Professionisti per il corretto uso del territorio Architetto Giuseppe Carpentieri Ingegnere Felice Carpentieri Via Matteo Galliano 4m 84126 Salerno contatto 3517657599
Architettura, Ingegneria e Urbanistica •
Dalla resilienza alla rigenerazione urbana bioeconomica, gli investimenti per il lavoro utile
Arch. Giuseppe Carpentieri
APPUNTI PER UNA CORRETTA URBANISTICA SALERNITANA
Appunti per avviare un corretto piano urbanistico salernitano Premessa Prima di affrontare un tema complesso e determinante per la vita di una comunità, come l’urbanistica a Salerno, è necessario fare una premessa di carattere culturale e giuridica1. Dal punto di vista culturale, appare doveroso ricordare che la disciplina urbanistica nacque da una branca dell’ingegneria e dell’architettura, sia per risolvere problemi d’igiene urbana con un corretto assetto del territorio e sia per progettare insediamenti umani con caratteri estetici (il decoro urbano) ben integrati nell’ambiente, poi nel tempo ha assunto la dignità di una vera e propria disciplina occupandosi di disegno urbano coniugando architettura e progettazione degli spazi aperti, infine ha integrato diversi ambiti culturali quali la sociologia e l’economia urbana, l’agronomia e la geologia, ed altre ancora. Ad esempio, la tecnica urbanistica si occupa di progettare un adeguato disegno urbano proporzionando bene alloggi e servizi entro una determinata area, mentre giuridicamente si occupa di costruire diritti per tutti gli abitanti riducendo le disuguaglianze territoriali. L’urbanistica ha un’influenza economica ma non nasce per favorire esclusivamente i profitti privati, perché il suo scopo è quello di attuare i diritti sanciti anche dalla Costituzione, attraverso un corretto uso del suolo, cioè la disciplina favorisce l’uso sociale dei suoli e la tutela ambientale al fine di preservare i cosiddetti beni comuni e consentirne una corretta fruizione. Tale premessa va inserita in discorso più ampio coinvolgendo le responsabilità politiche e collettive, perché in territori come la Campania, la disciplina urbanistica si può riconoscere senza infingimenti, che è stata edulcorata2 e tal volta scomparsa sostituita con scelte politiche scellerate per favorire l’adozione, in ambito comunale, di strumenti edilizi e non più piani. Dal punto di vista culturale, in taluni casi il ceto dirigente ha scelto di non usare più la disciplina urbanistica per governare il territorio, ma di adottare piani edilizi speculativi3 per favorire la facile concentrazione di capitali privati senza 1
La natura giuridica della disciplina urbanistica ha le sue radici nella storia e nella Costituzione (art.2, 3 e 9): «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo»; «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale»; la Repubblica «tutela i paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». La legge urbanistica nazionale è persino anteriore alla carta costituzionale, ma è solo con la pubblicazione del DM 1444/68 che si chiarisce, ulteriormente, lo scopo giuridico dell’urbanistica, e cioè garantire i diritti dell’uomo, il decoro e la bellezza delle città, quindi realizzare per gli abitanti una superficie minima di territorio su cui costruire i servizi di cittadinanza: l’istruzione, il verde, i servizi alla persona. Lo standard mq/ab diventa la misura del diritto minimo da garantire per rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, e il vincolo urbanistico lo strumento per favorire la tutela del paesaggio, tutelare il patrimonio storico con la conservazione, e difendere il suolo con piani specifici. 2 Sono trascorsi molti anni quando si consumò il più grande scandalo urbanistico italiano. Nel corso dei decenni, il tema è stato rimosso dal dibattito pubblico contribuendo a far perdere consapevolezza di un argomento politico fondamentale per il capitalismo italiano, poiché il regime giuridico dei suoli condiziona la vita delle persone mostrando il conflitto fra l’interesse generale dello Stato e l’avidità dei privati che sfruttano la rendita. Quando negli anni ’60 si scelse di cancellare la proposta di riforma urbanistica sul regime dei suoli, di fatto, l’Italia divenne il paese più liberista d’Europa. La riforma di Sullo ridisegnava il regime dei suoli, ribaltando il rapporto fra proprietà privata e il governo pubblico del territorio, in tal mondo sarebbe stato possibile associare programmazione economica e pianificazione urbanistica. La riforma prevedeva un efficace sistema di cattura della rendita fondiaria attraverso una sostanziale separazione tra la proprietà dei suoli ed il titolo ad edificare. I Comuni espropriavano i suoli coinvolti dal piano, poi realizzavano le opere di urbanizzazione primaria e infine avrebbero ceduto il diritto di superficie di quelle aree con un’asta pubblica. In sostanza, lo Stato incassava la rendita fondiaria realizzata nelle aree a trasformazione urbanistica. 3 La speculazione edilizia nasce dalla consapevolezza di influenzare le scelte dei piani regolatori per incassare il profitto delle rendite frutto di una mera scelta politica, e non di un criterio di merito perché non esiste. Attraverso questa consuetudine viziosa, si può realizzare profitto dal cambio di destinazione d’uso dei suoli, da agricolo a edificabile (rendita assoluta), e poi si può trarre profitto dalla vendita delle superfici edificate (rendita differenziale) e nel caso specifico oggi assistiamo a una totale deregolamentazione e assenza di controlli delle quantità di superfici immesse nel mercato immobiliare, ed è questa la speculazione immobiliare. Il prezzo finale di questi profitti estratti da posizioni di vantaggio, assunte senza criteri di merito, vanno a danno della collettività. Nell’attuale deregolamentazione, attraverso la famigerata “urbanistica contrattata”, è possibile speculare attraverso il capitalismo urbano poiché non si rispetta né la Costituzione e né la legge urbanistica nazionale ma si trascurano appositamente le analisi urbanistiche e/o le ipotesi
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APPUNTI PER UNA CORRETTA URBANISTICA SALERNITANA lavorare attraverso scelte politiche, ed anche per questo motivo assistiamo a fenomeni dolorosi e preoccupanti come l’emigrazione al Nord e all’estero di importanti risorse umane alla ricerca di un impiego dignitoso, poiché la programmazione istituzionale ha trascurato i bisogni delle giovani generazioni conservando i privilegi di altre realizzate usurpando i diritti di tutti. La scelta politica, tipica del capitalismo liberista, di abdicare alla normale pianificazione economica e urbanistica per consegnare le strategie territoriali alle imprese private, le medesime che hanno delocalizzato numerose attività produttive, ha avuto la conseguenza di aumentare il divario economico fra Nord e Sud. Il Mezzogiorno è condotto al sottosviluppo4, e un Sistema Locale del Lavoro come quello salernitano, ove la città è più povera della Provincia, cerca di resistere ma sembra destinato a soccombere per l’assenza di corretta pianificazione. Cambiare i paradigmi culturali della società5 può essere l’intuizione corretta per avviare un impulso costruttivo serio e concreto per lo sviluppo umano e per invertire i flussi migratori, attraendo risorse anziché continuare a perderle a favore di Sistemi Locali tradizionalmente più produttivi del nostro. La Regione Campania è indubbiamente un territorio pianificato male che porta con sé tutte le cicatrici della peggiore devastazione ambientale, basta osservare dall’alto l’area napoletana-casertana fino a Sud entrando nella zona Nord della Provincia di Salerno per leggere lo scempio di una gigantesca colata di cemento senza confini e senza limiti. Il danno perpetrato dal ceto dirigente ha avuto l’assenso e la spinta popolare poiché è altrettanto noto il famigerato fenomeno dell’abusivismo edilizio messo in atto direttamente dai cittadini. Il territorio salernitano non è estraneo a condotte incivili e illegali, anzi è parte integrante di queste gravi patologie. Il paesaggio urbano campano si caratterizza anche per i forti e accesi contrasti: la straordinaria bellezza ereditata da madre natura e dal passato, e la famigerata speculazione della merce edilizia realizzata durante gli ultimi decenni. In Campania, è altrettanto noto, non mancano le competenze per rigenerare il territorio ma queste sono trascurate, sminuite e svalorizzate per preferire investimenti che non seguono necessariamente le priorità dettate dalla corretta disciplina urbanistica.
