07 novembre 2010
della settimana
“Fini è uno dei principali responsabili dell’affermazione di Berlusconi e del suo imperium, dell’ideologia dei più furbi, del Paese trasformato in assemblea di clienti e, nel migliore dei casi, di consumatori”
La faccia
della Terza Repubblica
di Pietro Orsatti
La fine della Seconda Repubblica avrà forse il linguaggio e lo stile della Prima? Questa domanda non è più impensabile. Nessuna semplificazione, nessuna rimozione. La politica potrebbe toranre ad essere parola e impegno, ricerca del pubblico e del ragionamento. Anche complesso, comprensibile ma pur sempre, e senza rinunce, alto. L’uso della parola. Appunto, linguaggio. La Terza Repubblica, se mai ci sarà, avrà la faccia di due leader dalle antiche origini e dall’antica scuola. Nichi Vendola e Gianfranco Fini. Ognuno di loro figlio di antiche tradizioni, fra loro contrapposte, ma unite da due esigenze e modi di essere: profondamente italiane e europee. Non è un caso che, da posizioni assolutamente dicotomiche, i richiami all’Europa, a società plurali, ai diritti di tutti vengano da ciascuno dei due esponenti politici. E non si tratta di slogan. Gli slogan vengono lasciati ai figli del sogno infranto del bipolarismo irrisolto. Alle semplificazioni, che semplificano i problemi, li sminuiscono per poi mai
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affrontarli. Perché la Prima Repubblica non fu solo mercato e clientelismo. Perché il senso politico e civico continuò ad essere, anche nella fase di peggiore degenerazione del sistema, uno dei motori della nostra società. È la semplificazione che ha annullato la partecipazione, il senso di comunità, il senso di appartenenza. A un’idea e a una cultura. Vendola e Fini sono profondamente diversi fra loro. Nessuno di loro è novità, per ricco curriculum e passato. La differenze fra i due è forse nella coerenza. Vendola, anche se a fatica per poter sopravvivere alla storia del movimento in cui è cresciuto e si è formato, ha mantenuto il timone dritto anche durante la sbornia dei sedici anni del berlusconismo e del bipolarismo. Ha fatto bene. Ora può parlare a viso aperto al suo popolo, ben più vasto di quello di Sel, e proporsi come uomo del rinnovamento di una sinistra che sembrava essere implosa. Fini invece è uno dei principali responsabili dell’affermazione di Berlusconi e del suo imperium, dell’ideologia dei più furbi, del Paese trasformato in
assemblea di clienti e, nel migliore dei casi, di consumatori. Il suo rinsavimento, che sia reale o solo strumentale, è per noi tardivo. Gli va dato atto che lo strappo che ha portato avanti in questi mesi è coraggioso. Di una destra comprensibile e europea. Avversaria ma con cui dialogare e confrontarsi. Da pari. Anche con toni aspri, come stanno facendo oggi. «Quella di Fini è una furbizia insopportabile», dichiara Vendola. E probabilmente ha ragione. Proprio per i tentennamenti del leader di Fli, per la tardività dello strappo mai del tutto concluso. Questi due personaggi hanno finalmente sdoganato, e questo è il loro punto di contatto più evidente, il linguaggio come valore, la comunicazione come confronto e non come televendita, la cultura di una collettività come valore. Comune al di là dello schieramento politico. E forse, se questo Paese non si è ancora totalmente svuotato, potranno riaprire una fase nuova. Almeno per quanto riguarda lo stile. E non è poco di questi tempi.
GLI ITALIANI DELLA SETTIMANA 07 novembre 2010
Note in margine a un mucchio di rifiuti di Erri De Luca
Una rivolta popolare ha vinto. La prepotenza di imporre la servitù di una immensa discarica a fianco di una già nociva e nauseante è stata respinta e cancellata. Succedono buone notizie ma bisognano di buona volontà. Terzigno è un comune della fittissima area vesuviana. Da Parco Nazionale è stata degradata a pattumiera. Gli abitanti hanno provato a lungo e in ogni modo a farsi ascoltare dai poteri pubblici. La risposta è stata: ve ne appioppiamo un’altra, di discarica. E già che ci siamo la facciamo a misura di record, la più grande di Europa. Triste dettaglio in margine: a imporre la doppia servitù asfissiante provvedeva la Protezione Civile! Terzigno e i comuni intorno hanno fatto ricorso all’ultima risorsa della vita civile, la rivolta. Per non farsi schiacciare una rivolta popolare deve raccogliere l’ unanimità e darsi per organo dirigente l’assemblea. Giorni e notti di scontri, di pestaggi da parte di una forza pubblica mal diretta hanno saldato le fibre e le ragioni di una comunità offesa, anziché disperderle. E’ una lezione civica da studiare nelle aule di scuole e di università. Non riguarda quella zona e nemmeno è una questione meridionale. Riguarda invece il trattamento, anzi il maltrattamento dei rifiuti. E’ scientificamente certo che discariche, inceneritori e termovalorizzatori rilasciano microparticelle fuori controllo. E’ certo che nel raggio di questi impianti aumentano leucemie, neoplasie e aborti al quinto mese.
Quell’ambulanza colpita dai lagunari di Pino Scaccia
Tra i documenti riservati resi noti da Wikileaks ce ne sono due che ribaltano la ricostruzione di fatti drammatici che hanno avuto gli italiani per protagonisti in Iraq. Non sparavano
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“Per non farsi schiacciare una rivolta popolare deve raccogliere l’ unanimità e darsi per organo dirigente l’assemblea. Giorni e notti di scontri, di pestaggi da parte di una forza pubblica mal diretta hanno saldato le fibre e le ragioni di una comunità offesa, anziché disperderle” Erri De Luca
La lotta di Terzigno è e resta di pura e legittima difesa della vita. Perciò la sua spinta migliore viene dalle donne, madri e spose. Le vulcaniche, sono state definite. Sarebbe più preciso dirle sismiche, hanno mosso la terra sotto i piedi delle autorità, le hanno fatte vacillare e poi cedere. Gli abitanti di terre vulcaniche sono abituati alle pazienze. Sanno di stare sotto avviso di sfratto e anche di esilio. Hanno la pazienza esercitata di offrire allo schiaffo la seconda guancia. Ma è noto che non esiste in natura e neanche nei Vangeli la guancia numero tre. E’ cosa buona e giusta che la pazienza esaurisca la scorta. Nella loro difesa entra anche un sentimento di offesa e di sfregio contro la bellezza. E’ stato ottuso gli occupanti del mezzo di soccorso iracheno colpito durante la «battaglia dei Lagunari», nell’agosto 2004 sui ponti di Nassiriya, in Iraq, e poi esploso perché raggiunto dai colpi dei soldati italiani: è quanto si legge nella documentazione messa online da Wikileaks. I militari italiani dissero di aver risposto al fuoco proveniente dal veicolo iracheno. In realtà la storia non è nuova, nel senso che il dubbio che i militari italiani, i lagunari, avessero sparato contro un’ambulanza era girata insistentemente, ma poi era stata smentita dai vertici. Ce ne eravamo occupati subito, e Pipistro mise la vicenda addirittura in relazione con
imporre uno scempio su una terra incantata. E’ volontà di ignorare che la bellezza è l’unico nostro patrimonio. Le varie Fiat potranno pure chiudere baracca, col plauso dei burattini, ma la bellezza resterà fonte inesauribile di lavoro e di orgoglio. Cancellata la discarica gigantesca e pronta bonifica di quella esistente : la squillante vittoria della lotta vesuviana è il riscatto non solo della volontà popolare ma pure del rispetto della bellezza. Il sud ha da offrire questo valore aggiunto al malcalcolato PIL che non sa guardare fuori dalla finestra. La bellezza custodita e tramandata alle generazioni si chiama civiltà. www.sinistraeliberta.eu l’uccisione di Enzo Baldoni. Di mezzo c’era un giornalista e studioso americano, Micah Garen, a lungo ospite del campo italiano e autore di una denuncia pubblica su quello che, secondo i suoi testimoni, era stata una strage di civili: una donna incinta e la sua famiglia. Garen era venuto a trovarmi a Baghdad per offrirmi quel documento. Quando tornò la sera a Nassiryia fu rapito. Era il 13 agosto del 2004. Una settimana esatta prima di quel viaggio senza ritorno di Enzo a Najaf. Misteri sempre più pesanti. baghdadcafe.wordpress.com/
“ Il brevetto di pidduista, a Piscitello, gli era costato duecentomila lire, perchè il cugino Onofrio, ex-socialista, aveva voluto il suo interesse in contanti. In compenso, lo aveva fatto iscrivere come pidduista della prima ora”
Pidduista Piscitello, presente! di Riccardo Orioles
“Porca mafia! Porci pidduisti! Bestia d’un…! E bestia io che mi ci son messo!”. Come ogni sabato, il pidduista scelto Antonio Piscitello, impiegato di terza classe al municipio di Caloria,: bestemmiava attorno agli stivali della divisa. “Che hai?” urlò, come tutti i sabati, la signora Assunta. “Ho, ho… Ho che questi porci stivali… Porca Piddue! Porco chi l’ha inventata e porco Berlu…”. “Zitto, imbecille! Ci vuoi rovinare?”. Con un sospiro, la signora Assunta prese il calzastivali, s’inginocchiò accanto al marito e alla fine fra tutt’e due, come Dio volle, riuscirono a farcelo entrare. Sul pianerottolo, Piscitello si fece da parte per lasciare passare il capomanipolo Pasquarelli: “Piscitello! A chi l’Italia?”. “A noi!”. In piazza, la solita solfa: “Berluschistiiii… A noi!”. “Pidduistiiii! Saluto al Capo!”. “Pidduistiiiii… Saluto al Presidente!”. Discorsi, impero, Somalia italiana, Albania italiana, Medioriente italiano, Giovinezza, Marcia presidenziale e poi finalmente tutti a casa. A casa – come ogni sabato – Piscitello si stravacca faticosamente sulla sua poltrona, la signora Assunta gli toglie faticosamente gli stivali, e poi il rito finale: la signora va a prendere il ritratto a colori del Presidente, lo regge – pur
