Gli Italiani 11/17 ottobre 2010

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della settimana

Sono questi gli italiani Numero speciale dedicato alla manifestazione organizzata dalla Fiom del 16 ottobre a Roma con immagini, commenti, cronaca e approfondimenti Newsletter www.gliitaliani.it

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LA SETTIMANA DE GLI ITALIANI

Fiom e Marcegaglia. Due mondi contrapposti e non comunicanti di Pietro Orsatti Da un lato una piazza piena, di gente vera, di popolo e bisogni, di determinazione. La Fiom che ha attirato nelle strade di Roma la parte del Paese che ancora spera di poter cambiare, di dare un segno di vita, di non cedere al ricatto della crisi e di chi, approfittandone, sta arricchendosi. Dall’altro la sala convegni dalle luci tenui dove il presidente di Confindustria cerca di scrollarsi di dosso il fango del potere, del dossieraggio e del ricatto. Un contrasto che più stridente non potrebbe essere. Due luoghi, contemporanei, dove emergono tutte le contraddizioni di questa Italia solo apparentemente assopita. E che la Fiom, assieme a tutti quelli che si sono affiancati a lei nella buona riuscita della manifestazione di oggi, hanno definitivamente scosso. Non i partiti, non la politica dei palazzi: la gente, vera. Quella che lavora e produce e poi paga le speculazioni e la spregiudicatezza di una classe dirigente interessata solo al mantenimento del potere e del gioco equilibristico dei ricatti incrociati. Cominciamo dalla Fiom. “Piazza San Giovanni è gremita, la gente non riesce a entrare, le strade intorno sono piene. Ai giornalisti diciamo, contateci voi”, ha dichiarato il segretario generale dei metalmeccanici della Cgil, Maurizio Landini. Non hanno nessuna intenzione di mollare, i metalmeccanici che si presumevano all’angolo dopo l’accordo di Pomigliano. Sanno quanti sono, e quanto sostegno hanno nella società reale (il termine “civile” lasciamolo alle anime belle e terziste). Erano centinaia di migliaia oggi sotto la pioggia a Roma. La più grande manifestazione in questo Paese dei lavoratori metalmeccanici. E senza Cisl e Uil.Speravano, in molti, in incidenti. Addirittura c’era chi, con istinto da piromane come il ministro dell’interno Maroni, li aveva annunciati. Delusi tutti, quelli che volevano criminalizzare il pezzo più sano della nostra società e della nostra democrazia. Civili, pacifici e determinati. Irremovibili e incazzati. È stato un grande momento di politica e di democrazia. I monatti della violenza dell’insinuazione e della

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malainformazione se ne facciano una ragione. E se ne facciano una ragione anche tutti quelli che hanno cercato di isolare e addirittura criminalizzare il più grande sindacato italiano. La Fiom, e la Cgil tutta, ci sono e non hanno nessuna intenzione di mollare. È stato chiarissimo Guglielmo Epifani quando ha espresso con lucidità la necessità di andare avanti con la protesta contro la politica economica del governo: “dopo la manifestazione del 27 novembre in assenza di risposte da parte del governo noi continueremo anche con lo sciopero generale”. Poi andava in scena, a eoni di distanza, la “non piazza” di Confindustria. Dal palco del XII Forum delle Pmi Marcegaglia si è scagliata contro il “teatrino schifoso” in cui è piombata la vita pubblica italiana, rivendicando l’autonomia e l’indipendenza “totali” di Confindustria dalla politica. Con rabbia e orgoglio ha rassicurato gli imprenditori che non cederà mai ai ricatti, anche perché non ci sono scheletri nell’armadio, e ha promesso che porterà a termine il suo mandato fino alla naturale scadenza, nella primavera del 2012, con rinnovata determinazione e senza piegarsi alle “cortine fumogene” e ai “veleni” che hanno investito viale dell’Astronomia. Peccato che di questo clima lei e la sua organizzazione ne hanno fatto attivamente parte. E non è un caso, infatti, che Rinaldo Arpisella, portavoce della Marcegaglia, lasci il suo incarico in Confindustria e torni “in azienda”. Anche lui travolto dal meccanismo del potere. Tutto il resto è dettaglio e estetica. Quello che rimane davanti ai nostri occhi è solo il fango maleodorante di questo intreccio fra politica, impresa, speculazione finanziaria e informazione che si è palesato dal “caso Boffo” in poi. E a cui anche Confindustria si è adeguata. Ecco i due paesi che si confrontano. Due realtà assolutamente scisse. Da un lato un popolo che ha deciso di riprendere a lottare e a chiedere diritti e rispetto delle regole, libertà e dignità e rappresentanza. Dall’altro il paese dei ricatti e dei dossier, degli interessi inconfessabili. Dove politica e economia sono solo due termini dietro ai quali si nascondono gli ultimi colpi di coda di un sistema di potere arrivato a fine corsa. E forse, già in lenta emersione, si sta palesando il nuovo potere “ripulito” dei Marchionne e dei Montezzemolo. E non sappiamo se a farci più paura sia il futuro o il presente. Ma per oggi festeggiamo il ritorno al protagonismo di un intero popolo che in tanti davano per estinto. 16 ottobre 2010

