Gli Italiani 4/10 ottobre 2010

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della settimana

Malainformazione E ancora: monnezza e tagli alla sanità, politica fra lodi e territorio, Zamparini e Mario Mori, stragi e depistaggi Calabria, ‘ndrangheta, mafia e appalti. E poi il Brasile che è di sinistra e donna. E dossieraggi, spioni, personaggi da film di seri B. Con il Paese che va a rotoli, il lavoro che non c’è, le generazioni che si allontanano. Tutti incollati allo schermo, rapiti dall’orrore della televisione del dolore Newsletter www.gliitaliani.it

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LA SETTIMANA DE GLI ITALIANI

Il progetto de Gli Italiani. Il momento del salto di qualità. E la campagna di adesioni della redazione de Gli Italiani Questo è un momento cruciale per questo progetto. Ci siamo resi conti che non può più bastare essere un “sito” di nicchia, senza promozione e pubblicità “vera”. Senza quella professionalità che, in maniera discreta, abbiamo comunque sempre inserito nella gestione dei contenuti e nella confezione del prodotto. Abbiamo dei numeri più che rassicuranti, anche se finora non abbiamo “spinto” il prodotto e “investito” un euro sulla promozione. Tutti i lettori che ci siamo conquistati li abbiamo avvicinati grazie alla bontà del nostro progetto. Più di 700.000 visitatori unici in meno 7 mesi di attività. E 280 lettori/autori e 500 persone iscritte alla newsletter quotidiana e quasi 5.000 utenti su Facebook. Che ci seguono quotidianamente. Con centinaia di pagine e siti che ci riprendono ogni giorno, rilanciano le nostre notizie, e sostenendoci con la loro attenzione. Questo è il momento di crescere. Di dare davvero voce al progetto de Gli Italiani. Qui sul web, ma anche per dare spazio al progetto originale di una rivista di approfondimento nei prossimi mesi. Abbiamo perciò deciso di aprire una sede e una micro redazione “fisica” che tenga insieme e sia riferimento della redazione diffusa che ogni giorno mette in rete una media di 24 notizie quotidiane. E di migliorare gli spazi di lettura, la fruibilità del prodotto, puntando molto su due punti: l’approfondimento critico delle politica (sul modello dell’Huffington post) e del giornalismo d’inchiesta (sul modello di Pro Pubblica). Mantenendo contemporaneamente lo spirito di essere una piattaforma di citizen journalism aperta e non gerarchica. Vogliamo accettare la sfida di ibridare e rendere compatibili due modi completamente diversi di fare informazione e giornalismo, affiancando la novità del giornalismo partecipativo dal basso con le professionalità e le competenze di essere cronisti di inchiesta. Non è poco, lo sappiamo. Ma crediamo di esserne in grado dopo sette mesi di sperimentazione. 2

Ovviamente ci saranno delle trasformazioni sia grafiche che di organizzazione dei contenuti sul sito web e cominceremo a testare (attraverso la distribuzione web di numeri prova in formato pdf) l’ibridazione fra rete e carta stampata. Per fare questo abbiamo deciso di aprire ai nostri lettori, collaboratori, amici e sostenitori la partecipazione al progetto. Attraverso la costituzione di un’Associazione (denominata Gli Italiani) e una campagna di iscrizioni e donazioni diffusa. Il nostro obiettivo minimo è coinvolger alcune migliaia di soci ordinari e sostenitori (con quote variabili fra i 10 e i 50 euro) entro dicembre. Perché il capitale sociale raccolto sarà l’unico motore vero e possibile per far davvero nascere e crescere questo esperimento di libera informazione. Crediamo di potercela fare con il vostro aiuto. La campagna di iscrizioni e donazioni sarà lanciata la prossima settimana (indicativamente fra venerdì e sabato prossimi). E richiederà tutto il nostro impegno e il vostro sostegno. Grazie 10 ottobre 2010

Tecniche di manipolazione dell’informazione di Salvo Vitale Giornalmente se ne studiano nuove, ma i principi di fondo sono quelli di sempre: -L’importante non è “fare”, ma “far credere di fare”; -Una notizia non è tale, un avvenimento non esiste, se non viene comunicato. -La comunicazione è in grado di creare colpevoli e innocenti, buoni e cattivi, eroi e vigliacchi, grandi uomini e piccoli vermi, di trasformare cattivi politici in abili statisti e abili statisti in cattivi politici, secondo l’orientamento predeterminato del giudizio da comunicare e secondo lo spazio dato alla notizia. E andiamo a casa nostra: è accertato da “Reporter sans frontière” che l’Italia occupa il cinquantaduesimo posto,( credo che quest’anno siamo scesi giù di altri quattro posti), tra i paesi

semiliberi, per quel che riguarda la libertà di stampa e d’informazione. Peggio delle peggiori dittature africane o arabe. Attraverso il meccanismo della distribuzione pubblicitaria, quasi interamente dirottata su Mediaset e grazie ai finanziamenti statali, i giornali, soprattutto quelli di partito, hanno creato una rete di “giornalisti dipendenti”, proni alle direttive dei partiti che li pagano o dei padroni di testate che fanno riferimento a questi partiti o ricevono da essi commesse pubblicitarie. Giornalmente, una equipe di cervelli decide quali devono essere le notizie da prima pagina, quale la notizia d’apertura, quali sono i termini da usare per rendere il fatto appetibile o poco credibile, importante o irrilevante. Sulla base della linea giornaliera, per lo più indicata dai giornali al soldo del governo, gli altri si allineano riproducendone l’impostazione, con lievi differenze. E’ ormai passata come cosa abituale la foto giornaliera del premier, a dimensioni diverse, a colori o in bianconero, in abito blu su uno sfondo bianco o azzurro, in primo piano o in compagnia, col sorriso o con lo sguardo truce, a seconda degli eventi del giorno. Tutti i giornali, di maggioranza, di opposizione o quelli che si professano equidistanti, sono schiavi di questo ritratto, reso obbligatorio dal principio semplicissimo che il personaggio è ormai penetrato in ogni angolo e diventato indispensabile nell’immaginario collettivo: pertanto parlarne o diffonderne l’immagine aiuta a vendere.. In tal senso uno dei giornali più recidivi, è Repubblica, (e il suo partner settimanale, “L’Espresso”), la quale spesso pubblica, sul quotidiano o sul magazine tre o quattro foto del premier, cui si associano altrettante foto dei suoi lacchè, chiamali ministri o leccaculo di vario genere. Anche “Il Fatto quotidiano” di Travaglio cade spesso in questa trappola. In televisione, secondo una mia recente ricerca, il 28% dei telegiornali inizia con la parola “Berlusconi”, o, in ogni caso lo cita in secoda o terza notizia: segue una sorta di rassegna degli “uomini di regime” che ricorda, per molti aspetti il Politbureau e i sistemi di comunicazione sovietici. Non c’è proporzione con le immagini dell’opposizione, spesso inesistenti o irrilevanti. Una volta stabilita l’impostazione del notiziario del giorno, lanciato in prima stesura da Canale 5 e dal Giornale, questo viene passato, per lo più attraverso l’Ansa, a tutti i telegiornali, da Sky alla Rai, alla 7, che si allineano pedissequamente alla direttiva di regime. Pertanto il tutto è omogeneizzato in una dimensione monocromatica: stesse notizie, stesse parole, stessi giudizi, spesso nello stesso momento. Ci sono poi

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tecniche più raffinate, sino a rasentare il ridicolo, che caratterizzano i giornali interamente schiavizzati dai soldi del premier, ma non solo quelli: 1)Lanciare la notizia, possibilmente gossip, come un’esca all’amo. Aspettare che il giornalista, di opinione possibilmente opposta, abbocchi e poi stroncarlo come uno che invece di fare giornalismo serio cerca calunnie per infangare il nemico politico. La vicenda di Noemi, tirata fuori per prima dai giornali del Berlusca, o quella delle orge di Villa Certosa, disegna chiaramente questa strategia del boomerang che non torna ai furbi che lanciano lo strumento, ma a coloro che lo raccolgono per rilanciarlo, convinti di fare lo scoop. 2)Ribaltare la notizia, rivoltarla nel suo opposto, specie se essa è scarsamente credibile. “Libero” del 16-6 ce ne da un esempio: Berlusconi va alla corte di Obama, dopo avere ricevuto alla propria corte, con incredibili buffonate, Gheddafi. Obama non lo caca se non per quel che si può fare con un alleato ininfluente e da sempre asservito alle direttive americane. Il giornale del “duce”, Libero, spara un titolone in prima pagina: “Obama a Silvio: Aiutami”. Grandi risate: il capo della nazione più grande e più ricca del mondo chiede aiuto al guitto di una nazione che ha il debito pubblico più alto del mondo!!!! Eppure, chi ha studiato questo titolo ha cercato di trasmettere l’immagine del ragazzino Obama davanti allo scafato e saggio Berlusconi che dispensa consigli, gli fa il piacere (vedi che sforzo!!!) di mettere in prigione in Italia tre criminali del campo di concentramento americano di Guantanamo e gli mette a disposizione, come già deciso mesi fa, altri ottocento baldi soldati per rialzare le sorti languenti della guerra americana contro i talebani dell’ Afghanistan. “Silvio, Aiutami”. Figurarsi!!! Si può arrivare a questo grado di cialtroneria? Sì, e si può andare ancora oltre: si noti: per gli americani, dire, quando si incontra una qualsiasi persona conoscente la frase “Nice to see you, my friend” è un’abituale frase di saluto: i giornali schiavi hanno voluto far credere che Obama avesse detto a Berlusconi “E’ bello vederti amico mio”, come se fosse una spontanea dichiarazione d’amicizia, una sorta di “M’illumino d’immenso” davanti alla faccia splendente del Silvio internazionale. A proposito, anche quella di usare il nome, anziché il cognome o il titolo, è una tecnica per rendere più vicino il soggetto, per farlo sentire di casa: anche Repubblica, a “Silvio” dedica spesso esortazioni e comprensioni per le sue gaffe o per i commenti dei suoi cortigiani. 4/10 ottobre 2010

3) Tecnica del panino: inventata dal fedelissimo berlusconiano Mimun, ripristinata dal fedelissimo Minzolin, consiste nel dire l’opinione del governo, nel far seguire una critica, spesso “potata” e inconsistente dell’opposizione, e nel far seguire ancora la controreplica dei portavoce governativi: in tal senso i più gettonati e i peggiori sono nell’ordine Gasparri, Cicchitto , Bonaiuti e Capezzone; seguono, a distanza, Tremonti, La Russa, Maroni, Bossi, Calderoli, Bricolo e Quagliarella. Molto spesso i devotissimi della RAI, dopo una dichiarazione di qualche politico d’opposizione, si premurano di avvisare gli interessati della maggioranza per avere la controreplica e annullare subito il senso di qualche intervento timidamente polemico. 4) tecnica della mistificazione: basta accompagnare l’informazione taroccata con espressioni o finte cifre per renderla più credibile: per esempio “Ci siamo adeguati alla normativa europea…”, che non esiste, ma non importa, basta inventarsela; oppure “Secondo un sondaggio diffuso da…. (segue il nome della società cui è stato commissionato sia il sondaggio, sia il risultato da esibire) ; oppure “secondo voci di corridoio…” “pare che….” : una volta trasmesso l’input, ritirare la mano non è più possibile: il lancio della notizia falsa ottiene sempre risultati maggiori di quanto non ne ottenga una successiva smentita o rettifica. In pratica il pubblicitario “tipico dei finlandesi…” per dire che i finlandesi hanno tutti denti perfetti, non è stato confermato da alcuna seria ricerca, ma è dato come un’affermazione acquisita universalmente. 5) tecnica del complotto: D’Alema, che ha parlato di un indebolimento dell’immagine del premier dopo le europee, Napolitano, presidente comunista, Bersani che ogni tanto si concede qualche blanda critica, si sono visti accusare di un complotto ordito, nientemeno che per destabilizzare il governo e sostituire il suo capo, che invece resta impavido in sella “tetragono ai cimenti e al fato avverso”. Artefici del complotto diventano, a turno, i giornalisti, i magistrati, i partiti d’opposizione, i mafiosi, gli industriali o non meglio identificati “poteri forti” che vogliono sbarazzarsi con l’inganno di chi invece merita solo rispetto e devozione ed è stato eletto dal popolo che lo ama. Appartiene anche a questa categoria la “tecnica del mandante occulto”, che non esiste, ma cui si da esistenza nell’immaginario collettivo, in modo da potere individuare in un referente misterioso il colpevole. Persone dignitose, come Scalfari, De Benedetti, Draghi, si sono a turno viste

associare a questo ruolo. Che il complotto per liquidare la democrazia sia da tempo in atto è vero, ma a farlo non è D’Alema, il quale, tuttalpiù o è complice o non si è ancora reso conto che l’acquiescenza porta ogni giorno alla perdita di un pezzo di libertà. A farlo è proprio la cricca che gironzola attorno al neoduce, dalla mafia, alla P2, ai cosiddetti “padroni del vapore”, che, nonostante la crisi, non vogliono perdere nessuno dei privilegi goduti. 6) l’aggressione dell’avversario con il ribaltamento, su di lui dell’eventuale accusa infamante: il povero Di Pietro è stato, sin dai tempi di Tangentopoli, vittima di campagne di campagne di diffamazione studiate a tavolino, di false immagini che lo hanno presentato come pervertito, ladro, corrotto, arricchitosi indebitamente con i soldi del partito. Idem dicasi della Veronica, che dopo il suo atto di coraggio e la sua denuncia si è vista aggredire da infami calunnie, accreditare pretesi amanti ed è stata sbattuta, sempre sui giornali del padrone, con le tette al vento. Per non parlare della povera D’Addario, che, da puttana alla corte del gran Sultano è stata trasformata in invidiosa bugiarda prezzolata. O del povero Boffo, costretto alle dimissioni dall’Avvenire per una nota informativa successivamente dichiarata falsa dallo stesso killer Feltri che l’aveva tirata fuori. In pratica quello che tu dici a me lo rigetto su di te: vince chi ha più strumenti e giornali per far passare la propria posizione. 7) E’ il principio di Goebbels: “Una bugia detta mille volte diventa una verità”. Così sin dai tempi di Nerone, che incolpò i cristiani dell’incendio di Roma, per arrivare al caso di Telecom Serbia, il piano studiato a tavolino, con un falso testimone che avrebbe dovuto testimoniare che Prodi era un corrotto anche lui: addirittura sul caso Mitriomtikin si fece anche una commissione parlamentare che, grazie all’onesta di alcuni suoi componenti, non accertò nulla. Ma si pensi anche ai complotti dei magistrati “comunisti” che volevano e vogliono, a comando e a qualsiasi costo criminalizzare il premier verginello e innocente. Da Telecinco a Mills. Oppure ai giudici carogna di Mani Pulite che hanno causato il suicidio di tanti poveri innocenti, o l’esilio del nobile socialista Craxi. In altri termini il revisionismo storico si lega al principio della storia è scritta dai vincitori. Tecnica dell’antipolitica: Berlusconi è uno cui si può perdonare tutto, perché non è un politico di professione, ma un imprenditore prestato alla politica. Grasse e grosse risate ci siamo fatti

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quando Obama è stato eletto presidente: Silvio, secondo il solito “Libero”, è l’ Obama italiano, , l’uomo nuovo che sa conquistare la gente. Non conosce il linguaggio e i trucchi della politica e perciò spesso si lascia andare a gaffe e a minchiate che, a seconda delle reazioni, vengono smentite subito dopo. Ma anche questa è una tecnica: lanciare la pietra e ritirare la mano.Per questo bisogna avere comprensione nei suoi riguardi: Tutta la fila dei suoi devotissimi, pronti sempre a dire “Il capo ha sempre ragione” si è astenuta dal fare commenti quando il padrone, in un raro accesso di sincerità ha sussurrato: “Certe volte quello che faccio mi fa schifo”. In questo caso “il capo è sincero”. 9) Tecnica del vittimismo: Si comincia sin dal primo giorno dell’elezione: “E adesso lasciamolo lavorare”. L’opposizione viene vista come un fastidioso disturbo che ostacola le giuste manovre del premier. Addirittura può diventare “eversiva” se si permette di dire che è ora di cambiare uomini e politica. Invece il Silvio passa per uno nei cui confronti si ordiscono complotti, si fabbricano false prove, si truccano i risultati elettorali, si inventano episodi inesistenti, insomma gli si appioppa tutto il male del mondo, mentre lui meriterebbe di essere santificato. Le veline al Parlamento europeo? Niente vero. I voli di stato carichi di puttanelle? Ma quando mai!!! Noemi che passa tre giorni nella sua villa? Calunnie. Veronica che si decide finalmente a chiedere il divorzio? E’ una poveraccia imbeccata dall’opposizione, ma la pagherà. Le orde dei comunisti si mobilitano in ogni parte della nazione per diffondere il male e l’odio, ma per fortuna c’è il partito dell’amore che trionfa. 10) Tecnica dell’apoteosi: Quella della santificazione è una strategia conforme a quelle che usavano e usano i regimi totalitari: il premier visto come colui che non dorme, ma riposa, con la finestra illuminata di notte, che sfibra le sue stanche ossa per servire il paese, che sa quando intervenire, che risolve con la bacchetta magica i problemi della monnezza napoletana o quelli del post-terremoto abruzzese, che siede tra i grandi accreditando l’immagine di statista di levatura mondiale, quando tutti invece ridono di lui. E giù oscene canzoni, dichiarazioni al limite dell’esaltazione religiosa, il tutto con contorno di pubblicazioni con foto truccate, al cui centro c’è sempre lui, il divino, l’ineffabile, il prescelto dal signore, con la storia commovente di chi si è fatto da sé.

