Gli Stranieri

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numero 1.2010 anno XVII

Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – 70% Viterbo Aut. C/VT/069/2010

Rivista quadrimestrale

Rassegna di studi e giurisprudenza

in questo numero

Paolo Morozzo della Rocca, Giandonato Caggiano, Matteo Marchini, Mario Carta, Lorenzo Balestra, Chiara Gabrielli, Marco Ferrero, Giuseppe Manfredi, Ernesto Maria Ruffini, Roberta Bonini, Cesare Castellani, Annapaola Specchio, Gabriele Marra, Antonietta Picardi, Ilaria Ottaviano



numero 1.2010 anno XVII

Rassegna di studi e giurisprudenza

Foto di copertina: Š Mario Farinato, Storie e sguardi menzione speciale di Studio Immigrazione. Dalla prima edizione del concorso fotografico nazionale Identità e culture di una Italia multietnica organizzato da Progetto ImmigrazioneOggi Onlus.


Rassegna di studi e giurisprudenza quadrimestrale Comitato scientifico Paolo Benvenuti, Università Roma Tre Luciano Eusebi, Università Cattolica del Sacro Cuore Gilda Ferrando, Università di Genova Adriano Giovannelli, Università di Genova Bruno Nascimbene, Università di Milano Sandro Staiano, Università di Napoli Direzione Giandonato Caggiano, Università Roma Tre Aristide Canepa, Università di Genova Paolo Morozzo della Rocca, Università di Urbino Fondatore e direttore responsabile Raffaele Miele Comitato di redazione Roberta Bonini, Chiara Gabrielli, Matteo Marchini, Ilaria Ottaviano Segreteria di redazione Sabrina Manfredi e-mail: redazione@glistranieri.it Progetto grafico e impaginazione Massimo Giacci Redazione e amministrazione Studio immigrazione sas Via del Giglio, 3 - 01100 Viterbo Tel. 0761 326685 - Fax 0761 290507 www.studioimmigrazione.it e-mail: amministrazione@studioimmigrazione.it Editore e proprietario della testata Studio immigrazione sas

ISSN in attesa assegnazione Registrazione Tribunale di Viterbo, n. 406 del 20 marzo 1994 Gli articoli firmati esprimono il pensiero dell’Autore e non impegnano la Rivista.


Sommario

Presentazione

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Articoli Paolo MOROZZO DELLA ROCCA La cittadinanza delle seconde generazioni. Disciplina attuale ed esigenze di riforma

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Giandonato CAGGIANO Attività e prospettive di intervento dell’Agenzia Frontex nel Mediterraneo

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Matteo MARCHINI Tempus regit actum: alcune applicazioni in tema di immigrazione e cittadinanza

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Mario CARTA Lo smuggling nel Mediterraneo tra strumenti internazionali ed europei di prevenzione e di contrasto

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Commenti Lorenzo BALESTRA Matrimoni plurinazionali e opponibilità ai terzi del regime patrimoniale della famiglia (a proposito dell’annotazione nel quadro “D” della nota di trascrizione)

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Chiara GABRIELLI L’obbligo di salvataggio in mare nelle attività dell’Agenzia Frontex secondo le decisioni del Consiglio dell’Unione

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Rassegna di giurisprudenza annotata e commentata Amministrativa Marco FERRERO Il TAR Lazio censura i trasferimenti di richiedenti asilo verso la Grecia Nota alla sentenza del Tar Lazio, Sez. II quater, 16 febbraio 2010, n. 2249

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Sommario

Giuseppe MANFREDI La revoca del permesso di soggiorno Nota alla sentenza del Tar Toscana, Sez. II, 5 febbraio 2010, n. 200

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Ernesto Maria RUFFINI Brevi note in tema di disponibilità reddituale per il rinnovo del permesso di soggiorno Nota alla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 3 marzo 2010, n. 1238

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Civile Roberta BONINI La tardiva presentazione dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno non impedisce la celebrazione del matrimonio ex art. 116 cod. civ. 133

Nota al decreto del Tribunale di Ragusa, 16 aprile 2010

Cesare CASTELLANI Prove di nomofilachia sull’art. 31, co. 3 D.Lgs. 286/1998, aspettando le sezioni unite sull’interesse del minore Nota alla sentenza della Corte di Cassazione, Sezione I civile, 10 marzo 2010, n. 5856

143

Annapaola SPECCHIO Brevi riflessioni sul diritto all’unità familiare e sulla vexata quaestio della competenza del Giudice di Pace in materia di immigrazione Nota all’ordinanza della Corte di Cassazione, Sez. I civile, 22 gennaio 2010, n. 1243

157

Penale Gabriele MARRA Il trattamento penale dell’immigrato irregolare al vaglio della Corte costituzionale. Una decisione ragionevole per una norma irragionevole. Nota all’ordinanza della Corte Costituzionale del 24 febbraio 2010, n. 66

169

Antonietta PICARDI Perché il reato di ingresso clandestino non si applica al minore di età Nota all’ordinanza del GIP presso il Tribunale di Bari dell’11 dicembre 2009

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Unione europea Chiara GABRIELLI, Ilaria OTTAVIANO Osservatorio sulla giurisprudenza della Corte di Giustizia

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Dopo sedici anni di attività, questo fascicolo inaugura una nuova serie della rivista Gli Stranieri. Sarà rafforzato l’approfondimento sistematico, mentre resta prioritaria la prospettiva dell’aggiornamento sugli sviluppi della materia, soprattutto a livello giurisprudenziale. In questi anni, il diritto dell’immigrazione ha assunto un rilievo crescente che richiede impegno e lavoro comune da parte degli studiosi ed esperti delle diverse discipline giuridiche interessate. Il panorama editoriale italiano vede già altre riviste, guidate da prestigiose direzioni, che si dedicano in maniera efficace agli obiettivi di informazione e riflessione. La complessità e la sensibilità istituzionale delle questioni giuridiche relative ai migranti giustifica certamente una pluralità di strumenti editoriali. L’intenzione è quella di ampliare ulteriormente il dibattito in materia e promuovere al massimo la conoscenza tecnica degli operatori del diritto e degli ambienti interessati. Raffaele Miele Giandonato Caggiano Aristide Canepa Paolo Morozzo della Rocca

www.glistranieri.it



Articoli



Paolo Morozzo della Rocca

La cittadinanza delle seconde generazioni. Disciplina attuale ed esigenze di riforma SOMMARIO: 1. L’Italia e la cittadinanza che non va. - 2. La cittadinanza delle seconde generazioni. - 3. L’opzione di cittadinanza del nato in Italia ed i problemi suscitati dal requisito di residenza legale. - 4. Le prassi amministrative nella soluzione dei casi “dubbi”. - 5. Un caso (poco) dubbio: il minore temporaneamente cancellato dall’anagrafe. - 6. Le proposte di riforma

1. A partire dall’estate del 2009 in Italia siamo tornati a parlare di riforma della legge sulla cittadinanza. Il tema è ricomparso nell’agenda parlamentare per effetto di una proposta di legge non confondibile con le altre, pur numerose e di fattura assai variegata, perché caratterizzata da una trasversalità perfetta, iniziando dai due proponenti: Sarubbi (deputato Pd di matrice cattolica) e Granata (deputato “finiano” del Pdl) e proseguendo con i 50 sottoscrittori: 20 deputati Pdl, 20 del Pd, 5 dell’Udc e 5 dell’Idv. Sono dunque equilibratamente rappresentate tutte le componenti parlamentari osservando una par condicio quasi perfetta, se non fosse per l’assenza della Lega, che non squilibra però il disegno di legge né a destra né a sinistra, essendo nota la posizione “ageometrica” del partito padano (federalista e basta), pur saldamente negoziata, nel tempo presente, a sostegno del Pdl. L’aspetto più interessante della proposta Sarubbi-Granata non deriva, quindi, solo dal suo contenuto (peraltro complessivamente apprezzabile e non molto distante dal disegno di legge unificato che avrebbe probabilmente già condotto il nostro paese a dotarsi di una riforma bipartisan, se solo la precedente legislatura non si fosse anzitempo conclusa). Il vero è che in molti speriamo, ormai, che i due grandi temi della cittadinanza e dell’immigrazione smettano di essere totalmente ostaggio elettorale delle etichette politiche contrapposte 1.

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L’auspicio è invece che destra e sinistra continuino (o riprendano) a differenziarsi, ma anche a contaminarsi, per il bene della democrazia ed in modo costruttivo, su altro. Il tema è caro a coloro che, nelle due grandi macroaree culturali, vorrebbero valorizzare percezioni di senso complessive. Emblematicamente: M. VENEZIANI, Comunitari o liberal. La prossima alternativa? Roma-Bari, 1999, passim; M. REVELLI, Sinistra destra. L’identità smarrita, Roma-Bari, 2007, passim.

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Articoli

Non è certo una necessità ontologica, infatti, che la destra sia ostile all’inclusione nella cittadinanza di una parte degli immigrati e dei loro figli, a fronte di una sinistra che sarebbe invece sempre solidale e inclusiva. I termini del dibattito potrebbero piuttosto essere – e in realtà talvolta già sono – oggetto di confronto non tanto tra destra e sinistra ma, di volta in volta, tra difensori a oltranza del ius sanguinis e prudenti sperimentatori, tra nostalgici della “comunità etnica” e interpreti di questo nostro presente globalizzato, gli uni e gli altri disseminati nei diversi schieramenti elettorali. Auspici e premesse devono però lasciare il passo al tema; ed in primo luogo ai suoi numeri. L’Italia, secondo i dati ad oggi disponibili, occupa la ventesima posizione, nell’Europa dei 27, riguardo agli indici di naturalizzazione della popolazione straniera residente. Il dato non appare però nella sua oggettiva significatività se non si considerano le maggiori similitudini dell’Italia con paesi come la Francia, l’Austria, la Spagna, il Belgio, la Germania o la stessa Gran Bretagna, risultando forse per noi meno emblematico il confronto, pur utile, con paesi come la Slovenia, la Romania, la Lettonia, la Lituania ed altri ancora, la cui storia immigratoria è segnata da dinamiche, numeri e tempi non confrontabili con i nostri, nemmeno su scala. In effetti le statistiche ci dicono che sino ad oggi qualcosa non sembra avere ben funzionato in casa nostra: l’Italia del 1 gennaio 2008 contava, infatti, 3.432.651 residenti stranieri, a fronte dei 3.674.000 stranieri residenti in Francia. Cifre assolutamente equivalenti se si considera il modesto ma non irrilevante differenziale tra la popolazione francese e quella italiana. Infatti gli stranieri soggiornanti risultavano costituire, sia in Francia che in Italia, esattamente il 5,8% della popolazione complessiva. Non era invece assolutamente paragonabile il numero delle naturalizzazioni realizzatesi nel 2006 nei due paesi, almeno secondo le ultime rilevazioni disponibili da Eurostat ed elaborate dal dossier statistico Caritas/Migrantes del 2009: 147.868 in Francia a fronte di sole 35.266 in Italia 2 (comunque abbondantissime, se paragonate alle 28.659 del 2005 e alle 19.140 del 2004) 3. Le comparazioni Eurostat purtroppo non vanno oltre il 2006, ma è verosimile che l’Italia, passata nel 2007 a 38.466 acquisti di cittadinanza per naturalizzazione o matrimonio e giunta nel 2008 a 39.484, abbia,

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CARITAS/MIGRANTES, Immigrazione. Dossier Statistico 2009, Pomezia, 2009, p. 32. Il trend in aumento andrebbe a questo punto confrontato con i dati relativi agli anni 2007-2010, non ancora disponibili, per verificare se l’exploit del 2006 (e forse del 2007) corrispondo alla buona gestione dell’ufficio cittadinanza del Ministero dell’interno in quel periodo e in quella cornice politica o se, viceversa, si tratti di una tendenza di più largo respiro. 3

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Giandonato Caggiano

Attività e prospettive di intervento dell’Agenzia Frontex nel Mediteranneo * SOMMARIO: 1. Introduzione. - 2. Il coinvolgimento dei Paesi terzi del Mediterraneo nel controllo delle migrazioni. - 3. Il quadro giuridico del controllo delle frontiere nel TFUE e negli atti derivati. - 4. Origine e sviluppo della politica comune delle frontiere. - 5. Limiti attuali e proposta di riforma del funzionamento e dei poteri di Frontex. - 6. La tutela giurisdizionale dei diritti. - 7. Segue: in occasione dell’intercettazione delle navi in alto mare senza approdo. - 8. Il principio di solidarietà tra Stati. - 9. Conclusione.

