Accademia Belle Arti Catania Diploma Accademico di Primo Livello Indirizzo: Graphic Design Comunicazione d’impresa Anno Accademico: 2011/2012 Tesi: FOTOGRAFICA “Sconfinamenti Artistici Tra Fotografia e Grafica” Autore: Vaccaro Giuliana Relatore: Prof. Carmelo Nicosia Correlatrice: Prof.ssa Carmen Cardillo
INDICE Introduzione pg. 2 Abstract pg. 4 Capitolo I . Il fotografico nelle avanguardie artistiche pg. 6 Man Ray - Rayografia Aleksandr Michajlovic Rodcenko El Lissitzky Otto Steinert - Subjektive Fotografie Luigi Veronesi Capitolo II . Il fotografico nell’arte concettuale anni ‘60-’70 pg. 15 Mario Schifano Oliviero Toscani Capitolo III . Gli Anni ’80 in Italia pg. 24 Luigi Ghirri Capitolo IV . Il fotografico negli anni ‘90 pg. 33 Barbara Krugher Ketty La Rocca Guerrillas Girls Roni Horn Bibliografia pg. 41 Sitografia pg. 42 1
INTRODUZIONE “Non colui che ignora l’alfabeto, bensì colui che ignora la fotografia sarà l’analfabeta del futuro”. Così profetizzava Laszlo Moholy-Nagy, ancora prima della messa a punto definitiva e della commercializzazione dei primi apparecchi fotografici reflex monoculari, che avrebbero promesso di ottenere dal messo il massimo della potenzialità linguistica, con un grado minimo di difficoltà tecnica unito ad una estrema praticità d’uso, facendo della fotografia un rituale di massa paragonabile alla scrittura. Non è difficile riconoscere le incredibili potenzialità, sia a livello tecnico che a livello puramente espressivo, di cui la fotografia disponeva sin dalla sua genesi nel diciannovesimo secolo. Il fatto stesso che essa divenne mestiere per i gradi ritrattisti dell’epoca, faceva presagiare che quella “camera obscura”, quell’oggetto ingombrante, così odiato dagli accademici e così amato dalla piccola borghesia imprenditoriale di fine Ottocento avrebbe cambiato irreversibilmente, il corso dell’evoluzione culturale mondiale. “Foto-grafico” è una titolazione nata spontaneamente attraverso un’indagine estremamente logica dellle applicazioni che la fotografia non-figurativa ha conosciuto durante il suo excursus storico.
La Scelta della fotografia come strumento espressivo è maturata quasi spontaneamente, grazie alle potenziali prospettive che offriva al nuovo panorama artistico che andava sviluppandosi in Europa nei primi decenni del Novecento. Il nuovo concetto di produzione artistica, promosso dalla Bauhaus, che vedeva l’arte non più come rappresentazione della bellezza, ma strettamente legata al concetto di utilità e fruibilità della bellezza formale nella quotidianità della vita, faceva della fotografia un mezzo ed uno strumento espressivo estremamente elastico e innovativo nei confronti di tale produzione. E’ il concetto stesso di arte che viene a modificarsi, passando da prerogativa d’èlite fine a se stessa a parte integrante dell’immaginario collettivo, insomma la caratteristica del mondo che ci viene costruito attorno. Non voglio però anticipare temi e tesi che andrò ad affrontare nei capitoli seguenti, ma mi pare opportuno, almeno, tracciare i punti fondamentali che tratterò e le motivazioni che mi hanno portato a svillupare una tesi che a priori potrebbe sembrare abbastanza singolare. Capisco pure di dover giustificare una scelta che mi appresto a concludere; ma credo che ciò mi sarà piuttosto facile. Dati la passione e l’interesse che mi legano 2
al fenomeno della fotografia, e che da più di un anno a questa parte mi sono avvicinata a queste tematiche, mi è sembrato del tutto naturale cogliere questa occasione per approfondire quelli che sono i miei interessi culturali maggiori in questa sede. Questa tesi si sviluppa fondamentalmente in quattro fasi che, concatenate fra loro, costruiscono a mio parere il percorso logico per far sì che il concetto espresso nel titolo “foto-grafico” trovi un modo d’essere. Nel primo capitolo intitolato “Il foto-grafico nelle avanguardie artistiche” ripercorrerò i passi della fotografia nelle avanguardie artistiche dagli anni Trenta agli anni Cinquanta, con particolare interesse ai fenomeni e ai personaggi che ne hanno per primi condizionato il corso di vita. In seguiito nel secondo capitolo dal titolo “Il foto-grafico nell’arte concettuale” approfondirò la fotografia nell’arte concettuale degli anni Sessanta e Settanta. Nel terzo mentre parlerò e anallizzerò Luigi Ghirri, fotografo concettuale italiano degli anni Ottanta-Novanta che mi ha entusiasmata molto per i lavori fotografici originali di paesaggi svolti durante la sua carriera. Era anche un grafico design. Mentre nel quarto ed ultimo capitolo ripercorrerò il “foto-grafico” degli anni Novanta e Duemila fino ad arrivare ai giorni nostri. 3
ABSTRACT “Non colui che ignora l’alfabeto, bensì colui che ignora la fotografia sarà l’analfabeta del futuro”. So prophesied Laszlo Moholy-Nagy, even before the finalization and marketing of the first monocular reflex cameras, which were promised to get the maximum from the set of potential linguistic, with a minimal degree of technical difficulty combined with extreme ease of ‘use of photography by making a ritual of mass comparable to writing. It is not difficult to recognize the incredible potential to be a purely technical level of expression, including photography available since its genesis in the nineteenth century. The very fact that it became a profession for grades portraitists of the time, was presagiare that the “camera obscura”, quel’oggetto cumbersome, so loved and so hated by academics from small entrepreneurial middle class at the end of ‘800, have irreversibly changed the World ongoing cultural evolution. “Photo-graph” is a titration born spontaneously through an investigation extremely logical dellle applications that photography has non-figurative art known during his historical survey. The Scetla of photography as an expressive instrument has gained almost spontaneously, due to potential prospects who of-
fered the new art scene that was developing in Europe in the early decades of the ‘900. The new concept of artistic production, promoted by the Bauhaus, he saw art not as a representation of beauty, but closely linked to the concept of usefulness and usability of formal beauty in everyday life, photography was a means and an extremely expressive instrument flexible and innovative in regard to this production. And ‘the very concept of art that is modified, from the prerogative of the elite end in itself to complement the popular imagination, in short, the feature of the world that is built around. But I do not want to anticipate and fear the thesis that I address in the following chapters, but it seems appropriate, at least, draw the key points that deal and the motivations that led me to svillupare a thesis that a priori might seem quite peculiar. I understand well the need to justify a choice that I am about to conclude, but I think this is pretty easy. Data passion and interest that bind me to the phenomenon of photography, and that for over a year now I have approached these issues, it seemed the natural tuttto take this opportunity to deepen those are my cultural interests further here. This thesis is developed in four phases that 4
fundamentally, chained together, they build in my opinion, the logical path to ensure that the concept expressed in the title of “photographic” find a way of being. In the first chapter titled “The photo-graph in the artistic avant-garde” back over the steps of the artistic avant-garde photography in the 30s to the 50s, with particular interest in the phenomena and the characters who were the first affected the life course. In seguiito in the second chapter entitled “The photo-graph conceptual art” delve photography in conceptual art of the sixties and seventies. In the third, and while I will speak of Louis anallizzerò Ghirri, Italian photographer conceptual deglli eighties-nineties I was very excited for the photographic work originalidi landscapes done during his career. He was also a graphic designer. While in the fourth and final chapter back over the “photo-graph” of the nineties and noughties up to the present day.