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continuando a protestare – a braccia tese davanti a Piscitello, e Piscitello (“Porco che non sei altro! E io più porco di te che ti sto dietro!”) ci sputa sopra. Infine il ritratto, debitamente pulito col panno, vien riportato in salotto, e Piscitello sprofonda davanti alla seicentodiciottesima puntata del “Grande Fratello”. Colla Piddue, a dire il vero, Piscitello – alieno dalla politica com’era – non ci aveva mai avuto a che fare. Ma sessantacinque euri al mese sono sessantacinqueeuri, e la signora Assunta, a furia di conoscenze e di buone parole, era riuscita a farlo iscrivere lo stesso. “Tieni! E ringrazia il cugino Battista che te l’ha fatto avere!”. Il brevetto di pidduista, a Piscitello, gli era costato duecentomila lire, perchè il cugino Onofrio, ex-socialista, aveva voluto il suo interesse in contanti. In compenso, lo aveva fatto iscrivere come pidduista della prima ora. Così, adesso, gli toccava anche stare a sentire il capufficio Brunetti che lo mandava a chiamare quand’era di buonumore: “Noi vecchi pidduisti – faceva – noi che l’abbiamo duro… eh, Piscitello? Noi che sappiamo cosa vuol dire combattere… Perchè dovete imparare, voialtri giovanotti,
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che cosa voleva dire fare i pidduisti una volta! Come si chiamava quel giudice, quella testa di… quel Borrelli, ecco! Ce n’è voluta per levarci di torno la gente come lui… eh, Piscitello?”. E Piscitello annuiva. “Quel Borrelli! Ma ha fatto la fine che meritava, alla fine. E quel Woodcock! E quella Boccassini! Ce n’è voluta, eh, Piscitello? No, no, non fate questa faccia, camerati. Lo so anch’io che ‘sti nomi non si potrebbero dire. Ma fra noialtri pidduisti…”. “Camerata Brunetti, la sapete l’ultima sul camerata Calderoli? Dunque: il camerata Calderoli va a Washington per una visita di Stato…”. Ma a questo punto il capufficio Brunetti tossiva severamente, e tutti si rimettevano al lavoro. Lasciamo trascorrere gli anni sulla vita dell’impiegato Piscitello. La guerra di Babilonia, l’Afganistan, le leggi antislamiche, l’oro alla patria, il Pakistan… A ognuna di queste memorabili svolte della Storia, il Capo s’affacciava alla televisione urlando: “Lo volete voi?” e milioni d’italiani immediatamente sbraitavano “Sì! Lo vogliamo! Vogliamo vivere pericolosamente!”. In realtà, da lunghissimi anni, gli italiani non desideravano altro che di evitare ogni sia pur minimo fastidio: bastava tenere in casa un ritratto di Caselli o una copia della vecchia Costituzione per essere già schedati come antipidduisti. Neanche Piscitello era un eroe. E’ con un certo stupore dunque che lo ritroviamo, nell’ottobre 2006, in un fascicolo della polizia. “Il nominato Piscitello Antonio trovandosi in un pubblico esercizio veniva pubblicamente sorpreso a sbadigliare, come da materiale fotografico allegato, in concomitanza alla trasmissione, da parte dell’Apparecchio Televisivo Autorizzato, del Bollettino di Guerra numero millecinquecentosei relativo all’avanzata delle nostre gloriose truppe fra i mondi dell’Afganistan Occidentale…”. Nessuno fu mai in grado di provare che lo sbadiglio di Piscitello avesse un significato politico, che in verità neanche lui stesso sarebbe forse sarebbe riuscito a stabilire. Questo gli evitò di essere spedito al confino a Bolzaneto, ma non di essere sospeso per un mese, al municipio di Caloria, dal lavoro e dallo stipendio. Un mese che il povero Piscitello passò quasi interamente a letto. Il ventinovesimo giorno, lo venne a trovare il capufficio Brunetti. “Comodo, comodo, Piscitello!”. “Ma eccellenza… Ma camerata…”. “Quale camerata, Piscitello! Qua siamo fra gente libera, grazie a Dio!”. “Ma… come… il Presidente… la Piddue…”. A questo punto, successe una cosa incredibile. “Dài, Piscitello! – fece il capufficio Brunetti – La sento anch’io radio Samarcanda!” e gli strizzò l’occhio. Ora bisogna sapere che il nostro Piscitello da più d’un anno quasi tutte le sere, chiuso nel
gabinetto, tirava rumorosamente la catenella, e poi accendeva a bassissimo volume la radio. La radio era assai disturbata, e le parole “amici italiani buonasera” arrivavano fioche e lontanissime, fra lo scroscìo dello sciacquone: ma a Piscitello bastavano per tirare avanti un altro po’. Prudenza avrebbe voluto, a quel punto, che Piscitello protestasse indignato, che giurasse sul sacro nome del Capo che mai e poi mai… ma non ne ebbe la forza. Rimase a guardare come un intontito il capufficio che metteva la mano in tasca, ne cavava alcuni biglietti da cento euri e li deponeva garbatamente sul comodino. “Qua, Piscitello! Ti ho dovuto sospenderre, lo sai, perchè altrimenti la loggia… Ma lo stipendio di questo messe, se permetti, te lo voglio rifonderre io, di tasca mia!”. Piscitello spalancò tanto d’occhi, in un enorme sorriso riconoscente. Per un quarto d’ora rimasero a parlare di Samarcanda e della misteriosa voce del Colonnello Santoro, che secondo Brunetti era piccolo grasso e coi baffi e secondo Piscitello invece alto, biondo e cogli occhi azzurri. Improvvisamente: “Ora basta con questi disfattismi, Piscitello! – urlò il capufficio – La prossima volta a Bolzaneto, altro che un mese!”. Piscitello non ebbe il tempo di impallidire, che già la signora Assunta, che egli non aveva visto entrare, era uscita, e già il capufficio aveva nuovamente cambiato espressione (“Allora, Piscitello: restiamo intesi, eh?”), gli aveva nuovamente strizzato l’occhio ed era uscito pure lui. Piscitello non poteva saperlo. Ma la scoperta della democrazia, che in quei mesi andavano facendo il capufficio Brunetti e molti altri italiani importanti come lui, in fondo era tutta una questione di spaghetti. Da un anno, infatti la MacDonald di Chicago era entrata pesantemente nel settore spaghetti: spaghetti sintetici, naturalmente (ottenuti dal disboscamento delle foreste ancora sopravvissute in Borneo e in Thailandia) ma pur sempre spaghetti: a milione, a tonnellate, a transatlantici interi. Ora, il mercato degli spaghetti era in mano da tempo immemorabile di alcune corporation italiane, la Fiat, Mediaset e la De Benedetti: nessuna delle quali aveva voluto dar retta alle pressanti ammonizioni (“il monopolio degli spaghetti non è compatibile con la democrazia”) del Presidente Obama. Così, la macchina si era messa in moto. Alcuni esperti scoprirono che tutto sommato anche l’Italia, con un po’ di buona volontà, si poteva considerare parte del Medio Oriente. E il Medio Oriente rientrava, secondo gli Accordi di Las Vegas del 2002, nella sfera d’influenza della McDonald. Le truppe americane sbarcarono a Caloria nel luglio 2011. La resistenza fu minima, perchè già nelle tre settimane precedenti alcune operazioni chirurgiche con missili ed elicotteri d’assalto
avevano provveduto a spazzare via Palermo, Torino, Napoli, la parte occidentale di Genova, sei battaglioni italiani e, purtroppo, un rifugio probabilmente gremito da circa milleseicento orfanelli dell’Opera San Giovanni di Dio. La Guardia Leghista, che aveva giurato di bagnarsi sul bagnasciuga nel sangue degl’invasori, si era semplicemente dissolta; il Capo, travestito da soldato americano, era stato catturato dai partigiani a Milanofiori e fucilato sul posto. A Caloria, dicevamo, gli americani sbarcarono senza incontrare difficoltà alcuna, e nel giro di ventiquattrore avevano già installato un’amministrazione civile funzionante: ne facevano parte ex-piduisti, imprenditori, due capimafia dissidenti, l’ex-segretario di An, Melissa P., l’ex-sindaco Bianco e il capo dei Giovani Industriali. Tutti costoro si riunirono, formarono una Commissione per l’Epurazione, e mandarono a chiamare il pidduista scelto Antonio Piscitello. Capo della Commissione era l’excapufficio (ora Capodivisione) Brunetti. “Il Piscitello…”, “Quel Piscitello…”, “Il nominato Piscitello…” si sentiva confusamente enunciare da dietro la porta chiusa della Commissione. Dopo alcuni minuti la porta si aprì e Piscitello ne venne fuori, pallido, a testa bassa, senza una parola. “Ma la prossima volta, si ricordi – lo inseguì la voce del Commissario Brunetti – a Bolzaneto la mando, altro che un mese!”. Se ne tornò a casa sua, lentamente, e andò difilato a ficcarsi a letto. Il ventinovesimo giorno, lo venne a trovare il capodivisione Brunetti… Da La Catena di San Libero (ha collaborato Vitaliano Brancati)
Why Yes
Il ribaltone annunciato di Emilio Grimaldi
Il nome di Giancarlo Pittelli compare solo due volte, per ricordare la difesa legale di Pasquale Anastasi. Il nome di Dolcino Favi, mai. Il primo è un senatore del Pdl, il secondo è l’avvocato facente funzioni della Procura di Catanzaro che avocò l’indagine Why Not all’allora pm Luigi de Magistris. Entrambi accusati dalla Procura di Salerno della sottrazione illegittima delle indagini al pm napoletano . Come non compare il nome del marito di Lei, Mottola d’Amato, di cui il fu pm chiese l’arresto per alcune vicende che ruotavano intorno all’azienda ospedaliera di Catanzaro. Lei è il gup, il giudice per le udienze preliminari. La sentenza raccoglie le motivazioni con cui Abigail Mellace ha demolito il Perché no? di de Magistris. E l’ha trasformato in un Why Yes. La signora della Giustizia italiana. “Il vero dominus”. Anzi no, “il vero dominus” di Why not è la super teste, Caterina Merante. È il ribaltone. Otto condanne e trentaquattro assoluzioni. Da accusatore ad accusato. Da magistrato ad europarlamentare. Da vittima a carnefice. Da “socialmente pericoloso” a “capo cosca”. Il ribaltone è cosa fatta. L’importante non sono i protagonisti, ma i legami fra di loro. Sono questi a dare il là all’interpretazione. Ed ecco che viene fuori un “rapporto personale e confidenziale” tra il braccio destro di Antonio Saladino, la domina Merante, e il