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11) tecnica dell’oscuramento: un personaggio esiste finchè esiste in televisione: oscurarne l’immagine è come cancellarlo dal novero delle persone “esistenti”: esempi come quelli di Prodi, Veltroni, Bertinotti, Previti, Luttazzi, Guzzanti, scomparsi o eliminati dai teleschermi, ci danno l’idea di quanto la visibilità d’un personaggio ne confermi l’esistenza e la notorietà. Il suo contrario è dato dalla tecnica della sovraesposizione, in cui quotidianamente bisogna parlare del personaggio, qualsiasi cosa esso combini, sia quella di avere il torcicollo o di acchiappare a volo una mosca. 12) tecnica del particolare come elemento per confermare la tesi di partenza: si tratta di inserire, in un contesto di dati citati a dimostrazione di un assunto, un particolare, spesso casuale, altre volte presunto, per dare un colore più forte alla dimostrazione: se Fini ha ammesso di avere fumato uno spinello, Fini diventa un individuo “sospetto” e non moralmente integro; se tra le persone che organizzano feste di vip c’è implicato un amico di un trafficante di cocaina, la cocaina diventa un elemento da associare all’insieme, anche se non giudiziariamente provato: esiste una verità giudiziaria, spesso calpestata, e una verità di fatto, maturata nell’opinione pubblica attraverso la gestione dei mass media, che finisce col prevalere sull’altra. 13) tecnica del “pompaggio”: si individua tavolino la notizia, per lo più di cronaca, che si vuole gonfiare e verso la quale far convogliare l’attenzione della gente: in genere si tratta di situazioni che coinvolgono gli affetti familiari, come nel caso di Cogne, o dei fratellini Pappalardo, oppure piccole orge tra amici di una tranquilla provincia, come nel caso di Meredith, oppure mostri e serial killers pronti a colpire nell’ombra. Non è il pubblico a mostrare le sue “morbose” curiosità verso un fatto, ma il giornalista che, “pompando” quel fatto lo fa diventare oggetto d’interesse. Spesso tutto ciò serve a distrarre da problemi più gravi dai quali si vuole distogliere l’attenzione. Più sottile e perverso è il rapporto di cronaca con gli stranieri o gli extra-comunitari: se qualcuno di essi è coinvolto in un delitto, se ne trae occasione per montare una campagna di stampa sulla sicurezza e sulla necessità di chiudere le frontiere. Se si tratta di italiani, la cosa finisce col rientrare nella “normalità” della cronaca. Il pompaggio riguarda infiniti altri argomenti, come ad esempio la guerra di cifre dei partecipanti alle manifestazioni, tra quelle della questura e quelle denunciate dagli organizzatori.

Esistono naturalmente altre sottili strategie, con l’uso sapiente delle quali si può fare giornalmente campagna elettorale e procacciare consensi in modo spregiudicato. Gli americani ne hanno studiato tante, ma almeno, tra di essi esistono persone e testate giornalistiche in grado di ritagliarsi una certa indipendenza e di denunciare e mettere in crisi gli intoccabili, a cominciare dal presidente. In Italia questo è ormai un principio irrimediabilmente perduto. Il dilagante “neofascismo morbido” si intrufola negli spazi della democrazia per eroderli giornalmente, lasciando credere che tutto è interno al contesto delle regole democratiche.

9 ottobre 2010

Cazzeggio o minaccia? di Pietro Orsatti Ci sono due possibilità. O il presidente di Confindustria è stata assalita dalla paranoia e ai magistrati ha raccontato solo un suo eccessivo timore per qualche battuta di troppo del vicedirettore de Il Giornale a un suo stretto collaboratore, oppure quelle “battute” battute non erano. E le battute, comunque, esistono. E sono lì, in intercettazioni e sms. Che sembrano raccontare una vicenda che poco ha a che fare con il giornalismo e molto, invece, con una minaccia. Non vogliamo entrare nel merito del dossier, vero e o solo millantato o scherzosamente sventolato, su questioni inerenti alle attività delle aziende della Marcegaglia. Quello che è certo è che la Marcegaglia si è sentita minacciata. Talmente tanto minacciata da dover sentire un uomo di peso della galassia Berlusconiana come Confalonieri, che si scopre che qualche timore l’ha avuto anche lui visto che con Il Giornale il discorso l’ha affrontato. La difesa de Il Giornale, dovuta e puntuale, è comunque un po’ goffa anche se gridata. “Le frasi che avete letto erano chiaramente scherzose” . A dirlo è Nicola Porro, videdirettore del Giornale indagato anche lui nell’ambito di un’inchiesta su queste presunte minacce nei confronti della presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, riferendosi proprio alle intercettazioni telefoniche di sue ripetute chiamate a Rinaldo Arpisella, assistente della numero uno di viale dell’Astronomia. “Era solo cazzeggio”. Porro è 4/10 ottobre 2010


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considerato una colomba. Feltri e Sallusti i falchi. Ma in questa vicenda anche quel “cazzeggio” ha pesato, eccome. Un cazzeggio che ha fatto smuovere mari e monti per rassicurare il vertice di Confindustria. Un cazzeggio pesante. La Marcegaglia di temere una campagna stampa da parte dei giornali legati al premier e alla sua famiglia ne aveva tutte le ragioni. Quando è arrivato lo scherzoso avviso al suo collaboratore il Giornale era impegnato a sbattere in prima pagina, giorno dopo giorno, ogni piega delle mutande di Gianfranco Fini. Non una roba da poco. Chi non si sarebbe preoccupato? D’altra parte vedere la polizia intenta alle perquisizioni in una redazione di un giornale è una cosa che ci allarma e preoccupa. Che non è degna di una democrazia sana. Ma il dubbio che abbiamo noi è che cosa ha a che fare questo presunto cazzeggio con la democrazia e la libertà di stampa? La cosa che allarma, e che dovrebbe allarmare Porro, è che, se per davvero quelle frasi dette e scritte da lui erano solo delle battute, perché l’attività di questi mesi de Il Giornale ha provocato una reazione così esasperata da parte da Emma Marcegaglia? Se il giornale per cui si lavora viene percepito come foglio di distribuzione di dossieraggi vari su ogni voce critica nei confronti del premier dovrebbe far riflettere, e non poco, un giornalista serio come il vicedirettore di quella testata.

8 ottobre 2010

La generazione Facebook di Tonio Dell’Olio Io la amo questa generazione-facebook timida e incerta. Precaria. Con l’arsura profonda di conoscere e incontrare e parlare in una maniera che nessuna fantascienza aveva previsto. Con uno schermo a uso di maschera e un nickname a mo di ombrello. Che si lascia adulare dalla pubblicità e coccolare dagli adulti. Perché non usa le parole che usavamo noi e le cifre di incanto dei sessantotti e dei settantotti e degli ottantotti… ma salta gli aggettivi e sincopa le frasi. E non vuole sapere nemmeno che sono esistite altre epoche di giovani. Questa generazione che ci chiede come facevamo quando non c’erano i telefonini e non ci crede che una volta nei cinema si fumava. Io la amo perché 4/10 ottobre 2010

S E T T I M A N A

D E

G L I

I T A L I A N I

non conosce più le distanze. La amo perché è inedita e non se ne rende conto. Non si lascia sorprendere più dal mondo perché ce l’ha già negli occhi. Ciò che non conosce sono le profondità che si nascondono nell’anima propria e degli altri. L’aria, il sole e un ago di pino. Questa generazione rivoluzionaria di una rivoluzione che non è la mia. Io la amo questa generazione perché ha ereditato nel sangue la forza di arrendersi alle emozioni e di comprendere ciò che è vero. E nonostante tutto vorrebbe lo stesso un mondo migliore di questo, quando qualcuno glielo racconta senza finzioni e senza interessi. da MOSAICO DEI GIORNI 6 ottobre 2010

Il libro di governo di Emilio Fabozzi Berlusconi ha annunciato che sta preparando un libro da mandare a tutti gli italiani. Pare che sia talmente sconcio che perfino Riccardo Schicchi, contattato per la correzione delle bozze, ha denunciato la deriva di valori che sta caratterizzando il nostro Paese negli ultimi anni. “Anche nel porno bisogna avere un limite” ha dichiarato il produttore di “I miei tre cani ce l’hanno lungo”. E’ ancora mistero sull’ordine dei capitoli. L’argomento figurava come primo punto dell’ordine del giorno all’ultima riunione di maggioranza. Anzi, fonti vicine al premier ammettono che nel corso dell’incontro si è rischiata la rottura perché lo scritto dedicato alle attività realizzate da Bondi era stato inserito prima di quello della Brambilla. D’altra parte, si sa che l’autoerotismo precede di qualche tempo i rapporti spinti. Per non parlare di Bocchino inserito all’ultimo capitolo. “O si fa Bocchino prima o niente” ha tuonato, scattando dalla sedia il senatore Tatarella, che in materia di difficoltà erettive e cronologia dei tentativi deve saperla lunga. Alla fine per lanciare un messaggio distensivo a Fli, il gruppo Pdl ha accettato la proposta di inserire Bongiorno come capitolo di apertura (Le buone maniere prima di tutto). Il capitolo s’intolerà “Bongiorno, il mattino ha l’oro in bocca”, coprotagonista dello scritto d’apertura il lussuoso vibratore d’oro zecchino del premier, che ironicamente, per stemperare la tensione, nel corso della riunione ha dichiarato:

“Ce ne ho venti e non saprei quale scegliere”. Per toglierlo dall’imbarazzo di una decisione difficoltosa fortunatamente gli è venuto incontro (di spalle e leggermente inclinato) Gasparri che si è proposto di provarli tutti e 20 per una valutazione competente. Ma il capitolo che ha suscitato più clamore è stato quello di Bossi col figlio. Il genere incesto gay ha fatto sorgere dubbi perfino a Berlusconi che a cercato di convincere il senatur di rinunciare almeno all’utilizzo del dito medio. Si è deciso dunque di aggiornarsi. La seduta è stata sciolta con un primo accordo che ha soddisfatto tutti, Gasparri in primis. L’unica uscita col broncio è stata la Carfagna, che avrebbe voluto proporsi per la valutazione ma è stata battuta sul tempo da Gasparri (non so se mi spiego). Una delusione in parte attenuata dall’omaggio che tutti i partecipanti alla riunione le hanno voluto fare, dedicando un intero capitolo alle prossime nozze annunciate dal ministro con l’imprenditore romano. Il capitolo celebrativo s’intitolerà: “Carfagna si unisce con Mezzaroma”. EMILIOFABOZZI.BLOGSPOT.COM

8 ottobre 2010

Venti case per me posson bastare... di Sonia Ferrarotti Tredici passi. Sono quelli che mi portano da una parte all’altra della mia casa. Trentacinque metri quadri a Roma. Semi-centro, lo chiamano adesso, ma è solo un modo per aumentare i prezzi delle abitazioni. E, come si dice, “sono fortunata”: due milioni di famiglie in Italia hanno problemi abitativi, che l’edilizia sociale non riesce a soddisfare. Avere un tetto sulla testa oggi non è scontato. I problemi abitativi aumentano proporzionalmente all’aumento delle separazioni e dei divorzi. E il problema è grave al punto che alcune coppie, sebbene conflittuali e in procinto di separarsi, rimangono loro malgrado sotto lo stesso tetto, non potendo permettersi ne l’uno ne l’altro una seconda abitazione. E le conseguenze sociali e 5


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psicologiche di questo tipo di “scelte coatte” sono devastanti. Sia per gli adulti coinvolti, sia per eventuali figli. I bambini hanno bisogno di piccole certezze: se mamma e papà non si vogliono più bene, possono non vivere più insieme; per i bambini è senza dubbio una sofferenza, ma superabile se vengono rassicurati che l’affetto verso loro rimane immutato. Ma una coppia che litiga, si separa pur rimanendo nella stessa casa e mantiene un clima di conflittualità all’interno della famiglia, è senz’altro peggio. Eppure la crisi economica, tra le altre, genere anche questo tipo di situazioni. E anche qui “sono fortunati”, perché la cronaca ci ha spesso raccontato di coppie che si separano ed uno dei due è costretto a vivere in macchina. Anche qui, quando “è fortunato” e possiede un’automobile. Insomma, quanta “fortuna” nel nostro splendido paese. E noi ci lamentiamo, non sappiamo fare altro. I veri problemi sono altri: pensate al grave problema di quella persona che si sveglia la mattina e, anziché fare solo tredici passi, è costretto a prendere tredici volte, anzi 20 volte l’elicottero per andare in tutte le sue case. Pensate allo stress di questa persona, alla crisi psicologica che comporta il non saper scegliere in quale abitazione passare il week-end. E la preoccupazione di dover organizzare voli charter appositi per far venire gli amici e le amiche ad una festa, essendo le case così lontane. E il turbamento che ti lascia l’indecisione dell’arredamento di tutte queste case. Va a finire che nella confusione ci si ritrovi un letto rotondo. Roba da reazioni psicosomatiche gravi, quali la perdita di capelli o il blocco della crescita. Non ci si rende neanche conto di quanto stress venga risparmiato a quei due milioni di famiglie ancora senza casa. Eppure noi ci lamentiamo, ci arrabbiamo, scendiamo in piazza per il “diritto alla casa” e occupiamo palazzi vuoti e in disuso. Che popolo ingrato! WWW.SONIAFERRAROTTI.WORDPRESS.COM 6 ottobre 2010

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La televisione del dolore e i cronisti che si fanno sbirri di P.O. Ventinove anni fa venne sdoganata la tv del dolore nel nostro Paese. Temiamo, anzi, di aver fatto scuola in quell’occasione. Il 13 giugno del 1981, alle 7 del mattino, milioni di telespettatori italiani assistettero impotenti alla morte di Alfredino Rampi. Era la tragedia di Vermicino. La Rai trasmetteva in diretta da ben 18 ore a reti unificate la lenta agonia del povero bambino, precipitato alle 19 di due giorni prima in un pozzo artesiano di soli 30 cm di diametro, ma profondo ben 30 metri, lasciato assurdamente aperto alle porte di Roma. Quello è stato l’inizio. In realtà qualche anticipazione l’aveva già data Emilio Fede qualche anno prima, a metà degli anni ’60, sul Monte Bianco, nel corso di un tentativo di recupero di un folto numero di alpinisti bloccati sul pilone centrale della montagna più alta d’Europa. Fra di loro c’era anche l’alpinista italiano Walter Bonatti che accusò poi il giornalista allora in Rai di aver fatto tardare i soccorsi diffondendo informazioni errate. La cosa si fermò lì. Nonostante i morti, tanti, in parete. Ci stupiamo? Ricordiamoci che abbiamo avuto perfino un ministro che rilasciava dichiarazioni in diretta sull’esecuzione di un nostro connazionale rapito in Iraq. E i familiari che apprendevano dalla televisione la notizia che doveva essere data loro, invece, privatamente da qualcuno dell’unità di crisi della Farnesina. E poi, come è possibile dimenticare i plastici della casa di Cogne da Bruno Vespa? Lo storico Giovanni De Luna spiega come la diretta di Vermicino sia il primo mix tra generi televisivi differenti, in particolare tra informazione e fiction. la commistione tra il bisogno di conoscere legatp all’informazione e la ricerca della partecipazione emotiva personale della fiction. Da qui la televisione del dolore. Con la sua solida base produttiva e finanziaria. Il dolore fa audience, fa aumentare a dismisura il valore commerciale (in spazi pubblicitari) di una trasmissione. Nessuna mediazione, nessuna delicatezza. Quello che serve è la lacrima, lo strazio, lo scoop dato in diretta. La cronaca nera che diventa un reality show, ma senza la finzione del reality commerciale. La

televisione del dolore costa poco e produce tanto denaro. E ha poco a che fare con la deontologia della professione giornalistica. Si potrebbero fare molti esempi di questa televisione straziata e straziante. Ma quello di “Chi l’ha visto?” è sempre il più calzante. Da sempre “la lacrima in diretta” è stata cercata spasmodicamante. In tutte le sue edizioni. Come la personalizzazione della “ricerca”, ma voyeristica, della verità. Negli anni, e sono tanti gli anni di questa che è una delle trasmissioni più longeve della Rai dopo la Domenica sportiva, la ricerca della novità, di spingere il limite sempre un po’ più avanti, si è trasformata in ansia. La scorsa stagione, tanto per fare un esempio, erano emersi alcuni segnali abbastanza inquietanti durante il “caso Claps” a Potenza, con una troupe della trasmissione televisiva messa alle calcagna, quasi un pedinamento, di un collega di un giornale locale reo di non aver sposato la “tesi” della trasmissione sui retroscena di quell’omicidio. Una “tesi” che era visibilmente frutto di un rapporto confidenziale con alcuni ambienti giudiziari, casomai in conflitto con altri. Ambienti che in quell’occasione, e anche in altre, hanno consentito l’accesso a informazioni. Ma anche a diventare parte di un gioco che nulla a che fare con il giornalismo. Questo è avvenuto anche ieri. In diretta. Affido la ricostruzione della puntata andata in onda ieri sera di Chi l’ha visto? a il Corriere della sera. La mamma di Sarah, Concetta Serrano, è in collegamento da Avetrana con la trasmissioneChi l’ha visto? quando in studio arriva la notizia del possibile ritrovamento della ragazza. Le parole corrono veloci ma due alla fine rimbalzano con insistenza: «corpo» e «ritrovato». E quello che va in onda è qualcosa di più di una diretta del dolore. «Ha capito cosa sta succedendo?», chiede con concitazione la conduttrice Federica Sciarelli alla donna. «Se vuole interrompere il collegamento lo può fare in ogni momento». E ancora: «Chiami i carabinieri, si metta in contatto con gli investigatori». Ma mamma Concetta resta impietrita, sotto choc, pare non capire quello che le sta succedendo attorno. Non parla, non piange, come ha fatto da quando la sua Sarah è sparita nel nulla. Poi risponde al telefono e con un filo di voce: «Dicono che hanno trovato un corpo». Mamma Concetta ha capito. Ma non c’è alcuna interruzione, la trasmissione continua. Dalla casa di Avetrana teatro della diretta, che è la casa dello zio Michele interrogato nel pomeriggio, arriva il pianto di Sabrina, la cugina più

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piccola di Sarah. Arriva la doppia angoscia di Cosima, zia della ragazza scomparsa ma anche moglie di Michele. Quindi arrivano le parole dell’avvocato della signora Serrano. Il legale si siede al suo fianco, prova a proteggere il suo dolore, a separare quello che è spettacolo dal dramma personale. Poi dice quello che tutti, dentro quelle quattro mura, pensano: «Speriamo sia una notizia falsa». Ma le notizie continuano ad arrivare in studio: collegamenti al condizionale, pezzi di agenzia, titoli delle edizioni online dei giornali locali che confermano il ritrovamento per poi smentirlo un istante dopo.