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Dall’inizio del il 1900 il concetto estetico cambia; diviene una rivoluzione che viene portata avanti da una serie di correnti artistiche definite Avanguardie. Nel 1900 nascono l’Espressionismo, il Cubismo, il Futurismo e l’Astrattismo, nel 1916 nasce il Gruppo Dada e nel 1924 il Surrealismo. Le avanguardie sono associazioni culturali, che raccolgono letterati, musicisti ed artisti, alla base di ognuna delle quali vi è uno scritto teorico, definito manifesto, delineato da un intellettuale. Il motivo della nascita delle avanguardie sta nella crisi della società nei primi anni del XX secolo e nella nascita della consapevolezza che chiunque può dare un contributo attivo per migliorare la società. Il motto preso come riferimento da tutte le avanguardie è quello che propone Nietzsche, ovvero distruggere per ricostruire. Il compito che l’arte assume con le avanguardie non è quello di mandare un messaggio estetico, ma quello di far nascere nuove idee nell’osservatore. L’arte diventa quindi il mezzo di produzione di un pensiero nuovo che permetta di agire sulla società. Cambia l’idea di estetica, che ora si basa sui contenuti, e l’artista diventa colui che esprime un pensiero nuovo interpretando la realtà, non considerando più i criteri di bel6
lezza estetica. “Dada” è una non-parola. Questo movimento nasce durante i terribili anni della prima guerra mondiale (19141918) quando tutti i valori umani apparivano travolti dalla logica orrenda del grande conflitto. Tutto ciò avviene a Zurigo, città nella quale convergono molti intellettuali di diversa estrazione che, nella neutrale Svizzera , si pongono a riparo dai disagi della Prima guerra mondiale. Il movimento nasce a Zurigo e a New York e si estende dopo in buona parte dell’Europa, soprattutto Germania e Francia. Ufficialmente nasce a Zurigo, in un cabaret cui venne dato il nome di Voltaire, filosofo illuminista francese sostenitore della ragione contro ogni pregiudizio. In questo cabaret un gruppo di artisti mettono in scena sketches insensati, danze anomale. Naturalmente l’effetto sul pubblico è di provocazione estrema. Nasce una specie di disgusto e di rifiuto verso tutte le forme di pensiero, di vita, di comportamento, verso le classi dirigenti verso il potere economico, del quale l’espressione artistica è uno dei movimenti esemplari. Dada vuole distruggere tutto, per ricostruire tutto il mondo completamente diverso, rendendo all’uomo il ruolo di protagonista, che gli è stato tolto.
Dada è contro la letteratura , la poesia, l’arte, tutto ciò che si è fatto passare eterno, bello, perfetto. TUTTO è ARTE. Uno degli artisti del periodo Dada è ManRay, si avvicina negli anni Dieci all’ambiente artistico di New York, dove diviene uno dei protagonisti dell’avventura dadaista locale. Nel 1920 realizza le sue prime fotografie creative, di carattere dadaista. Esegue ritratti fotografici di tutti i principali intellettuali del periodo, sperimenta diverse tecniche fotografiche. Nel 1921 “scopre” rayographs. La rayografia è il nome dato dal fotografo e artista dadaista e surrealista Man Ray ai suoi fotogrammi. La tecnica del fotogramma consiste nell’esporre oggetti a contatto con del materiale sensibile, di solito della carta fotografica. In pratica si ottengono delle fotografie senza fare uso di una fotocamera. In seguito procedimenti simili sono stati utilizzati dal fotografo italiano Luigi Veronesi e, con il nome di “polagrammi”, con l’utilizzo di materiale immediato (pellicole Polaroid). È molto interessante anche la definizione di Rayogramma che compare nel dizionario del surrealismo, probabilmente scritta dallo stesso Man Ray: “Fotografia ottenuta per semplice interposizione dell’oggetto fra la carta sensibile e la fonte luminosa.
