Giuseppe Iardella
Manifesto per un Consumo Consapevole
2002
2002 Š Giuseppe Iardella
Manifesto per un Consumo Consapevole
“Viviamo in un mondo catturato, sradicato e trasformato dal titanico progresso tecnico-scientifico dello sviluppo del capitalismo, che ha dominato i due o tre secoli passati. Sappiamo, o perlomeno è ragionevole supporre, che tale sviluppo non può proseguire all’infinito. Il futuro non può essere una continuazione del passato e vi sono segni, sia esterni sia, per così dire, interni, che noi siamo giunti a un punto di crisi storica. Le forze generate dall’economia tecnico-scientifica sono ora abbastanza grandi da distruggere l’ambiente, cioè le basi materiali della vita umana. Le stesse strutture delle società umane, comprese alcune basi sociali dell’economia capitalista, sono sul punto di essere distrutte dall’erosione di ciò che abbiamo ereditato dal passato della storia umana. Il mondo rischia sia l’esplosione che l’implosione. Il mondo deve cambiare. Non sappiamo dove stiamo andando. Sappiamo solo che la storia ci ha portato a questo punto e - se i lettori condividono l’argomentazione di questo libro - sappiamo anche perché. Comunque una cosa è chiara. Se deve avere un futuro nel quale riconoscersi, non potrà averlo prolungando il passato o il presente. Se cerchiamo di costruire il terzo millennio su questa base falliremo. E il prezzo del fallimento, vale a dire l’alternativa a una società mutata, è il buio.” (Eric J. Hobsbawm : “ Il Secolo Breve – 1914/1991 – “ , 1994 )
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Indice dei contenuti
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Prefazione
1. Produttori e Consumatori 2. Consumatori e Consumatori Consapevoli 3. La Critica al Consumismo I. La Critica Reazionaria a) Le Grandi Religioni b) L’Antimodernismo Pre-femminista c) L’Antiamericanismo Post-comunista II. La Critica Organica ( Il Consumerismo ) III. L’Ecologismo Catastrofistico 4. Posizione dei Consumatori Consapevoli di fronte ai diversi Movimenti di Consumatori
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Prefazione Uno spettro si aggira per la Terra : lo spettro del Consumo Consapevole . Tutte le potenze del Nuovo Ordine Globale si sono coalizzate in una santa battuta di caccia contro questo spettro: multinazionali e poteri politici, poteri occulti e malavita organizzata. Quale Movimento di Consumatori non è stato accusato di remare contro lo sviluppo economico dai suoi avversari; quale Movimento di Consumatori non ha rilanciato l’infamante accusa, tanto sui più illuminati esponenti del movimento stesso, quanto sui propri avversari naturali ? Da questo fatto scaturiscono due specie di conclusioni. Il Consumo Consapevole è già riconosciuto come potenza da tutte le potenze del Nuovo Ordine Globale. E’ ormai tempo che i Consumatori Consapevoli espongano apertamente in faccia a tutto il mondo, il loro modo di vedere, i loro fini, le loro tendenze, e che contrappongano alla favola dello spettro del Consumo Consapevole un Manifesto dello stesso. A questo scopo si prende a modello, il Manifesto del Partito Comunista, redatto da Marx ed Engels nel 1847-48, non tanto, e non solo, per ribadirne i contenuti, peraltro parzialmente condivisibili, quanto per ricalcarne la medesima impostazione formale. Se, infatti, da un lato è sorprendente come, eseguendo una semplice sostituzione dei termini chiave : Capitale, Borghesia con Produzione Proletariato, Proletari con Consumo, Consumatori Sottoproletariato, Sottoproletari con Protoconsumo, Protoconsumatori Comunismo, Comunisti con Consumo Consapevole, Consumatori Consapevoli
inizialmente, i concetti di fondo siano così sovrapponibili da rendere la trascrizione un operazione quasi meccanica, man mano che l'analisi avanza, e deve fare i conti con le mutazioni (e che mutazioni!) storiche, intervenute, in oltre un secolo e mezzo, ci si allontana sempre di più dalla matrice per sviluppare un filo logico autonomo e per certi versi (grazie alla lezione della storia) a quella contrapposto.
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1. Produttori e Consumatori La storia di ogni società esistita fino a questo momento, è storia di lotte di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, produttori e consumatori, furono continuamente in contrasto fra di loro, e condussero una lotta ininterrotta, ora latente ora aperta; lotta che, ogni volta si è conclusa o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società, o con la comune rovina delle classi in lotta. Nelle precedenti epoche storiche troviamo quasi dappertutto una totale articolazione della società in differenti ordini, una molteplice graduazione delle posizioni sociali. Nell’antica Roma abbiamo patrizi, cavalieri, plebei e schiavi; nel Medioevo signori feudali, vassalli, membri delle corporazioni, garzoni, servi della gleba e per di più, anche particolari graduazioni quasi in ognuna di queste classi. L’attuale Società dei Consumi, sorta dopo il 1971, anno in cui, il presidente degli Stati Uniti d’America, Richard Nixon, dichiarò la liberalizzazione dei movimenti di capitali, non ha eliminato la miseria. Ha soltanto aumentato il benessere materiale di buona parte della popolazione dei paesi industrializzati, e delle classi più abbienti del resto del Mondo, favorendo nuove forme di oppressione e nuove forme di lotta. La nostra epoca, l’epoca della post-industrializzazione, si distingue però dalle altre per aver semplificato ulteriormente gli antagonismi di classe. L’intera società si va scindendo sempre più in due grandi campi contrapposti: i Produttori ed i Consumatori. Sempre di meno i primi, sempre di più i secondi. Dai servi della gleba del Medioevo sorse il popolo minuto delle prime città; da questo popolo minuto si svilupparono i prototipi dei futuri Produttori. La scoperta dell’America, la circumnavigazione dell’Africa fornirono ai nascenti Produttori un nuovo terreno. Il mercato delle Indie Orientali e della Cina, la colonizzazione dell’America, gli scambi con le colonie, l’aumento dei mezzi di scambio e delle merci in genere diedero al commercio, alla navigazione, all’industria uno slancio fino allora mai conosciuto, e con ciò impressero un rapido sviluppo all’elemento rivoluzionario entro la Società feudale in disgregazione . L’esercizio dell’industria, feudale o corporativo, in uso fino ad allora, non bastava più al fabbisogno che aumentava con i nuovi mercati. Al suo posto subentrò la manifattura. Il medio ceto industriale soppiantò i maestri artigiani; la divisione del lavoro fra le differenti corporazioni scomparve di fronte alla divisione del lavoro nella singola officina medesima. Ma i Mercati continuavano a crescere, il fabbisogno saliva sempre di più. Neppure la manifattura era più sufficiente. Allora il vapore e le macchine rivoluzionarono la produzione industriale . All’industria manifatturiera subentrò la grande industria moderna, al medio ceto industriale subentrarono i milionari dell’industria, i capi di interi eserciti industriali, i moderni Produttori. La grande industria ha creato quel mercato globale, che era stato tenuto a battesimo dalla scoperta dell’America. Il mercato globale ha dato uno sviluppo immenso al commercio, alla navigazione, alle comunicazioni in genere . Questo sviluppo ha influenzato a sua volta la crescita dell’industria, e, nella stessa misura in cui si espandevano industria, commercio, trasporti si è sviluppata la Produzione, ha moltiplicato i suoi capitali ed ha relegato dietro le quinte tutte le classi che avevano caratterizzato l’Ancièn Régime. Vediamo, dunque come la Produzione è essa stessa il prodotto di un lungo processo di sviluppo, di una serie di innovazioni nelle modalità di produzione e di trasporto. 5 2002 © Giuseppe Iardella
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Ognuno di questi stadi di sviluppo della Produzione era accompagnato da un corrispondente progresso politico. Ceto oppresso sotto il dominio dei signori feudali, insieme di associazioni armate ed autonome nel Comune, talvolta sotto forma di repubblica municipale indipendente, talvolta di terzo stato tributario della monarchia, poi all’epoca dell’industria manifatturiera, nella monarchia controllata dagli stati come in quella assoluta, contrappeso alla nobiltà e fondamento principale delle grandi monarchie in genere, la Produzione, infine, dopo la creazione della grande industria e de mercato mondiale, si è conquistata il dominio politico esclusivo nello stato rappresentativo moderno. Il potere statale moderno non è che un comitato che amministra gli affari comuni di tutta la Produzione . La Produzione ha avuto nella storia una parte sommamente rivoluzionaria . Dove ha attecchito e dilagato, e cioè su tutta la biosfera popolata dall’Uomo, la Produzione ha demolito tutte le condizioni di vita preindustriali, patriarcali, bucoliche . Ha lacerato spietatamente tutti i variegati vincoli feudali che legavano ogni uomo al suo superiore naturale, e tutti alla terra che calpestavano e che li nutriva, e non ha lasciato fra uomo e uomo altro vincolo che il crudo interesse, il freddo pagamento in contanti. Ha affogato nell’acqua gelida del calcolo egoistico i sacri brividi dell’esaltazione devota, dell’entusiasmo cavalleresco, dell’attivismo politico, della partecipazione condivisa, della fede in un mondo migliore. Ha disciolto la dignità personale nel valore di scambio, e al posto delle molte libertà consolidate e onestamente conquistate , ha messo unica, la libertà di commercio priva di scrupoli. In altre parole: ha posto lo sfruttamento aperto, spudorato, diretto e arido al posto dello sfruttamento ammantato di illusioni religiose e politiche. La Produzione ha spogliato della loro aureola tutte le attività che, fino ad allora erano rispettate e riverite. Ha tramutato il medico, il giurista, il prete, il poeta, lo scienziato, in soggetti economici, capaci di produrre ma soprattutto di consumare beni e servizi. La Produzione ha strappato il rassicurante velo sentimentale al rapporto familiare e lo ha ricondotto ad un puro rapporto di denaro. La Produzione ha svelato come la brutale manifestazione di forza che la reazione ammira tanto nel Medioevo, avesse la sua appropriata integrazione nella più pigra infingardaggine. Solo la Produzione ha dimostrato che cosa possa compiere l’attività dell’uomo. Essa ha compiuto ben altre meraviglie che le piramidi egiziane, gli acquedotti romani, e le cattedrali gotiche, ha realizzato ben altre imprese che le migrazioni di popoli e le crociate. La Produzione non può esistere senza rivoluzionare continuamente i suoi strumenti ed i suoi prodotti, e quindi tutti i rapporti sociali. Prima condizione di esistenza di tutte le classi industriali precedenti era invece l’immutato mantenimento del vecchio sistema produttivo e distributivo. Il continuo rivoluzionamento della produzione, l’ininterrotto scuotimento di tutte le situazioni sociali, l’incertezza e il movimento eterni differenziano l’era della globalizzazione da tutte le epoche precedenti. Si infrangono tutti i rapporti stabili e stabilizzati, con il loro corredo di princìpi antichi e rispettabili, e tutte le idee e i concetti nuovi si dissolvono prima di potersi fissare. Si volatilizza tutto ciò che vi era di stabile ed apparentemente immutabile, è profanata ogni cosa sacra, a cominciare dalla vita medesima, e gli uomini sono costretti, in definitiva, a guardare con occhio disincantato la propria condizione ed i propri reciproci rapporti. Il bisogno di uno smercio sempre più esteso per i suoi prodotti sospinge la Produzione a percorrere tutto il globo terrestre. Ovunque deve annidarsi, ovunque deve attecchire, ovunque deve creare relazioni economiche. Con lo sfruttamento del mercato mondiale, la Produzione ha dato un’impronta cosmopolitica a se stessa ed al Consumo di tutti i Paesi. 6 2002 © Giuseppe Iardella
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Ha sottratto terreno all’industria nazionale, con buona pace dei vecchi nostalgici. Gli antichi opifici, vecchie glorie della rivoluzione industriale, sono ormai oggetto di studio per architetti-archeologi e sociologi, e quelli meno diroccati vengono recuperati come aree espositive e/o centri commerciali. Le vecchie industrie sono rimpiazzate da nuovissime realizzazioni hi-tech, dove l’opera dell’uomo è ridotta, dalla robotica, ai minimi termini, mentre i manufatti a basso contenuto tecnologico sono prodotti in Paesi in cui la manodopera è reperibile a costi irrisori. Le materie prime ed i singoli componenti del manufatto affluiscono ai centri di lavorazione ed assemblaggio, dislocati, preferibilmente, in Paesi con manodopera a basso costo, dalle zone più remote e disparate del pianeta, con una logica che privilegia l’abbattimento dei costi di produzione. Ai vecchi bisogni, soddisfatti con prodotti nazionali, subentrano bisogni nuovi, la cui soddisfazione esige un sempre maggiore sviluppo dei trasporti e del commercio. All’antica autosufficienza ed all’antico isolamento, riproposti anche in tempi recenti in forma coattiva, come strumenti di pressione internazionale (embargo), subentra uno scambio universale, una interdipendenza assoluta fra le nazioni. E lo stesso dicasi per la produzione intellettuale. I prodotti intellettuali delle singole nazioni divengono bene comune, e, seppure sembri improbabile la realizzazione di una letteratura mondiale unificata, è ormai consolidata la diffusione commerciale su vastissima scala, previa tempestiva traduzione, di best-sellers, alla stregua di un qualsiasi altro bene di largo consumo. Per non parlare del settore audiovisivo, dal cinematografo ai videogiochi, in cui l’ideazione stessa del prodotto, tiene conto delle variegate e molteplici esigenze di un mercato globale. Mercato che, per poter assorbire in massimo grado qualsiasi prodotto deve uniformare ed omologare la domanda su scala planetaria, in modo tale che un manufatto standard risponda ai gusti ed alle esigenze tanto di un norvegese quanto di un australiano o di un cileno. In altre parole alla standardizzazione dei prodotti deve corrispondere, in un rapporto biunivoco, la standardizzazione dei bisogni. Quanto alla questione della proprietà intellettuale, essa è il fulcro teorico, di ogni innovazione e rivoluzione del processo produttivo. Tutelata da leggi ed accordi internazionali che dovrebbero garantire il diritto esclusivo di sfruttamento commerciale di un determinato prodotto brevettato, in virtù della stessa globalizzazione, la proprietà intellettuale è frequentemente ignorata ed aggirata in modo tale da estremizzare la concorrenza, agendo sui prezzi, e quindi sui costi di produzione. Con il rapido miglioramento di tutti gli strumenti di produzione, con le comunicazioni infinitamente agevolate, la Produzione trascina verso il Modello Occidentale tutte le nazioni, anche le più economicamente arretrate. I prezzi sempre più bassi delle sue merci sono l’artiglieria pesante con la quale spiana tutte le muraglie cinesi, con le quali costringe alla capitolazione la tenace resistenza dei popoli più diffidenti. Costringe tutte le nazioni ad adottare i suoi sistemi, se non vogliono andare in rovina, le costringe ad introdurre in casa loro il medesimo modello occidentale, cioè a diventare c i v i l i . Si crea cioè un Mondo a propria immagine e somiglianza. La Produzione ha assoggettato la campagna al dominio della città, anzi ha snaturato la campagna stessa, creando sterminate monocolture, scardinando il complesso e delicato equilibrio degli ecosistemi, in grado sì, di produrre impensabili quantità di mais o di caffè, ma anche di una fragilità intrinseca tale da poter essere mantenute in vita solo con l’ausilio della chimica e dell’ingegneria genetica. Ha creato metropoli smisurate, ha accresciuto su vasta scala la cifra della popolazione urbana in confronto a quella rurale, svuotando le campagne e disgregando la simbiosi uomo-ambiente che aveva garantito la mutua sopravvivenza. 7 2002 © Giuseppe Iardella
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Così come ha reso la campagna dipendente dalla città, la Produzione ha reso i paesi del terzo e quarto mondo dipendenti da quelli industrializzati, il Sud dal Nord del Mondo. La Produzione tende ad annullare sempre di più la dispersione dei mezzi di produzione, della proprietà e della popolazione. Ha agglomerato la popolazione, ha centralizzato i mezzi di produzione, e ha concentrato in poche mani la proprietà. Ne è necessariamente conseguita la centralizzazione politica. Province indipendenti, legate quasi solo da vincoli federali, con interessi, leggi, governi e dazi differenti, vennero strette in una sola nazione, sotto un solo governo, una sola legge, un solo interesse nazionale, una sola barriera doganale. Durante il suo sviluppo , ormai più che bicentenario, la Produzione ha creato forze produttive in massa molto maggiore e più colossali di quelle che non abbiano mai realizzato tutte insieme le generazioni precedenti. L’assoggettamento delle forze della natura, le macchine, l’applicazione della chimica all’industria e all’agricoltura, l’immane espansione dei traffici marittimi, aerei e terrestri, l’esplosione delle telecomunicazioni, dal telegrafo a internet, il dissodamento ed il disboscamento di interi continenti, città intere sorte come per incanto, come funghi, ed altrettanto repentinamente spopolate – chi mai anche solo all’inizio del XVIII secolo, avrebbe immaginato che nel grembo del lavoro sociale stessero sopite tali forze produttive? Ma non possiamo ignorare che il sistema produttivo e distributivo attuale si è venuto costituendo sul substrato rappresentato dalle grandi holding industriali nazionali, con i loro giganteschi complessi di impostazione fordista (anche se la prima catena di montaggio della storia fu realizzata con i macelli di Chicago). Tuttavia ad un certo punto tale modello non corrispose più alle mutate esigenze di un libero mercato globalizzato e di un’economia fortemente finanziarizzata. I grandi apparati produttivi industriali, dei paesi economicamente avvantaggiati, che davano occupazione a migliaia di salariati, ed intorno ai quali si erano sviluppate, spesso disordinatamente, città intere, rappresentavano sempre di più delle pesanti zavorre a causa del costo relativamente più alto della manodopera. La libera circolazione dei capitali d’investimento aveva consentito il trasferimento su scala planetaria di impianti produttivi di ogni dimensione verso quei paesi che, per vari motivi, erano in grado di fornire una manodopera a basso o bassissimo costo, in quantità pressoché illimitata. Ed il costo dei salari era, ed è, colà talmente ridotto rispetto ai vecchi standard, da rendere economicamente accettabili anche le spese di trasporto (prevalentemente marittimo) dai luoghi di produzione ai mercati, anche i più remoti. Al vecchio mercato nazionale, che malgrado la presenza in settori più o meno strategici di società cosiddette multinazionali, ed il sempre maggior peso dell’export sul bilancio del paese, aveva al suo interno rappresentati in proporzioni sostanzialmente equilibrate tutti gli attori dello scenario economico, si è andato sostituendo il libero mercato globalizzato in cui lo scollamento fra la produzione ed il consumo ha assunto distanze intercontinentali inimmaginabili fino agli anni ’80 del secolo XX. Ai vecchi prodotti di largo consumo made in Hong Kong o in Taiwan, si sono sostituiti i made in China, Pakistan, Malaysia, Filippine, Angola ecc. ecc. Il sistema economico globalizzato ha permesso la creazione di mezzi di produzione e di scambio così efficienti, quanto a margini di profitto, e quindi irresistibili, da rassomigliare al mago che non riesce più a dominare le potenze degli inferi da lui evocate . La storia dell’industria e del commercio è ormai divenuta la storia dei rapporti fra Produzione e Consumo, dove, i sempre più rarefatti rappresentanti della prima, tendono ad imporre, con ogni mezzo consentito, i propri prodotti ad un numero sempre più vasto di consumatori, virtualmente e tendenzialmente identificabile nella stessa popolazione mondiale . 8 2002 © Giuseppe Iardella
