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SPECIALE All’interno dossier sulla strage di Portella della Ginestra A cura di Giuseppe Casarrubea e Mario J. Cereghino
Io so Wikileaks liquida la diplomazia Usa. Ma in Italia il segreto di Stato ancora ci impedisce di conoscere gli autori delle stragi. A partire da Portella della Ginestra Newsletter www.gliitaliani.it
5/11 dicembre 2010 1
FRA EGUALI
FRA
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sommario 5/11 dicembre 2010 Sulla notizia
START Pag 4 - Altro che alleanza con Fli. Fini apra gli armadi di Pietro Orsatti Pag 5 - Dopo la Gelmini, se è possibile di Sebastiano Gulisano
COPERTINA Pag 6 - Wikileaks e Berlusconi di P. O. Pag 7 - I legali di Assange trattano la resa del fondatore di Wikileaks Pag 7 - Afghanistan. Nove anni di guerra per che cosa? Cosa appare su Karzai dai documenti di Wikileaks Pag 9 - La nuova guerra fredda Pag 10 - Dopo Wikileaks cambia la diplomazia. Intervista a Ettore Greco, direttore IAI di Emanuele Di Nicola.
MONDO Pag 13 - Cosa c’è sulla Cina nei documenti di Wikileaks (per ora) di Matteo Miavaldi e Simone Pieranni
Pag 15 - La Cina vuole mollare il bambino viziato? di Matteo Miavald
Pag 16 - La vita di Anna Politkovskaja in un fumetto di Valenitina Nuccio
INCHIESTE /Dossier
Lotta ai maneggioni? "C'e' un'incoerenza totale da parte di questi signori che fino a ieri sono stati con noi e che sono passati dalla Bossi-Fini al voto agli immigrati, dal presidenzialismo al premio di maggioranza. Questi signori che per ambizioni personali ora si mettono con la sinistra e vogliono consegnare anche il governo del paese alla sinistra. Gli italiani devono saperlo". Senza fare il nome e' con queste parole che il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi attacca il presidente della Camera Gianfranco Fini in collegamento telefonico con la manifestazione del Pdl all'Auditorium della Conciliazione. "Sono consapevole di avere una certa eta' aggiunge il prmeier - e del fatto che dovrò passare ad altri il testimone, ma non, pero', ai maneggioni della vecchia politica che hanno combinato solo disastri e che hanno a cuore solo ambizioni personali. Lascero' il testimone ad una nuova generazione di politici seri e preparati".
Pag 18 - Portella della Ginestra. I documenti di una strage di Giuseppe Casarrubea e Mario J. Cereghino
CITIZEN da pagina 50
In copertina: solitudini a Portella. La foto è del grande fotografo siciliano Nicola Scafidi, scomparso alcuni anni fa
START 1
Idee chiare “Quindi: rifare la legge elettorale, affrontare alcune emergenze e poi mandare il Paese di fronte ad alternative nuove. In questa fase sono disposto a discutere con chiunque voglia parlare di transizione. Qui c'entra ancora Casini, ma anche Fini o chi, dentro la maggioranza, avesse intenzione di confrontarsi... Penso che, una volta dichiarata la crisi formale del governo, su queste ipotesi ci sia la possibilità di discutere”. Pier Luigi Bersani
Altro che alleanza con Fli Fini apra gli armadi Di Pietro Orsatti
A volte il livello di masochismo e di impazzimento all’interno del centro sinistra italiano raggiunge livelli sublimi. Ma chi li scrive i testi di questa commedia? Che purtroppo, troppo spesso, commedia non è. Mi riferisco alle ultime uscite del segretario del PD Bersani sulle ipotesi in campo di governiasimo/governicchio di salvezza Nazionale e paraculismo patriottico. Ovvero l’idea balzana e diffusa di fare un governo con i post (o pre) fascisti di Gianfranco Fini tagliando fuori di fatto la sinistra di Vendola e, con ogni probabilità, anche Di Pietro. Roba da pazzi e pazzamente sottovalutata. Grazie probabilmente al polverone mediatico delle rivelazioni di Wikileaks e alle proteste degli studenti. Eppure Bersani diceva sul serio. C’è davvero chi pensa all’interno del PD a un’alleanza che vada dal PD a Fli passando per Rutelli e Casini. E allora diciamole un paio di cose. Chiare e esplicite. Senza tanti fronzoli. Caro Bersani non avrà mai il mio appoggio e tantomeno il mio voto se m e t t e r à i n at t o u n’ a l l e a n z a c o m Gianfranco Fini. Di qualsiasi natura essa sia, politica, tecnica o opportunistica. E le assicuro che sono in buona e numerosissima compagnia.Dico questo non per un rigurgito settario, ma perché se non si è in grado di vincere e governare grazie alle proprie idee non si può pensare
di farlo prendendo in prestito le idee degli altri. Idee, poi, sssolutamente dicotomiche a quelle che finora il PD dichiara come proprie, principi fondativi, punti di riferimento. Gianfranco Fini è uno dei principali responsabili del successo di Silvio Berlusconi, con questi ha condiviso il potere per ben tre governi. Fini è anche l’uomo che con Bossi ha scritto una delle leggi più vergognose che si potessero immaginare in un paese come l’Italia che per più di un secolo ha visto migrare quasi un terzo della propria popolazione in mezzo mondo. Una legge che nega diritti. Che nega il diritto di asilo con escamotage burocratici degni di questurini cileni degli anni Settanta. Ora ne rinnega in parte l’impianto ideologico? Comodo. Ma fosse solo questo. Bersani dovrebbe, ancor prima di prenderci assieme un caffé, chiedere spiegazioni, e verità, a Fini su quale fu il suo ruolo nei giorni del G8 di genova. Fini dovrebbe avere il coraggio, e non basterebbe comunque a farci un patto politico, di spiegare quali furono le indicazioni e le pressioni e le strategie messe in atto nel luglio 2001 dal governo a cui partecipava e che portarono alla “macelleria messicana”. C’è bisogno di verità. Anche e soprattutto su quei fatti che hanno rappresentato e rappresentano ancora il taglio più profondo, impossibile da rimarginare, fra società e politica. Quello fu uno sfregio alla democrazia. Non si può nemmeno lontanamente pensare di fare un’alleanza con chi quello sfregio se lo porta, come responsabilità,
sulle spalle. Altro che casa di Montecarlo. Noi vogliamo sapere da Gianfranco Fini se corrisponde al vero la voce che gira da un decennio della sua presenza “attiva” nella sala centrale di controllo che gestì in quel modo scandaloso l’ordine pubblico a Genova. Noi vogliamo sapere chi ideò e mise in atto Bolzaneto e la Diaz, la macelleria delle cariche di piazzale Kennedy e quelle del giorno precedente dove morì Carlo Giuliani. E continuo a dire che anche uno sforzo di verità da parte del presidente della Camera non basterebbe. No basterebbe perché ci sono ancora troppi angoli oscuri nella storia di quel partito (il MSI) che lo stessi Fini ha guidato per decenni. Storie mai chiarite, rapporti con pezzi di apparati, con schegge politiche anche dichiaratamente eversive come Ordine Nuovo. Che apra gli armadi, Fini, se davvero ha intenzione di candidarsi a essere leader di una destra democratica europea. Che comunque lei, caro Bersani, dovrebbe vedere come avversaria e non possibile alleata. Oggi, caro Bersani, Nichi Vendola, quello che lei vorrebbe escludere per alleareu con Casini e Fini, ha rilasciato a Sky, commentando la vicenda Wikileaks, una dichiarazione che la dovrebbe far riflettere chi, come lei, guida il più grande partito progressista in questo paese. “Io vivo in un Paese che, dopo 36 anni dalla strage di Piazza della Loggia non è in grado di restituire giustizia a quelle povere vittime. Vivo in un paese in cui il segreto di Stato si ha l’impressione che non serva a proteggere lo Stato ma piuttosto l’antistato, l’insieme di trame eversive che sono state covate anche in alcuni gangli delicati e strategici del mondo delle istituzioni. A partire da questa esperienza, vivaddio che si trovi un chiavistello, una lampada tascabile per schiudere l’uscio blindato ed entrare in quegli scantinati del potere e poter finalmente fare luce sulla storia nostra e sulla storia del mondo. Io dico di si”. Caro Bersani, lei sa perfettamente di cosa sta parlando Vendola. Lei sa perfettamente quale sforzo di verità sarebbe necessario chiedere alla politica e alle istituzioni (e agli apparati) del nostro Paese. Per cancellare anche questi sedici anni di progressivo svilimento della democrazia. Svilimento che non ha solo la faccia di Berlusconi, ma anche dei suoi interessati “sdoganatori”: Bossi, Casini e soprattutto Fini. Ne vale la pena per non affrontare la propria incapacità di darsi un’identità allearsi, diventando complici, chi è stato per più di un decennio la faccia non per forza più presentabile del berlusconismo?
START 2
Dopo la Gelmini se è possibile
La voce del padrone
Di Sebastiano Gulisano
Il 14 dicembre, oltre che la fine del governo Berlusconi (ma non sottovalutiamo il suo enorme potere d’acquisto), potrebbe segnare anche la fine del disegno di legge Gelmini sull’università, limitando i danni della controriforma dell’istruzione in atto da due anni e mezzo, a colpi di decreti e regolamenti. Sarebbe una vittoria di studenti, ricercatori e precari dopo più di un biennio di lotte estenuanti, ma non la soluzione del problema, ché, appunto, le modifiche e i tagli del governo hanno disegnato una scuola classista, che destina all’abbandono chi resta indietro, i più deboli e aumenta il divario tra Nord e Sud del Paese. Mandare all’opposizione Berlusconi e la sua cricca, dunque, sebbene importante, fondamentale, non vorrà certo dire c h i u d e r e c o l b e rl u s c o n i s m o : p e r cominciare a invertire la rotta bisognerà abrogare tutte le norme su istruzione, università, ricerca e cultura introdotte da questa maggioranza e ragionare, coi diretti interessati, di possibili, auspicabili miglioramenti alla legislazione precedente. Il recente rapporto “Italiani nel mondo 2010” stilato dalla Fondazione Migrantes ci dice che negli ultimi quattro anni è ripresa in maniera vigorosa l’emigrazione italiana verso l’estero (quasi un milione di migranti) e che, perlopiù, si tratta di migrazione intellettuale, molti dei quali sono proprio ricercatori universitari, un patrimonio nazionale al pari dei beni culturali (quelli che secondo Tremonti “non si mangiano”) sottratto al Paese e regalato ad altre nazioni. E non solo dalla cosiddetta riforma Gelmini, ma da molto prima. Dei circa duemila ricercatori emigrati e iscritti alla banca dati Davinci del ministro deg li esteri (http:// www.esteri.it/davinci/), solo un quarto sarebbe disposto a tornare in Italia, ma se guardiamo a chi, nell’ultimo decennio, ha deciso di rientrare ci si rende facilmente conto ha dovuto riprendere la via dell’estero. La stessa che molti studenti e ricercatori che si sono battuti e si battono contro la “riforma Gelmini” saranno costretti a imboccare per avere un futuro dignitoso e per vedere adeguatamente valorizzate le proprie qualità, unanimemente riconosciute negli altri Paesi del mondo ma non da noi. Il futuro, dunque, passa per una inversione di rotta di centottanta gradi 13/20 novembre 2010
“Gli studenti veri sono a casa a studiare, quelli in giro a protestare sono dei centri sociali e sono fuoricorso. Quella in Parlamento è una buona riforma - sottolinea il premier - che favorisce gli studenti,i professori e più in generale tutto il mondo accademico e dunque deve passare se vogliamo finalmente ammodernare l'università” Silvio Berlusconi
rispetto alle politiche del passato e, dunque, non sarà attraverso un’alleanza Pd-neocentristi che ciò potrà avvenire, visto il sostegno di Fini, Casini e compagnia al disegno complessivo di impoverimento di scuola e università imposto dal governo Berlusconi, con l’appoggio esplicito di Confindustria e di Montezemolo (cioè Fiat e università privata Luiss), ma anche del Vaticano (che ha così beneficiato di cospicui fondi per le scuole cattoliche, sottratti alle ong e al volontariato, cui gli italiani li avevano esplicitamente destinati). Limitandoci a università e ricerca, cioè al ddl parcheggiato al Senato, c’è da ricordare che l’Italia è fra i paesi europei che meno investe in questo campo (0,9% del Pil contro una media continentale dell’1,3%: dati Ocse), mentre Francia, Germania e Gran Bretagna (ma anche gli Usa) aumentano ogni anno gli investimenti e riducono le spese militari (noi facciamo l’opposto: quest’anno sono cresciute del 4%). I tagli del duo Tremonti-Gelmini hanno investito persino le borse di studio già maturate dagli studenti e, l’anno prossimo, solo 8 su 10 aventi diritto se la vedranno confermata. Dunque, così com’è urgente liberaci da questo governo è altrettanto impellente dirottare risorse verso l’istruzione e l’università pubblica e ciò può essere possibile solo se chi succederà all’attuale maggioranza riformerà nel più breve tempo possibile la legge elettorale per poi, tornare alle urne. E, a quel punto, solo un
chiaro impegno del centrosinistra – ammesso che esisterà un centrosinistra – potrà ridare speranza e, in caso di vittoria, invertire la rotta prima che la nave-Italia finisca come il Titanic.
Slitta il Ddl, una vittoria degli studenti “Abbiamo modificato i temi e i tempi del dibattito parlamentare e stiamo portando il Governo e la sua inesistente maggioranza a rinviare di volta in volta un DDL sostenuto solo da Rettori e Confindustria. Non si è mai vista tanta determinazione tra gli studenti e non intendiamo mollare. Per questo il 14 dicembre saremo in piazza a Roma e in tutt’italia, ci appelliamo non solo agli studenti, ma ai cittadini e alle cittadine italiane a unirsi a noi per una grande giornata, non solo di opposizione, bensì di riscatto sociale”.
www.retedellaconoscenza.it
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GLI ITALIANI DELLA SETTIMANA 05 dicembre 2010
COPERTINA
Wikileaks e Berlusconi Gli affari Eni, i rapporti con Putin, il conflitto di interessi Quello che dice l’ ex ambasciatore Usa a Roma Alla fine da Wikileaks, come speravano in molti, non sta arrivando solo gossip. Anzi. E arriva anche su Berlusconi, o meglio sui rapporti fra Putin e il nostro premier. Prima di tutto è necessario spiegare come vengono rilasciati i documenti di Wikileaks sui media. In realtà non è il sito di Assange a rilasciarli in rete, ma un gruppo internazionale di giornali che hanno condiviso le informazioni consegnate all’inglese The Guardian. Giornali che hanno messo squadre di giornalisti a spulciare migliaia di documenti e che rilasciano le informazioni (ripulite dai dati che potrebbero mettere in pericolo qualcuno) a blocchi territoriali e tematici. Il New York Times, l’unico giornale Usa ad aver avuto i file di Wikileaks, ha aperto il dossier Russia. E come ci si poteva aspettare, e in gran parte era stato già annunciato, uno dei
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co-protagonisti del dossier è il nostro Silvio Berlusconi. Al centro la questione gas. In un file attribuito all’ex ambasciatore americano a Roma, Ronald Spogli, compare un’analisi impietosa. E molto allarmante non solo per Washington. Gli Stati Uniti pensavano, e lo esprimono con molta chiarezza con il loro capo delegazione a Roma, che Berlusconi approfittasse dei rapporti coi russi per trarne benefici economici. “La Georgia crede che Putin abbia promesso a Berlusconi una percentuale dei profitti dai gasdotti costruiti da Gazprom con Eni”. Punto e a capo. “La relazione dell’Italia con la Russia è complessa”, prosegue il report dell’ ambasciatore che sottolinea l’esistenza di “relazioni personali fra i top leader. La combinazione di questi fattori” permetterebbe che “la politica estera italiana sia altamente ricettiva
di Pietro Orsatti
agli sforzi russi di guadagnare maggiore influenza politica nell’Unione Europea e sostenere gli sforzi russi nel diluire gli interessi di sicurezza americani in Europa”. Spogli, poi, sottolinea come “nei rapporti con la Russia, l’energia è il tema bilaterale più importante e la richiesta di stabili forniture energetiche dalla Russia di frequente spinge l’Italia a compromessi su temi politici e di sicurezza”. Ovviamente a fare la parte del leone oltre a Berlusconi nel report del diplomatico è l’Eni di Scaroni. “Il governo italiano – continua Spogli – ha sostenuto gli sforzi dell’Eni e di altri giganti energetici nella creazione di una partnership con la Russia e Gazprom per una cooperazione di lungo termine”: l’Eni esercita un ”enorme potere politico” e in base ai report della stampa ”noi riteniamo che il primo ministro Berlusconi garantisca a Paolo
presso l’ambasciata svedese a Londra o un commissariato britannico, un’asserzione confermata dal suo collega svedese Bjorn Hurtig in una intervista alla Reuters. I legali hanno detto che si batteranno in tribunale contro ogni tentativo di estradare il loro cliente dalla Gran Bretagna. Ieri, rispondendo sul sito del Guardian alle domande dei lettori, Assange aveva detto di temere per la sua vita, essendoci ‘superpotenze’ tra i soggetti al centro delle rivelazioni diffuse da Wikileaks: ‘Le minacce per le nostre vite sono di pubblico dominio. Da parte nostra prendiamo tutte le precauzioni necessarie, ma nella misura in cui cio’ e’ possibile trattandosi di superpotenze’.Guai in arrivo anche per il suo sito. PayPal, il Scaroni maggior accesso quanto ne “Relazioni tra Italia e Russia: il punto di servizio di pagamenti on line, ha infatti venga garantito al ministro degli vista di Roma”, classificato “segreto”. deciso di bloccare l’account di Esteri”. Spogli definisce ”la visione Wikileaks, rendendo cosi’ impossibile dell’Eni sulla situazione energetica I legali di Assange inviare finanziamenti al sito che fa capo europea in modo preoccupante simile a trattano la resa a Julian Assange. ‘PayPal – si legge in quella di Gazprom e del Cremlino” e del fondatore una nota – ha permanentemente chiuso constata come ”un membro del Pd” ha l’account usato da Wikileaks a causa di di Wikileaks” riferito ”che la presenza dell’Eni in una violazione dell’Use Policy’.Secondo Russia supera quella dell’ambasciata I legali di Julian Assange stanno PayPal, infatti, Wikileaks avrebbe italiana a Mosca che è a corto di trattando con Scotland Yard la violato la clausola contrattuale che personale”. consegna del fondatore di Wikileaks che prevede che il sistema di pagamento Il 26 gennaio 2009 l’ambasciatore potrebbe essere rinviata alla prossima non puo’ essere usato per ‘incoraggiare, Spogli affonda ancora il coltello settimana. Lo scrive oggi il Times. Il promuovere, favorire o istruire gli altri individuando una figura chiave in tutta quotidiano britannico cita fonti di ad avviare attività illegali. la vicenda. “Ogni volta che sollevavamo Scotland Yard che giovedi’ sera ha il problema dei rapporti tra Berlusconi e la Russia – scrive Spogli – le nostre fonti ricevuto dalle autorita’ svedesi le nel Pdl e nel Pd ci indicavano Valentino richieste aggiuntive relative al mandato di arresto di Assange per reati sessuali. Valentini, un deputato e una figura in Il Times parla di un gioco del ‘gatto qualche modo misteriosa, come colui col topo’ tra Scotland Yard e Assange che opera come uomo chiave di Berlusconi in Russia, sebbene non abbia parallelo a quello in atto per mantenere aperto il sito ‘tutto segreti’ uno staff e nemmeno una segretaria. Valentini, che parla il russo e che si reca che ha messo in imbarazzo le diplomazie di mezzo mondo. Assange in Russia molte volte al mese, si troverebbe da oltre un mese in Gran frequentemente appare al lato di Bretagna e, secondo fonti riportate dai Berlusconi quando incontra gli altri Afghanistan. Nove anni media britannici, la polizia sa da allora leader mondiali. Cosa faccia in questi di guerra per che cosa? dove si trova. In ottobre, all’arrivo nel viaggi così frequenti a Mosca non è Regno Unito con un visto di sei mesi, il Cosa appare su Karzai chiaro. Ma si vocifera in modo ampio capo di Wilileaks ha del resto fornito un dai documenti che sia là per curare gli interessi e gli indirizzo del sud est dell’Inghilterra e di Wikileaks affari di Berlusconi in Russia”. un numero di cellulare, ha detto il suo Le smentite delle ultime ore di avvocato Mark Stephens. La Nessun gossip, nessuna ipotesi. Ma Berlusconi sono tutt’altra storia. magistratura svedese, secondo il Times, un racconto raccapricciante su chi Raccontano un altro mondo. Che si ha fatto pervenire alla polizia britannica stiamo sostenendo in Afghanistan da inchiodano davanti a un altro report del un mandato che elenca nei confronti quasi un decennio. In nome della diplomatico datato 26 gennaio 2009. dell’hacker australiano, un’accusa di sicurezza e della lotta al terrorismo. “Esponenti della maggioranza di stupro, due di molestie sessuali e una di Hamid Karzai, l’ex consulente di centrodestra e dell’opposizione del Pd coercizione illegale. Stephens, secondo aziende associate alla famiglia Bush e credono che Berlusconi e i suoi amici quanto riporta il Daily Express, ha amico di George W, viene descritto stiano approfittando personalmente e in detto che Assange si e’ piu’ volte offerto come incapace e corrotto. E anche modo generoso dei tanti accordi peggio. intercorsi tra l’Italia e la Russia”. Titolo di incontrare gli investigatori svedesi
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Ecco un resoconto pubblicato pochi minuti dopo il rilascio dei documenti dall’Ansa di quello che emerge sull’uomo che doveva pacificare l’Afghanistan. È un quadro spietato, frutto di un intreccio di incapacità politiche, cinismo e corruzione, quello che è emerso dagli ultimi documenti sull’Afghanistan resi noti dai media partner di Wikileaks. Una situazione che, secondo gli analisti, potrebbe compromettere le prospettive del piano di progressivo disimpegno militare della Nato messo a punto nel recente Vertice dell’Alleanza a Lisbona. Gli elementi chiave di questa emergenza afghana sono le decisioni ingiustificabili prese ai massimi vertici dello Stato, le decine di milioni di dollari che vanno e vengono attraverso l’aeroporto internazionale di Kabul sintomo di una corruzione dilagante ed incontrollata, e un presidente della Repubblica, Hamid Karzai, considerato «paranoico», avvezzo all’arte del doppio discorso, e per questo visto come «un pericolo» dagli stessi ministri che lavorano per lui. In alcuni documenti classificati l’ambasciatore Usa a Kabul, Karl Eikenberry, scrive a Washington (agosto 2009) che Karzai ed il suo ministro della Giustizia «hanno consentito a individui pericolosi di andarsene liberamente, o di tornare sul campo di battaglia, senza neppure affrontare un
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tribunale». In particolare si sottolinea che Karzai ha concesso il perdono a cinque agenti di polizia colti in flagrante con 124 chilogrammi di eroina nell’ambito di un’indagine sul traffico di droga che coinvolge un ricco sostenitore del presidente. «Una delle principali sfide in Afghanistan – dice Eikenberry – è come combattere la corruzione quando i membri chiave del governo sono loro stessi corrotti». Un cablogramma del gennaio scorso contenente un’analisi del nuovo governo di Karzai giunge alla desolante conclusione che il titolare dell’Agricoltura «è l’unico ministro nei confronti di cui non si possono sollevare rilievi riguardanti la corruzione». La preoccupazione della diplomazia Usa nei confronti del capo dello Stato afghano è costante. Nell’aprile 2009 lo stesso Eikenberry sintetizza così il problema: «La sua incapacità di gestire anche i più rudimentali principi della costruzione di uno Stato e la profonda insicurezza come leader, combinate con l’incapacità ad ammettere anche il minimo errore, rendono vani i nostri sforzi di considerare Karzai un partner responsabile». Giudizio condiviso dalla diplomazia occidentale come dimostra il cablogramma (1 giugno 2008) spedito a Washington da membri dell’ambasciata Usa a Bruxelles. Nel messaggio si riportano le parole dell’allora segretario generale della Nato, Jaap de Hoop
Scheffer, circa l’ipotesi che esistano due Karzai: «Il segretario generale della Nato si è chiesto quale Karzai si manifesterà alla Conferenza sull’Afghanistan a Parigi, se l’erratico politico Pashtun o il razionale leader di un Paese». Bruciante appare infine l’analisi sulle allegre pratiche finanziarie, vero sport nazionale, che naturalmente coinvolgono ancora una volta anche i massimi esponenti dello Stato. Il 19 ottobre 2009 l’ambasciata americana a Kabul traccia una sintesi di questa allucinante situazione: «Sulla base di rapporti confidenziali oltre 190 milioni di dollari hanno lasciato Kabul per Dubai attraverso l’aeroporto della capitale nei mesi di luglio, agosto e settembre. E le somme nei mesi successivi potrebbero essere ulteriormente cresciute». Il documento descrive a questo punto il caso emblematico dell’ex vicepresidente Ahmad Zia Massud, fratello del defunto Ahmad Shah Massud, che combattè contro le truppe sovietiche negli anni ’80: «Il governo degli Emirati arabi uniti ha rivelato di averlo bloccato mesi fa con 52 milioni di dollari». Infine il cablogramma conclude segnalando che Sher Khan Farnud, presidente della Kabul Bank in gravi difficoltà di liquidità all’inizio dell’anno, ha 39 proprietà in località Palm Jumeirah a Dubai e altri interessi finanziari ampiamente impiegati fuori dall’Afghanistan.
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La nuova guerra fredda Assange braccato. L’Italia sorvola concentrandosi sul gossip. Dai documenti appare una strategia che sembra portarci fuori dal club Nato Mentre Assange e i suoi sono ormai braccati in mezzo mondo, sono state bloccate le donazioni attraverso Paypal (unico mezzo di sostentamento del gruppo di Wikileaks) e il sito è continuamente sotto attacco legale e informatico, continua il rilascio dei documento della diplomazia Usa. Perché sono i media che hanno ottenuto da Wikileaks i file a dettare l’agenda delle uscite quotidiane dei documenti. Media di “peso”. Tradizionali. New York Times, Guardian, Le Monde, El Pais e Spiegel. Che attraverso un’analisi giornalistica (si parla di decine e decine di cronisti specializzati impegnati nell’analisi dei documenti) ogni giorno riscrivono pezzetti di storia della diplomazia (e non solo di quella) degli ultimi anni. Il Guardian pubblica per esempio una inquietante vicenda che coinvolge il leader libico Gheddafi che lo scorso anno, per ripicca contro l’Onu che non gli aveva concesso di piazzare la sua tenda a New York, il colonnello diede ordine di lasciare oltre 5 kg di uranio
altamente arricchito in balia di «potenziali ladri e terroristi» nei pressi della centrale nucleare libica che si trova a 14 km da Tripoli. Solo dopo 20 giorni di angoscia Washington e Mosca riuscirono a scongiurare un incidente nucleare con effetti devastanti su tutto l’arco del Mediterraneo. Poi il dossier Yemen, pubblicato dal New York Times: il territorio dello Yemen è un «regno» per le operazioni antiterrorismo condotte in modo unilaterale dagli Stati Uniti. «Noi spiega in un cable il presidente yemenita Ali Abdullah Saleh continuiamo a dire che le bombe sono nostre, non vostre». E poi ancora, rivelazioni confermano che già dal 2002 nel mondo si combatte una vera e propria guerra informatica a colpi di hacker assunti e schierati da eserciti contrapposti, con Pechino e Teheran come protagonisti, l’India che arranca per le «discussioni interne al governo» e gli Stati Uniti impegnati a rafforzare le proprie agenzie ma in grave ritardo.
Centinaia gli attacchi registrati dal 2002 ad oggi, contro i sistemi informatici di organizzazioni governative e impianti militari. Decine gli hacker assunti a tempo pieno. La nuova faccia della guerra fredda? Intanto in Italia si concentra tutta l’attenzione dei media su quello che viene definito “gossip” e non si guarda oltre la propria provincialissima visione del mondo nella quale le uniche cose importanti su cui focalizzare l’attenzione sono le feste del premier e il suo stato di salute. Si conferma così lo stato, anche a livello di credibilità e peso internazionale, dell’Italia. La provincia dell’Impero. Un impero che non è quello del nostro principale alleato, gli Usa, ma della Russia autoritaria e, come la definiscono sempre i diplomatici statunitensi, "mafiosa". Per paradosso potremmo quasi dire che stiamo per uscire dal club Nato senza saperlo. "Diplomatici Usa - si legge in uno dei tanti report ripresi in Italia e provenienti dall’ambasciata Usa a
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Mosca - riferiscono che la stretta amicizia personale tra il primo ministro italiano Silvio Berlusconi e il leader russo Vladimir Putin è una parte chiave delle relazioni tra i due paesi". Lo sanno pure i sassi in Italia. Ma qui si concentra l’attenzione. Mentre si sorvola, o si pone in secondo piano, la “ciccia”. "I legami economici, specialmente contratti di gas di lungo termine, sono un pilastro delle relazioni Russia-Italia, e interessano le politiche dell'Italia verso la Russia. Eni e Gazprom hanno impegni di fornitura fino al 2035, e un accordo congiunto per il gasdotto South Stream. Il rappresentante dell'Eni a Mosca è spesso chiamato il 'secondo ambasciatore' d'Italia in Russia". Questo emerge da un report. La "ciccia", appunto. Argomento centrale ma che sembra interessare meno ai media nazionali del Belpaese che continuano ad insistere sui lussi e le feste e le vacanze da sogno con l’amico Vlad. Forse perché l’Eni continua ad essere uno dei principali inserzionisti in Italia? Forse perché non c’è partito politico in questo Paese che intrattenga rapporti “cordiali” con il gigante energetico nazionale?
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Ma continuiamo. "La Russia riceve benefici economici significativi dall'Italia, ottenendo accesso alle sue attrezzature e alla sua tecnologia, al suo mercato stabile per il gas e il petrolio, e i suoi beni di consumo tanto desiderati. In cambio, la Russia offre all'Italia un sostegno per l'accesso alle forniture di gas e ai mercati centro-asiatici. Le società italiane hanno cercato di investire nel settore dell'aviazione e della generazione di elettricita' della Russia, sebbene la crisi economica abbia fermato questi sfrozi". Uno status che, "ha un prezzo". Nel testo di uno dei documenti dell’ambasciata Usa in Russia si parla in particolare un diplomatico italiano, secondo il quale "i legami economici del paese sono sufficientemente forti da influire sulla posizione politica dell'Italia verso la Russia". Secondo il diplomatico citato nel dispaccio, "leader, politici e imprenditori sono sempre 'cauti' nell'approccio con la Russia, in quanto l'Italia esporta in quel paese oltre 10 miliardi di euro in merci ogni anno, per lo più prodotti da piccole e medie imprese… il governo italiano conosce i difetti del governo russo, ma non può permettersi di essere troppo dura nelle critiche".
Critiche? L’amico Vlad di critiche da parte del governo italiano non ne ha mai avute.
Dopo Wikileaks cambia la diplomazia Intervista a Ettore Greco, direttore IAI di Emanuele Di Nicola
Tutto cambia dopo Wikileaks. O forse non cambia nulla. Le relazioni tra Stati avranno una maggiore trasparenza oppure il fondatore, Julian Assange, verrà arrestato come criminale internazionale. A mente fredda, qualche giorno dopo la diffusione dei dispacci dei diplomatici americani – e l’ipotesi di rivelazioni maggiori in futuro -, si può provare a leggere la situazione e i prossimi scenari. Lo abbiamo chiesto a Ettore Greco, direttore dello IAI, Istituto Affari Internazionali, l’associazione di ricerca e conoscenza sui problemi di politica estera attiva dal 1965. Dopo la pubblicazione dei documenti di Wikileaks, come cambiano le relazioni diplomatiche tra Stati?
ma in realtà i commenti su Berlusconi, Sarkozy, Merkel sono all’ordine del giorno.
Forse è un po’ esagerato parlare di “11 settembre della diplomazia”, come ha fatto il ministro Frattini. Ma è sicuro che le comunicazioni tra diplomatici cambieranno: si dovranno adottare nuove misure di protezione e difesa, come effettivamente è avvenuto dopo l’attentato alle Twin Towers. La diplomazia deve riposizionarsi, adottare regole di precauzione ancora maggiori. La grande questione da affrontare riguarda la pirateria informatica.
Mi riferivo proprio a questo. In realtà, nel contesto dell’Onu lo spionaggio reciproco viene realizzato in maniera abbastanza diffusa, tanto che Reagan definì le Nazioni Unite “un covo di spie”. Piuttosto, il problema è che l’amministrazione Obama – a differenza della precedente – ha fatto del multilateralismo la sua bandiera, anche verso l’Onu ha predicato un atteggiamento diverso rispetto all’epoca Bush.
La questione Assange. Il fondatore di Wikileaks presenta la sua azione come campagna di trasparenza, vuole ottenere la cosiddetta “cristalleria” nelle relazioni tra Stati: tutti i rapporti alla luce del sole. I governi occidentali lo considerano un criminale. Ammettiamo che ci sia l’intenzione di creare maggiore trasparenza. Anche se fosse così, Wikileaks lo fa con l’intento di colpire la diplomazia, in particolare quella americana. Un’operazione che comunque non riesce: infatti molto di questo materiale non può screditare il Dipartimento di Stato, in quanto i giudizi non vengono da Hillary Clinton, ma da diplomatici e ambasciatori che lavorano nelle capitali. E sono tutte cose risapute tra gli addetti ai lavori.
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COPERTINA
Allora cos’è che colpisce in questa iniziativa clamorosa? L’intento dichiarato di destabilizzare. Assange ha affermato Ovvero? Quindi nella sostanza non c’è che potrebbe far fallire alcune banche I governi stanno lavorando sul da stupirsi? americane (in un’intervista a Forbes, nodo della protezione dai pirati, la Nato Nelle relazioni tra paesi, ci sono ndr). E’ quindi chiaro l’intento ne ha discusso nell’ultimo vertice. In sempre tentativi e azioni per controllare distruttivo: una situazione simile generale, è in atto una competizione: da coloro con cui si dichiara di voler una parte chi vuole penetrare questi cooperare. A livello diplomatico, per chi verrebbe pagata dal governo, da tutto il settore e soprattutto dai clienti di quelle sistemi, dall’altra governi e istituzioni – se ne occupa quotidianamente, è noto anche l’Unione europea – che hanno che queste cose succedono. Certamente, banche. E’ evidente che non si limita alla trasparenza. interesse a preservarli. si sperava che non accadesse in modo così intenzionale e sistematico, tanto da In chiusura, qual è il suo Dal punto di vista creare forte imbarazzo per l’immagine giudizio sulla situazione italiana? dell’amministrazione. diplomatico, come sono stati C’è bisogno di discutere seriamente accolti i dispacci? di politica estera. Quando i rapporti Molti si sono soffermati sul La diffusione ha creato forte imbarazzo bilaterali prendono una forma linguaggio dei diplomatici e qualche tensione tra Washington e i particolare, come quelli tra Italia e Stati suoi alleati. Adesso il Dipartimento di americani, che riservano giudizi Uniti, abbiamo bisogno di parlarne Stato sta adottando una strategia di coloriti e taglienti praticamente a apertamente. Questo è il punto vero, contenimento dei danni, che tutti i leader mondiali. non il giudizio su Berlusconi e le sue progressivamente dovrebbe dare i suoi E’ un linguaggio normale. Si usa frequentazioni: “rivelazioni” del genere frutti. Il danno c’è stato ma dal punto di ogni giorno nei dispacci e non ci aiutano ma creano solo nebbia e vista politico può essere riassorbito, comunicazioni tra diplomatici. Si danno confusione. E prendersela con gli anche perchè nei dispacci non ci sono giudizi sulle persone ed è ovvio che sia americani non servirà a sviluppare un rivelazioni clamorose. Tranne alcuni così: uno Stato vuole conoscere il dibattito vero sulla politica estera del casi. profilo del leader estero che ha davanti, nostro paese. il grado di affidabilità e la capacità di Come l’indicazione di Hillary gestione. Il dispaccio è un normale Rassegna.it Clinton di controllare i vertici oggetto per scambiare informazioni, Onu. Si è subito parlato di opinioni e analisi tra diplomatici. E’ chiaro che diffusi a livello globale fanno spionaggio. un certo effetto sull’opinione pubblica,
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MONDO
Cosa c’è sulla Cina nei documenti di Wikileaks (per ora) Di Matteo Miavaldi e Simone Pieranni C’era grande aspettativa circa i documenti riservati, svelati da Wikileaks nella serata di ieri. Il mondo dei media è ancora sotto shock per la mole di materiale offerta ad analisti e studiosi. Si tratta per altro solo di una prima parte dei documenti, nei quali supposizioni e ragionamenti su questioni geopolitiche rilevanti, trovano spesso una conferma espressa dai tanti uffici di ambasciate statunitensi nel mondo. Per quanto riguarda la Cina, sfogliando i cable presentati da Wikileaks sul proprio sito, si ottengono alcune analisi provenienti dagli uffici dell’ambasciata Usa a Pechino, concentrati per lo più sulle relazioni internazionli con un focus particolare su Iran e Corea del Nord, confermando quanto i balletti diplomatici avevano fatto supporre, ovvero il ruolo centrale della Cina nelle politiche Usa relative ai cosiddetti stati canaglia.
del quale gli Stati Uniti denunciano in modo chiaro la clamorosa azione degli hacker cinesi verso Google, acme di una più generale strategia che già precedentemente era stata scoperta e ritenuta proveniente da Pechino (vedi articolo su storia dell’hacking cinese). Si tratto di un cable che probabilmente verrà reso noto nei prossimi giorni, nel quale secondo il New York Times, il Politburo cinese avrebbe diretto le intrusioni nei computer di Google. Un contatto cinese avrebbe rivelato al personale dell’Ambasciata Usa a Pechino che l’attacco a Google sarebbe stato parte di una campagna coordinata di sabotaggio informatico che, diretta dal governo, avrebbe visto la partecipazione di esperti di sicurezza privati e pirati informatici reclutati direttamente da Pechino. Gli attacchi agli Usa, ai suoi alleati e a personaggi come il Dalai Lama, sarebbero in atto sin dal 2002.