Noi e la Fiom, tutti sulla stessa barca di Sara Picardo “Dirottati. Eravamo talmente tanti che alla fine il nostro pulmann al casello di Roma è stato mandato, insieme ad altri provenienti dal sud, verso il parcheggio di Cinecittà anziché a Piramide. E così abbiamo seguito il corteo che partiva da Piazza della Repubblica”. I metalmeccanici della Fiom di Matera spiegano così il successo di questa giornata. “Siamo migliaia, non solo operai, ma anche studenti, pensionati, ricercatori, professori, impiegati. Tutti uniti, perché quando toccano i nostri diritti, toccano quelli di tutti i lavoratori. Adesso disdicono il nostro contratto, domani licenzieranno tutte le maestre, e dopodomani per i giovani non ci sarà più lavoro”. Dal corteo dei metalmeccanici della Fiom non è arrivato nessun uovo, ma a gran voce un’unica richiesta: “Vogliamo il rispetto dei nostri diritti. È ora di pensare a un grande sciopero generale, questa piazza dimostra che è arrivato il momento”. Lo dicono gli operai di Pomigliano che “non si piegano”, loro che hanno aperto il corteo di piazza della Repubblica, mentri i colleghi della Sata di Melfi partivano da piazzale dei Partigiani, e sono arrivati a San Giovanni mentre la coda ancora doveva partire per raggiungerli. “I risultati del referendum di giugno hanno dimostrato quello che tutti pensano in questa piazza: i lavoratori vivono sotto ricatto, ma hanno una dignità che nessun contratto potrà mai cancellare”. Lo dicono gli studenti dei tanti movimenti e gruppi, da quelli dell’Onda alla rete degli studenti Medi ai giovani dei centri sociali, a quelli del Collettivo autonomo studentesco che hanno scelto di indossare oggi la maglietta rossa delle Fiom, insieme ai movimenti No Ponte e No Tav. “Quello che stanno facendo ai metalmeccanici ci riguarda tutti – racconta Elena di Bologna, 17 anni, studentessa del Liceo artistico – perché quando io lavorerò non avrò nessun diritto, se ai miei genitori i diritti vengono tolti adesso”. “Siamo qui per far sentire il nostro sostegno agli operai – le fa eco un giovane con i dread di appena 15 anni, studente di un istituto tecnico industriale – perché la Gelmini ci sta togliendo fondi e risorse per la scuola, e con quello che stanno facendo agli operai ci stanno anche togliendo la speranza per il futuro”.

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Lo dicono anche le tante maestre, professori, insegnanti, ricercatori e precari della conoscenza che hanno sfilato accanto alle tute blu: “Il lavoro deve essere al primo posto, da questo anello può essere trainata tutta la catena della conoscenza. Siamo con gli operai perché anche noi siamo sfruttati come loro e l’unica maniera per ribellarci è unirci”, dice Marco, ricercatore precario di Mantova, venuto a Roma insieme al Coordinamento contro la Crisi. “Qui c’è l’Italia che malgrado tutto quello che le stanno facendo tiene in piedi il Paese”, dice Moni Ovadia prendendo la mano di un ragazzo calabrese di Libera contro le mafie, che racconta a tutti, nonostante la sua giovane età, una verità che molti politici più adulti di lui ignorano: “Più toccano il lavoro e più la mafia aumenta, perché molti di noi giovani perdono la speranza e non trovano più altre alternative che la criminalità. I diritti degli operai sono un baluardo contro la ‘ndrangheta, perché non lo capiscono?”. La pioggia comincia a scendere, insieme a una lacrima trattenuta appena da Moni, che lo guarda fermo: “E’ vergognoso quello che stanno facendo a questi operai. E’ vergognoso quello che stanno facendo a voi giovani”. Vicino a lui sono appena passati Nichi Vendola e Di Pietro, il politico pugliese ha detto che un nuovo vento sta girando: “Anche in Cina i lavoratori stanno scioperando e le tv ormai non riescono a nasconderlo, questo è il segno che il diritto al lavoro ormai non può più essere calpestato oltre”. Accanto a lui ci sono Barozzino, Dellamorte e Pignatello, i tre operai licenziati alla Sata di Melfi e poi reintegrati grazie a una sentenza del giudice del lavoro. “Noi lavoratori siamo il motore di questo Paese e il fatto che siamo così tanti oggi qui lo dimostra: non possono continuare a ignorarci”. I braccianti di Altragricoltura e del Tavolo verde fanno eco ai cassintegrati dell’Eutelia, che sfilano con le maschere bianche e le lettere che compongono la parola dignità: “Noi lavoratori agricoli ormai non guadagniamo più nulla, per produrre un chilo di grano spendiamo 28 euro e ne guadagniamo la metà. Siamo gli schiavi del lavoro. Noi che siamo senza diritti, non possiamo che essere qui accanto a chi come noi li ha persi o li sta perdendo”. Il gruppo delle Metalmeccaniche ha lo stesso colore del Popolo Viola e porta avanti le stesse istanze: “Stanno distruggendo il futuro di questo Paese, iniziando dal nostro lavoro. Noi donne, poi,

