ISSN 1720-4402
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numero 2.2012 anno XIX
Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – 70% Viterbo Aut. C/VT/069/2010
Rivista quadrimestrale
Rassegna di studi e giurisprudenza
in questo numero
Matteo Gnes, Stefano Giubboni, Flavia Zorzi Giustiniani, Maria Teresa Rovitto, Athanasia Andriopoulou, Francesca Comanducci, Andrea Belotti, Silvia Vitrò, Annapaola Specchio, Chiara Gabrielli
numero 2.2012 anno XIX
Rassegna di studi e giurisprudenza
Foto di copertina: © Livio Senigalliesi, Rifugiato con carta d’identità italiana, Roma, 2011 Dal concorso fotografico nazionale 2011 “Destinazione Volontariato. Il treno unisce l’Italia che aiuta”. Menzione speciale di Studio immigrazione.
Rassegna di studi e giurisprudenza quadrimestrale Comitato scientifico Paolo Benvenuti, Università Roma Tre Luciano Eusebi, Università Cattolica del Sacro Cuore Gilda Ferrando, Università di Genova Adriano Giovannelli, Università di Genova Horatia Muir Watt, Sciences-Po Law School, Paris Bruno Nascimbene, Università di Milano Sandro Staiano, Università di Napoli Ugo Villani, Università Luiss “Guido Carli”, Roma Comitato di valutazione (vedi a pag. 197) Direzione Giandonato Caggiano, Università Roma Tre Aristide Canepa, Università di Genova Matteo Gnes, Università di Urbino Paolo Morozzo della Rocca, Università di Urbino Francesco Viganò, Università di Milano Fondatore e direttore responsabile Raffaele Miele Comitato di redazione Roberta Bonini, Chiara Gabrielli, Matteo Marchini, Ilaria Ottaviano Segreteria di redazione Gloria Pacelli, e-mail: redazione@glistranieri.it Progetto grafico e impaginazione Massimo Giacci Redazione e amministrazione Studio immigrazione sas Via Marconi, 10 - 01100 Viterbo Tel. 0761 092025 - 0761 092055 – Fax 0761 228033 www.studioimmigrazione.it e-mail: amministrazione@studioimmigrazione.it Editore e proprietario della testata Studio immigrazione sas ISSN 1720-4402 Registrazione Tribunale di Viterbo, n. 406 del 20 marzo 1994 Gli articoli firmati esprimono il pensiero dell’Autore e non impegnano la Rivista.
Sommario
Articoli Matteo GNES Oltre la cittadinanza nazionale? L’accesso alla funzione pubblica dei cittadini stranieri
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Stefano GIUBBONI Il diritto alla sicurezza sociale tra frontiere nazionali e solidarietà europea
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Flavia Zorzi GIUSTINIANI La direttiva 2011/95: verso una disciplina veramente uniforme di protezione internazionale?
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Maria Teresa ROVITTO Abitare il mondo: migranti e diritto alla casa
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Athanasia ANDRIOPOULOU La cittadinanza in Grecia dopo la legge 3838/2010
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Rassegna di giurisprudenza annotata e commentata Francesca COMANDUCCI Sviluppi giurisprudenziali sull’accesso al pubblico impiego degli stranieri dopo la sentenza della Corte di cassazione del 2006 e l’ordinanza della Corte costituzionale del 2011
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Andrea BELOTTI Sulla possibilità di richiedere il permesso di soggiorno per il cittadino extracomunitario che ha contratto matrimonio all’estero con cittadino italiano dello stesso sesso. Nota alla decisione del Tribunale di Reggio Emilia del 13 febbraio 2012
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Sommario
Silvia VITRÒ Il diritto di soggiorno dello straniero extracomunitario sposato col cittadino comunitario Nota alla decisione del Tribunale di Reggio Emilia del 13 febbraio 2012
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Annapaola SPECCHIO Brevi note sul trattenimento dello straniero nei Centri di identificazione ed espulsione Nota alla ordinanza della Corte di cassazione, Sezioni unite, del 13 giugno 2012, n. 9596
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Chiara GABRIELLI Sulla natura legislativa delle regole sui poteri coercitivi delle guardie di frontiera, in quanto materia sensibile ai diritti fondamentali Commento alla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 5 settembre 2012, causa C-355/10
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ERRATA CORRIGE fasc. n.1/2012 L’articolo di Arianna Pitino “La tutela della salute dei cittadini e degli stranieri in Canada, Stati Uniti, Sudafrica, India (e qualche cenno all’Italia)”, pubblicato nel fascicolo n. 1/2012 (pag. 25 e segg.), è stato regolamente sottoposto a peer review ma, per mero errore materiale, è stata omessa la menzione.
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Articoli
Matteo Gnes *
Oltre la cittadinanza nazionale? L’accesso
alla funzione pubblica dei cittadini stranieri Contributo sottoposto a peer review
SOMMARIO: 1. Cittadinanza ed accesso alla funzione pubblica. - 2. Le vicende storiche. - 2.1. L’esercizio di funzioni pubbliche da parte degli stranieri nel Medioevo. - 2.2. Lo sviluppo dei nazionalismi e la riserva delle funzioni pubbliche ai cittadini. - 2.3. Gli sviluppi nell’ordinamento italiano pre-repubblicano. - 2.4. La riserva nella Costituzione e nella legislazione repubblicana. - 3. Il diritto europeo ed il superamento del requisito della cittadinanza nazionale per l’accesso alla funzione pubblica. - 3.1. Il diritto europeo e l’accesso alla funzione pubblica dei cittadini degli Stati membri. - 3.2. L’accesso alla funzione pubblica dei cittadini di Paesi terzi. - 3.3. L’attuazione normativa dei principi europei nell’ordinamento italiano. - 4. L’accesso dei cittadini extracomunitari alla funzione pubblica. - 4.1. Il quadro normativo. - 4.2. Le incertezze della giurisprudenza. - 4.3. La decisione della Corte di cassazione del 2006 - 4.4. La decisione della Corte costituzionale del 2011. - 5. Oltre il requisito della cittadinanza nazionale (ed europea)? - 5.1. I principi costituzionali. - 5.2. Il mutamento del contesto storico-politico. - 5.3. Una lettura costituzionalmente orientata del quadro normativo.
1. Secondo un’impostazione consolidata (parzialmente modificata, come si vedrà, dalla partecipazione dello Stato italiano alla Comunità – ora Unione – europea) e fatta propria dallo Statuto degli impiegati civili dello Stato del 1957, i requisiti generali necessari per accedere agli impieghi civili dello Stato sono costituti dal possesso di “1) cittadinanza italiana; 2) età non inferiore agli anni 18 e non superiore ai 32 (…); 3) buona condotta; 4) idoneità fisica all’impiego”1. In particolare, tra i requisiti vi era quello del possesso della cittadinanza italiana, sulla base della considerazione che “è principio generale che i diritti fun*
Associato di Diritto amministrativo nell’Università di Urbino “Carlo Bo”. Il presente saggio sviluppa la lezione inaugurale del Master in Scienze amministrative dell’Università di Urbino “Carlo Bo”, tenuta il 16 dicembre 2011. 1 Art. 2 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato. La norma è stata in seguito più volte modificata: quanto al requisito dell’età massima, innalzato a 40 anni salvo ulteriori deroghe, dalla legge 3 giugno 1978, n. 288, e dalla legge 27 gennaio 1989, n. 25; quanto al requisito della buona condotta, che è stato eliminato, dalla legge 29 ottobre 1984, n. 732. Cfr. anche l’art. 7 del r.d. 3 marzo 1934 n. 383, di approvazione del testo unico della legge comunale e provinciale, che stabiliva che “per essere nominati ad uno degli uffici o impieghi previsti nella presente legge, salvo i particolari requisiti richiesti nei singoli casi, è necessario essere cittadino dello Stato, godere dei diritti civili, essere di buona condotta morale e politica, maggiore di età e saper leggere e scrivere”.
