GLI STRANIERI

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ISSN 1720-4402

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numero 3.2010 anno XVII

Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – 70% Viterbo Aut. C/VT/069/2010

Rivista quadrimestrale

Rassegna di studi e giurisprudenza

in questo numero

Nicola Fiorita, Chiara Gabrielli, Enza Pellecchia, Annapaola Specchio, Enrico Cesarini, Valeria Piergigli, Angela Silvestrini, Alessandro Valentini, Lorenzo Rocca, Thomas Tassani, Lorenzo Balestra, Matteo Gnes, Martina Guidi, Maria Lughezzani, Gianluca Varraso



numero 3.2010 anno XVII

Rassegna di studi e giurisprudenza

Foto di copertina: © Elena Romeo, Una nuova società sta già nascendo. Dalla prima edizione del concorso fotografico nazionale Identità e culture di una Italia multietnica organizzato da Progetto ImmigrazioneOggi Onlus.


Rassegna di studi e giurisprudenza quadrimestrale Comitato scientifico Paolo Benvenuti, Università Roma Tre Luciano Eusebi, Università Cattolica del Sacro Cuore Gilda Ferrando, Università di Genova Adriano Giovannelli, Università di Genova Bruno Nascimbene, Università di Milano Sandro Staiano, Università di Napoli Direzione Giandonato Caggiano, Università Roma Tre Aristide Canepa, Università di Genova Paolo Morozzo della Rocca, Università di Urbino Fondatore e direttore responsabile Raffaele Miele Comitato di redazione Roberta Bonini, Chiara Gabrielli, Matteo Marchini, Ilaria Ottaviano Segreteria di redazione Sabrina Manfredi e-mail: redazione@glistranieri.it Progetto grafico e impaginazione Massimo Giacci Redazione e amministrazione Studio immigrazione sas Via del Giglio, 3 - 01100 Viterbo Tel. 0761 326685 - Fax 0761 290507 www.studioimmigrazione.it e-mail: amministrazione@studioimmigrazione.it Editore e proprietario della testata Studio immigrazione sas

ISSN 1720-4402 Registrazione Tribunale di Viterbo, n. 406 del 20 marzo 1994 Gli articoli firmati esprimono il pensiero dell’Autore e non impegnano la Rivista.


Sommario

Articoli Nicola FIORITA Credere dietro le sbarre: libertĂ religiosa ed uguaglianza in carcere

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Chiara GABRIELLI Il diritto alla salute degli stranieri irregolari tra diritto costituzionale e diritto internazionale

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Enza PELLECCHIA Quanto vale la vita di un immigrato? Un banco di prova per il sistema dei nuovi danni non patrimoniali

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Annapaola SPECCHIO Apolidi o cittadini? Il caso dei cittadini della ex-Jugoslavia

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Commenti Enrico CESARINI La strategia europea ed i fondi comunitari nel settore delle politiche migratorie e dell’integrazione.

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Valeria PIERGIGLI Stranieri censiti: persone o fantasmi?

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Angela SILVESTRINI e Alessandro VALENTINI Gli immigrati e il sistema elettorale: il loro ruolo nella distribuzione geografica dei seggi alle elezioni politiche e il caso delle amministrative comunali

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Lorenzo ROCCA Requisiti linguistici ed integrazione

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Thomas TASSANI Requisito reddituale e rilascio del permesso di soggiorno

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Sommario

Rassegna di giurisprudenza annotata e commentata Lorenzo BALESTRA L’optio legis di cui all’Art. 30 L. 218/1995: l’annotazione in margine dell’atto di matrimonio tra coniugi stranieri 131

Nota al decreto del Tribunale di Saluzzo, 10 - 11 agosto 2010

Matteo GNES L’applicazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo al procedimento di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno Nota alle sentenze del Consiglio di Stato, Sez. VI, 15 giugno 2010, n. 3760 e 13 settembre 2010, n. 6566

141

Martina GUIDI Sulle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato a un apolide palestinese Nota alla sentenza della Corte di giustizia dell’UE 17 giugno 2010 (causa C-31/09, Nawras Bolbol)

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Maria LUGHEZZANI Inerzia datoriale e avvio al lavoro dei cittadini extra Ue Nota alla sentenza della Corte di Cassazione, Sezione I Civile n. 18912 del 31 agosto 2010

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Gianluca VARRASO Il rispetto dei diritti fondamentali dello straniero e il principio della doppia punibilità: tra estradizione e mandato d’arresto europeo Nota alle sentenze Cass. pen., sez. VI, 3 settembre 2010, n. 32685, Pres. Agrò – Rel Ippolito – Imp. S.N.; Cass. pen., sez. fer., 27 agosto 2010, n. 32372, Pres. Esposito, Rel. Fazio.

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Articoli



Nicola Fiorita *

Credere dietro le sbarre: libertà religiosa ed uguaglianza in carcere SOMMARIO: 1. Diritto, religione e prigione. - 2. Diritto, religioni e prigione nell’Italia di oggi. - 3. L’Islam in prigione. - 4. Diritto, religioni e prigione nell’Italia di domani.

1. La disciplina giuridica dell’assistenza spirituale in carcere ha resistito senza particolari difficoltà al passare del tempo e ai cambiamenti di regime che hanno scandito la storia dello Stato nazionale. Per la verità, la continuità è una caratteristica abbastanza ricorrente in quella particolare disciplina della scienza giuridica che va sotto il nome di Diritto ecclesiastico, che per l’appunto ha conosciuto, nel corso di questi primi centocinquanta anni di vita dello Stato unitario, la realizzazione di grandi trasformazioni di principio a cui hanno sempre fatto da contraltare insuperabili resistenze, o rinnovamenti di mera facciata, nella regolamentazione di dettaglio dei singoli istituti (finanziamento delle confessioni religiose, insegnamento della religione nella scuola pubblica e via dicendo). Nel caso specifico di nostro interesse, se pure nel corso dei decenni alcune norme scompaiono, se periodicamente nuove disposizioni si aggiungono, se le riforme dell’ordinamento penitenziario si sovrappongono al rinnovamento delle fonti di regolamentazione del fenomeno religioso, se finanche le motivazioni di fondo poste alla base della presenza della religione in carcere subiscono modificazioni radicali, l’impianto originario della disciplina pre-unitaria giunge fino ai giorni nostri mantenendo comunque intatti alcuni significativi capisaldi. Già la legislazione liberale, che pure interviene in forma significativa in molti settori del diritto ecclesiastico riducendo progressivamente il grado di confessionismo del Regno, non incide in maniera apprezzabile in ordine alla regolamentazione giuridica della libertà religiosa all’interno degli istituti di pena 1. Il regolamento generale per gli stabilimenti carcerari (r.d., n. 260, del 1º febbraio del 1891) rende infatti obbligatorie le pratiche religiose, mentre nessun rilievo viene assegnato al diritto individuale di libertà religiosa, tanto meno nel suo risvolto ne-

* 1

Università della Calabria, Associato di diritto canonico ed ecclesiastico C. CARDIA, Ateismo e libertà religiosa, Bari, 1973, p. 36.

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gativo, quale diritto di non avere alcuna credenza. Ma quel che qui conta è che l’intera regolamentazione si snoda a partire dal riconoscimento di un valore sociale della religione – beninteso, della sola religione cattolica – cui si attribuiva capacità di conforto dei detenuti e di recupero della devianza. La presenza del personale cattolico all’interno del carcere, dunque, serviva unicamente ad agevolare il raggiungimento di finalità proprie dell’ordinamento temporale (controllo, disciplina, reinserimento) che solo casualmente ed episodicamente potevano coincidere con gli interessi dell’organizzazione confessionale o dei singoli detenuti. Con il passaggio al regime fascista si assiste semplicemente ad un irrigidimento di questa prospettiva, di per sé già in linea con i valori totalitari e confessionisti del nuovo sistema, così che aumenta d’intensità la strumentalizzazione della religione da parte dell’apparato carcerario 2 e diviene completa l’immedesimazione tra i fini propri dello Stato e gli interessi di una sola religione. Emblematicamente, l’Art. 142 del regolamento penitenziario del 1931 disponeva che “ogni stabilimento ha un oratorio per il culto e almeno un cappellano per l’esercizio di tale culto. I detenuti, che al momento dell’ingresso allo stabilimento non hanno dichiarato di appartenere ad altra confessione religiosa, sono obbligati a seguire le pratiche collettive del culto cattolico”. Ed ancora, “Le preghiere, durante le funzioni religiose, sono fatte mentalmente e pronunciate dal solo cappellano e dai detenuti che, su proposta di lui, siano stati a ciò autorizzati dalla direzione”. Nel carcere fascista come in quello liberale l’esercizio del culto dipendeva non dal sentire individuale ma dalla benevolenza dell’amministrazione penitenziaria e del cappellano. A questi venivano affidati i compiti più impropri: controllare la corrispondenza dei detenuti, occuparsi della biblioteca, impartire l’istruzione, partecipare al consiglio di disciplina e via dicendo. La molteplicità e la varietà delle mansioni attribuite al cappellano comprovano che l’intento del legislatore fascista non era quello di garantire l’assistenza religiosa secondo il culto cattolico ai detenuti che lo desiderassero, quanto quello di coinvolgere il clero a pieno titolo (dal trattamento alla rieducazione, dalla sorveglianza alla custodia, dalle ricompense alle punizioni) nella realizzazione dei fini generali della istituzione carceraria 3. I valori di libertà ed uguaglianza religiosa contenuti in Costituzione, così come la nuova visione della pena e del reo, sembravano imporre una rivoluzione

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Cfr. S. ZAMBELLI, La religione nel sistema penale e tra le mura del carcere, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 2/2001, p. 469. 3 N. COLAIANNI, La riforma dell’ordinamento penitenziario del personale di assistenza religiosa dell’amministrazione penitenziaria, in Dir. eccles., 1/1983, p. 206 ss.