1. Questo lavoro ha per oggetto il significato giuridico delle frontiere nelle politiche dell’Unione in riferimento ai Paesi terzi, all’attività di controllo funzionale dei flussi migratori nel Mediterraneo ed alla prospettive dell’Agenzia Frontex. L’Unione europea ha adottato sinora un approccio differenziato per il contrasto dell’immigrazione irregolare e la disciplina dell’immigrazione regolare 1. Il controllo delle frontiere, funzionale al governo di entrambi i fenomeni 2, è però considerato, ad esempio nel Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo (2008), quale strumento esclu-

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Il presente studio, destinato agli atti del XXIV Convegno SIDI, rientra nel progetto di ricerca nazionale PRIN 2007 «Cittadinanza europea e diritti fondamentali nell’attuale fase del processo di integrazione» (Responsabile nazionale, prof. Ennio Triggiani), Unità dell’Università Roma Tre, il cui programma di lavoro è dedicato allo Spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia (PROT. 2007ETKBLF). 1 Per approfondimenti, ci sia consentito rinviare al nostro lavoro, L’integrazione europea «a due velocità» in materia di immigrazione legale ed illegale, in Dir. pubbl. comp. eur., 2008, p. 1098 ss. Per un’analisi della materia, v. per tutti CONDINANZI, LANG, NASCIMBENE, Cittadinanza dell’Unione e libera circolazione delle persone2, Milano, 2006; CELLAMARE, La disciplina dell’immigrazione nell’Unione europea, Torino, 2006. Per una prima riflessione su alcuni dei temi oggetto di questo lavoro, v. Migrazioni, frontiere, diritti. Atti del convegno su «Esternalizzazione dei controlli di frontiera, accordi di riammissione e diritti fondamentali dei migranti» (a cura di Cuttitta, Vassallo Paleologo), Napoli, 2006. 2 COM(2009)263 def., del 10 giugno 2009, Giustizia, Libertà e Sicurezza in Europa. Dal 2005: Valutazione del Programma e del Piano D’azione dell’Aia, Capo III.1.5 Gestione delle frontiere: «Gestire l’immigrazione richiede frontiere sicure. I valichi designati per l’ingresso nel territorio dell’UE sono 1 636. Nel 2006 il numero di attraversamenti delle frontiere esterne è stato stimato a 900 milioni e il numero di immigrati irregolari nell’UE-25 a 8 milioni. Nello stesso anno, sono stati fermati nell’UE 500.000 immigrati irregolari, il 40% dei quali è stato rimpatriato».

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Articoli

sivo della politica comune dell’immigrazione «clandestina». Al contrario, le questioni dell’immigrazione per motivi di lavoro e l’integrazione dei cittadini degli Stati terzi possono invece essere gestite «secondo esigenze e capacità d’accoglienza stabilite da ciascuno Stato membro». I confini degli Stati Schengen con gli Stati terzi sono spesso definiti come «frontiera/e esterna dell’Unione» 3. Il regime di «gestione integrata delle frontiere» dell’Unione 4 si distingue dal concetto di «confine», quale elemento tradizionale della definizione della sovranità statale. Tale regime non presenta più un esclusivo collegamento con la materialità o territorialità delle frontiere 5. La gestione è definita «integrata» in quanto comprende quattro livelli di attività: controlli alle frontiere sui documenti e sulle banche dati; controlli all’interno, inclusi i rimpatri; rilascio di visti e lotta alla tratta degli esseri umani nei Paesi terzi; cooperazione con i Paesi vicini. La materia in parola rientra nello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia (SLSG) 6. Nei documenti dell’Unione assume tuttavia un preciso significato semantico l’uso della formula «giustizia e interni» (cooperazione GAI) 7, mai del tutto abbandonata a favore del trinomio «libertà, sicurezza e giustizia». Dal punto di vista istituzionale, la formazione della seconda Commissione Barroso presenta poi uno sdoppiamento delle relative funzioni: la politica dell’immigrazione è associata alle esigenze di sicurezza; il focus dei diritti è posto sulla cittadinanza dell’Unione 8. La politica comune delle frontiere è l’unica politica dell’Unione che comprende la cooperazione di polizia nell’ambito delle materie del precedente primo pilastro (a

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V. art. 2 del Regolamento (CE) n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 marzo 2006 che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen), in G.U.U.E. 13 aprile 2006 L 105, p. 1 ss. 4 L’affermazione definitiva è quella del Consiglio Giustizia e affari interni, Lussemburgo, 4-5 dicembre 2006, doc. 15801/06. 5 V. KOSTAKOPOULOU, THOMAS, Unweaving the Threads: Territoriality, National Ownership of Land and Asylum Policy, in European Journal of Migration and Law, 2004, p. 17. Per un’analisi dei limiti dell’applicabilità nei vari settori del diritto dell’Unione, v. The outer limits of European law (a cura di Barnard, Odudu), Oxford, 2009. 6 Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia (SLSG) assicura «la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l’asilo, l’immigrazione, la prevenzione e la lotta della criminalità» (art. 3, par. 1, del TUE). Per un inquadramento generale, v. il nostro lavoro: L’evoluzione dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia nella prospettiva di un’Unione di diritto”, in Studi sull’integrazione eur., 2007, p. 335 ss. 7 LANG, Giustizia e affari interni, in Trattato di diritto amministrativo europeo, Parte speciale 2 (a cura di Chiti, Greco), II, Milano, 2007, p. 1143 ss. 8 Nella seconda Commissione Barroso, vi sono due commissari con incarichi correlati alle materie SLSG: il responsabile di giustizia, diritti fondamentali e libertà civili ed il responsabile degli affari interni e sicurezza, che si occupa anche di immigrazione e asilo.

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Matteo Marchini *

Tempus regit actum: alcune applicazioni in tema di immigrazione e cittadinanza SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. Testo Unico sull’immigrazione e sue modifiche. - 3. Novità in materia di acquisto della cittadinanza italiana. - 4. Assenza di una disciplina di diritto transitorio negli interventi normativi esaminati. - 5. L’art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile. - 6. Tempus regit actum e procedimento amministrativo. - 7. Una possibile soluzione ai problemi di diritto intertemporale. - 8. Obiezioni alla tesi del tempus regit actionem. - 9. Applicazioni concrete. - 10. Considerazioni finali.

1. La recente legge 15 luglio 2009, n. 94 (cosiddetto “pacchetto sicurezza”), tra le varie ed eterogenee innovazioni che ha introdotto, ha modificato sia la disciplina dell’immigrazione sia quella concernente l’acquisto della cittadinanza italiana. L’assenza di una disciplina legislativa idonea a regolare il passaggio dalla vecchia alla nuova normativa ha prodotto non pochi problemi interpretativi, non ultimo dei quali quello di capire cosa succede nel caso in cui un soggetto possieda tutti i requisiti previsti dalla legge al tempo della presentazione della domanda (di ricongiungimento familiare, di permesso di soggiorno per motivi familiari 1 o di acquisto della cittadinanza italiana) ma, nelle more del procedimento amministrativo, la normativa subisca delle modifiche, richiedendo ulteriori e più onerosi adempimenti. 2. La disciplina dell’immigrazione e le norme sulla condizione dello straniero sono attualmente contenute nel d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (altrimenti noto come Testo

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Dottorando di ricerca in Diritto civile, Università di Urbino Si tratta dello speciale permesso di soggiorno per motivi di famiglia correlato al divieto di espulsione di cui all’art. 19, comma 2, lett. c ) T. U. immigrazione (da leggersi in combinato disposto con l’art. 28, comma 1, lett. b) del regolamento di attuazione), che, per la sua specifica finalità, non deve essere confuso con quello disciplinato all’art. 30, comma 1, T. U., come chiarisce TAR Veneto, Venezia, Sez. III, 21/1/2008 n. 140. In dottrina, sul tema delle inespellibilità riconducibili alla tutela della vita privata e familiare, più ampiamente si sofferma P. MOROZZO DELLA ROCCA, Inespellibilità e regolarizzazione dello straniero presente sul territorio nazionale, in Immigrazione e cittadinanza. Profili normativi e orientamenti giurisprudenziali, in P. MOROZZO DELLA ROCCA (a cura di ), Torino, 2008, p. 198 ss.. 1

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Unico sull’immigrazione) 2, il quale è stato oggetto, anche in tempi recenti, di vari interventi correttivi da parte del legislatore. Tali modificazioni normative, tuttavia, appaiono prive di organicità e non esenti da rilievi critici, soprattutto in relazione alla tecnica legislativa utilizzata 3. Tra le modifiche del Testo Unico sull’immigrazione merita di essere segnalata la novità apportata all’art. 19, comma 2, lett. c) dalla legge n. 94/2009: la clausola di inespellibilità là prevista è stata limitata agli stranieri conviventi con parenti italiani entro il secondo grado, mentre fino alla recente innovazione il divieto di espulsione era garantito fino al quarto grado di parentela. Per effetto della nuova formulazione della norma in commento restano pertanto esclusi dalla garanzia le seguenti categorie di familiari: nipoti in linea collaterale, zii, pronipoti, bisnonni e cugini 4. Nell’ambito delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione non sono mancati adeguamenti pure in materia di ricongiungimenti familiari: il “pacchetto sicurezza” è solo l’ultimo di una lunga serie di interventi normativi che si sono succeduti negli anni recenti e che, soprattutto in un non lontano passato, hanno posto gravi problemi di diritto transitorio. Infatti, dapprima il legislatore è intervenuto con la l. 30 luglio 2002, n. 189 (cosiddetta legge Bossi-Fini), quindi con il d. lgs. 8 gennaio 2007, n. 5 (che ha recepito la direttiva comunitaria 2003/86/CE), poi corretto dal d. lgs. 3 ottobre 2008, n. 160 e, da ultimo, con la l. n. 94/2009. Questi interventi legislativi hanno suscitato, nella dottrina che si è occupata del tema, non poche perplessità: alcuni ritengono che l’attuale normativa che regola i ricongiungimenti familiari presenti diversi profili di illegittimità costituzionale 5, non-