”Che poi prosegue “Colte nei momenti di distacco visivo, durante periodi di contatto emozionale, queste immagini sono ossidazioni di desideri fissati dalla luce e dalla chimica, organismi viventi.” Il costruttivismo nasce con il manifesto del realismo nel 1920. Il manifesto enuncia: “ l’arte non è una mera fonte di conversazione, ma la sorgente stessa di una reale esaltazione, la nostra convinzione e i fatti. Si deve uscire dal vicolo cieco nel quale si trova l’arte da Ventanni”. I principali elementi della tecnica costruttivista sono: Spazio e tempo sono le uniche forme su cui la vita è costruita e su ciò deve quindi essere edificata l’arte. L’attuazione delle nostre percezioni del mondo sotto forma di spazio e tempo e l’unico fine della nostra arte plastica. Sappiamo che tutto ha una propria immagine essenziale: la sedia, il tavolo, la lampada, l’uomo. Sono tutti mondi completi, coi loro ritmi e le loro orbite. E’ per questo che lasciamo solo la realtà: Nella pittura rinunciamo al colore, in quanto elemento pittorico e, l’unica realtà pittorica è la luce. Rinunciamo alla linea in quanto valore descrittivo è affermiamo che la linea vale solo come direzione. Rinunciamo al volume in quanto forma spa7
ziale, pittorica e plastica ma l’unica forma spaziale è il valore della profondità. Rinunciamo alla scultura in quanto massa intesa come elemento sculturale. Rinunciamo alla delusione artistica secondo cui i ritmi statici sono gli unici elementi delle arti plastiche. Un’artista del periodo costruttivista è proprio Aleksandr Michajlovič Rodcenko. La sua attività artistica si svolge in diversi ambiti, dalla pittura alla grafica, dal design alla fotografia. Nel 1924 inizia a fotografare e dal 1928 abbandonata definitivamente la pittura per la fotografia. Intanto in quegli anni produce anche manifesti e murali per i sindacati e le varie associazioni, disegna copertine e cura la parte grafica delle edizioni delle opere di Majakovskij. L’idea della fotografia come sperimentazione continua viene individuata da Rodcenko anche nella posizione della macchina fotografica: così come la fotografia aveva insegnato all’uomo a vedere in modo nuovo, così la stessa fotografia doveva ora essere in grado di vedere il mondo da un nuovo punto di vista. Rodcenko cominciò a produrre materiali utili ai suoi fotomontaggi, che utilizzava per manifesti e illustrazioni di libri. In Russia, in cui i era un alto tasso di analfabetismo, il foto8
montaggio si rivelò un innovativo ed efficace mezzo di comunicazione e si inseriva nella poetica costruttivista, nemica di uno stile individuale esclusivo. Il fotomontaggio era già usato alla fine della Grande Guerra come strumento di denuncia dai dada berlinesi e del Bauhaus coi quali Rodcenko aveva stretti rapporti. Il Suprematismo movimento artistico sviluppatosi durante e dopo la Prima Guerra Mondiale a opera di K.S Malevic: mira alla più completa semplificazione degli elementi figurativi per giungere a una pura combinazione di elementi geometrici intesi come l’assenza “suprema” della visione. Il suprematismo, sia nella pittura che nell’architettura è libero da ogni tendenza sociale o materiale. L’artista, il pittore, cioè, non è più legato alla tela, al piano della pittura, ma è in grado di trasportare le sue composizioni dalla tela nello spazio. Tra i più significativi esponenti del suprematismo fù El Lissitzky che, durante la sua permanenza in Germania, fece conoscere le idee suprematiste in particolare a L. Moholy-Nagy, attraverso il cui il suprematismo ebbe larga influenza sul Bauhaus. El Lissitzky era un pittore, grafico e architetto, una delle figure principali dell’avanguardia russa. Seppe fondere nelle sue opere i
principi del costruttivismo con elementi del suprematismo; utilizzò spesso tecniche del fotomontaggio e del collage anche per la realizzazione di poster propagandistici. El Lissitzky creò nelle sue opere una sintesi dei principi del costruttivismo e del suprematismo, utilizzando l’asse dinamico e asimmetrico tipico delle opere suprematiste e introducendo nello stesso tempo un ritmo meccanico regolare di matrice costruttivista. Nel 1920 esso disegnò la Storia di due quadrati, una storia simbolica ambientata in un cerchio rosso (la terra), i cui protagonisti sono un quadrato rosso e uno nero in lotta contro il caos, rappresentato da un insieme confuso di figure geometriche. Subjektive Fotografie è una corrente della fotografia tedesca sorta nel 1949 con la fondazione del gruppo Fotoform ad opera del fotografo e teorico Otto Steinert. La Subjektive fotografie (il cui programma fu redatto da Otto Steninert in collaborazione con il critico Franz Roh, figura di spicco della Nuova Oggettività) promosse, dopo gli anni di repressione del regime nazista, la libera espressione della creatività e della soggettività in ogni genere di fotografia, da quella astratta al fotogiornalismo. Accogliendo in eredità le sperimentazioni del Bauhaus e delle avanguardie storiche, Steinert sostenne che, al fine di ottenere nuovi
punti di vista e forme visive originali che eludessero la semplice riproduzione meccanica della realtà, fosse necessario esplorare tutti i mezzi specifici della fotografia. Il movimento si diffuse infatti rapidamente in Europa e in America, influenzando una intera generazione di fotografi in cerca di una nuova identità artistica quali, fra gli altri, i fotogiornalisti della Magnum. Nelle arti figurative il concetto di astratto assume il significato di “non reale”: l’arte astratta non rappresenta la realtà, crea immagini che non appartengono alla nostra esperienza visiva. Essa, cioè, cerca di esprimere i propri contenuti nella libera composizione di linee, forme, colori, senza imitare la realtà concreta in cui noi viviamo. L’astrattismo nasce agli inizi del ‘900, ma fu presente in molta produzione estetica precedente, anche molto antica. L’astrattismo vuole esprimere contenuti significativi, senza prendere in prestito nulla dalle immagini già esistenti intorno a noi. All’astratto si è arrivati mediante un processo che può essere definitivo di astrazione. L’arte astratta può diventare metodo di una nuova progettazione estetica, nell’architettura e nelle arti applicate. E’ un processo che si compie nella Bauhaus, negli anni 1920 e 1930, e che vede prota9
gonista Kandiskij (fondatore). L’idea che l’astratto potesse servire a costruire un mondo nuovo era già nata qualche anno prima in Russia, con quella avanguardia definita Costruttivismo. Negli anni 1939, in coincidenza con quel fenomeno di ritorno alla figuratività, definito “ritorno all’ordine”, l’Astrattismo subisce dei momenti di pausa. Esponente dell’Astrattismo che vorrei trattare è Luigi Veronesi. Veronesi è stato un pittore, fotografo e regista italiano. Negli anni venti inizia a svolgere delle ricerche nell’ambito fotografico che gli consentono di ottenere, attraverso determinate tecniche, immagini dense di originalità. Sarà posto a confronto con opere di autori che segnarono la sua formazione e la definizione del suo linguaggio, come Kandiskij, MoholyNagy, El Lissitskij e altri esponenti dell’arte italiana e internazionale del tempo.