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La moltiplicazione e l’accessibilità dei mercati, ha praticamente estinto quelle incredibili crisi di sovrapproduzione che avevano contrassegnato la fase di crescita della rivoluzione industriale. In fondo, in osservanza alla legge della domanda e dell’offerta, la logica soluzione di quelle crisi di crescita non poteva essere rappresentata che dalla indefinita espansione del bacino di utenza. Le crisi più temibili, nel mondo attuale, sono, in realtà, quelle dei mercati finanziari, i quali si muovono ormai in base a logiche talora schizoidi e spesso avulse dalla realtà visibile. Le borse di tutto il mondo, vivono sempre più di vita propria, come se non fossero espressione del sistema produttivo di un Paese, e del suo stato di salute. Le quotazioni subiscono fluttuazioni isteriche sulla base di rumors fatti circolare ad arte da speculatori di professione, e gli organismi di controllo spesso chiudono la stalla quando i buoi sono scappati. Il mercato finanziario mondiale, nel suo complesso, è assurto a luogo di scambio di prodotti finanziari, per l’appunto, sempre più sofisticati e accattivanti, sempre più fragili, ma proprio per questo sempre più rischiosi. La volgarizzazione delle borse, più o meno mediata da investitori istituzionali, indotta dal desiderio di rapidi e più facili guadagni, ha nelle fasi “dell’orso”, azzerato i depositi bancari di milioni di piccoli risparmiatori, cambiando sì la loro esistenza, ma in peggio. In ogni caso la finanziarizzazione dell’economia, indotta dal bisogno di mettere a frutto gli enormi profitti garantiti alla Produzione dal mercato globale, oltre che a coinvolgere i piccoli investitori, colpisce anche coloro che di tale evoluzione erano stati i promotori. In altre parole, il Golem creato per dare sempre maggiori soddisfazioni alla Produzione, rischia di rivoltarsi al suo creatore, rendendogli grossi dispiaceri. Si tratta, tuttavia, di una selezione naturale dalla quale un vincitore deve pur sempre uscire . Ma, con quali mezzi la Produzione tenta di superare tali crisi? Da un lato con la eliminazione dei rami secchi, cioè di quei capitoli di spesa eccessivamente onerosi e ulteriormente comprimibili, soprattutto attraverso massicci licenziamenti (ristrutturazioni) di salariati ricchi dei Paesi più industrializzati, mantenendo, in tal modo, inalterata la fiducia dei grandi istituti bancari, e quindi l’indispensabile accesso al credito, ed evitando pericolosi contraccolpi in Borsa. Dall’altro con la conquista di nuovi mercati e con l’espansione dei consumi verso quei Paesi che, dapprima esclusivamente utili fornitori di manodopera a basso costo, proprio in virtù di una disponibilità di liquidità mai vista in precedenza, possono entrare, a pieno titolo, nel novero dei grandi consumatori. Ma niente potrebbe la Produzione se non disponesse di un apparato informativo capillare ed efficiente: nessuno consumerebbe mai un prodotto di cui non conosce l’esistenza. Ecco quindi l’assurgere della Pubblicità a scienza principe della Società dei Consumi. I professionisti più ricercati, più pagati, più adulati sono i grandi creativi della Pubblicità: i maggiori esperti di scienze umane applicate della storia. Rappresentano riunite in sé le migliori doti di psicologi, psicanalisti, sociologi, artisti, storici, ecc. ecc. Sono i guru della comunicazione, tant’è che tutti coloro che vogliano salire alla ribalta della scena pubblica (politici, attori …), hanno ormai un look maker personale, dalle cui capacità dipenderà il loro successo. Così come il successo commerciale di un qualsiasi prodotto, dipende in larga misura dalla campagna pubblicitaria che vuole lanciarlo. Ormai è prassi consolidata quella di partire col bombardamento mediatico molto precocemente, addirittura prima ancora che il prodotto sia entrato in produzione, in maniera da creare un aspettativa crescente fra i consumatori, che al momento della distribuzione e commercializzazione del prodotto lo esauriranno a tempo di record . In qualche caso, il prodotto legato ad una scadenza precisa, non viene distribuito affatto, facendo ripiegare i Consumatori su articoli similari alternativi, per poi immetterlo sul Mercato subito dopo 9 2002 © Giuseppe Iardella
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la scadenza, quando la domanda è ancora viva, costringendo i Consumatori ad acquistare per due volte (è il caso frequente di nuovi giocattoli per bambini pubblicizzati a ridosso del Natale). Non è altro che l’applicazione degli esperimenti di Pavlov al Mercato . La creazione di aspettative nelle masse è sempre stata, ma è oggi più che mai, la colonna portante di ogni strategia comunicativa. Tuttavia qualsiasi messaggio necessita di uno strumento adeguato che lo veicoli, di qui lo sviluppo pervasivo dei mass media, e la necessità di convogliare e far circolare una quantità sterminata di informazioni da una parte all’altra del pianeta . Di tutti i mass media rimane regina assoluta la televisione, che però presenta alcuni “difetti” intrinseci: • mantiene, malgrado i satelliti, una dimensione nazionale ; • non è interattiva, e quindi rafforza negli utenti il senso di frustrazione latente , generato dalla passività; • offre una scelta di programmi, che sebbene ampliata a dismisura dai canali tematici, e dai satelliti, necessariamente limitata rispetto ai desiderata di ogni singolo telespettatore . E allora la Produzione, sempre proiettata nel futuro ed anticipatrice di questo, per ovviare a tali limitazioni, ha convertito un sistema informatico militare, frutto della guerra fredda, nella più grande rete distributiva di informazioni che essere umano abbia mai concepito: il World Wide Web, Internet, la Rete. E con una mossa geniale ha integrato il sistema radiotelevisivo con uno strumento che : • veicolasse il medesimo, inalterato messaggio ad ogni angolo della Terra; • desse la possibilità all’utente di interagire attivamente col mezzo, conferendogli un incredibile senso di potenza e libertà; • offrisse una possibilità di scelta potenzialmente infinita. Inutile dire che gli scopi palesi della Produzione consistono nell’amplificare e diffondere in massimo grado il messaggio informativo-pubblicitario relativo ai prodotti di consumo ed a creare una rete distributiva diretta su scala globale ( e-commerce ) secondo il principio del rapporto one to one, con l’intento di restituire al consumatore la propria dignità di individuo e di ottimizzare i sempre crescenti costi della pubblicità attraverso i mass-media convenzionali. La Produzione, come dicevamo, dispone di genii della comunicazione, i quali hanno compreso perfettamente che, se una gran parte della massa dei Consumatori, accetterà sempre e comunque, e supinamente il condizionamento pubblicitario propinato dai mass-media tradizionali, una sempre maggiore quota di utenti è andata sviluppando un senso critico ed un’autonomia di giudizio tali da rendere inefficaci i vecchi canali comunicativi . Ed allora ecco uscire dal cilindro la magia di Internet che è in grado di soddisfare anche i palati più difficili. Ma così facendo, la Produzione ha messo in mano ai consumatori uno strumento di una potenza tale da poter sconvolgere tutti i piani, anche quelli meglio congegnati della Produzione stessa. E’ sorprendente come i cervelloni al servizio della Produzione non abbiano saputo cogliere anche gli aspetti potenzialmente pericolosi del WWW, ovviamente, dal loro, parziale, punto di vista. Nella stessa proporzione in cui si sviluppa la Produzione, si sviluppano i Consumatori , che esistono solo fintantoché consumano, e consumano in quanto il loro consumo contribuisce ad incrementare la produzione. I Consumatori medesimi sono una merce, e come ogni altro articolo commerciale hanno un prezzo e sono esposti , a tutte le alterne vicende del Mercato. Le immense banche dati custodite ed aggiornate da enti pubblici e privati (ad esempio quella della SEAT Pagine Gialle, la quale, con l’elenco distribuisce una lettera-questionario dettagliatissimo, con busta prepagata per la risposta, ed un ricco premio estratto a sorte fra coloro che rispondono), 10 2002 © Giuseppe Iardella
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sono in realtà preziosi giacimenti, cui la Produzione, nonostante le varie normative a tutela della privacy, attinge a piene mani (pagando profumatamente), per meglio conoscere e quindi governare il Mercato. Con lo sviluppo e la diffusione dei mezzi di trasporto, soprattutto dell’automobile e con l’esplosione della grande distribuzione il compito del consumatore viene semplificato al massimo, quasi banalizzato. Fra la presa di coscienza di un bisogno materiale e il soddisfacimento dello stesso, intercorre, deve intercorrere, solo il tempo necessario per percorrere il tragitto fra il luogo dove ci si trova in quel momento ed il centro commerciale più vicino. E questo tempo deve essere ridotto al minimo, migliorando il sistema viario, costellando il territorio di megastores, o combinando le due soluzioni. Naturalmente l’intervallo che, un tempo, condito dal desiderio crescente di un certo oggetto (=massimo coinvolgimento emotivo), era occupato dall’esame dei luoghi ove sarebbe stato possibile reperirlo e dal calcolo del tempo necessario per raggiungerli, dalla valutazione del rapporto costi/benefici, e della sostenibilità materiale della spesa, viene totalmente compresso nel mero spostamento fisico (almeno fino a quando non prenderà definitivamente piede l’ ecommerce). Nell’istante stesso in cui pensiamo ad un oggetto sappiamo già dove trovarlo, al miglior prezzo, e non abbiamo più neanche bisogno di soldi contanti. L’ideale assoluto della Produzione è quello di realizzare i nostri desideri prima ancora che essi vengano concepiti. E per fare ciò, al centro commerciale, abbiamo una tale varietà di scelta, a portata di mano, e a basso prezzo, che l’emozione che prima derivava dal prolungarsi del desiderio, in attesa del suo esaudirsi, ora si pretende venga surrogata dalla fagocitosi di un maggior numero di oggetti possibili, di cui peraltro non abbiamo affatto bisogno, ma che rappresentano un richiamo irresistibile. Nel centro commerciale tutti torniamo bambini in piena fase orale. Il costo di produzione è la prima condizione del successo di un prodotto: più questo è basso, minore sarà il suo prezzo al dettaglio, maggiore sarà il rendimento . In fondo il prezzo risibile si fa pubblicità da sé stesso. E quindi, maggiore è il costo di produzione, maggiore sarà il prezzo al consumo, e più oneroso sarà l’investimento pubblicitario teso a motivare il Consumatore ad acquistare quel prodotto. Va da sé, lo ripetiamo, che per ridurre i costi di produzione, l’unica voce realmente comprimibile resta la manodopera. Ma fino a che punto? Ora, la Produzione, in base al contenuto tecnologico intrinseco, e quindi alla complessità, di un prodotto segue due vie ben distinte : 1. per il prodotto a basso contenuto tecnologico, ad esempio un semplice pallone da calcio di cuoio, oggi la situazione produttiva più redditizia è rappresentata da un luogo riparato dalle intemperie, ove bambini ben addestrati, sottopagati rispetto a maschi adulti, svolgono una manualità relativamente semplice e ripetitiva, mettendo insieme i vari pezzi elementari, in condizioni di sicurezza inaccettabili, per un salario incomparabilmente inferiore a quello di un adulto occidentale che svolgesse la stessa mansione; il livello di segmentazione e compartimentazione del processo produttivo è ridotto al minimo; 2. per il prodotto ad elevato contenuto tecnologico, ad esempio un’automobile, essendo necessaria , soprattutto nelle fasi conclusive, una manodopera qualificata, si è spinta al massimo la segmentazione e compartimentazione del processo produttivo, dislocando la produzione o l’assemblaggio intermedio di singole parti o componenti , in Paesi anche lontanissimi fra loro, in modo tale da poter accedere a manodopera a basso costo, per svolgere un lavoro semplificato. 11 2002 © Giuseppe Iardella
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In tal modo il prodotto finito è la risultante di centinaia, migliaia di pezzi provenienti da decine e decine di paesi diversi . In realtà non ci sono molte differenze fra le due modalità di produzione, anzi l’unica sta, forse, nel fatto che, nel secondo caso, buona parte dei centri di assemblaggio finale, rimangono, a tutt’oggi, localizzati nei Paesi più industrializzati, ma è indubbio che, se fosse socialmente accettabile, e se fosse possibile, per assurdo, mantenere inalterato il potere di acquisto dei consumatori occidentali, la Produzione non ci penserebbe due volte a delocalizzare anche quelli. Il limite, inteso in senso matematico, cui tende ”naturalmente”, la Produzione, è rappresentato dalla totale terziarizzazione dei salariati occidentali, circoscrivendo la residua produzione a prodotti artigianali, di qualità e di nicchia, non facilmente altrove riproducibili (è il sistema delle denominazioni di origine). In fondo la robotica e l’informatica hanno reso possibile a tutti lo svolgimento di lavori una volta riservati ai soli uomini. Quanto più il lavoro manuale esige abilità ed impiego di forza, tanto più il lavoro degli uomini viene soppiantato da quello delle donne e dei fanciulli, con grandi risparmi nei costi di produzione. Dove i sindacati sono deboli, e il tasso di disoccupazione superiore ad una certa soglia (diciamo il 10%), la Produzione ha buon gioco a dettare legge sui salari, se non proprio riducendoli, invocando almeno gabbie di contenimento e vincolandone l’adeguamento all’inflazione programmata . Rispetto ai sistemi analitico-interpretativi di stampo squisitamente dialettico (borghesia-proletariato …) del passato, oggi la differenziazione fra Produzione e Consumo è più che altro un espediente retorico-logico per poter meglio inquadrare il problema. In effetti non possiamo affatto parlare di dialettica Produzione/Consumo, perché tutti, al tempo stesso siamo, e produttori e consumatori, e le differenze reali sono ormai solo di ordine quantitativo. In altre parole, i proprietari di una qualsiasi grande multinazionale, raccolgono gli immensi profitti derivanti dalle loro produzioni, ma al tempo stesso consumano come e più di tutti gli altri, rientrando nella categoria dei grandi Consumatori. Così come un semplice salariato, è sì un consumatore, ma al contempo partecipa a quella stessa produzione che gli consente di percepire una quota di profitto, sufficiente a mantenere viva la circolazione monetaria, e ad evitare quelle pericolose, ma inevitabili, fasi recessive, viste (almeno ufficialmente) come il fumo negli occhi dalla Produzione . E’ questa profonda cointeressenza fra Produttori e Consumatori che ci rende tutti complici . Ed è su questa complicità e sul complesso di colpa che ne deriva che la Produzione costruisce il suo ricatto ai Consumatori: se non consumi i miei prodotti, non sarò più in grado di pagare i miei dipendenti, che dovrò licenziare, oppure, non potrò finanziare quel progetto di rete idrica in Africa, e quindi molte persone moriranno di sete. Anche se l’odiosità di certi argomenti, fa sì che la Produzione vi faccia ricorso esplicito il meno possibile, il fatto che l’informazione mass mediatica li riproponga continuamente all’opinione pubblica sotto forma di crude notizie, funge da più o meno velato ricatto morale nei confronti del Consumatori più sensibili . In effetti, per il Consumatore acritico e passivo, non è necessario ricorrere a tali espedienti. Ma la Produzione va oltre. Riesce a mettere i Consumatori gli uni contro gli altri, facendo leva sul meccanismo tipico delle economie di guerra, delle offerte e delle serie “limitate” . L’artificioso contingentamento di certi prodotti, o di certi modelli, scatena, o perlomeno vuole provocare, una corsa all’acquisto, il cui unico effetto è quello di esaurire rapidamente quel prodotto, e di riempire le case di oggetti doppioni o di cui, spesso, non avremo mai bisogno. 12 2002 © Giuseppe Iardella
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Il carattere saliente di tali eventi sta nella totale regressione egoistica e belluina dei consumatori i cui sforzi sono tutti protesi ad accaparrarsi i pezzi migliori, ciechi a tutto ciò che li circonda. Basta osservare la trance agonistica delle persone che per prime entrano nei magazzini, all’inaugurazione di grandi liquidazioni, per capire di cosa si stia parlando: un branco di leoni affamati che entrano in una gabbia piena di grasse prede! La solidarietà dei Consumatori non è ancora il risultato della loro propria unione, ma della concentrazione della Produzione che, per il raggiungimento dei propri fini, deve mobilitare tutti i Consumatori, e per il momento, può ancora farlo. Dunque, in questa fase di passività, i consumatori inconsciamente, fanno gli interessi della Produzione, snobbando quelle categorie produttive, per lo più a carattere loco-regionale, rimaste ai margini o al di fuori del processo di globalizzazione, e decretandone, fatalmente l’estinzione. Così tutto il movimento della Storia è concentrato nelle mani della Produzione. Ogni vittoria nella guerra dei consumi è una vittoria della Produzione. Ma i Consumatori con l’avanzare della globalizzazione, non solo si moltiplicano ma si addensano in masse sempre più grandi, il loro potenziale cresce, ed essi iniziano a percepirlo. La corsa al ribasso dei prezzi per una sempre maggiore quantità di prodotti va sempre più livellando le differenze fra i Consumatori, i quali hanno, devono avere, accesso ad una sempre più sterminata e variegata quantità di articoli . I Consumatori allora, nel loro lento e faticoso processo di emancipazione, cominciano a coalizzarsi per difendere il loro potere di acquisto. Fondano persino associazioni e movimenti in propria difesa, ed abbozzano anche dei tentativi di sciopero, astenendosi in massa, dall’acquisto di determinati generi di consumo. Tali conati tuttavia hanno ancora caratteri di sporadicità, e raramente trovano la totale e incondizionata adesione di tutte le varie (troppe) associazioni di difesa dei consumatori. La stessa frammentazione di tali enti, e la mancanza di una linea comune, non contribuiscono certo alla formazione di una coscienza unitaria del Popolo dei consumatori. Siamo ben lontani anche solo dall’ombra dei tanto temuti scioperi generali degli antichi movimenti operai. Si ha, anzi, la sensazione che il proliferare delle associazioni di Consumatori risponda alle comuni - per quanto apparentemente assurde - logiche di spartizione di un potere, quello di condizionare il consumo, che non sfugge al sospetto di strumentalizzazioni da parte della Produzione stessa. Ogni tanto, nelle varie vertenze ingaggiate, i Consumatori hanno la meglio, come nelle campagne di richiamo, ad esempio di automobili o elettrodomestici, ma sono successi sporadici, e tutto sommato rientrano in quella politica di tutela dell’immagine di quel Produttore che dal doloroso e pubblico mea-culpa trae un immenso beneficio pubblicitario da un potenziale fallimento. Chi, in fondo, non è disposto a perdonare il peccatore confesso e pentito? Chi scaglierebbe la prima pietra? (Chi non ricorda il test dell’alce per la Mercedes classe A?) Il vero successo dell’azione dei Consumatori, non può consistere nell’episodio isolato ma nel fatto che la loro unione si estenda e si rafforzi sempre di più. Questa è favorita dall’incredibile sviluppo dei mezzi di comunicazione, prodotti dalla grande industria, che mettono in interconnessione l’intera popolazione mondiale. E basta questo collegamento per centralizzare e coordinare in un’azione globale le molte lotte locali, e perfino nazionali, che hanno dappertutto lo stesso carattere : il tentativo di trasformarsi da oggetti passivi a soggetti attivi. Ma, poiché l’economia ha ormai egemonizzato la politica, asservendola ai propri interessi, ogni movimento di Consumatori ha in sé i germi e la valenza di un soggetto politico. Questa organizzazione dei Consumatori in movimenti e quindi in organismi sostanzialmente politici, rischia di venir continuamente disgregata dalla concorrenza fra i movimenti stessi, al pari di ciò che avviene proprio per i partiti politici tradizionali. E non può ricomporsi spontaneamente, vista la strapotenza dei mezzi messi in campo dalla Produzione, ma necessita di un preciso e cosciente atto di volontà, prima individuale e quindi 13 2002 © Giuseppe Iardella