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paghiamo doppiamente il peso dei ritmi di lavoro massacranti, visto che abbiamo anche delle famiglie di cui prenderci cura”. “Se toccano il reddito dei lavoratori toccano anche le nostre pensioni, ecco perché siamo qui”. Lo dicono i pensionati dello Spi Cgil giunti da tutta Italia. Anche i partigiani dell’Anpi ci tengono a sottolineare che gli operai non sono soli: “La loro battaglia è la battaglia di tutti noi: è quella contro il fascismo e per la difesa della Costituzione e dell’articolo uno, che dice che l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro”. Tutti sulla stessa barca degli operai: lo dicono i ragazzi Rom dell’Arci e i lavoratori immigrati di Rosarno, che gridano basta al lavoro nero e sì al contratto nazionale, lo dicono le ragazze del call center di Trapani Multimedia Planet. 900 giovani senza più lavoro da un anno. Lo dicono anche le brigate di solidarietà attiva, nate dopo il terremoto d’Abruzzo, che sanno bene come una fabbrica chiusa sia la cosa peggiore che possa esistere per un territorio. Gli operai delle Steparava di Adro, in cassintegrazione, sono in camicia rossa accanto a loro: “La nostra è un’azienda multietnica – dicono – i diritti dei migranti sono i nostri”. Ci sono anche i cassintegrati della Same di Treviglio, con un grosso uovo di polistirolo: “Noi non siamo criminali, siamo lavoratori esasperati, la smettessero di strumentalizzare il gesto di pochi che hanno perso il lavoro, e pensassero a tutelarci. Il contratto nazionale del lavoro non si tocca. Altrimenti altro che uova, è sciopero generale”. Gli operai della Maflow di Trezzano sul Naviglioconcordano, accanto a quelli dell’Alenia Spazio di Pomigliano, a quelli della Merloni dell’Umbria, ai tremila Marittimi della Tirrenia che rischiano la cassa integrazione: “Siamo in tanti, abbiamo paura per il nostro futuro, certo, la maggior parte di noi sono cassintegrati, ma siamo anche forti delle nostre ragioni: il diritto al lavoro non si tocca. Guarda quanti siamo a dirlo”. Una lunga coda di persone, sotto il palco di San Giovanni a Roma, che non ha ancora smesso di arrivare e di reclamare i propri diritti, nonostante la pioggia. Rassegna.it

Gli infiltrati del 16 ottobre 2010 di Marco Barone Scrivo questa riflessione dopo aver vissuto in prima persona la manifestazione del 16 ottobre in Roma. Si è tentato, con le solite strategie, di deviare l’attenzione dell’opinione pubblica sulle possibili violenze che “dovevano” derivare dalla manifestazione del 16 ottobre. Anche io ho scritto in precedenza sul punto rilevando che delle provocazioni sono in corso da tempo, vedi la questione del volantino Br a Violante, lo strano “attentato” a Belpietro,ecc. L’attenzione deve essere sempre alta su questo c’è poco da dire. Ma tale intento, oggi, al potere dei governanti non è riuscito. Dunque veniamo alla giornata di lotta dei lavoratori e non solo. Si parte dalla stazione di Bologna che già alle prime ore dell’alba è colma di manifestanti. Ciò lascia intravedere la grande partecipazione prevista per tale iniziativa. Si viaggia in treno, molti utilizzeranno i bus, altri i mezzi privati. Ben cinque ore di lunga marcia. Ma chi è giunto da Bolzano o dalle isole avrà sicuramente faticato di più. Tutto nella solita ordinarietà. Si giunge in Piazza della Repubblica verso le 13.00 circa, proprio nel momento in cui arrivano in massa i collettivi, gli studenti delle scuole ed universitari. L’attenzione dei fotografi cade su due fumogeni uno giallo e poi uno rosso accesi nel bel mezzo del viale. Atmosfera calda ma nel contempo mite. Si notano tanti visi sorridenti. Si sorride, si armonizza con la solidarietà sociale. La rabbia , il furore per l’ingiustizia del sistema oggi viene mascherata dall’ironia. Si sorride. Tanti abbracci tra compagni che non si vedevano da molto tempo. Studenti ed operai uniti nella lotta.

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Oggi, dopo l’importante manifestazione e sciopero dei cobas scuola, si pone continuità all’autunno caldo del 2010 (SEGUE A PAGINA 12). 3


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Un reportage fotografico.Una serie di ritratti, di volti, di sorrisi e sguardi di un popolo che si è ritrovato finalmente a Roma. A cura di Sebastiano Gulisano

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(SEGUE DA PAGINA 3) Ma dopo anni di assopimento in verità qualcosa è mutato. Movimenti , centri sociali, autonomi, operai, partiti extraparlamentari tutti uniti per la difesa del diritto al lavoro e nel lavoro. Si legge in uno dei tanti volantini distributi “senza diritti si è solo schiavi”. Schiavi del sistema, schiavi nel sistema vigente. Allarme allarme arrivano gli infiltrati. Se infiltrarsi vuol dire “introdurre di nascosto qualcuno in un’organizzazione, per controllarla” e se per organizzazione intendiamo in linea di massima il sistema di potere esistente, allora oggi siamo tutti infiltrati. Vedo dalla finestra di una delle tante vie romane percorse dal corteo, una persona anziana che alza il volume,dalla sua radio, dell’internazionale. Sarà lui l’infiltrato? Seguono applausi. Vedo tanti bambini in braccio ai loro genitori. Saranno loro gli infiltrati? Vedo una donna nomade portare i palloncini dell’italia dei valori. Sarà lei l’infiltrata? Ma osservo anche una banda musicale che suona bandiera rossa, e tanti lavoratori sorridenti cantare bella ciao, tanti studenti correre uniti per i viali romani, tanti compagni abbracciati nel riproporre gli storici cordoni di sicurezza, saranno loro gli infiltrati? Siamo tutti infiltrati nel sistema di potere. Si lo siamo, da oggi lo siamo. Ma per destabilizzarlo, per affermare la giustizia sociale, per lottare contro lo sfruttamento dei deboli, contro il razzismo, la xenofobia, contro l’ingiustizia presente. Vedo anche molti baristi chiudere freneticamente le loro attività, pensando che magari gli infiltrati,ops i manifestanti, danneggiassero le loro vetrine. Osservo anche Epifani essere scortato come un Presidente della Repubblica. Ma ahimè vedo pochi lavoratori immigrati.