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zionali sono riservati esclusivamente ai componenti l’ordinamento giuridico, cioè i cittadini”2. Tale impostazione sembrerebbe essere rimasta in gran parte immutata: nell’esaminare i bandi di concorso per l’assunzione nelle pubbliche amministrazioni, si può notare che tra i requisiti necessari vi è il possesso della cittadinanza italiana, oppure, in taluni casi, per effetto dell’integrazione europea, quello del “possesso della cittadinanza italiana, ovvero di uno degli Stati membri dell’Unione europea”. L’apertura parziale del pubblico impiego ai cittadini non italiani ma appartenenti agli altri Stati membri dell’Unione europea – imposta, come si vedrà, dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea – ha rappresentato una prima importante breccia nel rapporto tra Stato e funzionario pubblico, che aveva portato a configurare l’impiegato pubblico come un cittadino speciale. Tale apertura è ormai un dato acquisito, tanto che, tranne che in rari casi, non costituisce più un tema oggetto di attenzione da parte del giudice nazionale o di quello europeo. Invero, è di crescente interesse il problema dell’ulteriore apertura anche nei confronti dei cittadini di altri Paesi, ossia dei cd. cittadini “extracomunitari” (termine ormai superato, o, comunque, impreciso, dal momento che, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la Comunità europea è stata sostituita dall’Unione europea)3, per almeno quattro diverse ragioni. Innanzitutto, vi sono motivi legati al mutamento delle condizioni culturali e sociali dell’ordinamento italiano rispetto a quelle che l’hanno caratterizzato nel corso dell’Ottocento e della prima metà del Novecento. L’Italia, da terra d’emigrazione, è divenuta terra d’immigrazione, per cui è diventato di urgente attualità rispondere a questioni come quella dell’acquisto della cittadinanza anche attraverso il criterio dello ius soli, dell’adeguamento della legislazione a costumi differenti rispetto a quelli italiani, ovvero dell’imposizione del requisito della cittadinanza italiana per l’esercizio di determinate professioni o per l’accesso a determinate cariche o funzioni pubbliche. Occorre, quindi, rivalutare antichi istituti ed opzioni giuridiche, concepite secondo premesse ed impostazioni culturali molto differenti da quelle che governano il contesto attuale, per adeguarle alla mutata realtà odierna, che vede il progressivo sviluppo, anche in Italia, di una società multietnica, che deve tenere conto della crescente presenza di stranieri, nonché delle generazioni successive di stranieri nati e vissuti fin dalla nascita in Italia. In secondo luogo, l’ordinamento italiano è influenzato e condizionato, anche per quanto riguarda le funzioni che sono tradizionalmente poste nel cuore dello 2 3
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G. ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo, III, Milano, 1958, VI ed., p. 276. Art. 1, c. 3, del TUE, per cui “l’Unione sostituisce e succede alla Comunità europea”.
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Stefano Giubboni
Il diritto alla sicurezza sociale tra frontiere nazionali e solidarietà europea * SOMMARIO: 1. Una premessa metodologica: territorialità dei sistemi nazionali di sicurezza sociale vs. dinamiche europee di de-territorializzazione. – 2. I principali fattori di evoluzione del sistema di coordinamento dei regimi nazionali di sicurezza sociale. – 3. L’evoluzione della giurisprudenza della Corte di giustizia. – 4. Assimilazione dei fatti e totalizzazione dei periodi nel Regolamento (CE) n. 883/2004. – 5. Considerazioni e proposte conclusive.
1. La trattazione del tema assegnatomi per introdurre i lavori di questa conferenza conclusiva del progetto TESSE 1 esige di svolgere talune preliminari osservazioni di taglio metodologico, che sono in qualche modo evocate dal titolo della mia relazione. Il titolo del mio intervento richiama, infatti, l’esistenza di una tensione, se non (almeno in linea di principio) di una vera e propria contraddizione, tra la territorialità dei sistemi di sicurezza sociale, che esigono la fissazione di confini e che, se si vuole, vivono grazie a questi, e la libera circolazione delle persone, e più in generale il processo di integrazione europea, che si reggono, viceversa, sull’apertura dei confini nazionali 2. Esiste, tra queste due istanze, una evidente tensione dialettica che richiede di mettere in rapporto (e, possibilmente, in equilibrio) tra di loro logiche di “chiusura” (giacché tutti i sistemi di protezione sociale e di giustizia distributiva sono, per citare una famosa espressione, bounded worlds, ovvero mondi necessariamente “delimitati” 3) e logiche di “apertura” (in quanto il processo di integrazione europea esige, appunto, il *
Con l’aggiunta dei riferimenti essenziali, è il testo della relazione pronunciata all’Atelier conclusivo del progetto di ricerca INCA/TESSE, “Coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale e libera circolazione delle persone: l’effettiva attuazione dei diritti fondamentali”, svoltosi a Parigi, presso la sede della Confédération générale du travail, il 27-28 giugno 2012. 1 TESSE – acronimo di Transnational Exchanges on Social Security in Europe – è un progetto di ricerca elaborato e coordinato dall’Osservatorio per le politiche sociali dell’INCA-CGIL del Belgio e finanziato dalla Commissione europea nell’ambito dei programmi di diffusione della conoscenza sui regolamenti comunitari di sicurezza sociale. 2 Per una più ampia analisi sistematica di tali questioni mi permetto di fare rinvio a S. GIUBBONI, Diritti e solidarietà in Europa. I modelli sociali nazionali nello spazio giuridico europeo, Bologna, 2012. 3 M. WALZER, Sfere di giustizia, trad. it., Milano, 1983, p. 31.
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tendenziale abbattimento dei vincoli territoriali di accesso ai diritti sociali, tutte le volte in cui sia in gioco la libera circolazione dei lavoratori e più in generale delle persone nello spazio comune)4. Tale rapporto dialettico ha improntato sin dal 1958, sia pure secondo un percorso evolutivo che ha conosciuto nel tempo rilevanti trasformazioni, la funzione dei regolamenti comunitari di sicurezza sociale. La funzione principale, svolta già dai Regolamenti nn. 3 e 4 del 1958 sin dal momento della loro entrata in vigore all’indomani della ratifica del Trattato di Roma, è consistita, infatti, insieme alla eliminazione delle barriere discriminatorie frapposte dagli Stati membri al godimento transnazionale dei diritti previdenziali, nella de-territorializzazione dei sistemi di sicurezza sociale nazionali, affidata già all’epoca ai meccanismi complementari della totalizzazione dei periodi assicurativi e della esportabilità delle prestazioni. L’effettiva traduzione del principio della parità di trattamento in base alla nazionalità nell’ambito del coordinamento sovranazionale dei sistemi di sicurezza sociale – come sancito dal Trattato e specificato nei regolamenti – comporta, infatti, seppure entro certi limiti, anche la necessaria tendenziale de-territorializzazione dei requisiti di godimento dei diritti previsti dalle legislazioni nazionali 5. All’epoca dell’entrata in vigore del Trattato di Roma e dei primi regolamenti comunitari, questo scopo era facilitato da due elementi fondamentali: da un lato, la de-territorializzazione avrebbe riguardato soltanto sei paesi membri, relativamente omogenei tra di loro in termini di sistemi di sicurezza sociale (tutti appartenenti al modello occupazionale di welfare state)6. Dall’altro lato, non era in discussione che tale apertura dei sistemi nazionali al processo di integrazione europea dovesse riguardare solo i lavoratori (ed in particolare, in origine, solo i lavoratori subordinati) e, comunque, soltanto i soggetti che partecipassero (almeno indirettamente) al processo di produzione della ricchezza della Comunità (ovvero, in altri termini, i soggetti economicamente attivi nel mercato comune). Questi due fattori storici sono, tuttavia, come noto, profondamente mutati nel tempo, e ciò spiega perché sono cresciute, simmetricamente, le tensioni tra la necessità di presidiare i meccanismi di “chiusura” dei sistemi nazionali di sicurezza sociale e la necessità di creare nuovi percorsi integrativi di “apertura” degli stessi.
4 Cfr. M. FERRERA, The boundaries of welfare. European integration and the new spatial politics of social protection, Oxford, 2005. 5 V. principalmente R. CORNELISSEN, The principle of territoriality and the Community Regulation on social security, in Common Market Law Review, 1996, p. 439 ss. 6 Cfr. M. FERRERA, Modelli di solidarietà. Politica e riforme sociali nelle democrazie, Bologna, 1993.