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El Lisickij, Gli ismi nell’arte, copertina del libro disegnato da El Lisickij e scritto assieme a Hans Arp, 1925; Il libro si apre con un enigmatico 1925?, illustra à rebours la ricerca delle avanguardie artistiche europee. 11
Otto Steinert, Lights Place de la Concord Paris,1952 12
Luigi Veronesi, fotogramma n. 26 Fototeca della Biblioteca Panizzi Reggio Emilia Collezione Liliana Dematteis 1936
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Aleksandr Rodcenko, Stairs, Stampa d’epoca alla gelatina d’argento, 1920. La scalinata non è inquadrata frontalmente, ma di scorcio, così da creare una prima deviazione rispetto alle norme visive consolidate; inoltre, essa non è ripresa dall’altezza ell’occhio umano (quelle che Rodcenko definiva ironicamente “riprese ombelicali”), ma da un punto di vista rialzato, in maniera tale che non sia chiaramente percepibile se la figura stia salendo o scendendo le scale. I gradini segnano con evidenza l’alternarsi della luce e dell’ombra, sino a trasformarsi in pure linee bianche e nere. Infine, la figura che si trova al centro dell’immagine, permette allo spettatore di pensare un contesto spaziale “reale”; ma anche in questo caso, la solitudine della figura e l’essenza di altri personaggi, conferiscono alla scena un sapore metafisico, di sospensione temporale, fortemente evocativo. Tutti questi elementi sono tipici della ricerca fotografica di quel periodo. 14
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In questo clima di “contestazione globale” si intreccia strettamente una volontà di riscatto dell’”estetica” o dell’estetico, facendo riemergere ciò che era già manifesto nelle avanguardie dell’inizio secolo. Si svaluta il momento “artistico” della produzione materiale di un oggetto, offerto ad una contemplazione immobile; si punta su mezzi informativi a vasta diffusione, anche temporale, e di difficile limitazione spaziale, come la luce, il suono, l’immagine ottenuta con procedimenti elettro-magnetici. Per attenuare il carattere di merce insito anche nel prodotto di una operazione artistica. L’operatore estetico si rifiuta al compito di essere un fabbricante di oggetti, ma anima, attiva la facoltà estetica della collettività in cui vive. Dietro la “morte del quadro” e il passaggio a una ricerca di environment , di stimolare tutte le nostre facoltà(estetiche, percettive, poetiche) per Marcuse spetta agli artisti (operatori estetici) il compito di esercitare la “negazione determinata” contro i valori positivi delle strutture dominanti; per McLuhan “adeguare la sensibilità (estetica) comune ai nuovi presupposti insiti nei mezzi tecnologici che si stanno affermando a livello materiale nel passaggio dall’era delle macchina a quello dei media, della comunicazione e di un’estetica tecnologica. 15
La Minimal Art, Arte Povera e Process Art, Arte Concettuale, Land Art, Narrative Art, che vengono designate come “neoavanguardie” perchè alle avanguardie storiche si richiamano consapevolmente. Fra queste il Dadaismo, che più radicalmente ha messo in discussione i valori culturali dominanti e quindi anche la concezione e i mezzi tradizionali dell’operare artistico. Più in particolare l’attenzione su Duchamp, a causa dell’affinità di interessi e di atteggiamenti che con lui scoprono di avere le nuove generazioni di artisti. Nel pieno dispiegarsi di quella società capitalistica di massa e dei media che D. e i dadaisti avevano intuito e contestato. Se Duchamp con il ready made disambienta, ora questi gesti ripresi con sistematicità divengono non pars destruens ma prevale la pars construens. Il gesto di negazione del quadro, o di altra istituzione artistica privilegiata, il recupero di ogni possibile oggetto esistente, l’estensione di tale recupero anche agli oggetti immateriali, alle idee, alle parole”. La fotografia assume negli anni Settanta, un ruolo i primissimo piano in quanto essa tende a porre in questione la diffusa opinione, propria nel senso comune, che attribuisce alla fotografia la capacità di produrre immagini perfettamente reali.
Gli artisti fanno ricordo ad una serie di di tecniche, quali il fotomontaggio, negativo, l’uso di lenti deformanti, mettendo in crisi le attese dello spettatore. Il fotomontaggio soprattutto, consente agli artisti di proporre una rappresentazione inedita, fondata sull’accostamento di frammenti di immagini fotografiche estratte da contesti diversi accostate in modi inaspettati. L’accostamento di parole e immagini, rappresentano un’altra tecnica di spostamento del messaggio fotografico nell’ambito naturalistico, a un ambito più analitico, criticoautoriflessivo. In alcune declinazioni recenti della fotografia, la relazione tra parola e immagine non tende però a creare un effetto di spostamento, di ascendenza surrealistica, ma vuole costituire un senso compiuto, un racconto, proponendo così paradossi logici. Nelle fotografie narrative, le immagini si dispongono invece di uno spazio proprio, mentre le parole ne occupano un altro del tutto separato dal primo, sulla base di un ordine compositivo che assegna al testo il ruolo di didascalia, di esplicazione delle immagini. Il termine “concettuale” compare per la prima volta nel 1966-67 nell’ambito del gruppo Art Language, per indicare l’operazione artistica intesa come pura produzione mentale.