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Chiara Gabrielli

Il diritto alla salute degli stranieri irregolari tra diritto costituzionale e diritto internazionale SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. I principi della Corte costituzionale in materia. - 3. La sentenza n. 269/2010 della Corte costituzionale sulla legge della Toscana. - 4. La sentenza n. 299/2010 sulla legge della Puglia. - 5. Il Testo unico sull’immigrazione e l’introduzione della contravvenzione di clandestinità. - 6. La tutela della salute dei migranti nel diritto internazionale convenzionale e negli atti internazionali. - 7. La competenza di sostegno, coordinamento e completamento dell’Unione europea e la classificazione della legislazione degli Stati membri in materia. - 8. Atti e convenzioni del Consiglio d’Europa. - 9. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani. - 10. Conclusioni.

1. Due recenti sentenze della Corte costituzionale sollecitano una riflessione sistematica sul diritto alla salute degli stranieri irregolari nell’ordinamento italiano e nel diritto internazionale. La tesi di questo lavoro è che il diritto alla salute abbia la duplice natura di diritto fondamentale costituzionale e di diritto umano senza alcun possibile collegamento con la regolarità del soggiorno dello straniero. Come dice Amartya Sen 1, potremmo forse parlare più propriamente di diritto di accesso alle cure, considerato che purtroppo non v’è modo di assicurare che ognuno possa vivere in buona salute e che, nel processo giuridico-decisionale, può rientrare solo l’assistenza sanitaria e non lo stato di salute delle persone. Nel riconoscere la salute come un diritto, le Nazioni Unite manifestano l’impegno di tutti gli Stati membri a garantire il “diritto umano al più alto livello possibile di salute” 2. Secondo la Costituzione (art. 32), quello in parola è un diritto primario assoluto, che comprende l’accesso ad un nucleo essenziale di cure. Nell’interpretazione della Corte costituzionale, oltre alle cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti per malattia/infortunio ed ai programmi di medicina preventiva (vacci-

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Why and how is health a human right?, in The Lancet, vol. 372, n. 9655, p. 2010 (13 December 2008), disponibile on line su: http://nrs.harvard.edu/urn-3:HUL.InstRepos:3124128. 2 Infra, par. 6.

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nazioni), vi rientrano l’assistenza farmaceutica e la scelta del medico di fiducia. Secondo la tutela internazionale dei diritti umani, si tratta di un valore fondamentale della persona, indisponibile alla volontà degli Stati, a carattere assoluto, in quanto non ammette deroghe (ad esempio per motivi di sicurezza). L’esistenza di una consuetudine a riguardo si può rilevare tramite l’analisi di atti e convenzioni internazionali 3. Di grande rilievo appare anche la giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani, secondo cui il diritto alla salute 4 è una componente della tutela da trattamenti disumani e degradanti (art. 3 Cedu) e del diritto alla vita (art. 2 Cedu) 5. Occorre tuttavia ricordare che gli Stati membri dell’Unione europea riconoscono il diritto umano di accesso alle cure da parte dei migranti irregolari in maniera disomogenea e senza uno standard comune 6. Pertanto, se la protezione del diritto alla salute offerta dall’art. 32 della Costituzione non fosse adeguata (anche solo in una ipotesi di scuola), si renderebbe applicabile l’art. 10, primo comma della stessa 7, che impone l’adeguamento automatico dell’ordinamento interno alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute 8. 2. Con le sentenze n. 269 del 22 luglio e n. 299 del 22 ottobre del 2010, la Corte si è pronunciata sul conflitto di attribuzione tra Stato e regioni, ai sensi dell’art.

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Infra, paragrafi 6 e 8. Nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Cedu) il diritto alla salute non è tutelato da apposita norma, ma dall’interpretazione evolutiva della Corte europea dei diritti umani. 5 Infra par. 9. 6 Infra par. 7. 7 Ad esempio, in una sentenza del 2008 (n. 306), la Corte ha stabilito l’illegittimità del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, nella parte nelle quale escludeva l’erogazione dell’indennità di accompagnamento a favore dello straniero in gravi condizioni di salute, seppur stabilmente e regolarmente presente nel territorio nazionale, per violazione, tra l’altro, dell’art. 10 comma 1 della Costituzione. La disposizione in parola infatti si sarebbe posta in contrasto, oltre che con gli artt. 2, 3, 32 e 38 Cost., anche con le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute a favore degli stranieri. Afferma la Corte che: “(...) la normativa censurata viola l’art. 10, primo comma, della Costituzione, dal momento che tra le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute rientrano quelle che, nel garantire i diritti fondamentali della persona indipendentemente dall‘appartenenza a determinate entità politiche, vietano discriminazioni nei confronti degli stranieri (...)”. 8 Il primo comma dell’art. 10 della Costituzione “concerne esclusivamente i principi generali e le norme di carattere consuetudinario (....), mentre non comprende le norme contenute in accordi internazionali che non riproducano principi o norme consuetudinarie del diritto internazionale”, v. sentenza della Corte costituzionale n. 349 del 2007. 4

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Enza Pellecchia *

Quanto vale la vita di un immigrato? Un banco di prova per il sistema dei nuovi danni non patrimoniali SOMMARIO: 1. Il problema. - 2. La condizione giuridica dello straniero: la progressiva erosione della clausola di reciprocità. - 3. Il danno non patrimoniale da uccisione di un congiunto straniero: legittimazione all’azione. - 4. Segue: quantificazione del danno.

1. “Volevamo braccia, sono arrivate persone”: la celebre lapidaria constatazione formulata da Max Frisch con riguardo all’impatto dell’immigrazione in Svizzera si presta molto bene, su un piano più generale, a descrivere lo sfondo problematico in cui si collocano alcune questioni giuridiche che, ormai acclarate in relazione al cittadino italiano, sono invece oggetto di discussione rispetto allo straniero. Da questo punto di vista, il tema del risarcimento del danno alla persona – e in particolare dei danni non patrimoniali e dei soggetti legittimati a domandarne il risarcimento in caso di morte dello straniero – rappresenta per più versi una sfida per l’interprete. La lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. ha segnato, com’è noto, una svolta nella ricostruzione del sistema della tutela risarcitoria dei danni alla persona 1: l’emancipazione dell’art. 2059 c.c. dalla sudditanza all’art. 185 c.p. – dal momento che il reato non costituisce più l’unico strumento di tipizzazione del danno non patrimoniale – ha determinato una riformulazione del concetto stesso di danno non patrimoniale, che oggi comprende ogni conseguenza pregiudizievole di natura non patrimoniale derivante dalla lesione di valori inerenti alla persona, includendo il danno biologico, il danno morale, nonché il danno derivante dalla lesione di altri interessi di rango costituzionale ed inviolabile 2.

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Università di Pisa. Associato di diritto privato. La letteratura sul punto è ormai vastissima: v. per tutti E. NAVARRETTA, I danni non patrimoniali nella responsabilità extracontrattuale, in I danni non patrimoniali. Lineamenti sistematici e guida alla liquidazione, a cura di E. NAVARRETTA, Milano, 2004, 3 ss.. 2 Cass. 31 maggio 2003, nn. 8827 e 8828, in Foro it., 2003, I, 2272. 1