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Al quale è stata data attuazione mediante regolamento governativo, il D. p. r. 31 agosto 1999, n. 394, successivamente modificato, allo scopo di adeguarlo alle novità della legge Bossi-Fini, dal D.p.r. 18 ottobre 2004, n. 334. In tema, G. BELLAGAMBA - G. CARITI, La disciplina dell’immigrazione. Commento per articolo al Testo Unico 25 luglio 1998, n. 286, Milano, 2005. Esamina la tematica dell’immigrazione dal punto di vista del diritto amministrativo, G. D’AURIA, voce Immigrazione (dir. amm.), in Dizionario di diritto pubblico, in S. CASSESE (diretto da), IV, Milano, 2006, p. 2879 ss.. 3 In senso critico A. ADINOLFI, Tecniche legislative e rispetto di obblighi comunitari nei recenti interventi normativi in materia di immigrazione, in Osservatorio sulle fonti, 2008, 1 (reperibile on line: www.osservatoriosullefonti.it) ritiene che le modifiche normative in questa delicata materia rispondano più ad esigenze di retorica politica che a meditate riforme del quadro legislativo, C. CORSI, Le novità in materia di ricongiungimento familiare, in P. MOROZZO DELLA ROCCA (a cura di), Immigrazione e cittadinanza. Profili normativi e orientamenti giurisprudenziali. Aggiornamento alla legge 15 luglio 2009, n. 94. Disposizioni in materia di pubblica sicurezza, Torino, 2009, p. 53. 4 Sul punto, P. MOROZZO DELLA ROCCA, I familiari inespellibili ai sensi dell’art. 19 del Testo Unico (modifiche normative incidenti sul paragrafo 1), in Immigrazione, op. cit., p. 69. 5 Lamenta vari aspetti di illegittimità costituzionale della normativa in questione, P. MOROZZO DELLA ROCCA, I genitori a carico e i diversi commi dell’art. 10 Cost., in Fam. e dir., 2005, p. 583 ss., soprattutto sotto il profilo del rispetto, in questo caso da parte della legge Bossi-Fini, della tutela costituzionale della famiglia. Ciò, peraltro, in contrasto con quanto sancito dalla Consulta nella pronuncia commen-

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Mario Carta *

Lo smuggling nel Mediterraneo tra strumenti internazionali ed europei di prevenzione e contrasto SOMMARIO: 1. Le varie componenti dell’approccio globale al fenomeno migratorio via mare. - 2. Brevi cenni sul dispositivo di contrasto disegnato nel Protocollo contro il traffico di migranti allegato alla Convenzione di Palermo delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale. - 3. Diritto di visita e «misure appropriate» sulla nave dedita allo smuggling secondo il diritto internazionale ed interno. - 4. L’ambito di applicazione del diritto penale quale misura di contrasto secondo la normativa internazionale. - 5. Considerazioni conclusive.

1. Il ruolo svolto dalle misure di contrasto al traffico di migranti via mare nel controllo e nella gestione dei flussi migratori, per essere correttamente inquadrato e consentire così di delinearne i relativi limiti, richiede una brevissima ma necessaria premessa: qualsiasi loro esame impone di considerare tali azioni quale una delle componenti di quell’approccio integrato o globale o coordinato di governo del fenomeno migratorio che, tra gli altri strumenti fondamentali, annovera le attività di prevenzione, la conclusione di accordi di cooperazione, anche a carattere economico, con i paesi vicini di provenienza o di transito, l’assistenza alle vittime, la tutela dei diritti fondamentali, solo per citarne alcune; la stretta relazione ed interazione esistente tra tali elementi, che rende il fenomeno migratorio un fenomeno «complesso», è d’altronde un fattore ricorrente negli atti e nelle convenzioni internazionali in materia 1. Il dato forse più significativo a tal riguardo è fornito da quelle disposizioni che, pur preordinate ad affrontare gli aspetti specificamente «repressivi» o di contrasto del fe-

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Professore aggregato di diritto dell’Unione europea, Università di Roma UniTelma-Sapienza. Tale impostazione appare in maniera particolarmente evidente nel contesto dell’Unione europea dove l’approccio globale all’immigrazione è stato definito nel Programma dell’Aja (in G.U.U.E. 3 marzo 2005 C 53) e nel relativo Piano di azione del Consiglio e della Commissione (10 giugno 2005) che delineano gli obiettivi principali della politica di immigrazione ed asilo per gli anni dal 2004-2009. Lo sviluppo dei punti individuati con l’Aja è ora garantita dal Programma di Stoccolma per gli anni 2010-2014 (Consiglio europeo, 11 dicembre 2009 Bruxelles, DOC/09/6) ove la dimensione esterna della politica migratoria dell’UE è assicurata, tra l’altro, dal dialogo e dal partenariato con i Paesi terzi, sulla base di interessi comuni. 1

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nomeno, e quindi di azioni che hanno un impatto nel breve termine 2, non tralasciano per questo di dedicare un’attenzione più ampia al fenomeno considerato nella sua globalità ed in una prospettiva di medio/lungo termine. È il caso, ad esempio, del Protocollo contro il traffico di migranti allegato alla Convenzione di Palermo delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale 3 dove nel Preambolo si afferma che un’«efficace azione di prevenzione richiede un approccio internazionale globale che include la cooperazione, lo scambio di informazioni ed altre misure adeguate, comprese misure di carattere socio-economico al fine di affrontare le cause che ne sono alla base, specialmente quelle connesse alla povertà ed a massimizzare i vantaggi della migrazione internazionale per gli interessati». Un approccio assai simile è presente persino negli strumenti operativi di diritto interno espressamente ed esclusivamente dedicati al contrasto all’immigrazione clandestina: il decreto interministeriale del 14 luglio 2003 4 con il quale sono dettate le direttive e le linee d’azione per il controllo della frontiera marittima individua, quale prima delle tre fasi nelle quali articolare tale intervento, l’attività di prevenzione nei «Paesi di ori-

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Sull’argomento vedi: T. SCOVAZZI, La lotta all’immigrazione clandestina alla luce del diritto internazionale del mare, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 2003, pp. 48 e ss.; N. RONZITTI, Coastal State Jurisdiction over Refugees and Migrants at Sea, in Liber Amicorum Judge Siregu Oda (a cura di N. Ando), The Hague, 2002, pp. 1271 ss.; G. PALMISANO, Il contrasto al traffico di migranti clandestini dal punto di vista del diritto internazionale, in Flussi migratori e fruizione dei diritti fondamentali (a cura di P. Benvenuti), L’Aquila, 2008, pp. 75-99; L. SICO, Contrasto internazionale all’immigrazione clandestina, in Le migrazioni, una sfida per il diritto internazionale comunitario e interno, (a cura di U. Leanza), Napoli, 2005, pp. 133 e ss.; L. SALAMONE, La disciplina giuridica transnazionale dell’immigrazione clandestina via mare, in Il Diritto marittimo, 2007, pp. 70 ss.; Infine sia consentito il richiamo a M. CARTA, Misure di contrasto al traffico di migranti via mare, in Il contrasto a traffico di migranti. Nel diritto internazionale, comunitario e interno (a cura di G. Palmisano), Milano, 2008, pp. 81 e ss. 3 Protocol against the Smuggling of Migrants by Land, Sea and Air, supplementing the United Nations Convention against Transnational Organized Crime: la Convenzione ed i Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale adottati dall’Assemblea Generale il 15 novembre 2000 ed il 31 maggio 2001 sono stati ratificati dall’Italia, che vi ha altresì dato esecuzione, con legge 16 marzo 2006 n. 146 (pubblicata in G.U. 11 aprile 2006, n. 85 Suppl. ord. n. 91). In particolare il Protocollo, aperto alla firma a Palermo dal 12 al 15 dicembre 2000 e poi nella sede ONU di New York fino al 12 dicembre 2002, in applicazione dell’art. 22 è entrato in vigore il 28 gennaio 2004; al dicembre del 2009 vincola 122 Stati. Esso è stato approvato anche dall’UE con la decisione 2006/617/CE del 24 luglio 2006, nella quale è precisato che, nel contesto del diritto dell’UE, esso si applica nella misura in cui le sue disposizioni rientrano nell’ambito di applicazione della Parte III, titolo IV, del TCE. Sul Protocollo vedi V. DELICATO, Il Protocollo sul traffico dei migranti, in Criminalità organizzata transnazionale e sistema penale italiano. La Convenzione ONU di Palermo (a cura di E. Rosi), Milano, 2007, p. 402, e L. SICO, Misure di contrasto all’immigrazione clandestina via mare, in Immigrazione, frontiere esterne, diritti umani (a cura di M. Carta), Roma 2009. 4 Il decreto, pubblicato sulla G.U. 22 settembre 2003 n. 220, è stato specificato da due protocolli tecnici del 6 luglio 2004 e del 14 settembre 2005.

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Lorenzo Balestra *

Matrimoni plurinazionali e opponibilità ai terzi del regime patrimoniale della famiglia (a proposito dell’annotazione nel quadro “D” della nota di trascrizione) SOMMARIO: 1. La normativa nazionale di riferimento. - 2. Il coordinamento con le norme codicistiche. - 3. La convenzione matrimoniale e il cosiddetto “accordo di scelta”. - 4. Il problema della opponibilità del regime patrimoniale prescelto: i diritti reali immobiliari. - 5. Una considerazione di “sistema”.

1. È noto quanto le problematiche internazional-privatistiche presentino difficoltà applicative nel contesto dei regimi patrimoniali della famiglia. Nel campo di applicazione della legge 31 maggio 1995, n. 218 è in primo luogo l’art. 30, in combinato disposto con l’art. 29 a costituire il riferimento normativo principale nella regolamentazione dei rapporti familiari (personali e patrimoniali). L’applicazione di queste due norme presuppone però l’indagine sui cosiddetti criteri di collegamento, che operano secondo la ben nota modalità del “rinvio”; l’operatore deve innanzitutto individuare l’ordinamento straniero al quale rinvia il criterio di collegamento, quindi deve verificare se le norme di diritto internazionale privato dell’ordinamento così individuato accettino il rinvio o, a loro volta, rinviino ad un altro ordinamento. A sua volta, il rinvio ad altro ordinamento può essere direttamente all’ordinamento italiano (rinvio “indietro”) o ad un terzo ordinamento (rinvio “oltre”). L’art. 30, poi, stanti le difficoltà nel conoscere sia i criteri di collegamento, sia il contenuto della legge straniera applicabile, sia il regime matrimoniale in concreto operante, stabilisce che non sono opponibili i regimi patrimoniali fra i coniugi regolati da legge straniera quando i terzi non ne abbiano avuto conoscenza o non li abbiano ignorati per loro colpa (principio di scusabilità dell’ignoranza incolpevole). Bisogna altresì evidenziare che il predetto articolo fa riferimento non solo alla legge straniera astrattamente individuabile (secondo i criteri di collegamento indicati nell’articolo 29 e ivi richiamati), ma anche alla legge eventualmente scelta dai coniugi a mezzo di “convenzione” (art. 30, co. 1° e 2°).

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Avvocato in Pesaro.