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maresciallo incaricato alle indagini, Giuseppe Chiaravalloti. Ma no! Non era Saladino che aveva fatto assumere i figli dei magistrati, dei politici, e degli avvocati di Catanzaro a fronte di finanziamenti richiesti ed ottenuti? Non era lui ad aver un rapporto “stretto”, confidenziale e ambientalmente incompatibile, per la giustizia? No, è lei ad avere orchestrato tutto. In combutta con un Chiaravalloti descritto in balia dello charme della Merante. Un maresciallo dell’Arma dei carabinieri che si preoccupava quando lei non rispondeva al telefono e che, alle giustificazioni della religiosa di Comunione e Liberazione, che non aveva potuto farlo in quel momento, chiedeva anche scusa di tanto zelo. E che chiedeva anche scusa per il “cornetto non troppo buono” che le aveva servito. Che si angosciava per il suo “mal di schiena”. Che accettava come uno spasimante tutti i consigli che la sua domina gli propinava. Come quando preparando un decreto glielo lesse al telefono. Attentissima a personaggi e situazioni la Merante non esitò a fornirgli un tassello importante che mancava, un nome: Giovanni Lacaria, vicepresidente del Consiglio di Amministrazione del consorzio Brutium per via di un contratto con la Regione Calabria. Una briciola sulla tavola di Why Not. Ma la domina era vigile a tutto. Anche a queste. Per la cronaca poi Lacaria è stato assolto come quasi tutti gli altri perché “il fatto non sussiste”. Su questa tavola c’è un piatto importante. Un piatto gustoso. Lo chiamiamo MARANTEC. Un bando di gara per censire il patrimonio immobiliare della Regione e per difendere l’ambiente e il territorio, annullato dal dirigente regionale, Giuseppe Fragomeni perché si era accorto che “era stato formato da soggetti estranei all’apparato amministrativo della Regione Calabria”. Da tale avvocato Luca Pelliccelli. In pratica, una volta pubblicato sul sito istituzionale si viene a sapere che l’autore del file non era la Regione, bensì questo presunto avvocato e “ciò poteva ingenerare ragionevoli dubbi e sospetti sulla legittimità del bando”. Il pm interroga il dirigente del settore, Rosalia Marasco, e le sottrae tutti i supporti informatici, e anche Caterina Merante, ma di questa audizione dinnanzi a de Magistris e al maresciallo Chiaravalloti non c’è traccia. Il bando era stato trovato in molti computer nella disponibilità delle società che gravitavano intorno al pianeta Saladino, Brutium, Need, Piazza del Lavoro e Why Not. In tutti i casi era stato scaricato da internet. Tranne in uno. Il bando del 12 gennaio 2007 veniva creato, secondo la consulenza di Francesco Muraca e di Vittorio Iiritano, rispettivamente presidente dell’ordine dei dottori commercialisti di Catanzaro e presidente dell’ordine dei giovani dottori commercialisti di Catanzaro, da un pc della Why Not più di due mesi prima. E cioè il venerdì 20 ottobre 2006. Un file con un nome inequivocabile: Merantec. L’autore un avvocato di uno studio legale di Roma facente capo a Diddi e Brugnoletti, legali della Merante. Un controllo facile facile. Hanno cliccato sulle proprietà dei file e sono venuti fuori: data creazione, data ultimo salvataggio e proprietà. E se fosse stata manonessa la data del pc in modo da farlo risultare creato e salvato in modo antecedente a quella del bando? I periti a questo interrogativo non rispondono. Nessuno glielo aveva chiesto. Sta di fatto che di quella audizione, il 26 marzo 2007, con la persona più informata di tutti non vi è “alcuna traccia documentale nel fascicolo”, sentenzia la Mellace. Questo è il punto di Archimede della consorte di D’Amato. Era la stessa
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superteste, che ha denunciato la nuova massoneria calabrese, quindi, che suggeriva i progetti da far approvare alla Regione… Da qui, passo dopo passo, il gup spoglia i panni della principale accusatrice per vestirla con quelli di una carnefice. Che ora sono al vaglio della Procura. Un ribaltone perfetto. Un delitto perfetto. La Mellace ha utilizzato le stesse armi dell’ex pm, denuncia di un complotto ai suoi danni – ragione sufficiente per dimostrare l’incompletezza del suo lavoro, vedi avocazioni e trasferimento – allestendo un altro palcoscenico, occupato dalla Merante e dal maresciallo Chiaravalloti. Per quel rapporto troppo “personale e confidenziale”, con il vero dominus ben individuato in lei, che per l’occorrenza veste anche i pantaloni. Tuttavia, a conti fatti. De Magistris è stato fatto fuori. Mentre per la Mellace si profilano gli ispettori del ministero non contro di lei, non per la sua incompatibilità a giudicare sull’operato di un pm che voleva mettere in carcere il marito o per salvaguardare l’onore di Pittelli che aveva difeso suo padre dall’accusa di violenza sessuale – così come si è verificato, a parti invertite, con il pm napoletano quando iscrisse nel registro degli indagati Mastella e Prodi – ma contro lo stesso de Magistris, che avrebbe strumentalizzato le sue indagini come “trampolino di lancio” per la sua carriera politica, firmato trenta parlamentari del Pdl. Ribaltone e vendetta. Ora si sa chi comanda. Sarà vera gloria? La sentenza del gup, Abigail Mellace: PQM DICHIARA SALADINO Antonio colpevole dei delitti di cui ai capi 6), 11), 12, 13, 14, 15, 16, 18, 19 della rubrica, qualificate le originarie imputazioni ai sensi dell’art 323 comma 2 c.p. e, per l’effetto, concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, unificati i reati dal vincolo della cotinunazione e applicata la diminuente per la scelta del rito, lo CONDANNA alla pena di anni due di reclusione, LILLO Giuseppe Antonio Maria colpevole dei reati di cui ai capi 9), 11), 13), 14), 15), 16), 18) e 19), qualificate le originarie imputazioni ai sensi dell’art 323 comma 2 c.p. e per l’effetto, concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, unificati i reati dal vincolo della continuazione e applicata fa diminuente per la scelta del rito, lo CONDANNA alla pena di anni uno, mesi dieci di reclusione, LA CHIMIA Antonio Alessandro colpevole dei reati di cui ai capi 3), 6), 7), 10) e 34) della rubrica e per l’effetto, concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, unificati i reati dal vincolo della continuazione e applicata la diminuente per la scelta del rito, lo CONDANNA alla pena di anni uno, mesi dieci di reclusione, MACRI’ Pietro colpevole del delitto di cui al capo 7) della rubrica e, per “effetto, concesse le
circostanze attenuanti generiche e applicata la diminuente per la scelta del rito, lo CONDANNA alla pena di mesi nove di reclusione ed euro 900,00 di multa, MORABITO Gianluca colpevole del delitto di cui al capo 7) della rubrica e, per l’effetto concesse le circostanze attenuanti generiche e applicata la diminuente per la scelta del rito, lo CONDANNA alla pena di mesi sei di reclusione ed euro 600,00 di multa, SALADINO Francesco colpevole del delitto di cui al capo 4) della rubrica e per l’effetto, concesse le circostane attenuanti generiche e applicata la diminuente per la scela del rito lo CONDANNA alla pena di mesi quattro di reclusione ed euro trecento di multa, SIMONETTI Francesco colpevole dei delitti di cui ai capo 16) e 17), qualificata l’originaria imputazione di cui al capo 16) ai sensi dell’art 323 c.p. e per l’effetto, concesse le circostanze attenuanti generiche e applicata la diminuente per la scelta del rito, LO CONDANNA alla pena di anni uno di reclusione, SCOPElLlTI Rinaldo colpevole dei reati di cui al capo 20) della rubrica ( con esclusione della contestazione di peculato) e, per l’effetto, concesse le circostanze attenuanti generiche e applicata la diminuente per la scelta del rito, lo CONDANNA alla pena di anni uno di reclusione, CONDANNA i predetti imputati in solido al pagamento delle spese processuali CONCEDE a tutti gli imputati sopra indicati il beneficio della sospensione condizionale della esecuzione della pena a condizioni e termini di legge, APPLICA a MACRI’ Pietro, MORABITO Gianluca, LA CHIMIA Antonio e SALADINO Francesco la penaaccessoria della incapacità di contrattare con la Pubblica Amministrazione per una durata pari a quella della pena inflitta, ASSOLVE SALADINO Antonio dai reati di cui ai capi l), 26), 27), 28), 48) perché il fatto non sussiste; dai reati di cui ai capi 2}, 3}, 4), 5), 7), 9), lO), 20), 21), 23), 41) per non avere commesso il fatto, dal reato di cui al capo 25), qualificato ai sensi dell’art 56 commi 1 e 3 319, 319 bis c.p. perché il fatto non sussiste per intervenuta desistenza. Dichiara non doversi procedere in ordine al reato di cui al capo 22) qualificata l’originaria imputazione, ai sensi de.ll’art 323 c.p., per maturata prescrizione,
LILLO Giuseppe Antonio Maria dal reato di cui al capo 1) perché il fatto non sussiste e dai reati di cui ai capi 6), 9}, e 10) per non avere commesso il fatto; LA CHIMIA Antonio Alessandro dal reato di cui al capo 5) per non avere commesso il fatto; MACRI’ Pietro dal reato di cui al capo 1) perché il fatto non sussiste edai reati di cui ai capi 6 e 20) per non avere commesso il fatto, SALADINO Francesco dal reato di cui al capo 1) della rubrica perché il fatto non sussiste e dai reati di cui ai capi 3), 4) e 5 per non avere commesso il fatto, SCOPELLITI Rinaldo dal reato di cui al capo 21) per non avere commesso il fatto e dal delitto di peculato di cui al capo 20) perché il fatto non sussiste, ASSOLVE altresì: ALOISIO Carmine e SALADINO Saverino dal reato di cui al capo 1) della rubrica perché il fatto non sussiste, ABRAMO Sergio, FAGA’Maria Teresa, FRANCO Antonio Michele, MURACA Luigi, BEVILACQUA Gianpaolo, PEGORARI Aldo, LUCIFERO Francesco, GARAGOZZO Nicola, POSTORINO Filippo dai reati loro in concorso ascritti ai capi 20) e 21) per non avere commesso il fatto, ALVARO Mario e BIAMONTE Peppino dal reato di cui al capo 27) perché il fatto non sussiste, ANDRICCIOLA Pietro dal reato di cui al capo 28) perché il fatto non sussiste, SCARDAMAGLIA Mario e SAVAGLIO Sabatino dai reati di cui ai capi 1), 27) e 28) perché il fatto non sussiste, CUMINO Franco Nicola dai reati di cui ai capi 27) e 28) perché il fatto non sussiste, DE GRANO Mariangela e SIBIANO Lucia dal reato di cui al capo 7) per non avere commesso il fatto FRAGOMENI Giuseppe dai reati di cui ai capi 1), 29), 30), e 31) perché il fatto non sussiste e dai reati di cui ai capi 6), 7), 9), 10), 20), 21) e 39) per non avere commesso il fatto, INCARNATO Luigi dal reato di cui al capo 9) per non avere commesso il fatto e dal reato di cui al capo 28) perché il fatto non sussiste, TRIPODI Pasquale Maria dal reato di cui al capo 24) perché il fatto non sussiste TURANO Renzo dal reato di cui al capo 6) per non avere commesso il fatto ANASTASI Pasquale dai reati di cui ai capi 1),2), 6), 10) a lui ascritti per non avere commesso il fatto, BLOISE Raffaele dal reato di cui al capo 5) per non avere commesso il fatto, BRUNO BOSSIO Vincenza dai reati di cui ai capi 1) e 26) perché il fatto non sussiste e dal reato di cui al capo 20) per non avere commesso il fatto, CHIARAVALLOTI Giuseppe dai reati di cui ai capi 6), 14), 15), 16,20) e 21) per non avere commesso il fatto e dai reati di cui ai capi 27) e 28) perché il fatto non sussiste, CONFORTI Eugenio Luigi dal reato di cui al capo 1) perché il fatto non sussiste, dal reato di cui al capo 23) per non avere commesso il fatto. DICHIARA non doversi procedere in ordine al reati di cui al capo 22) (qualificato ai sensi dell’art 323 c.p.) e 33 per intervenuta prescrizione;