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L’art. 2059 c.c. conserva dunque la sua impostazione tipizzante (con una radicale differenza rispetto all’atipicità dell’illecito che caratterizza l’art. 2043 c.c.) ma non tassativa: si tratta piuttosto di una tipicità di tipo “evolutivo”, che trova nel collegamento con l’art. 2 Cost. il meccanismo che – grazie alla “capacità espansiva autopoietica” del genus diritti inviolabili 3 – consente la ponderata risposta del sistema alle istanze di protezione degli interessi della persona emergenti dalla società. È infatti da escludere che la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. si traduca nell’incondizionato riconoscimento del risarcimento dei danni non patrimoniali a tutela di qualunque interesse di fonte costituzionale. La tutela spetterà non a tutti i diritti garantiti dalla Costituzione, bensì solo ai diritti inviolabili della persona, cioè “diritti assolutamente primari e perciò intangibili nel loro nucleo assiologico sia da parte di qualsiasi soggetto privato (…) sia da parte di qualsiasi potere costituito (pubblico o privato)” 4: le libertà fondamentali (la libertà personale, la libertà sessuale, di circolazione e soggiorno, di domicilio e corrispondenza, di riunione e associazione; di manifestazione del pensiero e di opinione); i diritti della personalità morale; il diritto alla vita e alla salute; i diritti che attengono ai rapporti familiari; più in generale tutte le espressioni della protezione riservata al valore della dignità umana e dello sviluppo della personalità. Ma a questo “nuovo sistema dei danni non patrimoniali” ha accesso anche lo straniero? Il quesito è complesso: nella risposta si intrecciano questioni che riguardano la ricostruzione della condizione giuridica dello straniero, l’interpretazione della clausola di reciprocità di cui all’art. 16 delle disposizioni preliminari al codice civile, l’individuazione dei diritti fondamentali, l’incidenza della condizione di regolarità o irregolarità dello straniero, l’estensione della protezione risarcitoria ai familiari, la rilevanza della residenza in Italia o all’estero di costoro, i parametri per la quantificazione del risarcimento del danno. Tutte queste questioni sono riconducibili ad un unico interrogativo che è di per sé una provocazione. Volevamo braccia, sono arrivate persone: quanto “valgono” – per il nostro sistema di responsabilità civile – queste persone? Dopo la rivolta del ghetto di Detroit nel 1967, il reverendo Albert Cleage osservò: “l’uomo nero è un test d’intelligenza per l’uomo bianco”. Non è azzardato affermare che, a suo modo, la questione della risarcibilità del danno alla persona dello straniero sia un test di verifica della coerenza del sistema dei nuovi danni non patrimoniali.

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E. NAVARRETTA, op. cit., 22. A. BALDASSARRE, Diritti inviolabili, in Enc. Giur. Treccani, XI, Roma, 1989, 29.

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Annapaola Specchio

Apolidi o cittadini? Il caso dei cittadini della ex-Jugoslavia SOMMARIO: 1. Il caso della ex-Jugoslavia ed i Rom. - 2. Gli strumenti di diritto internazionale in materia di nazionalità connessa alla successione degli Stati. - 3. L’apolidia: tra diritto e giurisprudenza. - 4. I diritti e le obbligazioni derivanti dallo status di apolide.

1. I mutamenti nei territori degli Stati possono essere determinati da diversi fattori che, normalmente, conducono al trasferimento di una parte del territorio di uno Stato ad un altro, alla formazione di uno o più Stati nuovi o all’estinzione di uno o più Stati preesistenti. A seconda dei casi, si configureranno le seguenti categorie di fenomeni: l’unificazione (o fusione) di uno o più Stati (ipotesi questa in cui gli Stati preesistenti si estinguono formandone uno nuovo); la dissoluzione (o smembramento) che comporta l’estinzione dello Stato preesistente e la creazione di uno o più Stati nuovi; l’incorporazione (o annessione) che comporta l’estensione dell’autorità di uno Stato preesistente al territorio di un altro Stato, che si estingue 1. Le guerre jugoslave avvenute tra il 1991 ed il 1995 e conclusesi con la firma degli accordi di Dayton 2, hanno portato alla dissoluzione della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia ed alla creazione degli Stati indipendenti di Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzergovina (con la creazione di due entità interne: la Federazione croato-musulmana – 51% del territorio – e la Repubblica Srpska – 49% del territorio), Serbia e Montenegro. La formazione dei nuovi Stati – insieme a tutte le conseguenze amministrative, politiche e sociali che ne conseguono – ha inciso in maniera particolarmente rilevante in materia di cittadinanza,

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M. GIULIANO, T. SCOVAZZI, T. TREVES, Diritto internazionale, Parte Generale, Milano, 1991, pp. 105-108. 2 Si tratta degli accordi di pace stipulati a Dayton, Ohio, tra il 1 ed il 26 novembre 1995, firmati a Parigi il 14 dicembre 1995. La conferenza di pace fu guidata dal mediatore americano Richard Holbrooke, assieme all’inviato speciale dell’Unione Europea Carl Bildt e al Viceministro degli esteri della Federazione Russa Igor Ivanov.

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soprattutto, nei confronti di tutti coloro che, come gli appartenenti all’etnia Rom, non hanno potuto accedere alle trasformazioni da essa derivanti. Le motivazioni sono legate a diversi aspetti che, tuttavia, sono tra essi fortemente interdipendenti. Uno dei problemi cardine è l’assenza delle registrazioni delle nascite che a cascata ha determinato e determina l’impossibilità di ottenere un documento identificativo e quindi, tra l’altro, di accedere ai servizi base 3. Dall’altra parte, per-

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L. CAMERON, The right to Identity, reperibile on line sul sito internet www.errc.org, 2004 dove si legge che “At the end of 2001, over 39% of Roma in Serbia, (…) were not in possession of the basic Serbian identification document (…). In addition, more then half of all Roma in Serbia are not citizens or are stateless. It is not know how many Roma are registered as citizens yet lack citizenship altogether. Nevertheless, the high percentage of Roma without identification is cause for concern. Without personal identification, individuals cannot access essential government services such as education, health and social welfare”. In particolare, sul punto delle registrazioni anagrafiche il documento rileva come la difficoltà di accesso può essere determinata da vari fattori: da un lato, l’assenza di documenti in capo ai genitori impedisce di potere registrare i figli; dall’altro, il fatto che i parti, spesso, avvengano in casa anche per carenze economici che impediscono di sostenere le spese in ospedale; e poi ancora, la giovane età dei genitori e, quindi, della mancanza di un percorso di responsabilizzazione genitoriale anche burocratico. Specificatamente, si legge nel documento che “when a child is born in hospital, the hospital informs the local Birth registry office of the facto f the birth. Within 30 days of the birth of a child, parents must go to the municipal Birth Registry Office with the release paper from the hospital (a form indicating the details of the birth, including location of birth and identity of parents) and their own personal identification document to register the child. (…) The biggest problem for Roma is that many Romani children are not born in hospital, either because the parents do not have a health card or because they cannot afford to pay the minimal hospital fees required. This means that no state institution receives notice automatically of the child’s birth. A relatively high percentage of Romani parents are very young and are unaware of the necessary procedures of the importance of registering the birth of their children, hence many children born at home are not registered. (…) From a rights perspective, citizenship documents seem to be a ticket to the protection the state can offer. Inasmuch as they are proof of citizenship, documents are symbol of citizenship – of participation in the state. Citizenship itself entails rights and obligations. The fact that Roma do not possess documents is symptomatic of a broader problem that can only be resolved when the government encourages and facilitates the engagement of Roma which is more likely to lead to Roma in turn engaging with the authorities to claim their rights”. Sul punto vedere anche P. PRETTITORE, Exercise of Fundamental Rights by the Roma of Bosnia and Herzegovina: access to personal documents and the right to Housing, reperibile on line sul sito internet www.errc.org, 2004 , dove si legge “Roma in post-war Bosnia and Herzegovina face numerous difficulties in exercising the full range of fundamental human rights guaranteed under the BiH Constitution. These difficulties have been exacerbated by the displacement of about 2 million people, among them large number of Roma, during the conflict in BiH in 1992-1995. Of particular concern are issues regarding property rights and access to personal documents. (…) The lack of personal documents has led to the exclusion of many Roma from fundamental political and social rights such as the right to vote, to have access to health care, etc.. both illiteracy and discrimination by public officials add to the problem. Because of illiteracy, many Roma are unaware of the steps necessary to obtain documents, nor can they fill out the nec-

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Enrico Cesarini

La strategia europea ed i fondi comunitari nel settore delle politiche migratorie e dell’integrazione SOMMARIO: 1. Presentazione. - 2. Lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia europeo ed i tre programmi quadro 2007–2013. - 3. Il programma generale SOLID. - 4. I quattro fondi europei SOLID. - 5. Il Fondo europeo per l’integrazione dei cittadini di paesi terzi. - 6. Il quadro europeo sulle politiche di integrazione dei cittadini stranieri.

1. Il presente lavoro è mirato a fornire un quadro sul programma comunitario Solidarietà e gestione dei flussi migratori 2007–2013, finalizzato a supportare la promozione dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia, ed approfondisce, in particolare, gli elementi distintivi del Fondo europeo per l’integrazione dei cittadini di paesi terzi ed il quadro normativo europeo a sostegno dei processi di integrazione. 2. L’Unione europea ha istituito per il periodo 2007-2013 tre programmi quadro di finanziamento finalizzati a fornire un supporto coerente ed organico per la realizzazione di un comune Spazio di libertà, sicurezza e giustizia (SLSG) 1. I tre obiettivi chiave dello SLSG – promuovere e tutelare la libertà, la sicurezza e la giustizia – vengono sostenuti parallelamente ed in modo organico, con l’obiettivo di garantire un approccio bilanciato e basato sul rispetto della democrazia, dei diritti fondamentali e dello stato di diritto. I tre obiettivi citati sono supportati rispettivamente, per il periodo 2007-2013,

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V. art. 3, par. 2 del Trattato sull’Unione europea: “L’Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l’asilo, l’immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest’ultima”, (versione consolidata del TUE, in GUUE del 30 marzo 2010). V. altresì il titolo V del “Trattato sul funzionamento dell’Unione europea” nel quale vengono disciplinate le disposizioni generali, i principi e gli ambiti di cooperazione dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Per un approfondimento organico in merito si veda G. CAGGIANO, L’evoluzione dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia in un’Unione di diritto, in Studi sull’integrazione europea, 2007, p.335 ss.