La lezione di Anna, a cinque anni dal suo assassinio

E così come arrivano, senza nessun filtro, raggiungono mamma Concetta giocando a yo-yo con il suo cuore già straziato. Le telecamere rimbalzano dallo studio al suo volto ma l’immagine che restituiscono è sempre la stessa: quella di una madre che si estranea da tutto per sfuggire a qualcosa di mostruoso che la investe senza rispettare i tempi del dolore. «È una notizia terribile, di grande imbarazzo, che non vorremmo mai dover confermare», ripete la conduttrice. Ma la trasmissione continua: «I carabinieri starebbero cercando il cadavere sulla base delle dichiarazioni delle persone interrogate». Si fa l’elenco di quelle persone: Valentina, la cugina più grande di Sarah, la zia Cosima, lo zio Michele. «Se qualcuno sa qualcosa, ci chiami. Se qualcuno al comando provinciale dei carabinieri vuole, si metta in contatto con noi». L’avvocato di famiglia lascia cadere ogni domanda: «Non mi sento di fare dichiarazioni prima di avere comunicazioni ufficiali». In sottofondo si sente la voce di mamma Concetta: «Mio cognato è innocente». Ma dopo 42 giorni le notizie che arrivano in studio lasciano intravedere un finale terribile per questo giallo. La conduttrice di Chi l’ha visto? chiede a mamma Concetta se non preferisca a questo punto allontanarsi da casa. E lei: «È meglio». La trasmissione continua.

“E’ la stampa, bellezza, la stampa. E tu non puoi farci niente”!” direbbe qualcuno citando una celebre frase de “L’ultima minaccia”, il film che per lungo tempo è stato simbolo della libertà di stampa.

E continua addirittura con la richiesta insistente della conduttrice a una sua inviata di intervistare la cugina di Sarah per sapere, da questa ragazza in lacrime distrutta in un’altra stanza, se sapeva che il padre era l’assassino della ragazza. Ormai siamo arrivati al paradosso di una trasmissione televisiva che diventa pezzo dell’autorità giudiziaria? Di giornalisti che si fanno carabinieri, digos, pm? Che roba è questa? Certamente non giornalismo. Certamente non informazione. Quello che è andato in diretta ieri sul terzo canale della televisione di Stato è un bruttissimo capitolo per il giornalismo e la televisione italiani.

Nei suoi articoli per Novaja Gazeta, quotidiano russo di ispirazione liberale, la Politkovskaja condannava apertamente l’Esercito e il Governo russo per lo scarso rispetto dimostrato dei diritti civili e dello stato di diritto, sia in Russia che in Cecenia.

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di Marco Stefano Vitiello L’Italia è sconvolta dal selvaggio omicidio di una quindicenne e tutti i media sono invasi e travolti da notizie vere, da supposizioni perverse, da opinioni bislacche.

Non è così e molte voci critiche si sono levate per contestare l’immonda inutile morbosa invadenza che in questi giorni traboccava nell’etere e sulla carta stampata. C’è altro da segnalare oggi, e riguarda proprio il mondo dell’informazione, quella che non si compiace narcisisticamente, quella che, ogni giorno, mette in gioco la propria esistenza per documentare e portare alla luce orribili realtà poco note. Cinque anni fa, a Mosca, veniva brutalmente assassinata Anna Politkovskaja la giornalista russa, molto conosciuta per il suo impegno sul fronte dei diritti umani, per i suoi reportage dalla Cecenia e per la sua dura e concreta opposizione al Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin.

La sua morte, da molti considerata un omicidio operato da un killer a contratto, produsse, all’epoca del fatto, una notevole mobilitazione in Russia e nel mondo, affinché le circostanze dell’omicidio venissero al più presto chiarite. Anna Politkovskaja era nata il 16 settembre 1958 con il nome di Anna Mazepa a New York, figlia di due diplomatici sovietici di nazionalità ucraina di stanza presso l’ONU. Aveva studiato giornalismo

all’Università di Mosca, dove si era laureata nel 1980 con una tesi sulla poetessa Marina Cvetaeva. La sua carriera era iniziata nel 1982 al famoso giornale moscovita Izvestija, che lascerà nel 1993. Dal 1994 al 1999, lavorò come cronista, come responsabile della Sezione Emergenze/Incidenti e come assistente del direttore Egor Jakovlev alla Obščaja Gazeta, oltre a collaborare con altre radio e TV libere. Nel 1998, si recò per la prima volta inCecenia come inviata della Obščaja Gazeta, per intervistare Aslan Maskhadov, all’epoca neo-eletto Presidente di Cecenia. A partire dal giugno 1999 fino alla fine dei suoi giorni, lavorò per la Novaja Gazeta e nello stesso periodo, pubblicò alcuni libri fortemente critici su Vladimir Putin, sulla conduzione della guerra in Cecenia, Daghestan ed Inguscezia. Venne spesso minacciata di morte per il suo impegno e nel 2001 fu costretta a fuggire a Vienna in seguito a ripetute minacce ricevute via e-mail da Sergei Lapin, un ufficiale dell’OMON (la polizia dipendente direttamente dal ministero degli Interni con emanazioni nelle varie repubbliche russe) da lei accusato di crimini contro la popolazione civile in Cecenia. Lapin venne arrestato per un breve periodo e poi rilasciato nel 2002. Il processo riprese nel 2003 per concludersi, dopo numerose interruzioni, nel 2005 con una condanna per l’ex-poliziotto per abusi e maltrattamenti aggravati su un civile ceceno e per falsificazione di documenti. Proprio in Cecenia la Politkovskaja si recava molto spesso, sostenendo le famiglie delle vittime civili, visitando ospedali e campi profughi, intervistando sia militari russi che civili ceceni. Nelle sue pubblicazioni, non risparmiava critiche violente sull’operato delle forze russe in Cecenia, sui numerosi e documentati abusi commessi sulla popolazione civile e sui silenzi e le presunte connivenze degli ultimi due Primi Ministri ceceni, Ahmad Kadyrov e suo figlio Ramsan, entrambi sostenuti da Mosca. Nel 2003 pubblicò il suo terzo libro, A Small Corner of Hell: Dispatches From Chechnya (tradotto in Italia con il titolo Cecenia, il disonore russo), in cui denunciava la guerra brutale in corso in Cecenia, in cui migliaia di cittadini innocenti venivano torturati, rapiti o uccisi dalle autorità federali russe o dalle forze cecene. Durante la stesura del libro, la Politkovskaja si era avvalsa delle testimonianze anche di militari russi e della

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protezione di alcuni ufficiali durante i mesi più duri della guerra. Nel settembre 2004, mentre si stava recando a Beslan durante la crisi degli ostaggi, venne improvvisamente colpita da un malore e perse conoscenza. L’aereo fu costretto a tornare indietro per permettere un suo immediato ricovero per quello che si suppone fosse stato un tentativo di avvelenamento. Nel dicembre 2005, durante una conferenza di Reporter Senza Frontiere a Vienna sulla libertà di stampa denunciò:“Certe volte, le persone pagano con la vita il fatto di dire ad alta voce ciò che pensano. Infatti, una persona può perfino essere uccisa semplicemente per avermi dato una informazione. Non sono la sola ad essere in pericolo e ho esempi che lo possono provare.” E in un saggio, pubblicato postumo nel 2007, Anna Politkovskaja scriveva: “Sono una reietta. È questo il risultato principale del mio lavoro di giornalista in Cecenia e della pubblicazione all’estero dei miei libri sulla vita in Russia e sul conflitto ceceno. A Mosca non mi invitano alle conferenze stampa né alle iniziative in cui è prevista la partecipazione di funzionari del Cremlino: gli organizzatori non vogliono essere sospettati di avere delle simpatie per me. Eppure tutti i più alti funzionari accettano d’incontrarmi quando sto scrivendo un articolo o sto conducendo un’indagine. Ma lo fanno di nascosto, in posti dove non possono essere visti, all’aria aperta, in piazza o in luoghi segreti che raggiungiamo seguendo strade diverse, quasi fossimo delle spie. Sono felici di parlare con me. Mi danno informazioni, chiedono il mio parere e mi raccontano cosa succede ai vertici. Ma sempre in segreto. È una situazione a cui non ti abitui, ma impari a conviverci”. Nello stesso saggio dice di non considerarsi “un magistrato inquirente”, ma piuttosto “una persona che descrive quello che succede a chi non può vederlo”, dal momento che in Russia “i servizi trasmessi in tv e gli articoli pubblicati sulla maggior parte dei giornali sono quasi tutti di stampo ideologico”. Anna Politkovskaja venne ritrovata morta il 7 ottobre 2006 nell’ascensore del suo palazzo a Mosca. La polizia rinvenne una pistola Makarov PM e quattro bossoli accanto al cadavere. Uno dei proiettili aveva colpito la giornalista alla testa. L’8 ottobre, la polizia russa sequestrò il computer di Politkovskaja e tutto il materiale dell’inchiesta

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che la giornalista stava compiendo. Il 9 ottobre, l’editore della Novaja Gazeta Dmitry Muratov affermò che Anna Politkovskaja stava per pubblicare, proprio il giorno in cui era stata uccisa, un lungo articolo sulle torture commesse dalle forze di sicurezza cecene legate al Primo Ministro Ramsan Kadyrov. Muratov aggiunse che mancavano anche due fotografie all’appello. Gli appunti non ancora sequestrati furono pubblicati il 9 ottobre stesso, sulla Novaja Gazeta. I funerali si svolsero il 10 ottobre presso il cimitero Troekurovskij di Mosca. Più di mille persone parteciparono alla cerimonia funebre, ma nessun rappresentante del governo russo era presente. Mai come oggi la lezione di Anna Politkovskaja è pertinente e da diffondere, soprattutto in un ambiente troppo spesso distratto dalle lusinghe della popolarità. Di lei, del suo coraggio, della sua lezione, il filosofo e saggista francese André Glucksmann, conosciuto per il suo sostegno alla causa cecena, ha detto “Sensibile al dolore degli oppressi, incorruttibile, glaciale di fronte alle nostre compromissioni, Anna è stata, ed è ancora, un modello di riferimento. Ben oltre i riconoscimenti, i quattrini, la carriera: la sua era sete di verità, e fuoco indomabile”.

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Lo scontro è sulla giustizia. Fini apre solo a un lodo costituzionale di Aldo Garzia Dicono che le elezioni possono essere evitate. Però è il tema centrale della giustizia a rimanere il tema di maggiore scontro e distanza fra i due. Berlusconi e Fini proseguono lo scontro mentre si avvicina sempre di più la scadenza del parere della Consulta sul legittimo impedimento. Intervenendo ieri sera nella trasmissione televisiva “Annozero” con una intervista registrata, il presidente della Camera è tornato a definire non accettabili “norme retroattive che cancellino i

processi e neghino la giustizia per tante vittime” mentre ha confermato di non essere ostile ad altre riforme del settore giudiziario. Quando gli è stato chiesto un parere sull’idea avanzata domenica scorsa da Berlusconi relativa a un commissione parlamentare d’inchiesta sulla magistratura, Fini ha replicato: “Una proposta comprensibile in un comizio ma rapidamente archiviata, perché il nostro è un sistema che prevede la divisione tra i poteri esecutivo, legislativo e giudiziario, e quindi sarebbe un guazzabuglio”, Precisa il presidente della Camera: “Nella magistratura, come in tutte le categorie, ci sono tante persone per bene e qualche mela marcia, bisogna però evitare giudizi duri in un momento in cui si consegna un bazooka ad un procuratore”. Berlusconi rilancia intanto possibili interventi riformatori su processo breve e intercettazioni “perché un paese in cui non c’è inviolabilità di ciò che si dice al telefono non è un paese civile” (su quest’ultimo tema, il disegno di legge del governo giace da mesi su un binario morto per la forte contrarietà delle opposizioni e le perplessità dei finiani). Il via libera di Fini alle riforme della giustizia si ferma alla possibilità di un nuovo Lodo Alfano che faccia da scudo giudiziario al premier e alle altre cariche dello Stato nel corso dell’esercizio delle loro funzioni istituzionali: “Il lodo costituzionale non è né lesivo della Costituzione né per gli interessi dei cittadini, né polemico verso i magistrati. Non ho nulla da obiettare”. Per l’approvazione di questo Lodo che prevede la riforma della Costituzione i tempi sono tuttavia lunghi, almeno un anno o un anno e mezzo a causa delle doppie letture di Camera e Senato previste dall’articolo 138 della Carta costituzionale che ne regola le possibili modifiche. Intanto il 14 dicembre la Consulta dovrebbe emettere il proprio parere sulla legge riguardante il “legittimo impedimento” che ha permesso finora al premier di non presentarsi alle udienze dei processi che lo vedono tra gli imputati (sono tre i procedimenti in corso: “caso Mills”, fondi neri per diritti televisivi, caso Mediatrade). In caso di bocciatura del legittimo impedimento, Berlusconi sarebbe costretto a presenziare alle convocazioni dei giudici

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Siccome il premier ha annunciato riunioni del Consiglio dei ministri sui singoli obiettivi programmatici (il prossimo affronterà la riforma della giustizia), suonano come un avvertimento le parole di Fini sui rapporti tra le forze politiche che sostengono il governo: “La famosa terza gamba, che qualcuno ha esorcizzato, si è di fatto costituita. Non è più sufficiente presentare le proposte nella maggioranza ma sarà necessario concordarle”. Il riferimento è al ruolo di Futuro e libertà. In attesa di ulteriori chiarimenti nella maggioranza sulle questioni riguardanti la riforma della giustizia, sedici consiglieri togati del Consiglio della magistratura e il laico Glauco Giostra (Pd) hanno sottoscritto una nota che chiede “l’apertura di pratica a tutela per il pm Fabio De Pasquale”, in quanto “minano la credibilità delle istituzioni e rischiano di delegittimare la magistratura tutta le gravissime dichiarazioni del presidente del Consiglio”. I consiglieri in questione sollecitano il vice presidente del Csm, Michele Vietti, a “rappresentare al capo dello Stato e rendere noto all’opinione pubblica la loro profonda preoccupazione per le ennesime gravissime dichiarazioni rese dall’onorevole Berlusconi”. Immediata la replica dei cinque consiglieri eletti su indicazione della maggioranza (Annibale Marini, Matteo Brigandì, Filiberto Palumbo, Bartolomeo Romano e Nicolò Zanon): “Il Csm deve svolgere esclusivamente le alte funzioni attribuitegli dalla Costituzione, tra le quali non figurano iniziative idonee a inserirlo in dinamiche tipiche della lotta politica che alimentano polemiche dannose per le istituzioni”. La controversia si riferisce alle parole pronunciate da Berlusconi domenica scorsa a Milano, nel corso del comizio di chiusura della Festa della libertà: “In genere non parlo dei miei casi, ma parlo di questo perché è una vicenda incredibile. Nel processo all’avvocato Mills, il famigerato pm De Pasquale, quello che ha detto a Gabriele Cagliari che lo avrebbe liberato e poi è andato in vacanza e Cagliari si è suicidato, si è inventato di tutto per evitare la prescrizione. Si è inventato addirittura che la corruzione inizia quando chi riceve i soldi li spende”.