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Tante bandiere rosse, tanta voglia di cambiare lo stato presente delle cose, ma soprattutto oggi è emerso un grande spirito unitario di lotta. Questo i padroni lo hanno ben compreso. Ecco allora le dichiarazioni a caldo dei governanti a dir poco meschine, ma comprensibili. Si, dico comprensibili perchè hanno capito che da oggi qualcosa cambierà nelle lotte sociali. Oggi è prevalsa l’intelligenza,lo spirito di solidarietà, e l’armonia tra i lavoratori e gli studenti ed i movimenti. La strada da percorrere è questa. Unirsi, un fronte unico di lotta convergendo le lotte delle varie realtà lavorative e sociali italiane in un solo canale, per dire basta a questo sistema, basta all’autoreferenzialità, basta al settarismo, basta all’ipocrisia, basta con la corsa alle poltrone, basta con le divisioni. Solo così potremmo gestire anche la lotta dura, solo così potremmo veramente consegnare il potere al popolo. Oggi eravamo tutti infiltrati, si, lo eravamo, lo siamo. 17 ottobre 2010

L’addio di Epifani di Paolo Andruccioli Una grande conclusione, sul palco di San Giovanni, per una straordinaria manifestazione. Maurizio Landini, segretario generale della Fiom, è intervenuto sul palco alle 17.52, dopo una lunga serie di interventi di delegati sindacali, lavoratori precari di vari settori, immigrati, rom, studenti in lotta contro la riforma Gelmini, rappresentanti di tante situazioni di lotta (dalla Sardegna a Pomigliano), movimenti sociali (come il popolo viola) e movimenti di lotta per la legalità. Landini ha detto subito che vedere questa grandissima piazza produce una grande felicità. Una piazza che parla a tutto il paese. Una manifestazione che ha confermato che c’è bisogno di rimettere al centro i diritti e contrastare la politica del governo e della Confindustria. Landini ha ricordato che “per 20 anni ci hanno raccontato che era sufficiente lasciar fare al mercato. Ora non ci sono più regole per la finanza, l’evasione fiscale non ha precedenti. Mai una

precarietà come in questo momento. C’è stata una redistribuzione della ricchezza senza precedenti. Una società così non è accettabile e per questo è necessario ribellarci per cambiare questa società. Uscire da questa crisi richiede dei cambiamenti. E’ vero che noi diciamo dei no – ha detto Landini – quando si vogliono cancellare i diritti e la dignità delle persone. In questo senso noi diremo sempre no. Ma vorrei anche ricordare che noi avanziamo proposte. Vogliamo ridiscutere cosa si produce, vogliamo beni comuni difesi, vogliamo estendere i dirtti a chi non li ha. Ai giovani che hanno la prospettiva di essere precari a vita. La scuola diritto pubblico. Vogliamo anche che sia estesa la democrazia”. Il governo “In questi giorni tanti hanno parlato, ha continuato Landini. Oggi i ministri si dovrebbero vergognare per quello che hanno detto. Hanno invocato il morto. Una irresponsabilità totale. Questa piazza dice: non solo è una manifestazione democratica e pacifica. Dice anche che chi lavora ha conquistato la democrazia di questo paese. I ministri possono dire oggi le loro castronerie perché siamo stati proprio noi a garantire il diritto al pensiero. Loro in realtà hanno paura della democrazia. Noi dobbiamo cambiare questo stato di cose. Già con il Libro bianco di Maroni – ha ricordato il segretario della Fiom – si era disegnato il progetto. Ora stanno facendo quello che avevano annunciato. Hanno perfino detto che noi difendiamo gli assenteisti. Ma noi non abbiamo mai difeso Brunetta. Ora il caso Fiat ha aperto gli occhi a tanti. Siamo di fronte a una teoria: per investire in Italia è necessario cancellare i diritti e i contratti. Invece dovremmo porci un altro problema. Perché la Fiat è messa peggio di altre marche? Perché in Germania gli stipendi sono più alti e si vendono più macchine?”. La Fiat “Negli ultimi incontri con la Fiat – ha proseguito Landini – Marchionne, che parla con chiarezza, non ha detto solo ‘ditemi di sì’. Marchionne ha detto in realtà che il piano lo decide lui e non lo discute con nessuno. Solo la Fiom e la Cgil gli hanno detto che così non va bene. Sono allibito –ha confessato Landini – quando il governo non è capace di dire che sì. I primi a dire di no alla Fiat non siamo stati noi, ma il governo tedesco e il sindacato tedesco. Si deve discutere la politica industriale. Noi vogliamo che si continui a produrre in Italia le auto, i camion e i trattori. Se si vende meno è perché si è investito poco. La competizione non si fa tagliando i salari e i diritti. 11/17 ottobre 2010


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Ma dopo anni di assopimento in verità qualcosa è mutato. Movimenti , centri sociali, autonomi, operai, partiti extraparlamentari tutti uniti per la difesa del diritto al lavoro e nel lavoro. Si legge in uno dei tanti volantini distributi “senza diritti si è solo schiavi”. Schiavi del sistema, schiavi nel sistema vigente. Allarme allarme arrivano gli infiltrati. Se infiltrarsi vuol dire “introdurre di nascosto qualcuno in un’organizzazione, per controllarla” e se per organizzazione intendiamo in linea di massima il sistema di potere esistente, allora oggi siamo tutti infiltrati. Vedo dalla finestra di una delle tante vie romane percorse dal corteo, una persona anziana che alza il volume,dalla sua radio, dell’internazionale. Sarà lui l’infiltrato? Seguono applausi. Vedo tanti bambini in braccio ai loro genitori. Saranno loro gli infiltrati? Vedo una donna nomade portare i palloncini dell’italia dei valori. Sarà lei l’infiltrata? Ma osservo anche una banda musicale che suona bandiera rossa, e tanti lavoratori sorridenti cantare bella ciao, tanti studenti correre uniti per i viali romani, tanti compagni abbracciati nel riproporre gli storici cordoni di sicurezza, saranno loro gli infiltrati? Siamo tutti infiltrati nel sistema di potere.