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collettivo, che tenga conto di una serie di fattori che richiedono una capacità, inaudita su vasta scala, di percepire, comprendere, e gestire la complessità. Se ciò che distingue il genere umano dagli animali è il libero arbitrio, se l’umanità vuole sopravvivere a se stessa, deve rapidamente imparare ad usarlo correttamente e purtroppo in condizioni estremamente sfavorevoli. La difficoltà di una simile operazione consiste proprio nel riuscire a muoversi e ad orientarsi in una realtà estremamente complessa che si vuole invece proporre come lineare e semplificata. L’approccio meccanicistico una malattia-una pillola è il più indicativo di questa realtà . In genere la conflittualità intrinseca alla Produzione, alias libera concorrenza, può promuovere in molte maniere il processo evolutivo dei Consumatori. La Produzione è sempre in lotta: da principio contro il mondo politico visto come generatore di rallentamenti e pastoie, poi contro quelle sue proprie ramificazioni che ostacolano il progresso e lo sviluppo economico (= rami secchi), e sempre contro holding concorrenti . In tutte queste lotte, la Produzione si vede costretta a fare appello ai Consumatori e a coinvolgerli facendo leva, da un lato, su argomenti ideali ai quali essa stessa non ha mai creduto (nazione, fede religiosa, appartenenza politica …), e dall’altro su motori più prosaici, ma assai più accattivanti come i prezzi. Essa stessa dunque reca ai Consumatori tutti gli elementi necessari alla creazione di una coscienza critica, e quindi alla formazione di anticorpi, però ben pochi sanno realmente vederli (cacao Ghana, Ecuador, ecc. = monocolture). Quindi, come vedremo anche meglio in seguito, il progresso dell’industria, crea una commistione tale fra Produzione e Consumo, da renderne praticamente impossibile una chiara distinzione . Tutto sfuma in un meccanismo perfetto in cui solo l’educazione a vedere oltre l’apparenza delle cose può rappresentare il primo grosso passo avanti verso un futuro migliore. Infine, in tempi in cui la sostenibilità del modello egemone di sviluppo si avvicina al punto di non ritorno, dall’interno stesso della Produzione si vuole proporre un ventaglio di soluzioni più o meno verosimili il cui limite, quasi un peccato originale, consiste nel principio motore fondamentale dell’economia di mercato, cui niente può sfuggire: il profitto. Per la prima volta nella Storia, quindi, l’unica rivoluzione possibile può venire solo dal basso. Per la prima volta nella storia le élites, espressione di poteri più o meno palesi, che hanno sempre guidato i grandi cambiamenti, non solo sono impotenti di fronte ad una realtà che tende a sfuggire dal loro controllo, ma non vogliono accettarne le ormai facilmente prevedibili conseguenze o, perlomeno, si illudono di trovare una via d’uscita privilegiata. Solo la diffusione su scala globale di un Consumo Consapevole, infatti, potrà indurre significativi mutamenti nell’attuale Sistema di Mercato dominante, con le buone, grazie al contagio delle coscienze anche di coloro che governano la Produzione, e che cominciano a non sentirsi più immuni dalle minacce che gravano sull’umanità intera, o con le cattive, dovendo fare buon viso a cattivo gioco di fronte, ad una Domanda non più facilmente manipolabile e controllabile. Solo un Consumo Consapevole pandemico, in altre parole, potrà garantire quella sostanziale inversione di tendenza indispensabile ad assicurare la sopravvivenza del genere umano. In tutte le categorie produttive, la stragrande maggioranza di coloro che lavorano per vivere e migliorare il proprio status socio-economico, vede un solo problema: come produrre di più per consumare di più, per mantenersi al passo coi tempi. Chi non lo fa è considerato antiquato, retrogrado, contrario ad un progresso in nome del quale si è ormai disposti a sacrificare tutto. Pro-gresso, Pro-duzione, Pro-fitto: tutti termini che hanno la medesima radice etimologica pro- , cioè avanti, sempre avanti, sempre più velocemente, senza freni. E se davanti a noi vi fosse il baratro? Non faremmo che accelerare la catastrofe? Per fortuna, la schiera dei Consumatori maturi, si va facendo faticosamente, di giorno in giorno, più folta e cosciente e forse un giorno raggiungerà la Massa Critica sufficiente a frenare e ridurre alla 14 2002 © Giuseppe Iardella
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ragione una Produzione ormai preda di una cieca e, tanto folle quanto compiacente, autocontemplazione. I Protoconsumatori, coloro cioè i quali non hanno ancora raggiunto un potere d’acquisto sufficiente ad entrare nelle statistiche di vendita, questo infinito serbatoio cui la Produzione guarda come ad una miniera d’oro ancora interamente da sfruttare, e potenzialmente infinita (almeno fino a quando crescerà la popolazione mondiale), proprio in virtù della loro inerzia ed ignoranza, sono i più disposti ad accogliere passivamente ed entusiasticamente tutto ciò che la Produzione stessa propina loro. E spesso si tratta di prodotti che il cosiddetto mondo civilizzato ha espulso dal proprio circuito, perché certamente pericolosi per la salute, come il DDT o il tabacco, e che la Produzione riversa sui Paesi più svantaggiati, per non rinunciare agli ingenti profitti che ne può ancora trarre . Le condizioni di esistenza della Società pre-consumistica sono già annullate nelle condizioni di esistenza dei Consumatori. Il Consumatore è totalmente svincolato dai vecchi schemi; il suo rapporto con la famiglia, e quindi i rapporti all’interno della famiglia stessa, non hanno più nulla in comune con il modello familiare tradizionale . L’emancipazione dalla famiglia patriarcale autoritaria e centripeta ha condotto ad un modello di famiglia anarcoide e centrifuga il cui unico collante è rappresentato dalla capacità di garantire e mantenere elevati livelli di consumo. Ogni membro della famiglia trova un senso, in seno ad essa, solo in quanto apportatore di ricchezza o dissipatore della medesima. Lo stesso concetto di famiglia non è più automatico ed intuitivo. Lo schema marito/padre - moglie/madre - figli ha lasciato il posto, in un numero crescente di casi, ad una serie sorprendente di combinazioni . Ora, se questo stravolgimento è accettabile, anzi apprezzabile, quando - raramente - l’esito della ricombinazione può fornire, ad ogni componente, maggiori possibilità di raggiungimento di un buon equilibrio psico-fisico e delle proprie potenzialità individuali e sociali, diventa devastante allorché prevalgono pulsioni egoistiche, più o meno abilmente, mascherate da una pletora di doni materiali, di beni di consumo, la cui unica funzione è quella di tentare di colmare, invano, un vuoto profondo. Ed è proprio questo vuoto dilagante a creare le condizioni per il diffondersi delle variegate psicopatologie della Società dei Consumi, e della depressione in primo luogo. La Società dei Consumi ha relativizzato tutto: senso della religione, della nazione, della famiglia, della morale, della legge . Queste entità, un tempo assolute e indiscutibili, sono state smantellate in virtù degli infiniti abusi e crimini che, in mani prive di scrupoli, esse avevano promosso nel corso dei secoli, negando loro anche quello che di buono avrebbero ancora da dire . Queste entità, ormai destituite di credibilità, sono state immolate sull’altare del Consumismo che, in questo modo, è riuscito là dove il marxismo, che pure quegli obiettivi perseguiva e preconizzava , aveva clamorosamente fallito. I Consumatori possono entrare attivamente nel circuito decisionale solo acquisendo una coscienza critica (ad oggi ancora embrionale), in grado cioè, di ripensare dalle fondamenta l’intera Società . E’ vero che così facendo, rischiano di perdere tutto ciò che, di buono, credono di avere faticosamente conquistato, ma solo correndo tale rischio, sarà possibile tentare di modificare il corso degli eventi umani, e tutelare gli interessi dell’Umanità intera. Se, infatti, riuscissimo a ragionare come membri di un’unica specie e non come individui isolati, avremmo fatto un bel passo avanti, verso una visione e migliore comprensione della realtà. L’individualismo esasperato dalla Produzione, farcito di un presunto inevitabile e “naturale” darwinismo, non si avvicinerà mai, neanche lontanamente, alla piena coscienza delle conseguenze della propria rapacità. 15 2002 © Giuseppe Iardella
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La cieca ed assoluta fede nella tecnologia, causa ed effetto delle sue inimmaginabili fortune, indurrà sempre a credere che una soluzione a qualsiasi problema la si potrà pur sempre trovare e che è solo questione di soldi. L’indifferenza verso un concetto universale come l’entropia, fa della Produzione e del Consumismo, in genere, la più terribile minaccia alla sopravvivenza del genere umano. Basti, semplicemente pensare all’ipotesi futuribile che, ogni cinese ed ogni indiano adulti, utilizzino un’automobile a combustibile fossile, per provare ad immaginarne l’impatto sull’ecosistema terrestre! Ma poiché un Mondo a bassa entropia sarebbe intrinsecamente inconciliabile col Modello Consumistico fondato sul profitto, non si può neanche pretendere che coloro che governano la Produzione, e che grazie a questo modello hanno raggiunto e accresciuto il loro potere e la loro ricchezza, lo comprendano e lo accettino . Equivarrebbe al collasso dell’attuale sistema economico globale. Ora, poiché i veri Produttori - cioè coloro che detengono una tale fortuna economica da non poterla intaccare neanche consumando a ritmi folli - sono una frazione infinitesimale dell’intera popolazione umana, e i Consumatori - cioè coloro che di quelle fortune non partecipano affatto se non come ignari artefici - sono la stragrande maggioranza, ecco che una coscienza critica da parte di questi, non può svilupparsi senza che salti per aria l’intera sovrastruttura degli strati che formano la Società dei Consumi. In altre parole, soltanto chi ha meno da perdere oggi, proprio potendo rinunciare più facilmente a ciò che, di materiale, possiede, potrà salvare se stesso, ma soprattutto i propri figli e i figli dei loro figli, (e con questi i figli ed i nipoti dei Produttori) consegnando loro un pianeta rigenerato. L’azione dei Consumatori contro la Produzione è, inizialmente, un’azione nazionale, anche se non sostanzialmente, certo formalmente. E’ naturale che i Consumatori di ciascun Paese debbano anzitutto sbrigarsela con le espressioni nazionali della Produzione. Tuttavia l’avvento della globalizzazione ha spostato il rapporto fra Produzione e Consumo, su un piano sempre più internazionalizzato. Anche in questo caso, l’internazionalismo del W.T.O., del F.M.I., della Banca Mondiale e dell’O.C.S.E. hanno avuto la meglio su quello di stampo marxista. Fino ad oggi, tranne rare eccezioni, tutti i passaggi epocali, a qualsiasi livello, locale, nazionale e internazionale, sono stati segnati da fasi di più o meno conclamata violenza. La storia ci insegna che la violenza, per quanto forte possa essere la tentazione di farvi ricorso, come ad una scorciatoia, in vista di fini, anche i più nobili, genera, inevitabilmente violenza. La storia ci insegna anche che da ogni rivoluzione, consegue una reazione, o almeno un riflusso, che vanno a frenare o modulare l’accelerazione improvvisa e spesso disordinata, impressa dalla rivoluzione stessa. La Produzione ha, almeno dopo la decolonizzazione, accuratamente evitato il ricorso all’uso della forza manifesta per entrare e radicarsi nei nuovi mercati, ma piuttosto si è avvalsa di mezzi di manipolazione delle coscienze (mass media, pubblicità…), solo fisicamente meno violenti, ma sicuramente più efficaci, e con questi stessi potentissimi strumenti ha ricolonizzato il Mondo intero, sotto la bandiera dello Sviluppo. Lo Sviluppo, ecco la parola magica che muove ogni azione, in forza del quale si fanno e disfanno governi. La circostanza che la Produzione si sia convertita a politiche di penetrazione più soft, almeno nella forma, non deve indurci a credere che abbia accettato i principi di democrazia e libertà scaturiti dalla Rivoluzione Francese ed ormai ritenuti irrinunciabili. Ecco che, quindi, alla radice di ogni strategia che voglia opporsi efficacemente alla Produzione, non può e non deve esservi alcuna forma di violenza, perché questa ne legittimerebbe , come è sempre accaduto, l’automatica repressione. 16 2002 © Giuseppe Iardella
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Ogni società si è basata, fino all’esplosione del Consumismo, sul contrasto fra classi di oppressori e classi di oppressi. Ma per poter opprimere una classe, le debbono essere assicurate condizioni entro le quali essa possa per lo meno stentare la sua vita di schiavitù. Il servo della gleba, lavorando nel suo stato di servo della gleba, ha potuto elevarsi a membro del comune, come il cittadino minuto, lavorando sotto il giogo dell’assolutismo feudale, ha potuto elevarsi a borghese. Oggi questo schema è praticamente saltato. L’attuale Consumatore passivo, invece di emanciparsi man mano che la Produzione progredisce, affonda sempre di più nella dipendenza che questa gli ha cucito addosso. Il Consumatore diventa come un tossicodipendente, e la dipendenza si sviluppa più rapidamente delle difese che la società civile può tentare di opporvi. Da tutto ciò appare manifesto che la Produzione è in grado di rimanere ancora più a lungo l’élite dominante della Società e di imporre alla Società il modello di vita prestabilito e precotto, come legge regolatrice. E’ capace di dominare, perché è capace di garantire l’esistenza più appetibile al proprio schiavo entro la sua schiavitù, perché gli offre, su un piatto d’argento, una situazione, al di fuori della quale, esso è assolutamente incapace di sopravvivere. La società non può più fare a meno del modello (consumistico) imposto dalla Produzione, ma per quanto tempo ancora questo modello sarà compatibile con la sopravvivenza del genere umano sul nostro pianeta? La condizione più importante per l’esistenza e per il dominio della Produzione è l’accumularsi della ricchezza nelle mani di un numero sempre più esiguo di soggetti privati, la formazione e la moltiplicazione della ricchezza; condizione della ricchezza è l’inesauribilità del bacino di utenza cioè il Consumo globale. Il Consumo globale, una volta raggiunte le condizioni minime di sopravvivenza, poggia esclusivamente sull’egoismo edonistico. Il progresso dell’industria, attivamente promosso dalla Produzione, l’offerta incessante di prodotti innovativi e rivoluzionari in grado di catturare, almeno l’attenzione del Consumatore, tendono a sganciarlo dal corpo sociale, contribuendo ad accrescere il tasso complessivo di incomunicabilità fra gli individui, sempre più simili a dei protisti eterotrofi che a cellule specializzate costituenti un complesso organismo superiore . Con lo sviluppo della grande industria in Paesi a sindacalizzazione zero, dunque, la Produzione raggiunge la tanto ricercata quadratura del cerchio, e la sua avanzata si fa irresistibile. E’ del tutto illusorio ipotizzare il tramonto della Produzione e il sopravvento dei consumatori: sono eventi irrealizzabili alle attuali condizioni. Di ineluttabile, e quindi di sicuro, c’è solo la facile previsione che il Modello Consumistico Dominante collasserà quando l’ecosistema terrestre non sarà più in grado di sostenere gli attuali ritmi di Sviluppo, e di segnali premonitori ne abbiamo già avuti parecchi. La Produzione fa orecchi da mercante, anzi rilancia, puntando sull’aumento dei consumi come unica condizione per tenere in piedi il Sistema. Ed in effetti è così: il sistema è talmente fragile, che una flessione significativa dei consumi (= stagnazione e poi recessione), minaccia concretamente di far crollare tale castello di carte , spazzando via le economie squilibrate di interi Paesi. Per evitare tutto ciò, come abbiamo visto, esiste una sola possibilità nelle mani dell’Uomo: un rapido processo di crescita esponenziale e maturazione della consapevolezza di un numero sufficiente di Consumatori, che dalla loro immensa base costringano la Produzione, mediante gli stessi strumenti tecnologici che essa ha fornito, senza il ricorso ad alcun tipo di violenza, a rivedere e rivoluzionare l’approccio di fondo alla realtà di un pianeta, che da troppo grande, sta diventando rapidamente troppo piccolo. 17 2002 © Giuseppe Iardella
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2. Consumatori e Consumatori Consapevoli In che rapporto sono i Consumatori Consapevoli con i Consumatori in genere? I Consumatori Consapevoli non sono un partito particolare di fronte agli altri movimenti di Consumatori. I Consumatori Consapevoli non hanno interessi distinti dagli interessi di tutti i Consumatori. I Consumatori Consapevoli, tuttavia, propongono principi fondamentali sui quali vogliono modellare i movimenti, anzi il Movimento dei Consumatori. I Consumatori Consapevoli si distinguono dagli altri anche per il fatto che, da una parte essi mettono in rilievo e fanno valere gli interessi comuni, indipendenti dalla nazionalità, dell’intero genere umano, nelle varie rivendicazioni nazionali dei Consumatori; e dall’altra per il fatto che sostengono costantemente l’interesse del Movimento complessivo, attraverso i vari stadi di sviluppo percorsi dall’interazione dinamica fra Consumo e Produzione. Quindi, in pratica, i Consumatori Consapevoli sono la parte progressiva più risoluta dei movimenti di Consumatori e, quanto alla teoria, essi hanno il vantaggio sulla restante massa dei Consumatori, di comprendere le condizioni, l’andamento e i risultati generali del Movimento dei Consumatori. Lo scopo intermedio dei Consumatori Consapevoli non sembra essere lo stesso di tutti gli altri Consumatori: estensione del Consumo Consapevole, annullamento del dominio della Produzione, democratizzazione della globalizzazione da parte dei Consumatori (= globalizzazione dal basso). Lo scopo finale dei Consumatori Consapevoli è la conservazione e la tutela dell’Umanità intera. Il Consumatore passivo, si illude di operare in piena autonomia le sue scelte, ma non si rende conto di comportarsi , in realtà, da schiavo volontario, è disposto cioè a rinunciare alla propria libertà in cambio di beni (o servizi) di consumo nuovi e sempre più attraenti. L’unico atto, di una volontà ormai fiaccata e manovrata, è quello di scegliere fra uno o l’altro prodotto da fare proprio. L’apparente diversità di prospettiva e profondità fra la visione dei Consumatori Consapevoli e quella degli altri Consumatori, può essere compresa solo tenendo conto della sostanziale miopia di questi, mutuata dalla miopia strutturale della Produzione. Le proposizioni teoriche dei Consumatori Consapevoli non poggiano affatto su idee o princìpi inventati da questo o quel riformatore del mondo, ma semplicemente sull’osservazione della realtà e su una capacità previsionale potenziata immensamente dallo stesso progresso tecnologico sponsorizzato dalla Produzione, quello stesso progresso che è già in grado di fornire ai Consumatori Consapevoli i più formidabili e temibili strumenti di contrasto alla Produzione. Esse sono semplicemente espressioni generali di una realtà esistente, di un movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi. L’abolizione della Società dei Consumi, per come abbiamo imparato a conoscerla, non è qualcosa di distintivo peculiare del Consumo Consapevole. L’evoluzione stessa dei consumi è frutto di continui cambiamenti storici e di continue manipolazioni della storiografia. Per esempio la scoperta dell’America segnò il passaggio da una sostanziale economia di sussistenza ad un economia di mercato. Ma anche la mitizzazione di personaggi o periodi storici, soprattutto attraverso i mass media, è spesso funzionale alla commercializzazione di nuovi prodotti. E quanto più un bene o servizio è distante dai bisogni fondamentali, tanto più necessita di un martellante bombardamento pubblicitario. In quest’ottica l’uso strumentale della storia è una delle leve più efficaci per attirare l’interesse dei consumatori. Quel che contraddistingue il Consumo Consapevole, non è l’abolizione del Consumo tout-court, bensì la critica del Modello Consumistico imposto dalla Produzione.