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da tre programmi quadro comunitari: Sicurezza e tutela delle libertà 2, Diritti fondamentali e Giustizia 3, Solidarietà e Gestione dei Flussi Migratori (SOLID) 4. Ciascuno di tali programmi generali copre un’area specifica di intervento, in un’ottica di complementarietà ed attesa efficienza, recependo le priorità identificate per le rispettive aree di pertinenza dal Programma dell’Aia adottato dal Consiglio europeo del 4-5 novembre 2004 5, che ha definito il quadro d’azione ed i principali obiettivi per la realizzazione dello SLSG. 3. Nella prospettiva della creazione progressiva dello SLSG, sono previste, da un lato, l’adozione di misure volte a garantire la libera circolazione delle persone, unitamente a misure d’accompagnamento riguardanti il controllo delle frontiere esterne, l’asilo e l’immigrazione e, dall’altro, l’adozione di misure in materia di asilo, immigrazione e tutela dei diritti dei cittadini di paesi terzi. In proposito, il programma generale Solidarietà e Gestione dei Flussi Migratori (SOLID) è stato istituito per garantire una equa ripartizione delle responsabilità fra Stati Membri per una gestione integrata delle frontiere esterne all’Unione europea ed attuare politiche comuni in tema di immigrazione e asilo 6. L’istituzione del programma generale SOLID è connessa, pertanto, alla ripartizione delle responsabilità tra gli Stati Membri per quanto riguarda l’onere finanziario conseguente all’introduzione della gestione integrata delle frontiere esterne dell’Unione e all’attuazione di politiche comuni in materia d’asilo e d’immi-

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V. COM(2005)124, Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo che istituisce il programma quadro “Sicurezza e tutela delle libertà” per il periodo 2007-2013 per il quale è previsto un finanziamento per il periodo 2007–2013 di 745 milioni di euro, 3 V. COM(2005)122, Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo che istituisce per il periodo 2007-2013 il programma quadro “Diritti fondamentali e giustizia”, per il quale è previsto un finanziamento per il periodo 2007–2013 di 543 milioni di euro. 4 V. COM(2005)123, Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo che istituisce il programma quadro Solidarietà e gestione dei flussi migratori per il periodo 20072013, per il quale è previsto un finanziamento per il periodo 2007–2013 di 4.020,37 milioni di euro. Tale dotazione finanziaria finale disponibile on-line sul sito http://ec.europa.eu/home-affairs, risulta ridotta rispetto alla previsione originaria della COM(2005)123, secondo le decisioni istitutive dei quattro fondi SOLD di seguito specificate. 5 V. Programma dell’Aia: rafforzamento della libertà, della sicurezza e della Giustizia nell’Unione europea (2005/C 53/01), Il piano affronta tutti gli aspetti delle politiche relative allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, definendo sia orientamenti generali (diritti fondamentali, attuazione e valutazione) che orientamenti specifici in materia di rafforzamento della libertà, rafforzamento della sicurezza, rafforzamento della giustizia e relazioni esterne. 6 V. COM(2005)123, Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo che istituisce un programma quadro sulla solidarietà e gestione dei flussi migratori per il periodo 2007-2013, cit.

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Valeria Piergigli *

Stranieri censiti: persone o fantasmi? SOMMARIO: 1. La questione dei diritti politici. - 2. Non votano ma attribuiscono seggi, favorendo il Nord a scapito del Sud. Brevi considerazioni sulla sfasatura tra “corpo elettorale” e “popolazione residente”.

1. È noto come i crescenti flussi migratori di lavoratori e delle rispettive famiglie abbiano determinato negli ultimi decenni, specialmente negli Stati dell’Europa occidentale, oltre a incrementi della popolazione, profonde trasformazioni del tessuto sociale che impongono un ripensamento e un aggiornamento dei tradizionali concetti di identità nazionale, cittadinanza e comunità politica. Il tema del riconoscimento dei diritti politici e, in particolare, del diritto di voto agli stranieri extracomunitari stabilmente residenti sul territorio italiano anima ormai da tempo il dibattito dottrinale, sostanzialmente incentrato sulla interpretazione dell’art. 48 Cost. (“Sono elettori tutti i cittadini…”) e sul tipo di fonte statale meglio idonea ad effettuare il conferimento di tali diritti a coloro che non possiedono la cittadinanza italiana (legge costituzionale o legge ordinaria), mentre la disciplina della materia deve ritenersi preclusa a fonti diverse dalla legge statale (es. statuti regionali, comunali o provinciali; parere Cons. Stato, sez. I, 9771/04 e parere Cons. Stato, sez. I e II, 11074/04), ai sensi del disposto costituzionale che assegna alla competenza esclusiva dello Stato la disciplina della condizione giuridica degli stranieri extracomunitari e dell’immigrazione (art. 117, 2° comma, lett. a) e b), oltre ad art. 10, 2° comma). In sede istituzionale svariate proposte, rimaste senza esito, sono state presentate nel corso delle recenti legislature sia per ampliare il novero dei soggetti titolari del diritto di voto che per semplificare le modalità di acquisto della cittadinanza italiana e favorire così il pieno godimento dei diritti politici. Con riguardo al primo profilo, vengono in considerazione le iniziative dirette a modificare l’art. 48 Cost. o ad aggiungere un art. 48-bis al fine di estendere, subordinatamente al soddisfacimento di alcuni requisiti, agli stranieri extracomunitari il diritto di voto alle elezioni senza distinzioni tra competizioni elettorali locali, regionali o politiche ovvero limitatamente alle elezioni amministrative o soltanto *

Ordinario di Istituzioni di diritto pubblico, Università di Siena

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locali, talora con la previsione della contestuale e integrale ratifica della Convenzione di Strasburgo del 1992 sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica locale, per il momento solo parzialmente ratificata dall’Italia (l. 203/1994; v. anche artt. 2, 4° comma, e 9, 12° comma, lett. d), d. lgs. 286/1998; art. 8 d. lgs. 267/2000 su cui infra). Con riferimento al secondo profilo, le proposte parlamentari volte ad agevolare l’accesso alla cittadinanza mediante l’attenuazione del vigente criterio dello jus sanguinis e la valorizzazione dello jus soli non hanno finora ricevuto il necessario sostegno delle forze politiche e, anzi, il prevalere delle logiche emergenziali negli anni recenti ha contribuito ad irrigidire ulteriormente i meccanismi di acquisto della cittadinanza per gli stranieri extracomunitari (l. 91/1992 modif. da l. 94/2009). D’altra parte, l’esaltazione del legame di sangue è sottesa alla intervenuta revisione dell’art. 48 Cost. che consente agli italiani residenti all’estero di votare alle elezioni politiche nel luogo di attuale residenza e riserva loro una quota di parlamentari (art. 48, 3° comma, introdotto da l. cost. 1/2000). La Corte costituzionale, nel ribadire che l’immigrazione e la condizione giuridica degli stranieri sono materie affidate alla competenza del legislatore statale, ha omesso di prendere esplicitamente posizione in merito alla interpretazione dell’art. 48 Cost. e al rapporto tra fonti statali e regionali nella attribuzione del diritto di voto in ambito regionale e locale. Il giudice costituzionale ha infatti rigettato le censure governative sollevate nei confronti degli statuti della Toscana e dell’Emilia-Romagna con riguardo alla estensione del diritto di voto agli immigrati, precisando tuttavia la “natura culturale o anche politica, ma certo non normativa” delle relative enunciazioni statutarie (sentt. 372 e 379 del 2004) ed ha ammesso la facoltà del legislatore regionale di prevedere forme di partecipazione di carattere consultivo dei cittadini stranieri regolarmente soggiornanti in Italia alla vita pubblica locale (referendum consultivi, consulte, consiglieri aggiunti senza diritto di voto), in tal modo lasciando intendere che spetta invece allo Stato legiferare in tema di partecipazione elettorale in quanto ricadente nel circuito dell’indirizzo politico della comunità locale (referendum abrogativi, elezioni locali) (sent. 300/2005). Significativa è peraltro la cauta apertura lasciata intravedere dalla Corte costituzionale verso una ipotetica (e auspicabile) lettura evolutiva del nesso identità-cittadinanza-diritti di partecipazione democratica-doveri di solidarietà, allorché ha riconosciuto l’esistenza di una “comunità di diritti e di doveri, più ampia e comprensiva di quella fondata sul criterio della cittadinanza in senso stretto” alla quale appartengono, oltre ai cittadini, tutti coloro che, vivendo e operando stabilmente nel Paese, “quasi come in una seconda cittadinanza ricevono diritti e restituiscono doveri, secondo quanto risulta dall’art. 2 della Costituzione là dove, parlando di diritti inviolabili dell’uomo e richiedendo l’adempimento dei corrispettivi doveri di solidarietà, prescinde del tutto, per l’appunto, dal legame stretto di cittadinanza” (sent. 172/1999).