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Tante bandiere rosse, tanta voglia di cambiare lo stato presente delle cose, ma soprattutto oggi è emerso un grande spirito unitario di lotta. Questo i padroni lo hanno ben compreso. Ecco allora le dichiarazioni a caldo dei governanti a dir poco meschine, ma comprensibili. Si, dico comprensibili perchè hanno capito che da oggi qualcosa cambierà nelle lotte sociali. Oggi è prevalsa l’intelligenza,lo spirito di solidarietà, e l’armonia tra i lavoratori e gli studenti ed i movimenti. La strada da percorrere è questa. Unirsi, un fronte unico di lotta convergendo le lotte delle varie realtà lavorative e sociali italiane in un solo canale, per dire basta a questo sistema, basta all’autoreferenzialità, basta al settarismo, basta all’ipocrisia, basta con la corsa alle poltrone, basta con le divisioni. Solo così potremmo gestire anche la lotta dura, solo così potremmo veramente consegnare il potere al popolo. Oggi eravamo tutti infiltrati, si, lo eravamo, lo siamo. 6 ottobre 2010

Significato della manifestazione della Fiom-Cgil di Cesare Pisano

Si lo siamo, da oggi lo siamo. Ma per destabilizzarlo, per affermare la giustizia sociale, per lottare contro lo sfruttamento dei deboli, contro il razzismo, la xenofobia, contro l’ingiustizia presente. Vedo anche molti baristi chiudere freneticamente le loro attività, pensando che magari gli infiltrati,ops i manifestanti, danneggiassero le loro vetrine. Osservo anche Epifani essere scortato come un Presidente della Repubblica. Ma ahimè vedo pochi lavoratori immigrati.

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Il metodo Fordismo ebbe inizio nel lontano 1913, per volontà del Padron della Ford, Henry Ford, che iniziò il nuovo processo di produzione delle auto, basato sulla catena di montaggio. La logica del fordismo era l’aumento della produttività in serie, attraverso una catena di montaggio in cui ad ogni stadio di produzione l’operaio doveva intervenire, osservando i tempi esatti della produzione, per soddisfare i bisogni della società di massa. Basti vedere il film “ Tempi moderni “, con Chaplin, per rendersi conto, della logica della sua parodia.

Capi-reparto controllavano i lavoratori ed aumentavano, con la loro presenza i costi di produzione; i diritti dell’operaio erano ridotti e la sua stessa esistenza, come uomo, declassata a mero aggeggio del processo nella catena di montaggio. Una sofferenza dovuta alla mancanza dei diritti e tutela del lavoratore, che rendeva alienante la sua stessa esistenza, sia come operaio nella fabbrica, in quanto considerato uno dei tanti bulloni della catena di montaggio, sia nella vita, nella quale navigava, non come un essere dignitoso, ma, come un fantasma di se stesso. Il fordismo entra in crisi definitivamente a cominciare dalla fine degli anni settanta, quando il Toyotismo o produzione snella, riuscì a produrre, sulla base di un forte abbassamento dei costi di produzione, qualità, ottimizzando il processo produttivo sull’efficienza, sull’essenzialità e sulla responsabilizzazione dell’operaio, che doveva essere in grado di fermare le macchine autonomamente, in caso di difetto, e di tantissimi altri principi, che nel loro discorso di flessibilità generale, riducevano l’operaio ad un vero quadro della produzione; infatti, la scomparsa dei capicontrollori trasformava l’operaio in interessato diretto e responsabile della produzione, il cui prodotto diventava il prodotto creato dall’operaio e dalle sue capacità di intervento su di esso o su parte del processo. Il passaggio dal Fordismo al Toyotismo significò, in teoria, la morte del dramma esistenziale dell’operaio e la sua crescita in dignità ed in diritti. Veniva recuperata, da un lato un prodotto di qualità superiore ed a costi più bassi, e, dall’altra la dignità dell’operaio, attraverso la riappropriazione dei propri diritti e di un’esistenza dignitosa e vivibile. Il momento della globalizzazione e delle dislocazioni, in spazi territoriali più consoni, per l’abbassamento dei costi di produzione, hanno cancellato quelle condizioni di dignità, basati sul riconoscimento dei diritti dell’operaio, per riportarlo nelle stesse condizioni di quanto produceva all’interno del metodo fordista, quando, semplice strumento sussidiario della macchina, faceva parte integrante del produzione in serie, attraverso la catena di montaggio, i cui effetti erano deleteri, sia nell’esistenza alienante, sia nella perdita dei diritti. Pomigliano è uno dei tanti emblemi che corredano la politica globalizzata di oggi.