di piano, oppure si edulcorano i calcoli di dimensionamento dei piani stessi, e/o se fatti bene si ignorano subito dopo, durante la fase attuativa dei piani stessi ove proprietari e immobiliaristi chiedono indici urbanistici per incassare la rendita differenziale oltre il dovuto, oltre il pensabile, e tutto ciò per mera avidità sfruttando l’antico meccanismo della rendita perché garantisce profitti immensi senza impegno. 4 Dal punto di vista sociale ed economico, il territorio salernitano è fra i meno dinamici d’Italia per una significativa carenza di un tessuto produttivo diversificato e con alto valore aggiunto, e questo produce due note conseguenze: (1) un importante tasso di disoccupazione 17,2% (2019) (in Provincia di Salerno gli inattivi sono 330.000, 2019), (2) ed una povertà relativa ed assoluta altrettanto importanti. In Campania la percentuale di famiglie povere è passata dal 19,5% nel 2016 al 24,9% nel 2018, mentre il 48,7% non riesce a fronteggiare a spese impreviste (2018), nel Sud il 52% delle famiglie considera un carico oneroso le spese per l’abitazione. Un altro dato drammatico sottovalutato dalle istituzioni, che preferiscono l’ideologia del mercato, è l’emigrazione dei giovani della fascia 18-39 anni verso il Nord e l’estero, sia per formarsi e sia per il lavoro. Emigrazione, disoccupazione e povertà si riflettono sul mercato immobiliare con un evidente calo della domanda di alloggi a prezzo di mercato. 5 Il legislatore non ha una cultura bioeconomica e in Italia i processi di trasformazione urbana hanno una triste tradizione speculativa, dunque per eliminare il rischio che taluni interventi producano nuove disuguaglianze territoriali, oppure che certi Enti locali, mal gestiti, non sfruttino l’opportunità di migliorare la qualità della vita dei propri abitanti, è fondamentale costruire un paradigma operativo condiviso secondo l’approccio territorialista, e secondo la corretta tradizione della pianificazione urbanistica che nasce per costruire diritti a tutti gli abitanti e risolvere problemi ambientali e sociali. Chi studia i fenomeni urbani ricorda il nodo irrisolto del regime giuridico dei suoli, e chiede di perseguire obiettivi sociali ed ambientali per limitare interventi speculativi, ed eliminare il continuo consumo di suolo agricolo. Bisogna riflettere sulla convenienza economica e sociale di superare la teologia liberista poiché il famigerato libero mercato non ha risolto problemi ma li ha acuiti, e trascura gli scopi della disciplina urbanistica. In maniera altrettanto onesta è corretto ricordare i limiti culturali degli Enti locali, che spesso o non adottano piani urbanistici, oppure ne adottano taluni fatti mali lasciando insoluti vecchi problemi (recupero degli standard mancanti e tutela dei ceti economicamente più deboli). Su questa tema è necessario introdurre nuovi strumenti che garantiscano entrate fiscali a sostegno della rigenerazione urbana bioeconomica.
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Appunti per interpretare l’urbanistica a Salerno Condivisa una premessa doverosa leggiamo insieme il territorio salernitano. La struttura urbana di Salerno non è più la città dentro i propri confini amministrativi, poiché da circa trent’anni esiste un’unica area urbana estesa che va da Mercato San Severino fino a Battipaglia. Dall’alto è ben visibile e riconoscibile la saldatura fisica fra questi Comuni (ben 11), e sono altrettanto noti i flussi quotidiani di circa 300mila abitanti che usano un territorio di area vasta. E’ questo l’ambito territoriale dove individuare le aree da recuperare e conservare (ambiti storici), dove individuare i vincoli e le tutele ambientali, e dove dimensionare correttamente sia le localizzazioni (opere pubbliche) e sia gli standard entro le nuove zone omogenee; ripensando anche il ruolo delle zone produttive/industriali per valutarne gli impatti ambientali e sociali e riflettere sulle nuove attività di manifattura leggera. L’ambito identitario salernitano ha la seguente forma insediativa: l’area di gravitazione urbana costituita dal capoluogo, con l’unità di paesaggio “area urbana di Salerno” e il periurbano collinare con l’unità di paesaggio denominata “Pendici occidentali dei Picentini”. Si osservano le conurbazioni: una a Nord, da Salerno verso Mercato San Severino che scorre nell’unità di paesaggio “Valle dell’Irno” con diverse e complicate ramificazioni periurbane e rururbane collinari che rappresentano alta dispersione urbana. Due conurbazioni lineari a Sud: la principale uscendo da Salerno verso i centri urbani di Pontecagnano e Battipaglia, nell’unità di paesaggio “Piana del Sele”, e l’altra minore lungo la linea di costa di piccola formazione verso Agropoli. Altre conurbazioni lineari a Nord-Est sono in corso di sviluppo, una da Pontecagnano verso Giffoni Valle Piana nell’unità di paesaggio “fluviale del Picentino”, e l’altra fra Bellizzi e Montecorvino Rovella che sale verso le pendici Sud-orientali dei Picentini. Due sistemi rururbani inseriti nell’unità di paesaggio dei “Picentini”: uno fra Salerno e San Mango Piemonte, e l’altro fra Pontecagnano e Montecorvino Pugliano.