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DE GRANO Francesco dal reato di cui al capo 1) perché il fatto non sussiste e dal reato di cui al capo 16) per non avere commesso il fatto, DURANTE Nicola e LOIERO Tommaso dal reato di cui al capo 9) per non avere commesso il fatto, LACARIA Giovanni dal reato di cui al capo 1) perché il fatto non sussiste e dai reati di cui ai capi 4), 6),7) per non avere commesso il fatto, LOIERO Agazio dai reati di cui ai capi 9), 16), 18), 19), 20) e 21) per non avere commesso il fatto e dai reati di cui ai capi 27), 28) e 48) perché il fatto non sussiste, LUZZO Gianfranco dai reati di cui ai capi l), 27) e 28) perché il fatto non sussiste e dal reato di cui al capo 6) per non avere commesso il fatto, Vista la conforme richiesta dell’Ufficio della Procura Generale DISPONE trasmettersi gli atti al PM per quanto di competenza in relazione alle posizioni di: MERANTE Caterina in relazione ai reati di cui ai capi 3),4),6),9), lO), 11), 12), 13), 15), 16), 18), e 19), 23), FRANZE’ Giancarlo in relazione ai reati di cui ai capi 3),11),12),13),15),16),18),19),23), LA CHIMIA Antonio Alessandro in relazione ai reati di cui ai capi 4),9),13), 15), 16), 18) 19),23) emiliogrimaldi.blogspot.com
Coordinamento sito web Denise Fasanelli Pietro Orsatti Giuliano Rosciarelli Gruppo di lavoro e collaborazioni “organizzate” Anna Ferracuti, Massimo Scalia, Sebastiano Gulisano, Vincenzo Mulé, Sabrina Provenzani, Gabriele Corona, Eleonora Mastromarino, Marco Stefano Vitiello, Imd, Aldo Garzia, Emilio Vacca, Luigi De Magistris, Paolo Cento, Emilio Grimaldi, Salvo Vitale, Paride Leporace, Pino Maniaci, Giovanni Vignali, Alessio Melandri, Pino Masciari, Saskia Schumaker, Giulio Cavalli, Laura Neto, Marco Barone, Pietro Nardiello, Stefano Montesi, Alessandro Ambrosin, Nello Trocchia, Raffaele Langone, Paolo Borrello, Mila Spicola, Francesco Saverio Alessio, Riccardo Orioles e... Partnership Antimafia Duemila, Global Voices, Cometa, MegaChip, Ucuntu, Rassegna.it, Agoravox. Dazebao, You Capital, CrisiTv, Il carrettino delle idee per informazioni posta@gliitaliani.it
GLI ITALIANI DELLA SETTIMANA 07 novembre 2010
Salerno brucia di Luigi De Magistris
Terzigno, Acerra, Chiaiano, Taverna del Re, Vitiello. A chi tocca adesso? A quanto pare a Cupa Siglia, in Provincia di Salerno. L’inceneritore si farà, parola di Guido Bertolaso. La bella notizia? Sarà fatto a prova di legge. Ci sarebbe da chiedersi di “quale legge” nella bella Campania trasformata da questo Governo nel Far West d’Italia. Una Regione dove la legge è stata sospesa dal Commissariamento della Protezione Civile, una parentesi nella quale ogni diritto elementare è stato congelato e ogni prassi amministrativa scavalcata. Nel caso dell’inceneritore di Salerno, ad esempio, è stata presa una scorciatoia nella normale procedura di autorizzazione dell’impianto, la cosiddetta Valutazione dell’Impatto Ambientale (VIA) e Valutazione Ambientale Strategica (VAS). Perché? Perché è un’emergenza. La stessa logica pericolosa che rischia di infiltrarsi – se già non lo ha fatto – in ogni ambito decisionale di questo Governo. Dalle espulsioni degli immigrati alle centrali nucleari passando, appunto, ai rifiuti in Campania. È sempre un’emergenza. Con questa scusa Berlusconi e i suoi amici vogliono far ingoiare agli italiani di tutto di più, tappandogli il naso con il puzzo dell’emergenza di turno. A Salerno, o meglio a Cupa Siglia l’ennesimo capitolo di una storia senza fine. Tonnellate di rifiuti che devono essere smaltite in qualche modo, e quindi “l’inceneritore sa da fare”. Sorde le autorità al NO della popolazione già costretta a sopportare numerosi ed invasivi impianti come il cementificio Italcementi, in una zona, la piana di Sardone, in teoria principalmente agricola. D’altronde Fusce ac leo Purus, in consectetuer Proin in sapien. Fusce urna magna,neque eget lacus. Maecenas felis nunc, aliquam ac, consequat vitae, feugiat at, blandit vitae, euismod vel.
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“Nel caso dell’inceneritore di Salerno, ad esempio, è stata presa una scorciatoia nella normale procedura di autorizzazione dell’impianto, la cosiddetta Valutazione dell’Impatto Ambientale (VIA) e Valutazione Ambientale Strategica (VAS). Perché? Perché è un’emergenza” tagliare fuori dalle decisioni i cittadini è diventata ormai prassi in Campania, alla faccia della trasparenza, come ha denunciato anche una delegazione del Parlamento europeo in loco lo scorso aprile. Trasparenza inesistente anche nella fase dei campionamenti ambientali nell’area, condotto nel più grande segreto. Lo stesso Comune di Giffoni Sei casali non ha ricevuto risposto alla sua richiesta di informazioni su questo monitoraggio. Inutile chiedersi perché, in tempi di Commissariamento non ha più senso. Fatto sta che l’inceneritore di Salerno si fará. Da definire solo alcuni dettagli tecnici, come chi se ne aggiudicherà l’appalto. Quisquiglie. Cade nel vuoto, invece, l’appello dei Comitati No Inceneritore di Salerno, che hanno raccolto montagne di dati sulle conseguenze che un simile impianto avrebbe sulla loro terra e sulla loro salute. Si, perché gli inceneritori di danni ne causano, e molti. Al laboratorio Nanodiagnostics di Modena si studiano da anni gli effetti terribili delle nanoparticelle prodotte dall’incenerimento dei rifiuti: infarti cardiaci, tromboembolie polmonari, varie forme di cancro, malattie endocrine quali, ad esempio, certe forme di tiroidite e di diabete,
alcune malattie neurologiche, aborti e malformazioni fetali. L’elenco potrebbe continuare, ma forse è meglio fermarsi qui. Possibile che chi di dovere non ne sappia niente? O gli interessi in gioco sono troppo grossi? Prediamo l’assessore regionale Giovanni Romano che, rimangiandosi tutte le sue precedenti posizioni critiche sull’incenerimento, ritiene che adesso sia l’unica soluzione possibile. Intanto il sindaco di Salerno De Luca e il Presidente della Provincia Cirielli giocano al tiro alla fune sul chi dovrà realizzare l’impianto. In mezzo, i cittadini e le tonnellate di rifiuti che dalle strade rischiano di trasferirsi nell’aria. Intanto a Bruxelles il Governatore Caldoro ha promesso che l’emergenza rifiuti sarà risolta, tra vent’anni. Una promessa che farebbe ridere se non ci fosse in gioco la pelle di migliaia di cittadini campani. Proprio questa settimana ho guidato una delegazione della commissione del Parlamento europeo sul controllo dei bilanci per vedere come sono stati spesi i milioni di euro erogati negli anni scorsi alla Campania. Finché non verrà verificato questo e finché la Regione non presenterà alla Commissione un piano rifiuti serio e credibile, resteranno bloccati circa 145 milioni di euro. E poi, la spada di Damocle di una procedura di infrazione. Intanto a Salerno si costruisce un inceneritore.
“Secondo l’accordo la gestione di cava Sari sarebbe stata di competenza della Protezione civile» di Roberta Lemma
Un eco nell’area vesuviana: – l”accordo siglato è carta straccia, il governo è venuto meno ai patti. – A dare conferma al tam tam tra i residenti da mesi in lotta contro cava Sari le ultime dichiarazioni del sindaco di Boscoreale, Langella: «Secondo l’accordo la gestione di cava Sari a Terzigno sarebbe stata di competenza della Protezione civile». «Abbiamo bisogno di qualche giorno per poter arrivare a sversare la sola frazione secca - ha detto Langella. Ci sono infatti ancora alcune tonnellate di rifiuti indiffferenziati che giacciono in strada». E ancora c’è la mancata messa in sicurezza della cava Sari; le analisi che dovevano rassicurare sulla contaminazione o meno delle falde acquifere ritardano e ieri, 2 novembre, tutta l’area vesuviana era avvolta da un odore simile a quello di cadaveri in decomposizione. Inoltre un sms giunto da un paziente ricoverato nell’ospedale di Boscotrecase e che ha fatto il giro sulle bacheche di Facebook, denunciava che anche dalle camere dei reparti, la puzza arrivava. A dar ragione ai residenti in lotta, non solo il dietrofront del primo cittadino di Boscoreale che dichiara egli stesso, uno dei firmatari dell’accordo, la violazione dei patti firmati dal governo, non soltanto le testimonianze imbarazzanti dei cittadini e dei report giunti a Terzigno, ma anche la schiacciante presa di posizione del quotidiano L’Avvenire, testata cattolica che, con un articolo, si interroga sui patti violati, fondi spariti, accordi saltati e impianti fantasma.
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Per ultimo la Commissione europea ribadisce la sua “preoccupazione” per la situazione dei rifiuti in Campania. Potocnik, ha dichiarato: “Ho avuto un breve incontro con il ministro italiano, con cui ho discusso dell’argomento. Siamo preoccupati e crediamo che debbano essere prese alcune azioni immediate per cambiare la situazione sul terreno. Stiamo monitorando e manderemo esperti sul terreno per valutare la situazione”.Nell’attesa degli esperti europei la gente torna in strada dopo l’ennesimo tradimento da parte del governo che arriva, dispone, lancia proclami alla stampa, per poi abbandonare Vesuvio e vesuviani senza soldi e senza impianti con cui gestire il ciclo dei rifiuti. I Massmedia dovrebbero operare in coscienza e non soltanto scrivere su dettato; insistere sulla presunta inciviltà del popolo napoletano è un alibi intollerabile, una discriminazione razziale da combattere con forza e determinazione. Razzismo. Come può un intero popolo trovare giustizia dallo Stato quando lo Stato stesso agisce al di la di ogni legge giuridica e morale?