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Ministro Carfagna: alla ricerca della prima pagina perduta di Vincenzo Borriello Ad ogni nuova dichiarazione del ministro Carfagna, mi convinco che è una donna priva di argomenti che cerca furbescamente di “agganciarsi” a fatti di cronaca per godere di un pò di esposizione mediatica e farci ricordare a tutti che lei esiste. Il ministro vuole costituirsi parte civile contro Hamad Khan Butt, l’uomo di origine pakistana che a Novi, nel modenese, ha ucciso a colpi di pietra la moglie 1 rea di voler difendere la loro figlia che si ribellava a un matrimonio combinato. Di per se l’iniziativa sarebbe lodevole, ma se leggo la dichiarazione da un altro punto di vista, se leggo tra le righe, si denota una certa propaganda anti islamica, perchè si fa passare il messaggio secondo cui, una donna è stata uccisa ed un altra ferita gravemente non da un uomo (bestia senza offesa per le bestie), ma da un Islamico (anzi due essendo coinvolto anche il figlio). Si sposta l’attenzione sulla religione e sulla condizione d’immigrati dei protagonisti di questa squallida vicenda, come a fingere che non ci sono casi analoghi commessi da italiani. L’effetto che ne scaturisce, è dare una percezione sbagliata del fenomeno che ci porta a pensare che musulmano = Padre padrone, musulmano = donna schiava, musulmano = assassino e violento. Come se non ci fossero italiani che si macchiano di crimini simili. Eppure la cara Carfagna, visto il ruolo istituzionale che ricopre, dovrebbe conoscere i dati relativi le violenze domestiche; allora mi chiedo perchè, l’onorevole Carfagna non si è costituita parte civile negli episodi che elencherò di qui a poco? Forse perchè essendo commessi da italiani non danno la giusta esposizione mediatica al ministro? Preferisce ideologicamente fingere che gli italiani non commettono simili reati? Dai seguenti fatti di cronaca (mi sono limitato al biennio 2009/10) escluderò quelli in cui l’assassino ha successivamente compiuto il suicidio: CARABINIERE UCCIDE LA MOGLIE (AGOSTO 2010) UCCIDE LA MOGLIE A FUCILATE E CHIAMA LA POLIZIA, ARRESTATO (MAGGIO 2010) UCCIDE LA MOGLIE CON 50 COLTELLATE, ARRESTATO (MAGGIO 2010) UCCIDE LA MOGLIE E SCAPPA CON LA FIGLIOLETTA ARRESTATA GUARDIA GIURATA A GELA (MAGGIO 2010)

SULMONA, AGENTE IN PENSIONE UCCIDE LA FIGLIA A COLPI DI PISTOLA (AGOSTO 2009) VIBO VALENTIA, UCCIDE LA MOGLIE CHE VOLEVA CHIEDERE IL DIVORZIO (AGOSTO 2009) VITERBO, MADRE E FIGLIA SCOMPARSE ARRESTATO PER OMICIDIO IL COMPAGNO (LUGLIO 2009) NON APPROVA IL FIDANZATO DELLA FIGLIA E LO UCCIDE A COLPI DI SPRANGA (GIUGNO 2009) CATANIA, DONNA DECAPITATA IN CASA IL MARITO CONFESSA, IL FIGLIO TENTA DI SALVARLO (MARZO 2009) Come si può notare, i casi di omicidio sono fin troppi. Sarebbe interessante confrontare i dati in termini percentuali tra omicidi e violenze domestiche in generale, compiuti da persone appartenenti a differenti confessioni religiose sul territorio italiano e determinare se al variare della variabile X ( il credo religioso) varia la va variabile Y (l’omicidio) ed in che misura. Certo se poi nominiamo ministri persone che ignorano l’ABC della sociologia, non lamentiamoci se non sanno affrontare temi d’interesse sociale. HTTP://VIBORRIELLO.WORDPRESS.COM

6 ottobre 2010

Rifiuti, l’emergenza che conviene di Luigi De Magistris L’emergenza rifiuti in Campania non è mai stata risolta. Lo dico da cittadino legato alla sua terra e che in questa stessa terra ritorna abitualmente con frequenza settimanale. Mai, da osservatore comune, mi è sembrato superato il problema dell’immondizia abbandonata per le strade di tutta la regione. Ma non poteva essere diversamente. Al di là degli spot del governo Berlusconi e dell’ex commissario Bertolaso, infatti, la risoluzione dell’emergenza rifiuti in Campania richiede una rivoluzione etico-politica ed economica. Una rivoluzione che non può essere attuata con decreto oppure con la militarizzazione del territorio, cioè inviando l’esercito a reprimere il dissenso e la protesta dei cittadini che si oppongono -come in ultimo accaduto a Terzigno- alle discariche e agli 9


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inceneritori. Che Stato è quello che risponde con manganello e camionette alla preoccupazione della popolazione per la propria salute? Perchè gli abitanti di Terzigno dovrebbero accettare, silenziosamente, di ospitare una seconda fossa di rifiuti da 14 tonnellate, dopo aver ospitato per anni un primo sversatoio da 9 tonnellate? Con quali garanzie igienico-sanitarie sarebbe depositato questo materiale di “tal quale”, che non convince nemmeno l’Ue e che sorgerebbe in pieno Parco del Vesuvio? Rivoluzione etico-politica ed economica è la risposta per poter curare definitivamente e strutturalmente la piaga dei rifiuti in Campania. Una sfida che ci chiama in causa tutti: popolazione, amministrazione, Stato. E questa rivoluzione deve passare per prima cosa nell’ammissione di colpa da parte del centrosinistra che per decenni ha governato la Regione senza che su questo fronte si sia incassato un risultato convincente. E deve, questa rivoluzione, partire da un doppio riconoscimento: i rifiuti sono ricchezza e ricchezza è l’emergenza. Per la camorra, certo, ma anche per una porzione di politica collusa oltre che per un’economia infiltrata. Perché la gestione emergenziale consente di godere di finanziamenti eccezionali (anche europei) e di derogare alle norme sugli appalti, di fatto rendendo il mercato dello smaltimento dei rifiuti un forziere di guadagno per il business criminale, che attraverso le società miste pubblicoprivate si ‘pappa’ le commesse condizionando l’amministrazione politica che dovrebbe sovraintendere ad esse, in cambio ovviamente dei voti. Il crimine organizzato, come è noto, è un procacciatore di consenso elettorale che non teme concorrenti. Mentre nella peggiore delle ipotesi, è la camorra stessa a gestire il traffico dell’immondizia in modo illecito e perciò vantaggioso, spesso e volentieri arrivando a soffiare sul fuoco della protesta sociale, controllandola e indirizzandola. Consorzio Eco4, deputato ed ex sottosegretario Cosentino, esponenti dei casalesi: un caso che parla per tutti. Dunque occorre una rivoluzione etico-politicoeconomica, che si accompagni alla coscienza che soltanto la raccolta differenziata è la strada più saggia da percorrere per far calare il sipario sull’atavico cancro dei rifiuti in Campania. Una legge dello Stato prescrive che essa debba attestarsi su tutto il territorio nazionale al 40%, per arrivare al 65% nel 2012. Una sfida imponente, soprattutto tenendo conto che da più di 15 anni, sempre in Campania, la raccolta differenziata è al palo. Non ha dunque alcun senso costruire, come annunciato in pompa magna da questo governo,

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una serie di inceneritori o di discariche-sversatoio a cielo aperto che annientino l’immondizia. O meglio, l’unico senso di tale operazione risiede nel vantaggio che essa comporta a società come la Impregilo, che per l’incenerimento prendono incentivi e si arricchiscono, senza curarsi della salute pubblica. Tacendo, poi, sul caso dei termovalorizzatori promessi dal governo (quattordici, poi tre, poi cinque…) dei quali non si è avuto più notizia: quello di Acerra, inaugurato dalla sorridente doppietta B&B (Berlusconi e Bertolaso), non è mai realmente partito, pur essendo costato non poco alle tasche dei cittadini e pur essendo stato pianificato in modo non consono alle norme, mentre gli altri viaggiano nelle nebbie della dimenticanza. Per fortuna. La Commissione europea più volte ha richiamato al dovere di Stato il governo italiano, di fatto fotografando la condizione del nostro Paese in materia di gestione dei rifiuti. Una fotografia imbarazzante che testimonia l’esistenza di un pericolo per la salute pubblica: l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha mostrato, anche in passato, come la situazione campana sia incredibile, con dati e studi che parlano di un aumento vertiginoso delle patologie di cancro. Ricorda spesso lo scrittore Saviano che l’emergenza rifiuti in Campania è costata 780 milioni di euro l’anno. Lo ha stabilito la Commissione bicamerale sul ciclo dei rifiuti nella scorsa legislatura. Soldi che moltiplicati per i 15 anni di emergenza corrispondono a un paio di leggi finanziarie. Impossibile quantificare quanto realmente hanno guadagnato clan e malapolitica. Ricorda sempre Saviano che se i rifiuti illegali gestiti dalla camorra fossero riuniti, diverrebbero una montagna di 15.600 metri di altezza, con una base di 3 ettari. Lui commenta amaro: il doppio dell’Everest, alto 8850 metri. Ecco forse è questo che non andrebbe dimenticato e da questo si dovrebbe partire per una risposta intellettualmente onesta da parte dello Stato. Una risposta, quindi, finalmente efficiente. 5 ottobre 2010

Camion sequestrato a Terzigno per carico radioattivo di Roberta Lemma Il giorno 18 settembre 2010 presso la discarica, Cava Sari, veniva posto sotto sequestro un autocompattatore appartenente alla scuderia

A.S.I.A Napoli spa. Ad un controllo si accertava la presenza di materiale altamente radioattivo tra i rifiuti solidi urbani provenienti da Napoli: il camion era pronto a sversare il suo carico di morte nella discarica di Terzigno. Si legge sul verbale: « ritrovamento di rifiuti radioattivi nei rifiuti solidi urbani ai sensi dell’art. 25 punto 3 D. Legge 230/95» – continua il verbale – «Si comunica che il giorno 18/09/2010 è stato posto in fermo cautelativo, con il consenso della ditta proprietaria, presso la discarica “Cava Sari” in Terzigno,l’autocompattatore targato DL 253 ME della ditta A.S.I.A. Napoli S.p.a. , adibito al trasporto di rifiuti urbani indifferenziati (CER 200301) prodotti dal comune di Napoli, per la presenza a bordo di rifiuti radioattivi.». La ditta A.S.I.A Napoli spa il 23 settembre 2010 informava del sequestro i seguenti soggetti cui nota giungeva con il numero di protocollo 141154: la Presidenza del Consiglio dei Ministri; il Dipartimento di Protezione Civile di Napoli area impiantistica ed operativa; il coordinatore missioni c\o; il Comando logistico sud; la stazione dei carabinieri di Terzigno; il Comando di polizia di Stato di San Giuseppe Vesuviano; il Comando dei vigili del fuoco; il Comune di Napoli. Di tale, importante, notizia la popolazione locale non ne ha saputo nulla e il diritto di cronaca? SOLTANTO IL GRRAI HA PUBBLICATO LA NOTIZIA con il testo originale del verbale. Questa non è la prima volta che la ditta A.S.I.A, ad un controllo, subisce un sequestro perché trasportante rifiuto radioattivo, forse su questo la magistratura dovrebbe accendere i riflettori. O sul perchè le strade di Napoli siano tornate ad invadersi di spazzatura: un mese la fa la ditta Sapna, società provinciale, partecipata di Palazzo Matteotti non aveva versato i fondi ad A.S.I.A per pagare i 150 dipendenti che hanno così incrociato le braccia. Premeditazione? Sarebbe altresì doveroso chiedere agli enti preposti e a tutti i ministri che hanno accusato il popolo vesuviano di protestare per mano della camorra se erano a conoscenza di questo verbale che assieme a tutti gli altri conferma al di là di ogni ragionevole dubbio che a Terzigno si sono sversati e continuano ad essere sversati veleni pericolosissimi per la salute di tutti gli abitanti. A trovar posto sui giornali e telegiornali solo il rinvenimento, da parte della Digos, di una dozzina di molotov trovate lungo il percorso praticato dai camion carichi di rifiuti; siamo certi non si tratti di un modo per delegittimare la pacifica protesta di tutti i vesuviani? Davvero i vesuviani protestano sulla base di false paure o nelle loro denunce c’è un fondo di verità? Dalla regione dichiarano che la

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LA SETTIMANA DE GLI ITALIANI

magistratura è scesa in campo per accertare la presenza di infiltrazioni mafiose dietro la nuova emergenza rifiuti, ci auguriamo che la magistratura abbia la forza e la serenità per risalire ai veri responsabili di questa infinita tragedia. Amaro il doversi rendere conto che il cittadino ha valore solo quando bisogna chiedergli il voto. 5 ottobre 2010

Fecondazione, il far west c’è già di Ignazio Marino Che cosa si aspetta per riconoscere che l’impostazione generale dellaLEGGE 40sulla procreazione medicalmente assistita è sbagliata? La legge è stata approvata sei anni fa con motivazioni puramente ideologiche, senza tenere conto né delle esigenze delle coppie con problemi di infertilità, né della salute delle donne, ma soprattutto ignorando le possibilità che la scienza mette a disposizione dellamedicina. Esistono oggi opportunità che escludono i problemi etici, perché si continua invece a fare finta di nulla? Se il Governo avesse tenuto conto di questo, forse l’intervento del TRIBUNALE CIVILE DI FIRENZE non sarebbe servito. Se la politica è cieca e sorda, oppure in malafede, va da sé che i cittadini si rivolgano ai tribunali e che si richieda anche il giudizio della Corte Costituzionale. Queste istituzioni non danno giudizi politici ma si limitano a valutare se la legge rispetta i principi della Costituzione e i diritti costituzionali dei cittadini oppure se vi sono delle violazioni. Oggi la politica dovrebbe aprire gli occhi e le orecchie e accettare che vi sono oggettivamente dei punti da ridiscutere. Riaprire ildialogo non può essere un tabù, soprattutto su un argomento in cui il progresso scientifico è rapido e in continua evoluzione. Vorrei anche suggerire al sottosegretario Roccella, che teme il ritorno al Far West, che laconfusione regna nei centri per la riproduzione assistita e tra le coppie, che infatti vanno all’estero per essere assistite. Se il sottosegretario Roccella fosse più lungimirante si renderebbe conto da sola dei danni che la legge ha causato e proverebbe a porvi qualche rimedio. WWW.IGNAZIOMARINO.IT 7 ottobre 2010

Lettera ad un presidente trasformista di Mirko Tomasino Caro Presidente; Il titolo di questa mia lettera aperta sembrerebbe rivolta al trasformista mondiale Arturo Brachetti – quello si che ci sa fare con il suo lavoro – eppure non si tratta dell’artista internazionale, ma di Lei, che da due anni, da quella fatidica domenica di Aprile del 2008 tiene le redini politiche della nostra Sicilia. Si chiederà il perché dell’aggettivo trasformista ( e non me ne voglia per ciò) ma credo che Lei in questi due anni abbia mostrato l’abilità di un prestigiatore, neanche un Silvan autentico avrebbe potuto fare meglio e neanche l’illusionismo del vecchio Copperfield sarebbe arrivato a tanto. Quattro governi in due anni, per una regione come la Sicilia, che continua a sprofondare nella disoccupazione, caro Lombardo, sono inaccettabili, se poi si va vedere come sono stati composti questi quattro esecutivi. Perché sovvertire il voto popolare escludendo i partiti che hanno favorito la sua ascesa a Palazzo D’Orleans? Perché costituire dei presunti governi tecnici quando si sa benissimo che dietro un Centorrino o un Russo ci sta sempre un partito ( anche se in Italia ormai vi è un unico grande Partito fatto di speculatori, lobbisti e di alti gradi della finanza) pronto a sostenerlo? E le sue battaglie? Elenchiamole, almeno quelle di cui Lei ne ha fatto cavallo di battaglia. Il Mpa quando nacque nel 2005, si pose come obbiettivo primario non solo il (presunto) interesse della Sicilia e dei siciliani, ma anche quello della realizzazione del Ponte sullo Stretto. Ormai, di questa battaglia, sembra che se ne stia occupando solo Berlusconi e il suo governo (almeno fino a quando tireranno a campare) e Lei? Mi risponderà di certo che, con una crisi economica incalzante, pensa ai fondi Fas, al problema di deroga del consorzio autostradale siciliano e al caso di Tirrenia, ma sono stati necessari quattro governi e diversi ribaltoni per cercare di risolvere questi problemi?