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Flavia Zorzi Giustiniani
La direttiva 2011/95: verso una disciplina veramente uniforme di protezione internazionale? SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. I cambiamenti intervenuti nella politica europea di asilo e il loro impatto sul processo di rifusione. – 3. Le principali novità introdotte dalla direttiva 2011/95. – 3.1. La protezione all’interno del Paese di origine. – 3.2. I soggetti che offrono protezione. – 3.3. L’appartenenza a un determinato gruppo sociale e gli atti di persecuzione. – 3.4. Le clausole di cessazione. – 3.5. Le altre modifiche introdotte. – 4. Conclusioni.
1. La direttiva 2011/95, meglio nota come nuova direttiva qualifiche, si colloca nel contesto della riforma della legislazione europea sull’asilo, e ne costituisce lo sviluppo più significativo sinora compiuto. Il processo di modifica degli altri atti in materia di politica europea di asilo è invece ancora in atto e, malgrado alcuni recenti progressi nei negoziati, non è scontato che si concluda entro l’anno. La nuova direttiva qualifiche è stata adottata il dicembre scorso e dovrà essere attuata dagli Stati entro il 22 dicembre 2013. Il processo di rifusione della previgente direttiva 2004/83 era stato avviato dalla Commissione con l’obiettivo generale di “garantire un livello superiore di armonizzazione e migliori norme di protezione sostanziali e procedurali, sull’attuale base giuridica, ai fini dell’instaurazione di una procedura comune di asilo e di uno status uniforme”1. Deve infatti ricordarsi che ancora nel 2009 i tassi di riconoscimento della protezione internazionale variavano sensibilmente da uno Stato all’altro, tanto che i movimenti secondari non si sono mai sostanzialmente ridotti 2. Benché si tratti di un nuovo strumento, le modifiche introdotte non sono tali
1
V. Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (rifusione), 21 ottobre 2009, SEC (2009) 1373, p. 3. 2 Cfr. Documento di lavoro dei servizi della Commissione che accompagna la Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta. Sintesi della valutazione d’impatto, 21 ottobre 2009, SEC (2009) 1374 definitivo, p. 2.
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da stravolgere l’assetto normativo previgente, di cui infatti si intendono ribadire i principi ispiratori. Ratione loci, la direttiva 2011/95 è applicabile nei confronti di tutti i Paesi membri ad eccezione di Danimarca, Regno Unito e Irlanda. Tuttavia, mentre la Danimarca non è vincolata da alcuno strumento comunitario in materia di asilo 3, più complessa è la situazione per gli altri due Paesi. Questi ultimi, pur avendo partecipato all’adozione e all’applicazione di diversi strumenti della prima fase del sistema europeo di asilo, hanno esercitato l’opting out con riguardo alla rifusione di tre strumenti chiave della seconda fase: le direttive qualifiche, procedure e accoglienza. Poiché gli strumenti normativi della seconda fase intendono sostituirsi e non meramente emendare la normativa originaria, si è posto il problema di verificare se Regno Unito e Irlanda continueranno ad essere vincolati dagli atti previgenti. Il Protocollo sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda rispetto allo Spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia prevede, all’art. 4bis, che tali Paesi restano vincolati dall’atto iniziale quando non partecipano ad un successivo atto di modifica 4. L’unica eccezione a tale regola riguarda il caso in cui il Consiglio decida, su proposta della Commissione, che la non partecipazione dei due Paesi alla versione modificata di una misura in vigore rende l’applicazione della misura stessa impraticabile per altri Stati membri o per l’Unione. Nel caso di specie, invero, la proposta di rifusione non si è limitata ad emendare l’originaria direttiva qualifiche bensì l’ha abrogata. Il Servizio giuridico del Consiglio ha tuttavia ritenuto che l’art. 4bis sia applicabile “anche a fattispecie in cui una nuova misura abroga per intero una misura in vigore”5. Peraltro, vi sono già diversi atti (adottati o in via di adozione) del titolo V del TFUE che sostituiscono interamente un atto iniziale, pur specificando che tale sostituzione riguarda unicamente i Paesi membri vincolati dal nuovo atto 6. Il Regno Unito e l’Irlanda resteranno quindi vincolati dall’originaria direttiva qualifiche fintantoché non avranno manifestato l’intenzione di accettare la rifusione. Ciò implica evidenti 3
V. il Protocollo (n. 22) sulla posizione della Danimarca, adottato ad Amsterdam il 2 ottobre 1997 e allegato al TUE e al TFUE, artt. 1 e 2. 4 Ciò risulta da una lettura incrociata degli artt. 2 e 4bis, par. 1 del Protocollo in discorso. 5 Cfr. parere del Servizio giuridico del 10 settembre 2010 relativo all’ordine europeo di indagine penale (doc. 13514/10), par. 24. 6 Gli esempi, citati nel parere del Servizio giuridico del 29 giugno 2011 sulla rifusione della direttiva qualifiche, sono i seguenti: la direttiva 2011/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011, concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, e che sostituisce la decisione quadro del Consiglio 2002/629/GAI; il progetto di direttiva relativa alla pedopornografia (doc. 11987/11); il progetto di direttiva relativa alla criminalità informatica volta a sostituire la decisione quadro 2005/222/GAI del Consiglio (doc. 10751/11).
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Maria Teresa Rovitto *
Abitare il mondo: migranti e diritto alla casa Contributo sottoposto a peer review
SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Natura e contenuto del diritto a un’abitazione: la tutela nell’ordinamento internazionale e comunitario. – 2.1. Obblighi internazionali a carico degli Stati riguardo il diritto di accesso a un’abitazione. – 3. Il quadro normativo e giurisprudenziale interno. – 3.1. Il diritto di accesso alla casa nella legislazione per l’immigrazione: la differenza dei livelli di tutela tra stranieri regolari e stranieri irregolari. – 3.2. L’interpretazione giurisprudenziale del diritto alla casa e l’importanza della procedura antidiscriminatoria ai sensi dell’art. 44 del TU sull’immigrazione ai fini dell’effettività della tutela. – 4. Considerazioni conclusive.
“Il mondo è cambiato, non è più da conquistare: è da abitare.” 1
1. Nell’età moderna la conflittualità tra i popoli si risolveva nella sua dimensione spaziale riproducendosi all’interno della macchina della sovranità degli Stati. Oggi, il progetto postbellico di una pax universale, elemento costitutivo del nuovo ordine mondiale che assorbe in parte quella stessa sovranità statuale, sposta il conflitto sul piano strettamente socio-economico che investe inevitabilmente la questione della tutela dei diritti. Le crisi organiche del sistema economico capitalista aggravano la tensione tra le fasce più deboli della popolazione fino a rendere drammatiche le loro condizioni di esistenza. Tra i soggetti più esposti alle contraddizioni del sistema, vi sono i migranti, costretti a un continuo movimento verso quei Paesi che hanno monopolizzato la produzione, la distribuzione e il consumo delle risorse della terra 2. *
Dottoranda in Diritti umani e diritti sociali fondamentali, Università degli Studi di Urbino. Dal film di G. DESLAURIERS, L’Exil du roi Behanzin, 1996 citato da P. Zanini a conclusione del suo illuminante saggio sul confine Significati del confine. I limiti naturali, storici, mentali, Milano, 1997, p. 162 2 Al fine di ampliare il campo di indagine alle cause storiche del fenomeno migratorio, cfr. F. FANON, I dannati della terra”, intr. di J. P. Sartre, a cura di L. Ellena, Torino, 2007, pp. 56-57. Nell’opera, un classico della letteratura sulla decolonizzazione, si legge: “Per secoli i capitalisti si sono comportati nel mondo sottosviluppato come veri criminali di guerra. Le deportazioni, i massacri, il lavoro forzato, lo schiavismo sono stati i principali mezzi impiegati dal capitalismo per aumentare le sue riserve d’oro e di diamanti […] La riparazione morale dell’indipendenza nazionale non 1
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La storia ci insegna che il rischio costante in questi periodi, o meglio la conseguenza immediatamente percepibile di momenti di difficoltà che si palesano all’interno di una collettività, è la regressione del livello di tutela dei diritti. Oggettiva, poiché si tende a contrarre le forme di protezione che richiedono maggiori risorse economiche, come la tutela dei diritti sociali e soggettiva, quando si tende a escludere dal novero dei titolari di determinate situazioni giuridiche soggettive il diverso, identificabile nel non cittadino. Nei casi in cui viene superato il requisito della cittadinanza come criterio differenziale di trattamento, se ne introducono di nuovi, come la residenza o la durata della residenza dello straniero. La riflessione che qui si propone sull’eredità dei sozialrechte, affermati in Europa fin dalla Costituzione di Weimar (e per la verità anche prima, ma in contesti peraltro solo legislativi e quindi in termini di retrattabilità) non può che riguardare oggi anche nuovi soggetti, i migranti, che con la loro presenza sempre più numerosa hanno cambiato il volto del Vecchio continente. Parafrasando le parole del maestro Norberto Bobbio, non si può porre il problema dei diritti (sociali) dell’uomo, astraendolo da uno dei più complessi fenomeni del nostro tempo, l’immigrazione 3. Nell’attuale clima di austerity dettato a livello europeo dalle intenzioni politiche del Fiscal Compact, tale riflessione generale sui diritti sociali è attraversata da una tensione reale che spinge vertiginosamente verso soluzioni estreme tali da non considerare la necessità di una riorganizzazione del welfare, bensì una sua diretta compressione. Una seria politica economico-sociale non può di certo prescindere da un’analisi della fattibilità economica dalla quale dipende l’implementazione dei diritti sociali, ma allo stesso modo dovrebbe assumersi la responsabilità di affermare che l’attuale situazione economico-finanziaria non dipende da un eccesso di spesa sociale 4.