Figura 1- Salerno ambiti identitari e le conurbazioni, fonte PTCP 2012.
La città salernitana estesa ha assunto una forma insediativa reticolare e rizomica dei filamenti di natura endogena, dando vita a rigonfiamenti, e ispessimenti lineari e collinari pluridirezionali favorendo un’urbanizzazione dilatata che produce dispersione (sprawl urbano) e consumo di suolo agricolo6.
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Secondo ISTAT e ISPRA, in Italia il principale aumento del consumo di suolo è avvenuto nei comuni a bassa densità abitativa e nelle aree (già agricole) fra i comuni principali e quelli limitrofi, ciò è accaduto anche nell’area salernitana. Nel 2018, il Comune di Salerno ha consumato 2.057 ha, ed è il terzo più alto in Regione dopo Napoli e Giugliano; mentre la crescita demografica nei comuni limitrofi al centroide ha pianificato nuove lottizzazioni ma spesso non inserite nella struttura urbana, favorendo un’alta dispersione urbana. Una gravissima dispersione (sprawl urbano) è nei territori di
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APPUNTI PER UNA CORRETTA URBANISTICA SALERNITANA In tutta l’area estesa, dalla valle dell’Irno sino a Battipaglia, si può osservare il disordine urbano favorito da una deregolamentazione dell’attività urbanistico-edilizia; dalla curiosa promiscuità fra zone abitate e zone “specializzate”, all’apparente assenza di tutele ambientali; passando per una carenza culturale dei regolamenti urbanistici che potrebbero adottare regole estetiche più efficaci fino alla disinvoltura nell’uso degli indici di utilizzazione fondiaria per le zone consolidate, ed alla creatività amministrativa nella lettura degli standard esistenti, infine una singolare interpretazione dei virtuosi limiti inderogabili del DM 1444/68 per i piani attuativi più recenti e realizzati nelle zone consolidate (zone B). Tutta questa cattiva gestione delle città influisce sul paesaggio urbano in maniera negativa e condiziona la vita degli abitanti, costretti a convivere in un contrasto stridente fra natura e bellezza storica, e spazi recenti senza una qualità urbanistica e architettonica. La struttura del comune centroide ha diverse caratteristiche7 determinate dall’orografia del territorio e dai piani locali8 che hanno favorito uno sviluppo dell’agglomerato edilizio cresciuto in maniera concentrata in talune zone, e poi in maniera diffusa, dispersiva e disomogenea in altre, con zone in conflitto fra loro poiché le attività, a volte, non sono compatibili fra loro, ad esempio coesistono agglomerati edilizi e produttivi creando conflitti ambientali e socio-sanitari. Sempre nella struttura urbana del comune centroide coesistono due fenomeni che confliggono fra loro: la “città compatta” e la “città diffusa”, ma senza un’infrastruttura di mobilità intelligente. Due motivi determinano la cattiva circolazione delle persone: l’assenza di una maglia regolare urbana entro la quale aver collocato i servizi (la famosa “unità di vicinato” o “cellula urbana”), e poi l’assenza di un’adeguata armatura stradale e infrastrutturale che favorisca, prima di tutto, l’uso dei mezzi del trasporto pubblico. Questi sono i Cava dè Tirreni e Nocera (qui troviamo il contrasto analogo al comune di Salerno: concentrazione e dispersione), poi i comuni della valle dell’Irno, e altre dispersioni sono nelle conurbazioni a Sud di Salerno (Giffoni e Montecorvino). 7 Il centro storico abbarbicato sul monte Bonadies con un impianto organico intricato e compatto a grana grossa che ricorda gli insediamenti orientali; poi a valle la crescita lineare lungo la costa e la parte moderna (il Corso, via dei Principati, via Nizza, via Dalmazia) con forme reticolari, e la parte orientale (Torrione, Pastena, Mercatello) disomogenea con le forme aperte. La storia salernitana insegna che i piani, ispirati a un determinato orientamento culturale raffigurano un disegno urbano (una previsione), ma le Amministrazioni politiche possono cambiarne gli indici, alzandoli fino a edulcorare il senso del disegno urbano a favore della massima utilizzazione territoriale. In letteratura, per descrivere una crescita urbana non pianificata correttamente si usano espressioni come interventi individuali e settoriali [processi di urbanizzazione], interventi sconnessi fra loro e non omogenei [al tessuto urbano costituito solitamente da una maglia stradale regolare, organica]. Escludendo l’originale forma del centro storico, la forma urbana della prima espansione moderna è costituita da una fabbricazione chiusa con palazzine allineate alla strada (Corso G. Garibaldi, via Nizza, via dei due Principati, via Dalmazia, via Carmine, via P. De Granita) assumendo una morfologia reticolare, e già in questo sviluppo osserviamo una utilizzazione massima, cioè alti indici urbanistici con carenza dello spazio pubblico e una rete stradale inadeguata ai carichi urbanistici costruiti ed ai flussi esistenti. Il dimensionamento dei piani è, spesso, orientato alla mercificazione dei suoli sia grazie alla deregolamentazione della rendita immobiliare e sia per incassare gli oneri di urbanizzazione, ma nei decenni del Novecento anche se l’attuazione dei piani [salernitani] era fatta male vi era la giustificazione della crescita demografica. Alla fine del millennio la crescita si esaurisce poiché a causa dell’approccio neoliberista chiudono le imprese ed aumenta la povertà, e si sviluppa il fenomeno della gentrificazione che contrae [perdita di residenti] il Comune capoluogo, dimostrando l’errato dimensionamento dei piani più recenti (PUC 2005, variante 2013 e revisione decennale). Questa condotta politica di pianificare espansioni fisiche su errati dimensionamenti dei piani contrasta con i principi della Costituzione e i principi della legge urbanistica nazionale, ed ha effetti diretti sul consumo di suolo agricolo. 8 La misura precisa di come fu costruita la città venne accertata nel 1974 da progettisti incaricati dal Comune, e divenne nota a tutti quando consegnarono lo “Studio preliminare” che misurò la carenza di servizi minimi nella “Relazione dell’elaborato intermedio” del 1979. Lo studio misurò lo standard esistente di Salerno in 1,37 mq/ab (la vecchia legge regionale del 1977 prescriveva 30 mq/ab), e una densità di 987 ab/ha in zone del centro (piano Calza-Bini, 1936) quando la manualistica prescrive 300 ab/ha; pertanto i progettisti salernitani suggerirono il riequilibrio dei servizi sia per l’area occidentale (centro) che per quella orientale (periferia). Lo studio suggeriva di riflettere se fosse corretto espandere o meno la città, ma prima di tutto decongestionare la città stessa ed «abbassare gli indici di fabbricabilità delle zone non ancora edificate» per avere un rapporto migliore fra abitanti insediati e attrezzature di servizio.