Il documento più importante che fa riferimento alla Cina è però quello all’interno
Il Guardian lascia infinire intuire, nel suo accenno all’evento, ad un coinvolgimento
personale di un membro del Politburo, innervosito da una ricerca su Google dalla quale erano scaturite critiche sul suo operato, mentre pare che tra i prossimi documenti pubblicati ci saranno anche alcuni cable provenienti dall’ambasciata Usa a Pechino nel periodo tra il 3 e il 5 giugno 1989. I documenti presenti sul cable viewer di cablegate.wikileaks.org che riguardano la Cina al momento sono sei, tutti contrassegnati dalla nota Confidential. Eccone il dettaglio. PRC/IRAN: CHINA SEEKS CLARITY ON U.S. IRAN POLICY Cable etichettato come Beijing560, proveniente dall’ambasciata Usa di Pechino. Data: 4 marzo 2009. In questo documento viene descritta la posizione cinese riguardo all’Iran: contrari all’avanzamento di progetti nucleari, ma fermi nella necessità di risolvere le diatribe
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MONDO Cable etichettato come Beijing2494, proveniente dall’ambasciata Usa di Pechino. Data: 11 dicembre 2009 Anche per la Cina il comportamento del Caro Leader coreano è un enigma, ma viene assicurato l’aspetto positivo della visita in Corea del Nord di Stephen Bosworth, rappresentante Usa. Diplomazia, più che forza: anche nel caso della Corea è questo il suggerimento cinese agli statunitensi. Anche perché sia in Corea, sia in Iran i sentimenti antiamericani sarebbero palpabili, reali e forti. Un commento
attraverso il dialogo, con una chiara richiesta agli Usa di non tentennare e scegliere una linea politica che possa essere sostenuta anche dalla Cina, pronta a rispettare le influenze Usa nell’area. I cinesi vengono presentati come esperti nelle relazioni con gli iraniani, impegnati nel tentativo di spiegare agli Usa come pubblicamente sia difficile ottenere dal regime iraniano un comportamento soft. C’è inoltre il tentativo cinese di minimizzare i progressi iraniani riguardo al nucleare, che vengono dati ancora in fase di studio. La questione, sottolineano gli esperti cinesi sentiti dal personale Usa, è politica. Per questo Pechino suggerisce agli americani di dare un segnale positivo agli iraniani, per portarli ad un tavolo di negoziazione reale, di cui Teheran possa fidarsi. BEIJING-BASED G-5 CHIEFS OF MISSION ON DPRK Cable etichettato come Beijing1247, proveniente dall’ambasciata Usa di Pechino. Data: 8 maggio 2009 Si tratta di un documento nel quale vengono esposte alcune questioni internazionali che hanno come protagonista la Cina: dalla richiesta della Germania di ospitare alcuni detenuti uighuri di Guantanamo, alle invettive cinesi contro la Gran Bretagna per una visita del Dalai Lama, fino ad uno scontro diplomatico Cina- Gran Bretagna in relazione ad un giornalista inglese (del Guardian) che avrebbe agito nel Gansu, senza i necessari permessi, dopo una visita ufficiale dell’ambasciata inglese. Analogo problema viene registrato nei confronti di un giornalista del Financial Times, che avrebbe creato problemi con la sua insistenza nell’inchiesta sui bambini morti nel terremoto del Sichuan. PRC/IRAN: SCHOLAR SUGGESTS U.S. NEGOTIATE
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Cable etichettato come Beijing2438, proveniente dall’ambasciata Usa di Pechino. Data: 25 agosto 2009 E’ interessante notare il peso dei consigli cinesi agli Usa su come trattare con gli iraniani: sono i cinesi a sottolineare come l’elezione di Obama sia stata salutata con soddisfazione dal popolo iraniano e come le questioni mondiali aperte, prima tra tutte le guerre in Iraq e Afghanistan, pongano l’Iran in grado di negoziare con gli Usa. La Cina è partica, as usual: l’Iran vi serve per la questione medio orientale, dicono agli Usa: quindi trattate (e lasciate ai media i battibecchi diplomatici, uno show ad uso e consumo del pubblico così come gli scontri all’interno del P5+1, ovvero il comitato permanente dell’Onu, con l’aggiunta della Germania).
PRC/IRAN: CHINA IN WAIT-AND-SEE MODE BILATERALLY Cable etichettato come Beijing2494, proveniente dall’ambasciata Usa di Pechino. Data: 1 settembre 2009 La Cina ripete il proprio mantra iraniano, spiegando agli Usa che i disordini del luglio 2009 a Urumqi non hanno peggiorato le relazioni con l’Iran (anche se la Cina afferma di avere intrapreso relazioni anche con altri partiti iraniani, a seguito delle contraddittorie elezioni che, anche grazie a brogli elettorali, avevano confermato Ahmadinejad alla guida del paese). I rapporti tra i due paesi e la capacità della Cina di fare proprie le istanze iraniane nei confronti degli Usa sarebbe confermate dal lancio del canale satellitare della CCTV in arabo. UNDER SECRETARY BURNS MEETING WITH CCID DIRECTOR
Dai documenti analizzati finora, che sono stati ovviamente oscurati su tutti i media cinesi per espressa richiesta del Ministero della Propaganda- qui sembra che la Cina non sia proprio contemplata nelle rivelazioni di Wikileaks – emerge il ruolo sempre più centrale che la Cina ricopre nell’ambito delle relazioni diplomatiche tra Stati Uniti ed Asia, in particolare con gli stati canaglia come Iran e Corea del Nord. Nessuna novità, solo molte conferme documentali di impressioni ed indiscrezioni che hanno insistentemente serpeggiato in questi anni negli ambienti degli addetti ai lavori. Se l’importanza di mediatrice della Cina nei rapporti con la Corea del Nord è un fatto cristallino degli equilibri diplomatici mondiali, sia per affinità culturali che storiche, l’avanzata dell’ombra cinese in medioriente ha coinciso col crollo di popolarità ed influenza che gli Stati Uniti hanno registrato sin dall’entrata in guerra in Afghanistan ed Iraq. Di fatto, con l’intervento in Medioriente, gli Usa hanno dovuto mettere sul piatto il loro passato ruolo di interlocutori col regime iraniano, un vuoto che la Cina sembra aver riempito senza troppe remore. E’ significativa in questo senso l’entrata dell’Iran, in qualità di paese osservatore, nella Shanghai Cooperation Organization (SCO), datata 24 marzo 2008. Secondo i documenti segreti, la Cina sembra l’unico stato asiatico in possesso di un autorità tale da poter agire contemporaneamente su tre fronti: 1. proteggere ed aiutare Pyongyang nel suo programma di sviluppo energetico atomico, intrattenendo commerci segreti ed illegali che non hanno di certo rincuorato gli Stati Uniti 2. frapporsi tra USA ed Iran, dispensando consigli su come trattare con la dittatura islamica che comunque Pechino teme, probabilmente nella sua imprevedibilità, tanto da dirsi disposta ad accettare influenze di Washington in un’area strategica che attualmente sembra controllare saldamente, anche in virtù delle relazioni positive sviluppate in seno alla SCO
3. prestare orecchio alle preoccupazioni e richieste americane, visto che gli Usa in questo momento hanno bisogno di poter contare sulla mediazione asiatica di un’entità esterna al cosiddetto mondo occidentale, molto più credibile in Medioriente. Tirando le somme, la centralità dell’asse Cina-Stati Uniti assume contorni inquietanti nella descrizioni delle Nazioni Unite e del P5+1, gruppi completamente ininfluenti quando Pechino e Washington intendono accordarsi. Una campana che suona a morte per la multilateralità, in nome di un G2 confermato dai dialoghi serrati tra i due paesi. Si tratta della conferma definitiva di dove e come siano regolati gli equilibri mondiali, mentre un pubblico incosciente segue gli show che vengono propinati ad uso e consumo.
escalation di tensione sfociata CHINA FILES nell’uccisione di un turista sudcoreano nel luglio 2008. In tutta risposta, Lee blocca l’afflusso di turisti nella località di Kaesong, Corea del Nord La Cina vuole mollare meridionale. il bambino viziato? Mentre le relazioni tra le due Di Matteo Miavaldi Coree si complicano, il presidente Lee si Ed eccoci alla seconda puntata di impegna a stringere maggiori contatti leaks cinesi. Si parla di Corea unificata, con gli Stati Uniti, cosa che bambini capricciosi, il vizietto dell’alcol inizialmente innervosisce Pechino, che di Kim Jong-Il e la sordità a comando mal sopporta ingerenze americane nel di Hu Jintao. Di seguito i riassunti dei “suo” territorio. Ma anche le relazioni cables e il commento. con la Cina si fanno più serrate: in meno di un anno, Lee Myoung-bak ROK’S FOREIGN POLICY incontra il presidente cinese Hu Jintao TOWARD THE NEIGHBORS: per ben tre volte: maggio ed agosto NORTH 2008 in Cina, col pretesto olimpico, e Monday, 12 January 2009, 09:12 fine agosto 2008 a Seul. Fonti C O N F I D E N T I A L SEOUL dell’ambasciata cinese a Seul svelano la 000059 sorpresa di Pechino nel vedere lo sforzo sudcoreano di migliorare i rapporti, Partendo dal discorso di insediamento esercizio che viene accolto del presidente sudcoreano Lee Myoung- positivamente da Hu, che eleverà bak risalente al febbraio 2008, il ufficialmenti i rapporti sino-sudcoreani documento analizza le reazioni dei al grado di “partnership di principali paesi vicini a meno di un cooperazione completa”. anno di mandato del presidente Lee. Lee si dimostra un politico Nel segno del cambiamento e di una coraggioso, e nei colloqui ufficiali con nuova politica estera do ut des verso la Hu aggiunge all’agenda classica la Corea del Nord, Lee aveva annunciato questione nordcoreana e dei diritti la volontà di fornire a Pyongyang aiuti umani, chiedendo al presidente cinese umanitari ed agevolazioni per visite di di non rimpatriare dissidenti ricongiungimento familiare extranordcoreani trovati in territorio cinese e territoriali, a patto di un impegno serio di sbilanciarsi sulla situazione interna e concreto nel processo di della Corea del Nord, rivelando se denuclearizzazione della penisola. Pechino avesse o meno piani Come facilmente intuibile, il Caro contingenti. In entrambi i casi Hu Leader la prende male, e manda a dire Jintao non risponde: in particolare, che gli aiuti non sono né necessari né riguardo le opinioni sulla politica richiesti, iniziando un irrigidimento ai nordcoreana, nel documento si cita confini che porterà al blocco parziale espressamente che il presidente cinese del commercio tra le due Coree e ad un “fa finta di non sentire la domanda”.
PRC: DEPUTY SECRETARY STEINBERG’S SEPTEMBER 29 Monday, 26 October 2009, 00:33 S E C R E T SECTION 01 OF 04 BEIJING 002965
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In questo documento è riportato il contenuto delle rivelazioni che Dai Bingguo, consigliere di stato cinese, ha riferito all’ambasciata americana riguardo la sua recente visita a Pyongyang. Dai spiega che, nelle due ore di colloquio col generale Kim Jongil, la parte cinese ha esortato più volte il leader nordcoreano a riprendere i “colloqui a sei” per la denuclearizzazione della penisola coreana. Kim insiste nel voler prima un accordo bilaterale con gli Stati Uniti, e poi eventualmente riprendere le trattative multilaterali, sottolineando la gravità della minaccia bellica che la Corea del Nord è costretta a fronteggiare – facendo riferimento alla presunta minaccia sudcoreana – ma rivelando la speranza che dai colloqui bilaterali con gli Stati Uniti possa uscire qualcosa di buono. Secondo Dai Bingguo, Kim Jong-il si trova in buono stato di salute e non viene meno alla sua fama di gran bevitore, confidando al consigliere di stato cinese che gli alcolici fanno ancora parte della sua dieta giornaliera. La situazione a Pyongyang, sempre secondo Dai, sembra normale e stabile, e la Corea del Nord pare un paese impegnato a migliorare i rapporti con gli Stati Uniti e la propria economia interna.
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XXXXXXXXXXXXDISCUSSE S G-20, DPRK Thursday, 30 April 2009, 13:07 S E C R E T SECTION 01 OF 05 BEIJING 001176 Il vice ministro degli Esteri He Yafei, durante una discussione ufficiale presso l’ambasciata americana incentrata su una serie di temi sensibili – tra cui G20, Iran, Tibet, Taiwan, Corea del Nord – sostiene che la Corea del Nord, insistendo nella richiesta di colloquui bilaterali diretti con gli Stati Uniti, si stia comportando come un “bambino viziato” che cerca di attirare l’attenzione dell’adulto. DEPUTY SECRETARY STEINBERG’S MEETING WITH VICE Monday, 26 October 2009, 00:14 S E C R E T SECTION 01 OF 02 BEIJING 002963 Il 29 settembre, durante un colloquio col vice segretario Laura Stone presso il st. Regis hotel di Pechino, il vice ministro degli Esteri He Yafei ridimensiona la prossima visita ufficiale del premier Wen Jiabao in Corea del Nord: “Possono anche non piacerci, ma sono sempre i nostri vicini”. Non proprio un attestato di stima e fratellanza verso i compagni nordcoreani. VFM CHUN YOUNG-WOO ON SINO-NORTH KOREAN RELATIONS Monday, 22 February 2010, 09:32 S E C R E T SEOUL 000272 Il vice ministro degli Esteri sudcoreano Chun Yung-woo riferisce all’ambasciatore americano a Seul che, secondo le sue fonti, la Cina non sarebbe in grado di continuare a sostenere la Corea del Nord in seguito al tracollo politico ed economico che investirebbe il Paese in seguito alla morte di Kim Jong-il, che sempre secondo Chun agirebbe da detonatore per la definitiva implosione nordcoreana. Secondo il vice ministro, l’economia nordcoreana sarebbe già collassata, mentre il fragile e bellicoso sistema politico interno andrebbe verso l’autodistruzione nel giro di due o tre anni dalla morte del Caro Leader. Il vice ministro sudcoreano si lascia andare anche a valutazioni abbastanza
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forti, come “la Cina ha molta meno influenza sulla Corea del Nord di quanto si creda” e infine tira le somme riportando che un “sofisticato” funzionario cinese – dal nome criptato nel documento rivelato da Wikileaks - sostiene che oramai la nuova generazione del Partito comunista cinese non riconosce più la Corea del Nord come uno strategico stato cuscinetto, e che sin dal 2006, data del
primo test nucleare nordcoreano, l’idea di una riunificazione coreana sotto l’egida della Corea del Sud e “ancorata” ad un’alleanza “benigna” con gli Stati Uniti starebbe prendendo sempre più piede anche negli ambienti più conservatori del Partito. A patto, chiaramente, che la nuova Corea mantenga una politica amichevole nei confronti della Cina. Un commento Come dimostra la cronologia dei leaks, nel giro di due anni la politica imprevedibile e capricciosa di Kim Jong-il sembra abbia logorato i famigerati nervi saldi della nomenklatura cinese. La contrapposizione tra la vulgata ufficiale della propaganda nazionalista, che tratta sempre con un occhio di riguardo i cugini nordcoreani, e le frasi fuori dai denti pronunciate dal vice ministro degli Esteri He Yafei e dal misterioso funzionario sofisticato, ci dicono due cose: la Corea del Nord è sempre più sola ed isolata, una dittatura fantoccio a breve scadenza, e il vicinato sta già organizzandosi per il dopo-Caro leader. La Cina, dietro la facciata aggressiva e protettiva che mostra al mondo quando sembra vengano toccati i propri interessi nella regione, intrattiene un fitto scambio di opinioni e potenziali scenari con la controparte americana, dimostrando una maturità e ragionevolezza geopolitica che a molti
potrebbe risultare sorprendente. A noi, no. CHINA FILES
La vita di Anna Politkovskaja in un fumetto Di Valentina Nuccio
L’unico dovere di un giornalista è scrivere quello che si vede” Anna Politkovskaja è viva e sempre lo sarà, soprattutto nei ricordi di chi vuol seguire il suo esempio e districarsi nel mondo alle volte abietto del giornalismo. Per avvicinare le persone al tema e alla vita di Anna, Francesco Matteuzzi e Elisabetta Benfatto hanno deciso di scrivere un libro un pò particolare. Si tratta infatti di una raccolta dei pezzi più salienti della vita della coraggiosa giornalista russa, strutturati in strisce di fumetti. Ed ecco che Anna Politkovskaja (edito da Becco Giallo, 14 euro) diventa la protagonista di una storia disegnata grazie alla quale si può vedere la giornalista nelle varie fasi del suo impegno in Cecenia, l’assalto del 2002 al Teatro Dubrovka dove fece da intermediaria, la strage di Beslan del 2004 dove venne avvelenata con una tazza di thè mentre era in volo e il rapporto di astio nei confronti dell’attuale presidente della Cecenia, Ramzan Kadyrov noto per i suoi atteggiamenti violenti. Si percepisce tanta verità nei fumetti e tanto phatos. Presente anche l’allora presidente russo Vladimir Putin nel giorno del suo compleanno, il 7 ottobre. Nello stesso giorno del 2006 mentre rientrava a casa, qualcuno ha ucciso Anna. “In Russia i giornalisti si possono dividere in due categorie: i buoni e i cattivi. I buoni sono i portavoce dello stato, fedeli a Putin e ai suoi. I cattivi sono quelli che dicono la verità”. E’ sembrato quasi un regalo di compleanno per il presidente. Corredato da una prefazione dell’attrice Ottavia Piccolo (che ha portato in teatro Donna non rieducabile, di Stefano Massini) e da una post-fazione a cura di Andrea Riscassi (giornalista e fondatore dell’Associazione Anna viva). Inoltre nel libro c’è anche un’intervista a Paolo Serbandini autore del documentario 211: Anna.
FACCIAMO
UN PATTO
CAMPAGNA TESSERAMENTO ALL’ASSOCIAZIONE GLI ITALIANI 17
Portella della Ginestra I documenti di una strage di Giuseppe Casarrubea e Mario J. Cereghino
La scelta di pubblicare Non si chiama Assange, non fa audience. Si chiama Giuseppe Casarrubea, sta a Partinico ed è uno storico figlio di una delle vittime della strage di Portella della Ginestra del 1947. Da anni scava su quei fatti, raccoglie documenti e testimonianze, presenta denunce quando riesce a mettere le mani su frammenti di verità su quei fatti. L’atto di nascita della nostra Repubblica. Una strage, l’inizio della strategia della tensione e dello stragismo di Stato. L’archivio Casarrubea è uno dei più completi e importanti in Italia. Ma non fa rumore. Come non sembra fare rumore la richiesta della cancellazione del segreto di Stato sulle stragi. Per questo abbiamo deciso di riprenderne parte e pubblicarlo, almeno la sintesi rilanciata a ridosso dell’anniversario della strage del 2008. Si tratta solo di una parte minima dell’enorme lavoro di Casarrubea rintracciabile sul sito dello storico: casarrubea.wordpress.com 1° maggio 1948. Festa dei lavoratori a Portella - archivio Casarrubea
Gliitaliani.it
Come ogni anno, il nostro Archivio rende omaggio alla verità storica sulla strage di Portella della Ginestra . Malgrado i nostri numerosi detrattori in ambienti politici, sindacali e accademici. Ma dire la verità, si sa, è un atto rivoluzionario. E noi così ci sentiamo: persone che non si accontentano della vulgata su Portella, su Giuliano e su molti altri misteri della Repubblica. Alla faccia di chi ci vuole male e vorrebbe che scomparissimo come neve al sole. Il lungo testo che presentiamo fa parte di due corposi dossier presentati rispettivamente il 7 dicembre 2004 e il 24 maggio 2005 all’allora Procuratore della Repubblica di Palermo, dott. Pietro Grasso. Era nostra speranza che una simile mole di documentazione portasse, quanto meno, alla riapertura di un fascicolo sulle stragi del dopoguerra e le connessioni tra Cosa Nostra, Servizi segreti e ambienti nazifascisti. Ma in data 8 maggio 2007, i pubblici ministeri G. Pignatone e A. Morvillo rigettavano la richiesta perché, tra l’altro, i documenti dei Servizi italiani e americani da noi esibiti venivano ritenuti “anonimi”, scritti da persone “non identificate o non identificabili” e, infine, perchè basati su “ricostruzioni di storici e studiosi e su notizie di stampa”. Non entriamo nel merito di questa opinione. Giudichi il lettore come stanno le cose . Giuseppe Casarrubea e Mario J. Cereghino
Un documento del Servizio informazioni e sicurezza (Sis) Un rapporto Sis datato 25 giugno ‘47, che si riporta per intero (pubblicato dallo storico Aldo Sabino Giannuli – e dallo stesso rintracciato nel ‘96 – nella rivista Libertaria, il piacere dell’utopia, anno 5, n. 4, ottobre – dicembre 2003, pp. 48 – 58, titolo: Salvatore Giuliano, un bandito fascista,) riferisce quanto segue: […] Il “bandito Giuliano” vi è stato più volte segnalato, anche e soprattutto in ordine ai suoi contatti con le formazioni clandestine di
Roma. Vi fu precisato il luogo degli incontri coi capi del neo – fascismo (bar sito a via del Traforo all’angolo di via Rasella). Vi parlammo dei suoi viaggi Roma-Torino. Precisammo che capo effettivo della banda è presentemente il tenente della Gnr Martina, già di stanza a Novara. È superfluo ricordarvi che la banda ha sempre provveduto al mantenimento di un proprio nucleo dislocato in Roma (punto di ritrovo: alla “Teti” e nel caffé con servizio esterno sito in piazza San Silvestro) e che il noto detentore della valigia di bombe proveniente da Bari – per incarico del Partito fusionista italiano, certo Nicola, sfuggito (all’epoca del lancio delle “bombe di carta”) alla cattura per l’intempestiva pubblicazione relativa all’operazione di polizia in corso – altri non era che il pseudo “Dan”, altrimenti detto il “sergente di ferro”, che al nord fu attivissimo collaboratore del Martina, intimo fra l’altro della Sanna Anna, a voi nota, e di suo fratello Domenico. La banda Giuliano è da ritenersi, fin dall’epoca delle nostre prime segnalazioni, a completa disposizione delle formazioni nere. Il nucleo romano della banda Giuliano era comandato fino a quindici giorni fa da certo “Franco” e da un maresciallo della Gnr, che si trovano attualmente a Cosenza. Partirono da Roma improvvisamente “per ordine superiore”, e in Sicilia dopo una breve permanenza a Napoli, da dove hanno scritto al Fronte dando “ottime notizie sulla situazione locale”. Le loro lettere, a firma “Franco”, vengono indirizzate a certa signora Gatti, “zia” di Franco, madre della Sanna. Con la loro ultima, annunciavano “cose grandi in vista e molto prossime”. Richiedevano la presenza a Palermo di 8 uomini completamente sconosciuti in Sicilia, ma la richiesta non venne accolta. Da Cosenza, la banda Giuliano, che ha ramificazioni in ogni centro della Calabria, della Sicilia e della Campania, inviò la settimana scorsa a Roma tal Libertini Sebastiano. Si presentò con documenti vari. In alcuni risultava impiegato alle dipendenze della locale Direzione di Artiglieria; in altri carabiniere. Aveva l’incarico di far noto che “data l’imminenza dell’azione”, la presenza a Cosenza di un esponente nazionale era indispensabile. Non se ne fece nulla, anche perché il suo arrivo a Roma coincideva stranamente coi noti fermi degli appartenenti ai Far [Fasci di azione rivoluzionaria]. Vi fu molto tempo fa parimente segnalata l’attività clandestina neo – fascista del console Riggio, trapiantato a Palermo con lo pseudonimo di “ing. Rizzuti” e, reiteratamente, quelle dell’avv. Ciarrapico, neo capo del Partito fusionista in sostituzione di Pietro Marengo, e del noto dott. Cappellato, ex medico di Mussolini, agente provocatore n. 1 in Sicilia, comandante del vecchio Partito fascista democratico prima, e
delle FFNN [Formazioni nere] dopo, in seno alla sezione romana del Partito fusionista. Altra nostra segnalazione di alcuni mesi fa: al bandito Giuliano doveva essere demandato il compito di provvedere alla evasione di Borghese, relegato a Procida, perché soltanto l’ex capo della Decima Mas era ritenuto in grado di assumere militarmente il rango, per l’influenza esercitata, di capo militare delle formazioni clandestine dell’isola. Anche il colonnello Pollini e Spinetti Ottorino, già abitanti in Roma in via Castro Pretorio 24, piano ultimo, sono stati, pochi giorni prima dell’arresto del Pollini e dell’inizio dell’azione della banda, in Sicilia e a Palermo per conto dell’“Ecla” [o Eca, Esercito clandestino anticomunista] diretta da Muratori. Vale qui ricordare che Muratori ha sempre agito nel campo clandestino in funzione di agente provocatore. Egli ha avuto anche contatti e remunerazioni, da notizie assolutamente certe, dal Pci. Il Fronte antibolscevico costituito recentemente a Palermo, al quale dette la sua adesione incondizionata l’On. Alfredo Misuri in proprio, e quale capo del gruppo “Savoia” di via Savoia 86 (cap. Pietro Arnod, principessa Bianca Pio di Savoia, ecc.), non è una sezione del Fronte anticomunista a voi nota. Il Cipolla, che a Palermo dirigerebbe il Fronte, è del tutto sconosciuto al “Fronte unico anticomunista” di cui alle nostre reiterate segnalazioni confidenziali. Il Fronte antibolscevico di Palermo è però collegato con Anna Maria Romani, ospite della principessa Pio di Savoia, sedicente segretaria particolare di Misuri, cucita in tutto a filo doppio del noto colonnello Paradisi, detto anche Minelli (piazza Tuscolo) ed è pei suoi “buoni uffici” che Misuri e i “camerati” del Comitato anticomunista di Torino, a voi noto, appoggiarono e appoggiano il progetto di “azione diretta” di cui il Paradisi è autore. Negli ambienti dei Far, Nuovo Comando Generale, si ammette che l’azione della banda Giuliano è in relazione con l’ordine testé impartito di “accelerare i tempi”. L’ordine, come vi fu fatto noto, è stato esteso all’Ecla di Muratori e Venturi, i quali attingono denaro e disposizioni da un’unica fonte. Si preparano adesso a Roma e al nord. Non è il caso di sottovalutare questa ennesima segnalazione, i considerazione del fatto che, per la perfetta conoscenza dell’ambiente, quanto di solito vi viene segnalato si verifica poi a breve scadenza (anche l’affare dei Far vi era stato reiteratamente segnalato per la sua pericolosità). Nel mese di marzo, se ben si rammenta, fu segnalato che il duca Spadafora, capo del gruppo commerciale agrario del sud, fu a Roma ed ebbe colloqui con rappresentanti del Fronte clandestino. Chiese di poter versare un milione in conto, a condizione che si facesse in Sicilia “un lago di sangue”. Mormini, del Fronte,
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INCHIESTA / DOSSIER
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anticomuniste “pure”), le quali attingono, si ripete, disposizioni e denaro da un’unica fonte. […].
passata una settimana dallo sbarco angloamericano.
Il 2 settembre ‘43 Giuliano uccide il carabiniere Antonio Mancino; il 10 novembre prende d’assalto la polveriera di San Nicola a Montelepre, provocando 18 morti; alla vigilia di Natale uccide il carabiniere Aristide Gualtieri; il 30 e il 31 gennaio ’44 organizza l’evasione in massa dei detenuti dalle carceri di Monreale. La sua carriera, appena agli esordi, è già collaudata. Giuliano è specializzato in Il Rapporto giudiziario che fonda assalti ad armerie e penitenziari. La l’atto di accusa contro i mandanti e gli fuga dei detenuti di Monreale segna la esecutori materiali delle stragi di data di nascita del gruppo di fuoco Portella e di Partinico (firmato monteleprino, sotto l’egida della Giovanni Lo Bianco, Giuseppe famiglia mafiosa dei Miceli che in Alcide De Gasperi Calandra, Pierino Santucci, marescialli questa città del palermitano esercita un dei Cc i primi due e brigadiere il terzo) dominio assoluto. Su ciò che accade nei è redatto nel settembre ’47 sotto l’egida mesi successivi si possono ora avanzare avrebbe dovuto raggiungere in Sicilia la banda dell’ispettore generale di Ps nell’isola, alcune ipotesi, basate su una serie di Giuliano, a contatto anche colla mafia locale in Ettore Messana, del quale meglio documenti dell’intelligence Usa. parte a disposizione del suo gruppo. La parleremo più avanti. Questo rapporto proposta non fu accettata, sembrò orribile… deve ora essere valutato depistante e La Sicilia e il sud sono stati liberati Da allora, da notizie certe e sicure, Spadafora inconsistente ai fini dell’accertamento dagli angloamericani e il fronte si trova ha contatti diretti col Martina, che finanzia della verità e dei responsabili. La figura sulla linea Gustav (settembre ’43). Nel direttamente e al quale impartisce disposizioni. del principale imputato, Salvatore febbraio ’44 Giuliano è inviato a Elementi ricercati sono stati ammessi a far Giuliano, risulta collocata nell’ambito Taranto e ottiene una sorta di parte della banda. Proposte identiche a quelle delle azioni criminali delle squadre promozione sul campo. È probabile che avanzate dallo Spadafora pervengono in questi paramilitari neofasciste operanti su l’operazione sia da attribuire alla rete giorni insistentemente alle FFNN, e al Fronte tutto il territorio nazionale almeno nazifascista clandestina al sud, anticomunista, da parte dell’avv. Tefanin di dall’autunno ‘43. Infine, è da segnalare coordinata dal principe calabrese Padova. Di quest’ultimo (anche lui pone come che per la maggioranza dei sindacalisti Valerio Pignatelli e operativa da prima condizione il “lago di sangue”) si sa soltanto assassinati tra il ’46 e il ’48, i processi del 25 luglio ‘43. In vista del crollo del che capita spesso a Roma e alloggia al Grande giudiziari non sono mai stati celebrati. regime, infatti, Mussolini istituisce la Albergo. A Roma, dopo l’azione della banda “Guardia ai Labari”, di cui Pignatelli è Giuliano, i più facinorosi (reperibili tutti tra i designato capo per il mezzogiorno nullafacenti e gli sfaccendati dei bar Squadroni della morte d’Italia. Nel porto pugliese Giuliano si dell’Esedra, al bar Carloni, al bar del Nord arruola in un corpo speciale, quello all’angolo del Viminale e in Galleria) hanno della Decima Flottiglia Mas badogliana, Per capire ciò che accade nel ’47, ripreso fiato, cianciano di rivoluzione istituita alla fine del ’43 a Taranto dagli imminente e di atroci vendette da compiere. Per occorre fare un passo indietro. Alleati, al comando del capitano Kelly esempio, l’anticomunismo di cui si ammanta il O’Neill. Sono i Nuotatori paracadutisti Sappiamo che tra la caduta di Rac (Reparti anticomunisti) è puramente (Np) del sud e non superano i cinquanta fittizio. Non si tratta che di una organizzazione Mussolini (25 luglio ‘43) e il mese di tipicamente fascista repubblichina, cui da gennaio ‘44, Giuliano costruisce le basi elementi. Dovranno combattere con gli Alleati contro i tedeschi. La missione di Muratori e Venturi è stato affidato il compito di della sua futura carriera criminale. Giuliano è di infiltrarsi pPll’lebrati.er impossessarsi della Direzione Generale di Nell’estate ’43 avvengono numerose conto della rete Pignatelli. Tra gli Polizia. Dato l’aggravarsi della situazione evasioni in massa dalle carceri di interna, una visita a Milano, Verona, Torino, Partinico e dei comuni vicini. Non è un uomini di O’Neill c’è anche Athos Francesconi. dettaglio secondario in quanto un ecc. – di cui si hanno come già comunicato notizie certe di bande armate, le quali sono già documento americano, intitolato I A marzo ’44 arrivano a Taranto sul piano di guerra – sarebbe più che opportuna mafiosi e datato 18 luglio ‘43, riferisce: Rodolfo Ceccacci e Aldo Bertucci, per attingere informazioni dirette sulle azioni di “Ispettori della Milizia fascista sono appartenenti ai corpi speciali della piazza minacciate. Vale a questo punto stati inviati a Palermo e a Sciacca per Decima Mas di Junio Valerio Borghese. ricordare che è recentissima la nostra aprire negoziati con esponenti mafiosi Il principe ha aderito alla Rsi segnalazione relativa alla distribuzione di in prigione da lungo tempo. Ai mafiosi buoni per il prelevamento di mitra ad opera del internati è fatta la seguente promessa: se costituendo nel settembre ’43 la Decima Mas, a La Spezia, per combattere gruppo Navarra – Viggiani, che la questura contribuiranno a difendere la Sicilia, assieme ai nazifascisti. Ceccacci e non conosce, e di altre formazioni neo – fasciste saranno allestiti nuovi processi per Bertucci si fingono disertori dell’esercito provare la loro innocenza”. È appena (da non confondere con le organizzazioni Sono informazioni di tale gravità da far ritenere che le stragi e gli omicidi ai quali si è fatto cenno, verificatisi in Sicilia tra il ’46 e il ‘48, siano da considerare sotto nuova luce, anche in virtù del fatto che alcuni mandanti ed esecutori potrebbero essere ancora in vita e, pertanto, penalmente perseguibili.
di Salò e hanno la missione di organizzare lo spionaggio e il sabotaggio in tutto il meridione contro gli angloamericani. Contattano subito Francesconi, di idee fasciste, e nei giorni seguenti altri marò disposti ad agire contro gli Alleati. Tra costoro c’è Giuliano. Che si tratti di infiltrati è così certo che, nell’aprile ’44, Giuliano diserta per seguire Ceccacci e Bertucci nella Rsi. I tre uomini varcano la linea Gustav e raggiungono Penne, nelle Marche, dove è operativa una base della Decima nazifascista. Poco dopo, il colonnello Hill Dillon del Cic (Counter intelligence corps, il controspionaggio dell’esercito americano) segnala il grave fatto con una circolare nella quale Giuliano spunta come “Giuliani, palombaro e sottocapo” della Decima di O’Neill a Taranto. Il colonnello traccia anche un identikit del ricercato, da dove risulta che è alto m. 1,65, robusto, occhi e capelli scuri. La descrizione dei caratteri fisici corrisponde a quella del capobanda monteleprino. L’8 maggio ‘44, giorno dell’arrivo dei tre a Penne, Ceccacci raduna i suoi uomini e comunica loro che è giunta l’ora di agire oltre le linee contro gli Alleati, con azioni di spionaggio e sabotaggio. Tra i presenti troviamo i parà Giuseppe e Giovanni Console di Partinico, un paese distante pochi chilometri da Montelepre in provincia di Palermo, e il marò Dante Magistrelli (Milano). È probabile che l’incontro tra Giuliano, i Console e Magistrelli avvenga proprio l’8 maggio e che nei giorni seguenti prenda corpo il piano di spedire un commando nazifascista a Partinico. A fine giugno, infatti, i fratelli Console e Magistrelli sono già operativi nella cittadina siciliana. Per coprire le loro reali attività, i tre iniziano a lavorare in un esercizio commerciale. I Console raccontano ai loro compaesani che Magistrelli è un profugo rifugiatosi a Partinico per sfuggire alla guerra in corso nell’Italia centro – settentrionale. Nelle stesse settimane, a Giuliano è ordinato di rimanere nella Rsi per continuare l’addestramento nei corpi speciali nazifascisti. A luglio è segnalato dagli americani in un elenco di Np siciliani al nord, nella Decima di Borghese, assieme a Cacace e a Lo Cascio (quest’ultimo originario di Monreale, in provincia di Palermo).