18 2002 © Giuseppe Iardella
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Tale modello, che identifica nell’Uomo il Consumatore, cioè il mezzo attraverso il quale poter realizzare imprese economiche potenzialmente illimitate, si fonda su tre pilastri fondamentali, strettamente connessi fra loro: PROFITTO
PROGRESSO
SVILUPPO
Dove il Progresso passa esclusivamente attraverso le due forme canoniche di innovazione: l’innovazione di processo e l’innovazione di prodotto; la prima mira ad agevolare ed ottimizzare la produzione, cioè ad aumentare il rendimento attraverso la riduzione dei costi (in questo senso l’accesso alla manodopera a basso costo dei Paesi in via di sviluppo, assume la valenza di un’innovazione di processo per quella Produzione che non vuole investire in tecnologia, giudicando questa via, nel breve periodo, troppo onerosa); la seconda invece attinge alla miniera delle idee per offrire ai Consumatori nuovi prodotti, preferibilmente di larghissimo consumo, e di basso costo, a ritmi sempre più incalzanti (e qui il design e la creatività esprimono al meglio tutte le loro potenzialità). Lo Sviluppo dal punto di vista della Produzione non è altro che la capacità di creare ricchezza mediante il consumo di beni e servizi. Niente di male in tutto ciò, se non fosse che lo Sviluppo di un qualsiasi Paese è strettamente connesso con la deriva speculativa dei Mercati finanziari mondiali e con l’andamento incostante del Mercato delle materie prime (soprattutto fonti energetiche non rinnovabili come i combustibili fossili). Ora, mentre i primi sono sostanzialmente controllati dalla Produzione, tramite i vari fondi di investimento e grazie ad una disponibilità finanziaria pressoché illimitata, nonché dalle valutazioni oracolari delle potentissime agenzie di rating, il secondo è regolato dall’OPEC, ed essendo l’OPEC composta in buona parte da Paesi in via di Sviluppo, spesso retti da regimi illiberali, sfugge ancora ( ufficialmente ) al pieno controllo della Produzione. E’ evidente quindi come tale concetto di sviluppo sia poco influenzabile dalle politiche nazionali, soprattutto se queste non si muovono nel senso della corrente indicata dalla Produzione. (Il Mercato delle armi è altrettanto importante che gli altri, ma essendo eticamente poco presentabile, ha un suo andamento parallelo e carsico: in pratica viene gestito da o tramite i governi nazionali). Sul Profitto non c’è molto da dire, è autoreferenziale: a qualsiasi livello, ogni azione estranea al consumo, priva di una prospettiva di profitto è anche automaticamente priva di senso. Questo dogma ormai è entrato nelle coscienze e sarà estremamente arduo anche solo metterlo in discussione. A tal proposito, però, il tempo degli Uomini sarebbe diviso in due grandi comparti relativamente distinti : - il tempo del negozio cioè quello in cui si tende ad accrescere l’avere, - il tempo dell’ozio cioè quello in cui si tende ad accrescere l’essere; 19 2002 © Giuseppe Iardella
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dall’equilibrio individuale di questi due momenti dipende lo status psico-fisico della persona . Ora, se ogni azione deve avere come suo fine o il profitto o il consumo (= avere), ecco che al tempo dell’ozio non restano che le briciole di un’esistenza profondamente sbilanciata. Questa è, in fondo, la chiave di lettura per comprendere, la dilagante sicopatologia della vita quotidiana, ed anche il diffondersi di nuove entità morbose ad andamento epidemico: l’Uomo attuale è il frutto di milioni di anni di evoluzione, in un habitat e in ritmi naturali non influenzabili dalla sua volontà; adesso che, in tempi evoluzionisticamente insignificanti, sia l’habitat che i ritmi sono stati da esso stesso stravolti, questo non è attrezzato per adattarvisi in un periodo così breve . E forse neanche il pianeta Terra, malgrado l’ipotesi Gaia voglia credere e far credere il contrario. I tre cardini dunque dell’attuale Modello Consumistico (Progresso-Sviluppo-Profitto), si sostengono reciprocamente in un circolo virtuoso/vizioso che se interrotto porterebbe alla crisi dell’intero Sistema. Non è dato infatti Progresso senza il reinvestimento di almeno parte del Profitto, né Sviluppo senza l’incremento dei consumi stimolato dall’immissione sul Mercato di nuovi, migliori e/o meno costosi beni e servizi frutto dell’innovazione (=Progresso), né tanto meno Profitto senza Sviluppo, ma ciò è del tutto ovvio. Ma il Consumismo attuale non è che l’ultima e la più perfetta espressione della Produzione che poggia sul primato del profitto e sullo sfruttamento degli uni da parte degli altri, e per questo è anche la più perversa . Perfetta perché, grazie ai meccanismi della competizione e della concorrenza, mutuati dalla darwiniana lotta per la sopravvivenza, è stato possibile imprimere alla tecnologia applicata un’accelerazione iperbolica tale da minimizzare la fatica sia fisica che psichica. Perversa perché i suoi motori primi, l’avidità ed il profitto totem potentissimi non tollerano ostacoli di sorta e sul loro altare sempre più spesso viene immolato ciò che di più prezioso esiste e resiste: la vita. Tanto più perversa se si considera che, se , come si diceva, ai consumatori è stato usurpato il libero arbitrio sull’essenza delle cose, lasciando solo quello sulla forma, anche i Produttori più potenti non possono sfuggire a tale realtà, anche loro, in altre parole, sono schiavi dello stesso modello che hanno creato o hanno contribuito a sviluppare. Neanche i più inarrivabili Produttori si possono sottrarre alle loro regole spietate, che rendono l’umanità sempre più simile al mondo degli insetti; essi, élite di novelli Frankenstein hanno creato un mostro che non sono più in grado di controllare . L’ultimo paradosso del progresso tecnologico consiste nel creare una realtà virtuale, che vuole riprodurre fedelmente, e ci offre, ambienti naturali e selvaggi di ogni tipo, da vivere comodamente in casa propria, quando contemporaneamente gli originali sono devastati in nome dello Sviluppo. Si vuole imitare il Creato, ignorandone e calpestandone i delicati equilibri, e la meravigliosa complessità. Un battito d’ali di farfalla in Amazzonia può scatenare un uragano in mezzo all’Oceano. Ecco perché i Consumatori Consapevoli possono riassumere la loro teoria nella frase: abolizione del Consumismo, non dei consumi in sé, ma della strumentalizzazione indiscriminata che ne è stata fatta dalla Produzione. Ci si rinfaccerà che vogliamo abolire il welfare state, che vogliamo cancellare tutte quelle piccole e grandi sicurezze e comodità, frutto di decenni di lavoro diretto e personale, di lotte sindacali, di conflitti sanguinosi, di impegno politico e sociale, di quelle condizioni di vita che per un cittadino del Primo Mondo sono ormai irrinunciabili. 20 2002 © Giuseppe Iardella
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Non c’è bisogno che le aboliamo noi, le ha già abolite e le va abolendo di giorno in giorno la stessa Produzione brandendo le solite bandiere di Progresso, Sviluppo, e Profitto. Mobilità e Flessibilità sono le keywords del nuovo mercato del lavoro. E chi, flessibile e mobile, non può o non può più esserlo? Le imprese in rosso, devono essere lasciate morire, per il bene del Sistema Paese, perché solo così l’economia potrà crescere e riagganciarsi al treno dei Paesi più ricchi. Ma le imprese sono fatte di uomini e, se una piccola parte di questi, ha le forze ed i mezzi intellettivi sufficienti a far di necessità virtù, la maggior parte di loro cadrà in uno stato di prostrazione e disperazione tale da far sembrare la morte ( e non solo la propria ) una liberazione. D’altra parte è del tutto anacronistico condurre battaglie sindacali di vecchio stampo, a colpi di scioperi più o meno generali, è come un cane che si morde la coda: più si sciopera, meno si produce, meno si produce, più si esce dal Mercato, e una volta usciti dal Mercato rientrarci diventa un miracolo. Anche qui la Produzione ha trionfato, non solo ha spuntato l’unica arma storica in mano ai cosiddetti salariati, ma ha incatenato i loro destini ad una competitività ardua da mantenere lavorando a ritmi forzati, figuriamoci in presenza di agitazioni sindacali! Ci si rinfaccerà che vogliamo abolire l’unica possibilità, a portata di mano, per realizzare il terzo dei diritti dell’uomo , secondo la dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America (dopo la vita e la libertà) : la ricerca della felicità. Ma la società dei consumi, il Consumismo, è davvero in grado di mantenere una simile promessa? Niente affatto! Il Consumismo crea, da un lato, solo l’illusione della felicità, una sensazione, nella migliore delle ipotesi, del tutto simile a quella che si prova dopo aver fagocitato un doppio menù completo in un fast food, e che non tiene in alcuna considerazione i rifiuti che produce, se non per il business indotto dal loro trattamento (=occultamento?), dall’altro lato ricchezza infinita per la Produzione che la riutilizza, sia per moltiplicare l’offerta, che per tirare le fila dei mercati finanziari. La Produzione , nella sua forma attuale, si muove , in effetti, su tale doppio binario. Il treno della Produzione, non può accumulare ritardi, viaggia sempre a tutta velocità, e quando sembra che accusi una battuta di arresto, non è altro che una fase fisiologica di assestamento del Sistema turbato da circostanze non completamente e/o correttamente previste. Dalla crisi del ’29, la Produzione ha imparato la lezione ed ha compreso soprattutto che se il mercato non tira, deve essere in qualche modo, da qualche parte, creato ed eventualmente drogato. Ma il Consumismo, non è frutto dell’azione univoca della Produzione: esso è una realizzazione collettiva, e può essere messa in moto solo mediante un’attività comune di molti membri, anzi, in ultima istanza, solo mediante l’attività comune di tutti i membri della società. Dunque il Consumismo non è una potenza personale: è una potenza sociale. Dunque se il Consumismo viene radicalmente trasformato in un modello socio-economico alternativo proposto e promosso dal basso, che abbia a cuore il futuro dell’Umanità, non è la fine del Mondo, ma solo la fine di quello che molti erroneamente ritengono il migliore possibile, è anzi l’inizio di un nuovo Mondo, di una nuova Società, che possa finalmente fare tesoro degli errori (anche mostruosi) del passato, semplicemente ponendovi al centro, non più il profitto ma l’Uomo. Veniamo ora al potere d’acquisto. Il potere d’acquisto coincide col valore intrinseco di mercato di ogni consumatore, o semplificando per approssimazione, di ogni categoria di consumatori . Esso consiste nella quantità di denaro reale e virtuale (= potenziale) che il consumatore è in grado di mobilizzare. Nel potere d’acquisto è insito il concetto di negazione del risparmio, inteso come immobilizzazione inerte di liquidità. Il meccanismo dell’inflazione, mira proprio ad azzerare la possibilità dell’esclusione di risorse dal circuito economico. 21 2002 © Giuseppe Iardella
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Il reddito proveniente da lavoro dipendente (salariato) o autonomo (non fa più alcuna differenza), deve essere rimesso rapidamente in circolazione, sia sotto forma di consumi che sotto forma di risparmio gestito. Ridotto da tempo, ormai, il tradizionale deposito bancario (c/c, libretto di risparmio…) al minimo utile di cassa, snobbati i titoli di stato e gli obbligazionari (salvo poi rifugiarvisi nei periodi dell’orso ), sembra che nessuno resista al richiamo delle potenziali mirabolanti performances dei nuovi prodotti finanziari. Poco importa se questi presentano profili di rischio assimilabili al gioco d’azzardo. Quello che conta è l’emozione della prospettiva di un tanto incredibile quanto rapido rendimento. E se le cose non vanno per il verso giusto, rimane la magra consolazione di essere in buona compagnia di migliaia di altri Pinocchi. Noi non vogliamo affatto abolire le emozioni: è su di esse che, in definitiva, si fonda il sapore della vita! Noi vogliamo eliminare soltanto il carattere perverso e distruttivo di quelle emozioni che affondano le loro velenose radici, non sull’essere, ma sull’avere . (E avere subito, saltando a piè pari la fase più piacevole, quella che coltiva il desiderio nell’attesa della sua realizzazione concreta). La Produzione non può accettare una tale concezione del piacere, che comporterebbe un’imperdonabile battuta d’arresto nei propri programmi. Ecco quindi svilupparsi in maniera ipertrofica la Grande Distribuzione, il megastore , l’Ipermercato, quale luogo di risposte immediate alla nostre domande, anche quelle che non abbiamo neanche immaginato. Naturalmente direttrici chiave del Progresso sono la ricerca e lo sviluppo di modalità sempre più efficienti e accattivati di distribuzione come l’e-commerce, figlio legittimo del WWW . Nell’attuale società il Consumo, benessere a parte, è soltanto un mezzo per moltiplicare la ricchezza. Con l’auspicato avvento del Consumo Consapevole, questo sarà soltanto, nonostante l’apparente regressione, un mezzo per ampliare, arricchire e far progredire realmente la qualità della vita di un numero crescente di esseri umani, nel rispetto reciproco e di quello dell’ecosistema terrestre. Dunque nella Società dei Consumi il presente domina sul futuro, con il Consumo Consapevole il futuro, se vogliamo che ce ne sia uno, dovrà dominare il presente. Nella Società dei Consumi la Produzione è indipendente e personale, anche se spesso poco identificabile, mentre il Consumatore è, non solo dipendente e impersonale, ma anche massificato in riduttivi (ma semplificati) dati statistici. E la Produzione chiama abolizione dello Sviluppo e della libertà l’abolizione di questo rapporto! E a ragione : infatti, si tratta dell’abolizione dello Sviluppo e della libertà della Produzione. Entro gli attuali rapporti socio-economici per libertà si intende il libero commercio, la libera compravendita. Ma scomparso il Consumismo, scompare, perché perde significato, anche il libero traffico. Le frasi sul libero traffico, come tutte le altre bravate sulla libertà della Produzione, hanno senso in genere, soltanto rispetto al traffico regolamentato, rispetto al cittadino legato al consumo di beni nazionali; ma non hanno senso rispetto alla abolizione della attuale Società dei Consumi, dei rapporti fra Produzione e Consumo su scala globale . Voi inorridite perché vogliamo abolire il diritto all’aspirazione ad un livello di vita più elevato. Ma nella Società attuale, il livello di vita, basato pesantemente sul consumismo, è solo apparentemente migliorato, e per una percentuale statisticamente insignificante di persone (forbice Nord-Sud). Il lusso per pochi esiste proprio per il fatto che per la stragrande maggioranza non esiste, anzi , per moltissimi non sussistono neanche le condizioni minime di sopravvivenza. 22 2002 © Giuseppe Iardella
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Dunque voi ci rimproverate di voler abolire un modello che presuppone come condizione necessaria la privazione delle pari opportunità dell’enorme maggioranza della società. In una parola, voi ci rimproverate di voler abolire tali abnormi sperequazioni socio-economiche . Certo, questo vogliamo. Appena il consumo non può più essere trasformato in circolazione di ricchezza, in denaro, insomma in una potenza semplificata largamente monopolizzabile cioè appena la proprietà personale non può più convertirsi in sviluppo, voi dichiarate che è abolita la persona. Dunque confessate che per persona non intendete nient’altro che il consumatore prono . Certo questa persona dovrebbe scomparire . Il Consumo Consapevole non toglie a nessuno il potere di appropriarsi dei prodotti della società, toglie soltanto a tale potere le connotazioni egoistiche che ha maturato con l’esplosione del Consumismo. E che cos’è il Consumismo se non il credere o far credere indispensabile il superfluo? Si è obiettato che con l’abolizione del Consumismo , cesserebbe lo Sviluppo e prenderebbe piede l’abominio della recessione. Ma la recessione è già strisciante nei Paesi del Nord sviluppato, se per ridurre i costi di produzione si lasciano senza occupazione milioni di lavoratori che non potranno sostenere adeguati livelli di consumo. Se la recessione non è ancora palese, è grazie alle sempre più esigue riserve, minate peraltro dalle alterne vicende dei mercati finanziari. In realtà recenti, campagne pubblicitarie sui mass-media, incoraggianti il consumo per sostenere lo sviluppo, ne sono il sintomo più appariscente: non più, e non solo la normale pubblicità al singolo prodotto, ma la pubblicità-ricatto all’azione indiscriminata di spendere al fine di mantenere un insostenibile status-quo. Ma è solo una disperata azione di retroguardia: le avanguardie della Produzione hanno già spostato il loro sguardo interessato sui mercati asiatici (e, in parte, latino-americani ), con potenzialità immense e tassi di sviluppo ben più promettenti . Tutto lo scrupolo sbocca nella tautologia che senza consumo non c’è più sviluppo, e quindi benessere. Tutte le obiezioni che vengono mosse al Consumo Consapevole, sono estese a qualsiasi manifestazione dell’intelletto che metta in discussione il Modello Consumistico. Come se al di fuori di questo non potesse essere concepito altro modello. E quindi senza Consumismo niente Umanità. Ma quell’Umanità la cui scomparsa, con l’abolizione del Consumismo, si paventa, è in realtà, mortalmente minacciata proprio dall’avanzata del Consumismo stesso . Ma non discutete con noi misurando l’abolizione del Consumismo sul modello delle vostre idee di libertà, cultura, diritto e così via. Le vostre idee stesse sono la risultante consolidata delle istanze promosse dalla Produzione, come il vostro diritto è soltanto la volontà della Produzione assurta a legge, volontà il cui contenuto è dato dalle condizioni di espansione infinita del vostro modello di società. Voi condividete con tutte le élites tramontate quell’idea interessata mediante la quale trasformate in eterne leggi della natura e della ragione, da principi storicamente determinati, contingenti e di recentissima acquisizione quali sono i vostri principi di governo del Pianeta. Non vi è più permesso di comprendere, per la Società Consumistica, quello che comprendete per la società antica e feudale . L’ebbrezza di potere illimitato di cui vi compiacete, vi obnubila la mente e vi impedisce di vedere oltre il vostro naso, malgrado il monito di mille e mille Cassandre. Abolizione della famiglia ! Anche i più omologati al sistema si risvegliano davanti a questo ignominioso effetto collaterale del Consumismo. 23 2002 © Giuseppe Iardella
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Sì, perché, come abbiamo già visto, la disgregazione della famiglia, intesa come nucleo costitutivo della Società è un prodotto derivato del Consumismo stesso che non ha saputo o potuto proporre in tempo reale un modello associativo fondamentale sufficientemente valido . Su che cosa si basa la famiglia nella Società dei Consumi ? Sul consumo, e sulla capacità di incrementare la propria quota di consumi. Una famiglia completamente sviluppata esiste soltanto per coloro che sono in grado di mantenere, o ambire a raggiungere, elevati standard di consumi; ma essa ha il suo complemento nella coatta tendenza alla disgregazione familiare dei meno abbienti e nella pubblica prostituzione, nel senso più ampio del termine. Entrambe le famiglie tendono tuttavia a dissolversi con la scomparsa del Consumismo . E, comunque, la difficoltà di gestire una famiglia, oggi, è tale da richiedere un’intelligenza ed uno spirito ben superiori alla media, livellati però sempre più in basso dall’effetto ipnotico dei massmedia. Ci rimproverate di voler ristabilire il principio di autorevolezza sui figli? Confessiamo questo delitto. Ma non di autoritarismo, bensì di quell’autorevolezza, derivante dal buon esempio che ormai anche i pedagogisti più avanzati hanno rivalutato come cardine, insieme all’amore e alla giustizia, di un’educazione equilibrata e matura . La vostra educazione invece non è rigorosamente segnata dalla Società dei Consumi? Non è pesantemente determinata dai rapporti sociali, condizionati dal livello di consumo, entro i quali voi educate, e dalla interferenza più o meno diretta della società mediante una scuola sempre più spinta alla specializzazione e alla formazione, non più e non tanto dell’individuo nella sua compiutezza e maturità, ma del lavoratore-consumatore ben integrato nel Sistema ? I Consumatori Consapevoli devono fondare un nuovo modello pedagogico, familiare prima ed anche scolastico poi, che strappi le nuove generazioni all’influenza nefasta del Modello Consumistico, e che infonda negli adolescenti un profondo senso di appartenenza e di responsabilità nei confronti della vita. L’attrazione fatale che esercitano le sempre più sofisticate realtà virtuali, porta con sé , insieme al distacco dalla realtà vera, i germi dell’alienazione e dell’autodistruzione. La ricerca continua di emozioni artificiali, nel vano tentativo di sentirsi più vivi, rischia di provocare l’esperienza estrema della morte, propria e/o altrui, come non plus ultra emotivo. L’oleografia propinata dalla pubblicità sulla famiglia felice, sull’affettuoso rapporto fra genitori e figli, diventa tanto più nauseante, quanto più, per effetto del Consumismo, si lacerano, senza scrupoli, tutti i vincoli familiari, e i figli trasformati in semplicistici alibi per i fallimenti dei genitori si riducono a vuoti recipienti in cui riversare i surrogati materiali dell’assenza di questi . E che dire allora dell’altra metà del cielo ? Di quell’universo femminile la cui presunta emancipazione ha portato, più che altro, ad un’identificazione sempre più sostanziale con il modello maschile? Se qualcuno ha voluto creare il neologismo antropocene per identificare il periodo storico in cui il pianeta ha iniziato a modificarsi a causa dell’azione dell’Uomo, sarebbe più corretto usare il termine androcene, considerata l’assoluta predominanza degli uomini sulle donne nei processi decisionali di scala. Volendo operare una efficace semplificazione della realtà attuale, potremmo ricorrere al simbolismo orientale, e modificare il logo tradizionale del Tao, nel quale campeggia l’equilibrio ( inteso come ideale cui tendere ) fra i due principi relativi Yang e Yin