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APPUNTI PER UNA CORRETTA URBANISTICA SALERNITANA fattori principali che generano il traffico urbano, amplificato da stili di vita sbagliati per l’assenza di qualità urbana9. Sarebbe saggio che le Amministrazioni locali della struttura urbana estesa realizzassero un coordinamento per dar vita ad un ufficio di piano ad hoc10, che studia un unico strumento: il piano urbanistico intercomunale secondo l’approccio territorialista che interpreta la visione della bioregione urbana11. Il livello strutturale12 di un nuovo piano deve partire da questa consapevolezza: l’area urbana estesa è il reale ambito da pianificare correttamente attraverso l’approccio bioeconomico che osserva le città con il filtro culturale del metabolismo urbano ed è capace di ridurre/cancellare gli sprechi13, e pianificare correttamente il vasto agglomerato edilizio esistente, che presenta diverse patologie per assenza di corretta pianificazione urbanistica, preferita a dannosi piani edilizi speculativi. L’Amministrazione dovrebbe realizzare, prima di tutto, un adeguato quadro di conoscenza14 dell’ambiente costruito, inserirlo in un sistema informatico geografico e cartografico, e poi condividerlo per raccogliere spunti e suggerimenti da tutte le competenze. E’ in questa fase [condivisione del quadro di conoscenza] determinate che si può costruire il futuro della città estesa, attraverso studi ed analisi approfondite che consentono sia al sapere tecnico di evidenziare i problemi (dimensionamento dei servizi [sanità, istruzione, verde pubblico…], rischio sismico, pendolarismo, isola di calore, consumo di suolo…) e proporre soluzioni (rigenerazione urbana), e sia di stimolare gli abitanti nell’avviare impieghi e funzioni compatibili con la storia e l’identità dei luoghi, capace di restituire nuove attività produttive favorendo lo sviluppo sociale. La conoscenza approfondita del paesaggio urbano crea la coscienza del proprio luogo mentre una corretta 9
La stragrande maggioranza delle persone che usano il territorio salernitano si muove con mezzi privati e la frustrazione è legata a due evidenze: le persone non hanno a disposizione un mezzo di trasporto pubblico efficace e la città non è stata costruita per ospitare le automobili. Chi ha la fortuna di muoversi a piedi è altrettanto frustrato poiché la città non è costruita per i pedoni e neanche per i ciclisti, e quindi subisce l’inquinamento dell’affollamento automobilistico. La realtà crea inquietudine urbana per l’assenza di qualità urbanistiche e architettoniche. Da queste evidenze abbastanza facili da riconoscere, i cittadini possono mobilitarsi per chiedere un disegno dello spazio pubblico e favorire la mobilità dolce e sostenibile, partendo proprio dai tragitti casa-studio e casa lavoro. Un modello di ricostruzione della città, già avviato da molti anni nel mondo anglosassone e statunitense è quello chiamato TOD (Transict Oriented Development), ed è usato anche in Europa. Molte aree urbane europee hanno realizzato sistemi di trasporto pubblico efficienti e le persone sono invogliate a spostarsi con la bicicletta; e lungo questi percorsi è stato ben curato il disegno urbano con servizi e luoghi di convivialità. 10 Dal punto di vista dei servizi collettivi: nell’area urbana c’è una palese carenza di servizi educativi e culturali, ed il patrimonio edilizio scolastico è del tutto inadeguato, oltreché vecchio e quindi a rischio sismico. Il fenomeno urbano più evidente è il pendolarismo quotidiano dentro la città estesa ove coesistono i flussi di persone, energia e materia, e questo è del tutto trascurato dalle istituzioni comunali poiché ognuna pensa a sé stessa, convinta di occuparsi correttamente del proprio territorio. Possiamo immaginare a un mostro con più teste (i Consigli comunali) ed ognuna di queste controlla un solo arto ma braccia e gambe sono parte di un unico corpo (la città estesa), ed è intuibile che tutto ciò crea problemi. Tutte queste criticità: l’età del patrimonio edilizio esistente, la carenza di spazio urbano, il paesaggio e i servizi collettivi, il verde e la mobilità (infrastrutture) sono temi per la rigenerazione urbana e territoriale da affrontare in un unico piano intercomunale. 11 L’approccio bioeconomico prevede di interpretare i valori patrimoniali, elabora forme di rappresentazione identitaria e le regole che definiscono il rapporto fra insediamenti e invarianti strutturali, crea scenari strategici per la costruzione sociale del progetto di territorio e poi individua gli elementi costitutivi del progetto stesso. La bioregione urbana realizza un approccio integrato (co-evoluzione fra luogo, lavoro e abitanti) e sostenibile fra insediamenti umani e natura, ad esempio, fra le varie opportunità dell’approccio territorialista vi è quella di realizzare la tutela dei servizi ecosistemici e la progettazione di reti ecologiche polivalenti ponendo attenzione al territorio agri-urbano definendone i confini e la fruizione per i cittadini. 12 Cosa significa strutturale? E’ l’indirizzo culturale del piano; individua le linee guida e gli obiettivi generali del piano. 13 La bioeconomia nasce con Nicholas Georgescu-Roegen che trasforma la funzione della produzione economica in un modello di fondi-flussi. Il modello bioeconomico propone un sistema circolare che considera l’entropia e l’equilibrio con la natura, subordinando le scelte agli impatti ambientali e sociali per stimolare lo sviluppo umano. Cosa significa questo per le città? Le aree urbane possono essere viste come modelli metabolici di flussi con ingressi e uscite. In questi flussi possiamo individuare sia gli sprechi evitabili e sia gli impatti ambientali e sociali. 14 Il quadro di conoscenza è costruito con le analisi urbanistiche che determinano sia il livello strutturale del piano che quello operativo.