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Polemiche sulle nomine dell’Agenzia nucleare di Giuliano Rosciarelli
Con circa un anno di ritardo rispetto alla tabella di marcia prevista dalla legge sviluppo, sono stati nominati ieri i vertici dell’Agenzia per la sicurezza, l’organo che dovrà gestire il percorso per il rientro dell’Italia nel nucleare. Nomine che hanno fatto discutere, soprattutto il mondo della politica ma soprattutto le associazioni ambientaliste. A lanciare l’allarme per prima è stata proprio Legambiente: “Questa Agenzia per la sicurezza nucleare non ci tranquillizza affatto. Anzi, francamente ora siamo veramente preoccupati – Ha commentato Vittorio Cogliati Dezza, presidente dell’associazione –Con tutto il rispetto per le persone – continua – non capiamo quali garanzie possano dare ai cittadini, interessati alla sicurezza ambientale e tecnologica degli impianti, le nomine di figure quali magistrati o di un eminente medico come Veronesi”. “Da parte nostra – conclude- potremo solo continuare a sostenere le motivazioni di quanti vorranno fare lecita resistenza all’ipotesi di realizzazione di nuove centrali sul territorio”. “La nomina di Umberto Veronesi a capo dell’Agenzia per la sicurezza del nucleare (Asn) – è stato invece il commento del wwf – ci sembra piu’ un’operazione di immagine che di garanzia”. Non ci risulta infatti che tra gli studi condotti da Veronesi siano stati affrontati temi riguardanti i rischi legati al nucleare e alla sicurezza delle centrali, punti ancora nodali se si guardano i gravi dati sugli effetti sulla salute a disposizione della comunità scientifica”. Per Stefano Leoni, presidente dell’associazione, quella del nucleare e’ una scelta “pericolosa e priva di logica”, e la composizione della nuova Agenzia per la sicurezza nucleare “non offre nessuna garanzia di controllo”. “Ciò – continua Leoni – sarebbe avvalorato dal fatto che Veronesi ha rilasciato in questo periodo numerose dichiarazioni in cui fa il promoter del nucleare non tenendo in alcun conto, pur essendo un medico, dell’ampia letteratura medico-scientifica che dimostra come il nucleare sia pericoloso”. Critico anche il Pd che con Federico Testa deputato e responsabile Energia Pd definisce le nomine “propagandistiche e inadeguate”. “Le nomine effettuate dai vertici per l’agenzia per la sicurezza nucleare – ha detto Testa- confermano purtroppo il taglio propagandistico e del tutto inadeguato con cui il governo affronta la questione. Se l’agenzia doveva avere il compito di rassicurare i cittadini e le imprese sulla perseguibilità della opzione nucleareconclude l’esponente democratico- queste scelte lasciano invece presupporre che ciò che piu’ interessa al ministero dell’Ambiente e’ presidiare con uomini di propria fiducia istituzioni
importanti che dovrebbero garantire il massimo grado di terzieta’, indipendenza e autorevolezza”. “ La nomina di Umberto Veronesi – ha poi aggiunto Paolo Cento di Sel che per lunedì 8 ha convocato un sit-in sotto la sede dell’Enel (ore12) – conferma il tentativo di un Governo, ormai sempre piu’ in crisi, di garantire alla lobby dell’atomo la fattibilità della centrali nel nostro Paese”, e questo “anche in un contesto politico che puo’ mutare profondamente nei prossimi mesi”. Cosa dovrà fare ora l’Agenzia Sotto la guida dell’oncologo Umberto Veronesi dovrà mettere in pratica il programma del governo per la realizzazione di 8 reattori, che dovranno arrivare a coprire intorno al 2025-2030 il 25% del fabbisogno nazionale di elettricita’, e di un deposito per le scorie. Non si tratta di un’Autorità’ indipendente, normalmente di nomina bipartisan, ma di un organo operativo, diretta espressione del governo, che gestirà nel concreto tutti gli aspetti dei processi autorizzativi e dell’individuazione dei siti per la costruzione dei reattori e del deposito nazionale. Questa circostanza spiega le polemiche sorte intorno al nome di Veronesi, senatore del PD, e la richiesta delle sue dimissioni dal Senato vista l’incompatibilità’ della presidenza dell’Agenzia con cariche elettive. Veronesi e’ stato indicato direttamente dal Premier; due commissari, Maurizio Cumo e Marco Enrico Ricotti, dal Ministro dello sviluppo economico Paolo Romani, e gli altri due, Michele Corradino e Stefano Dambruoso dal Ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo. Ora e’ previsto un passaggio a maggioranza semplice nelle Commissioni parlamentari competenti per il parere. L’Agenzia italiana dovra’ costruire da zero un sistema completamente nuovo, basato su una tecnologia (l’EPR francese) che sin qui non ha ancora prodotto un singolo kW/h, individuare i siti idonei, certificare gli impianti, trattare con gli enti locali e partecipare alla campagna di comunicazione presso la popolazione per sostenere il programma nucleare. Prima della fine del 2013, data entro la quale il governo prevede di inaugurare il cantiere della prima nuova centrale nucleare, l’Agenzia dovrà innanzitutto proporre i criteri per l’individuazione delle macro-aree potenzialmente idonee ad ospitare centrali nucleari. Poi dovrà certificare i singoli siti proposti dagli operatori per la costruzione delle centrali e, una volta che le imprese avranno fatto i progetti, condurre le istruttorie tecniche sui progetti definitivi dei reattori e quindi rilasciare un parere vincolante al governo.
Il ruolo dell’Agenzia nell’iter non si ferma qui perché dovrà anche dialogare con le amministrazioni locali, richiedere loro pareri ed autorizzazioni, oltre che acquisire la Valutazione di Impatto Ambientale e l’Autorizzazione Integrata Ambientale. Parallelamente l’Agenzia individua le aree idonee ad ospitare il deposito nazionale delle scorie e rilascia un ulteriore parere vincolante al governo sul singolo sito. In attesa che sia completato il deposito, l’Agenzia stabilisce anche le modalita’ di gestione delle scorie che saranno essere custodite all’interno delle centrali in attesa del Deposito Nazionale. Una volta completata la costruzione del reattore, l’Agenzia avvia la sua funzione di supervisione: svolge i collaudi degli impianti, e’ responsabile delle verifiche sulla corretta applicazione delle prescrizioni nei reattori e riceve dagli operatori le informazioni su eventuali incidenti nell’impianto. L’Agenzia puo’ infine sospendere l’attivita’ di una centrale se non vengono rispettate le prescrizioni di sicurezza.
Lascia l’uomo buono alla qualunque cosa. Ma cosa c’entra un ex agente segreto con la Protezione civile? di P. O.
Lascia Guido Bertolaso, l’uomo delle emergenze vere e presunte, degli innumerevoli commissari in deroga, della monnezza irrisolta a Napoli e del terremoto camuffato a L’Aquila. Lascia per andare in pensione. Lascia forse perché il suo sogno, la Protezione Civile Spa, non è andato in porto. Progetto di privatizzazione di un settore che, con la sua gestione decisionista, rischiava di diventare un governo di spesa fuori dal controllo della politica e anche della magistratura contabile. Ha militarizzato la Campania per
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gestire la monnezza, senza riuscirci, e ha militarizzato l’Aquila per gestire il terremoto (e anche lì non c’è riuscito). Travolto da scandali e inchieste giudiziarie (da quelle sui mondiali di nuoto di Roma, al g8 de La Maddalena transitando per quelle sulla solita monnezza) torna a vita privata e forse alla sua vita precedente il Giubileo del 2000 – il suo trampolino di lancio – di imprenditore immobiliare. Anche se temiamo per lui, visti i tempi, un futuro politico. Lascia a missione compiuta. Anche se non è compiuto niente. Perché a Napoli e non solo si spaccano teste per smaltire i rifiuti. E perché a L’Aquila c’è ancora il buco nero di casette pagate cifre esorbitanti e destinate solo a un pezzo della popolazione mentre la città a un anno e mezzo dal sisma è ancora un deserto. Di macerie e domande irrisolte. A prendere il suo posto un ex poliziotto, ex agente segreto e ex prefetto de L’Aquila, Franco Gabrielli. A dimostrazione della militarizzazione di una cosa che civile, proprio per il suo nome, con i militari e la filosofia militare non c’entra nulla. Figuriamoci con una logica da “servizi”. L’ho visto all’opera Gabrielli, quando cercava di smentire la procura antimafia sul pericolo di infiltrazioni criminali negli appalti sulla ricostruzione. Epocale la sua conferenza stampa a Coppito convocata per sbugiardare gli articoli di Attilio Bolzoni di Repubblica sull’argomento e poi interrotta senza rispondere alle domande dei giornalisti che smentivano la sua smentita e la sua versione buonista. Ma non finì lì. Poi ha dato il meglio di se con la sua campagna contro il movimento delle cariole. Ve lo ricordate quel bambino identificato dalle forze dell’ordine perché con la sua cariola portava via dal centro storico de L’Aquila le macerie? Bei momenti. Edificanti. Ora la patata bollente di tutte le emergenze irrisolte, o alimentate, a partire dai rifiuti fino al terremoto “invisibile”, è sua. Non sappiamo ancora se sia un uomo del fare o del dire. Lo vedremo e valuteremo alla prova. E speriamo che non ci faccia rimpiangere Guido, il commissario alla qualunque cosa.
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Genitori, figli e nuovi media di Paolo Borrello
I genitori italiani si trovano spesso in difficoltà nel gestire i rapporti tra i loro figli e i media, cellulari e computer in primo luogo. Tre figli su quattro rimangono soli davanti al pc, ad esempio. A questa conclusione perviene la ricerca “Bambini e nuovi media” realizzata da “People” e commissionata dall’associazione “Terre des Hommes”. In questo comunicato di ”Terres des Hommes” sono contenuti i principali risultati della ricerca: “Il 72% dei genitori italiani fatica a gestire la relazione dei figli con i media, anche se ormai cellulari e Internet vengono considerati dalla maggioranza un valido supporto per tenersi in contatto e facilitare l’apprendimento dei bambini: i dati emergono dalla ricerca People – Terre des Hommes presentata a Milano in occasione della terza edizione del Child Guardian Award. La rivoluzione digitale, abbracciata entusiasticamente dai bambini, mette a dura prova i genitori che non sempre hanno la consapevolezza o le competenze per supportare i figli ad un uso responsabile dei media. La ricerca delinea un quadro in cui solo una minoranza di genitori è consapevole dell’importanza di spendere tempo per accompagnare con competenza, regole e dialogo i figli nel mondo dei media che cambia, con nuovi linguaggi, nuove opportunità ma anche nuove insidie, mentre a vari livelli la maggioranza rischia di lasciarli soli, abdicando al proprio ruolo di genitori, con il rischio di rendere più conflittuale il rapporto in famiglia. Pur spaesati e incerti di fronte a un contesto che faticano a comprendere e regolare, gran parte dei genitori italiani non dimostra molta voglia di aggiornarsi, demandando spesso alla scuola l’educazione ai media. E’ questa l’analisi offerta dalla ricerca commissionata a People, società di ricerche di mercato di Milano, da un innovativo gruppo di soggetti messi insieme da Terre des Hommes, organizzazione leader nella protezione dei diritti dell’infanzia: Google, Vodafone e Fondazione Ugo Bordoni. Al centro della ricerca per la prima volta non solo la relazione tra bambini, ‘nuovi’ (Internet, cellulare, social network e videogiochi), e ‘vecchi’ media (come tv, giornali e radio) ma anche il sempre più complicato ruolo svolto dai genitori in questo rapporto spesso ‘caldissimo’. Solo il 18% dei genitori, quelli che la ricerca definisce Esperti, sembrerebbe non solo conoscere le nuove tecnologie ma anche essere disposto a svolgere fino in fondo il proprio ruolo, dosando regole chiare e semplici con il dialogo e la capacità di affiancarsi ai figli.Il restante 72% del campione oscilla tra ansia, compiacimento spesso immotivato e un
imprudente permissivismo. I più numerosi sono i cosiddetti Ansiosi, ben il 35% degli intervistati, che coscienti di essere impreparati davanti alla continua evoluzione tecnologica si rifugiano in divieti che non solo non sanno argomentare, ma che a volte finiscono per non saper imporre. Dai divieti non spiegati al compiacimento, il passo in termini statistici è breve. Il 26% dei genitori italiani, i Compiaciuti, si dimostra orgoglioso del fatto che i figli sappiano utilizzare bene i nuovi media e considera l’esposizione massiccia agli stimoli dei diversi apparecchi elettronici semplicemente come segno di intelligenza e autonomia. Perciò non appare intenzionato a mettere freni alla dieta mediatica dei figli. Chiudono la classifica i Permissivi, il 21% del campione, che finiscono per lasciare ai media il compito di balia. ‘Occorre intervenire al più presto, ricordando ai genitori che proteggere i bambini significa saper dosare regole e dialogo, limiti e capacità di accompagnarli verso una maggiore autonomia’, dice Raffaele Salinari, Presidente della Federazione Internazionale Terre des Hommes. ‘Un ruolo importante lo deve svolgere la scuola, ma sono i media stessi che possono e devono avere un ruolo decisivo nell’accompagnare i genitori alla riconquista della funzione perduta di educatori’. Impossibile? Forse no, visto che proprio grazie al contributo dei media e della scuola sembra essere stata vinta la battaglia della sicurezza online, che vede genitori e figli sempre più consapevoli dei rischi di adescamento, cyberbullismo e pedofilia. ‘I grandi sforzi che le aziende più responsabili stanno facendo per assicurare il livello più elevato di sicurezza ai minori che usano i new media sono ben rappresentati dal pool che si è raccolto attorno alla ricerca di People e Terre des Hommes, mostrando grande sensibilità e capacità di visione a lungo termine’, conclude Salinari”. Indubbiamente i risultati della ricerca promossa da “Terre des Hommes” non possono essere valutati positivamente. I genitori devono effettivamente essere più attenti, nei confronti dei loro figli, per quanto riguarda soprattutto i rapporti con i nuovi media. Ma è altrettanto vero, come sottolineato dallo stesso Salinari, presidente di “Terres des Hommes”, che neanche i genitori devono essere lasciati soli, nel senso che è necessario che siano “aiutati” dalle scuole e dalle stesse aziende che gestiscono quei media. Io, per la verità, non sono molto ottimista, diversamente da Salinari, relativamente al fatto che soprattutto le aziende, ma anche le scuole, intendano, e siano poi in grado di farlo, sostenere i genitori nella misura necessaria.