24 2002 © Giuseppe Iardella
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E’ evidente che lo yin è stretto sempre più all’angolo da uno yang che, ormai, deborda prepotentemente anche all’interno dello stesso yin . Ma è altrettanto evidente che, solo grazie ad una radicale inversione di tendenza, che incoraggi e privilegi le, ancora pressoché intatte, potenzialità yin, l’Umanità potrà ritrovare un equilibrio già pericolosamente compromesso . Per semplificare meglio i concetti, prendendo a prestito un principio chiave della termodinamica, si può affermare che lo yang ha un alto contenuto entropico, mentre lo yin esprime una realtà a bassa entropia . Dove per entropia si voglia intendere, in parole povere, la tendenza allo spreco e alla dissipazione di energia. Se quindi il Consumismo è yang (= alta entropia), il Consumo Consapevole sarà yin (= bassa entropia). Ne deriva che il 1° principio fondamentale per un Consumo Consapevole sia così formulato: “Il futuro dell’Uomo è indissolubilmente legato ad una profonda conversione da yang a yin del vettore della Storia “. E la consapevolezza la si può raggiungere solo fermandosi a guardare bene fuori e dentro di noi. Inoltre si è rimproverata ai Consumatori Consapevoli una grande ambiguità nei confronti della globalizzazione: “ ne rifiutate gli svantaggi ma non rinunciate ai suoi vantaggi “. E’ vero e ciò ha generato, fra l’altro, il concetto ibrido di glocal come di un modello che scaturisca dalla mediazione fra le grandi possibilità offerte dal mercato globale e le esigenze naturali, sociali e storiche delle realtà locali. Ma la Storia ci insegna che i grandi processi di omologazione hanno sempre visto il prevalere della cultura dominante. Tuttavia è proprio grazie al progresso tecnico-scientifico indotto dal Consumismo, che i Consumatori possono puntare alla necessaria consapevolezza. I Consumatori, per la Produzione, non hanno Patria. La globalizzazione dei prodotti ha fatto sì che ogni consumatore appartenga al medesimo Mercato mondiale unificato: i prodotti, i linguaggi informatici, la lingua commerciale sono ormai gli stessi su tutto il pianeta. All’unificazione del Mercato globale manca solo il traguardo della moneta unica (anche se in pratica lo è già il dollaro USA). L’unificazione politica è qualcosa di più lontano, forse utopistico, ma in fondo non è così indispensabile, anzi … 25 2002 © Giuseppe Iardella
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Ma ogni Consumatore fa continuamente riferimento al suo sistema Paese, alla sua nazione, alla sua etnia, alla sua cultura locale, alla sua lingua, alla sua religione, alla sua comunità . Insomma esso è parte integrante di una realtà più o meno estesa dalla quale non può prescindere, pena l’estraniazione . E’ proprio da questa realtà, che coincide con l’ultimo livello della distribuzione, che il consumatore può, e deve, iniziare la sua opera . La quale ha come obiettivo intermedio il raggiungimento della massa critica, che , riferita alla popolazione umana, non è un concetto (peraltro mutuato dalla fisica) magico o pseudo-magico, ma è l’acquisizione della consapevolezza da parte di un numero di Consumatori sufficiente a determinare le scelte della Produzione (2° principio fondamentale del Consumo Consapevole) . Tale numero può riguardare il singolo prodotto, ed allora è inversamente proporzionale al suo valore di mercato ma può e deve investire il concetto stesso di Consumo, capovolgendone il senso, ed allora è direttamente proporzionale alla profondità e radicalità del mutamento voluto . E per questo, il campo privilegiato d’azione è, oggi come oggi, quella che qualcuno ha voluto chiamare la rete delle coscienze, cioè INTERNET. Lo sfruttamento di una nazione da parte di un’altra viene abolito nella stessa misura in cui la Produzione è costretta a mutare. Non meritano di essere discusse in particolare le accuse che si muovono al Consumo Consapevole da punti di vista storici, filosofici, sociologici e ideologici in genere. C’è forse bisogno di una intelligenza superiore per capire che anche le idee, le opinioni e i concetti, insomma, anche la coscienza degli uomini, cambia col cambiare delle loro condizioni di vita, delle loro relazioni sociali, della loro esistenza sociale? Cos’altro dimostra la storia delle idee, se non che la produzione intellettuale si trasforma assieme a quella materiale? Le idee dominanti di un’epoca sono sempre state soprattutto le idee delle élites dominanti . Si parla di idee che rivoluzionano un’intera società ; con queste parole si esprime semplicemente il fatto che entro la vecchia società si sono formati gli elementi di una nuova, e che la dissoluzione delle vecchie idee procede di pari passo con la dissoluzione dei vecchi rapporti d’esistenza. Quando il mondo antico fu al tramonto, le antiche religioni furono vinte dalla religione cristiana. Quando, nel secolo XVIII, l’intera struttura socio-economica, permeata nel bene e nel male dal cristianesimo applicato, fu messa in discussione dalle idee dell’illuminismo, la società feudale dovette combattere la sua ultima lotta contro la borghesia allora rivoluzionaria. Le idee della libertà di coscienza e della libertà di religione furono soltanto l’espressione del dominio della libera concorrenza nel campo della coscienza. Ma, si dirà, certo che nel corso dello svolgimento storico, le idee religiose, morali, filosofiche, politiche, giuridiche si sono modificate. Però in questi cambiamenti l’idea di religione, di morale, di filosofia, di politica e di diritto si è sempre conservata. Inoltre vi sono verità storicamente acquisite, come la libertà, la giustizia, l’eguaglianza dei diritti , le pari opportunità che sono comuni a tutti gli stati delle società dei Paesi sviluppati. O meglio, queste verità, conquiste dell’illuminismo, che ci si illude siano ormai acquisite dalle società avanzate, sono sempre di più l’ombra di se stesse. Così come lo è il sistema democratico, pallida immagine di un suffragio popolare universale fiacco e distratto, rappresentativo ormai solo di una frazione dell’elettorato, che si riduce progressivamente con la crescente percezione dell’asservimento della politica all’economia . La gestione della realtà, infatti, è appannaggio di una Produzione che, ob torto collo, tollera i regimi democratici, concedendo spazi decisionali residuali, più apparenti che reali, come si getta l’osso al cane per farlo star buono, ed al contempo flirta con governi autoritari, più facilmente addomesticabili. D’altra parte produttività ed efficienza non vanno d’accordo con pluralismo e autonomia di giudizio. 26 2002 © Giuseppe Iardella
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Ma il Consumo Consapevole vuole salvare e recuperare quelle conquiste dell’umanità intera, non tanto attraverso un’azione politica convenzionale, assolutamente indifferente per la Produzione, ma scendendo sullo stesso campo della Produzione: l’economia di mercato . Quindi il Consumo Consapevole si mette apertamente in contraddizione con tutti gli svolgimenti storici avuti finora, e rifiuta di cedere alla cosiddetta sindrome T.I.N.A. (There Is No Alternative) come ad uno stato d’animo supino e fatalista . A che cosa si riduce quest’accusa? La Storia di tutta quanta la Società che c’è stata fino ad oggi s’è mossa in contrasti di classe che hanno avuto un aspetto differente a seconda delle differenti epoche. Lo sfruttamento d’una parte della società per opera dell’altra parte è dato di fatto comune a tutti i secoli passati, qualunque sia la forma che esso abbia assunto. Quindi, non c’è da meravigliarsi che la coscienza sociale di tutti i secoli si muova, nonostante ogni molteplicità e differenza, in certe forme comuni, in cui domina un diffuso storicismo, oscillante fra rassegnazione fatalista ed esaltazione rivoluzionaria: forme di coscienza, che si dissolvono completamente con la scomparsa del Consumismo, lasciando posto ad un sentimento nuovo ed emozionante. La Globalizzazione del Consumo Consapevole è la più radicale rottura con i rapporti tradizionali fra produzione e consumo; nessuna meraviglia che nel corso del suo sviluppo si rompa con le idee tradizionali nella maniera più radicale. Ma lasciamo stare le obiezioni della Produzione contro il Consumo Consapevole . Abbiamo già visto sopra che il primo passo sulla strada del Consumo Consapevole consiste nel fatto che i Consumatori acquisiscano una sensibilità nuova che conduca ad una comune coscienza di specie . I Consumatori Consapevoli adopereranno il loro, progressivamente crescente, peso sull’economia di Mercato per strappare a poco a poco alla Produzione il controllo sulla realtà, per indurla a modificare radicalmente la sua visione del mondo e della storia, senza per questo volersi sostituire ad essa, per donare una prospettiva diversa e migliore alle generazioni future . Naturalmente ciò può avvenire in un primo momento solo mediante interventi sporadici di singoli Consumatori o gruppi di Consumatori particolarmente sensibili e illuminati, attraverso il semplice ricorso all’uso della posta elettronica (come, peraltro, già accade); ma che nel corso del movimento si spingono al di là dei propri limiti e assumono un andamento esponenziale indispensabile per il rivolgimento dell’intero Sistema. Queste misure saranno naturalmente differenti a seconda dei differenti Paesi, soprattutto in virtù del livello tecnologico-consumistico raggiunto (massimo nell’Occidente sviluppato, minimo o assente nei Paesi, ad esempio, sub-sahariani) . Tuttavia, nei Paesi più progrediti, e quindi a più alta incidenza sul Mercato globale, potranno essere adottate, quasi generalmente - una volta accettati e condivisi i due principi fondamentali del Consumo Consapevole , che ne rappresentano la base concettuale - le seguenti linee - guida: 1. Coltivare l’essere Consumo Ergo Sum: questo è il nuovo credo dell’attuale modello di riferimento. Appare superata anche la contrapposizione fra essere ed avere, poiché il semplice avere senza consumare senza cioè rimettere in circolazione la ricchezza equivale a non essere. L’avidità, intesa come accumulo di potenzialità fine a se stesso, è il peggior nemico del Consumismo. E’ preferibile l’indebitamento finalizzato all’acquisto di beni e servizi, al risparmio, a 27 2002 © Giuseppe Iardella
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meno che non si tratti della roulette del risparmio gestito. Solo ai massimi vertici della Produzione è concesso il lusso dell’avidità . Ma un Consumatore Consapevole non può accettare una simile logica, che lo porterebbe ad identificarsi in ciò che consuma, privandolo della sua stessa essenza: il pensiero. Cogito ergo sum: Penso quindi sono - questo è l’atteggiamento mentale del Consumatore Consapevole, ivi compreso l’esercizio del dubbio, che innesca il processo stesso del pensiero. E la Consapevolezza è una funzione diretta del pensiero introspettivo e della meditazione (: conosci te stesso). Mentre il Consumatore passivo non deve avere dubbi, e quindi non deve pensare, ma deve solo scegliere cosa acquistare, il Consumatore Consapevole fa del dubbio e quindi del pensiero le sue armi più potenti per determinare ed affermare il proprio essere, e la propria unicità. Il Consumatore Consapevole non rifiuta a priori l’avere, ma rifiuta l’idea di farne l’unico scopo della propria esistenza. Coltivare l’essere significa accrescere le proprie potenzialità di incidere in modo costruttivo sul Mondo che ci circonda, significa aprirsi ad esso e rimettersi continuamente in gioco, significa privilegiare ciò che unisce a ciò che divide. E significa anche amare il nostro prossimo, anche se oggi sembra non essere più di moda . E tutto ciò a partire dalla propria famiglia per coinvolgere, via via, in un moto centrifugo tutto il Creato.
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00 a 5 01 d .C.C. 10 0 d . 1 5 0 0 d.C. 1 7 0 0 d .C. 1 8 5 0 d .C. 1 9 5 0 d .C. 1 9 0 0 d .C. 1 9 1 0 d .C. 1 9 2 0 d .C. 1 9 3 0 d .C. 1 9 4 0 d .C. 1 9 5 0 d .C. 1 9 6 0 d .C. 1 9 7 0 d .C. 1 9 8 0 d .C. 2 0 9 0 d .C. 2 0 0 0 d .C. 1 0 .C d .C. .
popolazione ( x 1.000.000 )
2. Rispettare il Creato Nonostante l’apparente avallo dell’Antico Testamento, l’Ente che ha voluto l’Uomo sulla Terra non lo ha fatto perché questo la depredasse oltre l’immaginabile , ma perché la custodisse e la amasse , per trarne sostentamento e ricovero . Il Consumismo ha conferito all’Uomo una tendenza predatoria, nei confronti del creato, assolutamente dissennata . E’ vero, la naturale crescita esponenziale della sviluppo demografico popolazione Umana, come si può vedere nel grafico ( da oltre 1 miliardo e 600 milioni nel 1900 a circa 6 7.000 miliardi e 80 milioni nel 2000, con un incremento del 267 % in un secolo ) , ha aumentato enormemente la 6.000 pressione antropica sulla Terra, creando proprio le condizioni per il trionfo del Consumismo, ma è 5.000 appunto per questo che , una volta compresa la portata di tale sviluppo demografico sull’ecosistema, avremmo 4.000 dovuto ripensare il Modello Dominante di Sviluppo. O meglio, avrebbero dovuto farlo coloro che potevano e dovevano, cioè i governanti nazionali, e soprattutto 3.000 mondiali, ma la pressione della Produzione su di loro ha sempre avuto la meglio, anzi le scelte di politica 2.000 economica hanno sempre anticipato, prevenuto e condizionato tutte le altre . 1.000 La distribuzione delle risorse alimentari, lo smaltimento dei rifiuti non riciclabili, l’acqua, 0 l’inquinamento ambientale sono i grandi problemi del Mondo attuale, e sono tutti legati al folle abuso del nostro pianeta sempre più popolato. anno E’ illusorio pensare di porre rimedio a ciò, come fa una parte della Produzione finanziando con una piccola 28 2002 © Giuseppe Iardella
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frazione dei propri proventi, progetti di recupero e risanamento per i palesi, e spesso irrimediabili, danni provocati : è come voler riportare in vita un cadavere con l’elettroshock. Malgrado la Produzione, attraverso la pubblicità e la politica, spinga per accelerare i consumi, agitando lo spettro della recessione, è solo grazie ad una loro razionalizzazione che sarà possibile evitare il peggio. Evitare gli sprechi , di qualsiasi tipo (materiali ed energetici), è l’unico modo per ridurre l’entropia della biosfera, e quindi allontanarne la catastrofe . 3. Pensare piccolo Più una cosa (o un essere vivente) è grande e più incute ammirazione, rispetto e/o paura. Più una cosa (o un essere vivente) è piccola e più infonde tenerezza, simpatia e benevolenza. Tutti i fenomeni, naturali o prodotti dall’uomo, che sprigionano grandi quantità di energia (un eruzione vulcanica o la bomba atomica), proprio per la loro distruttività generano terrore e senso di impotenza, ma al tempo stesso ci lasciano incantati e sgomenti. E’ difficile sfuggire al loro fascino distruttivo. Ma la loro elevata entropia accelera il degrado della biosfera. E’ importante quindi affrancarsi da queste suggestioni e imparare ad apprezzare le cose piccole, a misura d’uomo, come quelle intorno alle quali costruire il nostro futuro. Proviamo a pensare all’effetto che ci fa un cucciolo di cane o un gattino che gioca e piano piano inizieremo a vedere la realtà sotto un’altra luce. Proviamo a pensare alla piacevole emozione che ci infonde la visione di un bambino di pochi giorni (come di un qualsiasi altro essere vivente neonato), ed al sorriso che si dipinge spontaneo sul nostro volto, e capiremo che, fra i nostri bisogni più profondi, alberga anche quello di prendersi cura di qualcuno, tanto fragile ed indifeso da avere a sua volta bisogno di noi. E’ il principio che sta alla base della moderna pet therapy. Proviamo a sorridere, anche se è obiettivamente difficile, e scopriremo che, tale azione, innesca un sorprendente circolo virtuoso che migliora il nostro stato d‘animo. 4. Rifiuto aprioristico di ogni forma di violenza e imposizione La lezione della Storia, come abbiamo già visto, ci ha dimostrato che la violenza non produce frutti duraturi, anche quando mira al bene: il fine non giustifica affatto i mezzi, soprattutto quando si identifica con questi; la violenza e l’imposizione non sono solo eticamente inaccettabili ma anche poco redditizie come scelte strumentali, e questo lo ha compreso perfettamente la Produzione che si guarda bene dall’imporre palesemente i propri prodotti, facendo leva su altre forme di persuasione, come la pubblicità (l’unica scienza umana esatta, sconosciuta ai più), che rimane sempre il migliore investimento per muovere la coscienza dei Consumatori. E‘ indubitabile che la violenza eserciti un grande fascino, come tutti i fenomeni ad alta entropia, anche per la sua apparente efficacia. In realtà , è proprio nei rapporti umani e sociali che essa mostra paradossalmente la sua debolezza . Infatti se le grandi rivoluzioni del passato, sfociate in terribili (e spettacolari) bagni di sangue, hanno ottenuto degli effetti apprezzabili, questi sono sempre stati inferiori al prezzo pagato per raggiungerli, ed hanno creato spaccature e reazioni che, spesso hanno annullato o attenuato molto quegli effetti. Ma, forse, allora non c’era altra via per condurre quelle battaglie. Oggi no! Oggi abbiamo la reale possibilità di arrivare a smuovere le coscienze, in modo capillare e diffuso, e soprattutto pacifico, proprio grazie al progresso tecnologico che la stessa Produzione ci ha messo a disposizione. Oggi, chi fa ancora ricorso all’uso della violenza, come strumento di lotta politica, sociale o sindacale, o è un povero ingenuo o è in mala fede , se non, addirittura, manipolato ad arte. Fino a quando questo non verrà accettato, la Produzione, e le forze a questa afferenti avranno sempre buon gioco.
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Il Consumatore Consapevole è intimamente contrario alla guerra: essa non è la continuazione della politica, come molti, ancora oggi, credono, ma l'espressione peggiore dell'Uomo che, quando vi ricorre, denuncia tutta la sua impotenza ad agire secondo la ragione ed il buon senso . Il riconoscimento universale del diritto alla legittima difesa non toglie il fatto che questa, quasi sempre, va oltre i suoi scopi e, come spesso è accaduto nella Storia, viene facilmente strumentalizzata. Il Consumatore Consapevole prova vergogna anche solo a parlare della guerra e dei suoi numeri, delle fantastiche e potentissime armi e dell'ammontare dei morti e dei dispersi, come si può parlare a proposito di un qualsiasi asettico videogioco. Il Consumatore Consapevole vive in empatia con il resto dell'Umanità tutta, ed ogni violenza fatta sugli altri la sente come propria, ma da ciò non ne trae desiderio di vendetta o di rivalsa, bensì la motivazione sempre più forte ad agire in sintonia con i propri principi . 5. Approccio critico ai mass media I mezzi di comunicazione di massa (da Gutemberg ad Internet) sono l’interfaccia principale nel rapporto fra Produzione e Consumo. Senza di questi non potrebbe esistere un Mercato degno di questo nome. E fra questi, giganteggia la sirena omerica della Televisione (che infatti monopolizza quasi la spesa pubblicitaria). La Televisione, e in particolare quella commerciale rappresenta, ancor oggi, l’innovazione tecnologica più rivoluzionaria dall’invenzione della ruota. In realtà sono due i ritrovati che hanno cambiato, più o meno direttamente, la faccia della terra : l’automobile e la televisione. Ma, se la prima ha inciso profondamente sulla mobilità, e quindi su una sfera più che altro fisica (e sociale) delle persone, la seconda ha modificato radicalmente la facoltà stessa di percepire la realtà, agendo su un piano squisitamente psichico, con modalità ipnotiche o quasi. Per comprenderne meglio il significato, è sufficiente osservare dei bambini, fra i tre ed i sei anni, che guardano degli spot pubblicitari durante un programma di cartoni animati: in genere rimangono, con gli occhi sbarrati, in preda a uno stato catatonico assolutamente refrattario agli stimoli esterni , salvo poi riprendersi a pubblicità conclusa. Si sta formando il futuro Consumatore onnivoro ideale. Il Consumatore Consapevole sa limitare il tempo dedicato alla televisione al minimo indispensabile per informarsi e mantenere il contatto con il Mondo (in fondo è una grande finestra su di esso), per accrescere il proprio bagaglio culturale, e per trarne uno svago sano ed equilibrato. La TV infatti, tende a creare dipendenza, come molte droghe, fiaccando la nostra volontà: sta a noi, per quanto difficile, limitarne gli effetti. L’abitudine, per chi vive o lavora in un luogo chiuso, di utilizzare la TV come una compagnia a basso costo, o quella di guardarla, con la famiglia riunita, a tavola, oppure nell’intimità della camera da letto, toglie spazio utile, da un lato al funzionamento e all’esercizio del pensiero, e dall’altro a quella palestra di socialità , e fonte di emozioni, che è la vita familiare. Se proprio si vuole colmare il senso di solitudine indotto dal silenzio, perché non ricorrere alla radio, che invece di anestetizzare le nostre menti ne può stimolare l’attività? Ricordiamoci che la TV è la più potente arma in mano alla Produzione, ma siamo noi che possiamo decidere se, quando, e come usarla. Anche l’informazione ovviamente non sfugge al Sistema Consumistico di cui è simbionte. Anzi l’apparente obiettività della cronaca nasconde in realtà una accurata selezione a monte che possa orientare l’opinione pubblica: di solito non si vengono a conoscere tutti i fatti che accadono nel Mondo, ma solo quelli più importanti. L’interesse di una notizia, infatti, è direttamente proporzionale alla sua capacità di incrementare i consumi. 6. Definizione dei bisogni Se la Produzione vuole convincerci che non possiamo fare a meno dei suoi prodotti, dobbiamo, per prima cosa capire e decidere di cosa abbiamo veramente bisogno. 30 2002 © Giuseppe Iardella