Tra il novembre e il dicembre ’44, secondo le dichiarazioni rese agli Alleati nell’agosto ‘45 da Aniceto del Massa (uno dei capi dei servizi segreti di Salò), trenta uomini della Decima sono inviati in Sicilia. Sono stati addestrati a Campalto (Verona) presso la scuola di sabotaggio diretta dall’Ss Otto Ragen. Nell’elenco compare anche Giuseppe Sapienza, nato a Montelepre (il paese di Giuliano) il 19 novembre ‘18. La presenza di Sapienza nel palermitano, per operare con le bande fasciste, è segnalata anche da un dispaccio di Hill Dillon del novembre ‘44. Che Giuliano faccia parte di questo gruppo è confermato dall’interrogatorio di Pasquale Sidari (12 maggio ’45), un agente segreto nazifascista in missione nell’Italia liberata, arrestato dagli americani nei pressi di Pistoia il 2 marzo ‘45 assieme a Giovanni Tarroni, anch’egli una spia di Salò. Sidari confessa che nelle montagne tra Partinico e Montelepre è attiva una banda fascista al comando di “Giuliani” (head of a fascist band in the Palermo province), composta anche da “disertori tedeschi” (un riferimento agli istruttori delle Ss tedesche di Verona). Spiega di avere appreso queste notizie dai fratelli Console durante una conversazione avvenuta il 15 dicembre ’44, nell’atrio del teatro Finocchiaro a Palermo, e aggiunge che “dopo Natale, Magistrelli e Giovanni Console si sarebbero recati al nord per riferire al comando della Decima Mas sulle attività della banda”. L’arrivo in Sicilia del gruppo dei trenta sabotatori di Campalto coincide con lo scoppio dei moti del “Non si parte”, che si sviluppano nell’isola sotto l’apparente spinta separatistica tra il dicembre ’44 e il gennaio ’45. Che si tratti di terroristi salotini emerge dai rapporti dell’intelligence britannica. In diversi comuni siciliani appaiano scritte fasciste accanto a slogan come “Entrate nella banda!” e “Viva Giuliani!”. Nel marzo ’45, le confessioni di Sidari e Tarroni provocano l’arresto di una quarantina di sabotatori della Decima nazifascista tra Napoli e Palermo. A Napoli, cadono nella rete americana gli uomini di Pignatelli (Rosario Ioele) e i sabotatori Bartolo Gallitto e Gino Locatelli. A Partinico sono arrestati i fratelli Console e Dante Magistrelli. Gli interrogatori avvengono
Contadine a Portella
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presso il carcere di Poggioreale, a Napoli, e sono condotti dai carabinieri del Sim (Servizio informazioni militari) al comando del maggiore Camillo Pecorella.
Dalle scuole di sabotaggio all’azione sul campo Giuliano, Sapienza e i trenta sabotatori addestrati a Campalto sfuggono alla cattura e tornano nella Rsi. In un rapporto di Hill Dillon del 25 marzo ’45, troviamo infatti il nome del “sottotenente dei parà Giuliano” in uno dei corpi scelti della Decima Mas nazifascista, al nord. Sapienza è arrestato il 7 maggio ‘45 e internato in un campo di prigionia alleato, a Modena. Nonostante i gravi contraccolpi subìti, l’eversione nera in Sicilia non si arrende. Al contrario. Dalla confessione resa agli Alleati il 17 giugno ’45 da Fernando Pellegatta, un sabotatore del battaglione Vega della Decima nazifascista con sede a Montorfano (Como), apprendiamo che 120 uomini del Vega sono inviati al sud il 1° aprile ’45. Sono stati selezionati tra le Ss italiane e i militi della trentacinquesima brigata nera “Raffaele Manganiello”. Il capo di quest’ultima a Como, dall’autunno ’44 all’aprile ’45, è l’ex federale di Firenze Fortunato
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Polvani, stretto collaboratore di Pino Romualdi, vicesegretario del Partito fascista repubblicano (Pfr). Polvani, non a caso, è a Palermo dall’estate ’45 per dirigere il Centro clandestino fascista della capitale siciliana, e qui rimane fino al marzo ‘46. È probabile, quindi, che i 120 uomini del Vega costituiscano il nocciolo duro dell’Evis (Esercito volontario per l’indipendenza della Sicilia), che nasce nel settembre ‘45 e di cui Giuliano è nominato “colonnello” nei pressi di Sagana (Montelepre).
capo a una centrale anticomunista slava, con sede a Parigi e collegata all’Internazionale nera di Martin Bormann e Otto Skorzeny (ex gerarchi nazisti), attiva in Argentina e in Europa dal ‘46 (sul tema, cfr. il capitolo I del volume Tango Connection di G. Casarrubea e M. J. Cereghino, Milano, Bompiani, 2007).
Forte di questa copertura, il capo degli Np fa sfilare i suoi uomini al parco del Pincio, a Roma. Sono duecento militi di provata fede anticomunista e disposti a tutto. In Solo per la bandiera (cit., pp. 122 – 123) scrive: “Sono momenti in cui per molti Repubblica significa comunismo e la nostra scelta non ha incertezze. Abbiamo armi e depositi al completo. Faccio contattare anche Nei primi cinque mesi del ’46 alcuni Np del sud”. Nelle stesse cresce la tensione nei gruppi monarchici settimane, Buttazzoni fonda l’Eca e neofascisti. Temono la vittoria della (Esercito clandestino anticomunista) Repubblica al referendum istituzionale mentre Romualdi redige il manifesto Il terrorismo nazifascista in Sicilia è e una forte affermazione delle sinistre programmatico del Fronte considerato, da un punto di vista all’Assemblea costituente. I servizi antibolscevico italiano (Fai, composto strategico, fondamentale per il futuro segreti americani non nascondono le interamente da unità neofasciste movimento neofascista. Non pochi loro preoccupazioni e, dopo le clandestine) e lo consegna ad Angleton indizi ci dicono che dietro la strage del tramite Buttazzoni. Nel documento si 19 ottobre ‘44 in via Maqueda sostiene in maniera esplicita che (Palermo) agiscano, quali provocatori, neofascisti e americani devono unirsi elementi salotini. Tale presenza, agli per una comune azione contro il occhi del governo Bonomi, appare così comunismo, “focolaio di infezione pericolosa da far ordinare il massacro sociale per l’Europa e il mondo”. Vi si della folla da parte della divisione afferma testualmente: “I neofascisti Sabaudia. Di fatto, l’eccidio (16 morti e intendono stabilire un contatto con le decine di feriti) è un monito contro autorità americane per analizzare l’eversione nera nell’isola. Ma serve a congiuntamente la situazione del poco. Un mese dopo scoppiano i moti Paese. La questione politica italiana del “Non si parte”. sarà quindi collocata nelle mani degli Stati Uniti d’America”. Dall’analisi di Montelepre, 9 gennaio ’46. questo testo (ora in Nicola Tranfaglia, Centocinquanta uomini agli ordini di Come nasce la Repubblica, Milano, Salvatore Giuliano sferrano un Bompiani, 2004, pp. 80 – 86) durissimo attacco contro le caserme emergono non poche analogie con il dei carabinieri. Il conflitto dura una testo dei volantini lanciati durante gli settimana. Perdono la vita 9 militari, i assalti contro le Camere del lavoro di feriti sono 35. I servizi segreti Partinico e Carini (Palermo), il 22 precedenti intese col principe Borghese giugno ‘47. Qui si fa riferimento alla britannici affermano che la banda è composta anche da “terroristi ebraici” e (primavera ‘45), si accordano con i capi “canea rossa” e alla “mastodontica da “elementi anticomunisti jugoslavi”. I politici e militari del neofascismo macchina sovietica”. I due documenti (Turati, Scorza, Messe, Navarra primi sono i gruppi armati che si sembrano scritti dalla stessa mano. Non Viggiani, Romualdi, Buttazzoni) per preparano alla nascita dello Stato di a caso, i Fasci di azione rivoluzionaria Israele, addestrati nel dopoguerra dagli avviare su vasta scala l’offensiva (Far) nascono ufficialmente poco dopo, anticomunista. Sanno che il Pci e il Psi uomini della Decima Mas di Borghese nell’autunno ’46, sotto la guida di Pino potrebbero conquistare la maggioranza Romualdi e con palesi finalità su richiesta del capo dei servizi segreti relativa alla Costituente e che l’avvento terroristiche. americani in Italia, James Angleton. A della Repubblica potrebbe rapidamente confermarlo è Nino Buttazzoni (capo trasformarsi nell’“anticamera del degli Np nella Rsi tra il ’43 e il ’45) nel A Palermo, nel giugno ’46, è comunismo”. Nel marzo ’46, in gran volume Solo per la bandiera (Milano, arrestato Giuseppe Caccini, alias segreto, l’intelligence Usa preleva Mursia, 2002, p. 125). Per quanto “comandante Tempesta” della brigata Borghese dal penitenziario di Procida e Carnia (derivazione della Osoppo). riguarda gli jugoslavi, si tratta di lo trasferisce in una località sconosciuta. L’accusa è di costituzione di banda elementi fascisti croati manovrati dai L’obiettivo è di organizzare la servizi Usa. Operano in Italia al armata (cfr. documenti Sis del 14 e 26 controffensiva paramilitare in caso di comando di Ante Moškov, un ex giugno ‘46). In Sicilia, a Catania, è vittoria dei comunisti e dei socialisti. generale ustascia. Anche il Sis segnala entrato in contatto col principe Flavio l’attività dei gruppi jugoslavi in Puglia, Borghese, fratello maggiore del capo pronti a entrare in azione “contro il della Decima Mas. Caccini proviene da All’armi siam fascisti! pericolo bolscevico” (b. 46, f. LP155/ Roma, dove è giunto nel mese di Fronte internazionale antibolscevico, Nell’aprile ’46, Buttazzoni inizia a maggio assieme a 221 uomini pronti a lavorare per Angleton con lo titolo: Organizzazione internazionale entrare in azione in caso di vittoria della anticomunista, 6 settembre ’47). Fanno pseudonimo di “ingegner Cattarini”. Repubblica. È probabile, quindi, che gli
uomini del “comandante Tempesta” siano gli stessi passati in rassegna da Buttazzoni, al Pincio, nelle stesse settimane. Caccini raggiunge la Sicilia su raccomandazione del capitano Callegarini (Cc), legato agli ambienti della Casa reale. Il 25 giugno ‘46, il Sis segnala in Calabria le attività di “un movimento clandestino armato, sia per sostenere la monarchia nel caso di vittoria nel referendum, sia per attuare la separazione del Mezzogiorno dall’Italia”. Il movimento è diretto da un ex carabiniere ed ex maggiore della Gnr, Serafino Ferrero (Torino, 1899), e da un certo “tenente Franco”, ovvero Walter Di Franco. Il suo vero nome è Francesco Argentino (Reggio Calabria, 1916), ex membro della banda Koch e capofila dei Far nel meridione. Le attività paramilitari nere, ramificate in tutta la regione, godono del supporto sotterraneo dell’Arma dei carabinieri e delle squadre neofasciste calabresi, siciliane e campane con base a Napoli. Di una tentata insurrezione neofascista a Roma, nel maggio ’46, scrive ampiamente un rapporto Sis del 17 giugno, a firma del questore Ciro Verdiani. Tra gli organizzatori troviamo Candiollo e Rodelli, capisquadra neofascisti per l’attuazione di un colpo di Stato. I due frequentano Francesco Garase, detto “lo zoppo”, che varie carte Sis definiscono nel ‘47 “l’emissario a Roma della nota banda Giuliano”, in contatto permanente con Walter Di Franco. Assieme ad altri neofascisti come Silvestro Cannamela (ex Decima Mas) e Caterina Bianca (ex spia nazifascista), Garase visita assiduamente le sedi monarchiche di via Quattro Fontane 143 e di via dell’Umiltà 83. Non a caso, un rapporto Sis di qualche mese dopo (1° novembre ‘46) afferma testualmente: “Da 20 giorni è stata riaperta la sede del partito in via Quattro Fontane, che è quella legale e dove gli iscritti vengono indirizzati verso l’organizzazione clandestina. Ferve l’opera di riorganizzazione soprattutto in Sicilia, dove non si disdegnano i contatti diretti neppure con la banda Giuliano”. Tra il novembre e il dicembre ‘46, il Sis segnala inoltre che la banda è in rapporti con le squadre neofasciste in Basilicata (26 novembre) e con il Macri (Movimento anticomunista repubblicano italiano, 31 dicembre).
Salvatore Giuliano, agosto 1947
Tra il ’44 e il ‘45, Cannamela fa parte di un commando nazifascista della Decima Mas operante nell’Italia liberata (squadra Anassagora Serri/ Gruppo Ceccacci). Tra i suoi componenti vi sono anche i fratelli Giovanni e Giuseppe Console e Dante Magistrelli, in missione a Partinico dall’estate ’44. Nell’ottobre ’46 il colonnello Laderchi (Cc), il capitano Callegarini (Cc), l’ammiraglio Maugeri, il colonnello Resio (Marina), il generale dell’Aeronautica Infante e molti altri ufficiali iniziano a organizzare un colpo di Stato antidemocratico. “Sono in contatto con i fascisti monarchici” e preparano “una rivolta armata nel Paese” (cfr. documenti Sis, 12 ottobre e 5 novembre ‘46). Carlo Resio lavora per l’Oss di Angleton dall’estate ’44 (a Roma, in via Sicilia 59) e rimane alle sue dipendenze fino al dicembre ‘47, data in cui il capo dei servizi americani ritorna negli Stati Uniti. Resio è tra gli uomini che prelevano Junio Valerio Borghese (a Milano, il 10 maggio ’45) per tradurlo a Roma. All’operazione partecipano Angleton e Federico d’Amato (intelligence italiana). Secondo un documento Top Secret dell’MI5 britannico, datato 8 ottobre ’46 e desecretato a Londra nel 2005, sono soliti riunirsi a Roma: Augusto Turati, ex segretario del Partito nazionale fascista (Pnf) e capo politico del clandestinismo fascista; Pompeo Agrifoglio, ex capo del Sim; Luigi
Ferrari, capo della polizia; Leone Santoro, membro dell’ufficio politico del ministero dell’Interno; Izielo (sic) Corso, sottosegretario all’Interno nel secondo governo De Gasperi [c’è un Angelo Corsi, sottosegretario all’Interno nel secondo governo De Gasperi] e l’agente americano Philip J. Corso (Cic), uno dei collaboratori più stretti di Angleton e “custode” di Junio Valerio Borghese a Forte Boccea (Roma) e a Procida. Il documento specifica: “Numerosi ufficiali americani e italiani (come il capitano Corso suddetto) sono legati in maniera intima e attiva a questo gruppo”. Il tramite tra Corso e Agrifoglio è il tenente Mario Bolaffio (Sim). Nello stesso periodo, Augusto Turati è ritenuto “persona grata agli angloamericani, i quali lo stimano e lo rispettano molto” (Sis, 19 settembre ‘46, b. 13, f. Turati Augusto).
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Secondo un altro rapporto britannico top secret (27 novembre ’46), “Il capitano Corso ha recentemente sostenuto un incontro con Enzo Selvaggi [esponente monarchico] e lo ha informato di aver ricevuto istruzioni dal suo governo per formare un gruppo politico anticomunista. Corso ha aggiunto che questo cambio di politiche è dovuto al successo del Partito repubblicano nelle elezioni statunitensi”. Si tratta delle elezioni di mezzo termine del congresso americano (novembre ’46) . Si registra, in pratica, il via libera all’offensiva anticomunista in Italia da parte di Washington.
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Negli ambienti dei Far, Nuovo Comando Generale, si ammette che l’azione della banda Giuliano è in I collegamenti tra il gruppo relazione con l’ordine testé impartito di terroristico di Salvatore Giuliano in “accelerare i tempi”. L’ordine, come vi Sicilia e il capo dei Far, Pino fu fatto noto, è stato esteso all’Ecla Romualdi, trovano conferma nei [Eca] di Muratori e Venturi, i quali seguenti elementi: attingono denaro e disposizioni da un’unica fonte. Si preparano adesso a 1) Fortunato Polvani, braccio destro Roma e al nord. di Romualdi almeno dal ‘43, è a Palermo nella veste di capo del Centro Un altro dispaccio Sis (b. 46, f. clandestino fascista a partire dall’estate LP155/Fronte internazionale ’45. Qui si ferma fino al marzo ’46. È antibolscevico, Titolo: Movimenti neo – Polvani il responsabile della fascisti, segreto, 25 giugno ‘47), riporta: trentacinquesima brigata nera “Raffaele Manganiello”, a Como, fino Il comando generale dei Far ha ordinato alla primavera ‘45. L’1 aprile ‘45, 120 questa mattina, in conseguenza dell’operazione militi di questa formazione sono inviati di polizia in corso, di accelerare i tempi, nel al sud con l’intento di continuare la senso di anticipare l’azione di piazza per la Accursio Miraglia, sindacalista di cosiddetta “resistenza fascista” conquista del potere. L’Ecla e le Sam [Squadre Sciacca, assassinato il 4 gennaio nell’Italia liberata; armate Mussolini] procedono di pari passo 1947 (come tattica, metodo e programma) con i Far. 2) Uomo dei Far e referente della Le direttive sono identiche. I fondi, notevoli, banda Giuliano in Calabria e in Sicilia, provengono da un’unica fonte. L’ultimo Il 27 novembre ‘46, il Sis (b. 13, f. almeno dal maggio ’46, è Francesco stanziamento è stato interessante. La sola Turati Augusto) segnala: Argentino/Walter Di Franco, che opera formazione Ecla ha incamerato quattro milioni. in Calabria con Serafino Ferrero. È La polizia romana non ha fermato che alcuni Da alcuni elementi fascisti è stato riferito molto probabile che il documento Sis degli elementi effettivamente responsabili, senza che i noti Scorza e Turati si sarebbero trasferiti del 25 giugno ’47 (riportato all’inizio di minimamente intaccare i gangli vitali e capillari dal nord a Roma, dove sarebbe stato pure questo dossier) si riferisca proprio a della organizzazione, che ha carattere trasferito il ‘comando generale del movimento questi due elementi nel seguente passo: nazionale. Da non sottovalutare lo spirito fascista’. Secondo le voci che corrono tra gli combattivo e, per la disciplina instaurata nei elementi fascisti, il ‘comando’ starebbe La banda Giuliano è da ritenersi, ranghi, la più assoluta dedizione ai capi da preparando tutto un lavorìo di organizzazione fin dall’epoca delle nostre prime parte dei gregari. (…) Se vi saranno moti dei ‘quadri’ fascisti specialmente con riferimento segnalazioni, a completa disposizione armati, i Far vi parteciperanno per diventare al meridione. Si dice che in gennaio o febbraio delle formazioni nere. Il nucleo romano movimento risolutivo della situazione. dovrebbe ‘scoppiare’ qualcosa di grosso. della banda Giuliano era comandato Nonostante la suddetta operazione di polizia, i fino a quindici giorni fa da certo Far continuano a controllare tutte le formazioni Da Bari, il 13 gennaio ‘47, il Cic “Franco” e da un maresciallo della Gnr, clandestine, anche l’Upa e il gruppo scrive: che si trovano attualmente a Cosenza. carabinieri, in seno a quali elementi fidati lavorano sotto controllo agli effetti della Un informatore affidabile di questo Nel ’47, vari documenti Sis realizzazione del colpo di Stato. Ufficio ha sostenuto una conversazione con tre segnalano Argentino/Di Franco in ufficiali dell’Arma dei carabinieri, il 10 contatto con Francesco Garase, Si fa riferimento a un “Nuovo dicembre ‘46. Costui ha riferito di certe “emissario a Roma della nota banda comando generale”, risultante direttive provenienti dal comando dell’Arma dei Giuliano”; dall’unificazione delle tre principali carabinieri a Roma, in cui si raccomanda di formazioni paramilitari neofasciste: promuovere una forte propaganda monarchica 3) Gli assalti alle sedi comuniste e Eca, Sam e Far. Secondo una nota del all’interno del Corpo. Quando l’informatore ha alle Camere del lavoro iniziano il 18 Sis (cfr. Giannuli, Libertaria, cit., p. 51), chiesto notizie più dettagliate, gli è stato giugno ’47 in Calabria, per poi dilagare “a Venezia, Milano e nella Calabria risposto che la monarchia sarebbe stata nella provincia di Palermo con gli esiti ferve il lavoro delle Sam, le quali sono ristabilita nel giro di pochi mesi. L’informatore stragistici del 22 giugno. Il rapporto Sis sovvenzionate da Giuliano ed il suo ha replicato che la restaurazione della del 25 giugno ’47, infatti, afferma che aiutante è lo scugnizzo. È partito da monarchia sarebbe il segnale per una rivolta “la banda Giuliano ha ramificazioni in Roma un console della milizia per la popolare, soprattutto al nord. Gli ufficiali però, ogni centro della Calabria, della Sicilia Calabria, per incontrarsi con Giuliano”. sorridendo, hanno fatto notare che i e della Campania”; Uno dei capi delle Sam è Selene qualunquisti hanno il supporto dei carabinieri e Corbellini (ex membro della banda che sono fortemente armati e in posizione di 4) Nello stesso documento Koch), che agisce tra Milano, Torino e contrastare qualunque mossa. I qualunquisti leggiamo: Roma e che nel ‘47 troviamo a Palermo sono stati menzionati a tale proposito perché si per incontrare il capobanda suppone che questo partito debba creare monteleprino. Scrive il Sis: ‘l’incidente’ che dovrebbe condurre al colpo di Stato.
Da Palermo viene segnalata la presenza in quella città di Selene Corbellini, ricercata, già della banda Koch, detta anche Lucia o Maria Teresa (…). Si tratta di un elemento pericoloso. Ai camerati di Palermo dichiarava appena giunta di dovere stabilire contatti diretti col noto Martina, capo della banda Giuliano (2 agosto ‘47). I collegamenti diretti tra l’Evis e le Sam sono segnalati inoltre dall’intelligence Usa (20 febbraio ’46) e da quella britannica (19 gennaio ’46). Dalla Sicilia, il Cic riferisce: Alcuni membri dell’Evis indossano uniformi americane e britanniche. Parecchi disertori alleati sono membri di queste bande ribelli. Il maggiore britannico Oliver si dice appartenga a una di queste formazioni ribelli. Un ufficiale britannico dello stesso nome sarebbe stato di stanza a Palermo per conto dell’intelligence alleata, durante il periodo dell’occupazione (29 gennaio ’46).
neofascisti), su mandato di Nino Buttazzoni. Ma quest’ultimo ha sempre evitato ogni riferimento alle attività da lui svolte nel periodo che va dall’aprile ‘46 (inizio della sua collaborazione con i servizi segreti di Angleton, a Roma) al settembre ‘47, data in cui è arrestato dalla polizia nei pressi dell’università La Sapienza;
Maugeri, Resio e Infante. L’Upa agisce agli ordini diretti dell’intelligence Usa di Angleton e di Philip J. Corso. L’obiettivo è una dittatura militare transitoria, della durata di uno o due anni, affidata all’Arma dei carabinieri.
Secondo un documento britannico dell’11 agosto ‘47, (Movimento italiano di estrema destra: assistenza americana, 5) A Palermo, nella primavera ‘47, paragrafo Visita di un rappresentante opera il Fronte antibolscevico (via americano), l’ex capo dell’Amgot (il dell’Orologio). Lo guida Gioacchino governo militare alleato dal ‘43 al ‘45), Cipolla, un neofascista. Secondo quanto il colonnello Charles Poletti, arriva in Italia nel mese di giugno ‘47 “in missione speciale per conto del governo americano”, in coincidenza con le stragi siciliane:
Il signor Poletti è arrivato in Italia a giugno in missione speciale per conto del governo americano. Ha incontrato il signor Jacini a Roma e, dopo un attento esame dell’organizzazione dei movimenti italiani di estrema destra, ha promesso da parte del governo americano armi per il movimento e un supporto finanziario sia per le attività in Charles Poletti, capo dell'Amgot Secondo un rapporto statunitense Italia sia sul confine orientale (Udine). […] (GMA) dell’anno precedente (23 gennaio ’45), Poletti ha posto come condizione per Oliver è un agente del Field security l’assistenza americana che il movimento service (il controspionaggio britannico), emerge durante la fase dibattimentale al dell’estrema destra in tutta Italia sia collocato a contatto nell’isola con non meglio sotto un comando unificato. processo di Viterbo, e le dichiarazioni precisati “banditi”. del bandito Antonino Terranova (inteso Con ogni probabilità, il Jacini in “Cacaova”), Giuliano è solito Il riferimento all’Eca di Muratori questione è Stefano Jacini, ministro frequentare il “Partito anticomunista” non è da sottovalutare. Lo stesso della Guerra nel governo Parri e della capitale siciliana proprio nella Buttazzoni (cfr. il volume di Lapo ambasciatore straordinario in Argentina temperie delle stragi di Portella e di Mazza Fontana intitolato Italia über dal settembre ‘47. È con lui che Poletti Partinico. In realtà, il Fronte alles, Milano, Boroli editore, 2006, pp. instaura un rapporto fiduciario. antibolscevico (o anticomunista) altro 169 -170) dichiara: non è che la copertura legale delle Il percorso eversivo (iniziato attività terroristiche dei Far nell’isola; Io ho costituito l’Eca (…) a Roma nel nell’estate ’46) appare ora più maturo periodo del ’46 – ’47, dopo essere scappato dal sotto la spinta degli Usa, che forniscono 6) Secondo il giornalista Andrea campo di concentramento di Ancona il 22 un poderoso scudo protettivo costituito Lodato, i Far di Romualdi iniziano a settembre 1945 (…), e con l’Eca ho riunito da appoggi politici, denaro e armi. Ecco operare a Catania nel gennaio ’46, parecchi ex ufficiali; come aiutante avevo un ex tramite il neofascista Nino Platania. In perché l’8 maggio ’47, una settimana generale della Milizia che si chiamava dopo la strage di Portella della Ginestra, città, dal ’43, è attivo anche il principe Muratori. Flavio Borghese, in contatto dal ’46 con troviamo Mike Stern (un celebre giornalista americano, in Sicilia da le formazioni paramilitari di Caccini È Muratori a coordinare molte settimane) a pranzo con la (Osoppo) e, probabilmente, con quelle l’eversione nera in Sicilia alla vigilia di Buttazzoni (Eca) e di Giuliano (Evis/ famiglia di Salvatore Giuliano, a delle stragi del ’47 (Sis, 25 giugno ‘47): Montelepre. Stern è il garante in Sicilia, Sam). per conto di Poletti, della corretta Anche il colonnello Pollini e Spinetti esecuzione del piano golpista, che dovrà Ottorino (…) sono stati, prima dell’arresto del Golpisti in breve espandersi a tutta l’Italia? Su Pollini e dell’inizio dell’azione della banda questo argomento, il supplemento n. 24 Numerosi rapporti Sis si occupano [Giuliano], in Sicilia e a Palermo per conto di Propaganda (Pci, 1949), al paragrafo di un’organizzazione, l’Upa, che dell’Ecla diretta da Muratori. I banditi e gli agenti americani (pp. 16 – nell’ottobre ’46 inizia a preparare un 18), denuncia senza mezzi termini: colpo di Stato. È guidata dal generale Si può quindi ipotizzare che sia Giovanni Messe (Cc), dal Sim e, come Muratori a emanare ordini al Il giorno 8 maggio 1947, a una abbiamo visto, da Laderchi, Callegarini, colonnello Pollini e a Spinetti (esponenti settimana di distanza dall’eccidio di Portella
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presieduto dall’aprile ‘45 da Harry Truman. Di conseguenza, i tramiti sono Charles Poletti, James Angleton, Philip J. Corso e, forse, Mike Stern. Non a caso, un documento del 13 agosto ‘47 afferma: Il maresciallo Messe ha assunto la direzione militare di tutto il movimento anticomunista nel nord Italia (…). Il movimento riceve dieci milioni di lire al mese dalla Confederazione degli industriali dell’Italia settentrionale (…). Jacini mantiene costantemente informate le autorità americane sugli sviluppi del movimento anticomunista. Altri due dispacci britannici (2 giugno e 5 agosto ’47, spediti da Roma a Londra) riferiscono ampiamente sui James J. Angleton, capo dell'X-2, Roma finanziamenti erogati dalla Banca nazionale dell’agricoltura (Bna) al movimento clandestino monarchico – della Ginestra, il capitano dell’esercito fascista, che punta alla costituzione “di americano Stern si recava, a quanto scrive egli squadre armate per opporsi alle stesso, nel covo di Giuliano e riceveva dalle formazioni comuniste”. Si fanno i nomi mani del bandito un proclama indirizzato al dell’avvocato Carlo Jurghens, presidente presidente Truman. Dopo qualche settimana, della Bna, e del condirettore della nelle tasche di un bandito caduto in mano della banca, conte Armenise. Il denaro arriva polizia, veniva trovata una lettera autentica di anche ai rappresentanti dell’Umi Giuliano diretta al suo amico Stern a Roma, (Unione monarchica italiana) con sede via della Mercede 53 (sede della Associazione a Roma in via Quattro Fontane, luogo della stampa estera), nella quale il fuorilegge frequentato anche dagli emissari della chiedeva armi pesanti e dava consigli circa la banda Giuliano. Ed è molto probabile maniera di mantenere i contatti con l’ufficiale che sia proprio questa la “fonte unica” a americano. Due circostanze colpiscono a prima cui attinge il “Nuovo comando vista: il fatto che, proprio all’indomani di generale” (Far, Eca e Sam) per Portella, lo Stern senta il bisogno di andare a sviluppare le attività terroristiche del fare visita al “re di Montelepre” ed il fatto che maggio – giugno ’47 in Sicilia (cfr. i due quest’ultimo si permetta, nella sua lettera documenti Sis del 25 giugno ’47, già intercettata dalla polizia, di chiedere armi ad esaminati). Secondo Londra, Umberto un ufficiale dell’esercito americano. Ma tutto II (in esilio da un anno a Cascais, in ciò ormai non ha più nulla di strano. È chiaro Portogallo) è al corrente che l’iniziativa dello Stern non è frutto di una dell’operazione eversiva in atto. Non è curiosità individuale, ma che la sua visita a casuale che nelle stesse settimane l’ex re Giuliano ed i suoi rapporti con il bandito sono incontri Eva Perón, consorte del frutto di precise istruzioni diramate dall’Ufficio presidente argentino Juan Perón, dalla servizi strategici [Oss], allo scopo di quale (secondo il giornalista Jorge agganciare il bandito alla politica americana Camarasa) riceve un grosso quantitativo nel Mediterraneo. A conferma di questa tesi, è di pietre preziose (cfr. il capitolo I del facile ricordare l’atteggiamento del governo di volume Tango Connection, cit.). Il De Gasperi in questa circostanza. Il governo rapporto britannico del 5 agosto riporta italiano, infatti, si guarda bene di intervenire infatti che le formazioni nere cercano di presso l’ambasciatore americano a Roma per ottenere finanziamenti, oltre che dalla protestare o almeno per chiedere spiegazioni Bna, anche dagli industriali e dai dell’attività del capitano Stern, uno straniero neofascisti italiani emigrati in che promette ad un bandito armi ed aiuto. Argentina. Nel ‘47, denaro e armi arrivano in Italia senza problemi. Il In sintesi, i rapporti britannici comando militare del Partito nazionale (inaccessibili fino al 2005) ci dicono che monarchico (Pnm), guidato dal generale i mandanti delle stragi siciliane del Scala, dispone a Roma di tre depositi maggio-giugno ’47 sono da ricercare nel d’armi clandestini con seicento governo degli Stati Uniti d’America, mitragliatrici e cinquemila bombe a
mano. Ma l’afflusso di armi inizia nell’autunno ‘46: I gruppi monarchici hanno ricevuto dall’America del Nord ingentissime somme e armi di ogni specie. Fra le armi, vi sono dei fucili mitragliatori di nuovo tipo con cartuccia molto lunga e di grosso calibro. Il morale è elevatissimo. Notizia assolutamente certa (Sis, b. 43, f. L25/Attività monarchica, 9 ottobre ’46). Le gravi responsabilità del governo americano nelle vicende eversive italiane emergono anche da un questionario dei servizi segreti Usa (tradotto in italiano dal Sis): Gli elementi che potrebbero opporsi in combattimento contro il comunismo armato provengono quasi totalmente dai quadri degli ufficiali dell’esercito regolare, devoti alla monarchia, nonché da elementi fascisti che non si siano piegati al comunismo (Sis, b. 44, f. LP39/Movimento anticomunista, 17 ottobre ’47).
Alle soglie dell’inferno Non vi è dubbio che il Pci di Togliatti, ovvero il “Partito nuovo” che inizia a formarsi all’indomani della Liberazione, dispone di un’organizzazione armata occulta (il celebre “apparato”) pronta a entrare in azione soprattutto nell’Italia centrale e settentrionale. Ma possiamo affermare senza ombra di dubbio che tale “apparato” non ha funzioni eversive. Il suo compito è semmai di “vigilanza rivoluzionaria”, come si diceva in quegli anni, con l’obiettivo legittimo di impedire che un colpo di Stato neofascista provochi l’annientamento delle sinistre e delle conquiste democratiche successive al 25 aprile ‘45. Truman teme che i comunisti e i socialisti assumano il potere mediante regolari elezioni politiche, un modello che potrebbe diffondersi rapidamente in altre parti del mondo e mettere in crisi le basi ideologiche della nascente guerra fredda tra i blocchi dell’est e dell’ovest. L’ostentazione ossessiva del cosiddetto “fantasma rosso” e la sua demonizzazione sono quindi strumentali al patto scellerato che si stabilisce tra servizi segreti Usa, corpi dello Stato italiano, neofascisti e mafia fin dal ‘43 e che tanti lutti provocherà nei decenni successivi. Sono i servizi segreti statunitensi a sancire questo
connubio, con l’obiettivo di bloccare il processo democratico che inizia a svilupparsi in Italia a partire dall’8 settembre ‘43 e, in modo più deciso, dopo il 25 aprile ‘45. L’ottima affermazione delle sinistre nelle elezioni per l’Assemblea costituente del 2 giugno ‘46 (comunisti e socialisti sfiorano il 40 per cento dei voti, contro il 37, 2 della Dc) e la vittoria della Repubblica sulla Monarchia, sono i moventi di un colpo di Stato antidemocratico che mira ad instaurare una dittatura gestita unicamente dall’Arma dei carabinieri. Tra gli obiettivi urgenti, vi è la messa fuori legge del Pci. In sintesi, le stragi siciliane della primavera ’47 altro non sono che l’innesco di una bomba che dovrà portare alla reazione popolare e alla conseguente risposta armata guidata dall’intelligence americana. L’esecuzione del golpe è affidato all’Arma dei carabinieri e alle squadre armate neofasciste, con la complicità dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica. Sono molti i nominativi che ricorrono nel lungo documento Sis del 25 giugno ‘47, riportato all’inizio di questo dossier. A parte Salvatore Giuliano, incontriamo un certo “tenente della Gnr Martina, già di stanza a Novara”, definito “capo effettivo della banda”. Nell’interrogatorio condotto dal Sim di Napoli il 12 maggio ’45, intitolato Magistrelli Dante, agente nemico, si legge:
Mussolini, agente provocatore numero uno in Sicilia, comandante del vecchio Partito fascista democratico prima, e delle formazioni nere dopo, in seno alla sezione romana del Partito fusionista”. Di Marengo scrive il Cic in un rapporto del 27 gennaio ‘47 intitolato Attività neofasciste a Bari: “Pietro Marengo, che è il direttore dell’organo del partito Il Manifesto, ha assicurato il nostro informatore che la piattaforma del partito è fascista”. E poco prima: “Cerapico [si tratta probabilmente di Ciarrapico] ha istruito un membro siciliano del partito nei seguenti termini: ‘Dobbiamo assolutamente vincere le elezioni in Sicilia in via pacifica, altrimenti dovremo cominciare a spezzare le ossa con cazzotti e bastoni’ ”. Su questa formazione, i servizi segreti britannici riferiscono: Il Partito fusionista italiano, in origine un piccolo fronte neofascista camuffato in Sicilia, sta trasferendo la sua base di operazioni a Roma. Nuove forze organizzative ne hanno preso il controllo e che ora servirà da fronte per i vari elementi ex fascisti, un tempo disorganizzati, e per i vari elementi nazionalistici. Il suo programma sarà basato sull’attività anticomunista (18 ottobre ‘46).
Junio Valerio Borghese
democratico: quadro dell’organizzazione a tutto il 26 settembre 1946, 30 settembre ‘46).