I pm: “Sosteneva Barbagallo che era interesse dell’organizzazione avere alla Regione siciliana un parlamentare di riferimento e che tale interesse era divenuto di pressante attualità in quanto preannunciava ai suoi sodali che il neoeletto presidente della Regione Raffaele Lombardo avrebbe interrotto ogni possibile contatto con l’organizzazione criminale”
Operazione Iblis Quei rapporti tra mafia e politica di Aaron Pettinari
Sono iniziati questa mattina gli interrogatori in carcere di 18 dei 48 arrestati dai carabinieri del Ros nell’operazione Iblis che ha svelato, secondo l’accusa, i rapporti tra mafia, politica e imprenditori. In manette è finito, tra gli altri, anche il deputato regionale del neonato Pid (gli scissionisti dell´Udc) Fausto Fagone, 44 anni, accusato di aver agevolato la famiglia Santapaola tramite un esponente di spicco di Cosa nostra, Rosario Di Dio, indicato dai pm come il suo sponsor politico-elettorale. Secondo l’accusa Di Dio si sarebbe “attivamente adoperato nella individuazione delle più opportune alleanze, curando anche i rapporti tra il politico e gli imprenditori per consentirgli all’epoca della sua sindacatura di ottenere una rendita costante nel tempo”. Addirittura vi sarebbe un video di un distributore di carburante in cui è registrato un incontro tra i due. L’arresto del deputato non è giunto del tutto inatteso: il 28 giugno scorso Fagone, 44 anni, consulente finanziario, già sindaco di Palagonia, è stato rinviato a giudizio per abuso di ufficio, truffa aggravata, falso materiale e ideologico e frode in
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pubblica fornitura per l’appalto per la raccolta dei rifiuti solidi urbani nel paese. Finiti agli arresti anche il consigliere della Provincia di Catania, Antonino Sangiorgi dell’Udc, l’assessore del Comune di Palagonia, Giuseppe Tomasello, e l’imprenditore e assessore al Comune di Ramacca, Francesco Ilardi. Negato dal gip invece l’arresto del deputato, Giovanni Cristaudo, vicino fino a poco tempo fa alle posizioni di Gianfranco Micciché e adesso iscritto al gruppo misto in assemblea regionale. Quelle intercettazioni che coinvolgono Lombardo Nella giornata di ieri i sostituti procuratori Giuseppe Gennaro, Agata Santonocito, Antonino Fanara e Iole Boscarino hanno interrogato un testimone a proposito di un’intercettazione del boss di Ramacca Di Dio che parla, in uno sfogo, del presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo. Il teste ha detto di non ricordare il contenuto della conversazione ma di fronte alla trascrizione del verbale ha confermato il suo contenuto, senza aggiungere altri particolari.
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“Ho rischiato di dare la vita e la galera per lui; e’ venuto da me di notte, e’ stato due ore e mezza, ma ora neanche se viene il Padre eterno lo aiuto”. Secondo la ricostruzione dell’accusa, Di Dio sostiene di avere incontrato Angelo e Raffaele Lombardo nella sua abitazione, mentre era sorvegliato speciale, rischiando cosi’ l’arresto, la notte antecedente le votazioni per “le prime elezioni regionali che ci sono state”. Le lamentele ascoltate dal Ros, si riferirebbero al mancato ricevimento di alcuni favori dai fratelli Lombardo dai quali non ottiene invece alcuna contropartita. L’incontro, secondo quanto scritto dai pm nella richiesta della Dda della procura di Catania al Gip Luigi Lombardo, sarebbe avvenuto nel 2004, quando Lombardo era presidente della provincia e alla vigilia della rielezione alle Europee. “La circostanza che l’incontro si sia svolto all’una e mezza può spiegarsi solo con la consapevolezza che i fratelli Lombardo avevano di recarsi a casa di un mafioso… nel corso dell’incontro Raffaele Lombardo ha chiesto e ottenuto l’appoggio elettorale di un “uomo d’onore” referente in loco di Cosa Nostra”. Ma non sarà quello l’unica occasione in cui i boss hanno rappresentato il proprio dissenso. “Questo bastardo – sbotta Di Dio la sera del 19 dicembre del 2009 mentre davanti la tv vede Lombardo – e’ un pezzo di m…”, e’ “munnizza”, “un gesuita” e’ un “gran cornuto” che ci cercava quando non era nessuno”, e arrabbiato aggiunge: “Sono dovuto andare al voto ma la mia famiglia voti al presidente non gliene ha dati”. Inoltre vi sono le accuse del pentito Maurizio Avola che, nel marzo del 2006, aveva detto di avere visto “in un telegiornale l’onorevole Raffaele Lombardo che faceva l’alleanza con la Lega Nord con Calderoli” e di averlo riconosciuto. Secondo il pentito era lo stesso uomo che nel 1992 aveva visto per due volte in casa di un falegname a San Giovanni La Punta dove si nascondeva il boss Benedetto Santapola, allora latitante per l’omicidio del generale Alberto dalla Chiesa. Poi lo avrebbe incontrato più volte in un’area di servizio con il boss di Cosa nostra Marcello D’Agata. Secondo il pentito Lombardo era in possesso di un’auto particolare: una Lancia “Evoluzione”, a trazione integrale, di colore blu. Voleva rubarla ma il boss lo fermò dicendogli che era di un “amico”. Barbagallo trade d’union Secondo l’accusa l’uomo che svolge la funzione di raccordo tra mafia e politica sarebbe il geologo Giovanni Barbagallo, incensurato, grande elettore dell’Mpa, e molto vicino al boss Vincenzo Aiello. “Il collaudato e solido rapporto tra Barbagallo e Raffaele Lombardo — scrivono i pm — è dimostrato, tra l’altro, anche dall’appoggio che quest’ultimo sollecitava al primo per la candidatura di Rosanna Interlandi (ex assessore regionale Mpa) a sindaco di Niscemi». Secondo l’accusa «Barbagallo ha continuato ad adoperarsi attivamente per supportare i candidati indicati da Raffaele Lombardo sui quali ha riversato i voti rastrellati, unitamente ad Aiello e altri componenti del clan”. Il 20 aprile del 2008, sei giorni dopo l´elezione di Lombardo a presidente della Regione, Barbagallo viene intercettato a casa sua mentre parla con il boss Vincenzo Aiello e spiega il perché dell´opportunità di mantenere buoni rapporti con Fausto Fagone. “Perché se non abbiamo qualcuno di riferimento alla Regione… perché adesso Raffaele farà
circolo chiuso… ah! E’guardato a vista e imprese non ne vuole vedere”. Intercettazione che i pm leggono così: “Sosteneva Barbagallo che era interesse dell’organizzazione avere alla Regione siciliana un parlamentare di riferimento e che tale interesse era divenuto di pressante attualità in quanto preannunciava ai suoi sodali che il neo-eletto presidente della Regione Raffaele Lombardo avrebbe interrotto ogni possibile contatto con l’organizzazione criminale”. In un’altra intercettazione captata dagli inquirenti è lo stesso boss Aiello a parlare con Barbagallo di Lombardo: “un messaggio a Raffaele Lombardo gli si deve fare arrivare…”. “Non solo – aggiunge – non scordatevelo, gli ho dato i soldi nostri! Del Pigno… glieli ho dati a lui per la campagna elettorale…”. Dalle indagini è emerso che probabilmente il boss si riferisse alla realizzazione di un centro commerciale nel rione Pigno di Catania. Ed è sempre lo stesso Aiello a lamentarsi per la decisione di Raffaele Lombardo di mettere dei magistrati nel suo governo: ”Questo è un cornuto che non ce n’è! C…, come gli ha messo due della Dda nella giunta regionale?”. Secondo il presunto boss “se ti conservi la vipera nella tasca, prima o poi ti morde!”. Quindi fanno la conta degli “amici” e dicono: “Qua c’è Cuffaro, c´è Fausto e Pippo Gianni che è un cornuto! È un pezzo di merda. Anzi mi ci devo vedere in modo da dirgliene quattro”. Ed anche in questo caso i pm forniscono la propria interpretazione: “Nell’ ‘ambito di un serrato confronto sviluppatosi tra Barbagallo e Aiello in ordine alla individuazione del soggetto che alle elezioni politiche regionali aveva beneficiato del sostegno dell’organizzazione criminale e sull’opportunità di avere anche a Roma un parlamentare, Angelo Lombardo, che fungesse da referente della loro organizzazione criminale, i due interlocutori indicavano i referenti politici sui quali in atto l’organizzazione criminale poteva contare “qua”, ossia a Palermo: Cuffaro, Fausto Fagone e Pippo Gianni”. Tuttavia a nessuna delle accuse rivolte nei confronti del governatore, ad oggi, sarebbero stati trovati risconttri, in quanto sono tutte notizie riferite da altre persone e non ci sono intercettazioni dirette a suo carico. Per tal motivo già ieri il procuratore Vincenzo D’Agata aveva ribadito che “ogni riferimento riguardante il presidente Lombardo e risultante dalle indagini è stato oggetto di attenta valutazione, specie con riguardo alla sua valenza sul piano probatorio ed alla sua capacità di resistenza alle critiche difensive, non ritenendone, allo stato, la idoneità per adottare alcuna iniziativa processuale nei suoi confronti” Lo stesso Lombardo si è quindi difeso in un’intervista al Corriere della Sera: “Da oggi sappiamo che non c’è alcuna iniziativa processuale a mio carico, che non mi è stato nemmeno recapitato un avviso di garanzia, che non sono stati trovati riscontri a volgari insinuazioni. Con quelle voci infondate hanno cercato di bloccare un governo impegnato nella pulizia della Sicilia”. Se da una parte è vero che il Governatore non ha ancora ricevuto avvisi di garanzia, dall’altra si ha l’impressione che la linea in sui si muove il presidente Lombardo sia sempre più sottile, tra rivelazioni di pentiti ed intercettazioni di boss. Alla giustizia il compito di accertare la verità e dipanare ogni dubbio. ANTIMAFIAduemila
Sembra Beirut ma è Partinico di Pino Maniaci
Non si può certo parlare di autocombustione o di fortuito corto circuito per l’incendio divampato la scorsa notte in via Avellone a Partinico. Il ritrovamento di un pneumatico, probabilmente prima impregnato di liquido infiammabile e poi dato alle fiamme, aprono uno scenario sconcertante sull’atto intimidatorio perpetrato ai danni di imprenditori partinicesi. Imprenditori che in tutta probabilità si rifiutano di pagare il pizzo alle organizzazioni criminali locali che negli ultimi mesi stanno cercando di rialzare la testa e tornare a far sentire in modo assai tangibile la loro indesiderata presenza. Dopo le brillanti operazioni delle forze dell’ordine e della magistratura, che nel tempo hanno inflitto colpi quasi mortali alla cosca partinicese, questi sembrano ormai essersi ripresi e quindi tentano con ogni mezzo di riappropriarsi di quel territorio sul quale avevano perso il controllo. Riecheggia ancora un servizio andato in onda sulla nostra emittente (Telejato ndr) basato su una missiva fattaci avere da più o meno piccoli imprenditori partinicesi che sono stanchi di dovere sottostare alla barbara legge del più forte, svenati nel dovere dare quello che è il frutto del loro lavoro a degli emeriti parassiti che con la forza e con la violenza vivono sulle spalle degli imprenditori. A questo punto riteniamo che sia opportuno e quantomeno urgente, adesso più che mai, che lo Stato torni a fare sentire la sua presenza nel nostro territorio, rafforzando con uomini e mezzi le forze dell’ordine già presenti che fanno i salti mortali per garantire, come possono, la presenza dello stato a Partinico. La situazione criminalità ormai sembra essere degenerata. Chiediamo quindi al sindaco e agli organi competenti che si facciano promotori di un vertice presso la prefettura di Palermo di un comitato per l’ordine e la sicurezza che metta al centro la questione del partinicese affinchè questi pdm si rendano conto che sono veramente lontani i tempi quando spadroneggiavano in lungo e in largo su tutto il territorio imponendo la loro legge. Gli onesti cittadini alla loro vista non fanno più cenni reverenziali ma al contrario si girano dall’altra parte per ignorali, la gente perbene ha ormai preso coscienza del loro stato e non è più disposta a piegarsi al loro volere, però e necessario che ognuno, Stato in testa, faccia la propria parte per far sentire al sicuro tutti quei cittadini esemplari che vogliono vivere in una terra libera dall’atavica oppressione mafiosa.