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Vi sono bisogni primari, bisogni accessori e bisogni inventati o artificiali. Fra i bisogni primari il più importante è l’alimentazione che, insieme al ricovero da condizioni ambientali ostili , rappresenta la condizione minima di vita. Senza l’apporto idrico e alimentare, ed il mantenimento della termoregolazione è impossibile sopravvivere a lungo: in ciò l’Uomo non si differenzia dal resto degli esseri viventi . L’impulso riproduttivo, e la socialità in genere, hanno la funzione di conservare la specie e non l’individuo singolo, e quindi possono essere considerati bisogni accessori, ma non per questo sono meno importanti. Così come accessori sono tutti quei bisogni che contribuiscono a caratterizzare l’individuo e a determinarne la sua unicità. Se infatti è primario il bisogno di un abbigliamento che mi protegga dal freddo, sono accessori la forma, il colore, il taglio ecc. ecc. Tuttavia, quelli su cui punta di più la Produzione, sono i bisogni inventati o artificiali, cioè quelli creati e pubblicizzati dalla Produzione stessa per generare profitto; ve ne sono alcuni talmente radicati nell’immaginario collettivo da assurgere a ruolo di bisogni primari (dipendenza), come la televisione e l’automobile: nelle società più opulente è impensabile la vita senza questi due totem . E ai bisogni artificiali afferisce la stragrande maggioranza dei prodotti alimentari presenti sul mercato: i principi alimentari, e gli alimenti di base sono sostanzialmente gli stessi da sempre (proteine,lipidi,glucidi, vitamine, micro e macroelementi, quindi cereali, legumi , frutta,verdura e in misura minore alimenti di origine animale) ma la Produzione ha saputo cogliere il profondo legame fra la varietà e le proprietà dei cibi e la psiche. Siamo quello che mangiamo, si dice, e l’enorme disponibilità di qualità tanto diverse di cibi, oltre a gratificare un senso così appagante come il gusto, ci illude inconsciamente di acquisire un valore aggiunto intrinseco e permanente in virtù di quelle caratteristiche di varietà, di interesse e di valore commerciale proprie dei cibi assunti. Come se una persona che mangia sempre tartufi e caviale potesse essere migliore di un’altra che mangia solo pasta e fagioli. In effetti il boom dell’alimentazione carnea ad esempio, ha significato per molti l’emancipazione dalla miseria e dalla fame, assurgendo a fatto simbolico e quasi rituale, la cui valenza andava ben al di là dei reali bisogni nutrizionali. Oggi si attribuisce ad un’alimentazione, pesantemente squilibrata, la maggiore responsabilità nel determinismo delle patologie cardio-vascolari e degenerativo-neoplastiche, le cosiddette malattie del benessere. D’altra parte tale situazione è perfettamente funzionale ad un Sistema che, soprattutto con l’Industria della salute, nella sua accezione più ampia, ne trae profitti inimmaginabili, comparabili solo con quelli del mercato petrolifero. La notevole disponibilità di tempo libero, nei Paesi più sviluppati, ha prodotto la sublimazione del bisogno artificiale: quello di comprare, di fare shopping. Ben poche persone sfuggono alla tentazione di riempire il proprio tempo libero con l’acquisto di qualcosa, qualsiasi cosa, che possa, da un lato, cancellare l’inconscio senso di colpa per aver sottratto quel tempo alla propria produttività, e dall’altro, dare ad esso un significato, contribuendo, in qualche misura , allo sviluppo economico della comunità intera. E se, in passato la tradizione religiosa era riuscita a imporre delle “zone franche”, i giorni festivi dedicati al Signore, come il sabato degli ebrei, la domenica dei cristiani ed il venerdì dei musulmani, la laicizzazione della società ha tolto gran parte della sacralità di tali giorni, deputandoli esclusivamente al consumo e allo svago. Se l’espulsione del Sacro dalla vita civile e politica ha emancipato l’Uomo dalle sue strumentalizzazioni perpetrate delle grandi religioni istituzionalizzate e organizzate, lo ha anche defraudato di una dimensione vitale insostituibile , quella del rapporto col trascendente. La secolarizzazione della società, che guarda con fastidio e superbia alle interferenze di istanze religiose tradizionali, ha, nei fatti, lasciato il campo aperto ad un’infinità di surrogati (nuovi culti, scienze umane, psicoterapie, movimenti per la promozione del 31 2002 © Giuseppe Iardella
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potenziale umano ecc. ecc.) che molto difficilmente sfuggono al Sistema Consumistico di cui anzi fanno parte integrante. Da qui la deduzione che anche il rapporto con il trascendente (inclusa la possibilità di rinunciarvi) può essere considerato un bisogno primario, che in definitiva, differenzia l’Uomo dal resto del mondo animale. 7. Conoscenza del Marketing Se il Marketing rappresenta la strategia principe della Produzione, la Pubblicità ne è la tattica . In effetti la loro l’impostazione teorica ricalca terminologia e concetti militareschi (campagna pubblicitaria, target…), riconoscimento implicito della loro efficienza. Solo possedendone una conoscenza fondamentale è possibile smascherarne le leggi ed emanciparsi dalla loro tirannide. Chiunque, dotato di una minima capacità di osservazione, entri in un ipermercato o un grande centro commerciale (i paradigmi del consumismo) può con un po’ di esercizio comprenderne schemi e modalità. Il luogo (o non-luogo che dir si voglia), ben codificato, si offre ad un primo sguardo in tutta la sua imponenza e colorata abbagliante luminosità; la prima impressione è di un, più o meno freddo stordimento, anche se la musica di sottofondo cerca di attenuare il senso di smarrimento. Comunque il primo colpo è assestato: al cedimento delle difese subentra uno stato di euforia crescente che ci riporta alla nostra infanzia di bimbi in un negozio di giocattoli o in una meravigliosa pasticceria. Se non abbiamo una lista già fatta, iniziamo a vagare apparentemente a caso attratti in realtà da settori o angoli particolarmente accattivanti, perché molto colorati, illuminati (magari ad intermittenza) e con oggetti in movimento; tanto basta ad attrarre la nostra curiosità. Quando poi ci rendiamo conto di essere di fronte ad un’offerta imperdibile (un 4x2 o un prezzo stracciato) il gioco è fatto: fagocitiamo il prodotto e andiamo avanti. Poco importa se non abbiamo affatto bisogno di quell’articolo o se ne abbiamo già un altro uguale, il fatto è che siamo profondamente convinti di avere concluso un ottimo affare, e poi non si sa mai potrebbe sempre fare comodo. La disposizione della merce sugli scaffali e la successione degli stessi, seguono regole ben precise, in base al prezzo ed alla rapidità del turn-over. Dove è possibile, vengono periodicamente spostati i settori merceologici, in modo da costringere il cliente, abituato a fare sempre lo stesso percorso, e quindi a saltare taluni settori, a passare da luoghi prima ignorati. Il ricorso allo stand dimostrativo, poi, è efficace solo se la persona che lo anima è estremamente cordiale e rassicurante, oppure se la sua dimostrazione è talmente convincente che parla da sola. A un certo punto, terminato il nostro giro, se avremo preso qualcosa ci dirigeremo verso una delle decine di casse schierate davanti a noi, abitate da ragazze sorridenti, pronte a riscuotere (per contanti o con carta di credito o bancomat , non c’è problema) il corrispettivo per la merce scelta. Se invece resteremo a mani vuote (ahinoi!), potremo uscire solo da un unico e stretto varco, accanto a quelli d’ingresso, ormai lontanissimi, vicino al bancone delle informazioni, con gli impiegati che vi guardano male e, talora, con davanti un banco con relativa guardia giurata, che vi scruta con piglio poliziesco e vi può chiedere di perquisirvi o almeno di aprire la vostra borsa. Quasi quasi, per non sottopormi a questo giogo, mi prendo magari dei fazzolettini di carta, tanto servono sempre: voilà, e il gioco è fatto! Insomma, il Marketing è una scienza esatta estremamente affascinante per come riesce a pilotare i Consumatori, così come la Pubblicità che del Marketing è la parte più visibile e la punta di diamante. La Pubblicità, è in realtà un’arte applicata che potrebbe aspirare ad avere una sua propria Musa (l’undicesima), ed è il vero verbo del Consumismo, il suo potere è pressoché illimitato, tant’è che i migliori pubblicitari sono fra i professionisti più pagati in assoluto. 32 2002 © Giuseppe Iardella
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Una buona campagna pubblicitaria può decretare il rapido successo di un prodotto, anche scadente, come una cattiva promozione può segnare il fallimento di un prodotto, anche valido. Sulla Pubblicità si potrebbero spendere fiumi di parole ma il suo obiettivo di fondo resta sempre lo stesso: convincerci che quel determinato prodotto è per noi assolutamente indispensabile (risposta ad un bisogno primario), e quindi motivare le nostre azioni in funzione della sua acquisizione. Le risorse e le forme della Pubblicità sono limitate solo dal budget dei committenti e dall’immaginazione dei creativi. Il primo passo verso un Consumo Consapevole è proprio quello di emanciparsi anche da questa potente suggestione, magari considerando l’espressione pubblicitaria da un punto di vista artisticoestetico, ed apprezzandola (o disprezzandola) più per la sua forma che per il messaggio che vuole trasmettere (effetto sostanziale). E, successivamente, affinare le proprie capacità critiche ed interpretative in modo tale da poterne decrittare ogni più piccola sfumatura. Uno degli ultimi e più capziosi espedienti pubblicitari è quello di documentare e sbandierare forme di beneficenza, le più disparate, in modo tale da ammansire la coscienza dei Consumatori dubbiosi, sollevandoli da un generico ma fastidioso senso di colpa. E’ vero che per produrre un certo tipo di alimento a base di carne di manzo macinata sto distruggendo l’Amazzonia per poter disporre di sempre nuovi e sterminati pascoli, ma una parte (infinitesimale) dei ricavi è destinata alla costruzione ed al funzionamento di un bell’ospedale in Africa. Questo meccanismo di beneficenza strumentale, fa ormai parte integrante dell’arsenale pubblicitario, tant’è vero che viene sistematicamente adottato dalla Produzione, a qualsiasi livello della catena distributiva. Una branca essenziale del Marketing poi è quella dei sondaggi e delle indagini di mercato. Più i prodotti o i settori merceologici esulano dai bisogni primari, e più si rende necessaria, alla Produzione, una verifica preventiva sulle aspettative della Domanda e sulle potenzialità economiche di un articolo innovativo. Ecco quindi l’esigenza di commissionare a società specializzate un’indagine che, attraverso interviste, questionari o altri sistemi di rilevamento, e la loro conseguente inferenza statistica, possa fornire dati certi , ad esempio, sull’opportunità di investire su un determinato prodotto. Spesso al Consumatore interpellato, viene offerta in cambio, per il tempo concesso, una contropartita in beni o servizi, oppure una partecipazione ad un concorso a premi: ciò vuole coinvolgere l’interessato, magari anche divertito ed adulato, che si sentirà in obbligo di essere il più sincero possibile. Perché non calcarne la componente ludica dando risposte casuali o fasulle, in barba agli sforzi della Produzione committente?! 8. Educazione agli acquisti Quella dell’acquisto è l’azione cardine di tutto il Sistema Consumistico. Essa è libera e personale: è il vero voto democratico in mano ad ogni singola persona. Per quanto possa la Pubblicità - e può molto - la scelta finale spetta al Consumatore, il suo libero arbitrio è intangibile. E’ vero, la Produzione, per superare lo scoglio, tende costantemente al Monopolismo, ma le varie autorità antitrust svolgono un’attività tale che, ad oggi, si possa ancora considerare il Mercato abbastanza libero. D’altra parte il sistema Monopolistico, per l’assenza di concorrenza, alla lunga, rischia di rallentare il Progresso (e quindi lo Sviluppo), per cui in definitiva non conviene neanche alla Produzione stessa. Per un Consumatore Consapevole il momento dell’acquisto, per quante volte esso possa ripetersi, è uno degli eventi più importanti della propria giornata: è il momento in cui esso è chiamato a pronunciarsi sul Sistema in cui vive. In politica ogni elettore esercita il proprio diritto di voto ogni tot anni, pertanto i tempi sono lunghi e la possibilità di perdere il controllo del proprio voto è praticamente una certezza . 33 2002 © Giuseppe Iardella
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In economia ogni Consumatore può votare decine e decine di volte al dì, i tempi sono reali e la possibilità di cambiare idea, successivamente, rimane sempre inalterata. L’atto dell’acquisto di un qualsiasi bene o servizio (anche dei cosiddetti prodotti finanziari), non è mai casuale o distratto esso scaturisce sempre, una volta appuratone l’effettivo bisogno, dalla valutazione dei vantaggi che tale bene ci potrà recare. L’analisi dei vantaggi ( e degli svantaggi ), nel Mercato Globalizzato , però, si articola su tre livelli: Livello Personale: un bene (o servizio) deve rispondere alle mie esigenze e a determinati requisiti tecnici o estetici; inoltre deve avere un prezzo accessibile alle mie possibilità finanziarie. Livello Locale: l’acquisto di un bene (o servizio) prodotto da un operatore locale (da cittadino a nazionale) avrà un effetto propulsivo diretto sull’operatore e indiretto sull’economia locale; naturalmente la scelta terrà conto di una serie di variabili dipendenti dalla mia sensibilità e dal livello di conoscenza di quell’operatore, come l’impatto ambientale delle sue produzioni, la sua politica aziendale, il suo impegno sociale, ecc. ecc. Livello Globale: l’acquisto di un bene (o servizio) prodotto da una Multinazionale (ormai la maggior parte), implica di per sé l’accettazione del Sistema, tuttavia è possibile operare alcune scelte significative sulla base, ad esempio, dello stesso impatto ambientale, dell’eticità delle produzioni, dello sfruttamento o meno di manodopera infantile, o dello sfruttamento tout-court, della provenienza da determinati Paesi ecc. ecc. E’ ovvio che, se voglio sostenere l’economia dell’Unione Europea, sceglierò un prodotto Made in UE, rispetto ad un altro, proveniente, ad esempio, da un Paese asiatico, anche se il prezzo del primo può essere superiore. Se la differenza di prezzo invece è significativa cercherò anche di valutarne la differenza di qualità secondo il vecchio proverbio che chi più spende meno spende. L’idea stessa di convenienza va ormai ben al di là del semplice rapporto qualità/prezzo ma deve comprendere tutta una serie di considerazioni frutto della curiosità, della conoscenza, e della maturità del consumatore. E anche se tutto ci induce ad accettare una qualità inferiore ad un prezzo decisamente più basso, con la prospettiva di un rapido turn-over, il Consumatore Consapevole dovrà guardarsi bene dal cadere facilmente in questo tranello, che fra l’altro comporta un aggravamento del problema dei rifiuti. Il concetto dell’usa e getta, elemento fondante del Consumismo, deve essere ridotto al minimo, in favore di una visione più conservativa e meno dissipativa. Evitare gli sprechi, di qualsiasi tipo (materiali ed energetici), è l’unico modo per ridurre l’entropia della biosfera, e quindi allontanarne la catastrofe. Un discorso particolarmente attento va fatto per il settore alimentare: siamo ormai bombardati da una quantità sterminata di informazioni nutrizionali che dovrebbero agevolare la scelta di un prodotto rispetto ad un altro. Impariamo a leggere bene, e a leggere fra le righe: l’educazione alimentare è uno degli impegni primari di un Consumatore Consapevole, nel suo interesse e nell’interesse della propria famiglia. Un piccolo suggerimento, infine, per non cedere alla tentazione di acquistare tutto ciò che, inevitabilmente ci attrae in un Ipermercato: stilare preventivamente la vecchia lista della spesa, e seguirla alla lettera, senza tentennamenti. Se invece non avevamo alcuna lista e ci siamo recati al centro commerciale per noia o perché non avevamo altro da fare oppure per comprare qualcosa di preciso che poi non abbiamo trovato, proviamo a uscirne, malgrado tutto, senza acquistare alcunché: potremmo provare un’insolita, piacevole sensazione di euforia e di potenza (come accade a coloro che riescono a smettere di fumare), che non potrà che accrescere la nostra autostima.
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9. Uso di Internet Quando fu pensata la rete delle reti, correvano gli anni della guerra fredda, e qualche cervellone si pose la questione delle telecomunicazioni nel caso che un attacco missilistico nucleare distruggesse in pochissimo tempo i centri nevralgici della difesa . Si immaginò allora un sistema informatico distributivo veloce diffuso su tutto il territorio e a basso costo, sostanzialmente anarchico, che potesse funzionare bene anche in assenza di centrali strategiche. Questa ragnatela era già esistente da decenni, ed era la rete telefonica, bisognava soltanto mettere a punto i sistemi operativi ed i mezzi tecnici per concretizzare l’idea. L’approdo al pc, dotato di un adeguato software, e interfacciato con un modem, segnò la nascita del World Wide Web, il più incredibile ed efficace sistema di trasferimento di dati sulla Terramai concepito dall’uomo. La Produzione comprese subito (e promosse) le immense potenzialità del sistema, ed una volta ottenuto il nulla osta dai militari, partì con il suo sfruttamento commerciale dando il via a quella che oggi viene chiamata New Economy. In effetti disporre di uno strumento in grado di trasferire informazioni di ogni tipo, da un capo all’altro del pianeta in pochi secondi a costi bassissimi, è qualcosa di assolutamente rivoluzionario! E non c’è campo della vita quotidiana che non ne sia stato toccato: con l’aggiunta del prefisso e- ad attività le più varie si identifica l’applicazione di Internet ad esse. Si parla allora di e-mail, e-commerce, e-learning, e-medicine, e-trading, e-banking ecc. ecc. La possibilità di annullare lo spazio-tempo, e quindi di velocizzare tutte le transazioni commerciali, ha inebriato a tal punto la Produzione da promuoverne in tutti i modi lo sviluppo. E’ difficile dire se la Produzione avesse previsto tutte le possibili applicazioni del Web, o se avesse preso in considerazione solo quelle funzionali al Sistema Consumistico. Di fatto però, con l’enorme diffusione di Internet, e quindi con la concreta possibilità di comunicare in tempo reale con tutto il Mondo, grazie alla posta elettronica si è avverato il sogno di ogni Uomo che abbia qualcosa da dire, senza per questo dover elemosinare o comprare uno spazio dai massmedia . Ecco dov’è il tallone d’Achille della Produzione: nel carattere democratico, anzi anarchico della rete e nel suo bassissimo costo. E’ la classica arma a doppio taglio che si rivolge contro a chi la impugna. E’ Frankenstein che si ribella al suo creatore. L'uso della famigerata catena di S.Antonio o Multi Level che dir si voglia, ampiamente utilizzato, in maniera più o meno cristallina, in campo commerciale per le sue immense potenzialità, e già applicato spesso in modo surrettizio alla posta elettronica, sarà proprio il cavallo di Troia del Consumo Consapevole. Il metodo, è noto e semplice, tuttavia è bene focalizzarlo: è necessario disporre di un personal computer e di un collegamento a Internet; una volta attivata la posta elettronica (Outlook Express è il programma di gestione più diffuso), predisporre nella rubrica una mailing list con gli indirizzi di posta elettronica di alcuni nostri conoscenti o amici, che vogliamo contattare; quindi, inviare una e-mail introduttiva, ai destinatari inclusi nella mailing list, con, in allegato, il documento da sottoporre alla loro attenzione, a partire proprio da questo Manifesto , avendo cura, per rispetto della privacy, di oscurare i nominativi, utilizzando la casella Ccn (Copia carbone nascosta ) o, nella versione in inglese, Bcc (Blind carbon copy) in questo modo è possibile diffondere tutte le informazioni utili alla diffusione del Consumo Consapevole.