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L’imminenza di un’azione anticomunista risulta anche da un altro rapporto Sis:
Ha avuto luogo ieri sera alla sede del Pfi, via Regina Giovanna di Bulgaria, n. 95 (interno 20), una riunione limitata ai dirigenti fascisti dello stesso partito. Erano presenti: il dott. Cappellato che presiedeva (…). La riorganizzazione del Pfi avviene Cappellato ha fatto le seguenti testuali nell’autunno ’46 quando, secondo i dichiarazioni: ‘Abbiamo preso noi fascisti le documenti Sis, si inizia a parlare di un redini del Pfi che ormai è letteralmente nelle colpo di Stato guidato dall’intelligence nostre mani (…). Un’azione monarchica Usa e dall’Upa. La sperimentazione tendente a capovolgere radicalmente la eversiva in Sicilia assume, quindi, un situazione pare imminente con l’intervento di carattere nazionale e si colloca corpi armati. In questo caso il Pfi si terrà a stretto contatto di gomito, al centro e alla Il 16 giugno 1944 i comandi italiani e all’interno del più generale progetto tedeschi arrivano a Porto d’Ascoli, dove golpista attuato delle squadre periferia, col nostro partito (alludeva al Pfd) rimangono per tutto il giorno. Qui, assieme a paramilitari neofasciste, che cominciano per la funzione che questo ha da svolgere di Console Pino, il soggetto decide di disertare per la lunga marcia che le porterà a movimento risolutivo della situazione’ (b. 56, raggiungere Partinico, provincia di Palermo. I scatenare, qualche mese dopo, f. MP44/Attività fascista nel Lazio, titolo: due ricevono l’aiuto di un certo Francesco l’“incidente” terroristico di Portella Partito fusionista italiano, 9 ottobre ‘46) . Martina, nativo anche lui di Palermo, elemento della Ginestra. Sul Pfi leggiamo ancora: che incontrano per caso presso la famiglia La riunione si svolge pochi giorni Caratella, originaria di Franca Villa Mare, ma Scorza [ex segretario Pnf] ha diretti dopo quella – ben più importante – tra sfollata a Porto d’Ascoli. rapporti col generale Messe [generale dei Cc, Turati, Corso (sottosegretario agli Interni nel secondo governo De capo dell’Upa] e tali rapporti si riferiscono È quindi lecito ipotizzare che il Martina all’eventualità di un’azione anticomunista di Gasperi), Ferrari, Santoro, Agrifoglio e al quale si accenna nel documento Sis, sia lo carattere interno [il colpo di Stato dell’Upa] o Philip J. Corso (cfr. documento stesso che accompagna i fratelli Console e contro le forze di Tito nella Venezia Giulia. britannico dell’8 ottobre ’46, già visto). Magistrelli a Palermo nell’estate ’44. Sono organi politici del partito [Pfd]: il Partito A conferma di queste manovre, una fusionista italiano; la frazione Patrissi dell’Uq nota Sis del 2 novembre ‘46 (b. 56, f. Scorrendo il documento del 25 (Uomo qualunque); […] le organizzazioni MP44/Attività fascista nel Lazio) giugno ’47, compare più volte il Partito neofasciste indipendenti, create in Calabria e in riferisce: “Personalità dell’Alto fusionista italiano (Pfi). In particolare, si Sicilia dal principe Pignatelli; i nuclei reduci comando alleato incoraggiano questi menzionano i suoi dirigenti: Pietro della Decima Mas del principe Borghese (Sis, piani [golpisti] ‘da un punto di vista Marengo, l’avvocato Ciarrapico e “il b.13, f. Turati Augusto, titolo: Partito fascista soprattutto antibolscevico’. Il noto dottor Cappellato, ex medico di passaporto internazionale rilasciato
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dagli Alleati a Turati è parte integrante del suddetto programma d’azione”. Emerge in modo netto il progetto di colpo di Stato, che vede in cima alla piramide il Comando alleato e i servizi segreti statunitensi (Angleton, Philip J. Corso e altri). Costoro inviano ordini a rappresentanti del governo italiano e degli apparati dello Stato (Agrifoglio, Corso, Santoro, Ferrari) nonché a Turati. Quest’ultimo controlla le varie organizzazioni del clandestinismo fascista sparse in tutta l’Italia. Tra queste, il Pfi di Marengo, Ciarrapico e Cappellato. La militarizzazione neofascista è “conseguenza degli incontri di cui sopra. (…) Si tratta di formazioni che avranno in dotazione armi e munizioni”. Le riunioni si tengono ai primi di ottobre tra “Bastiano” (definito “un cugino del re”, ovvero Laderchi), il principe Ruspoli e i neofascisti Gray, Nunzi, Turati e Pini. Agli incontri partecipa anche Resio. Il documento Sis del 2 novembre ’46 è molto esplicito sulle finalità di questi gentiluomini: “Stringere un più omogeneo patto d’azione tra fascisti e monarchici, in previsione delle agitazioni popolari che verranno promosse simultaneamente in tutte le città d’Italia, per imporre il ritorno al regime monarchico e alla legalità”.
Lucky Luciano a una festa
Marengo, Pini, Cappellato e altri. Francesco Garase assicura il rapporto col gruppo monteleprino (nota Sis del 28 luglio ‘47) ed è definito, il 2 agosto successivo, “emissario a Roma della nota banda Giuliano”. Frequenta il bar di piazza San Silvestro allo scopo di “tenere i collegamenti con i rappresentanti romani delle varie organizzazioni clandestine”, sostituendo Giuliano quando questi è impegnato in Sicilia. A Roma, Garase è in contatto con elementi dei Far di Romualdi (in Le riunioni, nel corso delle quali è particolare con Walter Di Franco, che è sancita la nascita dell’Upa, affidata al solito incontrare Puccioni, 28 luglio ’47) generale Messe (Cc), si svolgono a ma anche con pericolosi neofascisti Roma in una casa di via Due Macelli come Armando Di Rienzo, Marco (di proprietà della duchessa Caffarelli), Fossa e Antonio Di Legge. Quest’ultimo che dista appena cinquanta metri dal è segnalato dal Sis in rapporti con il bar Traforo, un locale frequentato da Giuliano. Nel documento del 25 giugno Centro informazioni Pro Deo, ovvero ‘47 leggiamo che “il bandito Giuliano vi l’intelligence vaticana diretta dal frate domenicano belga Felix Morlion. è stato più volte segnalato, anche e soprattutto in ordine ai suoi contatti con Secondo un documento Sis dell’8 luglio ‘47 “c’è un movimento, l’Eca, che fa le formazioni clandestine di Roma. Vi fu precisato il luogo degli incontri con i capo a un certo Muratori, e del cui servizio informazioni è a capo un certo capi del neofascismo (bar sito a via del Puccioni”. In sintesi, emerge che i Far e Traforo, all’angolo di via Rasella)”. E l’Eca, tramite Di Franco, Garase e via Due Macelli non è lontana dal bar Puccioni, inviano ordini alla banda con servizio esterno situato a piazza Giuliano in Sicilia e in Calabria. Come San Silvestro (angolo con via della Mercede). Qui, come abbiamo visto, ha abbiamo visto, l’Eca è stata fondata da Nino Buttazzoni, ai cui ordini opera sede l’Associazione della stampa estera Muratori. Altri rapporti Sis descrivono dove lavora Mike Stern. Buttazzoni e Di Franco come elementi neofascisti coinvolti nelle azioni eversive Nella gerarchia golpista il Pfi assume un’importanza fondamentale, in dell’estate ‘47. Da un dispaccio del 6 quanto garantisce i contatti logistici tra dicembre ’46 (Sis) apprendiamo che anche Alfredo Covelli è alla testa del la capitale e il sud nelle persone di
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movimento clandestino monarchico – fascista di Laderchi, Callegarini, Resio e Infante. Si segnalano poi le attività eversive di Spinetti, Pollini e Cappellato, che agiscono all’interno del Pfi, sorto a Bari nell’aprile ‘46. Il loro campo di azione si estende a Roma, Milano, Agrigento, Brindisi, Caltanissetta, Cagliari, Catania, Palermo, Firenze, Lecce, Messina e Potenza. Come si vede, le città siciliane interessate sono ben cinque. Nei rapporti, anche alcune perifrasi alludono al colpo di Stato. Ad esempio, i termini “azione diretta” e “movimento risolutivo della situazione”. La formula “azione diretta” compare in una circolare del Fronte internazionale antibolscevico riportata dal Sis il 18 luglio ‘47 (in cui si illustrano le fasi dell’imminente insurrezione neofascista) e in un documento datato 13 agosto ’47, in cui si afferma “che i Far sono per l’azione diretta, non rifuggono dalla violenza e fanno ricorso ad atti terroristici”. L’espressione “movimento risolutivo della situazione”, che troviamo in un altro rapporto del 25 giugno ’47, ricorre per la prima volta il 9 ottobre ‘46, come abbiamo già visto. Si parla del Pfi, del dottor Cappellato e di “un’azione monarchica tendente a capovolgere radicalmente la situazione con l’intervento di corpi armati”. La stessa formula compare il 14 ottobre ‘46 riferita al Pfd di Turati, Nunzi e Gray, che proprio in quei giorni decide di “fiancheggiare il movimento
monarchico”. Le disposizioni sono impartite anche agli uomini di Romualdi e del Pfi in tutta Italia, isole comprese.
l’anonimo agente – di funzionare da tratto di unione tra il gruppo stesso e il capitano Nebulante, comandante di settore del movimento monarchico romano”. Si fa riferimento anche Altri personaggi ricorrono nel all’attività clandestina dei carabinieri. documento del 25 giugno ’47. I loro Infine, in un dispaccio Sis del 2 nomi sono Alfredo Misuri, la novembre ‘46 si parla di “contatti tra principessa Bianca Pio di Savoia, monarchici clandestini e neofascisti/ Gioacchino Cipolla e “Anna Maria qualunquisti del rione Tuscolo, per Romani”: un’azione in comune nell’imminenza dell’azione di piazza di cui si farebbe Il Fronte antibolscevico costituito promotore il Partito monarchico per il recentemente a Palermo, al quale dette la sua ritorno al potere del re. Il piano di tale adesione incondizionata l’onorevole Alfredo alleanza sarebbe stato propugnato col Misuri in proprio, e quale capo del gruppo di consenso della federazione romana del via Savoia 86 (capitano Pietro Arnod, Partito fascista democratico”. È chiaro, principessa Bianca Pio di Savoia, ecc.), non è come recita un altro documento Sis una sezione del Fronte anticomunista a voi redatto il 2 novembre (già citato), che nota. Il Cipolla che a Palermo dirigerebbe il tale fermento punta a “stringere un più fronte è del tutto sconosciuto al Fronte unico omogeneo patto di azione tra fascisti e anticomunista, di cui alle nostre reiterate monarchici in previsione delle segnalazioni confidenziali. Il Fronte agitazioni popolari che verranno antibolscevico di Palermo è però collegato con promosse”. Il Bianchini in questione è Anna Maria Romani, ospite della principessa Domenico Bianchini (classe 1896), Pio di Savoia sedicente segretaria particolare di figura di spicco nel Pfd dell’epoca Misuri, cucita in tutto a filo doppio del noto assieme ai colonnelli Mariani e Pollini, colonnello Paradisi, detto anche Minelli che tra la fine del ’46 e l’estate ’47 (piazza Tuscolo) ed è pei suoi buoni uffici che operano al sud. Ma sappiamo anche Misuri e i camerati del comitato anticomunista che Pollini è in Sicilia prima della fine di Torino, a Voi noto, appoggiarono e dell’estate: “Il colonnello Pollini Gianni, appoggiano il progetto di azione diretta di cui già in collegamento con Pucci e Del Paradisi è autore. Massa [esponenti di primo piano dei servizi segreti della Rsi], è attualmente Alfredo Misuri è un collaboratore a Napoli in attesa di trasferirsi in Sicilia stretto di Covelli. Alla fine del ’47 con altri elementi” (Sis, b. 38 f. HP40/ ricopre l’incarico di presidente dell’Umi Penne stilografiche esplosive, 11 agosto in via dell’Umiltà 83, a Roma. ‘46). L’affermazione è confermata da Vicepresidente è il conte Luigi un passo (già visto) del rapporto del 25 Benedettini, che nel maggio ‘46 giugno ‘47 che stiamo esaminando: incontra Garase, Cannamela e Caterina “Anche il colonnello Pollini e Spinetti Bianca proprio in via dell’Umiltà. Ottorino (già abitanti a Roma, in via Risulta quindi evidente che, almeno Castro Pretorio 24, piano ultimo), sono dalla primavera ’46, esponenti stati, pochi giorni prima dell’arresto del monarchici di prima grandezza sono in Pollini e dell’inizio dell’azione della contatto con la banda Giuliano, in banda [Giuliano], in Sicilia e a Palermo maniera diretta o tramite emissari. per conto dell’Ecla diretta da Muratori”. Per quanto riguarda A proposito del colonnello Paradisi, Mariani, colonnello dei carabinieri ed alias Minelli, che opera presso la cellula ex Gnr, è presente al sud tra il ’46 e il neofascista del rione Tuscolo a Roma, ‘47 e agisce in sintonia con i generali leggiamo: “In via Britannia, di fronte Bencivenga e Caracciolo. In quei mesi, alla caserma dei carabinieri esisterebbe Napoli è un punto di riferimento un bar ove si terrebbero riunioni della cruciale per l’eversione monarchico – cellula neofascista, il cui locale verrebbe fascista nel meridione e nelle isole. I fra l’altro frequentato da tale Bianchini, contatti con l’Arma dei carabinieri sono da un maggiore dell’esercito e da un costanti. Si citano, ad esempio, il professore” (Sis, busta 56, f. MP44/ maggiore Giovannini, il maresciallo Attività fascista nel Lazio, 19 ottobre Milanesi e il capitano Bernardi ‘46). E in un altro rapporto del 21 dell’Ufficio informazioni (Sis, b. 43, f. ottobre ‘46: “Dal gruppo neofascista L25/Attività monarchica, 20 settembre Tuscolo ho avuto l’incarico – scrive ‘46).
Un personaggio importante è la principessa Bianca Pio di Savoia, cognata del colonnello Laderchi (Cc), dal quale la nobildonna è incaricata di occuparsi delle formazioni nere meridionali. La sua abitazione, in via Savoia 86 a Roma, è un centro di organizzazione anticomunista per le attività eversive al sud nei primi mesi del ’47 nonché punto di riferimento per la nobiltà siciliana nella capitale, di cui sono esponenti non secondari le principesse di Ganci e di Niscemi. Bianca Pio di Savoia ospita “Anna Maria Romani”, uno dei nomi di copertura di Selene Corbellini, esponente delle Sam e frequentatrice degli ambienti eversivi palermitani collegati al “noto Martina, capo della banda Giuliano”. La Corbellini mantiene i contatti con l’Associazione patriottica anticomunista (Apa) di Torino. Qui troviamo Valletta, Pirelli, Falck, Piaggio e Costa, che finanziano i movimenti eversivi neri almeno dall’immediato dopoguerra (cfr. documento britannico del 30 giugno ‘45). Tra il ’46 e il ’47, la capitale sabauda diventa il crocevia dei movimenti clandestini monarchico – fascisti, che ricevono denaro e armi per le attività terroristiche in tutta l’Italia. A Torino, nei primi mesi del ’47, sono operativi il generale Infante, Covelli, Misuri, il principe Alliata di Montereale (poi coinvolto nelle trame nere degli anni 60’ e ’70), Tommaso Leone Marchesano, Selene Corbellini, Tullio Abelli (Decima Mas/Far), Mario Tedeschi (Decima Mas/Far) e, secondo il documento del 25 giugno ’47 che stiamo esaminando, Salvatore Giuliano in persona (“Vi parlammo dei suoi viaggi Roma – Torino”). Sappiamo inoltre che, dal dopoguerra, Tedeschi e Abelli lavorano come confidenti per l’intelligence americana. Sull’importante ruolo golpista ricoperto dall’Apa nel ’47, il Sis non potrebbe essere più esplicito: “Formazioni clandestine anticomuniste preparano in Sardegna moti rivoluzionari per la defenestrazione violenta delle autorità locali e la proclamazione di un governo nazionale nell’isola. Le formazioni, collegate con altre organizzazioni della penisola, riceverebbero ordini e denaro da un Comitato anticomunista di Torino” (b. 44, f. LP39/Movimento anticomunista, 8 agosto ’47). Secondo il Sis, l’Apa di Torino “è un movimento
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che mira ad un colpo di Stato e che è incoraggiato e finanziato dall’Argentina” (cfr. documenti del 10 giugno ’47, 13 agosto ’47, 19 settembre ’47 e il capitolo I del volume Tango Connection, cit.). Elemento fondamentale dei circuiti eversivi e finanziari neofascisti è Giuseppe Cambareri, gran massone, capo dei Rosacrociati d’America e del Fronte internazionale antibolscevico (Fia) e collaboratore dei servizi segreti americani dal ‘39. Non a caso, un dispaccio Sis del 27 ottobre ’47 riferisce che “Cambareri ha rapporti con l’estero, principalmente con le Americhe con la Spagna, ed è stato fra i dirigenti della rivoluzione che ha portato al potere Peron”.
Nel giugno ’47, come abbiamo visto, sbarcano in Italia due personaggi di prima grandezza nella storia eversiva del Belpaese. Il primo è Charles Poletti, che promette soldi e armi da parte del governo americano a condizione che si istituisca un comando unico delle forze paramilitari neofasciste. Il secondo è Eva Perón. Giunge in Italia con un carico di lingotti d’oro, pietre preziose e denaro che sono distribuiti (tra giugno e luglio) in varie città della penisola, in Svizzera e in Portogallo. Nelle stesse settimane, anche Covelli viaggia a Lisbona per incontrarsi con Umberto II. Che i fondi per l’eversione nera provengano in gran parte dal paese sudamericano, ce lo conferma il quotidiano La Repubblica d’Italia del 22 giugno ‘47, a proposito della retata della polizia ai danni dei Far (di cui parleremo tra poco): “L’organizzazione a carattere terroristico farebbe capo a un governo provvisorio fascista in Argentina”. Si può ora ipotizzare il seguente schema finanziario per il golpe neofascista del ’47 in Italia: il denaro (proveniente dalle casse dall’Internazionale nera di Bormann e Skorzeny) parte dall’Argentina di Perón tramite il “governo provvisorio fascista” con sede a Buenos Aires (composto anche da tre ministri della ex Rsi: Moroni, Spinelli e Pellegrini Giampietro; sul tema, cfr. il settimanale L’Europeo del 10 luglio ‘49); viaggia con Eva Perón (cioè con valigia diplomatica) nel giugno ’47; arriva in Italia dove è suddiviso tra gerarchie
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vaticane e banche. Ne beneficiano l’ex re d’Italia, l’Upa e, probabilmente, anche la Bna. A sua volta, quest’ultima lo distribuisce alle squadre paramilitari monarchico – fasciste di Turati, Scorza, Covelli, Fresa e Patrissi. I soldi finiscono così nei circuiti del “Nuovo comando generale” (Far, Eca, Sam) per le azioni terroristiche siciliane del maggio – giugno ‘47, ovvero “il bagno di sangue” messo in atto dallo squadrone della morte agli ordini di Salvatore Giuliano.
la somma elargita (…) per il lago di sangue voluto dagli industriali. In casa Ambrosini fu compilata una lista di coloro che dovrebbero comporre il nuovo governo (…). Si sta provvedendo alla distribuzione di armi automatiche nuove e di munizionamento (…). Certo Di Franco andrà in questi giorni in Umbria per impartire ai camerati le ultime disposizioni. Parteciperà al raduno di Napoli (…). Lavorano attivamente per la detta azione: generale Navarra Viggiani, generale Il rapporto del 25 giugno ’47 si Muratori, Venturi (…), il capitano Italo sofferma anche sul duca di Spadafora: Nebulante (…), il colonnello Festi, il colonnello Buttazzoni (b. 39, f. HP68/ Nel mese di marzo, se ben si rammenta, fu Partito fascista repubblicano). segnalato che il duca Spadafora, capo del gruppo commerciale agrario del sud, fu a Roma Alla fine dell’estate ’47, Walter Di ed ebbe colloqui con rappresentanti del Fronte Franco continua ad essere molto attivo clandestino. Chiese di poter versare un milione nella preparazione del “lago di sangue” in conto, a condizione che si facesse in Sicilia che dovrà condurre al colpo di Stato. “un lago di sangue”. Mormini, del Fronte, Tornano alla ribalta il capitano avrebbe dovuto raggiungere in Sicilia la banda Nebulante (già visto in collegamento Giuliano, a contatto anche colla mafia locale in con il gruppo neofascista di piazza parte a disposizione del suo gruppo. La Tuscolo, a Roma) e Buttazzoni, che è proposta non fu accettata, sembrò orribile… arrestato dalla polizia nel settembre ’47. Da allora, da notizie certe e sicure, Spadafora L’azione golpista, dunque, non si ferma ha contatti diretti col Martina, che finanzia dopo le stragi siciliane e mira con direttamente e al quale impartisce disposizioni. insistenza a provocare il famoso Elementi ricercati sono stati ammessi a far “incidente” di cui scrivono numerosi parte della banda. rapporti italiani e britannici. Un altro documento Sis del 25 giugno ’47, già Qualche mese prima, il Sis scrive: esaminato, recita infatti: Il principe Spadafora, neofascista monarchico che fu collaboratore della Repubblica di Salò, sottosegretario di Stato e detenuto a Regina Coeli da dove venne liberato per il personale intervento di re Umberto, si trova presentemente in missione in Sicilia, a contatto con i dirigenti separatisti e con i neofascisti aderenti ai gruppi autonomi (6 ottobre ’46). Le attività stragiste del duca sono dunque documentate almeno dall’autunno ’46, in coincidenza con l’inizio delle mattanze in Sicilia (eccidio di Alia) e con gli accordi golpisti siglati nei palazzi romani. Vi è inoltre un legame diretto tra il duca e Martina, ritenuto dal Sis il capo della banda Giuliano e al quale Spadafora invia ordini e denaro. In merito al “lago di sangue”, una nota Sis del 17 settembre ‘47 afferma: Altri emissari di Ambrosini [capo delle formazioni militari neofasciste del Pfr] si recarono a Milano e incassarono
Il comando generale dei Far ha ordinato questa mattina, in conseguenza dell’operazione di polizia in corso, di accelerare i tempi. Le operazioni di polizia cercano di arginare gli attacchi terroristici neofascisti, che avvengono in Calabria e in Sicilia a partire dal 18 giugno ‘47. Si tratta di una retata di ampio respiro che porta all’arresto di numerosi capi dei Far (cfr. Pier Giuseppe Murgia, Il vento del nord. Storia e cronaca del fascismo dopo la resistenza, 1945 – 1950, Milano, Sugarco, 1975, pp. 288 – 292). La strage di Portella della Ginestra (1° maggio) non ha sortito l’effetto desiderato, ovvero l’insurrezione delle sinistre. I neofascisti dei Far tentano quindi il tutto per tutto. Ecco perché il 22 giugno ’47 attaccano con mitra e bombe a mano le Camere del lavoro della provincia di Palermo (due sindacalisti perdono la vita e i feriti si contano a decine). Nelle settimane precedenti atti analoghi si registrano in tutta Italia, soprattutto a Milano e a Roma. Si punta a provocare soprattutto
il Pci, costi quel che costi. Lo conferma Pasquale Pino Sciortino, membro autorevole della banda Giuliano, nel suo discorso ai banditi radunati la sera del 21 giugno ’47 a Testa di Corsa, una contrada di Montelepre. Sciortino istruisce i suoi uomini agli assalti del giorno dopo. È presente il “picciotto” Giuseppe Di Lorenzo, già veterano dei moti del “Non si parte”. Questi, in un verbale d’interrogatorio datato 16 luglio ‘47, riporta l’intervento (poi ripreso dal Rapporto giudiziario del 4 settembre ‘47): “Lo Sciortino concluse dicendo che questa seconda parte del loro programma [la prima era stata la strage del 1° maggio] tendeva specificamente alla distruzione delle sedi dei partiti di sinistra, site nella zona di influenza del Giuliano, in modo da creare lo scompiglio e far sì che anche negli altri comuni gli aggressori trovassero imitatori”. È una frase che ricorda da vicino il documento del 25 giugno ’47, a proposito dei Far: “Anticipare l’azione di piazza per la conquista del potere”. Il Sis torna sull’argomento due settimane più tardi, il 10 luglio ‘47 (b. 44, f. LP40/ Arditi): “Con le annunciate manifestazioni degli Arditi (…), si vorrebbe provocare incidenti di piazza per dare modo al Partito comunista di scendere in campo con le sue forze, per una offensiva anticomunista in grande stile da parte delle organizzazioni militari clandestine [neofasciste]”. Infine, di “iniziative di piazza” parla anche il conte Armenise (condirettore della Bna), nell’ambito del “movimento anticomunista armato” da lui finanziato (cfr. MI5 britannico, 16 giugno ’47).
portare al golpe. Ma è un pesante atto di disubbidienza nei confronti delle potenti gerarchie eversive della capitale, uno sgarro che Romualdi e le sue squadre armate pagano a caro prezzo. Tra il 26 e il 27 giugno ’47 si scatena la micidiale rappresaglia dell’Upa. In poche ore, in Sicilia, sono massacrati a colpi di mitra Salvatore Ferreri, alias Fra’ Diavolo (il vice di Giuliano), e altri otto banditi. È l’inizio della fine per lo squadrone della morte monteleprino e per le Sam, l’Eca e i Far. La sconfitta del “Nuovo comando generale” segna il decollo definitivo dell’Upa – l’organizzazione parallela interna allo Stato che veglierà sul “pericolo comunista” per i successivi cinquant’anni – e della destra “istituzionale” dell’Msi di Giorgio Almirante.
Secondo il documento Sis del 25 giugno ’47, Giuliano è in rapporti anche con la mafia. A questo proposito, occorre precisare che il bandito, dal ’43, agisce sotto il controllo dei vari capifamiglia delle zone in cui opera: Vincenzo Rimi (Alcamo), Santo Fleres (Partinico), Domenico Albano (Borgetto), Salvatore Celeste (San Cipirello), Giuseppe Troia (San Giuseppe Jato), don Ciccio Cuccia (Piana degli Albanesi), don Calcedonio Miceli (Monreale). Sono questi padrini a determinare la particolare insorgenza del gruppo monteleprino e la scomparsa di tutte le altre bande di tipo tradizionale in Sicilia. Giuliano rappresenta un fatto nuovo nell’organizzazione criminale del territorio. Ne segna un salto qualitativo Il progetto di insurrezione golpista, nella direzione dei più alti livelli che doveva innescarsi con l’eccidio di istituzionali e politici del tempo, a Portella, fallisce perché il Pci e il Psi non cominciare dagli ambienti più reagiscono alla grave provocazione. disponibili a sperimentare il terrorismo Togliatti e Nenni sanno benissimo che di Stato e l’eversione antidemocratica: la strage altro non è che una gigantesca “Mormini del Fronte – leggiamo nel trappola destinata ad annientare i lungo rapporto – avrebbe dovuto partiti storici della sinistra italiana. Già raggiungere in Sicilia la banda l’8 maggio ’47, il Sis rileva che vi è una Giuliano, a contatto anche con la mafia spaccatura tra l’Upa e i Far, che diventa locale in parte a disposizione del suo definitiva con la nascita del quarto gruppo”. Non sappiamo chi sia questo governo De Gasperi, il 31 maggio ‘47, Mormini, ma il documento ci dice che quando comunisti e socialisti sono lavora per il Fronte antibolscevico estromessi dal governo. L’Upa avverte nell’isola, cioè per il “Nuovo comando che non è più necessaria una generale” neofascista. Più sfumato insurrezione violenta perché il “pericolo appare il quadro che l’estensore del comunista” comincia finalmente ad documento presenta circa le relazioni allontanarsi. Non così la pensano i Far, tra la mafia e il bandito. Probabilmente, che proseguono imperterriti sulla strada gli sfugge lo status di dipendenza del delle azioni terroristiche che dovranno gruppo terroristico dal più attrezzato
Don Calò Vizzini
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(anche sotto il profilo sociale) controllo mafioso del territorio. Sono infatti i padrini locali a determinare l’esistenza, la durata e persino i modi di essere di qualsiasi organizzazione criminale all’interno della nicchia di potere che esse si costruiscono. Fino alla vigilia di Portella, le famiglie mafiose sembrano paghe del loro tradizionale controllo territoriale. Sono in rapporti con autorevoli esponenti del mondo istituzionale ma non hanno ancora compiuto il salto verso lo Stato. Stentano a percepire il terrorismo come strategia di lotta politica ma non disdegnano di contribuire alla decapitazione delle leadership del movimento democratico. Nell’imminenza dell’evento stragista, i vecchi padrini nutrono ancora molti dubbi sul da farsi. A tutti loro pensa Salvatore Lucania (Lercara Freddi, 1897), alias Lucky Luciano, il super boss della mafia siculo – americana che arriva per la prima volta a Palermo nella primavera ‘46 (aprile, maggio e giugno) per poi ripartire durante l’estate per il Sud America (Brasile, Colombia e Venezuela). Dall’ottobre ’46 al marzo ’47 è a Cuba e il 12 aprile ’47 arriva a Genova a bordo di un piroscafo turco. Il 30 aprile è a Palermo, dove giunge con un treno speciale scortato da sei carabinieri. Il 22 giugno lascia l’hotel delle Palme per recarsi a Napoli. La data di arrivo e quella di partenza sono illuminanti: la presenza di Lucky
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Luciano è ritenuta imprescindibile dall’intelligence Usa (Angleton in testa) per appianare le divergenze che potrebbero svilupparsi tra i vari capifamiglia dell’isola nell’attuazione del golpe. Ad assicurare la necessaria tranquillità sul piano delle cosiddette “forze dell’ordine” troviamo un personaggio come Ettore Messana. Ma non è da questo versante che può arrivare la certezza sulle future coperture istituzionali e sociali di cui l’operazione stragista ha bisogno. La mafia garantisce non solo l’omertà necessaria ma anche la prospettiva del controllo interno agli stessi apparati dello Stato. E, al contempo, costituisce
i picciotti di Giuliano a Viterbo
il deterrente al disvelarsi di eventuali anelli deboli. Messana è l’uomo giusto al posto giusto, forte delle sue esperienze di criminale di guerra per gli atti genocidi compiuti tra il ‘41 e il ‘42 nella Slovenia occupata dalle truppe italiane. Ma non subisce alcun processo. Al contrario, nell’autunno ’44 è scelto ispettore generale di Ps in Sicilia dal secondo governo Bonomi, in straordinaria coincidenza con la nomina di Angleton a capo assoluto dello Special counter intelligence (Sci), il controspionaggio alleato in Italia. Si può quindi ipotizzare che il Comando alleato utilizzi i moti siciliani della fine del ’44 (ispirati e in gran parte organizzati dai servizi segreti di Salò) come contraltare al “pericolo rosso” che si sviluppa al nord (lotta partigiana) e al sud (leggi di riforma agraria del ministro comunista Fausto Gullo). Tuttavia, appaiono gravi le responsabilità del capo del governo, Ivanoe Bonomi, che nell’inverno ’44 – ’45 ricopre ad interim la carica di ministro dell’Interno. È lui a mettere Messana a capo della Ps in Sicilia, pur sapendo che questi figura negli elenchi dei criminali di guerra ricercati dalle Nazioni unite per “assassinio, massacri, terrorismo sistematico, torture di civili, violenza carnale, deportazioni di civili, internamento di civili in condizioni inumane, tentativi di denazionalizzazione degli abitanti dei territori occupati” (cfr. Repubblica
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Slovena, Archivio nazionale di Lubiana, b. 1551, 14 luglio ’45). Altrettanto sconcertanti risultano le mosse di Alcide De Gasperi. Durante il suo secondo governo (13 luglio ’46 – 20 gennaio ‘47), si registra la fase matura degli accordi tra intelligence Usa, clandestinismo neofascista e corpi dello Stato (ottobre – novembre ‘46). Questi ultimi fanno riferimento al ministero dell’Interno, al Sim, alla Ps e all’Arma dei carabinieri. È evidente che il Sis riferisce, per dovere d’ufficio, al ministro dell’Interno, carica ricoperta ad interim proprio da De Gasperi. Come abbiamo visto, la circostanza è denunciata in quelle settimane da una serie di preoccupati rapporti top secret redatti a Roma dall’intelligence britannica.
Mario Scelba diventa ministro dell’Interno con il terzo governo De Gasperi (2 febbraio – 13 maggio ‘47) e tale carica ricopre in maniera ininterrotta fino al ‘54. Il ministro è perfettamente a conoscenza del retroscena eversivo neofascista che porta alle stragi siciliane del maggio – giugno ‘47. Le migliaia di rapporti Sis prodotti nella primavera – estate ’47, e che riconducono in maniera inequivocabile all’alleanza tra servizi segreti statunitensi, squadre armate neofasciste, Arma dei carabinieri ed Esercito, sono ovviamente diretti proprio a lui. Tuttavia il 2 maggio ‘47, in piena Assemblea costituente, Scelba pronuncia un accalorato discorso nel quale nega l’esistenza di mandanti nella strage di Portella della Ginestra, definendola un fenomeno da collegare all’arretratezza feudale della Sicilia. In Italia si avvia così un’altra storia tra mistificazioni, inganni e omertà istituzionali. Quella della doppia lealtà, del doppio Stato.
La dinamica della strage di Portella della Ginestra Le sentenze di Viterbo e di Roma sulle stragi di Portella della Ginestra (1° maggio) e gli assalti alle Camere del Lavoro della provincia di Palermo (22
giugno 1947) condannano Salvatore Giuliano e gli uomini della sua banda come unici responsabili degli eccidi. Ma l’analisi delle deposizioni rese all’epoca dai testimoni e l’acquisizione di nuove documentazioni medico – legali consentono ora di mettere in discussione la versione ufficiale della strage del 1° maggio. In sintesi, nei giorni e nelle settimane successivi all’eccidio, numerose persone (tra queste, i quattro cacciatori catturati dalla banda Giuliano sui roccioni del Pelavet) rilasciano agli inquirenti dettagliate testimonianze sulla dinamica della sparatoria. I giudici del processo di Viterbo non tengono conto di tali dichiarazioni, che attestano la presenza di un misterioso gruppo di uomini sulle pendici del Cozzo Duxait (noto anche come monte Cometa o Kumeta) [cfr. Giuseppe Casarrubea (a cura di), Portella della Ginestra 50 anni dopo: documenti, volume II, Caltanissetta Roma, Salvatore Sciascia editore, 1999, pp. 29 - 66]; In particolare, segnaliamo i seguenti elementi. In data 2 maggio 1947, in Piana degli Albanesi, Vincenzo Petrotta, 46 anni, segretario del Pci di Piana, agricoltore, dichiara al Procuratore della Repubblica di Palermo, dott. Rosario Miceli: “[…] A un certo momento, vidi che dall’altra montagna Cometa, che trovasi di fronte a quella della Pizzuta, una trentina di uomini che si muovevano e sparavano pure. […] Posso assicurare che tanto dalla montagna Pizzuta che dalla Cometa sparavano con le mitragliatrici. Sentii inoltre che si sparava pure con mitragliatrici da un terzo posto e cioè dalle falde della stessa montagna Cometa, che digradano verso la galleria non molto lungi dalla diga del lago. […] So che due ragazzi di San Giuseppe Iato, che erano venuti insieme ieri con gli altri, videro nei pressi della galleria, di cui sopra ho fatto cenno, due persone che portavano addosso una mitragliatrice ciascuno. Essi erano stati allontanati dalla diga, verso cui erano diretti, da un uomo in maniche di camicia e con baffi che, qualificandosi per custode, aveva detto che in quei pressi non si poteva stare. […]”.
In data 3 maggio 1947, in San Giuseppe Iato, Giacomo Schirò, 39 anni, segretario della locale sezione socialista, calzolaio, dichiara: “[…] Ma avevo appena dato inizio al mio dire, e credo avevo parlato per circa dieci minuti, quando incominciò un crepitìo di colpi. Qualcuno si impaurì, ma altri disse: ‘Non temete, saranno spari di mortaretti’. […] Percepii anche che si sparava non solo dal costone della montagna Pizzuta, ma anche da un punto opposto, e precisamente dalla montagna Cometa. Infatti, oggi stesso, ritornato sul posto, ho potuto constatare che si vedono tracce di proiettili sulle pietre opposte la montagna Cometa. […] Ritengo che i primi colpi non produssero vittime perché il tiro non era aggiustato, mentre quando fu aggiustato cominciarono ad aversi morti e feriti. Ciò spiega perché da principio si riteneva trattarsi di fuoco di mortaretti. […] Pochi giorni fa hanno sparso la voce che gli americani erano sbarcati in Sicilia e che avrebbero fatto piazza pulita di tutti gli appartenenti al Blocco del popolo. […]”.
[…] Anche sulla montagna Cometa vidi persone, ma non posso stabilire se fossero pastori o banditi. […]”; e ancora: “[…] I primi colpi non furono neppure da me avvertiti, o almeno non li intesi passare sulla testa, e quindi penso che avessero avuto una direzione verso l’alto. Non posso dare spiegazione come mai i primi colpi non avessero raggiunto il podio, perché era naturale che si volessero colpire quelli che erano attorno al podio, che dovevano essere le autorità […]”. Cfr. Cav, verbale di continuazione di dibattimento, teste Giovanni Parrino, 13 giugno 1951, cartella n. 4, vol. V, n. 3, f. 382, retro.
provenivano dalle falde della Pizzuta. Ho guardato da quel lato ma non ho scorto nulla. Dapprima ho ritenuto trattarsi di mortaretti. […]”.