I Fas sono bloccati da luglio 2009 e credo, signor Presidente, che con la sua scelta di escludere il Pdl lealista in Sicilia e favorire l’ingresso del Pd, questi fondi (i quali sono sempre serviti durante la sua gestione e quella del suo predecessore solo per usi correnti) ce li potremmo sognare, mai un Tremonti firmerà un documento del genere, per non parlare del Cas o di Tirrenia, argomenti abbandonati a loro stessi, come i poveri operai della Fiat di Termini lasciati sui tetti della fabbrica. La cosa che più mi preoccupa, caro Presidente, e la sua battaglia autonomista e sullo statuto rimasta solo sulla carta e mai applicata. Esiste un articolo dello statuto siciliano (se non erro il 21) che è di straordinaria importanza ed efficacia qualora fosse applicato: la presenza del presidente della Regione, in sede di Consiglio dei Ministri, in cui si parla di Sicilia e delle questioni dei siciliani, col rango di ministro. In due anni, Berlusconi, ha effettuato diversi “strappi” alla nostra isola: il taglio dell’Ici con l’utilizzo dei nostri Fas (quelli che ancora aspettiamo e che grazie alle sue strategie politiche non arriveranno mai) e l’utilizzo dei primi per infrastrutture settentrionali e non meridionali. Dove era Lei quando si è operato un furto del genere? Perché non ha impugnato in quel frangente l’articolo del tanto millantato statuto siciliano?Però il 15 maggio si fa festa sull’isola, le scuole sono chiuse e ci si riempie la bocca con i “padri” del separatismo siciliano, da Canepa a Finocchiaro Aprile passando per Gallo. Belle parole signor presidente. Nel frattempo dovremmo anche sorbirci il suo ex fido scudiero Miccichè e le sue sparate autonomiste (Partito del popolo siciliano) mentre la Sicilia si inabissa insieme ai siciliani. E questo quater quanto durerà? Altri sette mesi? E poi? Un quinto, sesto e settimo governo solo per fare firmare i Fas a Tremonti (se sempre sarà ancora al suo posto)? No, signor presidente. Noi siciliani siamo stufi e non abbiamo più intenzione di vederci presi in giro e dati in pasto a dilettanti della politica. La Sicilia ha bisogno di crescere e prosperare e non tornare indietro di centocinquant’ anni, come ai tempi dei Borboni. Cordialmente. 9 ottobre 2010

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C’era una volta la scuola pubblica di Marco Barone Il 5 ottobre è la c.d. Giornata Mondiale degli Insegnanti, che dal 1994 si svolge ogni anno in questa data ove si commemora l’anniversario della firma collegiale delle “Raccomandazioni sullo Status degli Insegnanti”, stilata dall’ILO-UNESCO nel 1966 e aspira ogni anno a sottolineare il fondamentale ruolo degli insegnanti nel fornire un’elevata qualità di educazione, a tutti i livelli. Sul sito del Ministero della Pubblica Istruzione, come voglio chiamarlo io, si legge testualmente che : “La ripresa inizia con gli insegnanti”: questo il manifesto per l’edizione del 2010; l’istruzione, quale catalizzatore per la crescita e lo sviluppo, è essenziale per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Millennium Developments Goals) e per il raggiungimento dei target di “un’educazione di qualità per tutti entro il 2015”, così come affermato dall’organizzazione Internazionale dell’Educazione -I.E (www.eiie.org) che ricorda che “mancano 15 milioni di insegnanti a livello mondiale per raggiungere l’obiettivo di un’educazione di qualità per tutti entro il 2015ʺ″, e che altri milioni di docenti lavorano in condizioni precarie, in classi sovraffollate e senza supporti didattici. La Giornata Mondiale degli Insegnanti rappresenta una significativa presa di coscienza e un apprezzamento del contributo indispensabile che i docenti forniscono all’educazione e allo sviluppo; in tal senso la Giornata vuole anche ribadire il ruolo centrale dei docenti, mettendo in rilievo l’importanza degli insegnanti nel percorso di formazione, educazione e guida delle nuove generazioni”.

in particolare che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”; vedi l’articolo 9 ove si legge che “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico ed artistico della nazione”, vedi l’articolo 30; il 33 dove si esplica che “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento,l’articolo 34 ove si legge che “la scuola è aperta a tutti, l’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.”, nonchè l’articolo 38. Bellissimi principi, ma appunto parliamo di principi destinati a rimanere tali. Con i tagli posti in essere nella scuola pubblica, operazione attuata da decenni, quindi, anche da governi di sinistra o similari, succede che nella scuola praticamente manca di tutto dalla carta igienica, ai rotoloni di carta al sapone, ai banchi, alle sedie, alla carta per le fotocopie, ai gessi,tutti elementi determinanti per la funzionalità della scuola. Ma nello stesso tempo si spendono enormi cifre per comprare Lavagne Interattive Multimediali per l’innovazione della didattica in classe. E’ notizia di oggi che a BARLETTA è permessa la Pubblicità a scuola per diminuire l’impegno finanziario a carico dell’ente. Lo ha deciso la neocostituita Provincia di Barletta, Andria e Trani che al costo di 69,80 euro (Iva esclusa) ha messo a disposizione di sponsor privati le suppellettili delle sue scuole. In cambio del denaro le aziende potranno pubblicizzare la propria attività su una placca sistemata sugli arredi. Il bando è stato pubblicato sul sito della Provincia e scade il prossimo 30 novembre.

Quante belle parole. Ma quanta mera ipocrisia.

E’ proprio a ciò che vogliono arrivare.

Perchè la realtà dei fatti è nota a tutti. Precarietà diffusa e voluta dai governanti, tagli pesantissimi ed in tutto ciò il Ministero della Pubblica Istruzione si permette anche di fare del “sano” moralismo.

Tagliare i fondi alla scuola pubblica, per costringere i privati ad intervenire per salvare la funzionalità minima della stessa.

C’era una volta la scuola pubblica. Quella Scuola che trova fondamento in determinanti articoli della nostra Carta Costituzionale. Vedi l’articolo 3, dove si sottolinea

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Si inizia con la carta, con i banchi, con le sedie, per poi arrivare alla didattica e quindi, alla selezione indiretta/diretta dei docenti stessi. Tutto ciò sarà conciliabile con la nostra Carta Costituzionale?

Ovviamente no. Questo bando è chiaramente sintomatico della situazione in essere e voluta dal sistema vigente. Con l’intervento dei privati si pone a rischio la libertà d’insegnamento,la libertà culturale e di formazione delle future generazioni. Nel momento in cui si accoglie un solo centesimo dai privati è finita la libertà di essere scuola pubblica. Per salvarla deve rimanere essa stessa estranea al mercato ed a qualunque condizionamento da esso derivante. I soldi ci sono. Ripeto quanto scritto tempo addietro, perchè non utilizzare i beni e fondi sequestrati alla mafia, e parliamo di milardi di euro , per la scuola pubblica? Basta una modifica legislativa alla normativa esistente e tali fondi possono essere gestiti anche dal Ministero dell’Istruzione oltre che da quello della Giustizia. I soldi ci sono. Ma la volontà politica affermata e prevalente a livello istituzionale corre in altra direzione. Corre verso la via della piena affermazione del concetto di aziendalizzazione della scuola pubblica. Spero di non esser costretto un giorno a dover raccontare ai più piccoli che in Italia un tempo c’era la scuola pubblica…

6 ottobre 2010

La seconda prima volta Anna R. G. Rivelli Sabato sera televisivo. Saltando da un canale all’altro alla ricerca di qualcosa di sopportabile con cui riuscire almeno ad addormentarsi sul divano, può capitare di imbattersi in un intermezzo pubblicitario in cui Maria De Filippi invita a valorizzare la propria bellezza: niente di strano, in fondo, finché non si vede lo spot in cui tre amiche si incontrano. Una mostra alle altre un vestito appena acquistato e, provandoselo davanti allo specchio, lamenta il fatto di non avere un decolleté degno dell’abito nuovo, ma subito la più esperta delle tre le fornisce i contatti di un centro di chirurgia estetica che, giura, trasformerà il suo seno e, volendo, tutto il suo aspetto fisico. Una

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LA SETTIMANA DE GLI ITALIANI

scena così già basterebbe a lasciare interdetto chi è abituato a pensare che un abito si acquista per valorizzare il proprio corpo e non è il corpo che si trasforma per riempire degnamente un vestito, ma la sorpresa non si esaurisce nella perversa fantasia del creativo, anzi diventa prima beffa, poi incredulità, infine rabbia sul sito “La Clinique” che è la tomba dell’uomo inteso come essere pensante. “La Clinique” ( chirurgia estetica unica per te) oltre a proporre un vasto campionario di interventi plastici di ogni genere declinati sia al maschile che al femminile, si spinge fin dentro il sogno di tutte le donne invitandole ad arrivare al giorno del matrimonio pensando “alle foto, che rappresenteranno la memoria indelebile di quel giorno” al fatto che “ le luci del palcoscenico saranno proiettate esclusivamente su di te ed essere in forma smagliante sarà un imperativo” e non di meno che è necessario “confermare al tuo futuro sposo che ha scelto la donna giusta”. Tutto questo come? Ma è chiaro: con un intervento di chirurgia plastica che può variare da un ritocchino alle labbra ad una gonfiatina alle tette, da un rimodellamento del fondoschiena, ad una più armoniosa profilatura del pube, ad una correzione del disegno dei genitali, per arrivare fino ad una imenoplastica con cui, al prezzo di circa 4500 euro, si può creare “una situazione simile a quella precedente al primo rapporto sessuale” e prendersi il gusto di “rivivere una seconda prima volta” e probabilmente anche una terza o una quarta. Il tutto, sembra anche giusto, è possibile farselo regalare dagli invitati stilando un’adeguata lista nozze. Insomma tra acido ialuronico, mastoplastica additiva, liposcultura, revirgination, vaginal tightening ed altri artifici di tal genere, ancora una volta la donna è ridotta ad una bambola di gomma degna di essere amata solo per la sua artificiale perfezione. E il cervello? E il sentimento? Roba da vecchi bacucchi, viene da pensare. In fondo chi rimane sconcertato di fronte a tanta vacuità dovrebbe forse essere il primo ad annotare il numero verde di “La Clinique”, perché di sicuro ha già passato i quarant’anni e gli esperti giurano che “è vero che ogni età ha la sua bellezza”, ma per “aprire il nuovo capitolo di vita” è meglio avere un gran bel culo. E siamo d’accordo su questo. Avere il culo ( pardon, la fortuna) in un mondo come questo di riuscire ancora a credere che la vita è tutta un’altra cosa, battersi nonostante tutto perché i nostri adolescenti imparino ad amarsi per come sono, saper ridere con un sorriso imperfetto e baciare con una bocca vera non sarebbe roba da poco. E poi, vogliamo mettere? Al compare che ti acquista

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in lista nozze un bel paio di tette nuove, potremmo mai negare il gusto di fargliele toccare 5 ottobre 2010

Camminata romana di Roberto Orsatti Questa mattina è stata una mattina particolare, una mattina diversa ed uguale a tante altre di questi ultimi anni, una mattina di protesta e di lotta. Mi sono svegliato prestissimo per poter andare al mercato rionale ,uno dei tanti della capitale, (era ancora buio) e riuscire ad arrivare al lavoro, uno degli Enti di Ricerca più importanti d’Italia. Faccio, fra le tante cose, anche il sindacalista nel mio ente e lo faccio con orgoglio ed impegno per la FLCCGIL. Questa mattina c’era da organizzare questo sciopero orario contro la manovra economica che ha bloccato contratti e salari, ha operato il più grande licenziamento di massa (nella scuola) che si ricordi, ha tagliato i fondi alla ricerca, ha messo a rischio i lavoratori precari ed ha perfino soppresso enti di ricerca di grande importanza. Avevo deciso in partenza di partecipare , sotto le bandiere del mio sindacato, anche alla manifestazione degli studenti è l’ho fatto, pur non avendo più energie da spendere, pur avendo passato un periodo difficile della mia vita che ha messo a dura prova il mio fisico, l’ho fatto ed ora dico, esausto, che ho fatto bene a farlo. Sono sceso dalla metro a Piramide ed ho raggiunto il corteo che era partito da poco. Guardando in faccia quei ragazzi, la loro energia, la loro voglia di esprimersi, la loro carica, mi sono ricaricato un po’ per riuscire ad arrivare a Viale Trastevere, sotto il Ministero dell’Istruzione – Ricerca – Università. E’ stata una bella giornata, una giornata di lotta festosa e decisa, di lotta di migliaia di studenti che vogliono una scuola vera, solidale, efficace e pubblica; di migliaia di insegnanti che vogliono avere la possibilità di lavorare e vivere in modo dignitoso, di migliaia di ricercatori che non si devono sentire obbligati a fuggire all’estero per fare il loro lavoro. Davanti a me avevo un gruppo di ragazzi disabili, con i loro insegnanti di sostegno, protestavano anche loro con decisione e come potevano perché queste manovre hanno tagliato anche questo, il sostegno alla disabilità in ambito scolastico, emarginando ancor di più questi cittadini che pagano pesantemente la loro diversità o i loro problemi. Per questo e per tutto il resto non c’è spazio per la stanchezza o il dolore, si scende in piazza e si lotta.

I contenuti principali del federalismo fiscale / scheda a cura di Rassegna.it Il passaggio da spesa storica a costo standard è il punto cardine dell’intera riforma. Per ogni servizio erogato dagli enti territoriali s’individuerà un costo standard, cui tutti dovranno uniformarsi durante un periodo transitorio di cinque anni. Autonomia impositiva. Per finanziare l’erogazione dei servizi, le autonomie locali potranno contare sul fondo perequativo, sulla compartecipazione a tributi erariali e su tributi propri, superando il meccanismo dei trasferimenti. Commissione bicamerale sui decreti attuativi. La commissione è composta di 15 senatori e 15 deputati. Le opposizioni non sono riuscite a rendere vincolanti i pareri della bicamerale sui decreti legislativi, ma grazie ad un emendamento dei democratici avrà poteri di indirizzo oltre che di controllo, visto che “formula osservazioni e fornisce al Governo elementi di valutazione utili alla predisposizione dei decreti legislativi”. Limite alla pressione fiscale. L’obiettivo è quello di arrivare a una complessiva diminuzione della pressione fiscale. La norma prevede, quindi, che, attraverso i decreti attuativi, “sia garantita la determinazione periodica del limite massimo della pressione fiscale, nonché del suo riparto tra i vari livelli di governo”. Il federalismo demaniale è stata la prima attuazione concreta. E’ già stata pubblicata prima dell’estate la lista dei beni dei quali le Regioni potranno chiedere il trasferimento. Roma Capitale. Si fissano le funzioni amministrative che spettano al Comune di Roma, oltre a quelle attualmente di sua competenza. Si va dal ‘concorso’ alla valorizzazione dei beni storici, artistici, ambientali e fluviali, fino all’edilizia pubblica e privata e alla protezione civile. Il consiglio comunale diventa Assemblea Capitolina con 48 consiglieri e arriva la giunta capitolina composta da 12 assessori. Dopo il primo decreto ne arriveranno altri relativi alle nuove funzioni amministrative di Roma Capitale e al suo patrimonio.

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LA SETTIMANA DE GLI ITALIANI

Regioni a statuto speciale. Le autonomie speciali devono concorrere a un “patto di stabilità interno”. Inoltre saranno istituiti tavoli di confronto tra il governo e ciascuna Regione a statuto speciale per individuare “linee guida, indirizzi e strumenti per assicurare il concorso” delle autonomie speciali agli obiettivi di perequazione e di solidarietà”.

Cinque milioni le persone con due lavori

Un emendamento del Pd all’articolo 1, approvato alla Camera, garantisce i principi di completamento dell’unità della nazione, con attenzione alle aree in ritardo e ai principi di solidarietà e coesione sociale.

In Italia le persone che hanno due occupazioni sono 4,8 milioni e se in molti casi, come ad esempio i lavori domestici, si tratta semplicemente di piu’ lavori part time per ottenere un salario dignitoso, molti sono anche coloro che a una occupazione standard (a tempo pieno e indeterminato) affiancano un’altra attivita’, spesso in nero. Tra le seconde attivita’ l’Istat calcola anche l’impiego nell’ ”autoproduzione” come l’occupazione nel proprio orto o i lavori di ristrutturazione di casa, attivita’ queste considerate lavoro regolare.

Previste sanzioni, fino al commissariamento, per gli enti che non rispetteranno i vincoli di bilancio. Inserito un ‘sistema premiante’ per chi, a fronte di un alto livello dei servizi, sia in grado di garantire una pressione fiscale inferiore alla media. La cedolare secca sugli affitti dovrebbe entrare in vigore dal prossimo anno. L’addizionale Irpef regionale a partire dal 2012 dovrebbe essere rideterminata in sostituzione degli attuali trasferimenti dello Stato alle Regioni. Sempre nel 2012 passa alle Province l’accise sulla benzina. Dal 2013 l’Iva diventa in parte territoriale e le Regioni potranno istituire nuovi tributi regionali e locali, su beni che però non siano già tassati dallo Stato. Nello stesso tempo saranno precisati i costi standard delle Regioni, che saranno il riferimento cui rapportare progressivamente il finanziamento integrale della spesa sanitaria. E sul bollo auto sarà avviata la compartecipazione delle Province. Dal 2014 le Regioni potranno ridurre, fino ad azzerare, l’Irap a patto che non abbiano aumentato l’addizionale Irpef oltre una certa soglia. Partiranno inoltre sei micro tasse regionali, sarà attivato un fondo regionale di solidarietàper il finanziamento della sanità e partirà una nuova tassa comunale sulle compravendite immobiliari.

8 ottobre 2010

di Paolo Borrello

Questi dati sono forniti dall’Istat e sono stati analizzati in un comunicato dell’Ansa: “Nella massa del doppio lavoro comunque – spiegano i tecnici Istat – c’e’ pero’ una grossa fetta di lavoro in nero, spesso nel commercio, nella ristorazione, negli alberghi e nei servizi alla persona Il dato emerge da un raffronto tra i dati dell’Istat sugli occupati totali nel 2009 e le posizioni lavorative calcolate nello stesso anno. A fronte di 24.838.000 occupati in media annua infatti ci sono 29.617.000 posizioni lavorative (tra regolari e irregolari) con una percentuale di irregolarita’ nel complesso del 17,6%. Il numero dei doppiolavoristi – si evince dalla serie storica – e’ stato sostanzialmente stabile negli ultimi anni anche se la percentuale sul totale dei lavoratori si e’ leggermente abbassata (grazie all’aumento dell’occupazione in generale). Per quasi 900.000 persone il doppio lavoro e in agricoltura (tra l’autoproduzione nel proprio orto e l’impiego nella coltivazione e nel raccolto nei campi di altri). A fronte di 979.000 occupati nel settore nel 2009 c’erano, nello stesso anno 1.837.000 posizioni lavorative. Nel settore del commercio ‘allargato’ (commercio, riparazioni, alberghi e ristoranti, trasporti e comunicazioni) gli occupati totali (le persone) nel 2009 erano 6.052.000 ma le posizioni di lavoro risultavano essere 8.358.000 con una differenza di oltre 2,3 milioni di unita’. Questo e’ il settore dove e’ piu’ forte l’utilizzo del part time ma anche dove il sommerso, ad esclusione del lavoro domestico, ha la percentuale piu’ alta (28,6% contro il 17,6 di media tra tutti i

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comparti), quattro volte superiore a quella dell’industria nel complesso. All’interno del comparto del commercio sono il settore degli alberghi e pubblici esercizi e quello dei trasporti e le comunicazioni ad avere la percentuale piu’ alta sia di doppio lavoro che di sommerso. Secondo i dati fermi al 2008 il lavoro irregolare in alberghi, ristoranti e bar si avvicina al 42% mentre i ‘doppiolavoristi’ sono circa 900.000 (le posizioni lavorative superano le 2,1 milioni di unita’ contro gli 1,2 milioni di occupati). Nei trasporti e le comunicazioni la percentuale di lavoro irregolare sfiora il 50% mentre coloro che fanno una doppia attivita’ sono quasi 1,2 milioni. Nel lavoro domestico si concentra il lavoro irregolare (64,2% nel 2008 ma in calo rispetto al 78,6% di dieci anni prima) e le posizioni lavorative complessive che risultano all’Istat sono, sempre secondo i dati risalenti al 2008, 2.230.000 a fronte di 1.465.000 occupati (765.000 quindi i casi di doppio lavoro). Nell’industria sono scarsi sia i caso di doppio lavoro sia quelli di lavoro irregolare (6,8% la percentuale nel 2009). Nell’industria in senso stretto (escluse le costruzioni) la percentuale di irregolarita’ del lavoro scende al 4,2% mentre le doppie attivita’ sono solo 87.000. Gli occupati nel settore erano 4.962.000 mentre le posizioni lavorative complessive risultavano essere 5.049.000. Nelle costruzioni, comparto ad alto utilizzo di lavoro irregolare anche a causa della discontinuita’ della produzione (cantieri che aprono e chiudono), a fronte di 1.924.000 occupati nel 2009, le posizioni lavorative erano 2.176.000. Nel comparto, l’irregolarita’, secondo l’Istat, ha raggiunto il 12,7% in aumento rispetto al 2008 (era al 12%) ma in forte calo rispetto a dieci anni prima, nel 1999 quando era al 17,6%. Certo non è una novità il fatto che in Italia molte persone hanno due occupazioni e che nella maggior parte dei casi i “secondi lavori” sono irregolari. Apprendere però che sono circa 5 milioni le persone interessate a me ha stupito. E’ necessario ridurre il numero dei “doppiolavoristi” – e soprattutto le dimensioni del lavoro nero – anche perché ciò che si verifica, relativamente alle seconde attività, indica l’esistenza di un mercato del lavoro che non funziona correttamente. Tale obiettivo comunque sarà difficile da raggiungere in un periodo come quello attuale, contraddistinto da una situazione di notevole crisi economica.