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Da ultimo, quale premessa, bisogna osservare che lo stesso art. 30, con l’espressione “regime dei rapporti patrimoniali”, si riferisce sia al regime legale (astrattamente previsto dalla legge straniera applicabile), sia a quello convenzionale effettivamente scelto dai coniugi. Orbene, l’applicabilità del regime patrimoniale della famiglia, per essere opposto, deve essere, per il nostro ordinamento, conoscibile ed a questo scopo è prevista l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio. 2. Vi è un annoso problema: quello del coordinamento fra le norme di diritto internazionale privato e le norme codicistiche. Ai sensi dell’art. 161 c.c., il richiamo alla normativa prescelta non dovrebbe essere generico ma specifico, con l’indicazione puntuale della regolamentazione che si vuole adottare. Ciò è quanto si evince chiaramente dal testo normativo, ove si afferma che “Gli sposi non possono pattuire in modo generico che i loro rapporti patrimoniali siano in tutto o in parte regolati da leggi alle quali non sono sottoposti o dagli usi, ma devono enunciare in modo concreto il contenuto dei patti con i quali intendono regolare questi loro rapporti” (art. 161 c.c.). Ancora, il regime prescelto dovrà essere annotato a margine dell’atto di matrimonio perché sia conoscibile e quindi opponibile ai terzi e dovrà risultare da atto pubblico, a pena di nullità: è quanto recita l’art. 162 c.c. All’indomani dell’entrata in vigore della legge 218/1995 si sono posti numerosi problemi applicativi, proprio per le difficoltà interpretative di tali norme con quelle codicistiche in materia 1. Si tratta di stabilire, quindi, la corretta modalità di richiamo della legislazione straniera e con riferimento all’art. 30 della legge 218, non sembra sussistere alcun ob-

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Un’autorità amministrativa (che non indicheremo per l’esigenza di tutela della privacy) alla fine degli anni novanta, ha considerato che una convenzione matrimoniale stipulata in Germania per atto pubblico fra un cittadino italiano e la sua consorte tedesca (rinnovata con atto pubblico presso un notaio italiano) non potesse essere annotata a margine dell’atto di matrimonio, ai sensi dell’art. 162 c.c., sostanzialmente per tre ordini di motivi. In primo luogo conteneva un generico riferimento al regime patrimoniale legale tedesco della Zugewinngemeinschaft (consistente in una comunione differita degli incrementi patrimoniali, i quali alla fine del rapporto vengono reciprocamente compensati, residuando una posizione di credito) senza alcuna specificazione delle regole che disciplinano tale regime ma con “contorno” di altre regole volte ad integrarlo e modificarlo. In secondo luogo in tale situazione, la funzione pubblicitaria che in diritto italiano deve avere l’annotazione delle convenzioni in margine dell’atto di matrimonio sarebbe stata completamente privata di significato e avrebbe contrastato, fra l’altro, con il disposto dell’art. 161 c.c. In terzo luogo perché l’annotazione potesse effettuarsi, sempre secondo la citata autorità, l’atto stipulato dai coniugi avrebbe dovuto essere congruamente integrato e specificato, fatto sempre salvo il principio che le convenzioni in contrasto con i principi di ordine pubblico dell’ordinamento italiano non potrebbero avere valore nel nostro paese.

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Chiara Gabrielli *

L’obbligo di salvataggio in mare nelle attività dell’Agenzia Frontex secondo la decisione del Consiglio dell’Unione SOMMARIO: 1. La competenza degli Stati membri per il salvataggio in mare e l’interpretazione delle convenzioni internazionali. - 2. Il fallimento della procedura di comitologia per l’adozione di misure di attuazione del Codice frontiere Shengen. - 3. L’adozione delle misure nella forma di una decisione del Consiglio e la mozione contraria della Commissione LIBE (non approvata dall’Assemblea) del Parlamento europeo. - 4. Il contenuto della decisione. - 5. Prospettiva di adozione di un atto uniforme vincolante.

1. Tra le questioni giuridiche relative all’immigrazione, una delle più discusse è quella della definizione dei poteri e degli obblighi degli Stati per il salvataggio di persone alla deriva su imbarcazioni in alto mare 1. Oggetto di questo lavoro è un primo commento alla decisione del 26 aprile 2010 del Consiglio dell’Unione sulla sorveglianza delle frontiere marittime esterne nel contesto della cooperazione operativa coordinata dall’Agenzia Frontex 2. La decisione ha carattere non vincolante e riguarda solo le operazioni Frontex, ma può rappresentare una tappa dell’evoluzione di diritto comunitario per consentire di superare i contrasti esistenti tra gli Stati membri e, soprattutto, cercare un modus operandi rispettoso del diritto alla vita dei migranti e del diritto di non respingimento dei richiedenti asilo in situazioni simili a quelle che hanno avuto luogo nel Mediterraneo negli ultimi anni. Tra queste, si ricorda il soccorso della nave privata Pinar con bandiera panamense ad un gruppo di migranti naufraghi su due barconi nelle acque in-

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Dottoranda di ricerca, Università Roma Tre V. S. TREVISANUT, L’Europa e l’immigrazione clandestina via mare: Frontex e diritto internazionale, in Diritto dell’Unione Europea, 2008, p. 367 ss. 2 Decisione del Consiglio, del 26 aprile 2010, che integra il codice frontiere Schengen per quanto riguarda la sorveglianza delle frontiere marittime esterne nel contesto della cooperazione operativa coordinata dall’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea, in GUUE L 111, del 4 maggio 2010, p. 20. 1

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ternazionali del canale di Sicilia, che ha dato luogo ad un’aspra controversia tra Italia e Malta 3. Secondo il diritto internazionale, tutti gli Stati costieri hanno l’obbligo di promuovere l’istituzione, l’attivazione ed il mantenimento di un adeguato ed effettivo servizio di ricerca e soccorso relativo alla sicurezza in mare entro una determinata zona SAR (Search and Rescue) 4. Gli Stati costieri hanno l’obbligo di cooperare a tal fine attraverso accordi regionali con gli Stati limitrofi per la delimitazione tra Stati frontisti o contigui. Gli accordi regionali di mutua assistenza con gli Stati confinanti sono basati sul principio che le autorità dello Stato costiero, qualora vengano informate dalle autorità di un altro Stato che vi sono persone in pericolo di vita nella zona

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Il soccorso dei naufraghi è avvenuto il 16 aprile 2009 a 40 miglia a sud dell’isola di Lampedusa e a 112 miglia a sud di Malta. Negli ultimi anni, situazioni di crisi sono state frequenti al limite delle acque territoriali italiane a sud dell’isola di Lampedusa nella zona di salvataggio in mare (SAR) di competenza di Malta. Occorre ricordare che Lampedusa è leggermente meno distante dalla Sicilia (Porto Empedocle) che da Malta (Punta Delimara): rispettivamente 205 Km e 220 Km. Numerosi casi simili sono avvenuti in altre zone del Mediterraneo. Il precedente più noto è quello della nave Cap Anamur, una nave di proprietà di un’associazione umanitaria tedesca. Il capitano, dopo lunghe inutili trattative, decise di forzare il blocco e di attraccare in Sicilia contro la volontà delle autorità italiane, per poi essere incriminato per il reato di immigrazione illegale clandestina, v. S. TREVISANUT, Le Cap Anamur: profils de droit international et de droit de la mer, in Annuaire du droit de la mer, 2004, p. 49 ss. 4 La Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974 (SOLAS), firmata a Londra, il 1° novembre 1974 ed entrata in vigore il 25 maggio 1980, è vincolante per l’Italia dall’11 giugno 1980. Secondo il Capitolo V, Regolamento 7(1), gli Stati contraenti devono “(… ) garantire che vengano presi gli accordi necessari per le comunicazioni di pericolo e per il coordinamento nella propria area di responsabilità e per il soccorso di persone in pericolo in mare lungo le loro coste. Tali accordi dovranno comprendere l’istituzione, l’attivazione ed il mantenimento di tali strutture di ricerca e soccorso, quando esse vengano ritenute praticabili e necessarie…”, cfr. Status of Multilateral Conventions and Instruments in Respect of which the International Maritime Organization or its Secretary-General performs Depositary or other Functions, as at 31 December 2008, p. 17 ss. La Convenzione internazionale sulla ricerca e il soccorso in mare del 1979 (SAR), firmata ad Amburgo il 27 aprile 1979 ed entrata in vigore il 22 giugno 1985, è vincolante per l’Italia dal 2 giugno 1989. Essa obbliga gli Stati contraenti a garantire che sia prestata assistenza ad ogni persona in pericolo in mare, senza distinzioni relative alla nazionalità o allo status di tale persona o alle circostanze nelle quali tale persona viene trovata (Allegato, cap. 2. 1. 10) ed a fornire le prime cure mediche o di altro genere ed a trasferirla in un posto sicuro (Allegato, cap. 1. 3. 2), cfr. Status of Multilateral Conventions, cit., p. 378 ss. Le due convenzioni sono state modificate, con effetto dal 20 maggio 2004, tramite emendamenti di identico tenore: la convenzione SOLAS (art. 4.1.1, come modificato dalla risoluzione MSC.153 (78)) e la Convenzione SAR (art. 3.1.9, come emendato dalla risoluzione MSC.155 (78)). Vi si prevede che il governo che esercita il controllo deve esercitare la responsabilità primaria di garantire tale coordinamento e che la cooperazione si verifichi, in modo che i sopravvissuti assistiti siano sbarcati dalla nave di assistenza e consegnati in un posto sicuro, tenuto conto delle circostanze specifiche del caso e delle linee guida elaborate dall’Organizzazione IMO.

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Rassegna di giurisprudenza annotata e commentata

Amministrativa



Marco Ferrero *

Il TAR Lazio censura i trasferimenti di richiedenti asilo verso la Grecia NOTA alla sentenza Tar Lazio, Sez. II quater, 16 febbraio 2010, n. 2249

Con la sentenza n. 2249 del 16 febbraio 2010 1, il TAR Lazio interviene sulla delicata materia dei trasferimenti di richiedenti asilo verso la Grecia ai sensi del regolamento Dublino, operati dall’Italia nonostante le reiterate raccomandazioni contrarie provenienti dalle organizzazioni umanitarie internazionali relative alla preoccupante situazione in cui versano i richiedenti la protezione internazionale in quel Paese. Dopo diverse pronunce di rigetto di altrettante istanze di sospensiva accolte invece dal Consiglio di Stato 2, finalmente il TAR del Lazio ha annullato un provvedimento di trasferimento verso la Grecia, consentendo al richiedente asilo di presentare la richiesta in Italia.Nella fattispecie, la pronuncia in commento si riferisce ad un cittadino iraniano che aveva presentato richiesta di asilo in Italia nell’ottobre 2008, risultato registrato nel sistema europeo di rilevazione delle impronte digitali (EURODAC), in quanto aveva già presentato in precedenza analoga richiesta in Grecia. Interessato dalle autorità italiane l’ufficio preposto all’individuazione dello stato membro competente per l’esame delle domande di protezione internazionale ai sensi dell’art. 16.1 del Reg. CE 343/2003 (Unità Dublino), ha disposto il trasferimento del ricorrente per la disamina della sua domanda di protezione. A seguito dell’accettazione implicita della Grecia, il richiedente ha presentato ricorso al Giudice Amministrativo, lamentando che l’amministrazione non avrebbe tenuto conto né delle raccomandazioni dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), né della precedente giurisprudenza nazionale oltre che della Corte Europea dei Diritti del*

Avvocato in Padova, professore a contratto di diritto dell’immigrazione all’Università Ca’ Foscari Venezia. 1 Tar Lazio, Sez. II quater, Sent. n. 2249 del 16 febbraio 2010. 2 Cons. Stato, Sez. VI, ordinanze n. 666/09, 667/09, 668/09.