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Angela Silvestrini e Alessandro Valentini *

Gli immigrati e il sistema elettorale: il loro ruolo nella distribuzione geografica dei seggi alle elezioni politiche e il caso delle amministrative comunali

1. La normativa che regola il sistema elettorale italiano sia per l’elezione dei membri del Parlamento nazionale che per la nomina dei rappresentanti alle assemblee locali (comuni, province e regioni) è piuttosto varia e complessa. Ciò nonostante, dal punto di vista statistico è possibile identificare una regola generale: l’ammontare della popolazione residente determina il numero di rappresentanti che la governano, sia alle assemblee nazionali, sia a quelle locali. Tale ammontare di popolazione è legato indissolubilmente alle dinamiche demografiche naturali e migratorie che – nel corso degli anni – si avvicendano. Con un saldo naturale quasi sempre negativo, o molto vicino allo zero, esauritisi o ridottisi i grandi flussi migratori interni, ormai da alcuni anni la componente che incide in maniera più rilevante sull’ammontare della popolazione è rappresentata dalle immigrazioni dall’estero. In particolare, negli ultimi 10 anni la popolazione residente nel nostro Paese è aumentata di più di tre milioni di unità, fino a superare, già nel corso del 2008, la soglia dei 60 milioni. Come ben noto l’incremento è da attribuirsi quasi integralmente alla fortissima crescita della componente straniera (da 1,3 nel 2001 a 4,2 milioni di residenti a fine 2009) che, distribuendosi in maniera differenziata lungo il Paese, ha interessato prevalentemente le zone settentrionali e centrali. Stanti queste profonde trasformazioni nella dinamica e nella struttura demografica, scopo di questo lavoro è illustrare se e in che modo gli stranieri, privi del diritto di voto, interagiscono con il sistema elettorale nazionale e locale, producendo modifiche nell’allocazione geografica dei seggi e/o nel numero di incarichi politici a disposizione. Nel lavoro si fa riferimento a due situazioni diverse in relazione alle quali si cercherà di evidenziare il contributo fornito dagli immigrati. Nella prima parte, *

Ricercatori ISTAT

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si analizzerà la futura distribuzione dei seggi alla Camera che risulterà a seguito della redistribuzione dei seggi successiva al Censimento della popolazione del 2011. Nella seconda parte, si prenderanno in esame le variazioni che il prossimo Censimento della popolazione produrrà a livello delle amministrazioni locali comunali. In entrambi i casi si suppone che i risultati del Censimento della Popolazione del 2011 non si discosteranno molto dall’attuale conteggio della popolazione residente in anagrafe, i cui dati saranno utilizzati. Per quanto concerne l’allocazione dei seggi alla Camera (ma considerazioni del tutto simili valgono per il Senato), si rammenta che l’attuale sistema elettorale prevede che facciano parte dell’elettorato attivo i soli cittadini italiani, siano essi residenti o meno nel nostro Paese. Ciò nonostante, secondo il dettato costituzionale, l’allocazione geografica dei seggi dipende dalla popolazione censita, cioè dalla popolazione che alla data del Censimento, risulta essere stabilmente presente sul territorio nazionale, indipendentemente dalla cittadinanza, quindi anche dalla popolazione straniera residente nel nostro Paese. In merito al secondo punto – l’impatto sulle elezioni amministrative – si segnala fin da ora come una più accentuata presenza straniera comporti in diversi comuni (in particolare del Centro-Nord) il cambiamento della classe di ampiezza demografica di appartenenza, utile per la determinazione del numero di consiglieri comunali, di assessori nonché per l’ammontare dell’indennità del sindaco e delle altre cariche istituzionali locali. 2. L’attuale sistema elettorale per la nomina dei rappresentanti alla Camera e al Senato prevede che facciano parte dell’elettorato attivo i soli cittadini italiani, siano essi residenti o meno nel nostro Paese. Ciò nonostante, secondo il dettato costituzionale (Art. 56 e 57 Costituzione), l’allocazione geografica dei seggi dipende dalla popolazione censita, quindi anche da quella straniera. Solo dopo l’istituzione delle circoscrizioni estere si è iniziato a considerare gli italiani residenti all’estero in base al Paese straniero di residenza e non al comune di iscrizione all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero). Precedentemente, infatti, pur non contribuendo a determinare la distribuzione dei seggi (poiché non venivano censiti in quanto non residenti e, soprattutto, non presenti al momento del censimento) mantenevano il diritto di voto nel comune di ultima residenza in Italia, o comunque presso il Comune AIRE dove risultavano iscritti. Nel presente documento ci limitiamo a considerare l’elezione dei rappresentanti alla Camera dei Deputati. Per quanto concerne il Senato analoghe considerazioni sono state svolte da A. Cortese 1.

1

A. CORTESE, L’utilizzazione nella produzione legislativa del dato statistico relativo alla popolazione residente, in I Servizi Demografici, 2010, 3, 45.

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Lorenzo Rocca

Requisiti linguistici ed integrazione SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. La situazione internazionale. - 3. La situazione italiana e le iniziative di riforma. - 4. Il modello proposto. - 5. Considerazioni conclusive.

1. Una voce critica non può non muovere dalle seguenti domande: i governi hanno il diritto di imporre una lingua? I test linguistici obbligatori risolvono il problema della sicurezza? La lingua – come strumento di potere – può essere usata come un mezzo per regolare i flussi migratori? Ancora: la sola conoscenza della lingua rende gli stranieri più integrati? 1 Ed in ultimo: l’integrazione può esser ridotta a mera assimilazione? Van Avermaet 2 sottolinea peraltro come lo stesso concetto di integrazione sia piuttosto vago e vari al variare di luogo e tempo: multiformi infatti sono le esigenze ed i bisogni 3 dell’“integrando” che si presentano come sommatoria tra sapere, saper essere e saper fare, così come d’altro canto appare mutevole lo stesso concetto di alfabetizzazione funzionale introdotto dall’Unesco 4. I politici però, a livello pressoché planetario, amano i test, perché dicono chia-

1

In merito all’impatto dei test ed al cosidetto “washback” sulla società, cfr. E. SHOHAMY, The power of tests. The impact of language tests, NFLC, Washington, 1993. 2 Atti del Convegno LAMI, Roma, 11 maggio 2010, in corso di stampa. Cfr anche P. VAN AVERMAET, M. SPOTTI, Language Testing, Migration and Citizenship: Cross-national Perspectives (Advances in Sociolinguistics), 2009. 3 Demetrio propone una tripartizione dei bisogni dell’adulto distinguendoli in: adattativi (tesi all’integrazione nel nuovo tessuto sociale); trasformativi (finalizzati in genere ad un miglioramento delle condizioni di vita); riproduttivi (atti cioè a consolidare precedenti esperienze) in base ad una prospettiva che si presenta come duplice: conservativa (ricongiungimento nucleo familiare, non abbandono delle radici e dell’identità culturale) e contestualmente innovativa. D. DEMETRIO, Manuale di educazione degli adulti, Roma 1997. 4 Recita l’Unesco che “un individuo è funzionalmente analfabeta quando non può partecipare a tutte quelle attività in cui l’alfabetismo è necessario per il funzionamento efficace del suo gruppo o della sua comunità ed anche per permettergli di continuare ad usare la lettura, la scrittura e le abilità di calcolo per il proprio sviluppo e quello della comunità”. Sul tema del relativismo del concetto di alfabetizzazione, cfr. F. MINUZ, Italiano L2 e l’alfabettizzazione in età adulta, Roma, 2005 e A. ALBERICI, Imparare sempre nella società della conoscenza, Milano, 2002.

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ramente chi è dentro e chi è fuori. E se il candidato non supera il test? A quali conseguenze andrà incontro? I test linguistici rappresentano uno strumento di controllo semplice e facilmente utilizzabile, ma potenzialmente non equo. 2. Oggi il 63% dei Paesi membri del Consiglio d’Europa prevede test di conoscenza della lingua del Paese ospite rivolti a migranti che richiedono l’ingresso, il permesso di soggiorno, la cittadinanza o l’accesso ad altre opportunità (ad esempio i servizi del welfare in Svezia). Relativamente al livello linguistico, si passa dall’A1.1 della Francia al B2 del Quadro Comune 5 della Danimarca, ma mediamente quello più richiesto – pur con significative eccezioni – è l’A2 6 ; anche le modalità di somministrazione del test ovviamente differiscono da Stato a Stato, però in generale è possibile affermare che: 1. vengono testate tutte e quattro le macro abilità: leggere, scrivere, ascoltare e parlare; 2. il test viene somministrato all’interno di Centri dove il candidato si è precedentemente preparato, da insegnanti e non da altro personale della pubblica amministrazione; 3. il test è legato ad un coerente percorso formativo. 3. Anche in Italia, ormai da tempo, si sta parlando, a livello politico, di certificazione linguistica quale requisito richiesto al migrante. Non si può allora non pensare alla dimensione sociale ed alle implicazioni etiche di questa ipotesi: se finora la certificazione era uno strumento in più di cui uno straniero poteva o meno dotarsi, ora essa potrebbe diventare l’elemento indispensabile, voluto dall’esecutivo, per permettere al migrante di rimanere in Italia. In questo caso, non sarà più sufficiente applicare standard di qualità 7 a tale strumento, ma sarà necessario avviare degli studi sull’impatto della prova sulla persona e sulla società. Cosa può fare a tale proposito chi si occupa di insegnamento e certificazione linguistica, in un momento storico in cui il governo sta già varando norme 8 per rendere obbligatoria un’attestazione di competenza della lingua italiana?