In data 23 maggio 1947, in San Giuseppe Iato, Pasquale Sciortino, 34 anni, sindaco di San Cipirello, dichiara: “[…] Randazzo Vincenza e Maniscalco Giovanna, in mia presenza, ebbero a dichiarare al vice questore di avere inteso, la mattina del 1° maggio, certa Trupiano Maria dire: ‘I preparativi sono buoni, ma ancora un u sacciu’; e l’altra frase: ‘Vanno cantando e tornano cacando’. Certo Russo Salvatore, inoltre, mi ha detto che la mattina del In data 4 maggio 1947, in Palermo, 1° maggio tale Grimaudo Giuseppe gli Rosario Cusumano, 12 anni, di San avrebbe detto: ‘Tu non ci vai perché ti Giuseppe Iato, dichiara: “[…] Una scanti delle bombe’, intendendo così persona, che io non conosco, cominciò riferire alla festa della Ginestra. […]”. a parlare dall’alto di un piccolo rialzo di pietre. Ma aveva pronunciato poche In data 27 maggio 1947, in Siena, frasi, quando incominciammo ad udire Nunzio Borruso, 22 anni, militare di degli spari. Sulle prime, si credette leva, dichiara: “[…] Alle ore 9 del trattarsi di spari di mortaretti ed io mi mattino, come ho detto, già ferveva la ero levato sulla punta dei piedi per festa, allorché sentimmo raffiche di guardare meglio. […]”. mitragliatrice provenienti dalla montagnola di Ginestra. A queste si In data 3 maggio 1947, in San In data 6 maggio 1947, in Palermo, aggiunsero subito dopo colpi di fucile Giuseppe Iato, Giuseppe Di Lorenzo, Anna Guzzetta, 46 anni, di San tedesco, provenienti dalla Cometa. Dico 32 anni, segretario della locale Camera Giuseppe Iato, dichiara: “[…] Il signor che trattasi di fucile perché lo riconobbi del lavoro, muratore, dichiara: “[…] Schirò salì sul podio che è al centro dal colpo, che faceva: ‘ta… pum, ta… Debbo ancora far rilevare che i colpi della radura ed aveva pronunciato pum’. […] Vidi soltanto tre uomini non venivano sparati soltanto dalla poche frasi per commemorare la sulla Cometa: uno con un montagna Pizzuta, ma doveva esserci giornata, quando si udirono raffiche di impermeabile bianco; un altro con una un appostamento in un sito opposto spari. Si credette trattarsi di spari di camicetta e un cappello grande scuro; il donde si sparò pure sulla folla, perché io mortaretti o razzi (carrittigghi), ma le terzo aveva stivali con pantaloni alla ho constatato tracce di proiettili sulle raffiche si ripeterono e la gente cavallerizza. […]”. pietre del poggetto, e precisamente su cominciò ad essere colpita e a cadere al quelle opposte alla montagna della suolo. […]”. In data 11 giugno 1947, in San Pizzuta. […] Una donna di cui Giuseppe Iato, Pietro Tresca, 55 anni, sconosco il nome, ma che posso ora In data 15 maggio 1947, in di San Giuseppe Iato, dichiara: “[…] rintracciare, mi disse che da parte di Palermo, Vincenza Spataro, 48 anni, di Mentre parlava Schirò Giacomo, un’altra donna, moglie di un borgese a San Giuseppe Iato, dichiara: “[…] Ad abbiamo udito degli spari che dapprima nome Balestreri Domenico, la mattina un tratto abbiamo udito degli spari, che furono ritenuti prodotti da mortaretti. del 1° maggio mentre si avviava alla da prima furono ritenuti prodotti da […]”. Ginestra, ricevette questa mortaretti. […]”. intimidazione: ‘Oggi vi finirà bene la Vincenzo Di Salvo (figlio di Filippo festa’. […]”. In data 15 maggio 1947, in San Di Salvo, una delle vittime) si trova Giuseppe Iato, Nicolò Napoli, 48 anni, sotto il palco e ode come dei mortaretti. In data 4 maggio 1947, in Piana di San Giuseppe Iato, dichiara: “[…] Cfr. dichiarazione resa al sottoscritto degli Albanesi, Giovanni Parrino, 42 Di un tratto furono uditi gli spari. prof. Casarrubea, nell’aprile 1998. anni, maresciallo dei carabinieri di Dapprima ritenni trattarsi di fuochi Piana degli Albanesi, dichiara: “[…] artificiali, però poco dopo ho visto In data 29 maggio 1947, in Egli [Giacomo Schirò] iniziò il suo cadere uccisa sul colpo una donna. Palermo, Salvatore Fusco (uno dei 4 discorso dicendo che finalmente si […]”. cacciatori catturati da Salvatore ritornava alla vecchia consuetudine di Giuliano prima della strage), bracciante festeggiare il 1° maggio ed aveva In data 15 maggio 1947, in San di Piana degli Albanesi, dichiara: “[…] aggiunto altre poche parole quando si Giuseppe Iato, Menna Farace, 17 anni, Aggiungo che mentre eravamo a terra, udirono alcuni spari, che io e gli altri contadino, dichiara: “[…] Ad un tratto guardati, notai sul monte Kometa di percepimmo come spari di mortaretti. abbiamo udito degli spari che fronte a noi numerosi altri individui. Ci
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venne detto che erano compagni dei malfattori. […]”. E ancora: “[…] Il segnale d’allarme [prodotto dalla sirena portatile di Giuliano], secondo quanto essi riferirono, doveva essere dato forse a quelli sulla Kumeta. […]”. Cfr. Agca, verbale di continuazione di dibattimento, interrogatorio 28 maggio 1947, cartella 4, vol. V, n. 3, foglio 321 e retro.
leader comunista siciliano Girolamo Li Causi, nel dibattito svoltosi alla Camera dei Deputati il 2 maggio 1947, riferisce che “dai due costoni, la Cometa e la Pizzuta, sono partite raffiche di mitragliatrice”.
Sul quotidiano l’Unità dell’8 maggio 1947, leggiamo: “[…] Testimoni oculari hanno dichiarato che a partecipare all’operazione sono stati Vari quotidiani nazionali, in data 2 dai 40 ai 50 assassini. Essi dovevano e 3 maggio 1947, segnalano la presenza aprire un fuoco incrociato sui lavoratori di misteriosi individui sulle pendici del dai costoni di Monte Pizzuta e di Cozzo Duxait. Il Giornale di Sicilia del Monte Cometa. Il disegno 2 maggio 1947 scrive: “[…] Qualcuno dell’aggressione era infatti di addita all’altra montagna: mentre da proporzioni molto più vaste di quanto monte Pizzuta si spara, da monte sia stato effettuato e, se esso fosse Kumeta altri assassini seguono immobili riuscito secondo i piani dei mandanti, la sotto i tabarri la scena, le armi al piede. zona di Piana delle Ginestre sarebbe […]”. Su l’Unità del 3 maggio 1947, stata il 1° maggio ricoperta di cadaveri. leggiamo: “[…] Scariche di Per un puro caso, invece, gli individui mitragliatrice, provenienti dai che erano appostati sui costoni del sovrastanti costoni della Pizzuta e della Monte Pizzuta hanno dovuto aprire il Cometa, si abbattevano sul luogo del fuoco prima che quelli destinati a comizio. […] Un nutrito fuoco sparare da Monte Cometa incrociato si protraeva per venti minuti, raggiungessero le loro postazioni. Essi mentre la folla si disperdeva in corsa in [gli uomini sul Pizzuta] sono stati infatti tutte le direzioni. […] Anche sul scoperti da un giovane di San Giuseppe, costone della Cometa si notavano che era andato a fare erba per i muli. gruppi di uomini in ritirata e pare, anzi, Uno degli uomini appostati aprì allora il che da essi fosse partito il segnale di fuoco sul giovane. A lui fecero seguito i fuoco. […]”. Anche La Voce della mitra degli altri puntati sulla folla. Sicilia del 2 maggio 1947 riporta […]”. l’episodio: “[…] Intanto, sul costone Secondo Felice Chilanti, la mattina della Cometa si notava un gruppo di del 1° maggio la folla nota un gruppo di uomini che si ritirava. Pare che da essi uomini sul Cozzo Duxait (cfr. il volume era partito il segnale di fuoco. Poco Tre bandiere per Salvatore Giuliano, prima, all’imboccatura della galleria – cit., p. 107). che fa parte di una strada ferrata incompiuta che unisce Piana dei Greci Scrive ancora Il Giornale di Sicilia a San Giuseppe Iato – una macchina del 2 maggio 1947: “[…] Un po’ più a attendeva dentro la galleria, che dovette valle, intanto, due ragazzetti venuti giù accogliere gli uomini della Cometa. da San Cipirello bighellonavano in riva Questi sarebbero dovuti intervenire a al lago. Cercavano fave e volevano forse fare fuoco incrociato, se quelli della fare un bagno. Ma c’era parecchia Pizzuta fossero stati fatti segno ai colpi gente in giro, affaccendata, che non della forza pubblica, che avrebbe voleva importuni tra i piedi. Poi venne dovuto trovarsi presente al comizio, ma un grosso camion rosso con a bordo che, invece, era presente solo con tre cinque o sei figuri e si cacciò nella uomini […]”. Su La Stampa del 3 galleria presso il lago. Dall’altro lato, maggio 1947, leggiamo: “[…] Dal s’era ai piedi di Monte Pizzuto d’onde monte Cometa altri criminali erano con s’organizzava l’agguato. I ragazzi le armi al piede, pronti a dar man forte guardavano un poco e poi tiravano ai compagni di delitto se da parte della dritto, abituati ad essere poco curiosi. folla si fosse tentata la reazione […]”. E, Ad un tratto, uno sussurrò piano infine, su Il Messaggero del 3 maggio qualcosa all’altro, e si nascosero: 1947: “[…] Da monte Cometa, fermi passava carponi un tizio con sulle spalle con le armi al piede, immobili nei loro un’arma grossa che avevano visto di tabarri, altri briganti osservavano la rado in giro, pur in questi tempi larghi scena e l’opera bieca dei loro colleghi di esibizioni del genere. A fatica si è del monte Pizzuta […]”. Anche il riusciti poi a capire che si trattava di
una mitragliatrice pesante, del tipo in uso nel nostro esercito. I ragazzi rimasero un attimo senza respiro, poi pensarono di raggiungere la comitiva, ché quel luogo era poco rassicurante per troppi sintomi […]”. Giorgio Parrino, originario di Piana degli Albanesi, inteso “il sergente”, ha raccontato qualche anno fa al prof. Giuseppe Schirò (abitante a Piana degli Albanesi) il seguente episodio: “Il 1° maggio 1947, tra le 7 e le 8 del mattino, in compagnia del mio amico Filippo Camarda, salivo le falde della Kumeta per andare a mangiare la ricotta presso la mandria della famiglia Riolo. Arrivati nei pressi di un poggio roccioso, abbiamo sentito un ‘Urrà!’ gridato da un gruppo di uomini appostato dietro ai massi. Dopo che abbiamo risposto, babbiando, con un altro ‘Urrà!’, siamo stati avvicinati da uno del gruppo che indossava un impermeabile bianco, che era uscito da dietro quelle rocce. Quello, in siciliano, ci ha chiesto chi eravamo e che cosa facevamo da quelle parti. Dopo che ha saputo che il mio amico era figlio del mandriano di Giuseppe Riolo [capomafia di Piana degli Albanesi], l’uomo con l’impermeabile ci ha detto di andare via”. Maria Baio, maritata Cuccia, nata a Piana dei Greci, ma domiciliata a San Giuseppe Iato, dichiara che la mattina del 1° maggio la vicina di casa Antonia Partelli, vedova, le si rivolge dicendo: “Vanno a Portella ma non sanno che lì ci stanno gli americani che devono buttare le caramelle!”. La Baio di rimando: “Botta di sangue in bocca, che andate dicendo?”. Allora quella riprende: “Io lo dico per ischerzo, ma sapete che a Palermo ci stanno i soldati americani?” [cfr. Giuseppe Casarrubea, Portella della Ginestra. Microstoria di una strage di Stato, Milano, Franco Angeli, 1997, p. 300, rapporto del questore Filippo Cosenza al Procuratore della Repubblica di Palermo]. Cfr. anche Rosa Mecarolo e Angelo La Bella, Portella della Ginestra, Milano, Teti, 2003. In un articolo apparso sul settimanale L’Espresso in data 7 maggio 1967, titolo: E Giuliano li andò ad ammazzare, il giornalista Lino Jannuzzi scrive: “[...] La Fata Vincenzo, un pastore, dichiara: ‘Passò un gippone di
In un manuale di combattimento in dotazione agli agenti dell’Oss (titolo: Armi speciali, congegni ed equipaggiamenti, febbraio 1945, cfr. il volume Come nasce la repubblica, cit., p. 204, nota 98, titolo: Attività del bandito Giuliano in Sicilia), troviamo un capitolo illustrato sul funzionamento di un “simulatore di bomba aerea” che, prima di esplodere come un grosso petardo, emette un fischio assordante di circa 3 secondi e mezzo. Come abbiamo visto, molti dei presenti a Portella in quel drammatico giorno ricordano di aver sentito, pochi secondi prima dell’inizio della sparatoria, una rapida successione di scoppi e di fischi prolungati scambiati dalla folla per fuochi d’artificio. Vale notare che decine di persone subiscono quella mattina ferite nelle parti basse del corpo (piedi, gambe, cosce e glutei). Stupisce, infine, che il probabile uso di esplosivi a Portella della Ginestra sia citato nella sentenza del processo di Viterbo in appena mezzo rigo [cfr. Giuseppe Casarrubea (a cura di), La strage di Portella della Ginestra, vol. III, Documenti, Sentenza di Roma del 10 agosto 1956, Caltanissetta - Roma, Salvatore Sciascia editore, 2001]. In un’intervista pubblicata nell’edizione palermitana del quotidiano la Repubblica in data 20 settembre 2003 (titolo: All’antimafia l’archivio Usa), lo storico Francesco Renda afferma: “[…] Io partecipai ai sopralluoghi [a Portella della Ginestra, il 1° maggio] con i carabinieri. La presenza di un lanciagranate non mi sembra che escluda per forza Giuliano. Era il colonnello dell’esercito indipendentista dell’Evis, poteva averlo un lanciagranate. E la traiettoria dei colpi, così come ufficialmente riconosciuta, pare l’unica attendibile: c’erano mille persone, ne morirono undici e ne rimasero ferite trenta. Il tributo di sangue sarebbe stato ben più pesante se la folla fosse stata bersagliata da un tiro incrociato. Domanda [di Enrico Bellavia]: Lei era l’oratore di Portella, fu mai interrogato? Risposta: Mai, io arrivai a bordo di una sgangherata motocicletta. Avevo
venticinque anni, ero un attivista della Federterra e meditavo di tornare ai miei studi universitari […]”. Per la prima volta in 56 anni, lo storico rivela di aver preso parte ai sopralluoghi sul luogo della strage assieme all’Arma dei carabinieri. Nel corso di un colloquio sostenuto con il sottoscritto Giuseppe Casarrubea nell’agosto del 1998, anche il giornalista e critico d’arte Franco Grasso rivela di essere arrivato a Portella poche ore dopo l’eccidio.
Le perizie medico – legali sui feriti Tra le decine di feriti, segnaliamo i seguenti casi. Cristina La Rocca (San Cipirello, 9 anni) è seduta su un sasso a circa venti metri dal podio, con la Pizzuta alle spalle. Uditi i primi colpi, li scambia per fuochi d’artificio e prende a battere le mani. Subito dopo sente come una gragnuola di sassi che colpiscono le pietre vicine e pensa: “E che, tirano sassi?”. Subito si alza e corre verso suo padre, che è accanto al podio, ma si sente mancare e cade a terra. La sparatoria è in pieno svolgimento. Suo padre la raggiunge, la solleva ed inizia a correre verso Piana degli Albanesi. A piedi, la porterà in braccio fino a San Cipirello dove, sfinito, morirà di collasso cardiaco alcuni giorni dopo. Cristina è colpita da qualcosa alla regione lombare sinistra (cfr. radiografia realizzata nel 1947). Nel foglio di accettazione dell’Ospedale Civico e Benefratelli di Palermo, in data 1° maggio, ore 17.00, leggiamo: “[…] Ferita d’arma da fuoco emitorace sinistro penetrante in cavità. […]”. Sempre in data 1° maggio, nel verbale di perizia, il dott. Martorana annota: “[…] Rimosse le bende, si osserva una lesione di continuo di forma circolare a bordi introflessi. […] La Rocca Cristina ha subito una ferita di arma da fuoco all’emitorace sinistro penetrante in cavità. […]”; e il 23 maggio: “[…] Sulla qui presente La Rocca Cristina, si osserva in corrispondenza del decimo spazio intercostale […] una crosta ematica della grandezza di 1 centimetro circa, di forma rotondeggiante. Alla palpazione, la paziente avverte dolore. Giudico che la crosta ematica è il reliquato di una ferita di arma da fuoco lunga e costituisce il foro di entrata del
proiettile. […]”. In data 17 aprile 1997, a Palermo, il dott. Livio Milone (specialista in medicina legale all’Università di Palermo) visita Cristina La Rocca ed esegue una radiografia. Scrive il medico: “[…] Esame radiografico torace: presenza di corpo estraneo metallico in sede basale paramediana sinistra che il L – L si proietta posteriormente al cuore e, pertanto, localizzato nel parenchima polmonare del lobo inferiore sinistro. Considerazioni medico – legali: la signora La Rocca Cristina venne attinta da un frammento metallico alla regione lombare sinistra con orificio d’entrata posto centimetri 10 sopra la bisiliaca e centimetri 8 a sinistra della medio – vertebrale, nonché ad una altezza dal
Giuliano e Pisciotta (Chilanti)
suolo di centimetri 102. Il frammento penetrato negli strati sottocutaneo e muscolare della regione lombare è risalito in alto sino a pervenire in sede basale paramediana sinistra, venendo ritenuto in corrispondenza del lobo inferiore del polmone sinistro. Dall’esame diretto delle lastre radiografiche, si rileva nella proiezione antero – posteriore, la presenza di un corpo estraneo di densità metallica, attribuibile verosimilmente a scheggia metallica proveniente da frammentazione di proiettile d’arma da fuoco o di bomba o di lamiera metallica, avente conformazione grossolanamente quadrangolare delle dimensioni di mm. 6,2 per mm. 7,5 sui radiogrammi in A – P, e di mm. 8,3 per mm. 9,6 sui radiogrammi L – L. Considerando la presenza della cicatrice residuata all’originario foro d’entrata, regione lombare sinistra, e considerando la sede di ritenzione del ‘proiettile’, si può ritenere che il detto elemento sia pervenuto sul corpo con forte inclinazione dal basso verso l’alto, da un punto di fuoco posto alla sinistra del soggetto. […]”. Infine, la bambina racconta che, mentre si reca con tutta la famiglia a Portella, alcune persone si rivolgono ai suoi genitori esclamando: “Va purtastivu a mattula cu spiritu?” (Vi siete portati bambagia e alcool?). Cfr. dichiarazione resa al sottoscritto Casarrubea nell’aprile del 1998.
GLI
corsa [dopo la strage], coperto di polvere, con due uomini in divisa americana e uno dietro con un impermeabile chiaro. Andavano verso Monreale’. [...]”.
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Stern pranza da Giuliano 8 maggio 1947
Maria Caldarera (San Giuseppe Jato, 35 anni) si trova di fronte al Sasso Barbato, con il viso rivolto agli oratori. Ha davanti a sè la Pizzuta e, alle spalle, la Kumeta. Uditi i primi colpi, che anche lei scambia per mortaretti, si volge a destra e vede alle sue spalle, a circa due metri, il terreno che si gonfia e si solleva (“La terra si sparmau”, racconta al sottoscritto Casarrubea nell’aprile del 1998). Spaventata, fugge verso lo stradale, lo supera e sale correndo il pendio della Kumeta. Percorse poche decine di metri, sente il piede destro nella scarpa come bagnato. Si ferma e scopre di avere tutta la gamba destra coperta di sangue. Maria è colpita da qualcosa che, penetratole sotto il gluteo destro (a 61 cm da terra), le esce sul lato anteriore della coscia a 64 cm da terra, cioè con una direzione dal basso verso l’alto e dall’indietro al davanti. È probabile che la donna sia raggiunta dalla scheggia dell’ordigno che ha visto esplodere alle sue spalle poco prima. Nel verbale di perizia, compilato in data 1° maggio 1947 presso l’ospedale Filiciuzza di Palermo, il dott. Costantino Martorana scrive: “[…] In corrispondenza della coscia destra, presenta una lesione di continuo della grandezza di un cece, a bordi introflessi (foro d’entrata). Altra lesione di continuo si nota allo stesso lato, a bordi estroflessi (foro d’uscita). […] Giudico che la Caldarera Maria ha subìto una ferita di arma da fuoco. […]”; nel foglio di accettazione dell’Ospedale Civico e Benefratelli di
Palermo, sempre il 1° maggio, leggiamo: “[…] Ferita d’arma da fuoco un terzo superiore coscia destra. Anamnesi: ferita coscia sopra interessante le parti molli, con foro d’entrata alla faccia antero – esterna e foro d’uscita alla faccia posteriore. […]”. In un secondo verbale di perizia, in data 23 maggio, il dott. Martorana annota: “[…] Giudico che le soluzioni di cui sopra costituiscono rispettivamente foro di entrata e foro di uscita di un proiettile di arma lunga da fuoco. […]”.
la spina della scapola e ritenzione del proiettile in corrispondenza della regione deltoidea. Altra ferita all’indice e al medio della mano sinistra, con frattura della seconda falange dell’indice. […]”. Nel verbale di perizia del 1° maggio, il dott. Martorana scrive: “[…] Presenta ferita di arma da fuoco alla spalla sinistra a bordi introflessi (foro di entrata) in corrispondenza della spina della scapola. Altra ferita della stessa natura alla mano sinistra con frattura aperta della prima falange. Altra ferita alla regione inguinale destra, penetrante in cavità, e foro di uscita alla regione sacrale. […]”; e nel verbale del 19 maggio, a proposito della lesione alla spalla sinistra: “[…] Il proietto trovasi ancora tra i tessuti della regione scapolare sinistra, […]”. È probabile che il Fratello sia stato colpito contemporaneamente da almeno 3 schegge di una granata esplosa sul terreno, alla sua sinistra. Secondo la dichiarazione resa dal Fratello al prof. Milone nel 1997, il “proiettile” penetratogli nella regione scapolare sinistra è estratto in un periodo successivo al 19 maggio.
Gaspare Pardo (San Giuseppe Jato, 19 anni) è in piedi sul podio del sasso Barbato, alla sinistra dell’oratore Schirò. Ha il viso rivolto verso la strada e, alle spalle, la Pizzuta. Mentre si gira a sinistra per essere fotografato da un amico, ode dei botti, che scambia come Giuseppe Fratello (San Giuseppe il segnale di inizio della festa. Subito Jato, 34 anni) si trova sullo stradale con dopo, è colpito da qualcosa alla spalla il viso rivolto verso il podio e con, alle destra ed esclama: “Che tirate a fare spalle, la Kumeta. È colpito questi sassi?”. Subito dopo, vede cadere contemporaneamente alla mano Filippo Di Salvo e Vincenzina La Fata. sinistra, alla spalla sinistra e alla regione Nei pressi, si trova anche suo cognato, inguinale destra (“Ho avvertito come un Alfonso Di Corrado (ferito al calcagno pugno alla mano sinistra e poi anche da vari frammenti metallici). Nel alla spalla sinistra”, rivela al dott. verbale di perizia del 10 giugno 1947, il Milone nel 1997). Nel foglio di dott. Martorana scrive: “[…] Si rileva accettazione dell’Ospedale Civico e quanto appresso: 1) Alla regione Benefratelli di Palermo, in data 1° infrascapolare destra, due cicatrici maggio, alle ore 15.20, leggiamo: “[…] ovulari, superficiali, alla distanza di Ferita d’arma da fuoco alla spalla circa 2 centimetri l’una dall’altra; 2) Al sinistra, alla mano sinistra ed alla braccio destro, terzo medio, si nota una regione inguinale destra. […] Esame cicatrice di forma lineare, superficiale, obiettivo: ferita a proiettile di medio della lunghezza di circa 3 centimetri e calibro con foro d’entrata alla regione larga 1 centimetro. Giudico che le inguinale destra e foro d’uscita alla cicatrici, di cui al punto 1, sono regione sacro destra, con lesione degli rispettivamente il foro di entrata e organi interni. L’addome si presenta in quello di uscita di un colpo di arma contrattura in corrispondenza lunga da fuoco, che ha attraversato dell’ipocondrio destro. Altra ferita alla solamente cute e sottocute. La cicatrice, spalla sinistra con foro di entrata lungo di cui al punto 2, è stata prodotta da un
proiettile di arma lunga da fuoco, che ha colpito di striscio la cute del braccio. Il Pardo è guarito in giorni 10 senza conseguenze. […]”. Con ogni probabilità, e contrariamente a quel che afferma Martorana, le 2 schegge che colpiscono Pardo (ma anche Di Salvo, Caldarera e Di Corrado) provengono da una granata esplosa davanti al podio.
che: “[…] All’esame obiettivo, si riscontra quanto è stato già detto, e cioè, con dettagli, dirò che si riscontra cicatrice da ferita da scoppio di pallottola dum – dum alla faccia posteriore del calcagno destro. È questa la sede di penetrazione del proiettile. La cicatrice del foro di uscita è alla faccia interna del piede, a livello dell’articolazione del collo del piede. […] L’esame radiografico mostra schegge di proiettile quasi puntiformi a livello del calcagno. Lo scheletro è integro. Possiamo concludere che il Di Corrado fu colpito da proiettile d’arma da fuoco, verosimilmente fucile o mitra, tirato a distanza e che con direzione dall’indietro all’avanti attraversò le parti molli del piede. La guarigione dovette avvenire entro un mese. Non si ebbero esiti. […]”. Gaspare Pardo, imparentato con il Di Corrado, conferma che l’uomo è ferito da diverse schegge al calcagno destro (dichiarazione resa al sottoscritto Casarrubea nell’aprile del 1998).
dentro, un carrittigghiu (un petardo). Cfr. testimonianza resa al sottoscritto Casarrubea nell’aprile del 1998. Trasportato a Palermo, muore il 3 maggio. Nel verbale di perizia del 1° maggio, il dott. Martorana scrive: “[…] Presenta una lesione di continuo da intervento chirurgico all’addome per ferita di arma da fuoco alla regione epicolica sinistra, con foro d’uscita alla Alfonso Di Corrado (San Giuseppe regione lombare stesso lato. Si notano Jato, 25 anni, bracciante) è ricoverato lesioni multiple sul tenue ed al colon alle ore 15.20 del 1° maggio discendente. […]”. Nel rapporto inviato all’Ospedale Civico e Benefratelli di al procuratore della Repubblica di Palermo perché “[…] Affetto da ferita Palermo in data 4 maggio, il dott. d’arma da fuoco al piede destro. Martorana scrive che il bambino “[…] Anamnesi: ferito durante l’eccidio di È deceduto per ferite d’arma da fuoco Portella della Ginestra. Esame e diario: alla regione apicolare destra, penetrante ferita da scoppio della grandezza di una in cavità con lesione intestinale (colon moneta da cinque centesimi circa. discendente e tenue) e foro di uscita alla Margini frastagliati sulla faccia naturale regione lombare dello stesso lato. Tali al di sotto del malleolo. Esame lesioni sono state prodotte da proiettile obiettivo: alla spellazione si apprezza unico a pallottola di arma automatica presenza di corpi estranei di aspetto […]”. Infine, nella relazione di perizia metallico. Radiograficamente: del 3 giugno 1947, il dott. Martorana e frammenti metallici multipli regione il dott. Bambino, scrivono: “[…] La calcagno destro. 10.5.47: si estrae una lesione riscontrata sul cadavere era stata piccola scheggia metallica. 15.5.47: si Filippo Di Salvo (San Giuseppe sicuramente prodotta da un unico estrae una grossa scheggia metallica. Iato, 49 anni). La mattina del 1° maggio proiettile a pallottola. Le dimensioni 19.5.47: si estrae altra scheggia 1947 si trova vicinissimo al Sasso delle due soluzioni (d’entrata e d’uscita), metallica. […]”. Sempre in data 1° Barbato e ascolta l’oratore che parla sul d’altra parte, fanno argomentare che il maggio, nel verbale di perizia podio, dinanzi a lui. Di Salvo ha il viso proiettile non doveva essere di grosso consegnato al Procuratore della rivolto verso la Pizzuta e volge le spalle calibro, ma di calibro ridotto e Repubblica di Palermo, il dott. allo stradale e alla Kumeta. presumibilmente dello stesso tipo di Costantino Martorana annota: […] All’improvviso è ferito al labbro quelli repertati durante l’autopsia del “Visitato il qui presente Di Corrado inferiore e nella cavità orale. Nel Megna Giovanni e del Vicari Alfonso di Salvatore, lo stesso presenta: pomeriggio del 1° maggio è ricoverato Francesco. […] Una migliore ferita di arma da fuoco al tallone destro, all’Ospedale Civico e Benefratelli di precisazione potrebbe farsi conoscendo penetrante in cavità nella regione tibio Palermo. Il verbale di perizia del 7 la planimetria e la topografia dei luoghi tarsica, a bordi introflessi (foro giugno 1947, rileva: “[…] Si nota della strage, e soprattutto della d’entrata). […]”; e il 19 maggio: “[…] l’asportazione del canino inferiore posizione nella quale venne trovato il Richiesta la radiografia, già eseguita, si sinistro e di due premolari inferiori a cadavere. Mancandoci l’uno e l’altro nota che vi è situazione di due schegge sinistra. Il paziente presenta agitazione elemento di orientamento, dobbiamo di proiettile al calcagno. Giudizio: febbrile e lievissima rigidità nucale. Pur limitarci a identificare la direzione del giudico che le soluzioni di continuo di avendo la coscienza e volontà dei propri colpo, ricavandola dal corpo della cui sopra, costituiscono rispettivamente atti, presenta un lieve stato vittima in posizione anatomica (eretta). foro d’entrata e foro di uscita di confusionale. […] L’asportazione dei In tali condizioni, il colpo appare proiettili di arma lunga da fuoco. […]”. denti sopra indicati è stata causata da diretto dall’avanti all’indietro e dall’alto Il dott. Martorana non accenna al fatto corpo contundente scagliato con in basso (il foro di entrata infatti che al Di Corrado sono estratte 3 violenza, probabilmente scheggia di corrispondeva alla regione epicolica schegge metalliche tra il 10 e il 19 proiettile o di pietra. […]”. Filippo Di sinistra, mentre il foro di uscita si maggio (cfr. il foglio di accettazione Salvo muore l’11 giugno per infezione trovava posteriormente più in basso alla delle ore 15.20 del 1° maggio). Inoltre, tetanica. È probabile che sia stato regione lombare dello stesso lato). Lo il chirurgo parla ora, per la prima volta, colpito alla bocca dalla scheggia di una sparatore, stando a questi risultati, di un foro di uscita, contrariamente a granata esplosa nei pressi del Sasso doveva cioè occupare una posizione ciò che ha affermato nel verbale di Barbato. sopraelevata rispetto alla vittima. […] perizia del 1° maggio. Infine, nella Conclusioni: 1) le ferite riscontrate sul “Relazione di perizia su Di Corrado Giovanni Grifò racconta che il suo cadavere del piccolo Grifò Giovanni (a Alfonso” dell’11 novembre 1947, il dott. omonimo zio (12 anni) si trova sullo prescindere dalla ferita laparatomica Martorana scrive che il bracciante è stradale, accanto a un palo telefonico. È chirurgica) sono state prodotte da un stato “investito da raffica di rivolto verso il palco. Colpito al petto, unico proiettile a pallottola; 2) l’arma mitragliatrice” e, poche righe dopo, afferma di avere qualcosa che gli brucia adoperata è stata sicuramente un’arma
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di grande potenza balistica e presumibilmente un’arma lunga da fuoco rigata; 3) il colpo è stato sicuramente esploso al di fuori dei limiti delle brevi distanze. Teoricamente, la distanza di sparo è identificabile in quella zona della traiettoria indicata come zona delle perforazioni o delle distanze medie (400 – 1000 metri circa). […]”. Da rilevare la confusione che è fatta nei tre rapporti tra lato destro e lato sinistro delle lesioni. In ogni modo, è verosimile che il Grifò sia stato colpito da un proiettile calibro 9 parabellum, lo stesso tipo di proiettile che uccide anche la bambina Provvidenza Greco (anche lei sullo stradale).