Le esperienze dell’arte concettuale, dell’arte povera, della land art, della body art, costituiscono la testimonianza di un trapasso di enorme portata da un periodo artistico all’altro, questo vale a dire della cultura pittoricainformale degli anni Cinquanta e quella analitica e comportamentale degli anni 60-70. Nelle opere delle Narrative Art, testo e immagini risultano quindi spazialmente separati ma nello stesso tempo stretti in una relazione di ordine mentale, che inserisce i dati verbali a quelli visivi in un contesto narrativo in cui l’elemento immaginario regala in secondo piano la corrispondenza immediata tra immagine e realtà. L’immagine fotografica entra a far parte della struttura narrativa dell’opera, affidandosi alle sue proprietà specifiche di rappresentazione diretta di una situazione. Si stabilisce una sorta di divisione dei compiti, l’immagine si incarica di ancorare il racconto ad una determinata situazione spazio-temporale, che si identifica con il presente; la parola, sotratta da impegni descrittivi dispone il filo sottile e tortuoso della narrazione, facendo da racconto tra presente, passato, futuro. Le “arti figurative”, tradizionalmente attribuite al dominio del visivo, recuperano una componente verbale, scritturale, sempre più marcata, tanto che per alcune esperienze 16
compiute in questa direzione si può parlare di “un’arte come scrittura”. Oggi, possiamo finalmente ritenere concluso il dibattito creato tra fotografia e pittura, potendo individuare un’autonomia di linguaggio della fotografia in arte. Pop art è il nome della corrente artistica della secondo metà del XX secolo che deriva della parola inglese “popular art” ovvero arte popolare. La pop art è una delle più importanti correnti artistiche del dopoguerra. Discende direttamente dal graffiante cinismo della Nuova Oggetività e della semplicità equilibrata del Neoplasticismo, del Dadaismo e del Suprematismo. Nasce in Gran Bretagna alla fine degli anni cinquanta, ma si sviluppa negli USA a partire dagli anni 60, estendendo la sua influenza in tutto il mondo occidentale. Questa nuova forma d’arte popolare è in netta contrapposizione con l’eccessivo intellettualismo dell’Espressionismo Astratto e rivolge la propria attenzione agli oggetim ai miti e ai linguaggi della società dei consumi. La pop art infatti usa il medesimo linguaggio della pubblicità e risulta dunque perfettamente omogenea alla società dei consumi che l’ha prodotta. L’artista, di conseguenza, non trova più spazio per alcuna esperienza soggettiva e ciò lo 17
configura quale puro manipolatore di immagini, oggetti e simboli già fabbricati a scopo industriale, pubblicitario o economico. Nelle mani di un artista pop le immagini della strada si trasformano nelle immagini “ben fatte” dell’arte colta. I temi raffigurati sono estremamente vari: prodotti di largo consumo, personaggi del cinema, immagini di cartelloni pubblicitari, insegne, riviste. Ritenuto da molti l’esponente di spicco della pop art italiana è il fotografo Mario Schifano lui elimina dall’immagine il carattere naturale, pittura o fotografia. La fotografia in particolare diventa uno strumento di mobilità concettuale che evita qualsiasi identificazione dell’artista con l’opera e dell’arte con il mondo. La superficie diventa il campo di apparizione iconografica su cui si intrecciano l’occhio meccanico dell’obiettivo fotografico e la pulsione della mano che segna la foto. Schifano dunque opera come sempre in una doppia direzione. Più che il grande senso della storia, generalmente catturata attraverso la pittura, con le polaroid invece egli cerca di restituirci gli attimi fuggenti della vita telematica, le pulsazioni di una cronaca sfaccettata e multiculturale. L’artista multimediale in questo caso vive molti climi culturali, transnazionali, policro-
matici e poliglotti. Sempre comunque produttivi di un costante presente che rifugge la nostalgia del passato e piuttosto cerca di sospettare i segnali del futuro. La fotografia istantanea nella sua frammentarietà tenta comunque di dare un’idea di totalità, sistematicamente attenuata da un’irruzione ironica che distanzia il pathos della rappresentazione. Il tema costante, è quello della relazione dell’artista col mondo che lo circonda, una spazio temporalità pulsante di immagini, suoni, forme e colori. Così la fotografia in Mario Schifano ormai ha varcato il guado e non può più essere considerata un linguaggio subalterno dell’arte. L’occhio meccanico e obiettivo della macchina fotografica non ha alcun automatismo che lo obbliga a coniugare la stessa ottica, ma è aperto a molti stimoli e memorie che gli consentono ormai variazioni e spostamenti. Comunque resta il fatto che qui la fotografia tende sempre a sottrarre un dato alla realtà delle sue relazioni d’insieme (il flusso catodico) e consegnano alla definitività dell’attimo e dell’istantaneità. La fotografia dunque effettua come uno strappo delle cose, una riduzione di superficie attraverso cui affiorano persistenze e residui di profondità.
L’occhio del fotografo Schifano parte da una pratica costante, che è quella dell’assedio, di uno sguardo circolare per poi passare a un affondo che viviseziona il panorama di insieme e estrapola il particolare. Velocità e congelamento sono le polarità entro cui si muove la fotografia. La velocità è dettata dalla necessità di passare in rassegna il campo visuale d’insieme, su cui scorre l’occhio prensile del fotografo. Mario Schifano ha capito che il linguaggio dell’immagine fotografica non si discosta da quello delle altre arti. L’arte in generale è sempre pratica splendente di un’ambiguità senza soste, il linguaggio dell’arte non parla mai direttamente e frontalmente del mondo ma lo coniuga sempre obliquamente e trasversalmente. Insomma egli ha capito che anche la fotografia, che tradizionalmente sembrava porsi frontalmente rispetto alle cose come pura registrazione, possiede invece un occhio obliquo e laterale che guarda le cose e le riflette modificate di segno, spostate in un altro luogo. Mario Schifano ha compreso che la fotografia lavora nella direzione del ready-made, dell’oggetto bello e fatto, che comunque non resta mai tale dopo il suo spostamento sulla pelle della pellicola. Il taglio che il fotografo effettua, costringe il dato ad ap18
prodare a una sua involontaria assolutezza, confinante con una splendente e esibita solitudine che annulla ogni realtà confinante, riducendola a puro sospetto visivo. Un altro aspetto del “foto-grafico” è l’uso nella pubblicità di foto e testo dove grafica è appunto l’area d’interesse ma diviene composizione visiva. Come esempio Olivieri Toscani, ha studiato fotografia e grafica all’Università delle Belle Arti di Zurigo, conosciuto internazionalmente come la forza creativa dietro i più famosi giornali e marchi del mondo, creatore di immagini corporate e campagne pubblicitarie attraverso gli anni , come fotografo di moda ha collaborato e collabora tuttora per giornali come Vogue, GQ, Harper’s Bazaar, Esquire e molti altri nelle edizioni di tutto il mondo. Ha creato l’immagine, l’identità, la strategia di comunicazione e la presenza online di United Colors of Benetton, trasformandolo in uno dei marchi più conosciuti al mondo. Toscani è stato uno dei fondatori dell’Accademia di Architettura di Mendrisio, ha insegnato comunicazione visiva in svariate università e ha scritto diversi libri sulla comunicazione. Dopo più di quattro decadi di innovazione editoriale, pubblicità, film e televisione, ora si interessa di creatività della comunicazione applicata ai vari media, producendo, con il suo studio, progetti editoriali, libri, program19
mi televisivi, mostre ed esposizioni. Il lavoro di Toscani è stato esposto alla Biennale di Venezia, a San Paolo del Brasile, alla Triennale di Milano e nei musei d’arte moderna e contemporanea di tutto il mondo.