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l’Uomo. fra cui una decisione. La Grecia infatti è da tempo sotto accusa per lo scarso numero di riconoscimenti di asilo e la difficoltà di accesso alla procedura. Nella sentenza di accoglimento del ricorso il TAR del Lazio ha argomentato che l’Amministrazione ha omesso di prendere in esame gli elementi conoscitivi resi noti da organismi internazionali come l’UNHCR che ha più volte espresso “preoccupazione per le difficoltà che i richiedenti asilo incontrano nell’accesso e nel godimento di una protezione effettiva” e “raccomanda i governi di non rinviare in Grecia”. Del resto, prosegue la sentenza, le problematiche sul sistema di asilo in Grecia avevano già indotto la Norvegia e la Finlandia a sospendere i trasferimenti e l’Unione Europea a promuovere una procedura di infrazione contro Atene. La pronuncia pone in rilievo diversi profili di interesse, segnatamente: il dies a quo per l’impugnazione a seguito dell’accettazione implicita della Grecia; la competenza del TAR Lazio sui provvedimenti dell’Unità Dublino; la definizione della Grecia come paese sicuro; l’applicazione dell’art. 3 par. 1 e 2 del regolamento Dublino, che permette agli Stati di esaminare una richiesta di asilo anche quando questo esame non sarebbe di propria competenza secondo i criteri stabiliti dal regolamento stesso. Quanto al primo profilo, è l’art. 18, comma 7 del Regolamento CE 343/2003 (c.d. Dublino II), che prevede due possibili termini entro i quali lo Stato membro richiesto delibera sulla richiesta di presa in carico di un richiedente, rispettivamente entro due mesi nei casi ordinari (comma 1) e entro un mese se lo Stato membro richiedente ha invocato l’urgenza (comma 2). Peraltro “in casi eccezionali, quando è possibile dimostrare che l’esame di una richiesta ai fini della presa in carico di un richiedente è particolarmente complessa, lo Stato membro richiesto può fornire la risposta dopo il termine richiesto, ma comunque entro un mese”. In tali situazioni lo Stato membro richiesto deve comunicare la propria decisione di differire la risposta allo Stato richiedente entro il termine originariamente richiesto. La mancata risposta entro la scadenza del termine equivale all’accettazione della richiesta, e fa decorrere il termine per l’impugnazione del provvedimento di trasferimento del richiedente asilo. La sentenza in commento, ha il pregio di affermare correttamente, sia pure implicitamente, la competenza per territorio sull’impugnazione dei provvedimenti dell’Unità Dublino in capo al TAR Lazio, sulla scorta della collocazione dell’Ufficio preposto all’individuazione dello stato membro competente ai sensi dell’art. 16.1 del Reg. CE 343/2003 in seno al Ministero dell’Interno. Siffatta individuazione appare addirittura ovvia e non meriterebbe nemmeno di essere sottolineata se non fosse per il precedente costituito dall’unica altra pronuncia intervenuta su questa materia da parte del TAR Puglia, Sez. Lecce n. 1870/08, che in maniera apodittica si era evidentemente ritenuto competente sulla base della notifica di analogo provvedimento di trasferimento da parte della Questura di Brindisi. Quanto alla natura della Grecia di paese terzo sicuro, ai sensi di numeri da 17 a

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Giuseppe Manfredi *

La revoca del permesso di soggiorno NOTA alla sentenza del Tar Toscana, Sez. II, 5 febbraio 2010, n. 200

SOMMARIO: 1. Le perplessità dell’autotutela. - 2. Autotutela e pseudo-autotutela. - 3. Revoca e annullamento del permesso di soggiorno. - 4. Revoca del permesso di soggiorno come pseudoautotutela. Revoca del permesso di soggiorno e decorso del tempo.

1. La sentenza del T.A.R. Toscana che qui si annota tocca una serie di questioni di rilievo sistematico e applicativo tutt’altro che irrilevanti, perché si occupa di valutare come la revoca e il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno si rapportino agli istituti dell’autotutela amministrativa e ne trae importanti conseguenze in ordine all’estensione del potere di ritiro dei titoli di soggiorno. È per tale ragione che prima di esaminare i contenuti della pronunzia in discorso è opportuno fare una breve premessa sull’autotutela amministrativa, e sulle figure che possono essere effettivamente ricondotte a questa nozione: in caso contrario, quanto si dirà risulterebbe difficilmente comprensibile. Ora, ciò che generalmente viene definito come autotutela da sempre sconta con un’ampia dose di perplessità l’origine giurisprudenziale (e dottrinale) che la caratterizza. Istituti quali la revoca e l’annullamento d’ufficio degli atti amministrativi fino a poco tempo fa per certi versi erano quasi come l’araba fenice. Nessuno ha mai dubitato della loro esistenza: la pubblica amministrazione li ha sempre utilizzati ampiamente, e la dottrina li studia, e approfonditamente, da almeno un secolo. Ciò nondimeno, questi istituti hanno trovato espressa e compiuta disciplina legislativa solo da quando la legge n.15 del 2005 ha introdotto nella legge n. 241 del 1990 gli articoli 21-quinquies e 21-nonies, dedicati appunto all’uno e all’altro istituto. L’assenza di una compiuta regolamentazione durante la prima metà del novecento aveva condotto a diffuse incertezze praticamente su ogni aspetto della disciplina di

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Associato di diritto amministrativo, Università Cattolica del Sacro Cuore.

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questi istituti: basti solo ricordare che erano dibattuti gli stessi reciproci confini dell’annullamento e della revoca, o che negli anni trenta si discuteva se il principio di legalità imponesse o meno di restaurare la legalità violata dagli atti amministrativi illegittimi mediante la rimozione dei medesimi 1. Ed è vero che a partire dagli anni cinquanta l’autotutela sembrava avere ricevuto una sistemazione definitiva grazie agli studi di Feliciano Benvenuti 2. Ma è altrettanto vero che durante gli ultimi anni diverse linee di pensiero revocano in dubbio la validità stessa del concetto, dato che, come noto, alcuni autori propongono di ascrivere l’annullamento e la revoca all’attività di amministrazione attiva, sub specie di potere di riesame dei provvedimenti già emanati, che “discende in ultima analisi dal potere di provvedere e ne condivide le forme e gli strumenti di esercizio” 3, e, quindi, propongono di circoscrivere la nozione alla sola autotutela esecutiva 4; mentre altri dall’autotutela tendono a escludere la revoca 5, etc. 2. Ora, sono probabilmente le perplessità che li connotano che hanno fatto sì che revoca e annullamento si siano trovati a essere circondati da una sorta di spolverìo di figure che con essi spesso condividono molto poco, e, talora, solo il nome. Volendo, si potrebbe indicare – con finalità meramente descrittive – questo eterogeneo insieme di figure con l’espressione di pseudo-autotutela, che Scoca ha impiegato per l’annullamento previsto dal comma 17 dell’art. 6 della legge 127 del 1997 6 ; e vi si potrebbero ascrivere ad esempio anche l’annullamento governativo straordinario, attualmente disciplinato dall’art. 138 del Testo Unico degli enti locali n. 267/2000, che la dottrina tende a escludere dal novero degli atti di autotutela 7, riconducendolo piuttosto al novero degli atti di alta amministrazione 8, oppure qualificandolo come espressione di un potere extra ordinem 9.

1

Così, delle tre monografie sull’annullamento d’ufficio pubblicate nel 1939, quella di Vincenzo Romanelli si schierava senz’altro nel senso dell’obbligatorietà dell’annullamento, mentre quella di Giuseppe Codacci Pisanelli prendeva posizione in senso opposto. V., in proposito, per tutti, B. G. MATTARELLA, Autotutela amministrativa e principio di legalità, in Riv. dir. pubbl. com., 2007, 1223 e ss. 2 V., in particolare, Autotutela (diritto amministrativo), voce in Enc. dir., Milano, IV, 1959, 537 e ss. 3 A. CONTIERI, Il riesame del provvedimento amministrativo, Napoli, 1991, 75; v., in termini analoghi, G. LIGUGNANA, Profili evolutivi dell’autotutela amministrativa, Padova, 2004, passim. 4 V., in particolare, G. LIGUGNANA, Profili evolutivi dell’autotutela amministrativa, cit., passim, 5 V., per tutti, B. G. MATTARELLA, Autotutela, cit. 6 F. G. SCOCA, Un’ipotesi di autotutela impropria, in Giur. cost., 2000, 810 e ss. 7 V., per tutti, C. BARBATI, L’annullamento governativo degli atti regionali illegittimi: alla ricerca del <perché> di una scelta legislativa, in Le Regioni, 1990, 1207. 8 Così, in particolare, G. CUGURRA, L’annullamento governativo come atto di alta amministrazione, in Riv. trim. dir. pubbl., 1970, 604 e ss.

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Ernesto Maria Ruffini *

Brevi note in tema di disponibilità reddituale per il rinnovo del permesso di soggiorno NOTA alle sentenze Consiglio di Stato, Sez. VI, 3 marzo 2010, n. 1238 TAR Liguria - Sezione seconda, 16 gennaio 2004, n. 38

Con ricorso innanzi al Tar della Liguria, un lavoratore autonomo extracomunitario impugnava il decreto di rigetto dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno 1 emanato dal Questore di Genova, lamentandone l’illegittimità per violazione di legge connessa a sviamento di potere e carenza di istruttoria. In particolare, il ricorrente lamentava che la Questura di Genova, nel valutare la sua disponibilità di mezzi economici di sostentamento, avrebbe omesso di tenere in debito conto che egli si sarebbe allontanato dal territorio nazionale per due mesi all’anno, nei quali non avrebbe potuto produrre reddito. In tale prospettiva, quindi, secondo la difesa del ricorrente, la dimostrazione della percezione di un reddito annuo proveniente da fonti lecite, pari al livello minimo previsto dalla legge per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria 2, stabilito dall’art. 26 del D.lgs. n. 286/1998, doveva essere rapportata all’effettivo periodo di permanenza in Italia 3. Il Tar ligure ha accolto l’interpretazione prospettata dal ricorrente, secondo cui il

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Avvocato in Roma. In argomento, G. MANFREDI, Il rinnovo e la conversione del permesso di soggiorno, in P. MOROZZO DELLA ROCCA (a cura di), Immigrazione e cittadinanza. Profili normativi e orientamenti giurisprudenziali, Torino 2008, p. 67 ss.. 2 L’ingresso in Italia dello straniero per lavoro autonomo è subordinato alla verifica della sussistenza di una serie di requisiti, sui quali si sofferma in maniera più approfondita P. COGNINI, La disciplina dell’ingresso e del soggiorno per lavoro, in Immigrazione e cittadinanza, op. cit., p. 40 ss.. 3 Per un’analisi dettagliata del Testo Unico sull’immigrazione, si veda G. BELLAGAMBA, G. CARITI, La disciplina dell’immigrazione. Commento per articolo al Testo Unico 25 luglio 1998, n. 286, Milano, 2005, in particolare sub art. 26, p. 240 ss.. 1