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Un emblema il cui indice si indirizza verso forme della perdita della dignità dell’operaio e dei suoi diritti, sanciti per contratto e per la Costituzione; un emblema che potrebbe essere allargato, come soluzione alle altre imprese. L’accordo contrattuale di Pomigliano, voluto dalla Fiat, siglato dai due sindacati e rifiutato dalla FIOM-CGIL, dimostra una presa di coscienza sul vero stato in cui, oggi, si trovano gli operai delle fabbriche, appartenenti alle multinazionali, capaci di dislocare le strutture verso lidi più favorevoli, ove i costi di produzione sono bassi ed i diritti dei lavoratori ridotti. La manifestazione di oggi, a Roma, vede gli operai impieganti verso un metodo di contrattazione che salvi i diritti dei lavoratori. A Pomigliano la FIOM si rifiutò di firmare, non l’accordo sul contratto generale, ma, le clausole integrative del contratto individuale di lavoro. E’ in queste clausole che la Fiat prevede che “ la violazione, da parte del singolo lavoratore, di una delle condizioni contenute nell’accordo costituisce infrazione disciplinare da sanzionare, secondo gradualità, in base agli articoli contrattuali relativi ai provvedimenti disciplinari e ai licenziamenti..”. Sulla stessa responsabilità del lavoratore, la presenza della clausola libererebbe da responsabilità la Fiat La Fiat, infatti, derogando al contratto nazionale, si libera da possibili obblighi contrattuali, se gli stessi non venissero rispettati. L’atteggiamento previsto dalle deroghe mette la Fiat, a parere della FIOM, in una condizione favorevole, rispetto gli operai; infatti, essa opererebbe in assoluta discrezionalità, sia su eventuali scioperi o proteste, sia sui carichi di lavoro, sia sugli straordinari, sia sulla stessa gestione della forza-lavoro; etc… La FIOM respinge le integrazioni al contratto collettivo nazionale in quanto considera queste deroghe, come una palese violazione della legittimità, sia dei contratti collettivi nazionali e sia della costituzione. Da un lato la multinazionale-Fiat a tavolino studia la sua linea, quale elemento fondativo-strategico, ove l’operaio, in quanto costellazione di valori, diritti, responsabilità, abnegazione, impegno, etc..non viene preso in considerazione, perché la

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logica del profitto, dell’abbassamento dei costi e dell’eliminazione, di quanti potessero reagire, protestando o scioperando, diventano elementi contrastanti. Dall’altro la FIOM e gli operai tesi a respingere qualunque attacco venga considerato in conflitto di legittimità con contratti, già esistenti e con i principi della Costituzione. Oggi, a Roma, non c’è solo la FIOM; il sindacato non ha invitato nessuno; ma, ha presentato un piattaforma sindacale alla quale ci sono state delle aggregazioni esterne, che saranno presenti; il PD ufficialmente non aderisce; ma, molti dei suoi uomini saranno alla manifestazione di oggi a Roma, in Piazza S.Giovanni, poi, le donne contro la violenza, i precari, gli studenti… E’ in grado la manifestazione di oggi di impedire altri Pomigliano e di invertire la rotta verso contratti aziendali, che non siano in deroga a quello collettivo generale? Riuscirà la lotta a ridare dignità e diritti ai lavoratori nell’epoca della globalizzazione e delle dislocazioni facili?

16 ottobre 2010

Una invasione di tute blu di Giuliano Rosciarelli Sono in migliaia a sfilare per le strade della capitale per la manifestazione nazionale indetta dalla Fiom. Centinaia le bandiere rosse. Numerosi i cori e gli striscioni: ‘Pomigliano ce lo ha insegnato, come si comporta un vero sindacato’, scandisce un gruppo di tute blu della Cgil. ‘Dieci, cento, mille Fiom’, grida invece un altro gruppo di operai. Una banda sta raggiungendo piazza San Giovanni, dove si terrà il comizio conclusivo, suonando ‘Bella ciao’. Non manca chi sfila esibendo foto e striscioni contro gli altri leader sindacali, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, l’amministratore delegato della Fiat,Sergio Marchionne, e il presidente del consiglio Silvio Berlusconi. ‘Marchionne, il dittatore dei lavoratori. La Fiom ti schifa’. Questa la scritta su un cartello portato al collo da un pensionato napoletano, Tammaro Iavarone, travestito da squadrista, il quale finge di

frustare i lavoratori che stanno manifestando al corteo del Fiom a Roma. Sulla testa il pensionato indossa un vaso da notte rovesciato con sopra scritte contro il ministro Maroni. Sui pantaloni, tra le gambe, invece c’e’ la foto del ministro Gelmini. ‘Stiamo tornando alla dittatura – spiega Tammaro – tolgono diritti a operai e pensionati. Interpreto Marchionne perché lui e’ come un dittatore e considera gli operai degli schiavi’. Il fantoccio di Berlusconi ha al collo un cartello che recita “la crisi c’e’ ma non per me”.Sotto ai piedi la sua caricatura intanto schiaccia il libro della Costituzione. Il fantoccio di Bossi invece ha un cartello con su scritto: “l’appetito vien mangiando, Lega padrona”.