5

Consiglio d’Europa, Quadro Comune Europeo di Riferimento, Firenze, 2002; cfr. M. MEZZAIntegrazione linguistica in Europa, Torino, 2006. 6 Cfr. contributo ALTE – LAMI SiG, reperibile on line nel sito del Consiglio d’Europa: http://www.coe.int/t/dg4/linguistic/MigrantsSemin08_ListDocs_EN.asp#TopOfPage. 7 Council of Europe, User’s guide for examiners, Council of Europe Publishing, Strasburgo, 1997; cfr. anche ALTE, Quality Management System, LTRC, 2005. 8 Decreto del 4 giugno 2010 - Modalità di svolgimento del test di conoscenza della lingua italiana, previsto dall’articolo 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, introdotto dall’articolo 1, comma 22, lettera i) della legge n. 94/2009. (GURI n. 134 del 11-6-2010 ). DRI,

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Thomas Tassani *

Requisito reddituale e rilascio del permesso di soggiorno SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. Il concetto di reddito nel Testo Unico n. 286/98. - 3. Redditi dello straniero e dichiarazione tributaria. - 4. La rilevanza dei redditi non dichiarati dallo straniero.

1. La circolare del Ministero dell’interno che si annota (n. 5312 del 10/8/2010) porta a conoscenza il parere fornito dalla Agenzia delle entrate 1, su apposita istanza del Ministero dell’interno, relativamente alla interpretazione dell’Art. 9, d.lgs. n. 286 del 25/7/1998. Disposizione che, al primo comma, subordina il rilascio del permesso di soggiorno Ce per soggiornanti di lungo periodo a diverse condizioni, tra cui la “disponibilità di un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale e, nel caso di richiesta relativa ai familiari, di un reddito sufficiente” secondo i parametri di cui all’Art. 29, comma 3, lett. b), d.lgs. 286/1998 2. Nel proprio quesito, il Ministero dell’interno chiedeva di conoscere “quali importi debbano essere rilevati nei modelli CDU, 730 e Unico, ai fini della verifica del requisito reddituale”. In questo modo formulata, la domanda sembrerebbe essere di portata assai limitata e di natura meramente applicativa, in quanto relativa alla “corretta” lettura da darsi a modelli ministeriali di dichiarazione d’imposta. La risposta, tuttavia richiede l’esame di ulteriori e ben più rilevanti questioni, implicitamente presupposte dal laconico quesito ministeriale.

*

Università di Urbino, Ricercatore di diritto tributario Direzione centrale normativa, parere del 28/6/2010. 2 E quindi “di un reddito minimo annuo derivante da fonti lecite non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale aumentato della metà dell’importo dell’assegno sociale per ogni familiare da ricongiungere”. La disposizione da ultimo citata prevede inoltre che “per il ricongiungimento di due o più figli di età inferiore agli anni quattordici ovvero per il ricongiungimento di due o più familiari dei titolari dello status di protezione sussidiaria è richiesto, in ogni caso, un reddito non inferiore al doppio dell’importo annuo dell’assegno sociale. Ai fini della determinazione del reddito si tiene conto anche del reddito annuo complessivo dei familiari conviventi con il richiedente”. 1

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2. La prima, fondamentale, questione riguarda la nozione da attribuirsi al termine “reddito” contenuto nella disposizione normativa in esame. Se, cioè, il legislatore faccia riferimento ad un concetto “tecnico” di reddito, rinviando quindi alla definizione accolta nella legislazione tributaria (ed in particolare nel Testo Unico delle Imposte sui Redditi, d.lgs. n. 917/1986); oppure se il termine è utilizzato in una accezione generica, diversa da quella fatta propria dall’ordinamento fiscale. Rispetto a tale scelta interpretativa, l’Agenzia delle entrate fornisce una nonrisposta, limitandosi ad osservare che la disposizione in oggetto è di “carattere non tributario” e che la stessa “non individua in maniera definita le componenti reddituali da prendere in considerazione ai fini della verifica del requisito”. L’Agenzia evita di prendere una chiara posizione sul punto, espressamente dichiarando che la propria risposta prescinde “da qualsiasi valutazione in ordine alla interpretazione delle richiamate disposizioni”, sottolineando, quindi, la propria incompetenza circa la applicazione di norme che non hanno natura fiscale. L’Agenzia, però, non si ferma a questo rilievo, ma prosegue interrogandosi sulla estensione del concetto “fiscale” di reddito, in questo modo fornendo importanti indicazioni interpretative qualora si ritenesse che l’Art. 9, d.lgs. n. 286/1998 contenga un implicito rinvio alla definizione di “reddito fiscale”. Soluzione, quest’ultima, che risulta peraltro essere quella più convincente, in base ad una lettura sistematica delle disposizioni del d.lgs. n. 286/1998 3. Nel Testo Unico sulla immigrazione, l’utilizzo del termine “reddito” è limitato a specifiche ipotesi in cui il rinvio al concetto fiscale consente sia di poter dare una precisa quantificazione monetaria del presupposto (permettendo così la verifica del raggiungimento di livelli minimi, come quello dell’importo annuo dell’assegno sociale), sia di apprezzare fattispecie in cui la produzione di redditi in senso proprio (con i correlati doveri impositivi) è in grado di evidenziare elementi di collegamento stabili con la Comunità, indubbiamente rilevanti nella ratio dell’Art. 9, d.lgs. n. 286/98 4.

3

Sul punto, si veda Cons. Stato, sent. n. 3350, sent. n. 1238, del 26 gennaio - 3 marzo 2010 (in questa Rivista, n. 1/2010, p. 127 ss., con commento di E. M. RUFFINI, Brevi note in tema di disponibilità reddituale per il rinnovo del permesso di soggiorno. 4 E, quindi, al fine di rilasciare un permesso di soggiorno “di lungo periodo”, che presuppone una presenza già dello straniero sul territorio italiano (dovendo essere in possesso da almeno cinque anni di un permesso di soggiorno in corso di validità). Analogamente, il riferimento al reddito in senso proprio è in grado di evidenziare condizioni di non precarietà e di autosufficienza della attività professionale esercitata, che sembrano essere alla base della previsione dell’Art. 26, comma 3, d.lgs. n. 286/98. Disposizione che è correttamente interpretata, in quanto riferita al concetto fiscale di reddito (Cons. Stato, sent. n. 3350, sent. n. 1238, cit.). Sul tema, anche le osservazioni di A. MONDINI, Lo straniero nel diritto tributario, in questa Rivista, n. 2/2010.

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Rassegna di giurisprudenza annotata e commentata



Lorenzo Balestra *

L’optio legis di cui all’art. 30 L. 218/1995: l’annotazione in margine dell’atto di matrimonio tra coniugi stranieri NOTA al decreto del Tribunale di Saluzzo, 10 - 11 agosto 2010

SOMMARIO: 1. Il cosiddetto accordo di scelta o optio legis. - 2. La pubblicità dell’optio legis. - 3. Le problematiche applicative. - 4. La funzione pubblicitaria dei registri dello Stato Civile.