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Mario Schifano, Coca Cola, 1972, Acrilico su tela, Mart, Rovereto, cm 200 x 205,5. Il celebre marchio della Coca Cola popola innumerevoli opere d’arte, confermando la ricchezza simbolica di questo logo: dal combine painting di Robert Rauschenberg Coca-Cola Plan, al décollage di Wolf Vostell, intitolato proprio Coca-Cola, dalle infinite variazioni sul tema di Andy Warhol, a quest’opera di Mario Schifano. La parola ha sempre avuto un ruolo importante nei suoi lavori, le cui opere, hanno assunto un linguaggio materico e informale. Emersero cifre e lettere, parole e segni presi proprio dal mondo della pubblicità dopo al 22
Mario Schifano, Paesaggio Tv. Negli Anni 70, Schifano adotta una tecnica che connette le caratteristiche dell’immagine in movimento e della stasi pittorica. Io lavoro così. (…) Giro un film (…). Passo il nastro del film al videotape. Blocco il videotape sul fotogramma che mi piace. Fotografo il fotogramma: porto il negativo della foto ad alto contrasto, e lo stampo su una tela emulsionata. A questo punto dipingo, ci dipingo sopra: e sono io a dipingere. Poi quel che ho dipinto viene messo sotto plastica. Questa tecnica, permette di creare un’opera pittorica su tela emulsionata a partire da quelle immagini televisive che Schifano amava fotografare in continuazione.
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Luigi Ghirri è tra gli autori più importanti e influenti nel panorama della fotografia contemporanea, di cui rappresenta e costituisce un importante punto di riferimento. La sua produzione fotografica è ormai considerata di valore universale. Per il cambiamento che ha impresso al modo di rappresentare il paesaggio nel corso degli anni, si può infatti parlare, a proposito delle sue opere, di un vero e proprio patrimonio culturale. Per lui la fotografia era un lavoro del pensiero, come la filosofia e la poesia. E rientrava in una attività che è sempre esistita, quella di formarci immagini del mondo, che siano una misura dell’esperienza. Attraverso ricerche che hanno visto Luigi Ghirri al centro di un animato dibattito culturale sul significato dei luoghi della vita dell’uomo e sul ruolo che la fotografia può svolgere per una loro più autentica conoscenza, il fotografo emiliano ha svolto una lunga e profonda riflessione sul tema del paesaggio, raggiungendo una essenzialità da intendersi come riflesso e misura dei caratteri del paesaggio italiano e dell’architettura dei suoi luoghi. Inoltre le fotografie di Ghirri hanno cambiato il modo di intendere la fotografia di architettura, definendo un punto di vista particolare oltre lo specialismo. 24
Restituiscono, infatti, un’immagine dei luoghi, dove lo sguardo del fotografo registra il risultato inatteso dell’incontro tra l’artificio del progetto, la città storica e il dato naturale, costruendo di fatto paesaggi capaci di suscitare atmosfere impreviste ed emozionali. Luigi Ghirri (Scandiano 1943 - Roncocesi 1992) è stato uno dei più influenti fotografi europei cui si devono contributi ed iniziative che hanno vivacizzato l’atmosfera della fotografia italiana, inizia la sua personale attività agli inizi degli anni ’70, dopo aver maturato un particolare approccio al mondo della produzione delle immagini all’interno delle esperienze dell’arte concettuale. Negli stessi anni lavora anche come grafico e nel 1975 è indicato come “Discovery” del Photography Year da “Time-Life” su cui pubblica un portfolio di otto pagine; sempre nello stesso anno partecipa alla mostra Photography as Art di Kassel. Nel 1982 è invitato alla Photokina di Colonia, dove partecipa alla mostra Photographie 1922-1982, e nella quale viene presentato come uno dei fotografi più significativi e importanti del XX secolo. Negli stessi anni all’attività espositiva, sempre più intensa, dà il via a ricerche che verranno pubblicate con i titoli Diaframma 11,1/125 Luce naturale e Italiailati. Del 1972-1974 è il lavoro Colazione sull’er-
ba; nel 1973 realizza Atlante e tiene la prima mostra personale a Modena. Nel 1977 fonda, insieme a Paola Borgonzoni e Giovanni Chiaramonte, la casa editrice Punto e Virgola, per i tipi della quale pubblica, in Italia e in Francia, Kodachrome (1978), frutto di una ricerca intrapresa all’inizio del decennio e organizza mostre quali Iconocittà (1980), Viaggio in Italia (1984), Esplorazioni sulla Via Emilia (1986). Esperienze che lo vedono all’inizio e al centro di un animato dibattito culturale sul significato dei luoghi della vita dell’uomo e sul ruolo che la fotografia può svolgere per una loro più autentica conoscenza. Nel 1979 il CSAC dell’Università di Parma gli dedica una grande mostra monografica. Sono anche gli anni di un ricco sodalizio intellettuale con lo scrittore Gianni Celati col quale “viaggia” per la penisola con l’intenzione di riscoprire e dare un volto ai suoi luoghi essenziali al di là di ogni spettacolarizzazione mediatica, documentaristica o di cronaca, e di qualsivoglia sensazionalismo e asservimento televisivo. La cosiddetta ‘stagione del paesaggio’ degli anni Ottanta, voluta e tenacemente sostenuta da Vittorio Savi, si estese con la collaborazione alla rivista di architettura “Lotus International”, per la quale, nel 1982, fotografa il cimitero di Modena di Aldo Rossi
e inizia un intenso lavoro finalizzato all’analisi dell’architettura e del paesaggio italiano realizzando volumi su Capri (1983), con Mimmo Jodice, l’Emilia Romagna (1985-1986), Aldo Rossi (1987). Questa lunga e profonda riflessione sul tema del paesaggio culmina con la realizzazione dei volumi Paesaggio italiano e Il Profilo delle nuvole, entrambi pubblicati nel 1989 in cui la ricerca di Ghirri approda ad una essenzialità da intendersi come riflesso e misura dei caratteri e della bellezza del paesaggio italiano e dell’architettura dei suoi luoghi. Svolge anche un’importante opera di organizzazione di progetti espositivi, tra cui Iconicittà (1980) al Pac di Ferrara, Penisola (1983) al Forum Stadtpark di Graz, Viaggio in Italia (1984) mostra itinerante, e Descrittiva (1984) per il Comune di Rimini. Nel 1985 pubblica un volume sulle opere di Paolo Portoghesi e porta a termine un lavoro sulla Città Universitaria di Piacentini, l’anno successivo intraprende il progetto di lettura del paesaggio padano e più in generale del paesaggio italiano. Nel 1988 viene pubblicato il volume Il Palazzo dell’Arte di A.C.Quintavalle, corredato da una sua ricerca fotografica sui principali musei italiani e stranieri. Nel 1991 conclude un lavoro su Giorgio 25