Ammesso che ogni Consumatore abbia nella mailing list almeno 5 indirizzi utili, del giro di 11 passaggi (511) sarebbe possibile raggiungere oltre 48 milioni di persone, e in 14 passaggi, in teoria , oltre 6 miliardi di persone! 35 2002 © Giuseppe Iardella
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514=6.103.515.625 513=1.220.703.125 512= 244.140.625 511= 48.828.125 510= 9.765.625 59 =1.953.125 58=390.625 57=78.125 56=15.625 55=3.125 54=625 53=125 52=25 51=5 50=1 Il meccanismo dunque è semplicissimo, anche se, purtroppo, parzialmente screditato dall’uso discutibile che spesso ne è stato fatto; infatti l'unico vero ostacolo alla sua diffusione è rappresentato dalla naturale diffidenza nei confronti di ogni novità, soprattutto se veicolata da Internet: - " dov'è l’imbroglio ?" - è lecito chiedersi . L’imbroglio non c'è perché non c'è nessun fine di lucro: questa è l'irresistibile forza del Movimento! Esso si sottrae alla logica del profitto.Questo Manifesto appartiene a tutta l’Umanità. Di più: nonostante il copyright dell'autore (di legge), questi non ne reclama alcun diritto allo sfruttamento commerciale e chiunque voglia può divulgarlo come meglio crede (a mezzo stampa, attraverso i mass media o su qualche sito web). Quando la Produzione, o chi per essa, comincerà a realizzare cosa sta succedendo, sarà impossibile arrestare il flusso delle idee. Sarebbe come voler contenere l' Oceano. La Produzione non potrà bloccare il Web perché ciò comporterebbe la paralisi del Sistema Economico Globale, per cui tenterà, come sempre , grazie al supporto dei più bei cervelli, fra premi Nobel, opinion makers, politici e intellettuali di ogni categoria del sapere, di rispondere con tutta la potenza di fuoco di un simile esercito di personaggi illustri (qualche anno fa uno scienziato australiano scrisse un libro scientifico in cui dimostrava scientificamente che il fumo di tabacco fa bene o perlomeno non fa così male come tutti sostengono). Naturalmente la rete è anche una miniera inesauribile di informazioni di qualsiasi genere. Basta inserire delle parole chiave in un buon motore di ricerca per avere solo l’imbarazzo della scelta: è infatti grazie ad Internet che oggi è possibile informarsi e aggiornarsi su tutti gli argomenti e in particolare su quelli di più stretto interesse per il Movimento (ad esempio: consumo critico, ambiente, occupazione, sviluppo, armamenti, globalizzazione, profitto, petrolio, energia, acqua, demografia,inquinamento ecc. ecc.). Per diventare un vero Consumatore Consapevole è necessario avviare un percorso di autoeducazione, né facile né breve, facendo leva soprattutto sulla curiosità e sullo spirito di osservazione ( condite da un certo senso dell’ironia!). E’ ovvio che lo stesso segnalamento di indirizzi web o notizie riguardanti i temi trattati nel nostro Manifesto (ma non solo quelli), seguendo il meccanismo di Multi Level Mailing, (già utilizzato sporadicamente e in modo non sistematico) rientra nel progetto di diffusione delle idee e delle informazioni. 36 2002 © Giuseppe Iardella
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Ad esempio, la notizia della scoperta della tossicità (o cancerogenicità) di certi prodotti alimentari, può e deve essere veicolata ed amplificata con questo semplice sistema. Ma perché il gioco possa estendersi a gran parte della popolazione mondiale, è necessario tradurre questo Manifesto almeno in inglese (e magari anche in francese, spagnolo, tedesco, portoghese, russo, arabo, hindi, cinese , giapponese…). E’ proprio su questo banco di prova che il Movimento potrà e dovrà dimostrare la sua naturale internazionalità: qualche Consumatore Consapevole entusiasta ed esperto traduttore raccoglierà il testimone e continuerà l’opera, finché essa non raggiungerà i quattro angoli della Terra. Allora il moto delle coscienze non avrà più ostacoli, e si potrà realizzare finalmente la missione originaria. Mai gli Uomini avevano avuto la possibilità di comunicare fra di loro con questa facilità: è giunto il momento di farlo per un nobile scopo! 10. Tutela dell’infanzia E’ sull’infanzia che, purtroppo, il Consumismo proietta le sue ombre più sinistre e cupe. E’ su creature sostanzialmente indifese che, vengono sperimentate ed esaltate le devastanti potenzialità della migliore arma del Marketing: la Pubblicità per l’appunto. Abbiamo accennato agli effetti della TV , sui bambini: solo oggi, a circa 20 anni dall’avvento della TV commerciale in Italia, si inizia ad ammettere che l’abuso della televisione nei bambini è causa di profondi squilibri psichici (per i quali, però, c’è già chi è pronto a prescrivere le solite pillole colorate). Chi, in Italia, fra i quarantenni di oggi, non ricorda quella serie di strisce delle Sturmtruppen dello scomparso Bonvi, in cui, dai soliti scienziati germanici in camice, sui medesimi soldati tedeschi, in trincea, venivano sperimentati gli strabilianti effetti dell’arma finale: la televisione ? Ma essa è solo una delle tante sollecitazioni cui i bambini vengono sottoposti dalla Produzione per indurli a fare pressioni sui genitori. Quante volte, al supermercato, di fronte ad un bambino in preda alle bizze, per un gioco qualsiasi pubblicizzato in TV, abbiamo visto il povero genitore cedere pur di farlo smettere ? Il fatto è che sempre meno genitori sono abituati a dire NO ai propri figli, e ciò innesca un circolo vizioso rischiosissimo che porta alla totale perdita di controllo su di essi. Questo non significa che i bambini debbano essere educati con metodi coattivi e mortificanti, ma vuol dire che se non si persegue una linea coerente, fatta di regole condivise e di rispetto reciproco, questi cresceranno senza punti di riferimento e una volta raggiunta l’adolescenza sceglieranno dei modelli di dubbia efficacia. Oggi, dopo la crisi dell’educazione liberata si riscopre il valore del rifiuto (= saper dire di NO ) come momento fondante della pedagogia attuale. La frapposizione di regole e limiti ragionevoli, rappresenta cioè il primo approccio per la formazione di una socialità consapevole e matura. In questa difficile impresa, quasi tutto congiura contro il genitore più avvertito, a partire proprio dal Modello Consumistico, che inonda il mercato di prodotti e linee di ogni categoria merceologica destinati proprio ad un’infanzia sempre più segmentata per fasce di età (potenziamento dell’effetto obsolescenza). Ma se queste problematiche riguardano per lo più i Paesi più sviluppati, ciò che realmente accade nei Paesi in via di sviluppo, del Terzo e Quarto Mondo, supera di gran lunga la più fervida immaginazione: morte per fame, sete, epidemie, guerre, mutilazioni, abusi sessuali, traffico di organi, sfruttamento di lavoro minorile, schiavitù, violenze di ogni specie. Per molto meno probabilmente fu scatenato il Diluvio Universale. Viene quasi da chiedersi se l’Uomo non meriti davvero di essere spazzato via dall’Universo per quello che è stato ed è ancora capace di fare! 37 2002 © Giuseppe Iardella
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E’ vero che l’infanzia è sempre stata trascurata dagli adulti, e che quando quella ha ottenuto un riconoscimento di status autonomo, è stato solo in chiave consumistica, ma è proprio perciò che essa entra a pieno titolo nelle priorità del Consumo Consapevole, perché rappresenta il futuro, e solo trasmettendo ai nostri figli, valori ed esempi che esaltino la centralità dell’Uomo rispetto al Mercato , sarà possibile averne uno. *** Quando, allora, il Mercato, così come lo conosciamo, non esisterà più, il rapporto fra Produzione e Consumatori perderà il suo attuale carattere perverso e distruttivo. La Produzione dovrà rinunciare al suo strapotere sulla realtà, ed il popolo dei Consumatori a sua volta dovrà rinunciare a gran parte degli agi e dei privilegi acquisiti. I Consumatori raggiunta la Massa Critica sulla generalità dei punti vitali riequilibreranno i rapporti di forza con la Produzione con l’obiettivo comune di costruire un futuro possibile per tutti . Alla vecchia Società dei Consumi, con le sue profonde ingiustizie sociali e la sua intrinseca violenza, potrà, così subentrare una Comunità Umana in cui il libero sviluppo di ciascuno è condizione del libero sviluppo di tutti. Al Consumatore consapevole, in fondo, si richiedono soprattutto i tre requisiti fondamentali degli attuali lavoratori: flessibilità, mobilità e motivazione. Flessibilità intesa come capacità di adattarsi ad una concezione, ad un modello di vita completamente diversi da quello conosciuto. Mobilità intellettuale interiore come tendenza a rimettere in moto tutti quei meccanismi della mente, atrofizzati dalla comoda Società dei Consumi, e che avevano fatto dell’uomo la specie più versatile e creativa del pianeta. Una Motivazione , mix di quell’entusiasmo e di quella forza d’animo che animò i primi cristiani e che permise loro di affrontare le prove più estreme. In effetti vi sono molte affinità fra il periodo in cui sorse e si sviluppò il Cristianesimo e quello che inizia dopo la caduta del muro di Berlino - in entrambi infatti: • • • • • • • •
si registra la totale affermazione ed egemonia di un Impero fondato sulla potenza militare e sugli scambi commerciali; la periferia è assoggettata al centro dell’Impero; esistono forti spinte centrifughe; coesistono sperequazioni sociali impressionanti ; sussistono condizioni in grado di innescare profondi dissidi sociali; si verificano episodi di degrado tali, da far gridare alla fine del Mondo; si ha uno sviluppo delle comunicazioni e dei traffici mai registrato nella storia (attraverso le strade e via mare allora, come anche via aria e con le telecomunicazioni oggi); alla periferia dell’Impero, nasce un fermento innovativo e rivoluzionario che mette in discussione tutto il Sistema fin dalle sue radici;
Nel caso del Cristianesimo, tale fermento fu destinato a stravolgere il corso della storia, contribuendo a determinare la fine dell’Impero Romano entro il quale aveva fatto i primi passi, e addirittura, a segnare un prima ed un dopo universalmente riconosciuti. Nel caso del Consumo Consapevole la strada è tutta scoprire ed è sicuramente in salita, ma non per questo meno necessaria. D’altra parte, non a caso il riferimento fondamentale per un Consumo Consapevole può essere costituito proprio dai Vangeli (sia i canonici che anche gli apocrifi), che contengono già tutti i semi per una critica della Società dei Consumi e per il suo superamento. E se per i primi cristiani indicavano la via per la salvezza dell’anima,oggi essi sono una fonte primaria di spunti e suggestioni per la salvezza dell’Uomo e del suo pianeta. Certo, per quasi diciannove secoli essi sono stati, obbligatoriamente, gestiti da pochi intermediari alfabetizzati (il clero) che vi hanno costruito sopra il Cristianesimo istituzionalizzato, un sistema 38 2002 © Giuseppe Iardella
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ben codificato, fortemente strutturato e gerarchico incarnato dalle varie Chiese di ispirazione cristiana (soprattutto la cattolica,l’ortodossa e la riformata). Ma la strumentalizzazione del messaggio del Cristo, operata spesso da uomini avidi di potere non ha mai potuto scalfire la purezza ed il profondo spirito innovativo e universale della Buona Novella. E oggi essa è ancora lì, a disposizione di chiunque voglia accoglierla. Oggi non c’è più bisogno di mediatori, l’alfabetizzazione di gran parte dell’umanità è un fatto acquisito ed ognuno può accedervi direttamente. Qualunque sia stata la paternità di Gesù (non siamo tutti figli di Dio?), egli sicuramente fu investito di un mandato superiore e tutta la sua vita ed il suo messaggio sembrano dettati da un disegno divino. Non c’è neanche più bisogno di accreditare a Gesù un’esclusiva paternità divina, per conferire autorevolezza al suo messaggio, poiché questo oggi trova proprio in riferimento al Modello Consumistico la prova più grande della sua bontà. Chiunque sia stato Gesù (un profeta, un medium, un taumaturgo o un mago), esso rimarrà sempre una delle più grandi anime ed un faro illuminante per tutti coloro che vorranno vederlo. Nei Vangeli dunque possiamo scorgere le cellule embrionali del Consumo Consapevole, e per questo essi si rivolgono agli uomini di buona volontà di tutte le confessioni, non tanto come testo religioso fondante istituzioni ma soprattutto come Manuale di Sopravvivenza per l’Umanità intera! Soltanto in pieno Consumismo ad esempio possiamo comprendere appieno il senso della rinuncia a tutto ciò che abbiamo: chi non è disposto a dare anche la propria vita per salvare quella dei figli? Un messaggio d’amore non è mai sottrattivo e limitante, ma additivo e complementare. I Vangeli non hanno l’esclusiva del vero e del bello, vi sono molti altri testi autorevoli, religiosi, filosofici e quant’altro, in tutte le culture del Mondo più o meno noti che precorrono o ricalcano il messaggio evangelico, tuttavia essi per semplicità diffusione ed accessibilità possono essere eletti a modello universale. Chiunque si avvicini ai Vangeli con mente aperta ne trae sicuramente infiniti frutti, indipendentemente dalla religione di appartenenza, che da essi non viene intaccata. Gesù, d’altra parte, non voleva fondare una religione (il Cristianesimo istituzionalizzato è, più che altro, il frutto dell’infaticabile opera propagandistica di Paolo di Tarso, e del disegno politico di Costantino), ma attraverso i dodici apostoli avviare un sistema multilivello ante litteram, che diffondesse il suo messaggio. Solo chi vuol fare del messaggio di Cristo uno strumento di potere tende al proselitismo inquadrato in un corpus di regole ed alla conventio ad escludendum: il Consumo Consapevole non ha queste velleità. Esso è libero e complementare. Tutto ciò suona stonato agli orecchi dell’uomo moderno che pretende di emanciparsi, pubblicamente, da suggestioni trascendenti, salvo poi rivolgersi, in gran segreto, al fiorente mercato dell’esoterico. “Eresia!”: grideranno gli intellettuali materialisti ed atei, campioni del razionalismo post-cartesiano. Ma finché l’Uomo non accetterà la sua complessa condizione, di essere a metà strada fra l’angelo e la bestia , esso non riuscirà mai a colmare il vuoto lasciato dall’espulsione di Dio dalla quotidianità e avrà ben poche possibilità di trovare un punto di equilibrio sufficiente a farlo agire in sintonia col creato. *** In politica, ammesso che abbia ancora un senso parlarne, il Consumo Consapevole non ha colore politico, esso ha il volto di tutti i bambini, di tutte le donne e di tutti gli uomini che abitano questo nostro Pianeta. Anche di coloro che lo combattono, anche dell’ignara Produzione! Resta , quindi da definire il costo della scelta di un Consumo Consapevole su scala planetaria. 39 2002 © Giuseppe Iardella
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Sì, perché se il beneficio è la conquista di un futuro per le generazioni a venire, ci dovrà pur essere un prezzo da pagare. Che accadrà cioè, se e quando il numero dei Consumatori si avvierà a raggiungere la Massa Critica? Il sistema economico mondiale, coerentemente con le regole che si è dato, passerà da una fase di stagnazione ad una di recessione e infine ad una crisi acuta, che farà impallidire quella del ’29. Lo stile di vita conquistato dai Paesi più sviluppati, sarà drasticamente ridimensionato: gli spostamenti fisici (con mezzi a motore) limitati allo stretto necessario, l'alimentazione razionalizzata, il lusso in genere bandito e così gli sprechi. Sarà un ritorno ad una dimensione più locale e perciò più attenta alle problematiche ambientali e sociali del proprio spazio vitale. Il tutto amplificato artificiosamente dalla Produzione che applicherà alla lettera la sua solita tattica del tanto peggio tanto meglio. Tuttavia, soltanto se la Massa Critica riuscirà ad adattarsi, prima mentalmente e quindi nella vita pratica a tale evoluzione apparentemente regressiva, sarà possibile ridurre il trauma complessivo del cambiamento. Ma in realtà, anche senza Massa Critica, tutto ciò sta già accadendo: i Paesi più sviluppati sono avviati verso uno stato di crisi proporzionale al tasso di sviluppo di Paesi emergenti ben più appetiti dalla Produzione; e quando questi non risulteranno più convenienti (ovviamente in termini di costo del lavoro), l’Occidente ridotto alla fame si svenderà pur di sopravvivere. Il Consumo Consapevole è l’unica via per impedire che ciò avvenga, ma perché esso abbia successo è necessario rinunciare al diritto a quel modello di felicità proposto ed imposto dal Consumismo, ed avvicinarsi ad un sentimento vicino allo stoicismo che ci esalti nella rinuncia di ciò che appare più irrinunciabile: il superfluo .
3. La Critica al Consumismo I. La Critica Reazionaria a) Le Grandi Religioni Data la loro posizione storica, le istituzioni religiose di ogni latitudine, cristallizzate da secoli in schemi socio-economici ben definiti, di fronte all’accelerazione centrifuga impressa dalla Società dei Consumi, sono state chiamate ad elaborare una posizione di riferimento chiara e riconoscibile per tutti i propri fedeli. Delle grandi confessioni monoteistiche quelle più impegnate su questo piano sono senz’altro pur con profonde differenze formali e sostanziali, la Chiesa Cattolica e l’Islam. Nella prima l’esplosione della Società dei Consumi coincide con il papato di Giovanni Paolo II, durante il quale, crollato il Secondo Mondo (quello del Socialismo Reale), si sono verificate le condizioni per la realizzazione del Mercato Globale. Dopo l’iniziale soddisfazione per la caduta del muro di Berlino, il Papa polacco ed il suo entourage hanno rapidamente compreso la portata e le potenziali conseguenze della scomparsa di un sistema di riferimento (pur fallimentare) alternativo a quello liberista: la sua forma estrema, l’anarcoliberismo (in realtà un’autocrazia oligarchica economico-finanziaria), avrebbe dilagato in nome del profitto, sventolando il principio di autoregolazione del Mercato, spazzando via ogni ostacolo sulla sua inarrestabile marcia trionfale. 40 2002 © Giuseppe Iardella
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Ed allora si è fatto sempre più accorato e insistente il monito agli uomini di buona volontà per impedire il perpetuarsi di sofferenze e sopraffazioni sui diseredati e i derelitti, sulle vittime predestinate di un sistema profondamente inumano e violento. Così come frequente è il grido di dolore per la disgregazione della famiglia e per il crescente degrado del tessuto sociale nei Paesi più Sviluppati. Ma la voce del Papa - giunto a lamentare che Dio non si rivela più … quasi disgustato dalle azioni dell’umanità - per ragioni storiche politiche ed economiche pur dall’alto della sua attuale statura morale, non riesce ad incidere, se non superficialmente, sulle coscienze dei fedeli i quali l’avvertono sempre di più come una fastidiosa ed anacronistica interferenza, e l’azione più significativa della Chiesa Cattolica sul fronte delle ingiustizie socio-economiche rimane quella dei missionari in prima linea appoggiati e sostenuti dalla rete volontaristica delle comunità parrocchiali dei Paesi più sviluppati. Tuttavia, tale, pur apprezzabile politica, se può contribuire a migliorare l’esistenza di alcuni dei più sfortunati, non smuove di un millimetro i termini complessivi del problema. La Chiesa Cattolica per giunta non si sottrae affatto alle leggi del Mercato investendo largamente in pubblicità, anzi appare tutt’altro che eccentrica la tesi che il Cristianesimo istituzionalizzato, possa essere considerato il prototipo dei grandi network multinazionali e che molte delle migliori idee del moderno marketing fossero già realizzate da questo parecchi secoli fa. Viene da chiedersi perché un messaggio rivoluzionario e positivo come quello del Cristo, in quasi 2000 anni, abbia inciso così poco sull'Umanità nel suo insieme (anzi è proprio da una costola del Cristianesimo che si è sviluppata quella visione calvinista che ha contribuito, almeno in parte, all'affermazione del Modello Consumistico). Nel Mondo Musulmano non esiste un’autorità centralizzata poiché il Corano stesso, rivelato da Allah al Profeta Maometto, è il centro indiscutibile della fede: è parola di Allah. Tuttavia se prendiamo, a paradigma della posizione dell’Islam, l’esempio dell’Arabia Saudita, riscontriamo alcuni stridenti contrasti. Nel Paese natale di Maometto nel secondo dopoguerra, l’invadente presenza degli Stati Uniti, monopolisti nello sfruttamento delle immense risorse petrolifere saudite, ha fatto sì che ad una Società prevalentemente pastorale e mercantile profondamente radicata nelle proprie regole religiose e civili, tradizionalista e gelosa custode dell’eredità del Profeta, venisse proposto ed imposto il Modello Consumistico statunitense. La presa di coscienza da parte del Mondo Islamico (e dell’estabilishment saudita) del rischio di subire uno sfruttamento spudorato delle proprie materie prime, ma soprattutto di poter perdere, o anche solo snaturare, la propria fortissima identità religiosa, punto di forza per circa un miliardo di persone che popolano per lo più una fascia omogenea che si estende dall’Africa nord-occidentale all’Indonesia, ha determinato forti contrasti le cui conseguenze sono ancora difficilmente valutabili. In effetti quella del Mondo Islamico, più che una critica articolata nei confronti del Consumismo, è una reazione al tentativo di omologazione al modello Occidentale egemone ed alla sua avidità. Reazione che, supportata da numeri importanti, sia in termini demografici che economici (materie prime), ed espressa talora anche in forme violente estreme e di grande impatto, ne fa assumere i contorni dello scontro fra civiltà contrapposte. In realtà, sia il Mondo Occidentale che quello Islamico sono organici al medesimo Modello Consumistico, e quello che si vuole far passare come scontro religioso epocale, rientra perfettamente nelle dinamiche di potere per il controllo del Mercato delle materie prime. Le grandi religioni orientali (Induismo,Buddismo,Universismo cinese), per alcuni tratti comuni riconducibili alla ricerca di un equilibrio cosmico ed al distacco, più o meno accentuato, dalla realtà 41 2002 © Giuseppe Iardella
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materiale, contengono in sé una implicita e aprioristica critica al Modello Consumistico. Tuttavia la promessa di quest’ultimo di affrancare le masse di quei Paesi asiatici, da condizioni di vita ai limiti della sopravvivenza, ha esercitato ed esercita un’attrazione irresistibile che nessuna religione o filosofia spiritualistica è in grado di frenare. Sembra, anzi, che fra coloro che subiscono maggiormente le suggestioni derivanti dalle concezioni filosofiche orientali, ci siano proprio molti occidentali, che vi trovano validi spunti di riflessione critica per una chiave di lettura alternativa e più promettente della realtà, oltre ad uno schema etico che privilegi la non violenza ed il rispetto di ogni forma di vita ( non a caso in questo Manifesto vi si ricorre in modo sostanziale ). Le religioni, pertanto, non costituiscono di fatto una forza credibile che possa opporre al Consumismo una visione alternativa coerente ed efficace.
b) L’Antimodernismo Pre-femminista L’avvento e l’affermazione della Società dei Consumi sono state la risultante di una serie di eventi epocali fra i quali le due Guerre Mondiali rivestono un’importanza decisiva. E’ infatti durante i due grandi conflitti che le donne entrano massicciamente nel ciclo produttivo, in sostituzione degli uomini validi, impegnati in buona parte nelle operazioni belliche. Se durante il ventennio fra le due guerre (1918–‘39), anche a causa dei regimi totalitari (prevalentemente di destra), l’emancipazione femminile aveva dovuto subire una battuta di arresto, nel secondo dopoguerra, le mutate condizioni generali hanno segnato nel Mondo Occidentale il definitivo tramonto del modello maschilista patriarcale che aveva dominato fino ad allora. La leggenda (solo parzialmente dimostrabile) che dietro le decisioni degli uomini ci sia sempre una donna, non cancella lo stato di soggezione cui essa era stata soggetta nel corso della storia. L’ingresso definitivo delle donne nella vita politica ed economica, come soggetti attivi e dotati almeno formalmente di una autonomia decisionale propria, ha contribuito a rivoluzionare un modello sociale sostanzialmente immutato da millenni. La rottura del vecchio schema dei ruoli fissi e codificati ha generato un profondo squilibrio psico-sociologico le cui conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: crisi dei valori, crisi di identità del maschio, ed anche della donna, crisi del modello familiare patriarcale e della famiglia in genere, malinteso spirito di rivalsa della donna sull’uomo ecc. ecc. E allora : cui prodest – a chi giova ? E’ innegabile che nel vecchio sistema vi fossero profonde incongruenze ed intollerabili ingiustizie, ma è altrettanto innegabile che dai mutamenti sopraggiunti negli ultimi cinquant’anni, chi ne ha tratto i maggiori utili è stata, sempre e soltanto, la Produzione! L’emancipazione della donna ha, in pratica, raddoppiato le potenzialità del Mercato arricchendolo di una quota attiva di Consumo in precedenza pressoché trascurabile. La reazione dell’uomo (cioè del maschio) a questa forzata abdicazione dei propri privilegi, è consistita, da una parte in un arroccamento sul terreno della politica e, in parte dell’economia (in cui le donne non sono ancora riuscite a spezzare l’egemonia dell’uomo) e, dall’altra in una mercificazione del corpo femminile spersonalizzato che, a tutt’oggi, rappresenta uno dei maggiori business. Non a caso sono già operanti sul Mercato eroine virtuali del tutto simili a donne vere (anzi,esse sì,volutamente dotate di una personalità ben caratterizzata). Tuttavia, malgrado la debole valenza anticonsumistica dell’Antimodernismo Pre-femminista (:maschilista), che vagheggia un ritorno a posizioni ormai improponibili, appare evidente il contrasto fra questo e l’accettazione passiva di un Sistema che vuole esaltare la virilità in chiave prettamente Consumistica. Il Consumismo non è la conseguenza dell’emancipazione femminile, ma 42 2002 © Giuseppe Iardella
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questa rientra in un disegno più ampio che vede confluire nel Consumismo momenti ben diversi fra loro (ad esempio le guerre, le crisi finanziarie, la politiche energetiche ecc.). Il meccanismo darwiniano della competizione tra i maschi, per assicurare alla discendenza un patrimonio genetico più adeguato alle condizioni ambientali, riproposto nella Società dei Consumi, innesca un pericoloso circolo vizioso in grado di moltiplicare i consumi senza garantire il conseguimento dell’obiettivo primario. Da ciò si può dedurre quanto fallimentare risulti, attualmente tale modello evolutivo e quanto sia necessario un deciso cambiamento di rotta . L’effetto più tragico dell’emancipazione femminile (e rivelatore della sua strumentalizzazione) in realtà è che l’ingresso del sesso debole, che comunque c’è stato, nella vita pubblica, civile, politica ed economica ha portato alla contaminazione delle donne con le peggiori caratteristiche maschili, infinitamente di più di quanto gli uomini possano aver mutuato di buono dalle qualità femminili (vedi tao squilibrato ). Il passatismo anacronistico vagheggiato da questo esile versante della critica al Consumismo, che vorrebbe restaurare le antiche tradizioni patriarcali e che considera l’emancipazione femminile come l’origine di tutti i mali, è la risultante di una visione nostalgica del tutto inefficace a dare risposte plausibili al problema complessivo, e che esita spesso in devianze psichiche di rilevanza anche criminale.