due verbali citati, Martorana non accenna mai alla presenza del proiettile ritenuto nel cranio della Greco, elemento che è invece notato fin da subito nella radiografia realizzata il 1° maggio dal pronto soccorso dell’Ospedale Civico di Palermo. Ma alcuni mesi dopo, nella relazione di perizia del 25 ottobre 1947, il medico scrive: “[…] La piccola perizianda fu ferita da pallottola di fucile che, penetrando nell’orbita destra verso il suo contorno inferiore, andò ad arrestarsi contro la rocca petrosa dello stesso lato, rimanendo trattenuta all’interno della cavità cranica. La bambina perdette la coscienza e non la recuperò che dopo circa tre ore, nella Provvidenza Greco (San Giuseppe propria abitazione dove era stata Iato, 13 anni) è colpita alla testa da un frattanto trasportata. La madre riferisce proiettile. Racconta Andrea Greco che essa, oltre che dalla ferita alla (fratello maggiore della ragazza): “[…] palpebra, perdeva sangue anche Alla mia destra, le pallottole mietevano dall’orecchio destro (otorragia), e che da l’erba. Io ero buttato a pancia in giù allora ha presentato deturpazione della verso la Pizzuta, verso il podio. Quando armonia facciale, impossibilità di la sparatoria si calmò, sono andato per chiusura dell’occhio destro, difficoltà di trovare mia sorella e l’ho vista in un pronuncia, stiramento della rima labiale piccolo burrone verso la strada. Me la verso sinistra: in una parola, i segni di caricai sulle spalle e mi diressi verso San una paralisi del nervo facciale destro. Giuseppe Iato. […]”. Cfr. dichiarazione […]”. Dall’esame della radiografie resa al sottoscritto Casarrubea realizzata sulla bambina nel 1947, nell’aprile del 1998. Nel foglio di notiamo la ritenzione di un proiettile accettazione dell’Ospedale Civico e calibro 9 Parabellum, lo stesso tipo di Benefratelli di Palermo, in data 1° proiettile che si trova ancora nelle carni maggio alle ore 15.00, leggiamo che la di Francesco La Puma. Provvidenza ragazza ha subìto una “[…] Ferita Greco muore nel 1951 in conseguenza d’arma da fuoco alla regione orbitaria delle lesioni riportate durante la strage. destra. […] Esame obiettivo: ferita con foro di entrata nella regione sotto Francesco La Puma (San Giuseppe orbitale destra. Chimosi della Iato, 25 anni, bracciante) è di fronte al congiuntiva e delle palpebre. […]. palco (alla sua sinistra si trova Salvatore Radiografia: presenza proiettile in Invernale, anche lui ferito) e ode corrispondenza della rocca petrosa all’improvviso come dei mortaretti. destra. […]”. Nel verbale di perizia del Subito dopo è colpito all’emitorace 1° maggio, il dott. Martorana annota: anteriore destro da un proiettile, che è “[…] Si presenta una lesione di ancora nelle sue carni. La Puma è continuo di forma semi circolare della rivolto verso il podio e volge le spalle grandezza di 1 centimetro a bordi alla Kumeta. Nel foglio di accettazione introflessi, in corrispondenza della dell’Ospedale Civico e Benefratelli di regione orbitaria destra. Si osserva Palermo, in data 1° maggio 1947, ecchimosi della congiuntiva. […]; e in leggiamo: “[…] Esame radiografico: un secondo verbale (23 maggio): “[…] presenza di proiettile di medio calibro Giudico che la soluzione di continuo di in corrispondenza della clavicola destra. cui sopra costituisce il foro di entrata di […]”. Sempre il 1° maggio, nel verbale un proiettile di arma lunga da fuoco, di perizia, il dott. Martorana, annota: che ha prodotto eventuali lesioni “[…] In corrispondenza della spalla interne alla massa cerebrale o alla base destra regione anteriore, ed in vicinanza cranica, non ancora guarita. È del cavo ascellare, si nota una cicatrice opportuno sottoporre la Greco ad di forma rotondeggiante dal diametro esame radiografico e all’esame di uno di circa 1 centimetro. […] Alla specialista in malattie nervose per gli palpazione, il paziente avverte dolore e accertamenti neurologici. […]”. Nei dolore avverte altresì alla regione
scapolare corrispondente. […]”. Nel verbale del 1° maggio (ma anche in un secondo documento del 16 maggio), Martorana non fa alcun accenno alla presenza del proiettile ritenuto nella spalla di La Puma. Infine, dalla relazione di perizia del 28 agosto 1947, apprendiamo che: “[…] Praticate radioscopie, si vede nella regione toracica profondamente stirata un proiettile lungo circa 10 mm, che ha i caratteri di un proiettile di mitra. […]”. In data 17 aprile 1997, a Palermo, il dott. Livio Milone visita La Puma. Scrive il medico: “[…] Dall’esame diretto delle lastre radiografiche si rileva nella proiezione antero – posteriore la presenza di un corpo estraneo di densità metallica, attribuibile chiaramente a proiettile d’arma da fuoco, indovato tra le parti molli della regione posteriore del torace a livello dell’arco posteriore della seconda costola. Il proiettile appare avere conformazione cilindro – ogivale con punta rivolta verso il basso e verso l’esterno, delle dimensioni sui radiogrammi di mm. 17,00 per mm. 9,5. Si è proceduto quindi a raffronto sugli stessi radiogrammi con proiettile ‘test’ calibro 9 Parabellum interamente camiciato, proveniente da smontaggio di cartuccia calibro 9 marca ‘Fiocchi’, mod. ‘9 M 38’, di produzione dell’anno 1943, posta sul torace del soggetto anteriormente, alla stessa altezza del proiettile ritenuto, rilevando che le dimensioni del proiettile suddetto appaiono di mm. 16,2 per mm. 9,4. Si desume, tenendo conto della lieve differenza dimensionale determinata dalla non planarietà dei due elementi e, quindi, ai raggi X, di un lieve aumento delle dimensioni originali degli elementi, che il proiettile ritenuto posteriormente al torace del sig. La Puma sia un proiettile cal. 9 Parabellum, in origine proveniente da cartuccia militare di pari calibro (nelle varie denominazioni usate: cal. 9 Luger, cal. 9 Parabellum, cal. 9 Lungo, cal. 9 M 38 italiana, cal. 9 per 19 mm.). Considerando la presenza di cicatrice rotondeggiante all’emitorace anteriore destro, regione sopramammaria (cicatrice attribuibile sicuramente a pregresso orificio d’arma da fuoco), e considerando la sede di ritenzione del proiettile posteriormente, si può ritenere che il detto proiettile sia stato esploso con direzione antero – posteriore da un punto di fuoco posto
sul davanti e da destra rispetto al soggetto. Il proiettile è arrivato con scarsa forza di penetrazione, ha perforato gli indumenti e le parti molli non riuscendo a perforare lo strato osseo costale con produzione di tramite sottocutaneo circumgirante e ritenzione posteriore dell’elemento. Considerando la scarsa penetrazione, la sede attinta e la produzione di un tramite circumgirante, si può ritenere che il proiettile sia stato esploso da una certa distanza e con una inclinazione praticamente ortogonale rispetto al soggetto o comunque con inclinazione compresa entro i 45 gradi circa”. Da chi è sparato il proiettile che colpisce La Puma? Secondo la versione ufficiale della sparatoria, la banda Giuliano spara con un mitragliatore Breda modello 30 (calibro 6,5) e con i moschetti 1891 (calibro 7,6). Con ogni probabilità, i proiettili calibro 9 sono esplosi dai mitra Beretta modello 38 in dotazione a Salvatore Ferreri e ai fratelli Giuseppe e Fedele Pianello (membri della banda Giuliano). Salvatore Invernale (San Giuseppe Iato, 29 anni, contadino) si trova di fronte al palco, alla sinistra di Francesco La Puma. Nel verbale di perizia del 1° maggio 1947, il dott. Martorana scrive: “[…] Presenta una ferita di arma da fuoco a bordi introflessi in corrispondenza della regione sterno cloideo e mastoideo sinistra (foro di entrata); altra lesione di continuo in corrispondenza della prima vertebra dorsale, a bordi estroflessi (foro di uscita). […]”; e nel verbale del 16 maggio: “[…] Si osserva una cicatrice puntiforme alla regione sterno cleido mastoidea. […] Alla regione scapolare sinistra, e precisamente all’altezza della prima vertebra dorsale, si osserva una cicatrice di forma rotondeggiante dal diametro di circa 1 centimetro. […] Giudico che le cicatrici sopra specificate costituiscono rispettivamente il foro di entrata e il foro di uscita di un proiettile di arma lunga da fuoco, esploso dall’alto verso il basso. […]”. Infine, nella relazione di perizia del 3 novembre 1947, Martorana commenta: “[…] Riassumendo, possiamo concludere che l’Invernale fu colpito da proiettile d’arma da fuoco, che penetrò nella regione laterale sinistra del collo e uscì dorsalmente in corrispondenza della fossa sopraspinosa di sinistra. Non vennero lesi organi importanti. La
guarigione completa avvenne nel termine di giorni 45. Date le diversioni del foro di entrata, si presume che l’arma sia stata un comune mitra. […]”. Vista la sua vicinanza a La Puma, è verosimile che anche Invernale sia stato colpito da un proiettile calibro 9 Parabellum. Marco Italiano (16 anni) è sotto il palco. Uditi i primi colpi, si mette a correre ma subito dopo sente la gamba sinistra come bagnata. Alza il pantalone e nota che qualcosa gli ha perforato la gamba, da destra a sinistra (cfr. dichiarazione resa al sottoscritto Casarrubea nell’aprile del 1998). Nel foglio di accettazione dell’Ospedale Civico e Benefratelli di Palermo, in data 1° maggio, alle ore 15.00, leggiamo: “[…] Ferita d’arma da fuoco al ginocchio. […] Esame obiettivo: ferita come sopra, con foro di entrata al lato interno e fuoriuscita esterna. Ginocchio leggermente tumefatto e presenta ballottamento rotuleo. I movimenti attivi e passivi sono possibili. […] Firmato: il primario Lombardo. […]”. In data 1° maggio 1947, il dott. Martorana annota nel verbale di perizia: “[…] Presenta una lesione di continuo a bordi introflessi in corrispondenza della regione laterale del ginocchio sinistro. Altra lesione di continuo, a bordi estroflessi (foro di uscita) al cavo popliteo. Giudico che le lesioni sopra descritte sono state prodotte da arma da fuoco. […]”; e in un successivo verbale del 23 maggio: “[…] Notasi una cicatrice di forma rotondeggiante e dal diametro di circa mezzo centimetro alla faccia interna del ginocchio sinistro. Altra cicatrice notasi al cavo popliteo della stessa gamba. Notevole edema in tutto l’arto ed in special modo alla regione del ginocchio. La deambulazione non è regolare, anzi notevolmente difettosa. Giudico che le cicatrici sopra riscontrate sono rispettivamente il foro di entrata e di uscita di un proiettile di arma lunga da fuoco. […]”. In realtà, è verosimile che Italiano sia stato colpito al ginocchio dalla scheggia di una granata esplosa nei pressi del podio. Antonina Caiola. Nel verbale di perizia del 27 giugno, il dott. Martorana scrive: “Sulla qui presente paziente Antonina Caiola si osserva al terzo medio inferiore sinistro, in prossimità della regione malleolare, una
cicatrice alla faccia interna della gamba, rotondeggiante e dal diametro di circa 50 millimetri. Altra cicatrice, simile alla prima, notasi alla faccia esterna della stessa gamba. Deambulazione normale. Giudico che le cicatrici suddette costituiscono rispettivamente foro di entrata e foro di uscita di un proiettile di arma lunga da fuoco. […]”. Lesioni da scheggia?
GLI ITALIANI DELLA SETTIMANA 05 dicembre 2010
INCHIESTA / DOSSIER
Ettore Fortuna (San Cipirello, 36 anni). Nella relazione di perizia del 28 agosto 1947, il dott. Martorana scrive: “[…] Presenta cicatrice di foro di entrata d’arma da fuoco a centimetri 2 sotto la cresta iliaca sinistra. La cicatrice di foro di uscita è alla natica destra, al limite anteriore della regione glutea. […] All’esame radiologico del bacino, non si riconoscono nè proiettile nè frammenti di esso, nè lesioni scheletriche. […]”; e nel verbale di perizia del 1° maggio: “[…] Presenta una lesione di continuo alla regione glutea destra ed altra lesione di continuo a due dita traverse dalla cresta iliaca destra. Dette lesioni sono state prodotte da arma da fuoco […]”. Vi è contraddizione tra i due documenti a proposito del lato della cresta iliaca in cui si presenta la ferita. Lesioni da scheggia? Damiano Petta (Piana degli Albanesi, 36 anni). Nel foglio di accettazione dell’Ospedale Civico e Benefratelli di Palermo, in data 1° maggio, leggiamo: “[…] Affetto da ferita da arma da fuoco al terzo medio della gamba destra. Esame obiettivo:
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ferita come sopra con foro di entrata al dorso dell’alluce destro e di uscita a parte plantare. Diagnosi: ferita arma da fuoco seconda falange alluce destro con asportazione dell’unghia. […]”. Nel verbale di perizia, sempre il 1° maggio, il dott. Martorana scrive: “[…] Presenta frattura aperta alluce destro, guaribile in giorni venti salvo complicazioni. Detta ferita è stata prodotta da arma da fuoco. […]”. Lesioni da scheggia?
La corte di Viterbo a Portella
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come sopra, con foro d’entrata alla parte media e foro di uscita alla stessa altezza parte laterale. […]”. Nel verbale di perizia del 19 maggio, il dott. Martorana scrive: “[…] In corrispondenza del terzo medio della gamba destra, alla sua parte mediana, faccia posteriore, si nota una soluzione di continuo, di forma circolare, dal diametro di 1 centimetro. […] Alla faccia anteriore della stessa gamba, notasi una forma rotondeggiante dal diametro di 1 centimetro circa. Giudico che le due soluzioni di continuo, sopra specificate, costituiscono rispettivamente foro di entrata e foro di uscita di un proiettile di arma lunga da fuoco. […]”. Nel 1997, Petta riferisce al dott. Milone che, mentre si allontana di corsa, è colpito da qualcosa alla faccia posteriore della gamba destra. Lesioni da scheggia?
guarire in dieci giorni da oggi. […]”.; e il 20 maggio: “[…] Sul qui presente Schirò Pietro si osserva: alla regione metatarsica del piede sinistro una soluzione di continuo, di forma circolare, dal diametro di 1 centimetro circa. Al margine laterale, altra soluzione di continuo, simile alla prima. […] Giudico che le dette soluzioni di continuo costituiscono rispettivamente il foro di entrata e quello di uscita di un proiettile di arma lunga da fuoco. […]”. In un documento autografo (la firma del sanitario è illeggibile) stilato il 1° maggio, leggiamo invece: “[…] Certifico di aver visitato il sig. Schirò Pietro e di avergli riscontrato ferite multiple al dorso del piede sinistro, con dubbio di frattura ossea guaribile in giorni 30. […]”. In realtà, è probabile che Schirò sia stato colpito da almeno due schegge di granata.
Pietro Schirò (Piana degli Albanesi, 24 anni). Nel verbale di perizia del 1° maggio, il dott. Martorana annota: “[…] Presenta ferita al piede sinistro. Palpando, non si apprezza lesione ossea. […] Giudico che detta lesione, che fu prodotta da arma da fuoco, potrà
Giorgio Caldarella (Piana degli Albanesi, 61 anni). Nel foglio di accettazione dell’Ospedale Civico e Benefratelli di Palermo, in data 1° maggio, leggiamo: “[…] Affetto da frattura aperta alluce destro da ferita d’arma da fuoco. […] Esame obiettivo:
Giorgio Mileto (Piana degli Albanesi, 17 anni). Nel verbale di perizia del 13 maggio, il dott. Martorana scrive: “[…] Sul qui presente Mileto Giorgio si riscontra quanto appresso: in corrispondenza della regione mediana del braccio sinistro una lesione di continuo, di forma circolare, a bordi introflessi e lievemente arrossati in alcuni punti, mentre in altri si nota già un processo di cicatrizzazione in atto. Tale lesione è della grandezza (diametro) di circa 80 millimetri. Altra lesione, a bordi estroflessi, o meglio: altra soluzione di continuo a bordi estroflessi dal diametro di circa 1 centimetro, notasi al terzo medio regione posteriore dello stesso braccio. […] Giudico che le dette soluzioni di continuo sono state prodotte da colpo di arma da fuoco e costituiscono rispettivamente foro di entrata e foro di uscita della pallottola, che ha prodotto un’unica lesione interessante le parti molli del terzo medio del braccio sinistro del Mileto. […]”. Maria Vicari. Nel verbale di perizia del 23 maggio, il dott. Martorana annota: “[…] Alla regione dorsale del piede sinistro si nota una lesione in via di cicatrizzazione, per intervento chirurgico, della lunghezza di circa 1 centimetro. […] Epidermide arrossata. Edema diffuso al piede. […] Giudico che la lesione di cui sopra è stata prodotta da intervento chirurgico su processo suppurativo derivato da ferita di arma da fuoco. […]”. Lesione da scheggia? Giuseppa Parrino (Piana degli Albanesi, 73 anni). Nel foglio di accettazione dell’Ospedale Civico e Benefratelli di Palermo, in data 1° maggio, leggiamo: “[…] Affetta da ferita d’arma da fuoco penetrante in cavità emitorace destro. Esame
obiettivo: ferita a fuoco all’emitorace destro, con foro d’entrata alla regione sottoclavicolare e foro di uscita alla regione scapolare stesso lato. Radiografia torace: notevole ingrandimento fasci aortici e ventricolo sinistro. […] 6.5.47: enucleazione di una voluminosa cisti dermoide regione laterale sinistra del collo. […]”. Nel verbale di perizia del 1° maggio, il dott. Martorana rileva: “[…] Una lesione di continuo della grandezza di un cece, a bordi introflessi, all’emitorace destro (foro di entrata). Altra lesione di continuo a bordi estroflessi alla regione scapolare destra (foro di uscita). Giudico che la Parrino, in atto, versa in pericolo di vita e che le lesioni causate da colpi di arma da fuoco possono guarire entro venti giorni da oggi, ove non sopravvengano complicazioni. […]”. Alla Parrino è forse asportata una scheggia metallica, responsabile dell’infiammazione dei fasci aortici?
da fuoco e sono guarite chirurgicamente nel termine di giorni dieci, senza conseguenze. La cicatrice di forma lineare è stata prodotta da intervento chirurgico a scopo esplorativo, per estrarre eventuali proiettili. […]”. A Palumbo, insomma, sono estratti dei “proiettili” o “una cisti delle dimensioni di una grossa fragola”? In realtà, è probabile che l’uomo sia stato colpito ai glutei da almeno 3 schegge di granata.
gamba destra, all’altezza del collo del piede. […] Giudico che le cicatrici, di cui sopra, costituiscono rispettivamente il foro di uscita e quello di entrata di un proiettile d’arma lunga da fuoco. […]”. Lesioni da scheggia?
Eleonora Moschetto (Piana degli Albanesi, 17 anni). Nel foglio di accettazione dell’Ospedale Civico e Benefratelli, in data 1° maggio, leggiamo: “[…] Affetta da ferita d’arma da fuoco alla spalla destra. In Salvatore Caruso (San Giuseppe gravidanza al nono mese. Esame Iato, 57 anni). Nel foglio di accettazione obiettivo: ferita come sopra con foro dell’Ospedale Civico e Benefratelli di d’entrata alla regione sopra spinosa e Palermo, in data 1° maggio, leggiamo: foro di uscita alla regione deltoidea. “[…] Affetto da ferita d’arma da fuoco […]”. Nel verbale di perizia del 1° penetrante in cavità emitorace sinistro. maggio, il dott. Martorana annota: […] Esame obiettivo: ferita come sopra “[…] Presenta una lesione di continuo da mitraglia, in corrispondenza alla spalla destra a bordi introflessi. […] dell’emiclaviare sinistra al terzo medio. Giudico che la lesione sopra descritta fu Foro di uscita alla scapola sinistra, a 4 dovuta a colpo di arma da fuoco. […]”; centimetri inferiormente all’angolo e il 13 maggio: “[…] Si nota quanto della spalla. […] Nel verbale di perizia segue: al braccio sinistro due soluzioni Antonio Palumbo (San Giuseppe del 1° maggio, il dott. Martorana di continuo, la prima a bordi introflessi Iato, 49 anni). Nel foglio di accettazione annota: “[…] Presenta una ferita di dal diametro di circa 1 centimetro, la dell’Ospedale Civico e Benefratelli, in arma da fuoco a bordi introflessi (foro seconda a bordi estroflessi dal diametro data 1° maggio, leggiamo: “[…] Affetto di entrata) al terzo spazio intercostale di circa 120 millimetri. La prima sulla da ferite d’arma da fuoco ad entrambe sinistro. Vasta enfisema. Altra lesione faccia anteriore del braccio al terzo le regioni glutee. Esame obiettivo: 2 alla regione scapolare con forte superiore, mentre l’altra alla regione ferite ai glutei. In prossimità della fossa enfisema (foro di uscita). […]”; e il 19 scapolare. […] Giudico che dette iliaca destra, si palpa sottocute un corpo maggio: “[…] All’emitorace sinistro, in soluzioni sono state provocate da un della forma e del volume di grossa corrispondenza della emiclaviare, si proiettile di arma da fuoco lunga, e fragola, che si sposta facilmente in ogni nota una soluzione di continuo, di rappresentano rispettivamente il foro di senso. L’esame radiografico non forma circolare, dal diametro di 1 entrata e quello di uscita del proiettile ammette presenza di schegge centimetro circa. In corrispondenza stesso. […]”. Da rilevare la metalliche. Cura chirurgica: della linea scapolare sinistra, si nota contraddizione sulla spalla colpita: asportazione della cisti. […]”. Nel altra lesione di continuo, dal diametro quella destra nei primi due rapporti, verbale di perizia del 1° maggio, il dott. di 1 centimetro circa, di forma quella sinistra nel terzo. Nella Martorana annota: “[…] Lesione di circolare. […] Giudico che le due primavera del 1967, Rosario Moschetto continuo alla regione glutea destra e soluzioni di continuo, di cui sopra, (padre di Eleonora e marito della sinistra. Dette lesioni potranno guarire costituiscono rispettivamente foro di vittima Margherita Clesceri), rievoca entro il decimo giorno salvo uscita e foro di entrata di un proiettile per la rivista L’Espresso la sua complicazioni e sono state prodotte da di arma lunga da fuoco. […]”. Vi è drammatica esperienza: […] “La arma da fuoco. […]”; e il 16 maggio: contraddizione, tra le ultime due mattina del 1° maggio ci avviammo “[…] Si accerta quanto appresso: alla perizie, in rapporto ai fori di entrata e verso Portella della Ginestra. Giunti regione glutea sinistra si nota una di uscita del proiettile. nella piana, ci avvicinammo al podio cicatrice di forma rotondeggiante e dal dove si poteva sentire bene l’oratore che diametro di 1 centimetro circa. Alla Salvatore Renna (San Giuseppe faceva propaganda. Io, tenendo mio palpazione, notasi un inasprimento dei Iato, 27 anni). Nel verbale di perizia del figlio Vito per la mano, salii su una tessuti circostanti. Il Palumbo non 1° maggio, il dott. Martorana annota: pietra. Quando mia moglie sentì i primi accusa alcuna sensazione dolorifica. “[…] Presenta frattura apice malleolo colpi, mi gridò: ‘È per la festa, è per la Alla regione glutea destra, notasi 2 piede destro. Giudico che detta lesione, festa’. Ma mia figlia Eleonora (17 anni) cicatrici di forma rotondeggiante e che fu prodotta da arma da fuoco, potrà mi afferrò per le spalle, dicendo: distanti l’una dall’altra circa 2 guarire entro dieci giorni da oggi, salvo ‘Babbo, mi fa male il braccio, non so centimetri. Tra queste, in senso complicanze. […]”; e il 23 maggio: che ci ho.’ Niente si vedeva, solo una verticale, notasi altra cicatrice di forma “[…] Si osserva all’apice del malleolo striscia nera sulla carne. A mia moglie lineare, a bordi netti, della lunghezza di del piede destro una cicatrice di forma Margherita, invece, ci vidi il sangue 3 centimetri circa. Giudizio: le cicatrici circolare, dal diametro di circa 1 dalla bocca e cadde sulla pietra di forma rotondeggiante sopra indicate centimetro. Altra cicatrice, simile alla strappando la bandiera”. La “striscia sono i reliquati di ferite di arma lunga prima, notasi alla faccia anteriore della nera” notata da Moschetto potrebbe
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essere stata provocata da una grossa scheggia di granata che ferisce di striscio il braccio di Eleonora. A questo proposito, Felice Chilanti racconta che, subito dopo la strage, vari testimoni notano sul sasso Barbato delle grosse macchie nere (cfr. il già citato volume Da Montelepre a Viterbo). Si tratta dell’alone della polvere da sparo, causato dall’impatto di una granata sulla pietra? Giuseppe Muscarello (Piana degli Albanesi, 44 anni) si trova davanti al podio, assieme ai genitori. Nel verbale di perizia del 13 maggio, il dott. Martorana scrive: “[…] Si riscontra quanto appresso: al polpaccio della gamba sinistra si riscontrano due soluzioni di continuo di forma circolare dal diametro di 1 centimetro circa. La prima, cioè quella più prossima alla faccia anteriore, a bordi introflessi mentre la seconda a bordi estroflessi. Ciascuna dista dall’altra 6 centimetri circa e costituiscono rispettivamente foro d’entrata e foro di uscita di un proiettile di arma da fuoco, che interessò solo le parti molli del polpaccio. […]”; e nella relazione di perizia del 20 novembre 1947: “[…] Il Muscarello fu colpito da colpo di arma da fuoco. La guarigione avvenne entro un mese senza lasciare conseguenza. Il proiettile dovette essere quello di un comune fucile o di mitra, dal calibro medio abituale. Il colpo fu tirato a distanza e attraversò di striscio la faccia interna del piede. […]”. Da rilevare la contraddizione tra i due documenti: Muscarello è colpito al polpaccio sinistro o al piede? In realtà, è probabile che l’uomo sia stato colpito da 2 schegge al polpaccio della gamba sinistra e al piede sinistro. Vincenza Spina (San Giuseppe Iato, 69 anni). Nel foglio di accettazione dell’Ospedale Civico e Benefratelli di Palermo, in data 1° maggio, leggiamo: “[…] Affetta da ferita d’arma da fuoco in cavità addominale. Esame obiettivo: ferita d’arma da fuoco con foro d’entrata alla regione epatica sotto l’arco costale e foro di uscita all’undicesimo spazio intercostale circa, lungo la paravertebrale destra. […] Diagnosi: ferita d’arma da fuoco a canale completo alla regione laterale emitorace destro. […]”. Nel verbale di perizia del 1° maggio, il dott. Martorana rileva: “[…] Una lesione di
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continuo di forma circolare a bordi introflessi, in corrispondenza della regione epatica sotto l’arco costale (foro di entrata). Altra lesione di continuo a bordi estroflessi in corrispondenza del terzo spazio intercostale (foro di uscita). Giudico che le lesioni sopra descritte sono state prodotte da arma da fuoco. […]”; e nella relazione di perizia del 28 agosto 1947: “[…] Presenta cicatrice di foro di entrata alla regione lombare di destra, all’altezza della quarta vertebra lombare e lungo il margine destro della doccia lombare. Il foro di uscita è stato nel torace posteriormente, all’altezza della settima costola lungo l’ascellare medio. Accusa dolori di testa e grande debolezza. L’esame radiologico della zona della lesione esclude l’esistenza di proiettile e di lesioni. […]”. Torneremo ad occuparci di Vincenza Spina nel quinto capitolo (Le perizie balistiche). Zina Ricotta. Nella relazione di perizia del 28 agosto 1947, il dott. Martorana annota: “[…] Fu colpita da proiettile d’arma da fuoco e riportò ferita alla mano sinistra. […] All’esame obiettivo locale, si riscontra che al lato volare delle quattro ultime dita si ha una successione di strisce, l’una successiva all’altra. È evidente che sono state prodotte da un unico proiettile d’arma da fuoco. Le strisce sono le cicatrici che residuano alla scomparsa del processo suppurativo. […]”. Lesioni da scheggia? Salvatore Marino (Piana degli Albanesi, 23 anni). Nel foglio di accettazione dell’Ospedale Civico e Benefratelli di Palermo, in data 1° maggio, leggiamo: “[…] Ferita d’arma da fuoco con foro d’entrata radice coscia sinistra regione anteriore e foro d’uscita regione ischiatica. […]”. Nel verbale di perizia del 13 maggio, il dott. Martorana annota: “[…] Si rileva in corrispondenza della radice della coscia sinistra, regione anteriore, una lesione di continuo di forma circolare della grandezza di una moneta di 1 centesimo fuori corso, a bordi fortemente arrossati. […] In corrispondenza della regione ischiatica sinistra, si nota una lesione di continuo di forma quasi ovoidale e più grande della prima. I bordi sono arrossati ed estroflessi. […] Giudizio: Da quanto sopra è stato rilevato, il Marino ha subito una ferita di arma da fuoco con foro di entrata alla radice della coscia
sinistra, con foro di uscita alla regione ischiatica sinistra. […]”. Gaetano Di Modica. Nel verbale di perizia del 27 giugno, il dott. Martorana rileva: “[…] Alla regione frontale, si nota una piccola cicatrice […] di forma ovoidale e lunga circa 1 centimetro. Giudizio: la cicatrice sopra descritta è stata prodotta dallo striscio di un proiettile di arma lunga da fuoco. […]”. La ferita di striscio di Di Modica è stata probabilmente provocata da una scheggia di granata.
Le perizie medico – legali sui cadaveri e le autopsie Oltre a Grifò, Di Salvo e Greco (già citati, deceduti rispettivamente 2 giorni, 40 giorni e 4 anni dopo la strage), a Portella della Ginestra si contano altri 9 morti. Castrense Intravaia (San Giuseppe Iato, 20 anni) si trova davanti al palco, con il viso rivolto verso la Pizzuta e con il Kumeta alle spalle. Nel processo verbale di autopsia del 2 maggio, il dott. Martorana scrive: “[…] Sul cadavere in esame, si rilevano le seguenti lesioni prodotte da proiettile unico a pallottola appartenente ad arma automatica: alla regione acromiale dell’arto superiore sinistro e fuori, sul prolungamento della linea ascellare anteriore, si rileva una soluzione di continuo di forma allungata nei due terzi superiori e con asse lungo di circa 2 centimetri e dal diametro di circa 1 centimetro. […] La soluzione rappresenta il foro di entrata del proiettile. Il foro di uscita è situato nell’emitorace posteriore sinistro, e precisamente lungo la marginale interna della scapola, e circa 3 centimetri al di sotto dell’angolare della scapola. […]”. La relazione di perizia del 2 giugno, a firma Martorana e Bambino, rileva inoltre: “[…] La direzione del colpo, ricavata sulla vittima immaginata in posizione anatomica (eretta) al momento della esplosione del colpo, riesce dall’alto in basso e da sinistra verso destra; il feritore, pertanto, doveva occupare una posizione sopraelevata rispetto alla vittima. […]”.
Vincenza La Fata (San Giuseppe Iato, 9 anni) si trova sotto il palco. Nel processo verbale di autopsia del 3 maggio, i medici Martorana e Bambino annotano: “[…] Sul cadavere si rilevano le seguenti lesioni prodotte da proiettile unico di arma automatica: alla regione occipitale sinistra, in prossimità della regione mastoidea. Il cuoio capelluto presenta una soluzione traumatica a forma rotondeggiante ed un foro ovulare, la quale ha un diametro massimo di circa 8 millimetri nell’asse più lungo e una ampiezza di circa mezzo centimetro. Il cuoio capelluto è stato perforato a tutto spessore. […] Al sondaggio, la soluzione riesce penetrante in cavità cranica. Essa ha i caratteri del foro di entrata di proiettile unico a pallottola. […] Il foro di uscita del proiettile corrisponde alla glabella frontale e si estende dalla regione nasale a quella paraorbitaria sinistra (angolo interno). […]”. Nella relazione di perizia del 3 giugno, Martorana e Bambino scrivono: “[…] La direzione del colpo, ricavata sul corpo della vittima in posizione anatomica, riesce postero – anteriore e pressoché rettilinea. È possibile pertanto che, al momento in cui veniva colpita, la vittima si trovava in un atteggiamento atipico, nella vana speranza di trovare riparo ai colpi di arma da fuoco. […]”.
nei tessuti epicranici ed in corrispondenza dell’impianto del proiettile si nota un diffuso ematoma. Esso viene rimosso e consegnato all’autorità giudiziaria presente. […]”. Nella relazione di perizia del 2 giugno, i due sanitari annotano: “[…] Il proiettile repertato appare di calibro ridotto, di forma cilindro ogivale e di piccolo peso; inoltre, appare poco deformato dalle resistenze ossee incontrate. […] La direzione del colpo, rilevata sulla vittima immaginata in posizione anatomica (eretta), ha una obliquazione dall’alto in basso non molto appariscente, talché, a prima vista, il colpo apparirebbe diretto pressoché
esame, la lesione rilevata sul cadavere si presentava a ‘canale completo’ (foro d’entrata, tramite e foro di uscita) ed era stata prodotta da un proiettile unico a pallottola. Il proiettile, pertanto, ha dimostrato grande forza viva, tanto da superare le resistenze del bersaglio (frattura di costole) e fuoriuscire. […] Teoricamente, pertanto, il colpo che ha ucciso la Clesceri Margherita è partito da una distanza superiore ai metri 400. […] Non possiamo precisare le posizioni rispettive tra sparatore e vittima al momento del fatto delittuoso, ma dobbiamo limitarci a ricavare la direzione del colpo immaginando la vittima in posizione anatomica (eretta)
Giuliano 9 agosto 1947
perpendicolarmente all’asse della superficie corporea della vittima, nel colpo che ha attinto alla regione cranica; mentre per il colpo al braccio destro, la traiettoria dall’alto in basso risulta più appariscente. […]”.
Margherita Clesceri (Piana degli Albanesi, 47 anni). Si trova dinanzi al palco, spostata un po’ a sinistra. Nel verbale di autopsia del 2 maggio, Martorana e Bambino annotano: “[…] Sul cadavere si rilevano le seguenti soluzioni traumatiche prodotte da Giovanni Megna (Piana degli proiettile unico di arma automatica: Albanesi, 18 anni). Dal processo verbale sulla superficie cutanea dell’emitorace di autopsia del 2 maggio, a firma posteriore sinistro, lungo la linea Martorana e Bambino, apprendiamo ascellare posteriore a circa 1 centimetro che “[…] Sul cadavere, si rilevano le traverso dalla spina della scapola, si seguenti lesioni prodotte da proiettile a nota una soluzione di continuo a forma pallottola: alla regione frontale, lato allungata con asse obliquo in basso e a destro, e precisamente in prossimità destra. L’asse lungo misura circa 2 dell’angolo esterno della zona centimetri, mentre il diametro della sopraccigliare, si osserva una soluzione soluzione è a circa mezzo centimetro. di continuo prodotta da proiettile La soluzione ha i caratteri del foro di d’arma da fuoco. La soluzione ha forma entrata del proiettile ed, al sondaggio, rotondeggiante, margini introflessi e un riesce penetrante in cavità toracica. diametro di circa mezzo centimetro. Altra soluzione (foro di uscita) si rileva […] Essa rappresenta il foro d’entrata nell’emitorace anteriore destro, e del proiettile e risulta penetrante in precisamente lungo la linea ascellare cavità cranica. La soluzione non ha anteriore nell’incrocio con il quarto corrispondente foro di uscita. Si è avuta, spazio intercostale. Anche questa pertanto, ritenzione del proiettile. soluzione ha forma alungata ed asse Un’altra ferita a canale completo si obliquo, in basso e verso sinistra. Le rileva alla regione deltoidea destra (foro dimensioni sono pressoché analoghe a di entrata), sulla faccia latero – esterna quelle del foro di entrata, i margini dell’arto […], e con foro di uscita alla apparentemente estroflessi. […]”. Nella faccia interna del braccio, a circa 3 relazione di perizia del 2 giugno, i due centimetri dal cavo ascellare destro. sanitari scrivono: “[…] Nel caso in […]. Il proiettile è rimasto incuneato
al momento in cui il proiettile ha urtato contro il bersaglio. In tali condizioni, il colpo presenta una obliquità dall’alto in basso non molto sensibile ed appariscente, ed è diretto nettamente da sinistra a destra. La vittima, cioè, venne colpita di fianco. Risulta evidente, pertanto, che lo sparatore doveva occupare una posizione sopraelevata rispetto a quella della vittima. […] L’arma adoperata ha dovuto essere un’arma di grande potenza balistica (fucile o mitra da guerra). […]”.
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Vito Allotta ( Piana degli Albanesi, 20 anni). Nel processo verbale di autopsia, in data 4 maggio, Martorana e Bambino scrivono: “[…] Sul cadavere si rilevano le seguenti ferite prodotte da proiettile unico a pallottola di arma automatica: alla regione sottoclavicolare destra, in corrispondenza del terzo medio esterno della clavicola, si nota una soluzione di continuo di forma rotondeggiante e dal diametro di circa 8 millimetri. La soluzione è circondata da un piccolo alone abraso ed ecchimotico dello spessore di pochi millimetri. Al sondaggio, riesce penetrante in cavità toracica. La soluzione descritta ha i caratteri del foro di entrata del proiettile. Il foro di uscita è situato nell’emitorace poteriore sinistro e precisamente lungo la linea marginale esterna della scapola, a circa 4 centimetri dall’angolo scapolare ed a 9 centimetri dalla linea paravertebrale. […]”. Nella relazione di perizia del 2 giugno, Martorana e Bambino
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cui si è avuta ritenzione del proiettile. […] Il proiettile repertato è stato consegnato all’autorità giudiziaria presente. […]”; e nella relazione di perizia del 2 giugno: “[…] Tenuto conto del tipo di proiettile repertato e del fatto che il proiettile non ha avuto forza viva sufficiente a superare le resistenze incontrate e fuoriuscire, è chiaro che, al momento in cui il proiettile è pervenuto sul bersaglio, doveva trovarsi pressoché al limite della sua traiettoria, avendo esaurito quasi completamente la sua forza viva iniziale. Le resistenze incontrate, infatti, sono state pressoché insignificanti, avendo il proiettile incontrato nella sua traiettoria organi esclusivamente parenchimatosi. Il proiettile repertato appare di calibro ridotto, ricoperto da metallo Maillechort (lega di nikel e rame elettrolitico), di forma cilindrica e di piccolo peso. A noi sembra identificabile in proiettile di tipo mitra. L’esame del perito tecnico – balistico potrà, comunque, meglio precisare le caratteristiche del proiettile e dell’arma adoperata. […] È chiaro che il proiettile è pervenuto sul bersaglio con una forza viva pressoché esaurita nelle scarse resistenze offerte da tessuti molli. Il colpo pertanto è partito da grande distanza, possibilmente da una zona intermedia tra quelle da noi indicate come zona di perforazione e di contusione (1000 metri circa). […] La direzione del colpo, ricavata sulla vittima immaginata in posizione anatomica (eretta), risulta antero – posteriore e dall’alto al basso. Lo sparatore, pertanto, doveva occupare una posizione sopraelevata rispetto alla vittima. […]”.
Giuliano e Vito Genovese nel 1943
annotano: “[…] I caratteri della lesione sono indubbiamente quelli di una lesione prodotta da proiettile unico a pallottola ed analoghi a quelli rilevati sui cadaveri di Megna Giovanni e Vicari Francesco, per i quali è stato ritrovato il proiettile. È possibile, pertanto, che le lesioni siano state tutte prodotte da armi dello stesso tipo e sicuramente di grande potenza balistica. […] In rapporto al corpo della vittima, immaginato in posizione anatomica (eretta) al momento del fatto delittuoso, il colpo appare diretto da destra a sinistra, con una evidente obliquità dall’alto in basso. È possibile anche che, al momento del delitto, la
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vittima si era stesa a terra, nella vana speranza di trovare riparo. […]”.