ci acceca, non ci nutre. La ricchezza dei Paesi imperialisti è anche la nostra ricchezza”. Più di recente il filosofo T. POGGE riportando i dati del World Development Report 2011: Conflict, Security and Development della Banca mondiale, Washington 2011, pp. 344-354, worldbank.org, scrive: “[…] fatta eccezione per l’India, gli Stati del mondo a reddito basso o medio-basso possiedono, presi complessivamente, solo la metà circa della potenza economica dell’Unione Europea o degli Stati Uniti, sebbene essi comprendano più della metà della popolazione mondiale.”, Lo scandalo della fame, in MicroMega, n. 3/2012, pp. 142-143. 3 Le parole di Bobbio sono “Non si può porre il problema dei diritti dell’uomo astraendolo dai due grandi problemi del nostro tempo, che sono i problemi della guerra e della miseria […]”, in L’età dei diritti, Torino, 1997, pp. 43-44. 4 Scrive L. GALLINO riflettendo sulle cause dell’attuale crisi di sistema: “I governi d’Europa danno la colpa a un’accoppiata infernale: il deficit crescente dei bilanci pubblici indotto dai costi eccessivi dello stato sociale e la parallela diminuzione delle entrate fiscali causata dalla crisi. Nessuna delle due giustificazioni sta in piedi. Il deficit medio dei bilanci pubblici nei Paesi della zona euro era ap-
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Athanasia Andriopoulou
La cittadinanza in Grecia dopo la legge 3838/2010 1 Contributo sottoposto a peer review
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Distinzioni terminologiche a sfondo storico-politico. – 3. Modi di acquisto della cittadinanza greca. – 4. La naturalizzazione dello straniero nella legge 3838/2010. – 5. Le dispute politiche sulla legge 3838/2010. – 6. L’aspetto giuridico: la questione di costituzionalità della legge 3838/2010. – 7. Conclusioni.
1. Le politiche sull’immigrazione adottate in Grecia cominciano con l’arrivo delle prime ondate di immigrati nel 1991, e di seguito nel 2001, 2005 e 2007. I flussi di immigrazione furono accompagnati da programmi nazionali di regolarizzazione e legalizzazione risalenti al 1998, 2001 e 2005. Si potrebbero identificare tre principali periodi in Grecia in rapporto al fenomeno migratorio: il primo è caratterizzato dalla “precocità” dell’immigrazione (1991-2001) giacché lo Stato non aveva ancora maturato linee strutturate per affrontare l’intero fenomeno migratorio, ma adottava soprattutto misure sintomatiche di gestione circostanziale dei problemi. Il secondo periodo (2001-2005) è quello della maturazione, quando si adotta la prima legge organica e completa, e si riconosce la durevolezza del fenomeno migratorio; ed infine l’ultimo (2005oggi) è di maturità, quando il paese viene chiamato a riconoscere il proprio ruolo di paese di accoglienza, e deve coordinarsi per delineare strategie politiche di gestione coerenti con l’Europa, sia riguardo all’immigrazione legale che per quella illegale, con specifico riguardo alle politiche di integrazione degli immigrati 2. In 1
Il presente articolo riprende parti della mia tesi di dottorato, discussa presso l’Università degli Studi di Genova il 23 aprile 2011. 2 A. TRIANTAFYLLIDOU, “Είκοσι χρόνια Ελληνικής μεταναστευτικής πολιτικής”, in Η Μετανάστευση στην Ελλάδα του 21ου Αιώνα, Athina, 2010, p. 97 ss. (trad. L’Immigrazione nella Grecia del 21° secolo); V. sugli aspetti dell’immigrazione nei primi anni in Grecia e, nello specifico, nella capitale, ove la concentrazione è stata maggiore, I. PSIMMENOS, Μετανάστευση από τα Βαλκάνια. Κοινωνικός αποκλεισμός στην Αθήνα, Athina, 1995. (trad. Immigrazione dai Balcani. Esclusione sociale ad Atene); V. anche D. KARANTINOS, A. MANOUDI, Country Report - On Employment, Ethnicity And Migrants - Greece, n. 2, 2010 (reperibile on line su: www.antigone.gr/en/ library/files/selected_publications/greece/EKKE%20Report%20on%20DISCRIMINATION.pdf).
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tal senso, sono state adottate specifiche politiche sociali ed approvate leggi, tra cui l’ultima, la legge n. 3838 del 2010, che ha portato un grande cambiamento nell’intero assetto sociale, politico e giuridico greco, ammettendo – sotto specifiche condizioni – il riconoscimento della cittadinanza greca anche agli immigrati. 2. Cittadino greco, ossia l’avente legame giuridico di cittadinanza e di appartenenza con lo Stato, è l’“imedapos” (ημεδαπός – letteralmente “il qui nato”), detto anche “ithagenis” (ιθαγενής), in contrapposizione all’“allodapos” (αλλοδαπός – letteralmente “l’altrove nato”), che significa invece comunemente straniero, appartenente ad un altro paese 3. Un “imedapos” cittadino greco può essere anche “allogenis” (αλλογενής – di “genos alieno”, ossia di discendenza diversa) e quindi avente una nazionalità non greca, pur avendo lo status di cittadino greco. Il criterio di distinzione dell’imedapos non si colloca dunque nella provenienza geografica dell’individuo, ma nel legame giuridico di cittadinanza per discendenza che quell’individuo possiede 4. Un allogenis che diventa cittadino greco per naturalizzazione, secondo le leggi e il Codice della Cittadinanza (CdC), è considerato imedapos alla pari del cittadino greco “ithagenis” (che è un altro modo per dire “di nazionalità e nascita greca”, indigeno), e nessuna distinzione dovrebbe essere ammessa nei confronti dei suoi diritti o doveri. Come imedapos è considerato anche colui che, oltre alla cittadinanza greca, può avere contemporaneamente una cittadinanza diversa (poli-ithagenis). Un allodapos, invece, è ogni persona fisica che non ha la cittadinanza greca (comunemente lo straniero) o che non ha una cittadinanza (comunemente l’apolide), come dispone l’art. 29 del Codice della Cittadinanza (“laddove nella legislazione si fa uso del termine “allodapos”, come allodapos si considera, ove non risulti il contrario, anche l’apolide”)5. Nell’ordinamento greco, l’allodapos è soggetto alla legislazione riguardante il Diritto sulla Condizione degli Stranieri. È necessario ricordare che non esiste per la legge un’unica categoria di allodapos e che non tutte le tipologie di allodapos rientrano nella stessa categoria di diritto. In effetti, le differenze che si riscontrano nell’ordinamento greco tra le diverse tipologie di “allodapos” possono identificare almeno tre tipologie di stranieri, tra V. S. V. VRELLI, Δίκαιο Αλλοδαπών, Athina, 2002, p. 13 ss. (trad. Diritto degli Stranieri). V. TZEMOS, “Ανθρώπινα δικαιώματα, δικαιώματα ημεδαπών και δικαιώματα αλλοδαπών”, in Μετανάστευση στην Ελλάδα. Εμπειρίες, Πολιτικές Προοπτικές, Athina, 2008, p. 46 ss. (trad. “Diritti umani, diritti degli imedapoi e diritti degli allodapoi”, in Immigrazione in Grecia. Esperienze, Prospettive politiche). 5 Sui diritti costituzionali degli “allodapoi”, v. A. G. DIMITROPOULOS, Τα Συνταγματικά Δικαιώματα των Αλλοδαπών στην Ελλάδα, Etaireia Meletis Nomologias, n. 10, Athina-Komotini, 2004 (trad. I diritti costituzionali degli allodapoi). 3 4
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Rassegna di giurisprudenza annotata e commentata
Francesca Comanducci
Sviluppi giurisprudenziali sull’accesso al pubblico impiego degli stranieri dopo la sentenza della Corte di cassazione del 2006 e l’ordinanza della Corte costituzionale del 2011 Contributo sottoposto a peer review
SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive. - 2. L’accesso degli stranieri extracomunitari al pubblico impiego secondo la sentenza della Corte di cassazione n. 24170/2006 ed i successivi sviluppi giurisprudenziali. - 3. L’accesso degli stranieri extracomunitari al pubblico impiego secondo l’ordinanza della Corte costituzionale n. 139/2011. - 4. I successivi sviluppi giurisprudenziali.