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Brasile: Dilma va, ma la sorpresa è Marina di Gennaro Carotenuto ISe non fosse che le due signore della politica brasiliana, Dilma Rousseff e Marina Silva, si detestano reciprocamente, i conti del primo turno presidenziale sarebbero presto fatti per la sinistra brasiliana ai massimi storici: Dilma 46.7% più Marina 19.43% uguale sinistra brasiliana al 66%. Nulla di nuovo per quanto riguarda i candidati che vanno al ballottaggio. Il candidato socialdemocratico (moderato) José Serra, è rimasto nell’ambito dei sondaggi che lo accreditavano tra il 30 e il 34% dei voti e va al ballottaggio con un misero 32.7% che gli sarà sufficiente solo per la seconda sconfitta al ballottaggio dopo quella del 2002. Dilma Rousseff, la candidata del PT, va al ballottaggio con un risultato praticamente identico a Lula nel 2002, quando al primo turno ottenne il 46.4% per superare il 61% al ballottaggio storico del 27 ottobre proprio contro José Serra e appena inferiore al 48.6% del 2006 che fece da preludio al ballottaggio contro Geraldo Alckmin con Lula di nuovo al 61%. Rispetto ai sondaggi Dilma resta sotto di 3-4 punti e quindi non corona il sogno di vincere al primo turno. Ma questi 3-4 punti che mancano (ma mancano?) a DIlma, non bastano a spiegare la straordinaria cavalcata che ha portato la verde Marina Silva a raddoppiare o quasi le previsioni del 10-12%. Bastava digitare “Marina43” o “Voto Consciente” ieri pomeriggio in Twitter per capire che l’impeto degli studenti e della classe media progressista che sta in Internet fosse tutto per lei, l’ex domestica (1958) che ha imparato a leggere e scrivere a 15 anni per laurearsi meno di 10 anni dopo e che viene dal remotissimo Acre, migliaia di km dalle luci di Río de Janeiro e di San Paolo, incastonato tra Bolivia e Perù. Ha corso molto da quei giorni la 52enne Marina. Riuscì a studiare, si sindacalizzò e si politicizzò. Dalla CUT (il grande sindacato) al PT (il partito), imparò moltissimo da Chico Mendes che visse, lottò e fu assassinato proprio nell’Acre, dedicando la vita alla difesa dell’ambiente dell’Amazzonia ed ai lavoratori di quei difficili luoghi. Nell’88 Marina, che appena pochi anni prima entrava nelle case borghesi solo per fare le pulizie, era già l’unica consigliere comunale di sinistra a Rio Branco, la capitale dello stato. Appena sei anni

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dopo è la senatrice più votata e nel 2003 è Ministro dell’Ambiente di Lula. La storia, e le contraddizioni di uno sviluppo difficile, preparava lo scontro tra le due compagne di partito. Da una parte Marina a difendere l’Ambiente. Dall’altra Dilma, responsabile del dicastero delle Miniere e dell’Energia, che doveva far fruttare le immense ricchezze del paese. Alla fine vinse Dilma e i progetti particolarmente avanzati di Marina per un’Amazzonia sostenibile restarono nel cassetto. Proprio l’ambiente e la contestazione ad un certo burocratismo da partito stato emerso in alcuni contesti del PT, sarebbero nel corso degli ultimi due anni alla base della critica da sinistra di Marina al governo, e al PT, il partito dal quale con estremo dolore alla fine esce, che la porta infine a candidarsi accettando l’invito dei verdi. Non ci possono essere maggiori differenze tra le due donne. Da una parte Dilma, la signora mineira agiatissima che tradì la sua classe per scegliere la guerriglia e la sottoproletaria amazzonica venuta dal nulla. Ed è notevolissimo che oggi Dilma è votata in massa dai proletari da dove Marina proviene, mentre Marina, dopo Lula un altro meraviglioso esempio di ascensione sociale in un Brasile che sta pezzo per pezzo smantellando un classismo atavico, è la stella dei sempre più numerosi giovani di classe media che usano Internet e danno un appoggio critico al governo. Una voce critica che non solo non scalfisce ma rafforza quell’egemonia della cultura di sinistra che è la cifra del Brasile e dell’America latina del XXI secolo. Fino a ieri i candidati outsider in Brasile erano praticoni della politica, centristi, maghi del voto clientelare pronti a trattare su tutto e a vendersi. Adesso il Brasile di Lula, pur con il suo bilancio positivo ha una grande coscienza critica alla sua sinistra da ascoltare. In termini elettorali cambia poco. Che si parlino o no, gran parte dei voti di Marina passeranno a Dilma al ballottaggio. Ma oggi Marina ha dato una lezione di cosa ancor di più possa essere questa “grande nazione progressista” brasiliana. GENNAROCAROTENUTO.IT

5 ottobre 2010

Socialdemocrazia etnica in Bosnia di ELDINA PLEHO Un’analisi del voto del 3 ottobre in Bosnia Erzegovina, a partire dal dato della forte affermazione dei partiti socialdemocratici nella Federazione e in Republika Srpska. Le prospettive per la formazione di una coalizione di governo e per il percorso europeo del Paese Il 3 ottobre 2010 in Bosnia Erzegovina (BiH) non sarà ricordato solo come la data dell’ennesima tornata elettorale. A queste elezioni i cittadini della BiH hanno deciso di votare in modo sensibilmente diverso rispetto agli ultimi venti anni. Nonostante nessun partito abbia ottenuto la maggioranza, e pertanto le coalizioni saranno inevitabili, nella Federazione BiH (FBiH) è stato registrato il successo del Partito socialdemocratico della BiH (SDP), che ha ottenuto la maggioranza di voti in questa entità. Anche in Republika Srpska (RS) ha vinto il Partito dei socialdemocratici indipendenti di Milorad Dodik (SNSD), fino ad ora al potere in questa entità, in modo un po’ meno convincente ma sufficiente per avere la maggioranza parlamentare nella RS. La socialdemocrazia però, come tutto in Bosnia Erzegovina, porta colori nazionali. I due partiti definiti socialdemocratici che hanno ottenuto più voti a livello statale, ma non sufficienti per poter formare un governo da soli, sono infatti acerrimi nemici. Dušanka Majkić, presidente della Camera dei popoli al Parlamento della BiH e proveniente dalle fila dell’SNSD, è categorica quando si tratta di discutere dell’SDP. Ad Osservatorio Balcani e Caucaso esclude qualsiasi possibilità di formare una coalizione con questo partito: “Continuiamo ad escludere una coalizione con l’SDP, questo partito a livello internazionale ci ha causato non pochi danni e non andremo di certo con loro in coalizione. E se mi chiedete quando verrà formato il governo a livello statale, credo che il fattore temporale non sia così importante quanto il fatto che si formi un governo in cui possano trovarsi degli accordi”. La Majkić, d’altra parte, ribadisce la sua soddisfazione per aver vinto nuovamente in RS. La presidente della Camera, tuttavia, riconosce che anche in questa entità sono accadute alcune “cose 15


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insolite”. Per cose insolite la Majkić intende la corsa per il membro della presidenza tra Nebojša Radmanović, dell’SNSD, e Mladen Ivanić, candidato della coalizione formata dall’opposizione in RS. Radmanović infatti ha vinto, ma non in modo convincente. Dall’altra parte, all’SDP, affermano che nessuno ha chiamato l’SNSD per parlare di una coalizione. Damir Mašić, dell’SDP, afferma infatti che per il suo partito è persino un onore il fatto che i cosiddetti socialdemocratici della RS non vogliano entrare in coalizione con l’SDP. Soddisfatto per il successo, e per il fatto che il proprio partito ha ottenuto il maggior numero di voti a livello statale, Mašić ha dichiarato ad Osservatorio che alle elezioni i cittadini hanno dato a questo partito un grande onore, ma anche un grande impegno: “Dopo i risultati ufficiali avvieremo i colloqui con i partiti politici, ma sulla base della divisioni degli impegni e del lavoro, e non sulla base della divisione delle poltrone e dei ministeri. La condizione è di accettare le cinque politiche di sviluppo create dall’SDP e di iniziare ad implementarle”. Mašić ha anche un’idea interessante su come formare un governo in cui debba partecipare anche l’SNSD, che rifiuta di collaborare con l’SDP: “Nel caso in cui questo partito dovesse bloccare e procrastinare la formazione del governo a livello statale noi, con grande rispetto dello stato Bosnia Erzegovina, ci rivolgeremo allo sviluppo della Federazione BiH”.

Federazione. Ora però la situazione cambia, perché in Federazione è l’SDP il partito che ha ottenuto più voti. La sorpresa più grossa, però, è l’Alleanza per un futuro migliore, di Fahrudin Radončić, fondatore e proprietario del quotidiano Dnevni Avaz. Questo partito ha raccolto molti voti, e sarà partner in una delle coalizioni. Benché [entrambi i partiti] siano dichiaratamente attenti agli interessi dei bosgnacchi, l’SDA non vuole avere come partner l’SBB. Amir Zukić, segretario generale dell’SDA, intervistato da Osservatorio afferma che il suo partito ha basato le sue attività su un profilo urbano e non esclusivamente nazionale, motivo per cui ha subito una riduzione di voti. Ma Zukić dice che sono comunque soddisfatti perché ha vinto il loro candidato per la presidenza tripartita: “Noi siamo stati sottoposti ad una pressione mediatica ed anche ad attacchi poco amichevoli da parte dei partiti di nuova formazione. Ciò nonostante siamo andati avanti con lo sviluppo di una coscienza civica che alla fine porterà del bene a tutti. Per quanto riguarda l’SBB, la posizione del partito è di non entrare in coalizione con loro, mentre con tutti gli altri siamo pronti a dialogare”. Anche quei tentativi quasi pionieristici di alcuni partiti, che hanno creato coalizioni trasversali alle due entità, come per esempio Naša stranka e il Nuovo partito socialista di Zdravko Krsmanović, hanno rappresentato una delle sorprese di queste elezioni.

Cosa significa concretamente questo per il processo di integrazione europea, e per l’ottenimento dello status di Paese candidato, dal momento che i negoziati con l’Unione europea vengono condotti esclusivamente a livello statale e non delle entità? Mašić sostiene che l’SDP ha una soluzione: “Faremo diventare la Federazione come la Germania occidentale di un tempo, e poi vedremo in Republika Srpska se vorranno anche loro essere parte di una cosa riuscita oppure no”, sostiene Mašić, aggiungendo che comunque è convinto della possibilità di un accordo.

Questa coalizione non ha ottenuto voti sufficienti per oltrepassare lo sbarramento di ingresso, né per la Federazione né per la Republika Srpska. Nell’assemblea del cantone di Sarajevo è possibile che abbia due deputati, e uno dei due è il capolista per il Cantone di Sarajevo e fondatore di Naša stranka, il regista premio Oscar Danis Tanović.

Non sono solo i socialdemocratici ad avere posizioni antagoniste. I due partiti che dichiarano di avere a cuore gli interessi del popolo bosgnacco, il Partito di azione democratica (SDA) e l’Alleanza per un futuro migliore (SBB), non mostrano alcun interesse a discutere come partner. Fino ad ora il Partito d’azione democratica ha avuto il potere nella maggior parte dei livelli della

Per il professor Besim Spahić, della Facoltà di Scienze Politiche di Sarajevo, l’esito insufficiente di queste coalizioni non è una sorpresa: “È chiaro, queste idee sono necessarie, ma questi partiti sono ancora troppo piccoli e troppo giovani, hanno una debole infrastruttura che invece necessita di anni di costruzione. Ciò che è più importante, questi partiti non hanno soldi. E il denaro serve per la campagna elettorale, per creare l’infrastruttura per

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la gente che vi lavora. Questi partiti non l’hanno. e questo è uno dei motivi principali del loro mancato successo”, dichiara il professore di Sarajevo. Spahić peraltro sostiene di non avere una gran fiducia nemmeno nei socialdemocratici della BiH, e sostiene di non essere convinto della loro capacità di far fronte ai problemi dello Stato che è sempre più in ritardo rispetto ad altri Paesi della regione. Nei prossimi quattro anni, in Bosnia Erzegovina, saranno al governo alcuni dei partiti già all’opposizione. Tutto questo sarà di aiuto all’accelerazione della percorso europeo del Paese, all’ottenimento dello status di candidato e all’avvio dei negoziati? Queste sono proprio alcune delle promesse fatte dai socialdemocratici della Federazione BiH ai cittadini. Nonostante diffondano l’idea della socialdemocrazia, l’SDP ha ottenuto il minor numero di voti in Republika Sprska e d’altro canto l’SNSD ha ottenuto il numero minore di voti in Federazione BiH. Come potranno sulla base delle loro posizioni formare un governo statale? Sarà questa la telenovela che i cittadini della Bosnia Erzegovina guarderanno in vari episodi durante i prossimi mesi. OSSERVATORIO BALCANI E CAUCASO

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Bojan Bajić, presidente di Naša stranka, ha dichiarato ad Osservatorio che preferisce astenersi dai commenti sul risultato delle elezioni finché non verranno comunicati i risultati definitivi.

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Mafia, appalti e stragi. Un depistaggio lungo vent’anni di Sebastiano Gulisano

Lo scorso 5 ottobre, IL GENERALE MARIO MORI, IN UN COLLOQUIO COL GIORNALISTASENATORE LINO JANNUZZI (che fungeva più da “spalla” che da intervistatore) ha raccontato la sua versione di quello che definisce «il processo a me, ai miei colleghi, al Ros, ai carabinieri» e il cui inizio fa risalire al «16 febbraio del 1991, vent’anni fa, quando consegnammo alla procura di Palermo il rapporto dell’inchiesta detta “mafia e appalti”…». La chiacchierata fra i due amici, che ricalca un articolo pieno di inesattezze PUBBLICATO IN RETE DA JANNUZZI UN ANNO FA, è un vero e proprio distillato di disinformazione e allusioni sulle stragi del ’92 e su vicende ad esse connesse come, appunto, l’ormai “mitico” rapporto di 890 pagine consegnato dal capitano Giuseppe De Donno al procuratore aggiunto Giovanni Falcone, il 20 febbraio del 1991, e da questi consegnato a sua volta al procuratore capo, Pietro Giammanco, che lo chiuse in cassaforte. «Una leggenda», commentano Jannuzzi e Mori, riferendosi a quel rapporto e a quell’inchiesta. Vero, verissimo. Ormai la leggenda ha prevalso sulla storia e, come ogni leggenda, è intrisa di verità, mezze verità e menzogne scecherate così bene da essersene smarriti i confini. Confini non agevoli da ridefinire con una ricostruzione giornalistica per quanto documentata, approfondita e articolata. Però alcuni punti fermi si possono agevolmente fissare, proprio confutando le parole di Mori riportate da

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Jannuzzi, a proposito dell’inchiesta su mafia e appalti. Prima, comunque, necessita una premessa. L’inchiesta su mafia e appalti prende il via nell’88, in seguito a una “soffiata” ricevuta dai carabinieri che indagano sull’OMICIDIO DI UN ALLEVATORE IN UN COMUNE DELLE MADONIE. Le successive indagini svelano che Cosa Nostra non ha più un atteggiamento parassitario (imposizione del pizzo, di assunzioni, di forniture di materiali) ma, come spiega Giovanni Falcone, durante un convegno organizzato dall’Alto commissario antimafia, nella primavera del 1990, «indagini in corso inducono a ritenere l’esistenza di un’unica centrale mafiosa che condiziona a valle e a monte la gestione degli appalti pubblici». Un passo dopo l’altro, un’intercettazione dopo l’altra, si arriva al 20 gennaio del 1991, quando De Donno consegna a Falcone il rapporto citato, ma il magistrato è ormai prossimo a trasferirsi al ministero di via Arenula e, con gli altri colleghi del pool antimafia, è impegnato in una corsa contro il tempo per chiudere l’istruttoria sugli omicidi politici (Mattarella, La Torre, Reina) prima che scadano i termini imposti dalla legge, nel passaggio dal vecchio al nuovo codice di procedura penale. Per tale motivo il monumentale documento finisce in cassaforte, ché anche i sostituti Pignatone e Lo Forte, assegnatari del fascicolo insieme con Falcone, sono impegnati

nella medesima istruttoria, depositata il 12 marzo 1991. L’inchiesta è così complessa e la mole degli atti talmente monumentale che, nel mese di maggio, il procuratore Giammanco decide di affiancare a Pignatone e Lo Forte altri 6 sostituti (Carrara, De Francisci, Morvillo, Natoli, Scarpinato e Sciacchitano) e il procuratore aggiunto Spallitta. I Ros dell’allora tenente colonnello Mori e del capitano De Donno individuano 45 persone – mafiosi, noti imprenditori nazionali, progettisti, faccendieri e un paio di politici palermitani – a carico dei quali ipotizzano i reati di associazione mafiosa (per 24 di loro) e di associazione per delinquere finalizzate alla spartizione degli appalti pubblici (21). L’organizzazione sarebbe capeggiata da Angelo Siino, un massone mafioso legato ai Brusca di S. Giuseppe Jato, arrestato il 9 luglio ’91 con altre quattro persone: il geometra Giuseppe Li Pera, capoarea in Sicilia occidentale della Rizzani De Eccher di Udine, e gli «imprenditori» Cataldo Farinella, Alfredo Falletta e Serafino Morici, tutti accusati di mafia. Ai cinque, all’inizio del ’92, si aggiungeranno Vito Buscemi e Rosario Cascio. IL 13 LUGLIO DEL 1992, ritenendo di non avere elementi sufficienti per il giudizio, la Procura deposita la richiesta di archiviazione di 21 indagati nell’inchiesta scaturita dal rapporto del Ros e il 22 la presenta al Gip, che il 14 agosto firma il decreto di archiviazione. Resta aperto il filone Sirap, una società della Regione siciliana.

