo o paese-albergo o albergo-diffuso secondo una logica urbsturistica potrà contribuire al rilancio vitale di piccoli centri storici, paesi arroccati, borghi deliziosi, oggi abbandonati come rifiuti urbani, come fonti di degrado culturale, sociale, naturale. Il turismo, in questa prospettiva, invece che causa di degrado e rovina, può diventare un mezzo per frenare il deterioramento e per far risaltare la qualità dei luoghi, secondo i corretti principi del turismo sostenibile. Il turismo, che rappresenta per la Sicilia una delle poche attività economiche trainanti è, ad oggi, principalmente legato alla bellezza del mare e delle coste, ed è concentrato nei soli mesi estivi di luglio e agosto, nonché, in minor misura, in quelli di giugno e settembre. Il recupero di compendi immobiliari, ricchi di fascino e spesso inseriti in contesti ambientali di grande bellezza, accompagnato da azioni di promozione specie da parte dei soggetti preposti, costituirebbe occasione di richiamo e appetibilità per una fruizione meno stagionale e più distribuita sul territorio, contribuendo in maniera consistente anche allo sviluppo delle zone interne dell’Isola. Sulla scorta anche dell’esperienza di altri Paesi, l’offerta turistica estesa ai percorsi naturalistici e a quelli di archeologia industriale non rappresenterà, se adeguata per dimensione ed efficienza dei servizi nel campo della ristorazione, dei posti letto (senza dover per forza pensare a grandi strutture alberghiere), dei trasporti, l’alternativa di poche ore alla permanenza sulle coste, ma valore sufficiente ad essere autonomamente attrattivo e capace di innescare meccanismi moltiplicatori delle presenze.

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La miniera Trabonella

E’ un settore, questo, dove piccole aziende familiari e, soprattutto, cooperative di giovani, possono svolgere un ruolo di primo piano. In quest’ottica, la società consortile Sviluppo Valle dell’Himera, nell’ambito del Piano di Azione Locale S.V.H., co-finanziato con il Programma di Iniziativa Comunitaria LEADER II, ha elaborato, tra le altre cose, un progetto, in fase di piena attuazione, di riqualificazione ambientale delle aree naturalistiche in modo tale da agevolare e qualificare, attraverso la realizzazione di un insieme di azioni integrate nell’ambito del turismo culturale e naturalistico, la fruizione del patrimonio del comprensorio nel quale opera. Tra le azioni sopra accennate, particolare attenzione merita quella relativa alla riconversione economica dell’area dismessa del sito minerario Trabonella, ricadente nel cuore della Riserva Naturale dell’Himera, che rappresenta uno degli esempi più interessanti di archeologia industriale della nostra isola. L’azione, interamente finanziata dalla società Sviluppo Valle dell’Himera nell’ambito del P.I.C. LEADER II, consiste nella realizzazione di piccoli interventi volti a rendere fruibile l’area ricadente all’interno della miniera Trabonella. In particolare, i suddetti interventi hanno consentito: - il recupero del cancello d’ingresso in ferro battuto attraverso il mantenimento e la ristrutturazione degli elementi già esistenti; - la sistemazione del piazzale attraverso l’utilizzo di rosticcio di zolfo; - la collocazione di staccionate in legno di castagno a maglie incrociate opportunamente affittite lungo la scarpata che si estende per circa ml 200; - la realizzazione di opere atte, attraverso un opportuno drenaggio del terreno, a garantire la sicurezza del piazzale; - il recupero ed integrazione, per le parti mancanti, della recinzione di protezione della tramoggia tronco – conica che, per la sua struttura ad alta tecnologia (per l’epoca), costituisce un forte esempio di interesse storico costruttivo; - l’illuminazione della tramoggia tronco – conica; - la collocazione di supporti segnaletici in legno resistente agli agenti atmosferici; - la collocazione di bacheche in legno, resistenti agli agenti atmosferici, corredate da apposite tabelle informative riportanti dati relativi alla civiltà mineraria e didascalie in merito all’epoca di costruzione dell’antico corpo principale, degli interventi di costruzione successivi e delle finalità di utilizzo delle strutture e dei padiglioni (attività di flottazione, lavorazioni varie, ricovero attrezzature etc.); - la collocazione di panchine in legno e ghisa; - la collocazione di cestini porta rifiuti in legno e ghisa; - la collocazione di servizi igienici mobili (WC – WCH), prefabbricati in materiale ecocompatibile; - la realizzazione dell’impianto di illuminazione del piazzale. I sopradescritti lavori consentiranno alla società Sviluppo Valle dell’Himera di realizzare, nell’immediato, tutte le attività programmatiche atte a rendere fruibile l’area di riferimento ed a far rivivere l’atmosfera dell’affascinante mondo minerario secondo percorsi di grande interesse scientifico e didattico corredati da iniziative di approfondimento e/o intrattenimento.