1. Fin dai primi decenni del Novecento, l’accesso al pubblico impiego è stato subordinato al possesso della cittadinanza italiana, in quanto ritenuto l’unico elemento in grado di assicurare il forte grado di fedeltà richiesto ai funzionari pubblici 1. L’esclusione degli stranieri dalle cariche pubbliche rappresentava, di conseguenza, una garanzia per l’indipendenza e la sicurezza dello Stato 2; ma le ragioni poste alla base di tale esclusione hanno iniziato ad indebolirsi in seguito all’affermazione del principio di libera circolazione dei lavoratori 3. Nonostante le iniziali resistenze poste in essere dagli Stati, questo principio ha favorito il riconoscimento del diritto di accesso al pubblico impiego ai cittadini dei Paesi appartenenti alla Comunità (ora Unione) europea. La Corte di giustizia dell’Unione europea, attenta nel ponderare il principio di parità di trattamento dei lavoratori con l’esigenza di autonomia degli Stati in materia di sovranità 4, ha precisato che il requisito della nazionalità può essere imposto esclusivamente per quei “posti *
Dottoranda di ricerca, Università degli Studi di Urbino Carlo Bo. Sulla fedeltà verso lo Stato quale giustificazione del requisito della cittadinanza per l’accesso al pubblico impiego si v. S. TERRANOVA, Il rapporto di pubblico impiego, Milano, 1995, p. 80 ss. 2 Si v. S. CASSESE, Stato-Nazione e funzione pubblica, in Giorn. dir. amm., 1997, p. 90 ss. 3 Il principio di libera circolazione implica l’abolizione di qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalità tra i lavoratori degli Stati membri per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro. In generale si v. M. CODINANZI, A. LANG, B. NASCIMBENE, Cittadinanza dell’Unione e libera circolazione delle persone, Milano, 2006; R. FOGLIA, La libertà di circolazione dei lavoratori, R. FOGLIA, R. COSIO (a cura di), in Il diritto del lavoro nell’Unione europea, Milano, 2011. 4 Si v. Corte di giustizia, sentenza del 17 dicembre 1980, C-149/79, Commissione c. Regno del Belgio, in Racc., p. 3890. 1
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che implichino, in maniera diretta o indiretta, la partecipazione all’esercizio di poteri pubblici” ovvero “che abbiano ad oggetto la tutela degli interessi generali dello Stato o della collettività pubblica”5. Sono, perciò, esclusi gli impieghi che presuppongono “da parte dei loro titolari, l’esistenza di un rapporto particolare di solidarietà nei confronti dello Stato, nonché la reciprocità di diritti e di doveri che costituiscono il vincolo della cittadinanza”6. Se l’integrazione europea ha portato ad una parziale apertura degli impieghi pubblici ai cittadini comunitari, con il risultato di ridurre ad eccezione il requisito della cittadinanza italiana in specifici posti di lavoro; l’integrazione globale, in virtù del principio di parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti affermato dalla Convenzione OIL n. 143/1975 (in seguito, Convenzione OIL)7, ha reso inevitabilmente problematica l’esclusione dei cittadini extracomunitari dagli stessi. Tale problema sta acquistando sempre maggior rilievo, sia per la complessità del contesto normativo di riferimento, sia per il numero crescente di stranieri presenti nell’ordinamento italiano. Infatti, a causa dell’aumento del grado di scolarizzazione, anche gli extracomunitari possono ambire ad un posto di lavoro pubblico di tipo impiegatizio. La giurisprudenza, chiamata con frequenza a pronunciarsi sull’attività discriminatoria posta in essere dalle pubbliche amministrazioni in ragione della cittadinanza, ha emesso sentenze contrastanti tra loro. L’orientamento espresso dalla giurisprudenza amministrativa, ancorato alla visione tradizionalista circa la “specialità” del lavoro pubblico e la permanenza del requisito della cittadinanza, ha trovato conferma in un‘importante sentenza della Corte di cassazione del 2006. Al contrario, nel 2011 la Corte costituzionale sembra aver preso atto della linea di apertura volta a far prevalere il principio di parità di trattamento nell’accesso
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È consentito l’accesso ai cittadini comunitari in condizioni di eguaglianza in impieghi pubblici come quelli di infermiere, di insegnante in scuole pubbliche, di lettore di lingua straniera in Università. Cfr. Corte di giustizia, sentenza del 17 dicembre 1980, C-149/79, Commissione c. Regno del Belgio, cit., p. 3881 ss.; Corte di giustizia, sentenza del 3 giugno 1986, C-307/74, Commissione c. Repubblica francese, in Racc., p. 359 ss; Corte di giustizia, sentenza del 3 luglio 1986, C-66/85, Lawrie-Blum, in Racc., p. 2121 ss.; Corte di giustizia, sentenza del 16 giugno 1987, C-225/85, Commissione c. Repubblica italiana, in Racc., p. 2599 ss. Corte di giustizia, sentenza del 2 luglio 1996, C-475/93, Commissione c. Granducato di Lussemburgo, in Racc., p. 3207 ss.; Corte di giustizia, sentenza del 3 luglio 1996, C-173/94, Commissione c. Regno del Belgio, in Racc., p. 3265 ss; Corte di giustizia, sentenza del 3 luglio 1996, C-290/94, Commissione c. Repubblica ellenica, in Racc., p. 3285 ss. 6 Si v. Corte di giustizia, sentenza del 17 dicembre 1980, C-149/79, Commissione c. Regno del Belgio, cit. punto 10 della motivazione. 7 Convenzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro del 24 giugno 1975, n. 143, “Convenzione OIL sulle migrazioni in condizioni abusive e sulla promozione della parità di opportunità e di trattamento dei lavoratori migranti”.
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Andrea Belotti 1
Sulla possibilità di richiedere il permesso di soggiorno per il cittadino extracomunitario che ha contratto matrimonio all’estero con cittadino italiano dello stesso sesso. NOTA alla decisione del Tribunale di Reggio Emilia del 13 febbraio 2012 Contributo sottoposto a peer review
SOMMARIO: 1. Il fatto. - 2. Disciplina europea delle coppie omosessuali. - 3. La situazione in Italia. - 4. La soluzione del Tribunale di Reggio Emilia. - 5. Punti fermi e prospettive future.