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APPUNTI PER UNA CORRETTA URBANISTICA SALERNITANA visione culturale permette agli abitanti di conseguire percorsi di autorealizzazione, vivendo in armonia con la natura e prosperando. L’Amministrazione, poi dovrebbe adottare una strategia bioeconomica rivolta alla reale rigenerazione dell’ambiente costruito esistente con un disegno di suolo che valorizza la storia e l’identità dei luoghi (riconoscere i caratteri tipologici e identitari), e con talune trasformazioni urbanistiche finalizzate a risolvere i conflitti ambientali e sociali, e recuperare gli standard mancanti nelle zone consolidate, ed anche questo approccio andrebbe integrato con metodi di pianificazione partecipata15. L’Amministrazione dovrebbe coniugare la ri-territorializzazione di attività e funzioni (manifattura leggera e mestieri locali) e censire i suoli e gli edifici abbandonati, sottoutilizzati per valutare i possibili trasferimenti di volumi abbinati a un piano rigenerativo bioeconomico che recupera gli standard mancanti nelle zone consolidate ma realizza nuove urbanità16 17, sfruttando tutte le nuove tecnologie alternative per tendere all’autosufficienza energetica nei quartieri. Il livello attuativo del nuovo piano dovrebbe occuparsi di questo, cioè rigenerare l’intero territorio adottando la qualità architettonica e urbanistica, e dovrebbe farlo interpretando l’approccio territorialista capace di valorizzare la storia, l’ambiente e l’economia locale sviluppando la coscienza dei luoghi, ma imitando le migliori esperienze europee dal punto di vista gestionale: uso del diritto di superficie e tasse progressive sulle rendite immobiliari.
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In tutto il mondo, ormai, esistono esperienze e prassi consolidate di processi partecipativi popolari che rappresentano esempi di buona amministrazione finalizzati all’inclusione sociale e alla corretta progettazione ambientale ed urbanistica. 16 Esiste un indicatore soggettivo della morfologia urbana, e cioè il carattere dei luoghi urbani determinato non solo dalla forma, dai volumi, dall’armonia ma dalla qualità degli spazi e dell’estetica degli edifici. Per cogliere il senso del carattere è utile passeggiare nei nostri centri storici. Da questo punto di vista è importante individuare criteri per un’analisi degli spazi urbani scegliendo il punto di vista dell’uomo e il suo movimento e rilevando la presenza degli elementi per forma, idea (valore/significato), funzione (uso, attività), tutto ciò è fondamentale per descrivere la realtà. Si utilizza il punto di vista dell’individuo che si muove in uno spazio in un determinato tempo ed in un determinato contesto socio-economico. I sensi attribuiscono un significato/valore allo spazio creando una percezione soggettiva dell’ambiente costruito che si svolge in tre fasi: la selezione degli stimoli, il giudizio e l’assegnazione di significato. Quindi c’è un’azione “meccanica” di riconoscimento di una sollecitazione e un’azione di “valutazione”, e ciò determina un condizionamento. Si tratta di un’interpretazione [l’analisi dal punto di vista dell’utente] determinante per il progetto al fine di immaginare luoghi idonei per le persone. I progettisti sanno che la percezione soggettiva della forma dello spazio condiziona la qualità della vita, e alcuni elementi che creano il condizionamento sono: la distanza percepita; la varietà dei luoghi; la definizione dei tragitti preferenziali; la percezione di barriere; la conoscenza dei luoghi; i punti di riferimento; il rapporto fra pieni e vuoti; il rapporto fra figura e sfondo; le visuali chiuse o aperte. Sono tutti elementi del disegno urbano che contempla il concetto di urbanità, cioè la corretta rappresentazione fra spazio urbano e volumi edificati, quindi fronti urbani, piazze, e strade. 17 Dal punto di vista dell’urbanistica, le regole compositive sono dettate dal famoso concetto di “cellula urbana”, e tutt’oggi questo è il modello per costruire una città sostenibile. Su una determinata area si costruisce una densità media di edifici con mixitè funzionale e sociale, e gli abitanti si spostano prevalentemente a piedi grazie al fatto che i servizi sono tutti collocati entro un raggio di 400 mt, mentre i servizi di rango superiore sono tutti raggiungibili dai mezzi di trasporto pubblico. Queste semplici regole di proporzionalità, armonia e bellezza determinano la sostenibilità di un ambiente urbano ma spesso sono state disattese perché la borghesia italiana ha preferito costruirsi i propri privilegi sfruttando le rendite, ma usurpando il bene comune e trascurando i diritti di tutti. Una strategia di rigenerazione urbana per le zone consolidate mal costruite nei decenni precedenti, è quella di cominciare a riprogettare gli isolati considerando le regole compositive della cellula urbana. I progettisti urbanisti: architetti, pianificatori e ingegneri, sono capaci di leggere la forma urbana, sono capaci di esprimere un adeguato disegno urbano osservando e interpretando il territorio, ed è questo che crea la sostenibilità delle città, nient’altro. Oggi vi sono criteri d’interpretazione e valutazione più complessi rispondenti a esigenze più ampie. Alle conoscenze tecniche compositive molto note (il dimensionamento dei quartieri e della cellula urbana), oggi si aggiungono altre conoscenze tecnologiche che rendono possibili obiettivi preconizzati nell’Ottocento dagli utopisti socialisti, e cioè l’auto sufficienza energetica delle città e il riciclo di “materie prime seconde”.