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Concreti esempi potrebbero essere rappresentati dalla realizzazione, in collaborazione con gli istituti scolastici, di gite d’istruzione, dalla creazione di pacchetti turistici inseriti in circuiti internazionali che prevedano visite guidate al sito minerario, al museo mineralogico, alla Riserva Naturale dell’Himera, o, ancora, dall’organizzazione di manifestazioni teatrali, musicali, mostre fotografiche, di pittura, inserite in un contesto naturale assolutamente inusuale ed allo stesso tempo spettacolare. Tali attività rientrano in un complesso programma che le pubbliche amministrazioni si sono impegnate a realizzare, attraverso la stipula di un protocollo di intesa siglato dal G.A.L. S.V.H., dalla Provincia Regionale e dal Comune di Caltanissetta, dal Corpo Regionale delle Miniere e dalla Soprintendenza ai BB. CC. AA. di Caltanissetta e da Italia Nostra (Ente Gestore della Riserva), nel tentativo di recuperare questo immenso patrimonio culturale, ambientale e naturalistico in grado di attrarre un flusso costante di visitatori tale da giustificare la creazione di un sistema locale di offerta di servizi turistici integrati. L’offerta di tali servizi connessi alla fruizione del sito minerario, nel contesto di una articolata rete siciliana di esperienze già avviate o in itinere, è volta a soddisfare le diverse motivazioni di visita dei vari segmenti di mercato interessati al turismo culturale e ambientale. Il progetto si inserisce altresì in un contesto di respiro europeo volto a creare un circuito internazionale di visita alle miniere più importanti della Toscana, Sardegna, Sicilia, Sud Tirolo, Austria, Belgio, Galles e Grecia. Il network europeo degli operatori potrà così dar luogo alla presentazione di progetti comunitari per risolvere problematiche ambientali e incentivare lo sviluppo sostenibile connesso alla valorizzazione dei siti minerari dismessi. Il G.A.L. Sviluppo Valle dell’Himera, con l’intervento di recupero realizzato, che pur nella sua piccola entità consente un primo e significativo approccio con il mondo minerario ed offre innovativi spunti sulla fruibilità delle aree naturali, ha voluto offrire un segno di volontà che solleciti ulteriori e più incisivi interventi.

Dettaglio della tramoggia tronco-conica inserita nel piano di recupero e sistemazione effettuato dal G.A.L. “SVH ”