1. Torniamo ad occuparci del cosiddetto “accordo di scelta” del regime applicabile ai rapporti patrimoniali della famiglia (art. 30, l. 218/1995) 1. Il tribunale di Saluzzo, un piccolo comune in provincia di Cuneo, si occupa proprio di questo problema, sollecitato avverso il diniego opposto da un ufficiale di stato civile circa l’annotazione in margine all’atto di matrimonio (trascritto in Italia ai sensi dell’art. 19, d.p.r. 396/2000) della scelta di un regime diverso da quello derivante dal rapporto di coniugio. Iniziamo dal fatto. Due cittadini albanesi, coniugati in Albania nel 1991, si erano trasferiti a Saluzzo, fissando ivi la propria residenza. Il marito, avendo intrapreso un’attività commerciale e volendo prevenire ogni evenienza negativa di ordine patrimoniale, derivante dallo svolgimento, appunto, di un’attività commerciale, conviene, assieme alla moglie, di recarsi da un notaio del luogo per stipulare una convenzione matrimoniale avente ad oggetto il regime di separazione dei beni, operando, al contempo, la cosiddetta optio legis di cui all’art. 30 della l. 218/1995, consistente nella scelta, appunto, della legge italiana quale legge regolatrice dei rapporti patrimoniali fra i coniugi 2. *

Avvocato in Pesaro. L. BALESTRA, Matrimoni plurinazionali e opponibilità ai terzi del regime patrimoniale della famiglia, in questa Rivista, 1, 2010, p. 87 ss.. 2 “L’art. 30, 1° co., (…) fa coincidere la disciplina dei rapporti patrimoniali tra coniugi con quella dei rapporti personali, dichiarando che i primi sono regolati dalla legge applicabile ai secondi (salva una limitata possibilità di scegliere un’altra legge). La coincidenza con la legge applicabile ai rapporti personali appare opportuna, data la difficoltà di 1

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Rassegna di giurisprudenza annotata e commentata

È ovvio che tale era il naturale e necessario presupposto per poter, poi, optare per il regime di separazione dei beni in accordo alla legge italiana. Fin qui tutto bene; il problema nasce quando l’ufficiale dello stato civile nega l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio di una tale “convenzione”. 2. Le eccezioni, a parte questioni preliminari 3, consistono, come sbrigativamente si esprime il giudicante, nella lamentata violazione di un diritto soggettivo alla pubblicità richiesta nonché nella violazione del divieto di discriminazione di cui all’art. 43 del d.lgs 286/1998. Il Comune oppone circolari ministeriali in materia 4 che espressamente vieterebbero all’ufficiale di stato civile di procedere ad una tale forma di pubblicità (annotazione), ai sensi dell’art. 19, d.p.r. 396/2000. qualificare certi rapporti come personali o patrimoniali, per esempio l’obbligo di assistenza che, in base all’art. 143, 2° co., c.c., è al contempo morale e materiale, o il dovere di collaborazione nell’interesse della famiglia, previsto dalla stessa disposizione. L’identità fra le leggi regolatrici dei rapporti personali e di quelli patrimoniali esime dalla necessità di inquadrare nell’una o nell’altra categoria tali fattispecie. I rapporti patrimoniali fra coniugi, in conformità con l’art. 29, 1° co., relativo ai rapporti personali, sono pertanto regolati dalla l. nazionale ad essi comune. Ai sensi dell’art. 29, 2° co., se i coniugi hanno diverse cittadinanze o più cittadinanze comuni i loro rapporti sono sottoposti alla legge dello Stato nel quale la vita matrimoniale è prevalentemente localizzata. I collegamenti legislativi predisposti per la disciplina dei rapporti tra coniugi possono, tuttavia, essere scavalcati, in materia patrimoniale, con l’intervento di una convenzione matrimoniale intesa a richiamare la legge della cittadinanza o della residenza di uno tra essi. Siffatta scelta, la cui validità viene sottoposta alla legge indicata o a quella del luogo di stipulazione, è opponibile ai terzi solo se a questi nota o ignota per loro colpa.” P. LOTTI, Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, in P. CENDON (a cura di), Commentario al codice civile, Milano, 2009, p. 406 s.. 3 Il Comune di Saluzzo eccepisce una carenza di legittimazione attiva in quanto il ricorso sarebbe stato proposto dal notaio anche in proprio mentre il ricorrente eccepisce la mancanza del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato (il decreto però liquida agevolmente tali eccezioni preliminari, per occuparsi più approfonditamente del merito della vicenda). 4 Si tratta della circolare 23.3.2001, n. 2: (…) L’art. 19 si riferisce unicamente alla trascrizione, per intero, su richiesta degli interessati, di atti formati all’estero relativi a cittadini stranieri residenti in Italia. Tali trascrizioni sono meramente riproduttive di atti riguardanti i predetti cittadini stranieri formati secondo la loro legge nazionale da autorità straniere. Esse hanno il solo scopo di offrire agli interessati la possibilità di ottenere dagli uffici dello stato civile italiani la copia integrale degli atti che li riguardano così come formati all’estero. Dette trascrizioni, attesa la loro estraneità all’ordinamento giuridico italiano non possono, comunque, porsi in contrasto con quest’ultimo per ragioni di ordine pubblico. Sono, pertanto, fuori dall’ambito normativo dell’art. 18 del d.p.r. (…) e soprattutto della circolare 23.9.2009, n. 22 con la quale viene data notizia della pubblicazione del massimario per l’ufficiale dello Stato Civile: qui si legge, all’art. 16.3., che: La trascrizione degli atti concernenti cittadini stranieri è prevista dall’art. 19 del d.p.r. 396/2000 solo relativamente agli atti formati all’estero e su richiesta dell’interessato, stabilmente residente in Italia, ovvero per gli atti di

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Matteo Gnes *

L’applicazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo al procedimento di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno NOTA alle sentenze del Consiglio di Stato, Sez. VI, 15 giugno 2010, n. 3760 e 13 settembre 2010, n. 6566

SOMMARIO: 1. La “porosità” del diritto statale dell’immigrazione. - 2. L’influenza del diritto europeo: le due recenti decisioni del Consiglio di Stato in materia di tutela dei legami familiari degli immigrati. - 3. La disciplina del rilascio del permesso e la valutazione del requisito dell’assenza di condanne. - 4. L’applicazione dell’Art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

1. Lo sviluppo (in termini sia quantitativi, sia di acquisizione di funzioni) delle unioni sovranazionali ed internazionali e la crescente globalizzazione del diritto e dell’economia hanno rilevanti conseguenze. Da un lato, i problemi, da nazionali, sono divenuti globali; dall’altro lato, si sono prodotte importanti conseguenze sui diritti e sugli stessi sistemi giuridici nazionali e sovranazionali. Il diritto tende a staccarsi dal territorio di riferimento: non è più necessariamente legato al territorio di uno Stato o all’ambito di una determinata organizzazione internazionale, tanto da divenire un “diritto sconfinato” 1. Si sviluppa un ordine giuridico globale e “fluido”, ove, anche per effetto della maggiore velocità dell’economia rispetto alla politica e dell’assenza di un regolatore globale, si creano asimmetrie tra diritto globale e diritto nazionale, nonché tra diritto, politica ed economia 2. Ne consegue che i diritti, da un lato, tendono all’uniformazione; dall’altro, tendono a circolare, ad entrare in concorrenza tra di loro, ad essere “scelti” dai soggetti più abili 3. *

Associato di Diritto amministrativo nell’Università di Urbino “Carlo Bo”. M. R. FERRARESE, Diritto sconfinato. Inventiva giuridica e spazi nel mondo globale, Roma-Bari, 2006. Si v. anche B. BADIE, La fin des territoires, Fayard, Paris, 1995, trad. it. La fine dei territori. Saggio sul disordine internazionale e sulla utilità sociale del rispetto, Trieste, 1996. 2 J. E. STIGLITZ, Making globalization work, trad. it. La globalizzazione che funziona, Torino, 2006, p. 21 ss. 3 Sulla circolazione e scelta dei diritti si v. M. GNES, La scelta del diritto. Concorrenza tra ordinamenti, arbitraggi, diritto comune europeo, Milano, Giuffrè, 2004; ID., Scelta del diritto (nell’or1

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Rassegna di giurisprudenza annotata e commentata

Quindi, la crisi dello Stato (inteso come ordinamento giuridico originario e sovrano), già rilevata un secolo fa4, è accelerata dalla “perforazione” dei suoi confini, che divengono “porosi”, per effetto dell’ingresso delle norme di origine sovranazionale ed internazionale, nonché dallo sviluppo di networks globali sempre più diffusi ed accessibili al pubblico. Un importante ruolo, essenziale per favorire la circolazione del diritto, è svolto dai giudici nazionali, che, interpretando ed applicando il diritto sovranazionale, od anche utilizzando gli strumenti di collegamento con l’ordinamento sovranazionale (come il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia stabilito dall’ordinamento europeo), ne assicurano l’ingresso nell’ordinamento interno 5. La circolazione e la scelta del diritto (e la conseguente infiltrazione del diritto di altri ordinamenti) avviene anche con riferimento a funzioni (come l’immigrazione e la sicurezza pubblica) che sono tradizionalmente poste al cuore dello Stato, di cui costituiscono gli scopi principali, tanto da farle ritenere esclusive dello Stato 6, rientranti tra i fini essenziali dello stesso 7. In particolare, in materia di immigrazione, il diritto dell’Unione europea ha inciso profondamente sui sistemi nazionali, con la progressiva disciplina comune dell’immigrazione, anche dei cittadini extracomunitari. La disciplina europea, nel prevedere il diritto per i cittadini che si trasferiscono in un altro Stato dell’Unione di portare con sé i propri familiari più stretti, può essere utilizzata anche per superare i limiti che alcuni ordinamenti nazionali riconoscono al ricongiungimento familiare. Per esempio, nelle sentenze Akrich e Metock la Corte di giustizia ha stabilito l’applicabilità anche al coniuge extracomunitario del lavoratore che rientri nel proprio paese d’origine delle norme europee che prevedono il diritto del lavoratore di stabilirsi in un altro paese assieme alla propria famiglia. In tale modo, trasferendosi per motivi di lavoro in un altro paese euro-