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APPUNTI PER UNA CORRETTA URBANISTICA SALERNITANA I nuovi piani attuativi dovranno costruire l’urbanità nelle zone consolidate sfruttando la corretta pianificazione urbanistica, finora trascurata. In maniera particolare è necessario riprendere una regola compositiva della pianificazione attuativa: il corretto carico urbanistico poiché gravemente sottovalutato e deregolamentato. La densità è un parametro ed indice determinante nella progettazione urbana, e nel caso salernitano ciò appare fuori controllo. Il nuovo disegno urbano dovrà realizzare luoghi urbani accoglienti18, per favorire lo sviluppo umano (nuovi e migliori spazi di relazione) e restituire diritti agli abitanti, coinvolgendo gli stessi nella definizione delle attività da svolgere sul territorio. Dal punto di vista dell’urbanistica, nel caso specifico salernitano esistono noti fenomeni di degrado urbano poiché la città fu costruita pensando prioritariamente di sfruttare al massimo la rendita19 fondiaria e immobiliare parassitaria per concentrare ricchezze senza lavorare nelle mani di poche famiglie20, ciò si è tradotto in alti ed eccessivi carichi urbanistici21 negli agglomerati edilizi esistenti poiché la fabbricazione ha previsto alti indici di utilizzazione territoriale e fondiaria. Nell’ambito cittadino questo sfruttamento parassitario si traduce in degrado urbano; vige tutt’oggi uno squilibrio diffuso dei carichi urbanistici, poiché sono stati realizzati agglomerati edilizi disomogenei privi di una corretta morfologia urbana. L’assenza di 18
Dal punto di vista della tecnica urbanistica (piano, progetti e regole) e soprattutto del disegno urbano, è determinante declinare in maniera puntuale non solo l’impianto urbano (parametri tecnici e caratteristiche morfo-tipologiche) ma anche l’atterraggio del piano (cioè quando il piano diventa architettura), e la qualità dei prodotti finali poiché questi determinano la qualità degli spazi. In assenza di ciò (cioè di regole ben definite) cosa che accade spesso, costruttori e progettisti dei piani attuativi possono consegnare spazi di scarsa qualità. Gli abitanti vivono proprio gli spazi dell’atterraggio del piano, ed è il livello della dimensione pubblica condizionata dalle regole [o l’assenza di esse], cioè le norme tecniche di attuazione, ossia il regolamento urbanistico. Sono numerosi i casi ove non esistono regole dettagliate e questa assenza favorisce il degrado urbano, nonostante la qualità del disegno urbano e la scelta di adeguati parametri tecnici. 19 A seguito del DM 1444/68, il 30 luglio 1971 il Comune di Salerno stabilì di individuare degli incarichi per i piani particolareggiati di esecuzione, poi con la delibera n. 203 del 29/09/1972 (Sindaco Russo) l’affidamento ai progettisti salernitani, i quali produssero studi, indagini e proposero la strategia per il recupero degli standard e l’individuazione delle zone omogenee. Nel 1978 (Sindaco Ravera) con delibera n.139 e n.140, lette le analisi consegnate, si decise di adeguare il vecchio PRG Marconi (Sindaco Menna) ritenuto dannoso ed obsoleto; poi si arriva al 1980 (Sindaco D’Aniello) per deliberare la nascita dell’ufficio di Piano, ed in fine nel 1983 (Sindaco Clarizia) ove il Comune cambiò rotta. In questi passaggi emerge tutta l’incapacità e la cattiva fede dei politici che volutamente non decidevano e prendevano tempo per consentire alle lobbies delle costruzioni, i proprietari di terreni, di edificare nel peggiore dei modi e produrre altre rendite, mentre i tecnici nei loro rapporti segnalarono il fatto che l’inerzia politica consentiva l’edificazione prevista da un piano regolatore inadeguato e dannoso, e che il procrastinare nel tempo della corretta decisione aumentava il danno ambientale e sociale della città; mentre i tecnici progettavano soluzioni è accaduto che i politici consapevoli di ciò consentivano al capitalismo liberale di distruggere il bene comune recando danno alle future generazioni. 20 A Salerno, come in molte altre città, l’approccio prevalente è stato, ed è tutt’ora, quello di favorire l’accumulazione capitalistica attraverso le rendite marginali, cioè la proprietà perde il significato di valore d’uso (un bene) per essere meramente valore di scambio (merce) e in questo modo la rendita differenziale diventa rendita immobiliare pura, spinta dagli interessi privati che trascurano le modalità produttive tradizionali (industria e manifattura) per scegliere quelle delle speculazioni edilizie. Una grave carenza culturale del capitale sociale ha creato, come in molte altre città italiane, una crisi della città come luogo della produzione, determinando un aumento della disoccupazione e degli inattivi, e questa crisi è rafforzata da scelte politiche liberiste come la deregolamentazione della proprietà privata che aumenta le disuguaglianze ed espone la comunità e il territorio ad alti rischi per le possibili operazioni illecite come il riciclaggio attraverso le urbanizzazioni. In assenza di attività produttive tradizionali e terziarie, le città diventano prede dell’accumulazione capitalista parassitaria come le rendite immobiliari, e quando questo è il mercato prevalente si crea un corto circuito sociale ed economico poiché la ricchezza si concentra e può essere esportata all’estero, ed è un tipico effetto della globalizzazione liberista. 21 Cos’è il carico urbanistico? E’ una definizione tecnica utilizzata in urbanistica. Esprime un concetto che indica la misura dell’attività urbanistico-edilizio sul territorio. Il carico urbanistico si misura con le densità e l’utilizzazione territoriale. La densità si misura in ab/ha, mc/mq e in mq/mq. Maggiore è il carico e più il tessuto urbano può essere sovraffollato, indice di degrado. Per avere un cattivo uso del suolo devono sussistere anche altre condizioni come il non rispetto dei limiti delle distanze minime tra edifici, il non rispetto dei limiti di altezza, l’inesistenza degli standard e un disequilibrio fra spazio pubblico e privato.