1. Nel marzo 2010 contraevano matrimonio in Palma di Mallorca, Spagna, un cittadino italiano e un cittadino uruguayano, entrambi di sesso maschile. Successivamente, nel febbraio 2011, decidevano di trasferire la propria vita familiare in Italia cosicché il soggetto extracomunitario chiedeva alla Questura di Reggio Emilia il permesso di soggiorno ai sensi degli artt. 7 comma 1 lett. d) e 2 lett. b) n. 1 del d.lgs. n. 30 del 2007. Secondo tale normativa deve essere riconosciuto il diritto di soggiorno in Italia anche per periodi superiori a tre mesi al cittadino comunitario che si rechi in uno stato membro diverso rispetto a quello di cui è cittadino nonché al proprio coniuge, senza alcun accenno al genere di appartenenza dello stesso. Tale normativa era da estendersi, secondo i ricorrenti, ai sensi degli artt. 23 e 25 del citato decreto, anche al familiare del cittadino italiano. La richiesta non veniva accolta dalle autorità italiane sul presupposto che non potesse rientrare nel concetto di “coniuge” il soggetto omosessuale sposato con altra persona dello stesso sesso, anche a seguito di matrimonio contratto in uno Stato in cui tale possibilità venga riconosciuta, stante l’impossibilità, per i soggetti omosessuali, di contrarre matrimonio in Italia. Avverso tale provvedimento il cittadino uruguayano presentava ricorso davanti alla Prima sezione civile del Tribunale di Reggio Emilia dove osservava che la normativa spagnola permette la celebrazione del matrimonio anche fra persone dello stesso sesso, assumendo pertanto d’essere coniugato con un cittadino italiano (allegava a tal proposito relativa documentazione) e sottolineando di 1
Dottorando di ricerca in Diritto privato presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca.
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voler trasferire la residenza, unitamente al proprio coniuge, in Italia. Contestava conseguentemente la legittimità del provvedimento emesso dalla competente autorità amministrativa in quanto la normativa applicabile da un lato riconoscerebbe al cittadino europeo il diritto a soggiornare in uno stato membro (e quindi anche in Italia) per un periodo anche superiore a tre mesi, dall’altro tale diritto sarebbe da riconoscersi anche al coniuge che lo raggiunga, indipendentemente dal sesso di quest’ultimo. 2. A partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, molti stati hanno deciso di regolamentare, con modalità diverse tra loro, le convivenze affettivo - sessuali. Una prima soluzione (adottata, fra gli altri, da stati quali Danimarca, Finlandia, Germania, Regno Unito e Svizzera)2 è rappresentata dalla “registered partnership”, nata soprattutto per le coppie omosessuali, che produce effetti molto simili a quelli derivanti da un’unione matrimoniale. In Danimarca, ad esempio, è stata riconosciuta “un’unione registrata” a cui vengono ricondotti effetti giuridici quasi identici a quelli previsti per il matrimonio. Infatti i soggetti che hanno registrato la propria unione acquistano i medesimi diritti e doveri dei coniugi usufruendo, altresì, dello stesso regime di comunione legale dei beni. È stata però prevista l’impossibilità in capo a questi soggetti di adottare bambini se si esclude, in un’unione registrata, il figlio del proprio partner cosicché al minore siano giuridicamente riconosciuti due genitori. Caso analogo è quello tedesco, in cui è stata prevista la possibilità di registrare una convivenza riservata a soggetti dello stesso sesso che riproduce i contenuti derivanti da un vincolo matrimoniale pur non rimandando direttamente alla specifica legislazione: in capo ai conviventi sussiste l’obbligo di reciproca assistenza e divisione delle spese comuni nonché il diritto all’assistenza reciproca e agli alimenti in caso di scioglimento 3. Una seconda modalità (il caso di Francia e Lussemburgo)4 è rappresentata 2 Si veda, per la Danimarca, la legge 7 giugno 1989, la n. 372 come successivamente modificata dalla legge 360/1999 in http://www.france.qrd.org/texts/partnership/dk/denmark-act.html; per la Finlandia, la legge 8 novembre 2001 n. 950 in http://www.finlex.fi/pdf/saadkaan/E0010950.PDF; per la Germania, la legge 16 febbraio 2001 n. 266 in http://www.gesetze-im-internet.de/lpartg/ BJNR026610001.html; per il Regno Unito si veda il Civil Partnership Act (Legge 21 novembre 2004 n. 33) in http://www.legislation.gov.uk/ukpga; per la Svizzera, la legge 18 giugno 2004 n. 211 in http://www.admin.ch/ch/i/ff/2004/2755.pdf. 3 C. SARACINO, Le Unioni civili in Europa: modelli a confronto in Dir. famiglia 2011, 3, 1471. 4 Per la Francia si veda la legge del 15 novembre 1999 n. 944 in http://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do? cidTexte=JORFTEXT000000761717&dateTexte=&categorieLien=id; per il Lussemburgo la legge 9 luglio 2004 n. 4946 in http://www.gouvernement.lu/dossiers/justice/ partenariat/loi_partenariat.pdf.
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Silvia Vitrò 1
Il diritto di soggiorno dello straniero extracomunitario sposato col cittadino comunitario NOTA alla decisione del Tribunale di Reggio Emilia del 13 febbraio 2012
SOMMARIO: 1. La vicenda. - 2. Il quadro normativo di riferimento. - 3. La novità interpretativa introdotta dalla sentenza del Tribunale di Reggio Emilia. - 4. Conclusioni.
1. Il ricorrente, cittadino uruguayano, esponendo di avere, in data 12/3/2010, contratto matrimonio con un cittadino italiano a Palma di Maiorca (la normativa spagnola consente, dal 2005, la celebrazione del matrimonio anche tra persone dello stesso sesso), ha presentato alla Questura di Reggio Emilia istanza di rilascio della carta di soggiorno, in qualità, appunto, di coniuge di un cittadino italiano. La Questura, con provvedimento del 2/2/2011, ha respinto la richiesta e il cittadino uruguayano ha presentato ricorso al Tribunale di Reggio Emilia, che ha accolto il ricorso e per l’effetto ha annullato il provvedimento della Questura. 2. Il d.lgs. 6/2/2007 n. 30 costituisce attuazione della Direttiva 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Ai sensi dell’Art. 10 d.lgs. 30/2007, i familiari del cittadino dell’Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, trascorsi tre mesi dall’ingresso nel territorio nazionale, richiedono alla Questura competente per territorio di residenza la Carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione. L’art. 10, al comma 3, richiede, per il rilascio della Carta di soggiorno, la presentazione, tra l’altro: a) del passaporto o documento equivalente, in corso di validità; b) di un documento rilasciato dall’autorità competente del Paese di origine o provenienza che attesti la qualità di familiare. 1 Giudice del Tribunale di Torino, sezione 9a civile, sezione che ha competenza anche in materia di diritto dell’immigrazione.