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Rassegna di giurisprudenza annotata e commentata - Amministrativa

livello reddituale richiesto dalla norma deve essere confrontato al periodo in cui il lavoratore è effettivamente presente nel territorio italiano e, pertanto, ha potuto esercitare la propria attività di lavoro autonomo. In particolare, secondo i giudici di prime cure, la dimostrazione del possesso del requisito minimo predeterminato (che era di lire 8.826.000 per l’anno 2001) doveva essere ragguagliata all’effettivo periodo di permanenza in Italia del ricorrente. Pertanto, i giudici amministrativi hanno ritenuto che il reddito conseguito dovesse essere parametrato al periodo di permanenza in Italia nel 2001, pari a dieci mesi, in ragione dell’allontanamento dello straniero dal territorio italiano per un periodo di due mesi. La predetta sentenza del T.A.R. della Liguria è stata impugnata dal Ministero dell’Interno, secondo cui la formulazione dell’art. 26 del D.lgs. n. 286/1998 non consentirebbe un’interpretazione flessibile, modulabile secondo discrezionalità amministrativa 4, ma imporrebbe l’accertamento di un fatto, con effetti vincolati. Al riguardo, il Consiglio di Stato ha ritenuto che il legislatore, laddove ha stabilito che lo straniero “deve comunque dimostrare” l’idoneità del proprio reddito, non lasci spazi ad interpretazioni flessibili da parte della Pubblica Amministrazione nel valutare i requisiti indispensabili per soggiornare lecitamente nel territorio dello Stato italiano. In tale prospettiva, si legge ancora nella decisione del Consiglio di Stato, il requisito del reddito minimo dello straniero attiene alla sostenibilità dell’ingresso dello straniero nella comunità nazionale per ragioni di lavoro subordinato, laddove – invece – la fattispecie sottoposta all’esame dei giudici amministrativi riguardava un lavoratore autonomo. Sulla base di tali premesse, il Consiglio di Stato ha concluso che: - il requisito reddituale deve essere posseduto e dimostrato alla data di adozione del provvedimento di rinnovo, sulla cui legittimità non assume rilievo il mutamento delle condizioni economiche dell’interessato sopravvenuto in un periodo successivo, con la conseguenza che correttamente deve ritenersi denegato il rinnovo del permesso di soggiorno per difetto del requisito di possesso di un reddito sufficiente al sostentamento del nucleo familiare dell’interessato (cfr. Cons. St., sez. VI, 3 settembre 2009, n. 5192); - nel caso in cui lo straniero abbia soggiornato solo per parte dell’anno, non può ammettersi una riduzione proporzionale dell’ammontare legalmente stabilito del reddito minimo, atteso che ciò determinerebbe incertezza del diritto e costringerebbe

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Sul tema della discrezionalità amministrativa si veda A. PIRAS, voce Discrezionalità amministrativa, in Enc. dir., Milano, 1972, p. 70 ss.. Definisce la discrezionalità amministrativa come “lo spazio di scelta che residua allorché la normativa di azione non predetermini in modo completo tutti i comportamenti dell’amministrazione”, E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2008, p. 359.

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Rassegna di giurisprudenza annotata e commentata

Civile



Roberta Bonini *

La tardiva presentazione dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno non impedisce la celebrazione del matrimonio ex art. 116 cod. civ. 1 NOTA al decreto del Tribunale di Ragusa, 16 aprile 2010

SOMMARIO: 1. Il caso. - 2. L’attenta interpretazione dell’art. 116 c.c. e della circolare 19/2009.

1. La sentenza trae origine dal ricorso presentato da un ventiquattrenne albanese a seguito del rifiuto dell’Ufficiale di Stato Civile del Comune di Ragusa di celebrare il matrimonio dello stesso con una coetanea italiana per mancanza dei requisiti di legge previsti dall’art. 116 del Codice Civile, come modificato dalla legge n. 94 del 2009. Il giovane albanese infatti, pur essendo entrato regolarmente nel territorio italiano, nel giorno scelto per la celebrazione del matrimonio risultava possessore di un permesso di soggiorno scaduto e il cui rinnovo era stato chiesto oltre il limite di legge. Ad avviso dell’Ufficiale di Stato Civile, in applicazione dell’art. 116 del c.c. in combinato con la Circolare n. 19 del 2009 del Ministero dell’Interno, lo straniero era quindi da considerarsi sprovvisto di “un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano” e come tale irregolare. Tale valutazione, inoltre, veniva fondata anche sulla circostanza che la circolare de qua impone agli Ufficiali di Stato Civile di richiedere allo straniero non solo la prova dell’avvenuta presentazione dell’istanza di rinnovo, ma anche quella che la stessa sia stata inoltrata nei termini di legge. Il Tribunale di Ragusa con la sentenza in epigrafe ha dichiarato l’illegittimità del provvedimento di rifiuto e ha conseguentemente ordinato all’Ufficiale di Stato Civile di celebrare il matrimonio.

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Dottore di ricerca, professore a contratto di Diritto sportivo dell’Università di Urbino “Carlo Bo” Si ringrazia l’avv. Michele Maiellaro, del Foro di Foggia, per la cortese segnalazione della sentenza in commento e le preziose osservazioni al riguardo.

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Secondo il giudice ragusano, infatti, lo straniero che abbia presentato in ritardo l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno deve essere equiparato a quello che, entrato regolarmente in Italia, sia in attesa del permesso, condizione che la stessa suddetta circolare ritiene idonea a soddisfare i requisiti di cui all’art. 116 del codice civile. Sarebbe infatti irragionevole e di dubbia costituzionalità ritenere che lo straniero entrato regolarmente in Italia e in attesa di ottenere il permesso di soggiorno possa contrarre matrimonio, ex art. 116 C.C., in quanto ritenuto regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato e al tempo stesso negare tale possibilità a chi sia entrato regolarmente in Italia ed abbia conseguito il permesso di soggiorno e che, seppure con ritardo, ne abbia chiesto il rinnovo dopo la sua scadenza. Tale soggetto, infatti, non è irregolare, ma semplicemente in attesa di un provvedimento amministrativo che gli consenta di continuare regolarmente il suo soggiorno in Italia. 2. La legge n. 94 del 2009, nota come “pacchetto sicurezza”, è intervenuta anche sulla formulazione dell’art. 116 del c.c., modificando i requisiti richiesti allo straniero per contrarre matrimonio. Giova sottolineare, sebbene né il presente scritto né la sentenza in epigrafe volutamente affrontino la questione, come attenta dottrina abbia rilevato che l’art.116, così novellato, faccia ragionevolmente ipotizzare profili di illegittimità in riferimento all’ambito comunitario, a quello nazionale e a quello della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo 2. Il nuovo art. 116 c.c. richiede che “lo straniero che vuole contrarre matrimonio nella Repubblica deve presentare all’Ufficiale di Stato Civile una dichiarazione dell’Autorità competente del proprio Paese dalla quale risulti che giusta le leggi cui è sottoposto nulla osta al matrimonio nonché un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano”. La presenza regolare in Italia diviene così una condizione essenziale ai fini della celebrazione stessa del matrimonio 3. Dopo numerose richieste di chiarimento sull’argomento in data 7 agosto 2009 il Ministero dell’Interno ha emanato la circolare n. 19 avente ad oggetto “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica. Indicazioni in materia di anagrafe”, al fine di meglio

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Cfr. ampiamente sull’argomento P. MOROZZO DELLA ROCCA, Il matrimonio e gli atti di stato civile, in P. MOROZZO DELLA ROCCA (a cura di), Immigrazione e cittadinanza, Profili normativi e orientamenti giurisprudenziali, Aggiornamento alla legge 15 luglio 2009, n. 94 Disposizioni in materia di pubblica sicurezza, AA. VV., Milano, 2009, p. 57 ss.. 3 Cfr. M. IUS, Modifica dell’art. 116 c.c. ad opera della legge n. 94/2009, in rapporto alla normativa comunitaria sulla libera circolazione, in Lo Stato Civile Italiano, 2009, p. 728 ss..

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Cesare Castellani *

Prove di nomofilachia sull’art. 31, co. 3 D.Lgs. 286/1998, aspettando le sezioni unite sull’interesse del minore NOTA alla sentenza Corte di Cassazione, Sezione I civile, 10 marzo 2010, n. 5856

1. La previsione dell’art. 31 d. lgs. 25 luglio 1998 n. 286 (Testo Unico Immigrazione) in base alla quale il Tribunale per i minorenni può autorizzare, “per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico” e tenuto conto dell’età e delle condizioni del minore che si trova in Italia, l’ingresso o la permanenza del familiare per un periodo di tempo determinato “anche in deroga alle disposizioni” del Testo Unico, è indubbiamente formulata in modo troppo conciso e, se si considerano le interferenze con il diritto dell’immigrazione e con la normativa, interna ed internazionale, a protezione dell’infanzia, scarsamente tecnico e continua, per tale motivo, e forse anche per la valenza degli interessi in gioco (sicurezza delle frontiere vs protezione dei legami familiari del minore), ad essere oggetto di vivace confronto sia in dottrina 1, che nelle interpretazioni dei giudici di merito (Tribunali per i minorenni e Corti d’Appello) e della stessa giurisprudenza di legittimità. La formulazione dell’articolo non aiuta, in effetti, a chiarire in cosa debbano consistere i “gravi motivi” sussistendo i quali l’autorizzazione ai familiari del minore (non rileva se figlio legittimo o naturale) può essere rilasciata, né contiene indicazioni per ciò che concerne l’aspetto procedurale. In ordine a quest’ultimo punto – mi sia consentito seguire questo ordine espositivo – il compito dell’interprete appare abbastanza agevole, grazie all’intervento di

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Consigliere Corte d’Appello di Torino. L. D’ASCIA, Diritto degli stranieri e immigrazione, Percorsi giurisprudenziali, Milano, 2009, p. 304; M. G. DOMANICO, I gravi motivi connessi con lo sviluppo del bambino per farlo rimanere in Italia, Minori Giustizia, 2008, p. 52; M. PASTORE, Codice della Famiglia, in M. SESTA (a cura di), Tomo III, p. 5665, con ampi riferimenti dottrinari, Milano, 2009. 1

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Rassegna di giurisprudenza annotata e commentata - Civile

alcune pronunce che hanno chiarito quale sia il rito da seguire e quali le prerogative delle parti. Non vi è dubbio che limitandosi la norma a stabilire la competenza del Tribunale per i minorenni è al rito applicabile avanti al giudice specializzato che occorre fare riferimento ed, in particolare, in assenza di indicazioni diverse, a quello “base”, abitualmente seguito in materia di limitazione della potestà genitoriale (artt. 330 seg. c.c.), ossia al rito camerale per i procedimenti di volontaria giurisdizione (artt. 737 seg. c.p.c.). Ne consegue che non sorgono particolari incertezze in ordine al potere di iniziativa non solo delle parti private interessate (familiari – si noti, non solo genitori – del minore), ma anche del pubblico ministero, come del resto espressamente prevede l’art. 336 c.c., per i procedimenti de potestate, trattandosi certamente di normativa che tocca l’interesse del minore e quindi aspetti di rilevanza pubblicistica, rispetto ai quali il P.M., che al Tribunale per i minorenni ha precise competenze anche in sede civile, 2 deve poter agire nell’interesse della legge. Pare altresì difficilmente contestabile che il giudice delegato debba procedere all’audizione personale della parte ricorrente. È vero che il sintetico comma terzo nulla dice sul punto, ma, opportunamente, la Suprema Corte ha in più occasioni precisato che quello che origina dalla domanda ex art. 31 è un procedimento camerale, nell’ambito del quale vi è la necessità “di assicurare il diritto di difesa e di realizzare il principio del contraddittorio in ogni stato e grado del giudizio” 3. E rispetto del contraddittorio vuol dire che la parte ricorrente va sentita e deve avere la possibilità di esporre le proprie ragioni al giudice; dato che si è di fronte a regole processuali di portata generale, tanto più rinforzate dal dettato costituzionale sul “giusto processo” (art. 111 Costituzione), non era necessario esplicitare nel testo dell’art. 31, che, ripetesi, nulla dice sul piano processuale, questo passaggio 4. Sul piano strettamente processuale è stato poi superato, in senso negativo, il quesito circa la necessaria partecipazione al giudizio del Ministero dell’Interno, non reputandosi che tale organo assuma la veste di litisconsorte necessario 5. Infine giova sottolineare che dopo una fase di incertezza, viene ormai ammessa la proposizione, contro la decisione di merito sull’autorizzazione a norma dell’art. 31 (sia essa concessa o negata), del ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Co-