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APPUNTI PER UNA CORRETTA URBANISTICA SALERNITANA corretta pianificazione urbanistica favorisce la disomogeneità, e così insistono problemi quali: affollamento (alta densità e traffico), cattiva mobilità, carenza di standard e inquietudine urbana. Questi problemi relativi al cattivo rapporto fra spazio pubblico e privato sono ovunque nelle zone consolidate più vissute (centro, via dei Principati e peri-centro, zona Carmine, Irno, l’incivile e selvaggia cementificazione delle colline). Altre zone compromesse dalla speculazione edilizia e dalla disomogeneità sono Torrione, Pastena e Mercatello. Il disordine urbano abbassa la qualità della vita e impedisce lo svolgimento di un’esistenza normale, e questo enorme limite è evidente un po' ovunque, a ciò è possibile rimediare con diradamenti e una nuova morfologia urbana, se le analisi consigliano di farlo. Oltre all’inadeguata armatura urbana esistente che andrebbe rigenerata, si ritiene necessario, inoltre, vincolare il periurbano per annullare/limitare l’espansione fisica di nuove lottizzazioni ed eliminare il fenomeno dello sprawl urbano poiché danneggia l’ambiente ad aumenta i costi municipali e sociali della comunità. Per realizzare il piano rigenerativo bioeconomico, oltre al corretto quadro di conoscenza determinante per intervenire, si suggerisce l’adozione della perequazione urbanistica22 diffusa e non più quella di comparto, poiché quella diffusa consente di indirizzare meglio i contributi di tutti i privati verso la costruzione della “città pubblica”. Altresì sarebbe saggio introdurre il prelievo dei contributi usando il recupero del plusvalore fondiario delle lottizzazioni23 24, così come bisogna considerare lo strumento della tassa di scopo per costruire servizi inesistenti ma necessari per ottenere una pubblica amministrazione adeguata e funzionale rispetto
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Per evitare o ridurre disparità fra i suoli edificabili e i diritti edificatori, l’esperienza inventa la cosiddetta perequazione urbanistica per «riconoscere ai proprietari un valore della proprietà commisurato alla tipologia, alla localizzazione, all’urbanizzazione, alla classificazione delle aree rispetto al contesto territoriale nel quale si collocano», ma una certa dose di diseguaglianza è connaturale alla pianificazione urbanistica. La perequazione costituirebbe un modo alternativo di attuazione della zonizzazione» (Urbani, in Fiale, Diritto Urbanistico, XV Ediz. 2015, pag. 74). Le modalità di attuazione della perequazione sono due: 1) «perequazione di comparto» si realizza concentrando la cubatura afferente a una certa zona in una specifica sua parte: il mezzo tecnico è quello della creazione di una “zona a trasformazione unitaria”, che costringe i proprietari della zona medesima ad accordarsi tra loro se vogliono evitare la paralisi di qualsiasi iniziativa; 2) «perequazione diffusa» consiste in una tecnica di scissione tra conformazione della proprietà e la distribuzione su tutto il territorio comunale di una “edificabilità uniforme meramente potenziale”, avente rilevanza sotto il profilo economico. Può costruire chi possiede un’area edificabile prevista dal piano. 23 In Italia, la rendita fondiaria è stata incassata, senza merito, dalla borghesia liberale recando un danno economico allo Stato; quanto vale il danno? E’ difficile misurare con precisione l’appropriazione della rendita fondiaria ma è stato possibile fare una stima al ribasso, della sola edilizia abitativa (escludendo l’edilizia commerciale, turistica …), aggregando dati Istat e Banca d’Italia, e usando le superfici realizzate con la ricostruzione dei prezzi reali delle case e dei terreni. E’ stato stimato che dal 1961 al 2011, se lo Stato avesse applicato la riforma del regime dei suoli proposta da Fiorentino Sullo, avrebbe incassato un’enormità di circa 800/1000 miliardi di euro (Blecic, Lo scandalo urbanistico 50 anni dopo, Franco Angeli, pag. 19). Con questa stima abbiamo un ordine di grandezza verosimile della ricchezza incassata da poche famiglie, e questo valore costituisce la base delle disuguaglianze economiche e sociali ottenute sfruttando il potere politico e non il merito personale, tutto ciò a danno dello Stato sociale e dell’ambiente. Questa è la base della disuguaglianza determinata da reddito del capitale, che nel caso specifico si tratta di reddito attraverso rendite parassitarie. 24 Per gli economisti urbani, per i quali il valore dei suoli è strettamente legato allo sforzo di costruzione collettiva della città, in virtù di questo assunto, è legittimo proporre forme di recupero dei plusvalori fondiari in grado di recuperare parte degli incrementi di valore dei suoli sotto forma di servizi e altre dotazioni collettive. Quindi si prospetta una “tassazione” della rendita che non si realizza in termini fiscali, ma più genericamente come “recupero del plusvalore”. Si riportano in sintesi, alcune caratteristiche precipue che ne contraddistinguono l’applicazione: • • •
La stima diretta del plusvalore determinato dalla decisione pubblica di trasformazione/rigenerazione delle aree (valutata in termini economici, o parametrici); La definizione preventiva dell’aliquota del plusvalore oggetto di recupero a cui assoggettare tutti i progetti; L’applicazione dell’aliquota a progetti di trasformazione/rigenerazione di attuazione privata, orientati da una forte regia pubblica.