c) L’Antiamericanismo Post-comunista La terza grande corrente di critica reazionaria al Consumismo, raccoglie tutte le istanze ereditate dalla fine del cosiddetto socialismo reale riferibile al blocco sovietico. Dei tre Paesi ancora dichiaratamene comunisti, la Corea del Nord e Cuba sopravvivono, mentre la Cina è la new frontier del Consumismo! La sostanziale eclissi del modello comunista, ha improvvisamente reso orfani tutti coloro (ed erano in molti) che avevano creduto che una società migliore potesse esistere perlomeno per una parte consistente della popolazione umana, e che vi avevano guardato come ad un faro di verità , certi che l’ineluttabile disegno profetico tracciato da Marx si sarebbe prima o poi avverato. Dopo aver mosso le coscienze e le azioni di milioni di persone, che spesso in buona fede, hanno sacrificato la propria e anche l’altrui vita sull’altare di un avvolgente miraggio, l’ideale spinta propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre si è esaurita come il mozzicone di una vecchia candela, sopraffatta da un modello antagonista infinitamente più efficiente. La maggior parte dei comitati centrali dei partiti ex-comunisti, veri professionisti della realpolitik, ha dovuto riconvertirsi (rigettando, di fronte all’evidenza del fallimento, l’antica fede, e buona parte del proprio passato), esibendosi in tripli salti mortali dialettici in un modello che fosse il meno lontano possibile da quello abbandonato: il kennedysmo e il partito democratico statunitense. Ma poiché questo modello è pur sempre distante anni luce da quello di origine, ecco che la base illusa e disillusa si è gradualmente scollata dai vertici, ormai rappresentativi solo di se stessi, e in buona parte si è rassegnata alla sconfitta cercando almeno di ridurre i danni ed in parte minore si è coagulata nell’eterogeneo movimento dei No Global. Di tutte le bandiere brandite dai No Global, la più vistosa è sicuramente quella dell’Antiamericanismo (creando in ciò un inquietante ponte con l’estremismo pan-islamico). In effetti gli U.S.A. (e qualche frangia nell’Europa Nord-Occidentale) dettano ormai legge, solitari, in un Mondo costruito a loro immagine e somiglianza, e perciò incarnano agli occhi di molti il cervello ed il cuore pulsante di un sistema , quello Consumistico, indubbiamente discutibile. Si identifica nella Globalizzazione dell’economia, la fonte di tutti gli squilibri planetari, ma non si tiene conto che essa è solo un effetto, non una causa. I No Global, nei quali convergono non solo 43 2002 © Giuseppe Iardella
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gli ex-comunisti, ma tutti coloro che sono stati emarginati da un Sistema che non ha saputo metabolizzarli, mantengono anch’essi una visione distorta del problema: imputando agli Stati Uniti tout court (e non ai soli poteri forti che li controllano, e che controllano l’intera economia mondiale) e alla Globalizzazione ( e non al Consumismo che ne è alla radice ) tutti gli attuali malanni del Pianeta; è come se volessero uccidere un coccodrillo colpendolo alla coda. In realtà, il popolo americano è responsabile della globalizzazione tanto quanto lo sono, ad esempio, gli abitanti di tutti gli altri Paesi che acquistano un qualsiasi bene di consumo ad un prezzo basso prodotto a bassissimo costo in un Paese in via di sviluppo . Il popolo americano, per una molteplicità di cause, ha avuto la ventura di fungere da pioniere e da cavia del Modello Consumistico, ed in tale modello è stato così saldamente integrato che non saprebbe oggi come oggi neanche pensare ad una società diversa. Il popolo americano è talmente condizionato dal proprio modello, ritenuto il migliore possibile, anzi l’unico, da considerare ogni critica ad esso un attacco diretto alla propria vita. Ed è proprio questo infinito ping pong fra auto e etero identificazione della Società dei Consumi con la nazione statunitense che genera reciproca diffidenza e ostilità. In realtà la nazione statunitense è un ossimoro ed il Modello Consumistico è l’unico denominatore comune (artificiale) inventato da coloro che hanno voluto capovolgere l’ordine di priorità dei diritti umani sanciti nel 1776, a Philadelphia, dai padri della patria: non più, cioè, vita, libertà e ricerca della felicità ma, al contrario ricerca della felicità (ma quale?), libertà e vita. Ma il popolo americano è fatto di donne ed uomini uguali a tutti gli altri, con un cuore ed un cervello, ed è molto, molto migliore di quanto esso stesso non creda. E’ profondamente ingiusto (ed inutile), quindi, farlo bersaglio di attacchi concentrici materiali o metaforici. Anzi il frequente ricorso alla violenza, più o meno manipolata da agitatori di professione, rende inviso il Movimento No Global proprio a quella moral majority che anche fuori dagli U.S.A. rappresenta la grande massa dei Consumatori e in definitiva fa il gioco della Produzione. Ecco perché, l’Antiamericanismo ( anche quello più pacifico ed apolitico ), viziato anch’esso da un’analisi inesatta e parziale, non è in grado di fornire risposte valide per il superamento del Modello Consumistico.
2. La Critica Organica (il Consumerismo) Se non esistesse Ralph Nader, la Produzione avrebbe dovuto inventarlo. Nel 1965 un giovane avvocato americano, Ralph Nader, fece pubblicare un libro, divenuto un bestseller, che avrebbe dato il via ad una vera e propria mutazione genetica nelle modalità di produzione dei beni (e servizi): Unsafe at any speed. Si trattava di un ponderoso e documentato atto di denuncia sull’elevata insicurezza di un modello di automobile della GM, la Corvair, che poi, sparì rapidamente dal Mercato. Il successo commerciale del suo libro e quello giudiziario, nella causa intentata contro la GM per molestie (e relativo risarcimento economico), misero Nader in condizione di fondare la più potente associazione americana di Consumatori, e di creare, praticamente dal nulla il Consumerismo cioè una forma di movimentismo che ha come obiettivo primario la difesa dei diritti dei Consumatori. Oggi tali diritti sono sempre più codificati, ma oltre trent’anni fa ben pochi ne avevano un idea precisa. Nader vede nel benessere del Consumatore il fine ultimo dell’economia, ma non vuole mettere in discussione l’ordine sociale e culturale proprio del Modello Consumistico. 44 2002 © Giuseppe Iardella
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La sua battaglia mira a tutelare la centralità del Consumatore mediante azioni (soprattutto legali) volte ad equilibrare il rapporto fra offerta e domanda nel senso di una maggiore considerazione della prima verso la seconda. Il background culturale giuridico di Nader lo portò a privilegiare l'azione legale come campo principale di battaglia, mutuando dal sindacalismo il principio del contratto fra due parti: il Produttore ed il Consumatore interagendo fra di loro mediante un atto di compravendita volontario assumono delle precise obbligazioni. Il Consumatore ha l'obbligazione di corrispondere al Produttore (o chi per lui) la somma di denaro concordata, mentre il Produttore ha l'obbligazione di far sì che il bene (o servizio) venduto risponda pienamente ai requisiti attesi dal Consumatore. L'opera di Nader si è sviluppata su due direttive principali, che hanno rivoluzionato il modo di pensare dei Consumatori, la generalizzazione del principio del contratto a beni (o servizi) di valore marginale (e non solo di beni, o servizi molto costosi), e la omologazione dei requisiti minimi ad un sistema di riferimento: gli standard di qualità. Standard che il Legislatore è fortemente sollecitato a definire, pena l'insuccesso politico. Oggi il Consumatore medio non rinuncia a reclamare per un prodotto difettoso, anche se questo ha un prezzo poco significativo: - è una questione di principio!- si dice. Beh! Questo accade anche grazie a personaggi come Nader. Con Nader ed il Consumerismo si sviluppa il concetto centrale del Marketing moderno: la customer’ satisfaction . Tutti i movimenti di Consumatori (o quasi), sono figli di Nader e, nella migliore delle ipotesi tutelano strenuamente i diritti dei Consumatori sulla strada tracciata dal capostipite, ma nella peggiore si prestano, più o meno coscientemente, ad abili manovre ordite della Produzione. In realtà quella Consumeristica non è una critica alla Società dei Consumi in quanto tale, bensì una critica ai modi della Produzione. Ecco che il Consumerismo assume la funzione di un fattore evolutivo, della Produzione e del Mercato, tutto interno al Sistema . Come interpretare, altrimenti, la candidatura di Nader alla Casa Bianca se non come un tentativo di seguire i canali istituzionali della politica (e quindi del Sistema)? Politica che, come abbiamo già visto, è ormai largamente subordinata all’economia. Il Consumerismo, dunque, contribuisce in maniera determinante a orientare i piani della Produzione verso un’efficienza ed una redditività sempre maggiore. Quella parte di Produzione che vuole ignorare il fattore Nader è destinata, prima o poi ad essere spazzata via dal Mercato, in base alle sue stesse leggi. Tuttavia, malgrado l'attenzione crescente ai problemi più globali dell'ambiente e del suo degrado, dell'abuso delle risorse primarie, e quant'altro, lo spirito del Consumerismo non essendo affatto esterno al Sistema, si rivela inadeguato ad eliminarne i vizi di fondo .
3. L’Ecologismo Catastrofistico Tutti gli eventi che hanno costellato il XX secolo danno l’impressione di una inaudita accelerazione. Quest’accelerazione è stata così smodata da mettere in crisi tutti i sistemi di autoregolazione del Pianeta, rendendo difficile, spesso impossibile ogni tentativo umano di tamponarne gli effetti. Malgrado l’ipotesi Gaia voglia attribuire alla Terra un meccanismo omeostatico intrinseco che ne assicurerebbe la sopravvivenza, a prescindere dalla presenza dell’Uomo, l’unico fattore, considerato unanimemente dalla comunità scientifica in grado di cambiare radicalmente la faccia della Terra, è il Sole. Ma in attesa di verificare queste ipotesi, nel secondo dopoguerra, cioè da quando si è cominciata a comprendere la portata della pressione antropica sull’ecosistema terrestre, è nata tutta una 45 2002 © Giuseppe Iardella
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costellazione di movimenti in difesa dell’ambiente. Tutti questi movimenti, con modalità, le più disparate, manifestano una comune e crescente preoccupazione per le sorti della Terra . Il più estremo, e curioso, è senz’altro il VHEMT ( The Voluntary Human Extinction Movement ), il cui ideale cupio dissolvi, mediante la volontaria astensione a riprodursi, garantirebbe la sopravvivenza del nostro pianeta. Tale impostazione neo-malthusiana dovrebbe assicurare, se non l’estinzione della specie umana, per lo meno il ritorno della popolazione terrestre a livelli considerati compatibili con un ecosistema equilibrato ( 1,5 - 2 miliardi di persone ) intorno al 2112. E’ tuttavia poco probabile che, a tale progetto, pur confortato da una logica ferrea, possa aderire, volontariamente, un numero significativo di persone adulte. Molti esprimono un diffuso fatalismo pessimistico, profetizzando (sulla base di dati scientifici sempre più copiosi) scenari apocalittici, e cercano di informare l’opinione pubblica sui rischi che sta correndo il genere umano, segnalando anche i possibili (ma talora improbabili) correttivi. Altri, a ciò aggiungono, un azione diretta, sul campo promuovendo e gestendo anche in prima persona, aree protette di rilevanza naturalistica, sia a livello locale che internazionale, sul modello del WWF ( World Wildlife Fund ). Una frangia, molto visibile di attivisti punta fra l’altro su gesti spettacolari di grande impatto sui mass media. E’ il caso di Greenpeace che, grazie anche alla sua flotta di navigli, conduce battaglie mirate con tecniche e tattiche che sembrano ispirarsi alla pirateria dei fratelli della costa. Certo è che, nonostante il sospetto di protagonismo di molti ecologisti, gli atti di denuncia relativi al degrado ambientale sono talmente documentati e giustificati che solo un pazzo incosciente potrebbe ignorarne la gravità. Ma è proprio perciò che, anche in questo campo, la Produzione offre le sue, apparentemente ragionevoli, soluzioni, ordendo uno dei più promettenti business del futuro, quello dei rifiuti, ove, per rifiuti, si intendano tutti i prodotti residui del Consumismo . Le opzioni della Produzione sono riconducibili a due linee ben distinte: il recupero e successiva lavorazione dei residui riciclabili, ed il confinamento di quelli non riciclabili e molto imbarazzanti, in zone opportunamente identificate, possibilmente ben lontane da occhi indiscreti, magari in qualche Paese del Quarto Mondo con la complicità di compiacenti governanti locali. Quanto all’inquinamento atmosferico (effetto serra incluso), al dissesto idro-geologico, alla desertificazione e a tutti gli abusi sull’ambiente non ben quantificabili, né confinabili perché ormai globalizzati, la Produzione non può certo curarsene più di tanto (se non per minimizzare la proprie responsabilità), visto che un approccio efficace a tali problematiche, implicherebbe una radicale revisione del Modello Dominante di Sviluppo. Se vengono contingentate le quote di emissione dei gas serra, poco male: basta acquistarle da Paesi che non ne emettono ed il gioco è fatto . In ultima analisi, è principalmente sull’ambiente che il Modello Consumistico mostra di avere il fiato corto, ed il proliferare di movimenti ecologisti è la dimostrazione che il problema è ormai entrato nelle coscienze di moltissime persone. Ma ciò non basta a dare una seria e concreta impostazione alla sua soluzione, poiché molti, troppi di questi movimenti, mossi da un disordinato ed incoerente attivismo volontaristico, non riescono ad operare con sufficiente lucidità. Normalmente essi respingono qualsiasi azione politica, considerandola viziata all’origine ; vogliono raggiungere la loro meta per vie alternative, prevalentemente pacifiche e tentano di fare breccia sulla pubblica opinione con iniziative ed azioni isolate, confidando nella potenza dell'esempio. Ma non possono rendere pubblico proprio l’esempio più importante, e cioè quello di un coerente comportamento quotidiano da Consumatori Consapevoli, quali, si spera che siano tutti gli ecologisti convinti . 46 2002 © Giuseppe Iardella
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*** La Critica al Consumismo non si esaurisce certo nelle categorie sopra descritte, essa annovera una infinita schiera di intelligenze e coscienze attive, che vi portano, ognuna, un contributo più o meno originale. Anche il Consumatore Medio, ormai, avverte qualcosa di profondamente sbagliato nel Sistema in cui è immerso, ma prevale ancora un diffuso senso di ineluttabilità. Il primo obiettivo del Consumo Consapevole è proprio quello di rompere questo circolo vizioso e di proporre una visione diversa, critica ma propositiva, anche perché quell’alternativa che la Produzione non è, né ideologicamente né materialmente in grado di offrire, deve e può venire solo dall’azione comune e cosciente del Popolo dei Consumatori, da cui dipende, per ammissione della stessa Produzione, l’intero andamento dell’economia. La Produzione ha infinitamente più bisogno dei Consumatori più di quanto questi non dipendano da quella. E solo quando la Massa Critica dei Consumatori Consapevoli indurrà la Produzione a modificare radicalmente le sue verità, per costruire, finalmente un Mondo migliore, potremmo ribaltare le attuali posizioni in campo e la Produzione sarà totalmente assoggettata ai Consumatori.
4. Posizione dei Consumatori Consapevoli di fronte ai diversi Movimenti dei Consumatori. Da quanto finora esposto, appare ovvio quale sia il rapporto dei Consumatori Consapevoli con i vari Movimenti di Consumatori esistenti. Il Consumo Consapevole non è : - una filosofia - una religione o una setta - un partito politico - una lobby economico-affaristica - un’associazione di alcun tipo - una psicoterapia - un sindacato - una moda - un movimento convenzionale di consumatori - un utopia (o un’anti-utopia) Il Consumo Consapevole è : - un moto dello spirito, assolutamente non violento, profondo e radicato in ogni persona che abbia a cuore il futuro dei propri figli e dell’intera umanità, - fragile ed, apparentemente, indifeso all’inizio, ma, grazie ad una progressiva spinta volontaria collettiva, può divenire davvero irresistibile, - fatto di grandi idee e di piccole azioni quotidiane, - un esercizio continuo e costante , estremamente impegnativo, che investe tutto il nostro essere, - internazionale, anzi, globale. Il Consumo Consapevole è solidale con tutti quei movimenti che si oppongono, in forma democratica e non violenta, all’attuale Modello Consumistico, ma ne ravvisa i relativi limiti. 47 2002 © Giuseppe Iardella
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Questi limiti possono essere superati solo da una visione d’insieme, quella del Consumo Consapevole per l’appunto, risultante da un’analisi dinamica e puntuale. Il Consumo Consapevole è l’unica via d’uscita dal cul de sac in cui si è cacciata l’Umanità. Il Consumatore Consapevole è fortemente sensibilizzato alle potenti sollecitazioni imposte dal Consumismo, e le sa filtrare grazie ad un continuo, e costante training del proprio senso critico. I Consumatori Consapevoli sono in grado, in un tempo relativamente breve, di estendere le proprie idee e le loro applicazioni, in maniera assolutamente pacifica, ad una significativa e crescente quantità di persone . I Consumatori Consapevoli vogliono appropriarsi, fuori da ogni condizionamento che non provenga dalla propria coscienza, dell’unico vero, potente, e diretto atto capace di incidere profondamente sulla realtà attuale: quello della scelta e dell’acquisto (o meno) di un bene o di un servizio! Il Consumo Consapevole non è un movimento organizzato e strutturato su modelli noti, non riconosce leaders o capi carismatici, esso viaggia attraverso tutti i canali di comunicazione possibili, libero dalle pastoie del profitto. Tutti possono diffonderne i principi, senza dover render conto a nessuno. La strada è molto difficile ed in salita ma la sua forza sta nella sua necessità. Molti potranno rifiutare tutto di ciò che qui sta scritto, ma nessuno può sentirsi indifferente , nessuno può chiamarsi fuori. Il Consumo Consapevole è rivolto, in prima battuta, ai Consumatori dei Paesi più industrializzati, perché in questi sono più evidenti i pro ed i contro dell’attuale Sistema, e perché qui si consuma l’80% dell’intera produzione mondiale. Ma ogni abitante della Terra ne è direttamente ( o indirettamente ) coinvolto. In una parola tutta la popolazione umana, a qualsiasi latitudine dovrebbe far propri i principi del Consumo Consapevole. Solo così si potrà realizzare una forma di democrazia diretta dei consumi, fondata sul senso di responsabilità che ogni individuo adulto dovrebbe avere; e chissà che, oggi che la tecnologia potrebbe permetterlo, non possa preludere ad una forma di democrazia diretta, anche politica, in senso stretto? I Consumatori Consapevoli sdegnano di nascondere le loro opinioni e le loro intenzioni. Dichiarano apertamente che i loro fini possono essere raggiunti soltanto con il rovesciamento pacifico di tutto l’ordinamento socio-economico finora esistente. La Produzione tremi al pensiero di questa globalizzazione dal basso. I Consumatori non hanno da perdervi che le loro catene. Abbiamo il nostro mondo da salvare. CONSUMATORI DI TUTTI I PAESI, UNIAMOCI !
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