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Si veda l’art. 4 R.D.L. 20 luglio 1934, n. 1404. Cass. 17.3.2009 n. 8519, Fam. e dir., 2009, p. 995, con nota di E. PATANIA. Ampiamente, pervenendo alle stesse conclusioni, Cass. SS. UU. 16.10.2006 n. 22216, in Diritto e Giustizia, 2006, 41, 28 con nota di M. R. SAN GIORGIO. 4 Del quale vi è invece menzione nell’art. 30 comma 6 del d. lgs. 286/1998, ma, a sommesso avviso di chi scrive, a titolo puramente esplicativo e senza che da tale differenza testuale si possano trarre particolari argomenti per giungere a conclusioni di segno opposto a quella avanzata, sulla scorta di chiari riferimenti normativi, nel presente commento. 5 Cass. 2.5.2007 n. 10140, in Guida al dir., 2007. 3

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Annapaola Specchio *

Brevi riflessioni sul diritto all’unità familiare e sulla vexata quaestio della competenza del Giudice di Pace in materia di immigrazione NOTA all’ordinanza della Corte di Cassazione, Sez. I Civile, 22 gennaio 2010, n. 1243

La Corte di Cassazione, sezione I civile, con l’ordinanza n. 1243 del 22 gennaio 2010 ha confermato la decisione del Giudice di Pace di respingere il ricorso avverso il decreto di espulsione emesso dal Prefetto di Vicenza sulla base di una assenza di rapporti significativi tra il ricorrente ed i figli minori affidati alla nonna residente in Italia. Dichiarando l’unico motivo di ricorso manifestamente infondato, la Corte ha avvalorato il convincimento del Giudice di Pace, fondato su una relazione dei Servizi sociali che avevano descritto la figura del ricorrente come di un padre che “non rappresenta un significativo riferimento educativo per i minori”. Nel convincimento della Suprema Corte a nulla è valso il richiamo al procedimento pendente presso il Tribunale per i minorenni tendente alla dichiarazione della sussistenza dei presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno ai sensi dell’articolo 31 TU 286/98. Di particolare rilievo risulta poi il punto secondo cui non sarebbe emersa da parte del Giudice di Pace la necessità di interpellare il Tribunale minorile al fine di ottenere maggiori ragguagli in merito alla situazione familiare ed al rapporto genitoriale non essendo stati “indicati gli elementi già acquisiti che da tali informazioni avrebbero dovuto emergere e la loro rilevanza in ordine alla legittimità del provvedimento amministrativo”. 1. La lettura dell’ordinanza succitata stimola, per lo meno, due importanti riflessioni sul diritto all’unità familiare e sulla vexata quaestio della competenza del Giudice di Pace in materia di immigrazione.

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Avvocato in Roma.

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Rassegna di giurisprudenza annotata e commentata - Civile

Il binomio che apparentemente non mostra evidenti segni di connessione in realtà diviene inscindibile nella misura in cui un provvedimento dell’autorità giudiziaria possa a cascata produrre effetti nell’ambito delle relazioni parentali. Nel caso di specie, infatti, la decisione assunta dal Giudice di Pace – chiamato a rispondere in merito ad un ricorso avverso un decreto di espulsione – racchiude nella sua motivazione, altresì, la valutazione di elementi attinenti ad una sfera delicata e di primaria rilevanza quale è quella dell’unità familiare. Se già è possibile considerare che – in un’accezione generale – ogni provvedimento amministrativo destinato ad incidere sullo status soggettivo della persona dovrà essere esaminato con una scrupolosità investigativa, ancor più tale indagine richiederà una precisione certosina qualora emergano fatti o circostanze destinate ad incidere in materia di protezione dell’infanzia e della famiglia. Considerata la particolarità della fattispecie, a parere di chi scrive, il Giudice di Pace avendo omesso di svolgere ulteriori approfondimenti, avrebbe dovuto sospendere l’esame derivante dall’impugnato decreto di espulsione di cui il ricorrente era stato destinatario in attesa dell’esito del giudizio pendente davanti al Tribunale per i minori. In mancanza di un intervento in tal senso, la Suprema Corte di cassazione, successivamente intitolata, avrebbe ben potuto rinviare la questione all’autorità giudiziaria competente ai fini di una istruttoria minuziosa e completa che, sembrerebbe, non emergere dalla motivazione dell’ordinanza in oggetto. Di seguito verranno, pertanto, esaminati i principi basilari in materia di protezione dell’unità familiare ai sensi dell’art. 31, co. 3, TU 286/98 nonché le perplessità legate alla competenza del Giudice di Pace in materia di immigrazione. 2. L’art. 31, co. 3, Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero 1 attribuisce al Tribunale minorile la facoltà di autorizzare l’ingresso o la permanenza nel territorio italiano del familiare del minore che sia già ivi presente anche in modo irregolare in deroga alle disposizioni dello stesso Testo Unico.

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Ai sensi dell’art. 31, co. 3 TU 25 luglio 1998 n. 286 (GU. 18 agosto 1998 n. 191) e successive modifiche recante Disposizioni a favore dei minori, “Il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni del presente testo unico. L’autorizzazione è revocata quando vengono a cessare i gravi motivi che ne giustificano il rilascio o per attività del familiare incompatibili con le esigenze del minore o con la permanenza in Italia. I provvedimenti sono comunicati alla rappresentanza diplomatica o consolare e al questore per gli adempimenti di rispettiva competenza”.

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Rassegna di giurisprudenza annotata e commentata

Penale



Gabriele Marra *

Il trattamento penale dell’immigrato irregolare al vaglio della Corte Costituzionale. Una decisione ragionevole per una norma irragionevole 1 NOTA all’ordinanza della Corte Costituzionale del 24 febbraio 2010, n. 66

SOMMARIO: 1. Introduzione. - 2. Criticità. - 3. Illecita permanemza nel territorio nazionale. - 4. Questioni. - 5. Soluzioni. - 6. Prospettive. - 7. Efficacia e conseguenze. - 8. Alternative. - 9. Conclusioni.

1. La regolamentazione dei fenomeni migratori è materia politicamente sensibile, esposta agli umori del comune sentire, che, oggi, per maggioritaria opinione, bolla l’immigrazione e quella irregolare, in specie, come fattore disgregante il senso di sicurezza individuale e collettiva 2. Rispondendo all’appello, il diritto penale dell’immigrazione propone torsioni punitive per finalità simboliche e di rassicurazione sociale. Prospettive sulle quali il legislatore spesso indugia, sperimentando scelte di criminalizzazione al riparo da analisi empiriche dei presupposti e risultati ed immuni dal necessario vaglio di legittimità, muovendosi secondo canoni operativi omogenei alle direttrici proposte per fondare la “giuridicità” del c.d. “diritto penale del nemico” 3. 2. Quella appena descritta è una tendenza che, allo stato, ha raggiunto il suo punto di massimo con l’introduzione, prima, della circostanza aggravante comune di cui all’art. 61 n. 11 bis c.p. e poi con la previsione di un’autonoma fattispecie incriminatrice destinata a colpire l’ingresso “ed il soggiorno illegale nel territorio dello

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Associato di diritto penale, Università di Urbino “Carlo Bo”. Un ringraziamento particolare va al prof. Alessandro Bondi, per la sua ottima lettura di una precedente stesura di questa nota. 2 Z. BAUMAN, La paura che genera odio, in La Repubblica, 29 settembre 2009. 3 G. JAKOBS, Diritto penale del nemico? Una analisi delle condizioni di giuridicità, in A. GAMBERINI, R. ORLANDI (a cura di), Delitto politico e diritto penale del nemico, Bologna, 2007, p. 109 ss.. V. anche A. CAPUTO, Immigrazione, diritto penale e sicurezza, Questione giustizia, 2004, n. 2/3, p. 359 ss.. 1

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Rassegna di giurisprudenza annotata e commentata - Penale

Stato” (art. 10-bis, comma 1, comma 1 D.lgs 286/1998) 4. Previsioni che, sebbene in misura diversa, sono il frutto di un dibattito politico miope, rancoroso ed egoistico, in prevalenza ispirato da logiche di esclusione sociale. Di scelte che, senza particolari scrupoli, non hanno esitato a rivitalizzare i sinistri cascami del “diritto penale d’autore” ed i retaggi positivistici di taluni suoi presupposti, per nascondere, dietro l’enfasi repressiva di norme contro i ‘clandestini’ – in quanto portatori di identità sociali e culturali diverse 5 – il preoccupante deficit di effettività preventiva e di adeguatezza della soluzione sanzionatoria rispetto alla reale consistenza del problema 6. Nonostante l’aderenza che, almeno nel caso della contravvenzione da ultimo citata, la scelta legislativa dimostra rispetto a talune indicazioni provenienti dal quadro comparatistico 7. 3. Limitando l’indagine alla specifica fattispecie devoluta al giudizio della Corte costituzionale, giova evidenziare che la disposizione nazionale si presenta come un unicum nel panorama penalistico europeo. Unica è altresì la quantità dei punti di frizione con il quadro dei valori costituzionali che la caratterizza 8. Limitandosi ad una scarna elencazione emergono, in primo luogo: i) il ricorso ad una generalizzazione artefatta per giustificare la necessità dell’intervento riformatore. Argomento fallace, fondato su premesse prive di convincente radicamento statistico 9, che, in base all’osservazione del ripetuto comportamento illecito di taluni immigrati irregolari, arbitrariamente marchia tutti i ‘clandestini’ come soggetti ad alta capacità criminale, risolvendo così la ratio dell’aggravamento in uno stereotipato giudizio di generale pericolosità

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T. PADOVANI, L’ennesimo intervento legislativo eterogeneo che non è in grado di risolvere i problemi, Guida al dir., n. 33, 2009, p. 15. Per una lettura generale v. G. L. GATTA, Modifiche in tema di circostanze del reato, in Aa.Vv., “Decreto sicurezza”: tutte le novità, Milano, 2008, p. 27 ss.; L. MASERA, Le misure del pacchetto sicurezza in materia di immigrazione, in O. MAZZA, F. VIGANÒ (a cura di), Misure urgenti in tema di sicurezza pubblica, Torino, 2008, p. 5 ss.; F. FERRARO, Le modifiche la codice penale in materia di immigrazione, in F. RAMACCI, G. SPANGHER (a cura di), Il sistema della sicurezza pubblica, Giuffrè, Milano, 2010, p. 99 ss.. 5 Vale in proposito notare l’enfasi sottesa alla mutazione della consueta formula codicistica “territorio dello Stato” (artt. 6; 241 c.p.) nel riferimento al “territorio nazionale” (art. 61, n. 11 bis c.p.). Elemento che, sul piano simbolico/comunicativo, rafforza la componente identitaria sottesa all’aggravante in esame. Lessico che, giova ricordarlo, risulta estraneo anche al linguaggio della specifica normativa di settore (artt. 2; 4; 10-bis, ecc. Dlgs n. 286/1998). 6 V. ONIDA, Efficacia non scontata per il ricorso al penale, in Il Sole-24 Ore, 22/5/2008, p. 7; F. MANTOVANI, Migrazioni: problema epocale planetario, in Dir. pen. proc., 2010, p. 393 ss.. 7 Cfr. la sintetica ricostruzione di A. ALESSANDRI /E. GARAVAGLIA, Non passa lo straniero, www.lavoce.info, 2. 8 G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2010 6, p. 441 ss.. 9 F. D’AGOSTINI, Verità avvelenata, Torino, 2009, p. 43 ss., ma spec. p. 92 ss..