Giuseppe Di Maggio (San Giuseppe Iato, 12 anni). In data 3 maggio, nel processo verbale di Francesco Vicari (Piana degli autopsia, Martorana e Bambino Albanesi, 23 anni). In data 2 maggio, scrivono: “[…] Sul cadavere in esame si nel processo verbale di autopsia, rilevano le seguenti ferite prodotte da Martorana e Bambino scrivono: “[…] proiettile unico a pallottola di arma Sul cadavere si rileva: una soluzione di automatica: alla regione dell’ipocondrio continuo prodotta da proiettile d’arma destro, lungo la linea mammillare, circa da fuoco, all’emitorace anteriore 8 centimetri al di sotto della papilla sinistro. La soluzione ha forma tendente mammaria destra, si nota una soluzione a quella ovale, con asse obliquo in basso di continuo a forma rotondeggiante e e lateralmente. Ha le dimensioni di un dal diametro di circa mezzo centimetro. cece ed appare ricoperta da croste I margini della soluzione sono netti ed ematiche. […] La soluzione riesce a introflessi. I caratteri sono quelli del canale cieco: non si nota infatti la foro di entrata. Al sondaggio, la corrispondente soluzione di uscita, per soluzione riesce penetrante in cavità
toracica. Il foro di uscita è situato nell’emitorace posteriore sinistro, sul prolungamento della linea marginale interna della scapola. Quest’ultima soluzione ha forma leggermente allungata con asse lungo obliquo dall’alto in basso e da sinistra a destra. […]”; e nel rapporto di perizia del 2 giugno: “[…] In rapporto al corpo della vittima, immaginata in posizione anatomica (eretta), il colpo ha una netta direzione antero – posteriore, dall’alto in basso e da destra a sinistra. È presumibile, pertanto, che lo sparatore dovesse occupare una posizione sopraelevata rispetto alla vittima. […] Le lesioni rilevate sul cadavere sono state prodotte da un proiettile unico a pallottola. L’arma adoperata è stata un’arma di grande potenza balistica e presumibilmente un’arma lunga da tiro rigata. […]”. Giorgio Cusenza (Piana degli Albanesi, 42 anni). Nel processo verbale di autopsia, in data 2 maggio, Martorana e Bambino scrivono: “[…] Sul cadavere in esame si rilevano le seguenti lesioni prodotte da proiettile unico a pallottola: alla regione della fascia sopraclavicolare destra, fuori dall’inserzione del collo, si nota una ferita d’arma da fuoco a forma rotondeggiante, a margini introflessi e dal diametro di circa 1 centimetro. La soluzione appare circondata da un alone ecchimotico dello spessore di pochi millimetri. Ha i caratteri del foro d’entrata del proiettile ed, al sondaggio, riesce comunicante con altra soluzione della stessa natura (foro d’uscita) situata nella zona simmetrica sinistra, ma un poco più in basso e lateralmente. […]”; e nella relazione di perizia del 2 giugno: “[…] È evidente che l’arma adoperata doveva essere un’arma di grande potenza balistica, tanto da consentire al proiettile una notevole forza di penetrazione. È difficile precisare il tipo di arma adoperata, basandosi esclusivamente su dati probativi, quali possono essere quelli ricavabili dalle misurazioni delle soluzioni traumatiche e dagli effetti lesivi causati dal proiettili. È certo però che le varie lesioni rilevate sulle vittime mostrano carattere di similitudine assai sensibili sia per tipo di lesioni, sia per traiettoria dei colpi. Non è improbabile, pertanto, che le armi adoperate siano state armi di tipo e calibro analoghi. A questo riguardo, riteniamo che l’esame peritale praticato
dal tecnico – balistico sui pochi proiettili repertati nelle varie autopsie praticate, potrà fornire elementi di giudizio assai importanti. […] In rapporto all’asse del corpo della vittima immaginata in posizione anatomica (eretta), il colpo appare diretto da destra a sinistra, con una modica obliquità dall’alto in basso. Ciò lascerebbe presumere che la posizione dello sparatore doveva essere sopraelevata rispetto a quella della vittima. È possibile che tale direzione del colpo sia da mettere in relazione ad una particolare posizione della vittima al momento del fatto delittuoso. È possibile, cioè, che il Cusenza Giorgio si fosse steso a terra, nella vana speranza di trovare riparo ai colpi d’arma da fuoco. […]”. Serafino Lascari (Piana degli Albanesi, 12 anni). Nel processo verbale di autopsia, in data 2 maggio, Martorana e Bambino annotano: “[…] Sul cadavere si rilevano le seguenti ferite prodotte da proiettile unico a pallottola di arma automatica: alla superficie antero – mediale del braccio destro, una ferita d’arma da fuoco a striscio, interessante per circa 3 centimetri i tegumenti comuni ad un terzo superiore dell’arto. Alla stessa altezza nell’emitorace destro si osserva una soluzione di continuo di forma rotondeggiante, dal diametro di circa mezzo centimetro. Detta soluzione è situata sulla linea ascellare anteriore, all’incontro con la quarta costola destra. Ha i caratteri del foro di entrata del proiettile e, al sondaggio, riesce penetrante in cavità toracica. Lo stesso proiettile che ha leso a striscio i tegumenti del braccio destro, pertanto, è successivamente penetrato in cavità toracica. Il foro di uscita del proiettile corrisponde all’emitorace sinistro, all’incrocio della linea ascellare anteriore con il quinto spazio intercostale. La soluzione di uscita ha forma allungata, con asse lungo di circa 1 centimetro e mezzo e parallelo all’asse costale, ed un’ampiezza massima di circa mezzo centimetro. […]”; e nella relazione di perizia del 2 giugno: “[…] È difficile precisare il tipo di proiettile che ha prodotto la lesione, ma questo risulta di tipo analogo a quelli repertati sui cadaveri del Megna Giovanni e del Vicari Francesco. Le soluzioni traumatiche, infatti, presentano caratteri analoghi di forma e di dimensioni. Il proiettile è stato lanciato,
cioè, da un’arma di grande potenza balistica e sicuramente da un’arma da tiro rigata. […] Basandoci su dati teorici, si può stabilire che il colpo che ha ucciso il piccolo Lascari è partito da una distanza superiore ai 400 metri. […] Dobbiamo limitarci ad identificare la direzione del colpo ricavandola dalla posizione anatomica (eretta). In tali condizioni, il colpo si presenta con direzione pressoché rettilinea e con una assai modesta inclinazione dall’alto in basso. È verosimile, però, che tale rettilineità della traiettoria sia da identificare nel fatto che, al momento in cui la vittima veniva raggiunta dal proiettile, il ragazzo si era disteso a terra nel vano tentativo di trovare riparo ai colpi di arma da fuoco. In questo caso, è chiaro che lo sparatore doveva occupare una posizione sopraelevata rispetto alla vittima. […]”.
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Le perizie balistiche Vari documenti allegati al processo di Viterbo affrontano la questione dei bossoli, delle cartucce e dei caricatori rinvenuti sul luogo della strage nonché dei proiettili estratti dai cadaveri e dai feriti. Dagli atti esaminati emerge quanto segue. In un documento redatto dalla stazione dei carabinieri di San Giuseppe Iato in data 9 maggio 1947, il maresciallo capo Giovanni Calabrò e il carabiniere a piedi Giuseppe Criscioli scrivono: “[…] Riferiamo a chi di dovere che il 1° maggio corrente, recatici sul posto della strage (Portella della Ginestra), rinvenimmo 1 proiettile intriso di sangue per terra che, col presente processo verbale, viene repertato a disposizione dell’autorità giudiziaria. Noi maresciallo Calabrò riferiamo inoltre che la sera dello stesso giorno, fatto ritorno in San Giuseppe Iato, dal dott. Licari Giuseppe gli veniva consegnato 1 proiettile (il più piccolo dei 2 repertati) estratto dal medico alla nominata Spina Vincenza, di anni 61, di San Giuseppe Iato. […]”. È da rilevare che tale passo entra in contraddizione con le tre relazioni di perizia eseguite sulla donna (capitolo quarto, punto a). Secondo queste relazioni, infatti, Vincenza Spina non
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ritiene alcun proiettile, giacché è affetta da “[…] ferita d’arma da fuoco a canale completo alla regione laterale emitorace destro […]”. Vale inoltre notare che i due carabinieri non specificano il calibro dei due proiettili repertati. Di conseguenza, ignoriamo di che calibro sia il proiettile che colpisce Vincenza Spina. I due militi si limitano a dire che il proiettile estratto dalle carni della donna dal dott. Licari è “il più piccolo dei 2 repertati”. In data 27 maggio 1947, in una lettera inviata dal direttore sanitario dell’Ospedale Civico di Palermo al Giudice Istruttore della Quinta Sezione Tribunale di Palermo (prot.: 1023), leggiamo: “Oggetto: Trasmissione copie cartelle cliniche. Con riferimento alla Sua richiesta del 19 corrente mese, Le rimetto le accluse copie di cartelle cliniche, relative ai feriti di Portella della Ginestra (Piana degli Albanesi) il 1° maggio c.a. Per i feriti ancora ricoverati, le copie delle cartelle cliniche sono state redatte allo stato presente. I proiettili estratti ai medesimi sono stati già inviati da tempo, con i relativi referti medici, alla Procura della Repubblica, sezione corpo del reato”. In un documento inviato alla Procura del Tribunale di Palermo in data 16 giugno 1947 (titolo: Relazione di perizia balistica), il maggiore di artiglieria Antonio Purpura scrive: “[…] In data 30 maggio 1947 ho effettuato un sopralluogo nella zona di Portella della Ginestra (Piana degli Albanesi) allo scopo di stabilire, in base all’esame dei bossoli, cartucce e caricatori rinvenuti sul posto, ed in base alle tracce sul terreno delle pallottole lanciate, il tipo delle armi adoperate dai banditi che hanno sparato sulla folla il 1° maggio 1947, l’efficacia e la direzione del tiro. Dagli elementi acquisiti sul posto, e dall’esame del materiale del reperto fornitomi dal Tribunale di Palermo, è risultato quanto segue: 1) tipo delle armi relative ai caricatori, cartucce e bossoli rinvenuti: fucile mitragliatore Breda 30 cal. 6,5; fucile o moschetto mod. 91 cal. 6,5; moschetto automatico mitra Beretta cal. 9; carabina americana cal. 7,6 circa; fucile a ripetizione Enfield; fucile mitragliatore Bren. Per quanto le due prime armi adoperino le stesse cartucce, si arguisce che siano state adoperate entrambe dal fatto che, nel reperto, esistono i due diversi tipi di caricatori adoperati dalle due armi. Non si può
stabilire se l’Enfield e il Bren sono stati adoperati entrambi, o uno solo dei due, in quanto non esistono nel reperto i due diversi tipi di caricatori, ma un solo bossolo del tipo adoperato da entrambe le parti. I bossoli delle cartucce cal. 9 esistenti nel reperto possono essere adoperati, oltre che dal moschetto automatico Beretta, anche da pistole in uso dello stesso calibro e con la stessa camera di scoppio. È da escludersi però l’uso della pistola, in quanto è difficile che i tiratori abbiano potuto pensare che la pistola potesse avere efficacia alla distanza in cui trovavasi il bersaglio dalle postazioni dei tiratori, e comunque dal posto in cui i bossoli stessi sono stati rinvenuti. Risulta in via ufficiosa, in quanto le nostre regolamentazioni non contemplano tale tipo di arma, che le cartucce 7,6 circa, di cui nel reperto esistono i bossoli ed una completa, sono dagli americani adoperate con la loro carabina. Quindi, stante tale notizia ufficiosa, si dovrebbe escludere l’uso di altro tipo di arma dello stesso calibro e dare per certo l’uso della carabina americana. 2) Sul posto, in un sasso sito a circa venti metri dal podio dal lato del Pelavet, è stata notata una traccia di proietto lanciato e schiacciato contro il sasso stesso. Data la forma e l’ubicazione del sasso, e la posizione in esso della traccia, si desume che il proietto è stato lanciato da un’arma posta a nord del podio. 3) In seguito a tipi di prova effettuati sul posto in presenza mia, delle autorità giudiziarie e dei carabinieri con armi portatili postate sulle pendici del Pelavet, e precisamente sul luogo ove sono stati rinvenuti caricatori, bossoli e cartucce, su bersagli posti accanto e sopra il podio, sono stati notati su diversi sassi siti lungo la direttrice di tiro, a monte e a valle del podio, quattro tracce di proietti schiacciatisi contro i sassi stessi della stessa natura di quelle precedenti. 4) Tutte le armi elencate al n. 1 hanno sicuramente efficacia alla distanza di 530 metri, che intercorre tra il luogo ove sono stati rinvenuti i relativi caricatori, bossoli e cartucce e il podio, specie trattandosi di un bersaglio di considerevoli dimensioni quale la folla compatta di spettatori raccolti il 1° maggio attorno al podio. Con l’occasione, si fanno presenti le differenze riscontrate tra quanto segnato nel reperto e quanto materialmente rinvenuto dentro in seguito ad apertura del pacco: bossoli
per armi 91 sparati: n. 128 e non 129; bossoli per armi 91 con la capsula non percossa: n. 1; bossoli per carabina americana: n. 52 anziché 51; cartucce di nazionalità inglese, e non tedesca: n. 1. Firmato: i periti Purpura Antonio (maggiore di artiglieria) e Gaudesi Natale (maresciallo capo/capo armaiuolo). […]”. Risulta interessante che i due periti escludano che i proiettili cal. 9 siano stati esplosi da pistole, a conferma dell’ipotesi che a sparare i proiettili cal. 9 utilizzando un mitra Beretta siano stati Salvatore Ferreri e i fratelli Pianello. In un documento inviato al Tribunale di Palermo in data 26 giugno 1947 (titolo: Perizia balistica relativa al processo di Portella della Ginestra, cfr. Cav, cartella 1, foglio 164), il maggiore Purpura annota: “In base ai quesiti posti da codesto tribunale, il sottoscritto avrebbe dovuto esaminare, tra l’altro, dei proiettili estratti dai cadaveri e dai feriti di Portella della Ginestra. Però, nel materiale repertato messo a disposizione del sottoscritto, non si sono notate pallottole che risultassero tali. Si prega pertanto volere cortesemente fornire chiarimenti in merito e, se le pallottole di cui trattasi trovansi custodite a parte presso codesto Tribunale, metterle a disposizione del sottoscritto perché possa esaminarle e completare così la sua relazione di perizia balistica. Firmato: il perito maggiore di artiglieria Purpura Antonio”. Con tutta evidenza, la richiesta di Purpura è subito esaudita. In una annotazione a mano aggiunta in calce al documento, leggiamo infatti: “A) 26 giugno 1947. Consegnati al maresciallo Gaudesi: 1 reperto contenente 2 proiettili; 1 reperto contenente 1 proiettile; 1 reperto contenente 1 proiettile”. Rimane comunque il mistero sulle “pallottole che non risultano tali” estratte dai feriti e dai cadaveri e consegnate al maggiore Purpura. Per quale motivo non è redatta nessuna perizia su queste? Si tratta forse delle numerose schegge di granata estratte dai feriti? I 3 reperti (contenenti complessivamente 4 proiettili, a cui si accenna nell’annotazione a mano del punto precedente) costituiscono il tema della Relazione di perizia balistica redatta da Purpura e Gaudesi in data 1° luglio 1947 e inviata alla Procura del
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Tribunale di Palermo. Vi leggiamo: “[…] Seguito relazione del 16 giugno 1947. Esaminato il materiale reperto, richiesto dal sottoscritto con lettera del 16 giugno 1947, è risultato quanto segue: 1) delle 2 pallottole contenute nel reperto n. 1, una è del cal. 6,5, impiegabile indifferentemente e solamente col fucile mitragliatore Breda 30, col fucile o moschetto mod. 91. Nel caso specifico, non si può stabilire con quale delle suddette armi [la pallottola] è stata lanciata, non essendo in possesso del relativo caricatore che differenzia l’uso dei due tipi di arma da fuoco. L’altra pallottola è del cal. 9, impiegabile solamente col moschetto automatico mitra Beretta, se si esclude nel caso specifico, per motivi esposti nella precedente relazione, l’uso di pistole dello stesso calibro e con la stessa camera di scoppio del mitra Beretta; 2) la pallottola contenuta nel reperto n. 2 è del cal. 9 impiegato normalmente colle pistole Glisenti. È stato provato, però, che la stessa pallottola con relativo bossolo può essere efficacemente impiegata anche col moschetto automatico mitra Beretta, che ha lo stesso calibro e la stessa camera di scoppio della predetta pistola; 3) la pallottola contenuta nel reperto n. 3 è del cal. 9, impiegabile solamente col mitra Beretta, sempre escludendo nel
caso specifico l’uso di pistole dello stesso calibro, come detto sopra. […]”. È anzitutto da rilevare che Purpura e Gaudesi non specificano da quali cadaveri o feriti provengano i proiettili esaminati. Le 2 pallottole del reperto 1 (una di calibro 6,5 e l’altra di calibro 9) sono probabilmente i 2 proiettili di cui scrivono in data 9 maggio i carabinieri Calabrò e Criscioli. Possiamo ipotizzare che la già citata Vincenza Spina sia stata colpita da un proiettile cal. 9, definito dai due militi “il più piccolo dei due repertati”. La pallottola cal. 9, infatti, è più tozza e corta rispetto ad un proiettile cal. 6,5 (di forma più affusolata e lunga). I 2 proiettili cal. 9 contenuti nei reperti 2 e 3 sono probabilmente quelli estratti dai cadaveri di Giovanni Megna e di Francesco Vicari. Appare sconcertante il comportamento dell’autorità giudiziaria, dei medici e dei periti balistici. In sintesi, abbiamo appurato le seguenti circostanze: a) dai cadaveri di Giovanni Megna e a Francesco Vicari sono estratti 2 proiettili che sono consegnati alle autorità giudiziarie presenti alle autopsie. Ma il rapporto del dott. Martorana non ne specifica il calibro; b) i carabinieri Calabrò e Criscioli rinvengono a Portella, il 1° maggio, un proiettile intriso di sangue,
mentre il giorno stesso a Calabrò è consegnato dal dott. Licari un altro proiettile estratto dalle carni di uno dei feriti, Vincenza Spina. Ma nel rapporto del 9 maggio, i due militi non specificano il calibro delle 2 pallottole; c) in data 26 giugno, il maggiore Purpura si lamenta con gli inquirenti del fatto che “nel materiale reperto messo a disposizione del sottoscritto non si sono notate pallottole che risultassero tali”, ma non specifica che tipo di materiale gli sia stato consegnato; d) Infine, in data 1° luglio, i periti balistici Purpura e Gaudesi esaminano 4 proiettili (1 cal. 6,5 e 3 cal. 9), ma non specificano da quali feriti o cadaveri siano stati estratti. In ogni modo, siamo in grado di affermare che una vittima (Provvidenza Greco) e un ferito (Francesco La Puma) sono stati sicuramente colpiti da proiettili cal. 9, mentre è probabile che anche un altro ferito (Vincenza Spina) e altre due vittime (Giovanni Megna e Francesco Vicari) siano stati raggiunti da proiettili cal. 9. Giuseppe Casarrubea e Mario J. Cereghino NB: i documenti citati in questo post sono tutti consultabili, in copia cartacea degli originali, presso i locali dell’Archivio Casarrubea di Partinico (Palermo).
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CITIZEN
aggiunto di Palermo Antonio Ingroia si è espresso sull’argomento. “Ciancimino – ha detto – è un personaggio sui generis, si sa. La valutazione delle sue dichiarazioni va fatta caso per caso: sono attendibili e apprezzabili quando sono riscontrate e, in alcuni casi, sono state riscontrate”. Inoltre, ha detto Ingroia, bisogna tener presente che “ci sono cose che Ciancimino ha visto e saputo direttamente, in prima persona e altre che ha appreso indirettamente: anche di questo bisogna tener conto”. La prima volta che il nome dell’attuale responsabile del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza era stato in qualche modo accostato a quello del Signor Franco era in un biglietto manoscritto dell’ex da suo padre il quale però ce Ciancimino accusa De trasmessi sindaco di Palermo, consegnato la con lui per le indagini svolte al Gennaro poi si difende l’aveva scorsa estate da suo figlio ai magistrati. fianco del giudice Giovanni Falcone che ”Mio padre ce l’aveva Si tratterebbe di una lettera risalente ai gli avevano procurato l’arresto. Per il con lui” primi anni Novanta in cui testimone della trattativa dunque le comparirebbero in fila 12 nomi di osservazioni di don Vito sull’ex capo politici e investigatori come l’ex della Polizia potrebbero anche essere Di Silvia Cordella ministro Franco Restivo, l’ex questore frutto di illazioni del tutto personali, da “Non conosco l’identità del signor Arnaldo La Barbera, il funzionario del cui lui stesso avrebbe preso le distanze. Franco. So solo che mio padre lo Sisde Bruno Contrada, il generale definiva un ‘ambasciatore’, cioè uno che Una contromossa che però non avrebbe prendeva ordini da personaggi di convito i magistrati di Caltanissetta che dell’Arma Delfino e il funzionario spessore istituzionale e che faceva ieri hanno avanzato l’ipotesi di iscrivere dell’Aisi Lorenzo Narracci. Nella lista spunterebbe anche tale Gross e accanto nel registro degli indagati Massimo l’intermediario con i poteri forti”. È le iniziali “F/C” (Franco – Carlo, i Ciancimino per il reato di calunnia. quanto sostiene oggi Massimo nomi con cui l’ex sindaco chiamava Una scelta che è stata al centro di una Ciancimino, all’indomani della bufera riunione congiunta presso la Direzione l’agente segreto) e una freccia che mediatica scatenata dalle sue collega questo nome a “De Gennaro”. dichiarazioni sul capo dei servizi segreti Nazionale Antimafia di Roma fra magistrati nisseni e palermitani durante Da lì le indagini erano partite alla Gianni De Gennaro come persona ricerca di un certo Moche Gross, un ex la quale i pm del capoluogo siciliano “vicina” al fantomatico Signor Franco, avrebbero espresso le loro perplessità su console israeliano, ma alla fine si erano lo 007 che fin dagli anni ’70 era in rivelate un buco nell’acqua. La procura stretti rapporti con suo padre e che una nuova ipotetica incriminazione in nissena e palermitana da tempo avrebbe avallato la mediazione di don quanto il testimone, già indagato a aspettano che Ciancimino jr faccia quel Palermo per concorso esterno in Vito nella trattativa del ’92, durante il nome per intero e alla fine, associazione mafiosa a causa delle sue periodo delle stragi. nell’estenuante ricerca sull’identità del stesse rivelazioni sul ruolo svolto nella Ieri la replica di De Gennaro alle trattativa del ’92, racconterebbe fatti de Signor Franco, Massimo Ciancimino accuse di Ciancimino jr. non si è fatta avrebbe “stretto il cerchio” indicando relato esposti dal genitore. Non è la attendere: “Ho dato incarico ai miei nella sfera di possibili conoscenze dello prima volta che sul caso Ciancimino le legali di sporgere formale denuncia di 007 il capo dei servizi segreti Gianni De calunnia contro il Ciancimino”. “Le sue Procure di Caltanissetta e Palermo Gennaro. Oggi Massimo Ciancimino si esprimono visioni differenti. affermazioni mi lasciano del tutto difende: “Quel nome era emerso indifferente, tanto evidente è la loro Ciononostante, ha fatto sapere il falsità”. procuratore capo di Palermo Francesco durante una conversazione informale tra me e un funzionario della Dia, al Messineo, non vi sarebbero “scontri o In un primo momento, quando momento della restituzione del frizioni ma valutazioni non Ciancimino aveva parlato del caso De computer sequestratomi durante le perfettamente sovrapponibili”. “Non si Gennaro-Franco con i funzionari della perquisizioni nelle mie abitazioni da deve assolutamente confondere – ha poi polizia giudiziaria era apparso piuttosto parte della Dda di Caltanissetta”. Il aggiunto il Procuratore – un dibattito sicuro di sé. Interrogato poi dai dialogo sarebbe poi stato riportato dal con i colleghi o un diverso punto di magistrati della Dda di Caltanissetta funzionario in una relazione di servizio vista su un’indagine complicata come proprio su queste rivelazioni il figlio consegnata proprio ai pm nisseni che scontro o contrapposizione. Non dell’ex sindaco di Palermo le avrebbe ridimensionate affermando che i sempre le nostre valutazioni sono uguali hanno immediatamente convocato il superteste per saperne di più. “Io non riferimenti su De Gennaro, come uomo ma da qui a parlare di scontro ce ne conosco il Signor Franco”, ha ribadito corre…”. Anche il Procuratore vicino al Signor Franco, gli erano stati
alla stampa il figlio di don Vito ma ciò che “so è che non aveva potere decisionale”. “Ogni volta che parlava con mio padre non decideva mai in seduta stante ma andava via e poi quando tornava comunicava le risoluzioni da adottare”. È chiaro quindi che si doveva interfacciare con un “interlocutore di più alto grado”. “E comunque – ha spiegato – solo chi non vuole vedere può non cogliere un collegamento tra certe cose. Ad esempio tra il fatto che mio padre venne arrestato nel ’92 e nel 2002 e la sua casa non fu mai perquisita, che il ‘papello’ non è stato trovato fin quando io non l’ho consegnato e che io stesso fui avvisato un mese prima che Provenzano sarebbe stato arrestato”. “È confortante per tutti – ha continuato Ciancimino – pensare che non ci siano regie superiori, che tutto sia casuale… i ricordi dopo anni di Martelli, la decisione di Conso di togliere il 41 bis ai mafiosi”. Ma questa “è una visione miope”. “Io credo – ha concluso – che sia chiaro a tutti che è impossibile che pecorai come Riina e Provenzano abbiano condizionato la vita economica e sociale di questo Paese per 40 anni. E come non chiedersi perchè Falcone e Borsellino, che facevano indagini di mafia da anni, sono stati uccisi proprio nel ’92”.
contrarietà al disegno di legge. E come dar loro torto? Il provvedimento che il governo intende adottare presenta molti punti deboli e sembra destinato a generare nuovi problemi più che a risolvere quelli, pure non trascurabili, che già affliggono la nostra università. Tre esempi. Primo, la riforma non risolve il dilemma fra autonomia e controllo centrale. Da anni si sostiene la necessità di il valore legale dei titoli di studio (necessità resa più forte dalla recente proliferazione di università private, per il riconoscimento legale delle quali occorrerebbe essere adeguatamente severi) e di attribuire ampia autonomia alle università, per poi premiare i comportamenti virtuosi attribuendo agli atenei “buoni” maggiori fondi. Il DDL Gelmini non tocca il valore legale delle lauree e, per fare qualche passo in direzione della premialità, impone un corposo incremento delle attività di controllo da parte del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e del Ministero dell’economia e delle finanze, demandando peraltro la definizione delle modalità di detto controllo a decreti attuativi successivi (così come per molte altre materie). Secondo, la riforma disegna un quadro poco convincente di governance alternativo a quello attuale, nel quale il problema dell’autoreferenzialità dei ANTIMAFIAduemila docenti sarebbe risolto con un rafforzamento dei poteri del rettore (peraltro, e non a caso, unica carica non soggetta a decadenza con l’approvazione della riforma), un significativo ampliamento della quota di consiglieri di amministrazione esterni all’università, scelti “tra personalità italiane o straniere in possesso di comprovata competenza in campo gestionale ovvero di un’esperienza professionale di alto livello” e con la nomina di un direttore generale (il solito manager) dotato i tre punti deboli “delle più alte competenze”. della riforma Gelmini Ma come si può essere sicuri che il Analisi rimedio proposto al problema di agenzia che deriva dall’autogoverno dei professori non sia peggiore del male? Di Annamaria Nifo, Domenico Scalera Perché il super-rettore dovrebbe essere Dopo anni di torpore troppo meno incline a curare i propri interessi? segnati da un’accondiscendenza rassegnata e talora opportunistica a una Considerato che, data l’esiguità delle risorse, i compensi di rettori, consiglieri politica universitaria confusa, e manager dovranno essere contraddittoria e sempre più avara di necessariamente modesti, chi andrà a risorse, un gran numero di docenti, ricercatori e studenti universitari stanno gestire le università? Quali saranno gli incentivi di costoro? Non ci ritroveremo manifestando con forza la loro
i soliti politici e amici dei politici (come nelle ASL, per intenderci)? Terzo esempio, probabilmente il più importante: la tenure track. La riforma si occupa di ridefinire lo stato del ricercatore, conformemente al modello anglosassone e di altri paesi, che tipicamente prevede per la figura del ricercatore rapporti a tempo determinato, rinnovabili fino al raggiungimento della tenure (tempo indeterminato), con l’intento di ridurre gli spazi per le rendite offerte dal “posto sicuro” ai fannulloni (che peraltro, a nostra conoscenza, non sono certo più numerosi tra i ricercatori che tra i professori ordinari e associati). Non è certo la flessibilità del contratto a tempo determinato il problema. La maggior parte dei ricercatori italiani già ora affronta periodi anche lunghi di “precarietà” dopo la laurea e il dottorato, accettando anche di emigrare temporaneamente o permanentemente con contratti di ricerca a tempo determinato. L’aspetto critico è la scarsità e l’incertezza delle risorse disponibili per le carriere future dei giovani ricercatori. La riforma allunga inevitabilmente i tempi della tenure, subordinandola sì al merito (almeno in teoria) ma anche alla disponibilità di risorse “secondo criteri di piena sostenibilità finanziaria”. Le cattive condizioni della finanza pubblica italiana, la poca sensibilità della politica verso le necessità e il disagio della ricerca, lo scarso spessore di un “mercato” interno per gli abilitati non chiamati dai propri atenei mette in dubbio l’opportunità di questa misura. Con uno stipendio che rimane quello dell’attuale ricercatore a tempo indeterminato, il maggior rischio introdotto dalla riforma rende, in particolare per i più giovani, ancor meno attraente la carriera del ricercatore e relativamente più remunerativa un’occupazione alternativa o l’emigrazione verso paesi che offrono migliori condizioni e maggiore soddisfazione, con probabili gravi conseguenze non solo sull’università italiana ma anche sull’economia e la società.
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Cardinale Giordano Dalla Gladio vaticana al porporato napoletano Di Paride Leporace
Un giovane sacerdote fervente anticomunista negli anni Cinquanta Michele Giordano. Normale in tempi di guerra fredda quando molti “rossi” speravano di vedere i cavalli dei cosacchi abbeverarsi alle fontane del Vaticano. Ma il futuro cardinale di Napoli avrebbe svolto un ruolo ancora più preminente in quello scontro politico-ideologico. Diverse fonti infatti lo indicano nell’elenco dei preti che collaborarono alla cosidetta “Gladio Vaticana”. Era questa un’organizzazione nata nel 1955 su diretta indicazione di Pio XII, gestita dal gesuita Antonino Gliozzo e finanziata dal Dipartimento di Stato americano su diretta richiesta di don Luigi Sturzo. Lo scopo dell’organizzazione era quello di formare quadri preparati ad affrontare “il pericolo rosso”. La questione viene alla ribalta dopo la caduta del Muro quando molti protagonisti della guerra fredda rivelano segreti e appartenenze. Ed è infatti proprio padre Antonino Gliozzo a narrare della Gladio Vaticana in azione tra il 1955 e gli anni che precedono il Secondo concilio Vaticano. Riferisce il gesuita che le riunioni si sarebbero tenute a Villa Cavalletti nella diocesi dei Castelli Romani e che vi avrebbe partecipato anche un giovanissimo Giordano. La questione rimbalzò sui giornali irritando non poco il porporato che dichiarò in quella circostanza: “Ma quali riunioni. Erano semplici lezioni di filosofia sul marxismo. Siamo dinanzi ad una montatura giornalistica che asseconda lo scandalismo dilagante”. Un fatto è certo. Prima di poter dire messa il giovane figlio del muratore di
Sant’Arcangelo aveva studiato alla facoltà teologica dei gesuiti a Napoli. Ma c’è dell’altro ed un conferma sostanziale, l’appartenenza di Giordano alla Gladio vaticana è stata confermata anche da Padre Caruso, della segreteria di Stato Vaticana che nel 1992 diffuse un dossier segreto che fino a quel momento era circolato in xerotipia tra amici e storici di riferimenti con falsa firma e che venne pubblicato con il titolo “Compagni bianchi e compagni rossi: quando l’Italia slittava verso il Cremlino”: Il libro contiene documenti e formazione degli organigrammi guidati da un ristretto cenacolo di 15 gesuiti. Sandro Magister, vaticanista di vaglia, sostiene che il centro studi che nascondeva la Gladio vaticana oltre a tessere resistenze anticomunista serviva anche a formare i futuri dirigenti di Sacra Romana Chiesa. Il cardinale Giordano fin da giovane parroco è stato in ottimi rapporti con Emilio Colombo diventando uno di quei fulcri nodale del consenso democristiano locale. Altro stretto sodale di Giordano è stato anche un illustre porporato di Basilicata che non gode di buona stampa: Donato de Bonis, originario di Pietragalla, coetaneo di Giordano, e vice di Marcinkus ai tempi dello Ior e delle frequentazioni con Sindona. Quando Giordano, con sorpresa degli addetti ai lavori ma non delle alte sfere vaticane viene nominato vescovo di Napoli, tenta di portare in episcopato de Bonis come vescovo ausiliare. Ma il ticket non si forma. Il cardinale da vescovo di Napoli riuscì comunque ad interpretare bene lo spirito degli anni Novanta quando affermò pubblicamente: “Va salvaguardata la reciproca autonomia tra la Chiesa e le forze politiche”. La guerra fredda era ormai lontana e Bassolino e la Mussolini si affannavano vanamente nel tentativo di riceverne l’appoggio che si ben guardò da dare. La questione diventò scomoda solo con quell’inchiesta di Lagonegro che non accertò nulla sul piano giudiziario ma rivelò al mondo che il figlio del muratore era diventato molto ricco. Il Vaticano difese con caparbietà l’operato del cardinale molto vicino ai poveri napoletano. Ma nelle chiuse stanze dietro San Pietro decisero comunque di mandare a Napoli vicino al vescovo un
portavoce esperto in diritto canonico e amministrativo, l’avvocato rotale toscano Maurizio Incerpi e il magistrato Ermanno Bocchini, perito ed esperto finanziario di patrimoni. La misura preventiva non evitò una nuova inchiesta due anni dopo a causa di una vicenda relativa ad una lottizzazione di miniappartamenti di un immobile di proprietà della Curia, che vedeva coinvolti dei nipoti del cardinale. Anche questa inchiesta si concluderà in nulla. Ieri alla sua scomparsa i commenti ufficiali delle autorità italiane e lucane sono state tutti di apprezzamento e cordoglio. Su quelle comparse in rete espresse da normali cittadini invece meglio stendere un velo pietoso. Quotidiano della Basilicata
Gli investimenti “sociali” delle imprese Di Paolo Borrello
7 grandi aziende su 10 si impegnano nella responsabilità sociale, e nel 2009 hanno investito circa 1 miliardo di euro a sostegno di cultura, ambiente-sviluppo sostenibile, solidarietà o iniziative per il personale interno. Occorre poi aggiungere che il volontariato interessa 5 milioni di persone e le imprese sociali danno lavoro a 300.000 dipendenti. Questi dati sono contenuti in un rapporto sull’impegno sociale delle aziende, analizzato in un comunicato dell’agenzia Dire (www.dire.it): “Numeri. Tanti, veri e caratterizzati da un profondo ottimismo. Secondo i dati di ricerca del IV rapporto sull’Impegno sociale delle aziende in Italia realizzato da Swg per
l’Osservatorio Socialis di Errepi Comunicazione, in Italia 7 grandi aziende su 10 si impegnano nella responsabilità sociale, con un flusso di investimenti che ha sfiorato 1 miliardo di euro nell’ultimo anno. Altri dati ancora dicono che il volontariato coinvolge almeno 5 milioni di persone, che l’impresa sociale impiega oltre 300.000 persone e che 45 atenei propongono nei loro percorsi formativi corsi o seminari che riconducono al tema dell’etica nella società. Dati, questi, che hanno accompagnato la cerimonia di assegnazione del Premio Socialis 2010 a quattro giovani laureati. ‘Questi dati evidenziano la richiesta di un’economia più giusta da parte di tutti- ha spiegato Roberto Orsi, direttore dell’Osservatorio Socialis e organizzatore della manifestazione-. I cittadini chiedono piu’ attenzione all’ambiente, i consumatori esigono prodotti piu’ sani e sostenibili, le imprese devono organizzare il lavoro in maniera più responsabile, le istituzioni devono partecipare allo sviluppo di una società più attenta alle persone’. Nell’anno della crisi che ha messo a dura prova le economie di tutto il mondo, si presenta così il quadro sulla responsabilità sociale d’impresa: nel 2009, circa il 70% delle aziende italiane con più di 100 dipendenti ha effettuato investimenti a sostegno di cultura, ambiente-sviluppo sostenibile, solidarietà o iniziative per il personale interno, a fronte del 65,3% del 2007. Tra le aziende più grandi, sia in termini di fatturato che di dipendenti, la percentuale di investitori è salita all’88%. La paternità geografica prevalente degli investimenti, inoltre, si è spostata dal nord al centro sud della penisola. Da segnalare, comunque, che è cresciuta la diffusione della cultura sociale tra i dipendenti: per esempio, più del 30% delle imprese (a fronte del 18% nel 2007) risulta averli coinvolti in maniera diretta e/o indiretta nel sostegno al terzo settore. La possibilità di coinvolgere il personale prevale anche tra i criteri per la scelta delle iniziative a favore delle quali investire: quasi 3 aziende su 10 decidono di puntare proprio sullo staff involvement. Tra i requisiti di un buon progetto, al primo posto si piazza la rilevanza sociale e la ricaduta sul territorio, giudicata di importanza ‘elevata’ da quasi il 70% del campione. Positiva,
infine, la diffusione di strumenti come il codice etico e il bilancio sociale: quasi un’azienda su 2 ha già adottato un codice etico e il 36% e’ intenzionato a farlo in futuro. Il 41.9%, redige annualmente il bilancio sociale, mentre la percentuale era del 35% nel 2007. Finalmente una buona notizia. Non posso che valutare positivamente che l’impegno sociale di molte grandi aziende è tutt’altro che trascurabile. Si tratta comunque di individuare degli strumenti per fare in modo che tale impegno cresca ancora di più. E lo strumento principe è senza dubbio rappresentato da sgravi fiscali consistenti se si effettuano investimenti nei settori prima esaminati. Questi sgravi fiscali non dovrebbero essere automatici ma sarebbe opportuno che siano concessi dopo aver analizzato con attenzione la natura dei progetti di investimento per massimizzare i loro effetti sociali.