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Appendice / 1 Testimonianze sacre e profane Nel corso di oltre un secolo di studi, le miniere di zolfo siciliane sono state oggetto di ricerche sociali, economiche, archeologiche e, in anni più recenti, anche antropologiche. In quest’ultimo caso non è stato facile recuperare una così profonda memoria fatta di storie, aneddoti, preghiere, orazioni, canti, motti, proverbi e scongiuri. Tutti elementi che contribuiscono a meglio far comprendere quella che fu la civiltà mineraria nel nostro territorio. Si propongono, qui di seguito, delle storie raccolte fra chi questa civiltà l’ha conosciuta da vicino e che ci aiutano meglio a capire, in particolare, quale rapporto avesse con il divino, con il sacro chi ogni giorno per vivere era costretto a consumare la propria esistenza nelle viscere della terra. In genere in ogni miniera si adottavano schemi propri di preghiera e spesso i riti non erano affatto distaccati dal duro lavoro. A Caltanissetta le mogli dei minatori, quando si recavano in miniera per portare cibi e bevande ai mariti nelle pause lavorative, durante il viaggio di ritorno ripetevano rosari dedicati a San Michele Arcangelo, alla Madonna della Catena e del Buon Consiglio, scambiandosi piccoli pani votivi e spesso anche il criscienti, il lievito, contenuto in apposite tazze, i latteri, di alluminio a simboleggiare la loro unione fortificata nella solidarietà. Racconta la signora Francesca Gallo di Caltanissetta, 86 anni, che per le festività dell’Immacolata i minatori della Trabonella con le loro rispettive famiglie verso sera si riunivano intorno al fuoco nei pressi della Badìa, portandosi dietro banchi e sedie. Qui improvvisavano preghiere, litanie e alla fine ogni minatore depositava davanti al portone della Chiesa ramoscelli di alloro e rosmarino che, dopo essere stati benedetti dal parroco, venivano ritirati dagli stessi minatori mentre le loro donne intonavano inni dedicati alla Madonna e la seguente orazione volta ad ottenere grazie e ricompense divine: Ave Maria/ Graziosa e pia/ Vergine eletta/ fosti Concetta/ senza peccato. Orto serrato/ Vergine Santa/ felice pianta/ portasti al mondo/ frutto giocondo/ deh! Per pietade/ per caritade/ candido giglio/ prega il tuo Figlio/ ch’io sempre l’ami/ ch’io sempre brami/ ogni momento/ dargli contento/ e a Te Maria/ speranza mia/ possa servire/ sino al morire/ e dopo morte/ sia la mia sorte/ poter cantare/ poter lodare/ con mente pia/ Gesù e Maria / Gesù e Maria/ Gesù e Maria/ I minatori della Trabonella erano detti Signurara perché fortemente devoti a Gesù Crocifisso e le loro donne risultavano essere quasi tutte iscritte alla Congregazione del Preziosissimo Sangue. In occasione della festività della Santa Croce era loro usanza confezionare croci di palma nana e offrirle, dopo averle fatte benedire, a tutte quelle famiglie che ne avessero fatto richiesta.

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Di solito queste croci si collocavano dietro le porte d’ingresso, accanto ai capezzali oppure s’incastonavano tra le canne del cannizzo che conteneva frumento o nelle pagliere dove c’erano animali. La croce assolveva ad una funzione vigilatrice, proteggendo animali e cose, pertanto, rappresentava un’esigenza esistenziale più che il riflesso di una motivazione interiore. La signora Emilia Mammano di Caltanissetta, 82 anni, figlia di un minatore della Trabonella racconta che, nelle prime ore del Venerdì Santo, i suoi genitori assieme ad altre famiglie di minatori si radunavano davanti al Santuario del Signore della Città recitando preghiere e orazioni, a volte anche sotto la pioggia. Poi la superiora dell’omonimo convento apriva il portone d’ingresso del Santuario e giunti ai piedi del simulacro del Cristo recitavano la Coronella delle SS. Cinque Piaghe, guadagnando così l’indulgenza plenaria concessa da Pio IX il 3 luglio del 1858. Quindi, in religioso silenzio, ognuno toccava con un fazzoletto i piedi del Cristo recitando, a memoria della santissima agonia di Gesù, la seguente orazione: Voi o Signor mio Gesù Cristo/ per queste vostre SS. pene/ delle quali io indegno faccio memoria/ e per la vostra SS. Croce e morte/ liberatemi dalle pene dell’inferno/ e degnatevi di condurmi in Paradiso/ dove conduceste il ladrone con Voi crocifisso. Prima di rientrare nelle proprie abitazioni ogni capofamiglia riceveva in dono dalle suore cappuccine una coroncina già benedetta dal vescovo. Questa coroncina era considerata da tutta la famiglia una reliquia e doveva essere custodita gelosamente tra le lenzuola e avvolta in quello stesso fazzoletto che aveva toccato i piedi del Cristo, nel Santuario. Poteva essere presa soltanto per chiedere grazie urgenti o in altre situazioni estreme della vita quotidiana e andava comunque messa nella tasca sinistra del minatore una volta defunto. Una simile dimenticanza poteva arrecare numerosi danni alla famiglia, mentre per il defunto la coroncina significava facilitargli il raggiungimento della dimora definitiva.