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Secondo i magistrati della Procura di Palermo, che lo scrivono in una relazione al Csm, alla fine del ’92, l’indagine del Ros ha prodotto «un salto di qualità nelle conoscenze sino ad allora acquisite sui rapporti tra Cosa Nostra e il mondo imprenditoriale. Ed in effetti emergeva che l’associazione mafiosa non si limitava più a svolgere un ruolo di sfruttamento meramente parassitario delle attività economicheimprenditoriali, concretatesi nell’imposizione di tangenti, di subappalti, di imposizione della manodopera, ma mirava a realizzare un controllo integrale e un pesante condizionamento interno del mondo imprenditoriale e del settore dei lavori pubblici in Sicilia». Il 26 luglio del ’91, dopo i primi arresti, la Procura ha delegato i Ros ad approfondire il filone d’indagine sulla Sirap, società pubblica incaricata di gestire la realizzazione di una serie di aree artigianali in Sicilia, per un ammontare complessivo di mille miliardi di lire. Così facendo, la Procura ha messo in campo una strategia articolata in tre punti: 1) l’arresto degli elementi più pericolosi dell’organizzazione, sui quali c’erano elementi sufficienti per ottenere il rinvio a giudizio e la condanna; 2) acquisire altri elementi su soggetti già individuati dai Ros; 3) individuare i referenti politici e amministrativi dei boss. In realtà, non tutto filava liscio, visto che a metà giugno del 1991, la Sicilia, il quotidiano di Catania, avviava una campagna contro la Procura, accusata di tenere «nel cassetto» il rapporto dei Ros, pubblicando anche stralci delle intercettazioni «insabbiate». Campagna che presto tracimerà sulle pagine di tanti quotidiani e periodici. Insomma: il

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«processo» non era ai Ros, come sostiene il generale nella chiacchierata con Jannuzzi, ma ai magistrati. «L’inchiesta mafia e appalti è diventata una leggenda. “È vero, una leggenda. Era solo il primo mattone, ma era una novità assoluta, il capitano Giuseppe De Donno, il principale collaboratore di Giovanni Falcone, che lo chiamava affettuosamente ‘Peppino’ e che era uno dei pochi investigatori che poteva permettersi di dargli del ‘tu’, e non si staccava mai da lui, che se lo portava appresso anche all’estero, in giro per il mondo, aveva fatto un ottimo lavoro e, avvalendosi delle confidenze di un geometra, Giuseppe Li Pera, che lavorava in Sicilia per la ‘Rizzani De Eccher’, una grossa azienda del nord, aveva ricostruito la mappa del malaffare tangentizio siciliano, la prima del genere e che anticipava di qualche anno la Tangentopoli nazionale”. Sul momento, non se ne accorse nessuno. “Se ne accorse Giovanni Falcone, che ci fece persino lo spunto per un convegno, che concluse col famoso annuncio: ‘La mafia è entrata in borsa’… E con quell’annuncio iniziò la sua fine, perché se ne accorsero gli interessati, le imprese, i mafiosi e i politici”. Ma non successe niente. “La procura di Palermo non ci dette nemmeno le deleghe per proseguire le indagini e delle 44 posizioni che avevamo individuato emise solo cinque ordini di arresto, ma consegnò agli avvocati degli arrestati tutto il malloppo, tutte le 890 pagine del rapporto, con i nomi e i cognomi di tutti i 44 indiziati”.»

Il rapporto dei Ros sarebbe, dunque, anche il frutto delle confidenze del geometra Li Pera al capitano De Donno. Così vuole la leggenda, non la storia. Giuseppe Li Pera è uno dei cinque arrestati del luglio ’91, quando finisce in manette anche Angelo Siino, anche lui confidente dell’ufficiale del Ros che, così si sarebbe “bruciato” ben due fonti. Un bel risultato, non c’è che dire. Ma andiamo con ordine. Dopo l’arresto, Li Pera viene interrogato due volte dai pm di Palermo, ma si rifiuta di rispondere. Il 17 febbraio 1992, dopo sette mesi di carcere e, soprattutto, dopo il deposito delle intercettazioni che lo inchiodano, invia ai magistrati una memoria in cui tenta una inutile quanto disperata difesa, dichiarandosi estraneo ai fatti contestati. Lo stesso fa il 5 marzo, durante un interrogatorio dei pm Lo Forte e Scarpinato al quale assiste anche De Donno. 5 marzo 1992: questa data è importante, ché alla fine dell’interrogatorio l’ufficiale si apparta coi due pm e, convinto che l’imputato sia condizionato dal suo avvocato, chiede ai magistrati di poterlo incontrare da solo per convincerlo a collaborare. Permesso accordato. Il 9 marzo la Procura chiede il rinvio a giudizio di Li Pera, Siino e gli altri tre coindagati, per associazione mafiosa, Il 30 aprile ai Ros di Palermo arriva una lettera anonima con la quale li si invita a «interrogare Li Pera» per scoprire «imbrogli» su alcuni appalti pubblici in provincia di Catania e a chiedere «informazioni al giudice Lima», al quale i Ros, il 3 maggio, trasmettono l’esposto anonimo e una nota esplicativa. Risulterà che l’anonimo era stato scritto dallo stesso Li Pera, che dal 13 al 15 giugno

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LA SETTIMANA DE GLI ITALIANI e il 27 agosto è interrogato in carcere dal pm etneo Felice Lima, come persona informata sui fatti, mentre il 20 luglio è il capitano De Donno, su delega del pm, a interrogarlo. Li Pera racconta in maniera meticolosa il funzionamento del sistema degli appalti siciliano e nazionale, tacendo su Cosa Nostra, che si intravede solo nell’espressione «forza di tipo diverso» delegata alla «risoluzione dei contrasti» tra imprese che non riesce a sbrogliare Filippo Salamone, imprenditore agrigentino delegato a sbrogliare le situazioni complicate. Il 14 ottobre 1992, il collaborante è interrogato per la prima volta in presenza di un avvocato, poiché indagato in seguito alle sue stesse rivelazioni. Li Pera, fin dal primo interrogatorio (13 giugno) mette a verbale che i pm di Palermo non l’hanno mai voluto sentire: affermazione falsa e il capitano De Donno, che assiste il pm Lima, lo sa bene. Li Pera, inoltre, sostiene di non fidarsi della Procura del capoluogo, ché, secondo quanto riferitogli dal suo legale (successivamente ARRESTATO eCONDANNATO per mafia), nell’estate del ’91 ci sarebbe stata una riunione fra pm e avvocati, in cui sarebbe stato deciso chi arrestare e chi no delle persone accusate dai Ros: lui stesso, Siino e gli altri tre finirono nell’elenco dei «sacrificabili». L’attendibilità dell’avvocato, si commenta da sé. I pm di Palermo, della collaborazione di Li Pera, non sapranno nulla fino al 28 ottobre 1992, quando il procuratore di Catania e i suoi aggiunti invieranno nel capoluogo gli interrogatori di Li Pera, un rapporto di 843 pagine dei Ros di Palermo redatto dal capitano De Donno e datato 1 ottobre 1992, e una nota introduttiva di 8 pagine firmata dai capi dell’ufficio etneo. Dopo avere chiuso in un cassetto la richiesta di custodia cautelare avanzata da Felice Lima nei confronti dei vertici della Regione siciliana, grandi imprenditori regionali e nazionali, professionisti e qualche boss: 22 in tutto. L’inchiesta era incentrata, fra l’altro, su alcuni appalti catanesi della Sirap (gli stessi per i quali indagava Palermo). Lima, in realtà, aveva provato a contattare Paolo Borsellino (lo ha confermato al Csm la madre del magistrato ucciso) ma il tritolo lo ha tolto di mezzo prima che i due potessero incontrarsi. Nello stesso periodo, il capitano De Donno indagava per conto dei pm antimafia di Palermo e per il pm Felice Lima di Catania, su fatti che a volte si sovrapponevano (Sirap) e consegnando corpose informative ai due diversi uffici inquirenti (a Palermo, il 5 settembre 1992), tanto che, scrivono i magistrati palermitani nella relazione al Csm, alla fine del ’92, gli allegati dell’informativa consegnata a Lima il primo ottobre erano costituiti «in massima parte da fotocopia di atti compiuti dalla Procura della Repubblica di Palermo». Il 19 ottobre, a Palermo, inizia il processo a Li Pera, Siino e gli altri arrestati, ma i pm non sanno della collaborazione del geometra, che apprenderanno solo quando da Catania gli arriveranno i verbali di Li Pera (28 ottobre) e saranno costretti a cambiare completamente strategia accusatoria a processo avviato. Non solo. Siccome le dichiarazioni si incastrano alla perfezione col contenuto delle intercettazioni telefoniche alla base del primo rapporto dei Ros (quello consegnato a Falcone prima di trasferirsi a Roma), le 21 archiviazioni

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chieste dai pm il 13 luglio e disposte dal gip il 14 agosto, non ci sarebbero state. Questi sono i fatti. Così com’è un fatto che i Ros si sono tenuti per oltre due anni (dal ’90 alla fine del ’92) intercettazioni che coinvolgevano pesantemente uomini politici di primo piano (fra questi, Salvo Lima, ucciso il 12 marzo 1992) nella gestione illecita degli appalti pubblici. Con buona pace del generale Mori, di Jannuzzi e dei loro seguaci che continuano a diffondere leggende. Allo stesso modo, è leggenda che Falcone, dopo avere letto il rapporto del febbraio 91, avrebbe pronunciato a un convegno la celebre frase sulla «mafia in Borsa» e sarebbe stato ucciso in conseguenza di ciò, ché quella frase risale all’88, a dopo che Gradini rilevò le imprese del conte Arturo Cassina poste sotto sequestro dall’Alto commissario per la lotta alla mafia. È parimenti leggenda che la Procura non li delegò a proseguire l’inchiesta: i Ros hanno avuto le deleghe il 26 luglio del 1991 (Sirap) e, in conseguenza di ciò, c’è l’informativa del 5 settembre 1992. L’inchiesta «insabbiata» dai magistrati di Palermo raggiunge il suo apice LA NOTTE TRA IL 25 E IL 26 MAGGIO DEL 1993, quando vengono eseguiti 25 arresti di boss, amministratori della Sirap, imprenditori d’alto rango e politici di livello nazionale, mentre alcune decine di esponenti politici ricevono degli avvisi di garanzia, per tre dei quali (Nicolosi, Mannino e Buttitta) si rende necessario chiedere alla Camera l’autorizzazione a procedere. Determinanti, a tal proposito, risultano le DICHIARAZIONI DI GIUSEPPE LI PERA che nel frattempo ha descritto senza reticenze anche il ruolo «regolatore» di Cosa Nostra nel sistema degli appalti. Il resto dell’intervista meriterebbe analoga meticolosità, ma, come ho scritto all’inizio, la materia è troppo complessa per un articolo giornalistico. Ci vorrebbe un libro. E piuttosto corposo. Ritengo, però, che l’analisi dei fatti relativi alla vicenda mafia e appalti renda chiaro quanto sia attendibile il generale Mori (che, comunque, di tanto in tanto, dice anche cose vere). Per qualificare Jannuzzi basta invece un suo editoriale che, quando Falcone si trasferì a Roma, scrisse sul Giornale di Napoli: «Cosa Nostra uno e due» s’intitolava, e si metteva in guardia dal possibile rischio rappresentato dal fatto che Falcone e Gianni De Gennaro potessero diventare, rispettivamente, capo della Dna e direttore della Dia: «Se le candidature andranno a buon fine, si ricostruirà, al vertice del tribunale speciale e della superpolizia, la coppia che fu la massima, e la più autentica espressione […] del “professionismo dell’antimafia”. «È una coppia la cui strategia, passati i primi momenti di ubriacatura per il pentitismo e per i maxiprocessi, ha approdato al più completo fallimento: sono Falcone e De Gennaro […] i maggiori responsabili della débâcle dello Stato di fronte alla mafia. «Ma non è questo il punto. Se i “politici” sono disposti ad affidare agli sconfitti di Palermo la gestione nazionale della più grave emergenza della nostra vita, è, almeno entro certi limiti, affare loro.

Ma l’affare comincia a diventare pericoloso per tutti noi: da oggi, o da domani, dovremo guardarci da due “Cosa Nostra”, quella che ha la Cupola a Palermo, e quella che sta per insediarsi a Roma. E sarà prudente tenere a portata di mano il passaporto». Anni dopo, Jannuzzi si difese sostenendo che intendeva riferirsi solo a De Gennaro, ma il contenuto del suo scritto è inequivocabile. *** Personalmente, ritengo che l’inchiesta su mafia e appalti e, più in generale, lo svelamento di Tangentopoli, siano fra le concause delle stragi del ’92-’93, non il movente delle prime due, come sostengono i Ros e i loro seguaci (falsando spesso e volentieri fatti e date), che additano come depistatori e complici di Riina chiunque sostenga altro. 9 ottobre 2010

Reggio Calabria. “Smog mafioso” di Vincenzo Mulé La magistratura a Reggio Calabria ha alzato il tiro. Puntando sulla cosiddetta e, ormai, inflazionata, zona grigia. Nota a tutti gli addetti ai lavori, ma finora perennemente tenuta lontana dalle inchieste più importanti. Quel micidiale mix composto da servizi segreti deviati, massoneria deviata, politici e criminalità organizzata. «La cosa più difficile – afferma Nuccio Barillà, consigliere comunale di Reggio Calabria e membro del consiglio direttivo di Legambiente – è capire chi sta dalla parte della giustizia e chi no. La nostra città è coperta da una sorta di “smog mafioso”. Troppe cose non tornano. Occorre andare a colpire con più decisione quella zona ancora mai raggiunta, quella che gestisce i flussi finanziari. Ci sono indagini che sono ferme. Senza un apparente motivo. Ci sono le carte delle indagini, ci sono i riscontri con le dichiarazioni dei pentiti. Perchè – conclude Barillà – i provvedimenti non arrivano?». È Roberto Moio il nuovo pentito che starebbe rivelando nuovi scenari sugli assetti della cosca Tegano, proprio quella che controlla le attività economiche della città. «La ‘ndrangheta non si indebolisce senza indebolire i rapporti fortissimi con i poteri occulti che stanno fuori di essa”. Lo ha detto il neo procuratore generale di Ancona ed ex procuratore aggiunto della Dna, Enzo Macri’, partecipando a Reggio Calabria all’incontro promosso dall’Anm dopo l’attentato al procuratore generale Salvatore Di Landro. «La ‘ndrangheta non attacca astrattamente, ma si muove perche’ teme qualcosa. Certamente l’attacco a Di Landro è motivato per ragioni legate al suo ufficio’. Personalmente – ha concluso Macri’ – ritengo che dal 1970 ad oggi si sia saldato un patto tra poteri criminali e occulti che determinano la vita di questa citta’. Se non si recidono taluni legami, nulla si risolvera’ perche’ c’e’ qualcosa che va oltre