Il Belpaese che fu La denuncia del Censis
‘Considerazioni generali’ che introducono il rapporto. “Abbiamo resistito- si legge- ai mesi piu’ drammatici della crisi, seppure con una ‘evidente fatica del vivere e dolorose emarginazioni occupazionali’”. E ancora: “Al di la’ dei fenomeni congiunturali economici e politicoistituzionali dell’anno, adesso occorre una verifica di cosa e’ diventata la societa’ italiana nelle sue fibre piu’ intime. Perché sorge il dubbio che, anche se ripartisse la marcia dello sviluppo, la nostra societa’ non avrebbe lo spessore e il vigore adeguati alle sfide che dovremo affrontare. Una societa’ appiattita insomma, dove sono evidenti le manifestazioni di fragilità sia personali che di massa: comportamenti e atteggiamenti spaesati, indifferenti, cinici, passivamente adattativi, prigionieri delle influenze mediatiche, condannati al presente senza profondità di memoria e futuro. Si sono appiattiti i nostri riferimenti alti e nobili (l’eredita’ risorgimentale, il laico primato dello Stato, la cultura del riformismo, la fede in uno sviluppo continuato e progressivo), soppiantati dalla delusione per gli esiti del primato del mercato, della verticalizzazione e personalizzazione del potere, del decisionismo di chi governa. E una societa’ appiattita fa franare verso il basso anche il vigore dei soggetti presenti in essa.
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Giovani e lavoro sempre più distanti La crisi sembra avere prodotto i suoi Di Giuliano Rosciarelli perversi effetti su una sola componente L’Italia ha resistito alla crisi, ma del mercato del lavoro, quella giovanile. nella popolazione c’e’ sfiducia verso la Nel 2009, tra gli occupati di 15-34 anni classe dirigente. In un contesto di una si sono persi circa 485.000 posti di mancanza di atteggiamenti, comportamenti e valori non disciplinati, lavoro (-6,8%) e nei primi due trimestri si affermano comportamenti individuali del 2010 se ne sono bruciati quasi altri 400.000.Di contro, in tutti gli altri all’impronta di un “egoismo segmenti generazionali, non solo autoreferenziale e narcisistico”. Questi si affermano, tra le altre cose, in episodi l’occupazione ha tenuto, ma e’ risultata di violenza familiare, nel bullismo, nella addirittura in crescita. Tra le ragioni che hanno visto cosi penalizzata la ricerca della sfida alla morte (il balconing). È la impietosa fotografia del componente giovanile del lavoro, oltre al maggiore coinvolgimento nei nostro Paese, scattata dal Censis nel fenomeni di flessibilità non va 44esimo rapporto sulla situazione trascurata la crescente inadeguatezza sociale italiana. Il Rapporto prosegue del sistema formativo. Fenomeno ancor l’analisi e l’interpretazione dei piu’ più preoccupante è lo significativi fenomeni socio-economici del Paese, “individuando i reali processi “scoraggiamento”: in tutta Italia sono oltre 2 milioni i giovani che non di trasformazione della societa’ italiana”. E su tali temi si soffermano le studiano, non lavorano e non cercano lavoro, poco fiduciosi nella possibilità di
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trovare un’occupazione, ma anche poco disponibili a trovarne una a qualsiasi condizione. Energia, ambiente e servizi pubblici Quanto al capitolo servizi pubblici il Rapporto Censis 2010 sottolinea la “cronica” insoddisfazione degli utenti. E ancora: gli investimenti ristagnano, i processi di modernizzazione restano al palo e non si consolidano sistemi di gestione di tipo autenticamente industriale. Buone prospettive invece nel settore dell’energia dove la produzione da fonti rinnovabili si avvicina ormai al 20% del totale. La crescita del comparto, alimentata dalle politiche europee e nazionali, e’ stata decisamente rapida: in soli quattro anni e’ aumentata del 39%. Il settore produce un fatturato annuo rilevante, che supera i 230 miliardi di euro e occupa 118mila addetti; determina importanti investimenti sul territorio (dell’ordine di alcuni miliardi di euro l’anno). Per quanto riguarda il settore dei servizi pubblici nonostante sia oggetto da alcuni anni di una incessante attivita’ di riforma il Censis registra una costante insoddisfazione degli utenti: gli investimenti ristagnano, i processi di modernizzazione restano al palo e non si consolidano sistemi di gestione di tipo autenticamente industriale. Famiglia pilastro welfare.
sistema scolastico. Aumentano i contibuti chiesti oltre le tasse scolastiche, per far fronte ai servizi offerti dagli istituti. Il 56,5% delle scuole italiane (dalla materna alle superiori) ha chiesto in quest’anno scolastico un contributo volontario alle famiglie, aggiuntivo alle tasse scolastiche e al costo della mensa. Il valore medio versato è stato pari a 80 euro, con punte fino a 100 euro nella scuola primaria e 260 euro nei licei. Pensione, sei italiani su dieci preoccupati per livello reddito L’eta’ media di effettivo pensionamento nel nostro Paese e’ di 60,8 anni per gli uomini e 60,7 anni per le donne. Sono dati che, fatta salva la Francia, dove l’eta’ di uscita dal mercato del lavoro e’ pari a 59,4 anni per gli uomini e 59,1 anni per le donne, rendono il nostro il Paese quello con la piu’ bassa eta’ di pensionamento effettivo rispetto alla gran parte dei Paesi europei. Attualmente ben il 52 per cento degli italiani e’ convinto che ci sono molte persone che vanno in pensione troppo presto, e questo dato e’ nettamente superiore a quello medio europeo, che risulta pari al 43 per cento Il 28 per cento degli italiani e’ molto preoccupato e il 40 per cento abbastanza preoccupato per il fatto che il proprio reddito in vecchiaia sara’ insufficiente a garantire un livello dignitoso di vita”.
Migranti, parlano meglio l’italiano ma non trovano lavoro Per quanto riguarda il capitolo Mattone, liquidità, polizze, si immigrati, il Censis, nel 44° Rapporto confermano i pilastri ai quali le famiglie presentato oggi si sofferma sulla si affidano per resistere. Nel primo conoscenza della lingua italiana fra gli trimestre del 2010 i mutui erogati sono stranieri, auspicando che diventi “un aumentati in termini reali del 10,1 per obbligo su cui investire di più. L’8,9% cento rispetto alla stesso periodo del degli immigrati ha un’ottima 2008,. Nei due anni precedenti è aumentata la liquidità detenuta (+4,6) e conoscenza della nostra lingua, il 33,1% ne ha una conoscenza buona, per la nei primi nove mesi del 2010 i premi gran parte (circa il 43%) il livello e’ per nuove polizze vita sono aumentati del 22% rispetto allo stesso periodo del sufficiente, mentre la quota di chi non conosce a sufficienza l’italiano risulta 2009. Tra le famiglie che fronteggiano pari al 15,1% del totale’. Gli stranieri pagamenti rateali, mutui o prestiti di che hanno frequentato un corso di vario tipo, il 7,8 per cento dichiara di lingua sono il 68,8% ma risiede non essere riuscito a rispettare le principalmente nelle regioni scadenze previste, il 13,4 per cento lo ha fatto con molte difficoltà, il 38,5 per settentrionali. Si tratta, in oltre la metà dei casi, di cento con un po’ di difficoltà: a soffrire persone giovani, di età compresa tra i di più sono state le famiglie 20 e i 34 anni, anche se c’e’ una monogenitoriali e le coppie con figli. significativa percentuale (pari al 14,2%) La scuola. Sono le famiglie a provvedere alle mancanze strutturali del di giovanissimi sotto i vent’anni. I corsi sono frequentati prevalentemente da
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cittadini originari del Marocco (15%), Cina (7,2%), Romania (5,9%) e Bangladesh (5,3%)’. Gli immigrati però, sottolinea il Censis, sono visti anche come occasione per ripensare i servizi per l’impiego. I lavoratori stranieri nel 2009 sono 1.898.000 (il 68,4% dei quali proviene da Paesi non Ue) e rappresentano l’8,2% del totale degli occupati, con un incremento dell’8,4% rispetto all’anno precedente. Tanto il tasso di attività quanto quello di occupazione evidenziano una partecipazione al mercato del lavoro della popolazione straniera decisamente più elevata rispetto alla popolazione italiana: gli stranieri presentano un tasso di attività del 71,4% contro il 47,3% degli italiani, mentre il tasso di occupazione e’ del 63,4% per gli stranieri e del 43,7% per gli italiani. Maggiore di quello degli italiani, e in preoccupante crescita, e’ invece il tasso di disoccupazione, che e’ salito di ben 2,7 punti percentuali nell’ultimo anno, arrivando all’11,2% contro il 7,5% degli italiani’.
La nostra cultura Di Jack Daniel
«Che, la vuoi una sigaretta?». «La ringrazio, ma non fumo. Mi dica, sono sorti nuovi ostacoli alla mia richiesta?». «Come? No… cioè sì… Ma proprio non la vuoi ‘sta sigaretta?». «No, la ringrazio ancora. Per quanto riguarda la mia domanda, credevo di aver raccolto tutti i documenti necessari e risolto tutti i problemi.». «Oh, sì, mica dico di no. Vero, vero, ci sta tutto. Non ti dà fastidio, no? se fumo…». «A me personalmente no, ma mi pare sia vietato: ricordo la Legge 3 del 2003 (nota come Legge Sirchia) che proibisce il fumo negli ambienti di lavoro…».
«Ecco, ti pareva. Comunque sì, qualche problemino c’è, in effetti. I documenti sono a posto, in ordine. Tutto, ci sta tutto. E’ che non bastano i documenti, le carte non sono tutto…». «Di cos’altro ancora ha bisogno?». «Ecco, cioè, vedi. Quando si va in un posto bisogna un po’ rispettare, insomma, sì, adeguarsi alle usanze, insomma, al modo di fare di quelli da cui vai. E’ casa d’altri, insomma…». «Mi pare di aver compiuto, in tal senso, innumerevoli sforzi.». «E che, non lo so? Lo vedo, lo vedo, ti sforzi. E’ che se tu vuoi la cittadinanza italiana devi, come ti posso dire?, un po’ adeguarti, no?, a quelle che sono le tradizioni, no? Cioè la cultura italiana.». «Mi permetto di rammentare che ho conseguito due lauree, di cui una specialistica. In letteratura italiana, come forse potrà notare sfogliando l’incartamento.». «Visto, visto. No, niente da dire: l’italiano un po’ lo sai, quasi quanto me, ma non ci sta solo la faccenda della lingua. La cultura d’un popolo è una cosa un pochetto più complessa…». «Ma ho compiuto anche studi di carattere storico e giuridico. Se avrà la bontà di sfogliare la documentazione troverà l’attestazione degli esami svolti presso…». «Visto, visto.». «E inoltre in questi dieci anni non ho infranto nessuna norma o legge. Potrà notare gli attestati dei versamenti Unico, le bollette, la tassa comunale sui rifiuti, il canone Rai, le quietanze dei pagamenti del condominio, il bollo per l’autoveicolo, l’assicurazione per il medesimo e l’abbonamento annuale ai mezzi pubblici, in aggiunta a tutti gli altri versamenti o pagamenti effettuati per l’Università, i ticket sanitari, le assicurazioni volontarie e obbligatorie, i contributi INPS. Non ho ricevute di multe per infrazioni al codice della strada perché non ne ho mai commesse…». «Mai?». «Mai, ne sono orgoglioso». «Cioè, pure il canone Rai?». «Certamente, è un obbligo di legge». «Ecco, appunto, vedi, quello che stavo dicendo… Insomma, la cultura, le usanze della Nazione. Ecco, cioè, qui da noi è diverso, fa parte della nostra cultura. Cioè, pure il canone della Rai…».
«Ma ho sostenuto un esame di diritto costituzionale!». «Vedo, vedo. No, è che lo studio, le leggi, la letteratura, cioè, non dico di no, sono pure una cosa importante, e chi dice di no (a scuola mi sono pure letto quasi tutti i Promessi Sposi), ma la cultura vera è un’altra cosa. Ti ci devi adeguare, cioè la cittadinanza è una cosa seria.». «Debbo quindi ritenere che la mia domanda non sarà accolta?». «No, non ora, ma in futuro non è detto. Ci si rivede, magari tra sei mesi, no?, così magari ti adegui un po’, t’ambienti un po’ meglio. A giugno. Il canone Rai, insomma, non è obbligatorio. Poi, sai, qui da noi la famiglia è importante.». «Anche presso di noi. Sono orgoglioso della mia famiglia, amo mia moglie e i miei figli. Ecco, ho qui le loro foto.». «E che non lo so? Anche la mia famiglia è importante. Molto. Se a giugno, capitasse, un pensierino, un segno, come dire, un segno di riconoscenza… In fondo ti ospitiamo, no?, ecco, capisci, sono queste le cose importanti, la nostra cultura, la famiglia.».
Molino, legali del poliziotto imputato al processo di appello per la morte del giovane tifoso della Lazio, avvenuta l’11 novembre 2007 nell’area di servizio di Badia al Pino (Ar) sulla A1. Bagattini (che ha anche rinnovato la richiesta di rito abbreviato) ha ribadito la tesi della ‘involontarieta’ sia della morte di Sandri, come gia’ riconosciuto dalla Corte di Assise, sia della stessa condotta’. Per i legali, inoltre, la traiettoria del proiettile ha subito una ‘deviazione determinante’ urtando la rete metallica di divisione dell’autostrada. Da qui la richiesta di omicidio colposo. Diametralmente opposta, ovviamente, la posizione dell’accusa secondo la quale non c’e’ stata alcuna deviazione del colpo di pistola sparato da Spaccarotella da parte della rete metallica che divideva le due carreggiate dell’autostrada A1 all’altezza dell’area di servizio di Badia al Pino. Secondo il procuratore generale e il procuratore Ledda, al momento dello sparo l’agente di Polizia non poteva vedere la parte bassa dell’auto e la direzione della pistola era verso la macchina, pur non mirando all’abitacolo. Cristiano Sandri, fratello di Gabriele, ha ribadito: “Che venga dajackdaniel.blogspot.com ristabilita la verità dei fatti, che non sono colposi ma volontari. A nostro avviso come per la Procura questo e’ un caso di scuola di dolo eventuale, quindi di omicidio volontario. La differenza di pena e’ sostanziale, perché’ il reato si avvicina molto più a un reato doloso che colposo e quindi la pena deve essere commisurata alla gravita’ del fatto”. Quattordici anni di reclusione è la richiesta del procuratore generale della Toscana, Aldo Giubilaro, e il Per la morte procuratore della Repubblica di Arezzo, Giuseppe Ledda, ai giudici della Corte di Gabriele Sandri d’appello di Firenze per Luigi chiesti 14 anni Spaccarotella. Anche nella migliore delle prospettive c’e’ una pena di sei Di G. R. anni che, se confermata, dischiuderebbe l colpo di pistola che ha ucciso le porte del carcere a Spaccarotella. Se Gabriele Sandri e’ partito in modo poi ci fosse l’accoglimento dell’appello ‘accidentale’ e la traiettoria e’ stata della pubblica accusa la situazione deviata in modo ‘determinante’: per sarebbe ancora più terribile”. questo l’agente di polizia Luigi Spaccarotella deve essere condannato per omicidio colposo e non per omicidio volontario. Questo quanto sostenuto dagli avvocati Federico Bagattini e Francesco
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vengono sequestrati nel corso delle operazioni contro la criminalità organizzata. Al primo settembre di quest’anno risultano intestate al Fondo risorse per un valore di 2 miliardi e 200 milioni di euro. Soldi che sono stati recuperati e che possono essere immediatamente riutilizzati. Quanto ai Di Marco Barone. titoli sequestrati, la legge di recente Nella giornata di ieri è stato approvata in Parlamento, ci permette di approvato dal Governo il decreto che assegna le risorse sequestrate alla mafia venderli» e di monetizzare il ricavato. «La legge – ha spiegato Maroni – e i proventi derivanti dai beni confiscati al Fondo Unico Giustizia (FUG). Con la prevede anche le procedure di assegnazione di questo tesoro. Confido ripartizione, il 49% del “tesoretto” affluisce al ministero dell’Interno, l’altro che, grazie a questo provvedimento, sia possibile ripianare le riduzioni di 49% al ministero della Giustizia, mentre il 2% va all’entrata del Bilancio bilancio che sono state fatte anche al ministero dell’Interno. Sono risorse dello Stato. Le risorse saranno straordinarie che noi abbiamo tolto alla impiegate per soddisfare le esigenze di sicurezza e di giustizia sia sul fronte del mafia. Spero che entro la fine dell’anno – ha concluso il ministro – queste contrasto alla criminalità organizzata risorse possano arrivare a 2 miliardi e che per la funzionalità degli Uffici mezzo in modo da compensare le giudiziari. riduzioni e aumentare la disponibilità Sul Fondo unico giustizia al 31 ottobre dei finanziamenti da mettere a 2010 erano depositati 2 miliardi e 259 disposizione delle Forze dell’ordine». milioni. Nel suo intervento Maroni ha Nel mese di settembre 2010 il ricordato che dall’insediamento del Ministro Maroni sosteneva che governo Berlusconi al 31 agosto di “l’obiettivo è arrivare a 2 miliardi e quest’anno, sono stati sequestrati oltre mezzo entro la fine del 2010 per 28.000 beni alle organizzazioni ripianare, con i soldi in contanti criminali, con un aumento del 300% sequestrati alla mafia e alle altre rispetto al passato. organizzazioni criminali e custoditi nel «In due anni e quattro mesi di vita del Fondo Unico di giustizia, i tagli subiti governo – ha riferito il titolare del dal ministero dell’Interno”. Viminale – il valore complessivo dei Questo era l’obiettivo dichiarato dal sequestri supera i 13 miliardi di euro, ministro dell’Interno Roberto Maroni due volte e mezzo in più rispetto al nel rispondere ad una interpellanza periodo precedente. Le confische dei urgente alla Camera dei deputati beni sono aumentate, raggiungendo un presentata dai deputati Lo Presti e valore di 3 miliardi circa». Bocchino. Si parla di cifre enormi, immense. «Nel Fondo – ha dichiarato Maroni – Una riflessione sul punto è più che confluiscono le somme e i titoli che
Via libera al decreto che assegna milioni di euro al comparto sicurezza E per lìistruzione?
dovuta specialmente alla luce della crisi sociale vigente nonchè lavorativa. In un passato recentissimo avevo già provveduto a sollevare delle considerazioni sul punto, cadute, ahimè, nel vuoto. http:// www.gliitaliani.it/2010/09/perchenon-destinare-i-soldi-sequestrati-allamafia-alla-scuola-pubblica/ Ovvero perchè non intervenire con una piccola ma incisiva modifica normativa affinchè una parte di quelle risorse vadano anche al settore dell’Istruzione? Con questo non voglio togliere il merito al lavoro svolto dalle forze dell’ordine che lottano per contrastare la criminalità organizzata, ai magistrati impegnati in tale lotta ogni giorno a rischio perenne della propria vita. Ma perchè insistere solo sul fattore sicurezza preventiva e repressiva? Perchè insistere solo in un modus operandi che a lungo termine sarà fallimentare? Il miglior modo per educare la società ad altro sistema è proprio quello di intervenire nel stettore educativo, formativo, nel campo della cultura. La società presente caratterizzata da un odioso consumismo materialistico, da una falsa corsa al perbenismo borghese, dal sempre più teatrale e vivo desiderio di esser costumati e servili all’apparente morale collettiva, non accompagna certamente l’individuo verso il senso della riflessione della critica, ma meramente verso la strada a senso unico diretta in quella distesa limitata e definita quale il nozionismo superficiale moderno. La cultura è fondamentale per intervenire e prevenire fattori e contestuali situazioni che nel tempo annichiliranno l’individuo nei meandri oscuri dell’assoluto sempre pù divenire imborghesimento consumistico e capitalistico della società padronale. Tagliare in fondi alla scuola pubblica, all’università pubblica, favorire la logica dell’aziendalizzazione della cultura, dell’esasperazione del profitto figlio della necessaria voluta ed imposta concorrenza di mera economia di mercato, riservare la preparazione culturare solo ad un ceto ben definito ed altrettanto limitato è un dramma vivo che deve essere fermato. Ed allora se veramente si vuole contrastare la mafia, e con il termine mafia intendo tutte le mafie esistenti ivi
incluse quelle politiche ed istituzionalizzate nello Stato dallo Stato, basta demagogia. Vista la enorme quantità di danaro a disposizione del Fondo Unico di Giustizia, destiniamo una quota all’istruzione pubblica. Rilancio questo appello, soprattutto oggi dopo l’approvazione alla Camera della riforma Gelmini in attesa di essere nuovamente approvata,forse, dal Senato. Pasolini diceva che ” l’atroce infelicità o aggressività criminale dei giovani proletari e sottoproletari deriva appunto dallo scompenso tra cultura e condizione economica: dall’impossibilità di realizzare (se non mimeticamente) modelli culturali borghesi a causa della persistente povertà mascherata da un illusorio miglioramento del tenore di vita”. Questo è quanto scriveva sul Corriere della Sera del 29 ottobre 1975 . Sono parole più che vive condivisibili ed attuali.
Scioperano i paperoni del calcio Scheda Al centro del dissidio tra Lega calcio ed Assocalciatori, che ha portato alla proclamazione dello sciopero dell’11 e 12 dicembre c’e’ il rinnovo collettivo nazionale di categoria. La Lega di Serie A ha proposto una bozza di riforma articolata in otto punti. L’Aic si e’ detta pronta a discutere su sei di essi, altri li ha respinti. In particolare la rottura totale c’e’ stata sul settimo punto, quello dei cosiddetti fuori rosa. Questi i termini della discordia. 1) CONTRATTO FLESSIBILE con introiti legati ai risultati. L’Aic lo vuole flessibile fino al 50%, la Lega di serie A vuole flessibilita’ assoluta, compresa
l’automatica riduzione degli stipendi in caso di retrocessione in serie B; 2) PROFESSIONALITA’. Secondo la Lega il calciatore deve fare solo il calciatore, per l’Aic e’ libero di svolgere un’altra professione durante il tempo libero; 3) COMPORTAMENTO. Deve essere eticamente irreprensibile per la Lega, anche fuori dall’orario di gioco o allenamento, mentre per l’Aic i calciatori devono poter disporre come preferiscono del loro tempo libero; 4) CURE MEDICHE. Devono rimanere circoscritte allo staff del club per la Lega, mentre per l’Aic i calciatori possono farsi curare da chi vogliono; 5) SANZIONI. Per la Lega devono essere automatiche, per l’Aic invece bisogna sempre rimettersi alla decisione del collegio arbitrale. Inoltre l’Aic vuole avere mano libera nelle sanzioni ai propri calciatori, svincolandole dall’ingaggio (attualmente non si puo’ superare il 30% dello stipendio); 6) COLLEGIO ARBITRALE. Per le societa’ il presidente deve essere scelto dalla Lega fuori dal mondo del calcio, secondo i giocatori dall’Aic tramite sorteggio interno; 7) ALLENAMENTI. Per la Lega un allenatore puo’ dividere la squadra in piu’ gruppi distinti (il riferimento ai cosiddetti ‘fuori rosa’), per l’Aic i calciatori devono invece essere sempre preparati tutti insieme, senza discriminazioni; TRASFERIMENTI. Per la Lega un giocatore non puo’ rifiutare il passaggio ad un club dello stesso livello di quello in cui si trova e che gli garantisca lo stesso trattamento economico. In caso di rifiuto, il contratto si intende rescisso automaticamente con una multa da pagare da parte del calciatore che ammonta al 50% del suo stipendio. L’Aic si oppone totalmente a quest’iniziativa.
Lo spettro dei rifiuti campani Alla discarica di Alli Di Emilio Grimaldi
Napoli. La paura è Napoli. Emergenza rifiuti alla discarica di Alli. Lo spettro dei rifiuti provenienti dal capoluogo campano è tangibile. D’altronde, il passo non sarebbe poi tanto lungo. La società che si occupa dello smaltimento dei rifiuti alle pendici di Catanzaro, la veneta Enerambiente,
tratta anche i rifiuti del napoletano. Da tre giorni è un via vai continuo di autoarticolati di ogni dimensione. Arrivano da tutta la Calabria. Complice il sequestro della discarica di Pianopoli nel lametino e la saturazione di quella di Rossano nel cosentino. Ma giungono tir anche da Melito di Porto Salvo, del reggino. “E’ una situazione che non mi convince. Non mi convince perché ci sono troppi camion. E non so se la discarica di Alli ha l’opportunità di smaltire tutti questi rifiuti. È una situazione intollerabile. Tutti hanno un orario di lavoro. Solo noi, no. Siamo anche delle persone. Non siamo delle bestie”. Si lamenta Saverio Pistoia, sindacalista della Cgil e operatore della
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società Schillacium, in fila per scaricare già da tre ore. “Andate a chiedere a quelli che stanno negli uffici in giacca e cravatta, sono loro che gestiscono tutto”, invita un suo collega lametino. Ci sono rifiuti che provengono anche da Napoli? chiediamo. “Non lo possiamo affermare con certezza. Ma non sappiamo, nello stesso tempo, nemmeno da dove arriva esattamente la spazzatura, dicono: dal resto della Calabria”. I tir con il doppio rimorchio di dove sono? “Di Lamezia Terme. È da un paio di giorni che la situazione è diventata intollerabile. E tutti dormono”. Quindi, prima la gestione dello smaltimento era più tranquilla? “Era critica, come sempre. Ma non come adesso. Perché è impossibile che uno arriva qui e deve aspettare cinque o sei ore per scaricare”. Ultimamente è stata ampliata, osserviamo. “Non lo so, io vedo solo una situazione che non mi convince”. E cosa viene smaltito attraverso il canale che raggiunge il fiume Alli? “Lei mi fa delle domande a cui non posso rispondere. Non posso sapere come funziona qui. Io sono solo un autista che da circa 20 anni fa questo lavoro”. “Ha mai visto scorrervi del
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percolato? insistiamo. “Diciamo che nel bene e nel male è stato sempre così”. E, infatti, il percolato che scende giù nell’alveo del fiume Alli è facilmente riconoscibile, nonostante la pioggia battente della notte scorsa.
Trai paesi di insediamento, l’Argentina supera di poco la Germania (entrambe oltre le 600.000 unità), la Svizzera accoglie mezzo milione di italiani, la Francia si ferma a 370.000, il Brasile raggiunge i 273.000 e Australia, Venezuela e Spagna superano le emiliogrimaldi.blogspot.com 100.000 unità. Tra gli italiani residenti all’estero più della metà non è sposato, quasi la meta’ e’ costituita da donne, piu’ di un terzo è nato all’estero, mentre 121.000 si sono iscritti dopo aver acquisito la cittadinanza. I minorenni sono un sesto del totale, ma sono superati dagli ultrasessantacinquenni (18,2%) di quasi tre punti: questo rapporto si riscontra anche in Italia, dove infatti gli anziani incidono per un quinto. All’estero, oltre agli italiani che hanno mantenuto o acquisito la cittadinanza, quindi con passaporto e diritto di voto, vi sono gli oriundi, quasi 80 milioni secondo una recente stima dei Padri Scalabriniani basata sulle fonti dei diversi paesi: 25 milioni Gli italiani continuano in Brasile, 20 in Argentina, 17,8 negli Stati Uniti e in Francia, 1,5 in Canada, ad emigrare 1,3 in Uruguay, 0,8 in Australia, 0,7 in Sono 4 milioni Germania, 0,5 sia in Svizzera che in i residenti all’estero Perù e, quindi, altri Paesi con un numero minore, fino a superare Di P. B. ampiamente la popolazione residente Sono 4.028.370 i cittadini iscritti in Italia. all’anagrafe degli italiani residenti In Italia i flussi con l’estero si sono all’estero all’8 aprile 2010, il 6,7% degli ormai ridotti: un po’ più di 50.000 oltre 60 milioni di residenti in Italia. Il l’anno quelli in uscita, e un po’ di numero è quasi pari a quello degli meno quelli di ritorno. Bisogna mettere stranieri residenti nel Paese (4 milioni in conto che le partenze, specialmente 919 mila secondo il Dossier Caritas/ quelle dei giovani, inizialmente hanno Migrantes 2010). Sono i dati contenuti un carattere di sperimentazione, per nella quinta edizione del rapporto cui i protagonisti non provvedono alla italiani nel mondo della Fondazione cancellazione anagrafica presso il Migrantes, presentato a Roma. proprio comune, con la riserva di L’aumento e’ stato di 113.000 unita’ formalizzarla solo quando la rispetto all’anno precedente. permanenza all’estero sia diventata Contrariamente a quanto si pensa, stabile. La consistenza degli italiani quella degli italiani nel mondo è, all’estero si rafforza anche con le nuove quindi, una presenza in aumento. nascite e con le acquisizioni di Questo rapporto viene esaminato in un cittadinanza”. comunicato dell’agenzia Dire Si discute spesso della presenza di (www.dire.it): stranieri in Italia mentre è quasi “Al termine di più di un secolo e completamente trascurato il fenomeno mezzo di flussi migratori, la presenza di opposto. Una parte consistente degli italiani all’estero puo’ definirsi in italiani all’estero sono il frutto di flussi prevalenza euro-americana, come migratori che si sono verificati anche attestano le quote di pertinenza di molti anni or sono, ma è comunque ciascun continente: Europa (55,3%), importante occuparsi anche di loro. Vi America (39,3%) e, molto più sono comunque i cosiddetti “cervelli in distanziate, Oceania (3,2%), Africa fuga”, la cui emigrazione è recente. Il (1,3%) e Asia (0,9%). loro numero non è certo: non è disponibile un censimento completo dei
ricercatori all’estero. Duemila sono gli iscritti alla Banca dati “Davinci”, lavorano in tutte le più importanti università del mondo. Solo 1 su 4 intenderebbe ritornare in Italia, gli altri si dicono soddisfatti della vita condotta all’estero. Non è un caso che dalla graduatoria Top Italian Scientists, risulta che l’Italia ha i suoi più bravi scienziati all’estero. Nel 2001, il ministro dell’Università ha varato un programma per il rientro dei cervelli fuggiti dall’Italia. I risultati? Scarsi. “Dei 460 ricercatori, faticosamente riportati in patria, infatti, solo 50 sono stati richiesti ufficialmente dagli atenei italiani e di essi solo un quinto avrebbe superato le forche caudine del Consiglio Universitario Nazionale.
Svendesi cultura Il 48% delle aziende italiane ha investito almeno una volta in cultura negli ultimi tre anni, anche se, fra di esse, il 52,8% ha intenzione di ridurre questo impegno. Il connubio fra il mondo delle imprese e il patrimonio culturale italiano genera ogni anno investimenti compresi fra i 2.500 e i 3.000 milioni di euro, cifre a cui concorrono, per il 56%, le aziende con un numero maggiore di addetti, rispetto a quelle di piccole dimensioni. A tracciare un quadro del rapporto fra economia e cultura e’ la ricerca ‘Il valore della cultura’, condotta dall’Associazione Civita e presentata
oggi a Milano, nel corso del ‘Summit arte e cultura’ tenutosi nella sede del Sole 24 Ore. Le imprese che investono maggiormente nella cultura, precisa il rapporto, sono quelle che operano nel manifatturiero, nel commercio e nelle costruzioni, ubicate per il 70% nel Nord Italia e interessate prevalentemente a musei, mostre e spettacoli. L’investimento in interventi strutturali, invece, riguarda solo il 10-15% del totale. La ricerca evidenzia come con il crescere della dimensione aziendale aumenti anche il valore dell’investimento: il 20% delle imprese con oltre 119 addetti dichiara di investire oltre 500 mila euro all’anno e di questo 20%, circa un quinto, e’ costituito da aziende che investono oltre 1 milione di euro. La ricerca mette in luce anche la necessita’ di far collaborare competenze manageriali e culturali, sfruttando un potenziale che ha ancora un ampio margine di azione. Per il 7 dicembre intanto , in occasione della prima alla Scala, si preparano le iniziative contro i tagli al settore contenuti in Finanziaria. Al presidio promosso dalla Cgil, hanno aderito fra gli altri Paolo Rossi, Tono Servillo, Moni Ovadia, Andree Ruth Shammah, l’Agis (l’associazione italiana dello Spettacolo) il Sindacato Italiano Attori e il Sindacato Italiano Artisti Musicisti. Si tratta di un presidio (che si aggiunge a quello gia’ annunciato dalla Cub) dove non saranno presenti solo artisti milanesi. Arriveranno, infatti, delegazioni anche dagli altri teatri italiani, a partire dal Carlo Felice di Genova, dove i dipendenti hanno dovuto accettare i contratti di solidarieta’. ‘Lanciamo l’allarme per tutto il mondo dello spettacolo’ ha spiegato Giancarlo Albori della Cgil milanese alla conferenza stampa per presentare l’iniziativa a cui ha partecipato fra gli altri anche il segretario della Camera del Lavoro Onorio Rosati. Il volantino che annuncia l’iniziativa sara’ letto nelle sale dei teatri prima dell’inizio degli spettacoli per spiegare che ‘la cultura nutre e da’ da mangiare’ e che ‘il petrolio dell’Italia si chiama cultura’. Ancora non si sa se la protesta entrera’ anche all’interno della Scala come e’ successo l’anno scorso quando i lavoratori fecero un minuto di silenzio
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contro i tagli prima dell’inizio dello spettacolo. E’ pero’ possibile che domani si arrivi a una decisione. Sul blog dei lavoratori del teatro c’e’ chi ipotizza una salita sul tetto, chi pensa a un inizio ritardato.
Coordinamento sito web Denise Fasanelli Pietro Orsatti Giuliano Rosciarelli
Gruppo di lavoro e collaborazioni “organizzate” Anna Ferracuti, Massimo Scalia, Sebastiano Gulisano, Vincenzo Mulé, Sabrina Provenzani, Gabriele Corona, Eleonora Mastromarino, Marco Stefano Vitiello, Imd, Aldo Garzia, Emilio Vacca, Luigi De Magistris, Paolo Cento, Emilio Grimaldi, Salvo Vitale, Paride Leporace, Pino Maniaci, Giovanni Vignali, Alessio Melandri, Pino Masciari, Saskia Schumaker, Giulio Cavalli, Laura Neto, Marco Barone, Pietro Nardiello, Stefano Montesi, Alessandro Ambrosin, Nello Trocchia, Raffaele Langone, Paolo Borrello, Mila Spicola, Francesco Saverio Alessio, Riccardo Orioles e... altre 312 persone che hanno pubblicato e continuano a pubblicare contenuti sulla nostra piattaforma
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«Non è una favola a lieto fine», racconta Marisa Masciari. «La paura non mi abbandona e la libertà non me la restituirà nessuno. Hanno messo una bomba nell’ufficio di Pino in Calabria, come a dire che là non dobbiamo farci vedere. Una notte siamo stati sorpresi da due sconosciuti in camera da letto, che si sono dileguati senza rubare nulla: possono entrare in casa nostra quando vogliono». E come si riprende in mano la vita dopo un lungo limbo? «Aprendo gli scatoloni» ride lei. «Erano rimasti chiusi, come a congelare la mia precarietà. Ho riposto le foto di famiglia nelle cornici d’argento. E ho letto un libro: prima scorrevo solo carte burocratiche, la mia testa era immersa in quel mondo irreale. Sognavamo che lo Stato ci proteggesse nella nostra terra: sarebbe stato un segnale forte per la ‘ndrangheta»
Vitello grasso (da immolare il 14 dicembre) Anche la bufala nera da il latte bianco
mariaStella di mare
Pavone blu
Che notte buia che c'è
“I poveri sono persone diseducate al benessere” di S.B.
povera me, povera me… Che acqua gelida qua
La volpe (artica) e il corvo (imperiale) Chi vuol fare onore all’amico, ciccia di troia e legna di fico
…quando la realtà supera la fantasia…
nessuno più mi salverà… Son caduta dalla nave, il 30 novembre
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mentre a bordo c'era il ballo… La volpe (bianca) e il corvo (azzurro)
Onda su onda
Lo zingaro prende i soldi mentre l'orso balla (proverbio russo)
il mare mi porterà
Verdoni e Verdini che volan via col vento Francamente me ne infischio
alla deriva in balia di una sorte bizzarra e cattiva Onda su onda mi sto allontanando ormai,
Gazzelle nere padovane
la nave è una lucciola persa nel blu
Al macello vanno i capretti più Giovan (non)i
mai più ritornerò…. (da Onda su onda di Paolo Conte)
Acaro del web Di segreti fan tesori gli imbroglioni e gli impostori
a cura di Sonia Ferrarotti www.soniaferrarotti.wordpress.com per contributi scrivi a oroscopo@gliitaliani.it
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