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L’art. 2 d.lgs. 30/2007 contiene la definizione di “familiare”, individuando come tale, in primo luogo: 1) il coniuge; 2) il partner che abbia contratto con il cittadino dell’Unione un’unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l’unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante. Ai sensi dell’art. 23 d.lgs. 30/2007, “le disposizioni del presente decreto legislativo, se più favorevoli, si applicano ai familiari di cittadini italiani non aventi la cittadinanza italiana”. Pertanto, le norme sul rilascio della carta di soggiorno suddetta, se più favorevoli di quelle sul ricongiungimento familiare dettate dal T.U., 286/98, si applicano anche ai familiari extracomunitari dei cittadini italiani, essendo questi ultimi, appunto, cittadini comunitari. Il punto 5 delle Considerazioni preliminari della Direttiva 2004/38/CE afferma: “Il diritto di ciascun cittadino dell’Unione di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri presuppone, affinché possa essere esercitato in oggettive condizioni di libertà e di dignità, la concessione di un analogo diritto ai familiari, qualunque sia la loro cittadinanza. Ai fini della presente direttiva, la definizione di «familiare» dovrebbe altresì includere il partner che ha contratto un’unione registrata, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l’unione registrata al matrimonio”. La Direttiva comunitaria, dunque, collega la libertà e la dignità del cittadino comunitario alla possibilità che siano salvaguardati i suoi legami familiari. E, in linea con le società maggiormente attente alle esigenze di tutela di tali legami, invita le legislazioni degli Stati membri a far rientrare nella definizione di familiare anche il partner che abbia contratto un’unione registrata che possa essere equiparata al matrimonio, a condizione, però, che la legislazione dello Stato membro ospitante riconosca tale equiparazione (in tal modo la Direttiva rispetta l’autonomia delle legislazioni nazionali in tema di disciplina dei rapporti familiari). Si osserva, allora, che, dal momento che la legislazione italiana limita la possibilità di contrarre matrimonio civile alle coppie formate da persone di sesso diverso e non prevede unioni registrate diverse dal matrimonio e comunque intercorrenti tra persone dello stesso sesso, l’interpretazione corrente dell’art. 2 d.lgs. 30/2007 ha finora contemplato l’esclusione del rilascio della carta di soggiorno al partner straniero del cittadino comunitario soggiornante in Italia (o del cittadino italiano), che sia dello stesso sesso di tale cittadino comunitario e sia a lui legato da una unione registrata (equiparata al matrimonio nelle legislazioni di altri Stati dell’Ue).
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Annapaola Specchio
Brevi note sul trattenimento dello straniero nei Centri di identificazione ed espulsione NOTA alla ordinanza della Corte di cassazione, Sezioni unite, del 13 giugno 2012, n. 9596
SOMMARIO: 1. La vicenda. - 2. Il trattenimento dello straniero presso i Cie. - 3. Il risarcimento per ingiusta detenzione. - 4. Conclusioni.
1. Le Sezioni unite della Corte di cassazione 1 chiamate a pronunciarsi su un regolamento di giurisdizione hanno dichiarato la competenza del giudice ordinario a conoscere della domanda risarcitoria proposta dal cittadino extracomunitario che, in attesa della definizione del procedimento di protezione internazionale, assuma essere stato ristretto in condizione di privazione della libertà personale oltre il termine previsto per il trattenimento ed in assenza dell’accoglimento di una richiesta di proroga da parte del giudice competente. Il caso nasce da una domanda di risarcimento danni proposta da un cittadino nigeriano che in pendenza di una procedura di respingimento ed accompagnamento alla frontiera ed in attesa della definizione della domanda di protezione internazionale veniva trattenuto presso il Cpt di Bari Palese, dal 3 maggio al 20 giungo 2008, assumendo che nel periodo dal 2 al 20 giugno 2008 si fosse cristallizzata una condizione di “detenzione illegale”. Le Sezioni unite dopo un excursus della disciplina normativa in materia di immigrazione più volte sottoposta a modifiche e rivisitazioni, rilevando che “gli atti dell’amministrazione che dispongono o richiedono una misura incidente sulla libertà della persona, da un canto sono correlati a previsioni autorizzatorie a carattere tassativo e, d’altro canto, hanno efficacia temporanea ( il primo restringimento) o nessuna efficacia (proroga) senza la valutazione e la decisione del giudice ordinario”, hanno affermato che “non sussi-
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Corte di cassazione, Sezioni unite, ordinanza 9596 del 13 giugno 2012.
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ste alcuna ragione per sottrarre alla giurisdizione ordinaria la cognizione, da parte del giudice competente e nel contraddittorio con l’Amministrazione dell’interno, della domanda risarcitoria per indebita privazione della libertà personale e/o per indebito restringimento in un Centro di trattenimento del migrante” 2. 2. Derivano dalla sentenza di riferimento (seppur diretta a sciogliere il nodo di giurisdizione) due concetti di grande interesse giuridico e sociale da sempre sottesi al giudizio critico dell’opinione pubblica e degli studiosi ma, di fatto, mai realmente conclamati dalla suprema corte. Si tratta da un lato, dell’inquadramento del trattenimento di uno straniero presso un centro di identificazione ed espulsione nell’ambito dell’istituto della detenzione e privazione della libertà personale (in proposito basti ricordare che nel linguaggio comune e per scelta normativa, lo straniero trattenuto in un centro è considerato ‘un ospite’ e non un detenuto) e dall’altro, quale diretta e logica conseguenza, del diritto dello stesso di proporre domanda di riparazione per “ingiusta detenzione” protesa, quindi, alla valutazione di un diritto soggettivo. E proprio il riconoscimento in capo al soggetto interessato di un diritto soggettivo alla richiesta risarcitoria che ha portato le Sezioni unite ad affermare, senza dubbio alcuno, la competenza a decidere del ‘giudice dei diritti’ ex. art. 103 Cost. In proposito è interessante accennare alla questione connessa al riparto di giurisdizione in materia di responsabilità da fatto illecito della Pubblica amministrazione 2 e richiamare la storica sentenza delle Sezioni unite n. 500/99 3 che ha riconosciuto la risarcibilità del danno non solo da lesione del diritto soggettivo ma, altresì, da lesione di un interesse legittimo, comunque, meritevole di tutela nell’ordinamento giuridico. Dal punto di vista poi della giurisdizione, la Suprema corte ha ritenuto che la controversia debba, in linea di principio, essere devoluta
2 Per una approfondita analisi, F. CARINGELLA e M. PROTTO (opera diretta da), La Responsabilità civile della Pubblica Amministrazione, Bologna, 2009. 3 Corte di cassazione, Sezioni unite, sentenza 22 luglio 1999, n. 500 generatrice dello storico principio secondo cui “La lesione di un interesse legittimo, al pari di quella di un diritto soggettivo o di altro interesse (non di mero fatto ma) giuridicamente rilevante, rientra nella fattispecie della responsabilità aquiliana solo ai fini della qualificazione del danno come ingiusto. Ciò non equivale certamente ad affermare la indiscriminata risarcibilità degli interessi legittimi come categoria generale. Potrà infatti pervenirsi al risarcimento soltanto se l’attività illegittima della P.A. abbia determinato la lesione dell’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo, secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega, e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell’ordinamento. In altri termini, la lesione dell’interesse legittimo è condizione necessaria, ma non sufficiente, per accedere alla tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c., poiché occorre altresì che risulti leso, per effetto dell’attività illegittima (e colpevole) della P.A., l’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo si correla, e che il detto interesse al bene risulti meritevole di tutela alla luce dell’ordinamento positivo”.
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Chiara Gabrielli
Sulla natura legislativa delle regole sui poteri coercitivi delle guardie di frontiera, in quanto materia sensibile ai diritti fondamentali COMMENTO alla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 5 settembre 2012, causa C-355/10
SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. L’attuazione della procedura di “regolamentazione con controllo” per l’adozione di misure di attuazione del Codice frontiere Shengen. - 3. Analisi della sentenza. 4. Segue: la riserva del legislatore dell’Unione nella materia. - 5. Conclusioni.
1. Su ricorso del Parlamento europeo, la Corte di giustizia ha annullato la decisione esecutiva del Consiglio dell’Unione in materia di operazioni coordinate dall’Agenzia Frontex 1 (d’ora in avanti: decisione 2010/252/UE)2, richiedendo l’adozione di un nuovo atto con diversa procedura decisionale, ma conservando nel frattempo in vigore gli effetti della decisione annullata. Si tratta di una sentenza che potenzia l’importanza di una tappa fondamentale nella ricerca di un modus operandi rispettoso del diritto alla vita dei migranti in pericolo e del diritto di non respingimento dei richiedenti asilo. Il significato politico-istituzionale della sentenza in commento riguarda, da un lato, la piena e definitiva assunzione da parte del Parlamento europeo della responsabilità delle funzioni legislative ed esecutive nelle politiche comuni dell’immigrazione, delle frontiere e dell’asilo; dall’altro, la definizione di una sorta di “riserva” per i due co-legislatori dell’Unione in aspetti di tali politiche che sono particolarmente sensibili ai diritti fondamentali. 1
V. G. CAGGIANO, Attività e prospettive di intervento dell’Agenzia FRONTEX nel Mediterraneo, in E. TRIGGIANI (a cura di), Europa e Mediterraneo, Le regole per la costruzione di una società integrata, Atti del XIV Convegno della SIDI, Napoli, 2010, p. 40 ss; S. TREVISANUT, Immigrazione irregolare via mare, diritto internazionale e diritto dell’Unione europea, Napoli, 2012, p. 297 ss. 2 Decisione 2010/252/UE del Consiglio, del 26 aprile 2010, che integra il Codice frontiere Schengen per quanto riguarda la sorveglianza delle frontiere marittime esterne nel contesto della cooperazione operativa coordinata dall’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea, in GUUE L 111, del 4 maggio 2010, p. 20.