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la struttura criminale”. Pochi giorni prima dell’esplosione di un ordigno davanti al portone della sua abitazione, il procuratore generale di Reggio Calabria, Salvatore Di Landro in una relazione al ministro della Giustizia Angelino Alfano dava un’interessante chiave di lettura circa le motivazioni nascoste dietro la bomba dello scorso gennaio alla procura di Reggio calabria. Per Di Landro, infatti, si voleva ”intimidire la magistratura in vista del piatto milionario del Ponte sullo Stretto”. Intanto, ieri al termine del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica convocato dopo l’intimidazione al procuratore Giuseppe Pignatone, il prefetto di Reggio Calabria Luigi Varratta, oltre ad annunciare l’arrivo dell’esercito in Calabria, ha confermato che dietro le intimidazioni compiute ai danni dei magistrati di Reggio Calabria «potrebbe esserci una strategia mirata con fini specifici che può essere non solo della ‘ndrangheta, ma anche di ambienti contigui. C’è sempre – ha aggiunto – una zona grigia su cui si sta indagando da tempo. Qualche risultato è già arrivato ed altri, ne sono sicuro, arriveranno». Soprattutto se si continuerà a fare luce sull’attività e i contatti di Giovanni Zumbo, indagato nell’ambito dell’operazione Crimine perché avrebbe fornito sistematicamente a famiglie di ‘ndrangheta (Ficara e Pelle) notizie su delicatissime indagini della Dda di Reggio Calabria e di quella di Milano in corso nei loro confronti o nei confronti di persone a loro vicine. Non solo. Zumbo avrebbe riferito su intercettazioni, riprese, sorveglianze a loro carico. Rafforzando, secondo i magistrati, il ruolo delle cosche. Questo perchè, l’insospettabile ragioniere fino al 2006 era un collaboratore dei servizi segreti.

delicato concetto di sinergia tra le mafie nazionali in relazione allo stragismo del biennio ‘92, ’93, ispirate, per le azioni criminali, diciamo così, di più ampio respiro da quell’entourage ad esse contiguo che si fa garante dell’efficienza delle cosiddette “relazioni esterne” mafiose con il mondo della politica, delle professioni e delle istituzioni. Secondo questa impostazione l’ipotesi considerata più plausibile nella difficile individuazione dei cosiddetti mandanti esterni è che la strategia stragista inaugurata con l’assassinio di Salvo Lima il 12 febbraio 1992 vada inquadrata in un disegno più grande in cui interessi diversi di soggetti diversi abbiano trovato una comune convergenza. Quindi non solo Cosa Nostra, ma anche ‘Ndrangheta, soggetti appartenenti alla “massoneria deviata”, all’eversione, e pezzi dello Stato infedeli hanno partecipato a quel progetto eversivo criminale che ha alterato gli assetti politici e sociali del nostro Paese. Con questa premessa a mente, la lettera di provenienza anonima apparsa oggi sui giornali, che annuncia un rinnovato e forse mai affievolito patto di belligeranza tra le mafie nostrane alleate contro uomini delle Istituzioni impegnati in primo piano proprio nella lotta alla criminalità organizzata, giustifica ben più di un brivido e la legittima, diffusa preoccupazione di vedersi di nuovo sprofondati in un altro periodo buio senza che nemmeno sia stata fatta luce su quello precedente.

L’ inquietante missiva si presenta come un rapporto di polizia o di un apparato di sicurezza anche su Terra con tanto di scritta in stampatello “riservato”, sulla quale però sono stati resi illeggibili con 7 ottobre 2010 cancellature di colore nero tutti i dati, nomi, luoghi e riferimenti che possano individuarne la fonte e la finalità. E’ stata spedita con posta ordinaria alla Dia di Caltanissetta e riferisce di “un incontro fra alcuni rappresentanti di clan mafiosi che si è svolto di Anna Petrozzi in un casolare alla periferia di Messina”. Per “Da una pluralità di risultanze e di fonti, di l’esattezza fra “rappresentanti delle famiglie estrazione e qualità diverse, è emerso che fra gli palermitane, uomini della locride e un anni Ottanta e gli anni Novanta si è consolidato un napoletano”. processo di integrazione degli interessi illeciti delle Come in una sorta di ordine del giorno si leggono i “mafie nazionali” spintosi al punto di individuare punti e gli obiettivi. Prima di tutto “mettere in momenti di elaborazione di grandi strategie pratica gli accordi che erano stati stabiliti in una comuni”. precedente riunione dalla quale era emerso un Così il procuratore aggiunto di Palermo Antonio piano di attentato” ai danni del procuratore capo Ingroia introduce, nella sua prefazione al libro “la di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone e del suo Trattativa” di Maurizio Torrealta (Bur Rizzoli), il vice Michele Prestipino. Ma non solo. La nota

Mafia & co

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riferisce che “nel corso del summit (i partecipanti) hanno fatto riferimento anche ad altri obiettivi dei clan”, cioè al procuratore di Caltanissetta Sergio Lari, al suo aggiunto Domenico Gozzo e al sostituto Nicolò Marino, insomma i magistrati che si stanno occupando delle indagini sulle stragi e in particolare su quella di via D’Amelio nella quale si hanno tracce ormai abbastanza definite del coinvolgimento dei servizi segreti. I pm delle procure più esposte in questo momento non sono però gli unici nel mirino degli attentatori. Ci sono anche Sebastiano Ardita, magistrato in servizio al Dap perché “si occupa del 41 bis”, il giornalista Lirio Abbate e il giudice Raffaele Cantone, simbolo della lotta ai casalesi, ma oggi in Cassazione. In particolare, proprio su questi ultimi, le informazioni contenute nel documento sono sorprendentemente dettagliate e riferiscono di incontri e appuntamenti avvenuti tra i due con esattezza e precisione. Questi elementi e il ritrovamento del bazooka davanti alla Procura di Reggio inducono gli inquirenti a prendere con molta serietà le minacce e quindi questa scellerata alleanza che non presagisce nulla di buono, soprattutto perché il clima politico e sociale attuale così incerto e avvelenato è foriero di cambiamenti. E in Italia i processi di svolta non sono mai stati né naturali né indolore. Se almeno queste lettere servissero a riportare alle menti la memoria di quello che siamo stati e una volta tanto ad impedire che le lotte di potere vengano pagate con il sangue di giusti e innocenti, potremmo se non altro fare un passo avanti. Sarebbe sufficiente in effetti che i tanti di quell’entourage che sono ancora saldamente in sella avessero il coraggio di parlare per spezzare quel circolo vizioso in cui è imprigionata la storia del nostro Paese. Per adesso, senza fare tanto gli ipocriti, ci dobbiamo accontentare della verità traballante e sdentata di qualche mafioso pentito, infame e opportunista forse, ma sempre meglio del vile silenzio. ANTIMAFIADUEMILA 10 ottobre 2010

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LA SETTIMANA DE GLI ITALIANI

Richiesta d’arresto per Zamparini a Benevento, il Gip si oppone di Gabriele Corona Lo scorso Luglio la Procura della Repubblica di Benevento ha chiesto l’arresto di Maurizio Zamparini a seguito di una indagine durata quattro anni ed avviata dopo un esposto di Altrabenevento – associazione per la città sostenibile contro il malaffare, per la costruzione di un centro commerciale a ridosso della città. Il Pm che ha svolto le indagini, Antonio Clemente, ha richiesto anche l’arresto dell’assessore del comune di Benevento, Aldo Damiano ed altri provvedimenti restrittivi a carico di funzionari comunali, tecnici e collaboratori di Zamparini ed ha inoltre iscritto al registro degli indagati i coniugi Mastella. I reati ipotizzati sono: truffa contro la pubblica amministrazione, corruzione, falso ed abuso d’ufficio. I fatti incriminati riguardano la costruzione e l’apertura nell’ottobre 2006 del centro commerciale I Sanniti. Il patron del Palermo Calcio aveva infatti sottoscritto due accordi con il Comune di Benevento, impegnandosi a cedere all’ente un parco fluviale attrezzato, una strada a confine con il lotto commerciale e altre due opere pubbliche per un totale di circa 3 milioni di euro, in cambio delle autorizzazioni in deroga agli strumenti urbanistici. Zamparini non ha mantenuto gli impegni presi con consistente vantaggio patrimoniale per se stesso e notevoli danni per la cittadinanza, il tutto grazie anche a strane inadempienze e ritardi degli uffici comunali competenti. Per questo la procura ha chiesto l’interdizione dai pubblici uffici e dalla professione per due mesi, dei due dirigenti del settore urbanistica che si sono succeduti dal 2005 al 2007, dei due tecnici progettisti, di un geometra dell’ufficio tecnico, del segretario generale del Comune e del dirigente del settore Legale, gli ultimi due ancora in carica. Clemente ipotizza inoltre vari illeciti a carico dell’assessore Aldo Damiano, all’epoca dei fatti all’urbanistica e oggi al settore lavori pubblici, il quale avrebbe assunto un comportamento tale da indurre Zamparini a versare un contributo di

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50.000 euro all’associazione Iside Nova di cui era presidente Elio Mastella, il figlio dell’ex- ministro della giustizia. Dagli atti dell’inchiesta risultano, inoltre, altri due tentativi di corruzione operati da Erbert Rosenwirth, il braccio destro dell’imprenditore friulano, nei confronti dell’ingegnere Salvatore Zotti, all’epoca componente della commissione edilizia, e dell’assessore Cosimo Lepore. I due, però, hanno respinto ogni offerta di posti di lavoro e di denaro denunciando tutto alla magistratura. La Procura ha richiesto, insieme agli arresti, anche il sequestro dell’area parco attualmente utilizzata come parcheggio del centro commerciale e le quote del Palermo Calcio di proprietà di Zamparini, ma il Giudice per le Indagini Preliminari di Benevento, Maria di Carlo, non ha accolto le richieste. Il pm Clemente però insiste ed ha presentato ricorso al Tribunale del Riesame che si pronuncerà il prossimo 5 novembre.

220 domande, per un totale di quasi 8mila Megawatt”, dice De Marco. A quante torri eoliche corrispondono? “Se noi ipotizziamo circa 8mila Megawatt, ipotizzando una potenza specifica dell’aerogeneratore di 2 Megawatt, dovremmo realizzare 4mila aerogeneratori Dal momento che prevalentemente il vento sta nella Province di Crotone e di Catanzaro, significa che mediamente dovremmo avere 2mila aerogeneratori nella Provincia di Catanzaro e 2mila nella Provincia di Crotone”. Un dato enorme, se si considera che gli impianti attualmente in funzione non sono più di 300 e già hanno un impatto ambientale significativo. “Per me è allucinante tutta questa richiesta”, commenta De Marco. “Ma se le tariffe sono incentivanti, è evidente che la gente viene qui a costruire”. HTTP://EMILIOGRIMALDI.BLOGSPOT.COM/

Gli Italiani

ALTRABENEVENTO 7 ottobre 2010

Le mani sul vento di Emilio Grimaldi “Se tutte le richieste pendenti fossero accolte nei prossimi anni in Calabria potrebbero sorgere 4mila nuove torri eoliche”. A dirlo è l’Ingegner Ilario De Marco, Dirigente del Settore energie e fonti alternative del Dipartimento Attività produttive della Regione Calabria, intervistato da Angelo Saso nell’ambito dell’inchiesta “Le Mani sul Vento” che andrà in onda stasera alle ore 20.30 su Rainews. Nel 2006 gli aerogeneratori in funzione in tutta la Calabria erano appena sette. Alla fine del 2009 le torri eoliche sono diventate 254, e ora sono probabilmente più di 300. La Calabria è al quinto posto in Italia per produzione di energia eolica ma nessun’altra regione cresce a questa velocità: nel solo 2009 la potenza installata è più che raddoppiata, attestandosi sui 400 Megawatt. Altri 1300 Megawatt sono già stati autorizzati: vuol dire che qualcosa come 650 torri eoliche da 2megawatt ciascuna possono essere innalzate senza altre formalità e molte sono già in costruzione. Dalla fine di aprile del 2008 l’ingegner De Marco è il responsabile del rilascio della “autorizzazione unica” per la costruzione e l’esercizio di nuovi parchi eolici. “Negli ultimi due anni ho ricevuto

Coordinamento sito web Denise Fasanelli Pietro Orsatti Giuliano Rosciarelli Gruppo di lavoro e collaborazioni “organizzate” Anna Ferracuti, Massimo Scalia, Sebastiano Gulisano, Vincenzo Mulé, Sabrina Provenzani, Gabriele Corona, Eleonora Mastromarino, Marco Stefano Vitiello, Imd, Aldo Garzia, Emilio Vacca, Luigi De Magistris, Paolo Cento, Emilio Grimaldi, Salvo Vitale, Paride Leporace, Pino Maniaci, Giovanni Vignali, Alessio Melandri, Pino Masciari, Saskia Schumaker, Giulio Cavalli, Laura Neto, Marco Barone, Pietro Nardiello, Stefano Montesi, Alessandro Ambrosin, Nello Trocchia, Raffaele Langone, Paolo Borrello, Mila Spicola, Francesco Saverio Alessio, Riccardo Orioles e... altre 312 persone che hanno pubblicato e continuano a pubblicare contenuti sulla nostra piattaforma Partnership Antimafia Duemila, Global Voices, Cometa, MegaChip, Ucuntu, Rassegna.it, Agoravox. Dazebao, You Capital, CrisiTv, Il carrettino delle idee

per informazioni posta@gliitaliani.it

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LA SETTIMANA DE GLI ITALIANI

Un percorso L’inizio di un percorso riguarda la possibilità di avviare una nuova iniziativa editoriale. Risorsa fondamentale di questa iniziativa è il “giornalismo partecipativo”: la rete di realtà che già fanno informazione alternativa e costituiscono tanti radar in grado di captare i mutamenti e le domande della società italiana.

La scelta della testata Gli Italiani non è affatto casuale ma non è certo un richiamo dal sapore patriottico. È nostra convinzione infatti che non sappiamo più cos’è diventata socialmente, economicamente e culturalmente l’Italia. Uno dei temi cardine della nostra impresa editoriale è la verifica della coesione nazionale che deve procedere di pari passo con questa ricorrenza. Per questo, vorremmo che racconti e inchieste sull’Italia e gli italiani fossero il polmone che ossigena l’intero giornale.

di Andrea Camilleri, Paolo Flores d’Arcais, don Andrea Gallo e Margherita Hack Gli Italiani seguirà l’evento e appoggia la manifestazione Il segretario generale della FIOM, Landini, e i principali dirigenti regionali, hanno aderito all’APPELLO con il quale invitavamo la società civile a scendere al più presto in piazza con queste “parole d’ordine”: FUORI BERLUSCONI REALIZZIAMO LA COSTITUZIONE VIA I CRIMINALI DAL POTERE RESTITUIRE LE TELEVISIONI AL PLURALISMO ELEZIONI DEMOCRATICHE L’adesione dei dirigenti Fiom ci sembra di straordinaria importanza. Anche perché nel tempo trascorso dal nostro appello la situazione in Italia si è modificata e aggravata: il regime Berlusconi è diventato il regime Berlusconi-Marchionne. La pretesa di calpestare i diritti costituzionali nello stabilimento Fiat di Pomigliano è diventata la linea dell’intera Federmeccanica, con l’avvallo infine dell’intera Confindustria spalleggiata dal sostegno del governo. La volontà di assassinare la Costituzione, di cui parlavamo nel nostro appello, tracima oltre il berlusconismo tradizionale, appartiene ormai al regime BerlusconiMarchionne. Ecco perché sentiamo il dovere di rilanciare con convinzione ancora più forte il nostro appello,

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precisando però la data dell’appuntamento e – da un generico “al più presto” – facendola coincidere con la GIORNATA DI LOTTA già indetta dai metalmeccanici Fiom per il 16 ottobre. Del resto, quando arrivarono le prime adesioni, non pochi ci invitarono a non disperdere le energie in troppi appuntamenti successivi e ravvicinati. Si aggiunga il fallimento a cui il settarismo autoreferenziale di una “pagina nazionale viola” sta portando la possibile scadenza del 2 ottobre. Quella del 16 ottobre, indetta dalla Fiom, è ovviamente una manifestazione sindacale. Che però esplicitamente fa riferimento ai diritti generali e costituzionali oggi messi a repentaglio. Non sarebbe la prima volta che ad una manifestazione sindacale si affianca in sinergia una autonoma e bene accolta presenza politica: il 1 maggio del 1968 un grande corteo del movimento studentesco partì dalla “Sapienza” per confluire a san Giovanni, e un rappresentante di quelle lotte fu invitato dalla Cgil a parlare dal palco. Nel 2002 movimenti civili e no-global parteciparono con appuntamenti autonomi alla giornata di lotta sindacale conclusasi al circo Massimo, e in tutti gli scorsi decenni analoghe virtuose “ibridazioni” furono realizzate più volte. Rinnoviamo perciò il nostro appello alla società civile, associazioni, club, volontariato, gruppi viola, e a tutte le personalità che hanno il privilegio e la responsabilità della visibilità pubblica, perché si impegnino tutti, individualmente e direttamente, a fare del 16

ottobre una indimenticabile giornata di passione civile. Andrea Camilleri Paolo Flores d’Arcais Don Andrea Gallo Margherita Hack Questo il testo di adesione della Fiom al primo appello di Camilleri, Flores d’Arcais, don Gallo e Hack: “Condividiamo il vostro appello del 24 agosto. L’attacco alle libertà e ai diritti dei cittadini è espressione della regressione autoritaria in corso nel nostro Paese, che colpisce la democrazia dentro e fuori i luoghi di lavoro. Siamo convinti perciò che sia necessaria grande consapevolezza e mobilitazione in difesa della Carta Costituzionale”. Maurizio Landini – segretario generale Fiom-Cgil Mirko Rota – segretario generale Fiom Bergamo Bruno Papignani – segretario generale Fiom Bologna Luciano Gallo – segretario generale Fiom Veneto Maurizio Mascoli – segretario generale Fiom Campania Giovanna Marano – segretario generale Fiom Sicilia

MICROMEGA

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