Morandi, che lo aveva impegnato per due anni. Numerose sono le pubblicazioni dedicate alla sua opera. I suoi lavori sono conservati presso varie istituzioni museali nel mondo. Nel 1992 (anno della sua morte) la galleria d’Arte Moderna di Bologna gli ha dedicato la prima retrospettiva ed il libro-catalogo intitolato: Vista con Camera 200 fotografie in Emilia Romagna si apre con una delicata introduzione della Sig.ra Paola Ghirri, moglie di Luigi, che, con Ennery Taramelly, delinea così l’avventura umana ed artistica del marito: “Le tracce di Pollicino vogliono essere un viaggio a ritroso nel tempo, alla scoperta del bizzarro universo, fisico ed umano, dove l’autore ha vissuto l’infanzia e l’adolescenza: un microcosmo che avrebbe legato il “magico giocattolo” fotografia allo “stupore” incantato con cui i suoi occhi di bambino avevano dischiuso lo sguardo sul mondo. Ghirri ha lasciato la più alta testimonianza del suo affetto per il mondo: “Ghirri riconduce tutte le apparenze e apparizioni verso quell’ultimo sfondo, verso il limite sul quale l’aperto si fa mondo. Riesce a farlo attraverso la visione atmosferica, cioé attraverso il sapore affettivo dei colori e dei toni. E ciò gli permette di presentare tutte le apparenze del mondo come fenomeni sospe-
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si, e dunque non più come fatti da documentare. Ogni momento del mondo è riscattato dalla possibilità di ridargli una vaghezza, cioè di riportarlo al sentimento che abbiamo dei fenomeni”. Finalmente ci ha fatto vedere uno sguardo che non spia un bottino da catturare, che non va a caccia di avventure eccezionali, ma scopre che tutto può avere interesse perchè fa parte dell’esistente. Ci sono mondi di racconto in ogni punto dello spazio, apparenze che cambiano ad ogni apertura d’occhi, disorientamenti infiniti che richiedono sempre nuovi racconti: richiedono soprattutto un pensare-immaginare che non si paralizzi nel disprezzo di ciò che sta attorno”. Negli ultimi giorni in vita, le sue ultime foto sono state scattate in un paesaggio brumoso, innevato nel febbraio del 1992.
Luigi Ghirri, Marina di Ravenna, 1986. Questa specie di supporto per tende da spiaggia, che, senza tenda, diventa un quadro perfetto, una cornice. Potrebbe essere la cornice di un quadro come di una fotografia. Questa fotografia, che non mostra niente di straordinnario, solo un aspetto della realtĂ , dimostra efficacemente tutto quello che vi ho detto. 27
Luigi Ghirri, Lucerne, 1971-72, from Paesaggi di cartone. 28
Luigi Ghirri, Modena, 1973, from Kodachrome. 29
L’importanza in Ghirri così come in altri artisti di creare piani diversi di rappresentazione, una fotografia è spesso composta da piu immagini, una stampata e l’altra reale, bidiemsionale e trimensioanle insieme, creando ambiguità e riportando tutto su un unico piano. Ghirri studia gli elementi che ritrova sulla scena e le stampe grafiche , tipografiche, creando fotografie spesso ludiche, surreali, stranianti, originali. Il reale sembra riproposto in scala come piccolo contenitore di infiniti rimandi e associazioni sempre riferiti all’arte, troviamo quadri, affrschi, grafiche. Per lui è forte l’esigenza di un’immagine colta, appartente alla cultura italiana, alla classicità. In lui è costante lo studio dell’immagine, dell’icona, come nel lavoro iconografia/topografia, gioca sulle attinenze, quelle fotografie sono grafica, sono stampe, sono geometrie, ma vengono proposte come fotografia. L’ambiguità iconografica si fa protagonista di questa ricerca.
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Luigi Ghirri, Lucerne, 1971-72, from Paesaggi di cartone. 31
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LuigiGhirri, Self-Portrait, Kodachrome,1976
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Se è vero che non sempre le date ufficiali, allineate nella stretta cronologia, e i fatti storicamente significativi possono combaciare, al contrario, al volgere degli anni Novanta, fenomeni rilevanti prendono corpo proprio allo scadere del fatidico anno, registrato come punto di svolta socio-politica: il 1989. L’evento che è abitualmente considerato fondamentale nella trasformazine del rapporto fra il “centro” (Stati Uniti e Europa Occidentale) e le cosiddette “periferie” (Africa, America Latina, Asia e Australia) dell’arte. Gli anni ’90 sono caratterizzati dalla passione per la tecnologia, nasce la fotografia digitale e il fotoritocco. In questo periodo vi è un cambio di oggetto, vengono recuperati i valori di una concettualità piena e totale, anziché quella della pittoricità. Oggi appunto le macchine fotografiche sono di facile utilizzo e sono diffusissime. L’aumento del numero di utilizzatori ha permesso un ulteriore abbattimento dei prezzi. Le gallerie d’arte, i libri e le scuole hanno saputo dare molte critiche costruttive sulle fotografie e su come comunicano. Oggi la fotografia è utilizzata da così tante persone che puòl considerarsi una forma d’arte altrettanto profonda quanto qualunque altra. Infatti la fotografia è entrata a fare parte di 33
quasi ogni aspetto della nostra vita quotidiana. Le macchine digitali, gli scanner e Internet hanno permesso una diffusione estremamente rapida della fotografia che continua a espandersi con il progresso tecnlogico e culturale. Un’artista del periodo è Barbara Kruger. Dall’inizio degli anni Ottanta la Kruger crea I suoi lavori che sono diretti ed evocano una risposta immediata. Spesso si avvale di immagini di donne recuperate da pubblicità su riviste o giornali, a cui aggiunge brevi testi disposte negli spazi cittadini destinati ai manifesti pubblicitari, sovvertendo il senso del loro linguaggio e creando così uno stile forte, inconfondibile e d’impatto e, soprattutto, permettendo all’arte di uscire fuori dai luoghi istituzionali del museo e della galleria per generare un corto circuito con il quotidiano. L’uso delle immagini in bianco e nero, il font e la scelta dei colori hanno creato uno stile originale e facilmente riconoscibile. Il risultato scuote l’osservatore, mirandone le certezze e scardinando i luoghi comuni della società, perché i messaggi lanciati dalla Kruger (frasi personali o tratte dal linguaggio corrente) sono critiche potenti degli stereotipi legati alla donna, al consumo di massa o al vivere sociale ma offerte in maniera che