A rispondere all’appello dei metalmeccanici moltissime persone, una folla difficilmente decifrabile, gente “comune”, studenti, centri sociali,lavoratori con tanta voglia di scendere in piazza. Due i cortei che hanno sfilato per le vie della capitale, uno partito da piazza Porta San Paolo l’altro dal piazza Esedra. Ancor prima di unirsi, la piazza era già piena e le strade intorno affollate. Quando arrivano Guglielmo Epifani e Maurizio Landini una marea di persone li accoglie con applausi e musica che riempe il palco già da qualche ora.Tanti gli slogan, tra questi spicca una grande banconota da 500 euro con scritto sopra: “questo e’ il mio stipendio”. Tra le bandiere c’e’ anche un omaggio a Falcone e Borsellino. Vicino al palco ecologico allestito in Piazza San Giovanni campeggia una bandiera con la scritta: “l’Italia che non si piega”. << In tutta Europa i sindacati scioperano insieme – ha attaccato Epifani – da noi in campo c’e’ soltanto la Cgil e questo indebolisce il fronte del movimento dei lavoratori, soprattutto in un momento di crisi, in cui e’ invece necessario lottare insieme. Il governo ha fatto poco e male, ha diviso i sindacati e- ha aggiunto- questo e’ un rimprovero che io farò sempre>>. << Siamo in piazza per difendere il contratto nazionale, che rischia di essere cancellato, il lavoro e la democrazia e per indicare un’uscita da questa crisi diversa da quella indicata dal governo e da Confindustria>>, ha invece aggiunto Landini, segretario Fiom. Presenti in piazza anche molti esponenti del centro sinistra, da di Pietro dell’Idv a Ferrero di Rifondazione, da Diliberto dei Comunisti italiani a Vendola di Sel. Presente, ma in ordine sparso, anche il Pd, con Vita e Marino: << Il Pd – spiega un

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L A S E T T I M A N A D E G L I I TA L I A N I

imbarazzato Vita – c’e', con i suoi militanti e dirigenti. Ora dirò a Bersani che per il futuro bisogna aderire anche formalmente>>. Meglio tardi che mai, anche se Casini dal chiuso dei suoi uffici ha già fatto capire che aria tira: << Chi oggi è sceso in piazza – ha detto il leader dell’Udc – è fuori dall’alternativa a questo governo>>. A buon intenditor poche parole. Ma mentre la “vecchia” politica si guarda l’ombelico una gran parte d’Italia presente a piazza San Giovanni, guarda lontano, alla speranza di una “ribellione democratica” che riaffermi <<i diritti, i lavori, il sapere>>.

16 ottobre 2010

Non siamo stati pronti a cogliere quei sussulti di piazza di Raffaele Langone L’operaio specializzato un tempo sapeva di poter contare su un futuro quantomeno un pochino più stabile del compaesano che aveva da offrire solamente la propria manovalanza; questo non significa necessariamente che si sia trovato a pagare – proprio per questo, per le proprie competenze – un prezzo troppo elevato, come gli operai dei petrolchimici. Legati a doppio filo alla professionalità specializzata, la crisi dei settori industriali ha buttato sul lastrico migliaia di persone. Con il declino si è introdotto il concetto di riqualificazione professionale, una rete di salvataggio che lo Stato spesso non è in grado di dare, così come non vuole e non può sostenere un welfare di qualche competenza, capacità, affidabilità. La “somministrazione” del lavoro azzera qualsivoglia competenza specifica e specialistica, per innescare un perverso “usa e getta” della manodopera, di generica preparazione e nebulosa qualificazione. Non serve accedere a competenze specifiche, né serve acquisire competenze settoriali in un sistema che non le richiede, in un contesto che non prospetta continuità bensì impone una fluttuante ed eterna precarietà. La dismissione, la crisi economica, ovvero gli effetti nefasti della privatizzazione selvaggia e della terziarizzazione del lavoro, la smaterializzazione delle imprese in

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giochi di capitali e societari hanno però conseguenze concretissime. Se le difficoltà economiche delle vite individuali faticano a ritagliarsi una attenzione, e le pagine dei giornali registrano le crisi sotto la forma numerica normalizzante di statistiche e misurazione dei consumi e ricchezza nazionale o regionale pro capite, d’altra parte in occasione di gravi incidenti con morti e feriti, altra faccia della stessa medaglia, emergono con evidenza le punte avanzate della malattia epidemica ancorché strisciante nella attuale società intrappolata fra capitali e consumi. I cantieri edili – luoghi dell’anonimato, oggi soprattutto extracomunitario, clandestino, dove gli incidenti sono numerosi e mortali, in assenza delle più elementari norme di sicurezza – sono stati raccontati da Loach come microcosmi, sintesi ad alta concentrazione della società inglese contemporanea, ma estensibili senza troppo sforzo anche ai nostri paesaggi urbani. La metafora del cantiere edile con, da una parte, la committenza invisibile che trova emanazione nel caporalato che preme, sorveglia, punisce; dall’altro una congerie di individui con storie diverse e obiettivi inconciliabili, fa da specchio ad un contesto sociale tirato su e tenuto insieme in qualche modo. A dire cioè che la coesione di ceto fatica a imporsi sulle individualità in lotta ciascuna per la propria sopravvivenza spiccia o per assecondare le personali furberie. Allo stesso modo, la realtà di suburbi e periferie racconta le difficoltà quotidiane – disoccupazione, insufficienza dei sussidi, degrado ambientale e umano, l’arte di arrangiarsi. Sul tema della professionalità poi si sono disegnate due sostanziali varianti, una tragicomica e l’altra drammatica. Questi lavoratori spesso si trovano “al di qua” del lavoro: in quanto disoccupati non possono riguadagnarsi un ruolo attraverso la professionalità – strumento inservibile – e restano ai margini. Una volta allontanati dal mondo del lavoro, non si delinea alcuna possibilità di rientrarvi; bisogna improvvisare lavoretti ed escamotage proprio perché la professionalità non è più richiesta: anche noi abbiamo una repubblica “fondata sul lavoretto” – che disgrazia questi disoccupati privi di spirito di iniziativa! -; alla faccia dello spirito e degli articoli della Costituzione, i disoccupati vengono tacciati di incapacità di arrangiarsi e dipinti come parassiti sociali. Nella dissipazione del tessuto sociale che ne deriva va a definirsi la crisi personale e professionale. La cultura del