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Antonietta Picardi *

Perché il reato di ingresso clandestino non si applica al minore di età NOTA all’ordinanza del GIP presso il Tribunale di Bari dell’11 dicembre 2009

Il diritto alla tutela dei bambini (senza distinzione di nazionalità, sesso, religione ecc.), riconosciuto da tempo nel nostro Paese è risaltato nell’ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Bari del dicembre 2009. La norma incriminatrice in esame (art. 10 bis T.U. immigrazione, introdotta dalla legge 15 luglio 2009, n. 94), che stigmatizza l’ingresso e la permanenza irregolare in Italia, non prevede eccezioni per la sua applicazione; soltanto attraverso una interpretazione adeguatrice della norma ai dettami della Costituzione ed alle numerose norme convenzionali si può affermare che la condotta di ingresso e soggiorno illegali non può essere contestata ad un minore di età. Se da tempo si ambisce ad uno “statuto giuridico del minore” 1 di natura sopranazionale, ad oggi, soprattutto alla luce della nuova normativa sull’immigrazione 2, sembra un progetto ideale di difficile realizzazione, dovendo affrontarne prima le concrete difficoltà di formulazione e di diversità delle singole legislazioni; per realizzare un unico “statuto giuridico” è importante confrontare le realtà nazionali sui diritti dei bambini e riflettere sull’enorme flusso di ingresso nei singoli Stati di fanciulli soli. L’introduzione di norme dettate dalla sola esigenza del controllo delle frontiere, dimentiche della tutela del minore, ci rende insensibili alle esigenze di tutela e di cura riconosciute in ambito internazionale. *

Sostituto procuratore presso il Tribunale de L’Aquila Sull’argomento, in particolare, H. Bosse-Platière, Le statut de l’enfant et l’européanisation des sources en droit de la famille, in Le statut juridique de l’enfant dans l’espace européen diretto da Daniel Gabdin e Francis Kernaleguen, Bruxelles, Bruylant, 2004. 2 Ci si riferisce alle modifiche legislative sul T.U. immigrazione (d. lgs. 286/89) apportate dalla legge 15 luglio 2009 n. 94. 1

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Rassegna di giurisprudenza annotata e commentata - Penale

Fino ad oggi il nostro ordinamento ha attribuito all’irregolarità una connotazione di mero illecito amministrativo e la l. 15 luglio 2009, n. 94, consolidando tale indirizzo, ne ha previsto forme di tutela dello Stato ampiamente dilatate (con la detenzione amministrativa fino a centottanta giorni) introducendo, contestualmente, la neo incriminazione dell’ingresso ed il soggiorno contra ius. Il nostro legislatore, malgrado le innumerevoli variazioni al T.U. sull’immigrazione, aveva sempre evitato di apportare modifiche in peius alla condizione del minore clandestino mentre in quest’ultima occasione, forse distratto dalla particolare attenzione sociale sul fenomeno migratorio, ha ritenuto la norma applicabile a tutti coloro che fanno ingresso illegale nel territorio italiano. Senza alcuna eccezione, almeno espressa, nei riguardi dei minori di età. Contestualmente, però, nello stesso T.U. immigrazione (art. 19) vi è un divieto di espulsione ed un parallelo obbligo per lo Stato di assistere e curare il minore straniero non accompagnato. In tale contesto, la norma in discussione affanna il giudice minorile; su di essa si è levato un coro di voci a tutela dei maggiorenni migranti e tale richiamo non può che estendersi anche ai loro minori. Per la prima volta dal 1948 nell’ordinamento italiano viene introdotto un reato che pare in palese contrasto con principi costituzionali e che richiede per i minori migranti una rigida ed orientata interpretazione. Già numerose le ordinanze di rimessione alla Corte costituzionale riferite al reato commesso dagli adulti; in relazione a tale condotta tutte le procure per i minorenni si sono orientate per una richiesta di archiviazione, perché il fatto non è configurabile se commesso da un minore di età. Comune alle fattispecie incriminatrici dell’ingresso e del soggiorno illegale è anche l’analisi dell’elemento psicologico, che, data la natura contravvenzionale, è integrato anche dalla colpa. Allora, ancora a tutela del minore, il giudice nella sua decisione potrebbe richiamare la sentenza della Corte costituzionale 364/1988 3 ritenendo, ai sensi dell’art. 5 c.p., tale comportamento un errore scusabile. Appare difficile ipotizzare l’ingresso da parte del minore nel nostro Paese, consapevole della rilevanza penale del suo comportamento. La valutazione, imposta di volta in volta al giudice minorile sulla capacità e personalità del minore (art. 9 D.P.R. 448/88), deve investire un giudizio sull’errore ‘scusabile’: il minore è giunto, sì clandestinamente nel nostro territorio, ma in condizioni sicuramente disagiate. Invero per la valutazione della rilevanza penale del comportamento del minore non può soltanto farsi richiamo al generale potere del legislatore “di regolare la materia dell’immigrazione, in correlazione ai molteplici interessi pubblici da essa coin3

In Foro it., 1988, I, p. 1385, con nota di G. Fiandaca.

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Unione europea



Chiara Gabrielli, Ilaria Ottaviano

Osservatorio sulla giurisprudenza della Corte di Giustizia

1. Cessazione dello status di rifugiato nel caso di mutamento delle circostanze che ne avevano determinato il riconoscimento La sentenza, di cui si riporta il dispositivo, riguarda la direttiva 2004/83/CE recante norme minime sulle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria. La decisione statuisce sui presupposti per il riconoscimento della qualifica di rifugiato e sulla cessazione dello status nel caso di mutamento delle circostanze che avevano determinato il riconoscimento. Una persona perde lo status di rifugiato quando, a seguito di un cambiamento significativo e non temporaneo delle circostanze nel paese terzo, vengano meno il fondato timore della persona di essere perseguitata ed i motivi del riconoscimento dello status di rifugiato, e non sussistano altri motivi di timore di persecuzione. Il criterio di probabilità per l’esame del rischio derivante da dette altre circostanze è lo stesso criterio applicato ai fini della concessione dello status di rifugiato. A tal fine, le autorità competenti dello Stato membro devono verificare, tenuto conto della situazione individuale del rifugiato, che i soggetti che offrono protezione (anche organizzazioni internazionali che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, anche per mezzo della presenza di una forza multinazionale) abbiano un sistema giuridico che permetta di individuare, perseguire e punire penalmente eventuali atti persecutori e ne consenta accesso alla persona che perde lo status di rifugiato. (I. O.) SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione), 2 marzo 2010 «Direttiva 2004/83/CE – Norme minime sulle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Qualità di “rifugiato” – Art. 2, lett. c) – Cessazione dello status di rifugiato – Art. 11 – Cambiamento delle circostanze – Art. 11, n. 1, lett. e) – Rifugiato – Timore infondato di persecuzioni – Valutazione – Art. 11, n. 2 – Revoca dello status di rifugiato – Prova – Art. 14, n. 2». Cause riunite C 175/08, C 176/08, C 178/08 e C 179/08, aventi ad oggetto domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi degli artt. 68 CE e 234 CE, dal Bundesverwaltungsgericht (Germania), nelle cause Aydin Salahadin Abdulla (C 175/08), Kamil Hasan (C 176/08), Ahmed Adem, Hamrin Mosa Rashi (C 178/08), Dler Jamal (C 179/08) c. Bundesrepublik Deutschland. (omissis)

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Unione europea

Dispositivo 1) L’art. 11, n. 1, lett. e), della direttiva del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/83/CE, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, deve essere interpretato nel senso che: – una persona perde lo status di rifugiato quando, considerato un cambiamento delle circostanze avente un carattere significativo e una natura non temporanea, occorso nel paese terzo interessato, vengano meno le circostanze alla base del fondato timore della persona stessa di essere perseguitata a causa di uno dei motivi di cui all’art. 2, lett. c), della direttiva 2004/83, motivi per i quali essa è stata riconosciuta come rifugiata, e non sussistano altri motivi di timore di «essere perseguitat[a]» ai sensi dell’art. 2, lett. c), della direttiva 2004/83; – ai fini della valutazione di un cambiamento delle circostanze, le autorità competenti dello Stato membro devono verificare, tenuto conto della situazione individuale del rifugiato, che il soggetto o i soggetti che offrono protezione di cui all’art. 7, n. 1, della direttiva 2004/83 abbiano adottato adeguate misure per impedire che possano essere inflitti atti persecutori, che quindi dispongano, in particolare, di un sistema giuridico effettivo che permetta di individuare, di perseguire penalmente e di punire gli atti che costituiscono persecuzione e che il cittadino interessato, in caso di cessazione dello status di rifugiato, abbia accesso a detta protezione; – i soggetti che offrono protezione ex art. 7, n. 1, lett. b), della direttiva 2004/83 possono comprendere organizzazioni internazionali che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, anche per mezzo della presenza di una forza multinazionale su tale territorio. 2) Quando le circostanze in base alle quali lo status di rifugiato è stato riconosciuto abbiano cessato di sussistere e le autorità competenti dello Stato membro verifichino che non ricorrono altre circostanze che giustifichino il fondato timore della persona interessata di essere perseguitata, per il medesimo motivo di quello inizialmente rilevante o per uno degli altri motivi elencati all’art. 2, lett. c), della direttiva 2004/83, il criterio di probabilità per l’esame del rischio derivante da dette altre circostanze è lo stesso criterio applicato ai fini della concessione dello status di rifugiato. 3) L’art. 4, n. 4, della direttiva, nella misura in cui fornisce indicazioni quanto alla portata, in termini di forza probatoria, di atti o minacce precedenti di persecuzione, può applicarsi quando le autorità competenti considerino di revocare lo status di rifugiato ai sensi dell’art. 11, n. 1, lett. e), della direttiva 2004/83 e l’interessato, per giustificare il permanere di un fondato timore di persecuzione, faccia valere circostanze diverse da quelle sulla cui base era stato riconosciuto come rifugiato. Tuttavia, ciò potrà di regola verificarsi solamente quando il motivo di persecuzione sia diverso da quello considerato al momento del riconoscimento dello status di rifugiato e vi siano atti o minacce precedenti di persecuzione i quali sono collegati al motivo di persecuzione esaminato in tale fase.

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