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APPUNTI PER UNA CORRETTA URBANISTICA SALERNITANA agli standard attuali, e soddisfare i bisogni della cittadinanza in maniera efficace. Ad esempio, la perequazione diffusa può tassare correttamente le nuove urbanizzazioni (solo sui suoli già utilizzati ma abbandonati) e indirizzare i contributi di tutti i privati verso i servizi pubblici mancanti quali ad esempio, il Distretto degli Uffici Comunali (DUC) da costruire dentro la zona consolidata e nei pressi di accessi pubblici ferroviari. Nonostante questa corretta organizzazione sia nota e molte altre amministrazioni l’abbiano già realizzata, un capoluogo di Provincia come Salerno non ha un proprio Distretto recando danno all’erario ed ai cittadini. L’Amministrazione svolge le proprie funzioni in spazi inadeguati e non sicuri, a volte pagando i privati (rendita), e costringendo i cittadini a recarsi in uffici localizzati in quartieri distinti, e ciò si traduce in uno spreco di risorse pubbliche e private abbassando il livello di qualità di vita degli abitanti. L’Amministrazione dovrebbe adottare un Piano di Recupero per il centro storico, e dovrebbe introdurre il “fascicolo del fabbricato” per stimolare un corretto mercato urbano attraverso un’adeguata informazione degli edifici esistenti, cosicché da stimolare indirettamente azioni quali la riduzione del rischio sismico e idrogeologico. Il medesimo approccio va assunto per tutta l’edilizia pubblica, cioè ridurre il rischio sismico adeguando i volumi esistenti e programmando la costruzione di nuovi servizi, costruiti ex-novo per stimolare la rigenerazione urbana dentro le zone consolidate coinvolgendo gli abitanti. Infine, in maniera semplificata si potrebbe immaginare come ottenere un unico obiettivo strategico del piano facendo un elenco dei servizi pubblici mancati (la “città pubblica”) e capire quale parte far costruire dal mercato con la perequazione diffusa e quale parte attribuirla alla fiscalità generale, ad esempio coniugando la tassazione prevista dal piano (aliquota sui contributi da sommare all’aliquota progressiva sulla rendita immobiliare, una vera novità per l’Italia) ed i Trasferimenti nazionali, o persino una tassa di scopo locale. Ecco un breve elenco di servizi mancanti che possono migliorare la qualità di vita degli abitanti: il Distretto (DUC); ri-naturalizzare il fiume Irno e rigenerare la merce edilizia che costeggia alcuni tratti del corso d’acqua con nuove urbanità e servizi turistici, costruire biblioteche di quartiere25 annesse alle scuole innovative (demolizione e ricostruzione di alcune); una biblioteca centrale26 (ancora inesistente) e un nuovo teatro moderno (ancora inesistente) per soddisfare le numerose scuole teatrali che svolgono attività in spazi non funzionali ed inadeguati; una cittadella dello sport per la pallavolo, il basket, il nuoto, con piscina olimpionica e pista di atletica coperta; una fiera per promuovere le attività locali; un museo archeologico e moderno. Questi servizi pubblici rappresentano un costo ma producono sviluppo umano e reddito, e potrebbero essere finanziati con metodi diversi, sia attraverso il piano stesso con la perequazione diffusa capace di tassare e indirizzare le risorse, e sia attirando investimenti privati e pubblici/privati, o con altre risorse provenienti dai Trasferimenti nazionali e locali, utilizzando anche il recovery fund. L’elenco di opere sopra accennato rappresenta anche il valore economico della città pubblica (l’interesse generale), che in maniera del tutto trasparente e pubblica possono essere discusse e poi legittimate da scelte politiche. La localizzazione delle opere genera un mercato urbano che attrae investitori privati e pubblici. E’ una scelta dell’Amministrazione decidere come gestire e realizzare questi interventi, e se fossimo una comunità di tradizione europea, il processo avrebbe una forte regia pubblica con il coinvolgimento attivo degli abitanti, ove gli operatori privati sono consapevoli delle aliquote previste sulle rendite differenziali (solitamente sono tasse elevate) ma investono ugualmente per l’alta qualità dei progetti urbanistici dei piani
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Nonostante Salerno abbia il rango di capoluogo di Provincia, e centroide di un’area urbana di circa 300mila abitanti, è una citta ancora oggi priva di funzioni culturali determinati per lo sviluppo umano; mancano centri culturali, biblioteche e musei moderni che possano essere riconosciuti come tali. In città esiste una cosiddetta “biblioteca provinciale” ma ha due enormi difetti: è poco accessibile poiché male localizzata e sottodimensionata rispetto ai bisogni della collettività; ristrutturata può diventare una piccola biblioteca di quartiere. La prima e vera importante biblioteca è localizzata all’interno del campus universitario sito a Fisciano, quindi ben lontana e isolata dai centri abitati. 26 Salerno necessità di una biblioteca di grandi dimensioni di circa 12.000 mq, che sia un centro culturale integrato (cultura, creatività, tempo libero, studio), catalizzatore della vita quotidiana e capace di rispondere ai bisogni primari di conoscenza, informazione, formazione e convivialità per tutti gli abitanti: bambini, studenti, professionisti e anziani.
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APPUNTI PER UNA CORRETTA URBANISTICA SALERNITANA attuativi, e dove il vincolo contrattuale è la costruzione dei servizi pubblici, prima di tutto, e poi la realizzazione degli interventi privati entro una tempistica ben definita. Le aree già urbanizzate ma sottoutilizzate per realizzare strutture pubbliche importanti sono note, e non è difficile pensare che le migliori localizzazioni per il DUC e la biblioteca centrale corrispondono all’attuale scalo ferroviario, nonostante sia stato individuato per favorire lottizzazioni private ma questo è un errore, poiché quell’area centrale connessa alla stazione può e deve essere sfruttata per soddisfare, prima di tutto, bisogni collettivi rispondenti all’interesse generale. Esistono altre aree già urbanizzate e abbandonate, sia nei confini amministrativi del comune centroide e sia in tutta l’area urbana estesa, ed in maniera analoga bisogna riflettere pubblicamente come utilizzarle per rigenerare l’agglomerato edilizio esistente costruendo servizi mancanti e migliorando la forma urbana. Le eccellenze europee si distinguono per la capacità pubblica di coordinare, ascoltare e far interagire interessi diversificati e persino contrastanti, tutti uniti dall’interesse generale consapevoli dei conflitti stimolati dalle rendite (per tale motivo sono tassate) e del fatto che l’architettura e l’urbanistica generano sviluppo umano e crescita economica durevole e sostenibile, se si rispettano principi e regole della disciplina urbana. Fra le comunità urbane più preparate e consapevoli è noto che il disegno urbano piega l’economia e non il contrario.
Conclusioni Questi appunti sull’urbanistica sono finalizzati a costruire un dibattito pubblico circa il corretto uso del territorio rispetto alla realtà del nostro paesaggio urbano. La struttura urbana è mutata nel corso degli anni ma non è cambiata né la mentalità del ceto dirigente e né l’obsoleta scala amministrativa. Nuovi paradigmi culturali sono in grado di stimolare e programmare investimenti utili al territorio attraverso il filtro culturale della corretta pianificazione aggiornata alla visione bioeconomica. Un sapiente approccio culturale è in grado di leggere e interpretare la realtà perché distingue il concetto di valore (di bene) dalla becera e nichilista mercificazione del territorio che sta distruggendo noi stessi; pertanto si ritiene necessario stimolare una nuova visione che può produrre ricchezza distribuita per gli abitanti, e tale dibattito dovrebbe avere un grande risalto pubblico affinché chiunque possa comprendere che la corretta gestione delle risorse si realizza ricordandosi i valori costituzionali e la cultura del saper fare, coniugando diritti, doveri civici e sostenibilità. In qualunque Paese meglio organizzato del nostro i diritti sono garantiti attraverso una sapiente pianificazione che affronta temi e risolve problemi concreti distribuendo equamente le risorse ma creando opportunità, e tali decisioni sono precedute da studi e analisi del sapere tecnico a servizio del bene collettivo. La cultura crea valore e bellezza. Salerno, 14/12/2020 Arch. Giuseppe Carpentieri
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