Resti della cappella edificata nei pressi della ex-direzione

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Appendice / 2 Il trattamento del minerale di zolfo Il minerale estratto e accumulato in superficie doveva essere trattato per liberare lo zolfo dalla ganga, cioè dalle sostanze inutili cui era sempre associato. Il sistema utilizzato agli inizi del 1800 era quello della calcarella, una sorta di vasca circolare ricavata nel terreno a mezza costa, del diametro di qualche metro. Qui veniva raccolto il minerale da trattare formando una catasta dal profilo conico cui successivamente si dava fuoco. Il calore prodotto dalla combustione provocava la fusione dello zolfo contenuto nel minerale stesso, che si raccoglieva liquido sul fondo della calcarella, opportunamente inclinato. A questo punto veniva rotto un piccolo diaframma situato sul fianco della calcarella, in basso, dal quale lo zolfo fuso che sgorgava veniva raccolto in apposite forme di legno dette gavite e qui veniva lasciato solidificare. La calcarella deve il suo nome alla similitudine con le fornaci utilizzate per la preparazione della calce. Successivamente, intorno alla metà del 1800, alla calcarella si sostituì il calcarone, che come suggerisce il nome era una copia esatta della prima in scala maggiore. Nel calcarone, il cui diametro superava facilmente i 10 metri, la fusione dello zolfo avveniva in tempi molto lunghi, anche diverse settimane, diversamente dalle poche ore necessarie alla calcarella. Ciò consentiva di ottenere un prodotto di miglior qualità, attraverso il controllo della combustione che veniva effettuato modificando lo spessore dei rosticci con i quali si copriva la catasta di minerale da trattare, in modo da soffocare o meno la combustione stessa in base a diversi parametri, quali ad esempio la temperatura e l'umidità dell'aria. Al controllo e all’esecuzione di queste operazioni era destinata una particolare categoria di operai: gli arditori, le cui abitazioni si trovavano appunto nei pressi dei forni di fusione. Venivano altresì impiegati i carusi per caricare il minerale nei forni e liberarli poi, a fusione avvenuta, dai residui della stessa, i rosticci o ginesi che formavano immense cataste presenti in ogni miniera. Caratteristica comune alle calcarelle e ai calcaroni era la notevole dispersione nell’atmosfera di anidride solforosa, prodotta dalla combustione dello zolfo. Ciò era fonte di danno per le coltivazioni prossime al perimetro della miniera, come si evince dalle numerosissime richieste di risarcimento, avanzate dagli agricoltori, per i cosiddetti danni da fumo. Sul finire del 1800, quando la calcarella era già stata sostituita dal calcarone pressoché in tutte le miniere, un nuovo metodo di raffinazione si affiancò a quest’ultimo, il forno Gill, dal nome dell’ingegnere Roberto Gill che ne mise a punto il funzionamento. Questo sistema sfruttava lo stesso principio che era alla base dei precedenti, ad eccezione del fatto che la fusione avveniva in celle costruite in muratura, collegate tra loro, in modo che il calore prodotto dalla fusione di una cella riscaldasse il minerale contenuto nella successiva.

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I calcaroni della Batteria Vecchia in un particolare del Piano minerario del 1907

I vantaggi di un tale sistema erano dovuti alla sua totale copertura in muratura, per cui il procedimento poteva effettuarsi con qualsiasi condizione climatica e quindi in ogni periodo dell’anno, cosa impossibile per i calcaroni. Inoltre i forni Gill garantivano una minore dispersione di sostanze tossiche nell’atmosfera circostante. Tuttavia le opere murarie necessarie alla costruzione di tali forni costituivano un ostacolo alla diffusione di tale sistema, rappresentando un costo che non sempre gli esercenti erano disposti a sostenere. In pratica la scelta tra i due metodi era dovuta a numerosi fattori, quali ad esempio le dimensioni della miniera, o le possibilità dell’esercente, con una prevalenza dell’uno o dell’altro a seconda dei singoli casi. Alla Trabonella i due tipi di forno coesistevano, e di entrambi rimangono visibili i resti al giorno d’oggi. E’ fondamentale comunque rilevare che tutti i metodi di fusione esaminati finora non necessitavano di alcun combustibile esterno, utilizzando per questa funzione lo stesso zolfo, cosa che consentiva un risparmio non indifferente, e che non è di secondaria importanza ai fini della loro universale utilizzazione. Su un principio completamente differente era invece basato il funzionamento dell’impianto di flottazione, come forse il nome stesso lascia intuire. Qui il minerale di zolfo veniva macinato e mescolato ad acqua fino a quando, con l’aiuto di agenti schiumogeni, la polvere di zolfo, più leggera della ganga, formava appunto una schiuma che veniva raccolta ed essiccata, e risultava composta da zolfo purissimo. Un impianto di queste dimensioni, richiedente investimenti ingenti sia per l’installazione che per la fornitura di energia, si giustificava esclusivamente nelle miniere il cui prodotto raggiungesse quantità ragguardevoli. Così in Sicilia esso fu utilizzato solo in pochissime miniere tra cui, dal 1957, la Trabonella.