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Rassegna di giurisprudenza annotata e commentata
Il principale interesse giuridico consiste invece nello “smascheramento” di un atto formalmente di carattere esecutivo, ma dotato delle caratteristiche sostanziali di un atto legislativo, in quanto contenente “regole relative all’attribuzione di poteri coercitivi alle guardie di frontiera (…) che rientrano nelle responsabilità proprie del legislatore dell’Unione”3, anche perché “(…) permettono ingerenze talmente incisive nei diritti fondamentali delle persone coinvolte da rendere necessario l’intervento del legislatore dell’Unione”4. Il ricorso presentato dal Parlamento europeo non riguardava il contenuto della decisione 2010/252/UE 5, ma la divisione delle competenze inter-istituzionali per lo sviluppo e le modifiche del Codice frontiere Schengen (d’ora in avanti: CFS)6; in particolare la violazione della divisione di competenze legislative o esecutive in “materie essenziali” del regolamento CFS, che avrebbe comportato l’adozione della procedura legislativa ordinaria (Parlamento europeo e Consiglio). La decisione 2010/252/UE era stata adottata dal Consiglio (legislatore unico del Codice medesimo adottato prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona), a seguito di avocazione del potere delegato alla Commissione (procedura “regolamentazione con controllo”, ex art. 5 bis, seconda decisione comitologia)7. In discussione era il carattere “non essenziale” delle misure adottate in quanto criterio di legittimità della procedura di adozione di misure a carattere esecutivo; al contrario le misure a carattere “essenziale” rientrano nella competenza esclusiva del legislatore dell’Unione. Le questioni giuridiche sollevate riguardano la definizione dei poteri e degli obblighi degli Stati partecipanti alle operazioni Frontex: a) in relazione al controllo delle frontiere marittime (Parte I dell’allegato)8; b) per quanto attiene alla ricerca e salvataggio (Parte II)9. 3
Sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 5 settembre 2012, causa C-355/10, punto 76. 4 Ivi, punto 77. 5 Per la sua analisi rinviamo al nostro articolo, L’obbligo di salvataggio in mare nelle attività dell’Agenzia Frontex secondo la decisione del Consiglio dell’Unione, in questa Rivista, 1/2010, pp. 95-102. 6 Regolamento n. 562/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone, in GUL 105, p. 1. 7 Decisione 2006/512/CE del Consiglio, del 17 luglio 2006, che modifica la decisione 1999/468/CE recante modalita per l’esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione, in GUL 200, p. 11. In argomento, v. G. CAGGIANO, Il consolidamento della disciplina delle misure di esecuzione e della comitologia a trattato invariato, in SIE, 3/2006, pp. 505-24, spec. 520 ss. 8 Parte I dell’allegato alla decisione 2010/252/UE, cit., “Regole per le operazioni alle frontiere marittime coordinate dall’Agenzia”. 9 Parte II dell’allegato alla decisione 2010/252/UE, cit., “Orientamenti per le situazioni di ricerca e soccorso e per lo sbarco nell’ambito di operazioni alle frontiere marittime coordinate dall’Agenzia”.
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Rassegna di studi e giurisprudenza quadrimestrale Comitato di valutazione I contributi proposti per la pubblicazione sono sottoposti alla revisione di due membri del Comitato scientifico per la valutazione, scelti dalla Direzione sulla base dell’oggetto trattato dal contributo pervenuto. Il Comitato scientifico per la valutazione è suddiviso in tre aree di pertinenza (area privatistica; area pubblicistica; area internazionalistica e di diritto europeo). L’attribuzione ai valutatori avverrà rispettando l’anonimato sia degli autori che dei valutatori. In ciascun fascicolo della rivista sarà pubblicato l’elenco dei valutatori coinvolti, seguendo unicamente l’ordine alfabetico. In caso di parere discorde da parte dei valutatori la decisione in merito alla pubblicazione verrà adottata dalla Direzione. Ai fini della pubblicazione, all’autore è richiesto di adeguare il contributo considerando, anche criticamente, le considerazioni svolte dai valutatori. La Direzione si assume la responsabilità scientifica dell’intervenuta rielaborazione del contributo a seguito delle considerazioni svolte dai due valutatori. Resta facoltativa la sottoposizione a referees dei contributi quando l’autore sia docente di chiara fama. La Direzione può inoltre ammettere alla pubblicazione note a sentenza per decisioni che ritenga meritevoli di immediato commento. AREA PRIVATISTICA Edoardo Ales, Luigi Balestra, Guido Biscontini, Donato Carusi, Raffaele Caterina, Michele Comenale Pinto, Barbara De Donno, Maria Vita De Giorgi, Riccardo Del Punta, Angelo Dondi, Gilda Ferrando, Vincenzo Ferrante, Giampaolo Frezza, Emanuela Giacobbe, Francesca Giardina, Andrea Giussani, Leonardo Lenti, Paolo Pascucci. AREA PUBBLICISTICA Gregorio Arena, Stefano Battini, Andrea Carinci, Giuseppe Cipolla, Pierluigi Consorti, Giovanni Cordini, Cecilia Corsi, Antonio D’Aloia, Adriano Di Pietro, Luciano Eusebi, Silvio Gambino, Adriana Gardino, Silvia Larizza, Stelio Mangiameli, Enrico Marzaduri, Maurizio Oliviero, Salvatore Prisco, Mario Ricca, Silvio Riondato, Marco Ruotolo, Aldo Sandulli, Sandro Staiano. AREA INTERNAZIONALISTICA E DI DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA Maria Caterina Baruffi, Enzo Cannizzaro, Giuseppe Cataldi, Luigi Daniele, Patrizia De Pasquale, Costanza Honorati, Monica Lugato, Luigi Mari, Paola Mori, Claudia Morviducci, Francesco Munari, Lina Panella, Ornella Porchia, Francesco Seatzu, Ennio Triggiani.
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Studio immigrazione s.a.s, editrice di questa Rivista, è una società costituita nel dicembre 2003 a Viterbo per iniziativa del dott. Raffaele Miele, già dirigente della Polizia di Stato e della CCIAA di Viterbo, oggi giornalista pubblicista. La Società svolge a livello nazionale ed internazionale attività di editoria, consulenza per gli enti pubblici, associazioni e privati, ricerca e formazione in materia di immigrazione. Formazione a distanza (sincrona) Seminari e corsi trasmessi in diretta WebTV interattiva, con eventi accreditati (CF) dal Consiglio Nazionale del Notariato e dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili. Formazione co finanziata da Fondoprofessioni per dipendenti degli studi notarili e commercialisti. In www.formazionewebtv.it Pubblicazioni internet La rivista professionale Immigrazione.it nel sito www.immigrazione.it una risorsa quindicinale in abbonamento che offre ai lettori anche la banca dati della giurisprudenza di settore con oltre 4.600 decisioni ed il Codice dell’immigrazione, una raccolta organica della legislazione di settore costantemente aggiornata e ricca di numerosissimi collegamenti ipertestuali. Il quotidiano ImmigrazioneOggi nel sito www.immigrazioneoggi.it notizie quotidiane tradotte in 50 lingue, eventi ed approfondimenti sulle leggi e sulle politiche italiane ed europee, interviste video ad esponenti delle istituzioni e personaggi dello spettacolo, della cultura e dello sport, servizi video per conoscere le principali comunità straniere in Italia, un servizio di consulenza giuridica gratuita per rispondere alle domande dei lettori.
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