disattende le aspettative di colui che guarda e che da un manifesto pubblicitario pensa di essere gratificato e rassicurato. Un’altra artista di cui vorrei parlare è Ketty La Rocca anche se fa parte degli anni Settanta , la inserisco negli anni Novanta perchè è un’artista per me contemporanea che è rappresentata da opere che ripercorrono l’intero suo iter creativo, durato soltanto dieci anni, con la poesia visiva, le riduzioni, le perfomance, la fotografia, i libri d’artista. Le sue prime opere sono riconducibili come ho appunto citato prima, all’interno della poetica portata avanti degli anni Sessanta dal Gruppo 70 a Firenze. Successivamente l’artista si confrontò pioneristicamente con le tecniche espressive più avanzate della sua epoca; quali il videotape e installazioni. Si concentrò infine sul linguaggio del corpo e sul gesto arrivando a servizi delle radiografie del suo cranio e della sua stessa grafia. La sua ricerca ultima, vicina all’arte concettuale, approdò alle Riduzioni in cui le immagini vengono ricondotte, per graduale trasfigurazione, a segni astratti. Antitradizione e slancio innovativo nel campo dell’arte, diventano per lei consapevolezza sul piano della coscienza civile, così da impegnarla in programmi sociali, nell’ambito
dei quali realizza per la RAI una serie di trasmissioni per sordomuti. La vasta produzione degli scritti, praticata durante tutta la vita, risulta essere parte integrante del lavoro artistico e viene a costituire un necessario complemento alla comprensione del suo percorso creativo. l tema della mercificazione del corpo femminile è alla base del lavoro di Ketty La Rocca (1938-1976) che realizza i suoi primi collages tra il 1964 eil 1965. Le sperimentazioni di Ketty La Rocca condividono lo stesso background socio-politico di numerose artiste (Yoko Ono, , Gina Pane, Marina Abranmocih, Namcy Spero, ecc,) che tra gli anni Sessanta e Settanta impiegano il corpo non soltanto come veicolo espressivo, ma come strumento attivo di azione politica, operando una simbiosi tra etica ed estetica volta a una completa ridefinizione del concetto di genere. La Rocca realizzerà una serie di opere sull’auto rappresentazione radiografica di particolari anatomici attraversati da fluttuanti scritte in corsivo, come nella serie “Craniologie” in cui l’immagine ai raggi x del cranio è attraversata da un inquietante e ossessivo “you, you, you”. In “Vergine” , l’artista affianca la foto di una ragazza a quella di vari prodotti di consumo, denunciando il fatto che la donna e gli og34
getti reclamizzati vanno incontro allo stesso trattamento e godono della medesima considerazione. Vi ho già accennato cosa accade nel mondo della fotografia, purtroppo il panorama della discriminazione di genere è ancora peggiore. Nel 1985, un gruppo di ragazze ha deciso di fondare negli Stati Uniti un movimento di attivismo socio-artistico basato sull’analisi impietosa della discriminazione nel mondo espositivo statunitense: le Guerrilla Girls. La loro prima performance consisteva nell’affigere nelle strade della città dei manifesti che denunciavano la mancanza di alcuni gruppi sociali nelle gallerie e nei musei. Nel corso degli anni il loro attivismo si è spinto alla critica di Hollywood, dell’industria cinematografica, della cultura popolare, degli stereotipi e della corruzione nel mondo dell’arte. Nel 2001 il gruppo si è separato in tre branche: Guerrilla Girls, GuerrillaGirlsBroadBand e Guerrilla Girls On Tour. Guerilla Girls On Tour è un organizzazione separata dalle Guerrilla Girls originali e il loro obiettivo è quello di sviluppare nuovi giochi e originali, performance e workshop che drammatizzano la storia delle donne e sostenitore a favore delle donne e degli artisti di colore nelle arti dello spettacolo. Roni Horn inizialmente influenzata dalla le35
zione del minimalismo ne prende in seguito le distanze sviluppando una ricerca personale incentrata sui temi del tempo e dell’identità. Crea venti foto che espone choamate “bird” che ritraggono degli uccelli visti da dietro, ogni immagine mostra il collo e la testa dell’uccello colorato. Tra i numerosi artisti che hanno utilizzato la forma della fotografia nelle loro opere artistiche voglio citare anche Emilio Isgrò, Giuseppe Penone (“Rovesciare i propri occhi”, 1970), Mario Cresci, Luca Maria Patella (“Dice A”, 1966, “Camminare” 1968), Michelangelo Pistoletto, Gianfranco Baruchello, Fabio Mauri, Mimmo Rotella, Gianni Bertini, Sergio Lombardo, Giosetta Fioroni, Eugenio Carmi, Luigi Ontani.
Barbara Kruger, Untitled (Envy), Photograph, Edition of 10
Barbara Kruger, Remote Control, Photograph 36
Ketty La Rocca, Appendice Per Una Supplica, 1974
Ketty La Rocca, Le Mani, 1973
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Questo tabellone commissionato a New York, è stato accolto favorevolmente per la possibilità di fare qualcosa che facesse d’appello ad un pubblico generale. Le Guerrilla una domenica mattina hanno condotto un conteggio al museo metropolitano dell’arte a New York, confrontando il numero di nudi maschili con quelli femminili nelle illustrazioni esposte. I risultati hanno rivelato molto. Avevano rivelato che il 83% dei nudi è femminile ma che solo il 3% sono opere di donne artiste e da questa consapevolezza hanno fatto girare per i bus di New York l’immagine del manifesto.
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DEAR COLLECTOR....WE KNOW YOU FEEL TERRIBLE We’ve left a little note for collectors who will be descending on Athens, Greece, for the Art Athina International Art, May 30 – June 3, 2007.
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Roni Horn, Bird, 2008
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