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Appendice / 3 Gli usi industriali dello zolfo Quali furono i motivi che determinarono sul finire del 1700 una così grande richiesta di zolfo da parte dei paesi maggiormente industrializzati, tale da portare le miniere siciliane nel volgere di pochi decenni ad una posizione di monopolio mondiale di tale mercato? Circa gli usi conosciuti dello zolfo è possibile innanzitutto distinguere due periodi ben distinti. Il primo va dalla più remota antichità, sino alla metà del 1700 circa, nel quale pur se con varie eccezioni, lo zolfo ricopriva un ruolo marginale nell’economia dell’isola. Greci e Romani utilizzavano lo zolfo per le sue virtù disinfettanti nonché nell’arte tessile, nell’industria del vetro e in medicina, mentre non è certo che fosse già impiegato in agricoltura, nel processo di solforazione della vite. Qualche secolo più tardi gli Arabi utilizzeranno lo zolfo e l’olio minerale siciliano per la preparazione del fuoco greco, mentre un altro campo di applicazione molto più importante fu, a partire dal XIV secolo circa, la preparazione della polvere da sparo, che rimase un esplosivo di grande importanza anche dopo la scoperta della dinamite, nel 1867. Va comunque ricordato come in questo primo periodo così tratteggiato la richiesta e il commercio dello zolfo siciliano, se pure effettuati con una certa continuità, non raggiunsero mai un posto privilegiato nella bilancia commerciale dell’isola, cosa che sarebbe avvenuta di lì a poco. Il passaggio alla fase industriale vera e propria delle miniere di zolfo siciliane è strettamente connesso agli sviluppi dell’industria chimica avvenuti a partire dalla metà del 1700 circa, e cioé i primi laboratori e poi le fabbriche per la produzione dell’acido solforico nei pressi di Londra, e successivamente, nel 1790, il processo di preparazione della soda attraverso la reazione del cloruro di sodio, il comune sale da cucina, con l’acido solforico, messo a punto da N. Leblanc. La soda così ottenuta veniva utilizzata nell’industria del vetro, per la preparazione di saponi, vernici, nel candeggio e nella tintoria. Nel volgere di pochi anni lo zolfo, l’acido solforico, ed i solfati divennero uno dei componenti di base dell’industria chimica, con un ruolo paragonabile oggigiorno a quello del petrolio, cosa che portò a guardare con nuovo interesse i giacimenti siciliani, già da tempo noti. I mercati principali intorno alla metà del 1800 erano ovviamente i Paesi allora maggiormente industrializzati, quindi l’Inghilterra, la Francia e gli Stati Uniti d’America. Ma lo zolfo siciliano veniva esportato anche in moltissimi altri Paesi: lo stesso Regno delle Due Sicilie, l’Olanda, la Germania, la Russia, la Prussia, l’Austria, la Grecia, le Isole Ionie, la Sardegna, la Danimarca, la Toscana, il Belgio, la Spagna, la Svezia, la Norvegia, Malta e la Turchia. Questo mercato si ingrandì ancora intorno al 1900 con l’aggiunta di: Portogallo, Belgio, Algeria, Egitto, Tunisia, America Centrale e Meridionale, Indie Inglesi e Australia. I motivi di una così vasta diffusione dello zolfo e dell’acido solforico vanno ricercati nella grande quantità di processi chimici ed industriali in cui entravano a far parte.