Svelati i tre livelli della mafia di Vincenzo Mulè
Diciotto disegni di legge, due interrogazioni e una mozione. Un’attività politica intensa. Sul quale grava ora il sospetto. Che fosse al servizio o in collaborazione con la mafia. C’è anche il deputato regionale dei Popolari Italia domani (Pid) Fausto Fagone tra le persone arrestate ieri nell’ambito
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dell’indagine Iblis condotta dalla procura di Catania e che ha portato all’arresto di 48 persone tra Sicilia, Lazio, Toscana, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia e al sequestro di beni per circa 400 milioni di euro. Tra i beni colpiti dal provvedimento di sequestro figurano, fra l’altro, 105 imprese, numerosi immobili, auto e motoveicoli, ed attrezzature industriali. Il provvedimento, emesso dal Gip Luigi Lombardo su richiesta della Dda della Procura di Catania, riguarda esponenti di spicco di Cosa nostra, pubblici amministratori ed imprenditori del capoluogo etneo. I reati ipotizzati, a vario titolo, sono associazione mafiosa, omicidio, estorsioni e rapine. Lombardo indagato L’inchiesta è quella su appartenenti a Cosa nostra e su presunti rapporti con esponenti politici, amministratori e imprenditori, in cui è indagato anche il presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo, che è estraneo al blitz perchè nei suoi confronti la Procura non ha richiesto alcun provvedimento. A rendere nota l’esistenza del fascicolo fu un’ indiscrezione del quotidiano Repubblica, il 29 marzo scorso, che fece scattare un’ inchiesta sulla fuga di notizie. La Procura smentì invece l’altra anticipazione del quotidiano, che il 12 maggio scrisse che era stato chiesto l’arresto del governatore. Lombardo, che il 10 aprile ha reso spontanee dichiarazioni in Procura, ha querelato per diffamazione. Le indagini dei carabinieri del Ros di Catania, che poi si sono intrecciate con dichiarazioni su politici e amministratori, avevano al centro della loro attività il boss Vincenzo Aiello della cosca Santapaola. Nell’inchiesta si innestano anche le dichiarazioni di almeno due pentiti: il “colletto bianco” Eugenio Sturiale e il sicario Maurizio Avola, esponente del clan Santapaola, che si è autoaccusato di oltre 50 omicidi. Gli altri politici Nell’ambito dell’inchiesta sono stati arrestati anche il consigliere della Provincia di Catania dell’Udc, Antonino Sangiorgi, dell’ assessore del Comune di Palagonia, Giuseppe Tomasello, e dell’ imprenditore e assessore al Comune di Ramacca, Francesco Ilardi. Mentre il Gip Luigi Barone ha rigettato la richiesta di arresto avanzata dalla Procura nei confronti del deputato regionale ex Pdl Sicilia e adesso Gruppo misto Giovanni Cristaudo. Obiettivo dell’indagine è stato «l’individuazione delle infiltrazioni mafiose verso il mondo dell’imprenditoria e della politica». L’attività di Fagone Secondo la procura etnea, il deputato regionale Fagone ex sindaco del comune di Palagonia, avrebbe «intrattenuto strettissimi rapporti con Rosario Di Dio scarcerato nel 2003 dopo una detenzione per mafia». I magistrati sostengono che «Di Dio ha curato la campagna elettorale di Fagone e si è attivamente adoperato nella individuazione delle più opportune alleanze, curando anche i rapporti tra il politico e gli imprenditori per consentirgli all’epoca della sua sindacatura di ottenere una rendita costante nel tempo». Incontri tra Fagone e Di Dio sono documentati anche in un video girato dagli investigatori in un distributore di
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carburante. Fagone è presidente della V commissione Cultura dell’Ars dal giugno del 2008. L’ultimo ddl che riporta come primo firmatario Fagone è quello sull’«Istituzione del parco geominerario delle zolfare siciliane», presentato lo scorso agosto. Da maggio 2009 a giugno 2010, inoltre, Fagone ha firmato quattro disegni di legge sulla stabilizzazione del personale in servizio con contratti a tempo indeterminato o impiegato in attività socialmente utili. Imprenditoria collusa L’operazione ha svelato sia lo stretto rapporto di alcuni imprenditori con Cosa Nostra sia le «perverse collusioni con la politica», come spiegano i magistrati che sottolineano il comportamento di alcuni imprenditori «non più vittime ma compiacenti strumento per la operatività della mafia nel mondo degli affari». Gli affari della mafia erano indirizzati in specifici settori economici che vanno dall’eolico-fotovoltaico al commercio. Le cosche avrebbero avuto interessi anche nella metanizzazione oltre a taglieggiare coop edili e supermercati anche nell’agrigentino. Gli imprenditori si sarebbero aggiudicati appalti o subappalti attraverso un circuito di ditte amiche. La percentuale che i boss chiedevano si aggirava intorno al 2-3 per cento. Ai vertici dell’organizzazione vi erano per i magistrati, Giuseppe Ercolano, Vincenzo Aiello e Vincenzo Santapaola. Ma sarebbe Francesco Arcidiacono, detto (U salaru), attuale reggente anche lui della famiglia Santapaola, a gestire la «cassa delle imprese», incarico che «gli attribuisce grande potere, per il suo compito di sovvenzionare famiglie detenuti e spese di esercizio delle attività criminale». Nuovi equilibri mafiosi L’inchiesta ‘Iblis’ ha fatto ‘emergerè come la mafia catanese intrattenesse rapporti con il boss Lo Piccolo. Il procuratore di Catania, Vincenzo D’Agata ha infatti spiegato come «rientra nelle sperimentate strategie di Cosa nostra intrattenere rapporti con le omologhe famiglie operanti nelle altre città siciliane, allo scopo di risolvere i problemi eventualmente insorgenti in altri compartimenti territoriali dell’isola. Anche la presente indagine ha evidenziato il permanere di una tale strategia, attivamente perseguita – ha spiegato D’Agata – dal responsabile provinciale Vincenzo Aiello, particolarmente attivo dopo la sua scarcerazione nell’adoperarsi per riannodare i rapporti con le altre famiglie. I rapporti promossi, a volte, dai rappresentanti di famiglie di altre città siciliane – continua D’Agata- nel caso dei Lo Piccolo mette in evidenza le frizioni esistenti nei rapporti tra Aiello e Angelo Santapaola». Le reazioni Il presidente di Confindustria Sicilia, Ivan Lo Bello, ha sottolineato come «da tempo avvertivamo la pericolosità e la penetrazione delle cosche mafiose nelle realtà catanesi, dove la mafia ha una spiccata propensione imprenditoriale e rapporti storici con pezzi del mondo politico». Intervenuto a margine del convegno sulla “Nuova etica contro un’economia logora” organizzato dall’Associazione costruttori di Palermo, il presidente onorario dell’associazione Antiracket Tano Grasso ha ricordato che «il mondo delle imprese e il mondo di Cosa nostra sono tenuti insieme da un interesse comune: quello economico. Ecco perchè è più facile sconfiggere la paura dell’imprenditore che il coinvolgimento di interessi». terranews.it
I padrini del Ponte Speculatori locali o d’oltreoceano; faccendieri di tutte le latitudini; piccoli, medi e grandi trafficanti; sovrani o aspiranti tali; amanti incalliti del gioco d’azzardo; accumulatori e dilapidatori di insperate fortune; frammassoni e cavalieri d’ogni ordine e grado; conservatori, liberali e finanche ex comunisti; banchieri, ingegneri ed editori; traghettatori di anime e costruttori di nefandezze. I portavoce del progresso, i signori dell’acciaio e del cemento, mantengono intatta la loro furia devastatrice di territori e ambiente. Manifestazioni di protesta, indagini e processi non sono serviti a vanificarne sogni e aspirazioni di grandezza. I padrini del Ponte, i mille affari di cosche e ’ndrine, animeranno ancora gli incubi di coloro che credono sia possibile comunicare senza cementificare, vivere senza distruggere, condividere senza dividere. Agli artefici più o meno occulti del pluridecennale piano di trasformazione territoriale, urbana, ambientale e paesaggistica dello Stretto di Messina, abbiamo dedicato questo volume che, ne siamo consapevoli, esce con eccessivo ritardo. Ricostruire le trame e gli interessi, le alleanze e le complicità dei più chiacchierati fautori della megaopera, ci è sembrato tuttavia doveroso anche perché l’oblio genera mostri e di ecomostri nello Stretto ce ne sono già abbastanza. E perché non è possibile dimenticare che in vista dei flussi finanziari promessi ad una delle aree più fragili del pianeta, si sono potuti riorganizzare segmenti strategici della borghesia mafiosa in Calabria, Sicilia e nord America. Forse perché speriamo ancora, ingenuamente, che alla fine qualcuno avvii una vera inchiesta sull’intero iter del Ponte, ricostruendo innanzitutto le trame criminali che l’opera ha alimentato. Chiarendo, inoltre, l’entità degli sprechi perpetrati dalla società Stretto di Messina. Esaminando, infine, i gravi conflitti d’interesse nelle gare d’appalto ed i condizionamenti ideologici, leciti ed illeciti, esercitati dalle due-tre famiglie che governano le opere pubbliche in Italia. Forse il recuperare alla memoria vicende complesse, più o meno lontane, potrà contribuire a fornire ulteriori spunti di riflessione a chi è chiamato a difendere il territorio dai saccheggi ricorrenti. Forse permetterà di comprendere meglio l’identità e la forza degli avversari e scoprire, magari, che dietro certi sponsor di dissennate cattedrali nel deserto troppo spesso si nascondono mercanti d’armi e condottieri delle guerre che insanguinano il mondo. È il volto moderno del capitale. Ribellarsi non è solo giusto. È una chance di sopravvivenza. Scheda autore Antonio Mazzeo, militante ecopacifista ed antimilitarista, ha pubblicato alcuni saggi sui temi della pace e della militarizzazione del territorio, sulla presenza mafiosa in Sicilia e sulle lotte internazionali a difesa dell’ambiente e dei diritti umani. Ha inoltre scritto numerose inchieste sull’interesse suscitato dal Ponte in Cosa Nostra, ricostruendo pure i gravi conflitti d’interesse che hanno caratterizzato l’intero iter progettuale. Con Antonello Mangano, ha pubblicato nel 2006, Il mostro sullo Stretto. Sette ottimi motivi per non costruire il Ponte(Edizioni Punto L, Ragusa).