lavoro è qualche cosa di istintivo e forse genetico, che emerge per contrasto con una realtà che vi si oppone volta a volta definendo forme e modi di quel territorio. Non a caso è stata l’Inghilterra thatcheriana a provvedere all’espressione urgente di queste problematiche, Noi siamo venuti in coda, e la classe operaia non ha ancora trovato una voce disposta a rappresentarla. I media si sono infine accorti che la classe media si sta inabissando in un impoverimento progressivo, e il suo potere d’acquisto si abbassa avvicinandosi a quello degli strati di popolazione più poveri. Sono informazioni e notizie accessibili e diffuse, entrate oramai nel senso comune, ma quando già oltre quasi una trentina di anni fa l’Inghilterra governata dalla Thatcher manifestava la propria opposizione alla società che si andava delineando, non Siamo stati pronti a cogliere quei segnali e a far nostra quella resistenza, quegli scioperi dei minatori, quei sussulti di piazza.

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Coordinamento sito web Denise Fasanelli Pietro Orsatti Giuliano Rosciarelli

Gruppo di lavoro e collaborazioni “organizzate” Anna Ferracuti, Massimo Scalia, Sebastiano Gulisano, Vincenzo Mulé, Sabrina Provenzani, Gabriele Corona, Eleonora Mastromarino, Marco Stefano Vitiello, Imd, Aldo Garzia, Emilio Vacca, Luigi De Magistris, Paolo Cento, Emilio Grimaldi, Salvo Vitale, Paride Leporace, Pino Maniaci, Giovanni Vignali, Alessio Melandri, Pino Masciari, Saskia Schumaker, Giulio Cavalli, Laura Neto, Marco Barone, Pietro Nardiello, Stefano Montesi, Alessandro Ambrosin, Nello Trocchia, Raffaele Langone, Paolo Borrello, Mila Spicola, Francesco Saverio Alessio, Riccardo Orioles e... altre 312 persone che hanno pubblicato e continuano a pubblicare contenuti sulla nostra piattaforma

Partnership Antimafia Duemila, Global Voices, Cometa, MegaChip, Ucuntu, Rassegna.it, Agoravox. Dazebao, You Capital, CrisiTv, Il carrettino delle idee per informazioni posta@gliitaliani.it

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LA SETTIMANA DE GLI ITALIANI

La Peste Minacce, intimidazioni, proiettili: è la sorte riservata a chi, come Tommaso Sodano, osa denunciare apertamente le connivenze tra camorra e politica nella gestione dei rifiuti. Perché “la munnezza è oro”, come disse il pentito Nunzio Perrella spiegando il nuovo business: un affare molto più redditizio della droga, e non solo per la malavita. Con coraggio, questo libro ci racconta un’inquietante storia vera: quella del terremoto ecologico che negli ultimi quindici anni ha sconvolto la Campania, scatenando su questa regione il più grande disastro ambientale dal Dopoguerra. È la storia di una truffa legalizzata che comincia negli anni Ottanta quando in Italia va in crisi il sistema di raccolta della spazzatura. La soluzione la offre la camorra, fornendo intermediari “di fiducia” a cui le imprese e le amministrazioni del Nord affidano la monnezza che parte per le discariche campane. Per poi essere interrata nelle cave, mentre il pattume tossico viene disseminato ovunque, spacciato come concime. “I rifiuti liquidi erano talmente inquinanti che quando venivano sversati producevano la morte immediata di tutti i ratti” dirà Gaetano Vassallo, collaboratore di giustizia. Ma la peste non si ferma qui: si espande come una vera epidemia fi no a Roma e al cuore stesso dei palazzi del potere, rivelando che i rifiuti in Italia non si riciclano, ma i funzionari corrotti sì. L’indagine che ha portato Tommaso Sodano a dover vivere sotto scorta ha mostrato infatti un sottobosco in cui si confondono criminali e politici, imprenditori e faccendieri. Destra o sinistra non fa differenza: vince sempre il partito dei rifiuti, una classe dirigente che nella spazzatura affonda le sue radici e su di essa ha costruito imperi e carriere. Perché se c’è l’emergenza, ci sono i commissariamenti e i fondi pubblici. Ci sono gli appalti e i consorzi con tante assunzioni che poi diventano voti. E c’è persino chi si è tuffato nella monnezza con la pretesa di uscirne completamente pulito. Ma Sodano ci aiuta a riconoscerne la puzza.

Autore: Tommaso Sodano, Nello Trocchia Editore: RIZZOLI Collana: SAGGI Pagine: 360 Prezzo: 18,50 euro ISBN: 17044547

O’Scar…rafone

Cavaliere d’Italia

L’occasione fa l’uomo Adro

È meglio una MANO del giudice, che un abbraccio dall’avvocato

alLODOla All’amore pone Fini il tempo, non il cuore Galli Lo scherzo è bello quando dura Porro Grilli San Bastiano con i Viola in mano ToRotto

Parassita Dell’ulivo Non si parla di Corde a casa dell’impiccato Parassita del ciBresso Il tempo passa e porta via ogni Cota Animali con le Zampe Chi è gran nemico è anche Grasso amico

Il Fini giustifica i mezzi na POLLI Siamo nati per soffrire. Se RIFIUTI….il dolore, sei morto CAvaLLI cheSTannO in TANZanIa Mai pianger sul latte versato Er barbaGianni e Um Ber To… pone Il poco mangiare e il poco parlare non fecer mai male!

a cura di Sonia Ferrarotti www.soniaferrarotti.wordpress.com

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