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Lo zolfo era utilizzato per la produzione di esplosivi e fiammiferi, nonché nella vulcanizzazione della gomma, nella produzione dell’ebanite, ed in agricoltura come anticrittogamico. L’acido solforico costituiva il più importante acido forte e veniva utilizzato per la preparazione di altri acidi (cloridrico, fosforico, acetico), di solfati (sodio, ammonio, ferro, rame, alluminio), di allumi e perfosfati, di coloranti, di medicinali, di profumi, e nella preparazione dello zucchero. A loro volta i solfati servivano nell’industria del vetro, delle vernici, e dei disinfettanti. Agli usi sopra descritti si aggiunsero in tempi più recenti la preparazione di materie plastiche e fibre artificiali, la raffinazione delle benzine, del petrolio e degli oli lubrificanti e non va dimenticato, inoltre, che l’acido solforico costituisce l’elettrolito degli accumulatori a piombo, cioè delle batterie. Da questo breve elenco si comprende a sufficienza quale dovesse essere l’importanza strategica dello zolfo e dei suoi derivati, e allo stesso modo e facile intuire come i Paesi maggiori utilizzatori cercassero fonti alternative al monopolio delle miniere siciliane per procurarsi un bene tanto prezioso. Si estraeva già lo zolfo dalle piriti, e dal principio del 1900 si coltivarono i ricchissimi giacimenti della Louisiana e del Texas, con sistemi che permettevano un consistente abbattimento dei costi e che non potevano essere applicati alle miniere siciliane per la differente conformazione geologica del sottosuolo. Questi fatti fecero vacillare il monopolio siciliano fino a quando non si iniziò a ricavare lo zolfo tramite la concentrazione dell’idrogeno solforato contenuto nel petrolio grezzo o nel gas naturale, a costi che misero definitivamente fuori mercato il prodotto delle miniere siciliane.

Campioni dimostrativi di zolfo

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La miniera Trabonella

Come arrivare alla miniera Trabonella: Dall’autostrada A - 19: giunti allo svincolo di Caltanissetta imboccare la strada a scorrimento veloce per Gela, ed uscire al Ponte Capodarso. Da qui proseguire sulla statale 122 in direzione Caltanissetta. A circa 5 Km., seguendo la segnaletica, svoltare a destra immettendosi sulla strada vicinale che conduce alla miniera. Da Caltanissetta: percorrendo la via Xiboli, superare il Villaggio Santa Barbara, a circa 500 mt. dal quale, svoltando a sinistra, s’imbocca la strada vicinale che conduce direttamente al sito minerario.

A 19 Palermo - Catania Scorrimento veloce per Agrigento Scorrimento veloce per Gela Strade Statali 122 - 560

Villaggio S. Barbara

Palermo Catania

Miniera Trabonella Ponte Capodarso

Via Xiboli

Enna Pietraperzia Barrafranca Mazzarino

Caltanissetta Agrigento Gela

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Gli autori dei testi: Dott. Paolo Buono Arch. Michele Lombardo Prof. Filippo Oliveri Dott. Claudio Torrisi La relazione storica è tratta dalla tesi di laurea dell’Arch. Michele Lombardo Il territorio come documento. Il bacino zolfifero di Caltanissetta. Relatore Prof.ssa Pina Di Francesca , Corso di Storia della Citta’ e del Territorio, Facoltà di Architettura, Università degli Studi di Palermo, A.A. 1999/00. La revisione e l’adattamento giornalistico dei testi sono di Maria Giovanna Morreale. Si ringrazia per le immagini e le riproduzioni: Archivio di Stato di Caltanissetta Biblioteca Comunale di Palermo Corpo Regionale delle Miniere di Caltanissetta Istituto Geografico Militare di Firenze Architetto Michele Lombardo. Si ringrazia la struttura tecnica: Gruppo Azione Locale - Sviluppo Valle dell’Himera

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Gruppo di azione locale “Sviluppo Valle dell’Himera” Sede legale - via San Domenico, 5 - 94016 Pietraperzia Sede operativa - via Kennedy, 21 - 93100 Caltanissetta Telefono 0934 547164 -0934 542235 fax 0934 581752 www.galsvh.it e-mail galsvh@galsvh.it

Questo opuscolo é finanziato dal programma LEADER II per la Regione Sicilia 1994/99


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