Fini,tanto atteso, tanto acclamato, debutta sostenendo che possono ritenersi soddisfatti, perchè ora sono politicamente determinanti per le sorti del governo ed avvenire “della nostra patria”. Parla più di una volta del concetto di idea di patria che deve essere fondata sulla di Marco Barone coscienza d’identità nazionale. La gens italica, dice Fini, Osservando la convention di Futuro e Libertà, certamente esiste da 2000 anni, e bisogna quindi con legittimo orgoglio una cosa ben chiara balza all’occhio anche del più distratto affermare la storia della patria e la coscienza nazionale. spettatore di tale rappresentazione teatrale e tetra, della A conferma di ciò il suo primo pensiero corre ai soldati politica italiana. Ovvero che i Finiani, hanno imparato come Italiani impegnati in quella, che anche dalla Lega Nord è comunicare, come organizzare determinanti eventi dal loro stata definita come missione di guerra e non di pace, grande maestro, ovvero Berlusconi. Ciò lo si comprende dalle etichettati come ” i nostri eroi”. false lacrime, dalle false emozioni, dagli applausi, Eroi che a quanto pare hanno gran responsabilità sulle morti dall’introduzione del leader, dall’attesa e quasi suspense anche di civili nelle terre di missioni chiamate di pace. creata ad hoc per ascoltare le parole di Gianfranco Fini. Ma questo poco importa ai Finiani. Per non parlare della musica, della lettura della carta dei Si parla del valore della legalità. valori del nuovo divenire partito della destra sociale quale “Prima i doveri poi i diritti” dice Fini.solo “così può esserci Futuro e Libertà.
L’Italia di Fini e di Futuro e libertà
Riporterò in questo articolo le questioni più rilevanti che sono emerse in tale convention e che sicuramente dovranno fare riflettere i più attenti critici e lettori della società. ” Italia umile, casta, francescana, garibaldina e dannunziana; Italia della legalità,della produzione, della competizione, dei mille campanili, del merito”. Queste sono alcune delle frasi emerse da uno dei tanti politichesi che ha attratto e distratto lo spettatore durante questa performance teatrale in tale triste domenica autunnale tutta italiana. Il Ministro Ronchi che anticipa il discorso di Fini sostiene che loro vogliono l’Italia della famiglia, della Patria, senza dimenticare le radici cristiane. Ronchi che rimette il proprio mandato di Ministro nelle mani di Fini. Peccato che fino a quel momento si è gran parlato di avere rispetto del Popolo Sovrano. Ma ecco che nel rispetto del Popolo Sovrano a chi si decide di affidare la responsabilità della carica di Ministro, pagata da tutti noi contribuenti? Nella mani di Fini… Ipocrisia? Libera valutazione!
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libertà“. Certo che correlare la libertà al principio di dovere è abbastanza singolare come concetto, ma certamente non lo è per chi ha un passato politico chiaro come quello di Fini. Colui che è l’attuale Presidente della Camera afferma che si deve avere rispetto della persona umana. “ non si possono distinguere tra eterosessuali ed omosessuali, tra uomini e donne”, ma ciò ” significa adempiere sempre i propri doveri”, sul problema cittadinanza correlato al discorso rispetto della persona umana afferma che ” non contestiamo la necessità di espellere l’immigrato clandestino”, ma la questione della cittadinanza deve essere rivista. Certo l’immigrato clandestino non è persona umana che merita rispetto. Ovvio, sì, tristemente, drammaticamente ovvio. Fini, che parla dell’esaltazione del lavoro, “inteso come principale pilastro dell’economia”, centralità del lavoro come garanzia di espressione della propria potenzialità, capacità, ” lavoro che è diventato naturale alleato del capitale” si deve trovare “sintesi tra capitale e lavoro”. Ancora… sulla questione famiglia dice che questa deve essere considerata come ” la cellula primaria della società”. Se per caso qualcuno di sinistra o che si creda tale pensa ancora di
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proporre patto per la democrazia con questa destra sociale, o qualunque destra essa sia credo sia veramente accecato dalla cultura delle poltrone! Fini che sostiene che il credere, obbedire, combattere appartengono ad altri tempi, ma pensando alle forze dell’ordine, ed ecco grande applauso, afferma che si deve investire di più per garantire la legalità. Certo la cultura della legaltià deve passare per la repressione, non per altre vie.Tutto chiaro, ma tutto scontato nello stesso tempo. Rivolgendosi al governo attuale Fini dice che tampona solo le relative emergenze, che vive alla giornata, ma dovrebbe avere in agenda determinate questioni. Ed ecco che parte la proposta di Fini , che alla fine diverrà ultimatum al Berlusconi e Pdl. Al primo posto pone la questione dell’appartenenza nazionale,ed unità nazionale,segue poi la coesione sociale, il welfare delle tutele che deve divenire welfare delle opportunità sullo stile della Germania, poi la stagnazione economica che penalizza la produttività, la eccessiva tolleranza della cultura dell’arbitrio, ed il decadimento morale che secondo Gianfranco Fini non è figlio obbligato della modernità. Ed ecco rimpiangere il rigore e lo stile di Moro, Berlinguer ed Almirante, alla cui pronuncia del nome la platea esplode in grande inteso applauso. Futuro e Libertà che non dice di porre fine alla precarietà lavorativa, ma che in verità occorre richiamare la quesione tedesca dove i contratti a tempo determinato esistono ma la retribuzione è più elevata. Che ciò sia di monito per tutti quei precari che in Fini vedevano nuove illusorie speranze…Parlando della legislatura attuale sostiene che ” non so se ci sono le condizioni per il patto di legislatura, che è cosa seria ed è possibile persò solo se c’è svolta, decretando fine di una fase, definendo nuova agenda politica, nuovo programma di governo”. Un Gianfranco Fini che si richiama ad un tavolo sociale dove sindacati tutti, ivi inclusa la CGIL, come da lui stesso riconosciuto hanno proposto varie questioni come l’investimento nell’innovazione e ricerca ma anche il fatto che il salario debba essere legato alla produttività “chi lavora di più e meglio va pagato di più” dice Fini. Proposta uscita da tale tavolo, che deve essere riconvocato. La CGIL ha proposto il legame del salario alla produttività? Attendiamo lumi sul punto! ” Dal 1861 al 1870 vi furono riforme che unificarono l’Italia” dice Fini. Criticando la Lega nord ed il suo modus operandi però sul federalismo fiscale dice che” il Federalismo Fiscale non è pericoloso perchè c’è fondo di compensazione nazionale, sarà una bella sfida per le classi dirigenziali meridionali” Nello stesso tempo dice che è necessaria una
politica di ammodernamento federale dello Stato. Prima si invoca a tutta piazza l’Unità d’Italia e poi si parla di ammodernamento federale dello Stato? Ed ecco l’ultimatum… Pensando all’UDC che rischia di fare saltare il peso politico della nuova(?) realtà politica capeggiata dall’ex leader di AN, anticipa i tempi dicendo che o ” Berlusconi rassegna le dimissioni, sale al Colle, avvia nuova fase dove si discute dell’agenda e del programma, o i ministri” facenti capo a Fini… si dimetteranno. Conclude dicendo ” avanti così non si può andare avanti .” Caro Gianfranco Fini hai proprio ragione, così non si può andare avanti.
Cavaliere d’Italia Chi vuol farsi la bella famiglia, cominci dalla figlia L’arca di Noemi da cantare sulle note della canzone dello Zecchino d’Oro Ci son due vecchi arzilli che fanno il bunga bunga, due cani Fede-li un chihuahua senza peli il gatto, il topo, il Lele-fante, non manca nessuno più ecco spuntan fuori le pasticche blu Ghiro dell’Ulivo Chi dorme non piglia pesci BERTuccia cOn il Lungo nASO I santi pensionati non fanno più miracoli ZAnzara In Acque venete Aqua turbia no la spécia L’acqua sporca non riflette Falchi Liberati In Perugia Tutte le volpi al Fini si rivedono in pellicceria a cura di Sonia Ferrarotti www.soniaferrarotti.wordpress.com per contributi scrivi a oroscopo@gliitaliani.it