dinamento europeo), in S. CASSESE (a cura di) Dizionario di diritto pubblico, VI, Milano, 2006, p. 5449 ss.; S. CASSESE, La crisi dello Stato, Roma-Bari, 2002; ID., Il diritto globale: giustizia e democrazia oltre lo Stato, Torino, 2009, p. 131 ss. 4 Si v. S. ROMANO, Lo Stato moderno e la sua crisi, Milano, 1910; cfr. anche, dello stesso autore, Oltre lo Stato, in Rivista di diritto pubblico, 1918, p. 2 ss. 5 Per una analisi recente si v. G. MARTINICO, Il trattamento nazionale dei diritti europei: Cedu e diritto comunitario nell’applicazione dei giudici nazionali, in Riv. trim. dir. pubbl., 2010, p. 691 ss. Sull’applicazione del diritto europeo da parte del giudice amministrativo italiano si v. M. GNES, Giudice amministrativo e diritto comunitario, in Riv. trim. dir. pubbl., 1999, p. 331 ss. 6 O. RANELLETTI, Istituzioni di diritto pubblico: il nuovo diritto pubblico italiano, Padova, 1929, p. 37 ss., riteneva che tale funzione conoscesse solo limitate concessioni di potere a favore di enti pubblici che operavano in seno allo Stato, quali i comuni. 7 Cfr. G. ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo, V, Milano, 1952, p. 3 ss. e, nell’ottica delle funzioni pubbliche “in senso enfatico”, per il loro carattere di necessaria inerenza ad un pubblico potere, M.S. GIANNINI, Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, 1981, p. 539 ss.

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Martina Guidi

Sulle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato a un apolide palestinese NOTA alla sentenza della Corte di giustizia dell’UE 17 giugno 2010 (causa C-31/09, Nawras Bolbol)

SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive sullo status di rifugiato nel diritto dell’Unione europea. - 2. I fatti all’origine della controversia dinanzi al giudice nazionale. - 3. Il rinvio all’art. 1, sezione D, della Convenzione di Ginevra: la prassi relativa alla sua applicazione e la protezione dell’UNRWA. - 4. La sentenza della Corte di giustizia sull’ambito di applicazione dell’art. 12, par. 1, lett. a), della direttiva “qualifiche”. - 5. Brevi considerazioni conclusive.

1. Nell’ambito dell’Unione Europea, la direttiva 2004/83 1 ha come obiettivo l’armonizzazione delle norme utilizzate negli Stati membri per l’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta 2. Questa c.d. direttiva “qualifiche” richiama, in particolare, le disposizioni della Convenzione di Ginevra 3 al fine di determinare

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Direttiva del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/83/CE, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GUUE, L 304 del 30.9.2004 p. 12). 2 Il sesto ‘considerando’ precisa che «[l]o scopo principale della presente direttiva è quello, da una parte, di assicurare che gli Stati membri applichino criteri comuni per identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale e, dall’altra, di assicurare che un livello minimo di prestazioni sia disponibile per tali persone in tutti gli Stati membri». L’obiettivo da perseguire per creare il sistema europeo comune di asilo è l’instaurazione di una procedura comune d’asilo e di uno status uniforme valido in tutta l’Unione. 3 La Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 (Recueil des traités des Nations unies, 1954, vol. 189, p. 150, n. 2545), è entrata in vigore il 22 aprile 1954. Essa è stata completata dal Protocollo relativo allo status dei rifugiati del 31 gennaio 1967, entrato in vigore il 4 ottobre 1967. Tutti gli Stati membri dell’Unione europea hanno ratificato tale convenzione e, a livello dell’Unione europea, i rispettivi obblighi sono riportati nella direttiva sulla qualifica di rifugiato in questione.

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Rassegna di giurisprudenza annotata e commentata

a quali soggetti, e in quali circostanze, va riconosciuto lo status di rifugiato e le conseguenze di detto riconoscimento 4. Secondo la Convenzione, il termine «rifugiato» si applica a chiunque, temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale, o per le sue opinioni politiche, si trova fuori dal Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure a chiunque, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori dal Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per lo stesso timore 5. Tuttavia, la Convenzione prevede che sia escluso il riconoscimento dello status di rifugiato – e il godimento dei correlati diritti – in capo a coloro che beneficiano attualmente di protezione o assistenza da parte di organi o agenzie delle Nazioni Unite diversi dall’Alto Commissariato delle Nazioni unite per i Rifugiati (United Nations High Commissioner for Refugees, UNHCR), quale l’Agenzia per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East, UNRWA) 6. Peraltro, qualora questa protezione o questa assistenza dovessero venire a cessare, per un qualunque motivo, senza che la situazione di queste persone sia stata definitivamente regolata, costoro avrebbero pieno diritto di usufruire del regime previsto dalla detta Convenzione 7. Nello stesso senso, l’art. 12, par. 1, lett. a), della citata direttiva, esclude che a 4

Ai sensi del terzo ‘considerando’ della direttiva, «La Convenzione di Ginevra (…) [costituisce] la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati». 5 Così l’art. 1, sezione A, punto 2, primo par., della Convenzione di Ginevra. Con previsione molto simile, l’art. 2, lett. c) della direttiva 2004/83 definisce rifugiato il «cittadino di un Paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza ad un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal Paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese, oppure apolide che si trova fuori dal Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno, e al quale non si applica l’articolo 12» (corsivo aggiunto). 6 L’UNRWA è stata istituita con la risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite dell’8 dicembre 1949, n. 302 (IV), al fine di fornire aiuto e assistenza ai profughi palestinesi che si trovano in Libano, in Siria, in Giordania, in Cisgiordania e nella striscia di Gaza. Le prestazioni dell’UNRWA sono, in linea di principio, accessibili ai Palestinesi che vivono in tali territori che, in seguito alla guerra del 1948, hanno perduto casa e mezzi di sussistenza, nonché ai loro discendenti. Il mandato dell’UNRWA è stato regolarmente rinnovato e quello attualmente conferitole fissa il termine al 30 giugno 2011. 7 L’art. 1, sezione D, della Convenzione di Ginevra così recita: «La presente Convenzione non può applicarsi a coloro che beneficiano attualmente di protezione o assistenza da parte di organi o agenzie delle Nazioni Unite diversi dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Qualora questa protezione o questa assistenza, per un qualunque motivo, venga meno senza che

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Maria Lughezzani

Inerzia datoriale e avvio al lavoro dei cittadini extra Ue NOTA alla sentenza della Corte di Cassazione, Sezione I Civile n. 18912 del 31 agosto 2010.

SOMMARIO: 1. La vicenda. - 2. L'ingresso nel mercato del lavoro italiano dei cittadini extra Ue.

1. La pronuncia in commento consente di ripercorrere brevemente la querelle relativa al riconoscimento o meno ai lavoratori extracomunitari non regolarmente soggiornanti della possibilità di supplire all’inerzia del proprio datore di lavoro ai fini dell’accesso “per vie traverse” all’area dell’occupazione nello Stato ospitante attraverso il meccanismo sanante delineato dal d.l. 9 settembre 2002, n. 195, convertito in l. 9 ottobre 2002, n. 222. Nel caso de quo, il giudice di prima istanza aveva dichiarato l’inefficacia del provvedimento di espulsione inflitto dal Prefetto nei confronti di un cittadino privo del permesso di soggiorno che a fronte dell’inerzia del proprio datore di lavoro si era attivato personalmente per dare avvio al farraginoso iter procedurale descritto dall’art. 22 del d.lgs. 286/98 ai fini dell’ammissione al lavoro. Secondo il Giudicante, l’applicazione in via analogica della disposizione di cui all’Art. 2, co. 1, l. 222/2002 avrebbe legittimamente potuto spiegare i suoi effetti “impeditivi” anche con riferimento al alla fattispecie sottoposta alla sua attenzione. Accantonando la problematica – invero di importanza nodale nel caso di specie – relativa alla legittimità o meno del ricorso al procedimento analogico effettuato dal giudice di pace pesarese, è indubbio che a monte quest’ultimo avesse operato una scelta favorevole al riconoscimento di efficacia giuridica (rectius, ostativa) al comportamento attivo del lavoratore nell’ambito del procedimento di regolarizzazione. Chiamata a pronunciarsi sulla questione a seguito dell’impugnazione prefettizia, la Suprema Corte ha tuttavia censurato l’interpretazione accolta dal giudice di prime cure, escludendo che la norma predetta sia suscettibile di essere applicata in via analogica al caso di un lavoratore irregolare che presenti alla sede *

Dottoranda in Diritto dell’Unione europea nell’Università di Ferrara, sede di Rovigo

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Rassegna di giurisprudenza annotata e commentata

della Prefettura competente una domanda di assunzione per lavoro subordinato non stagionale. Ciò, come si vedrà, in ragione dell’ontologica diversità di fini che secondo i giudici di ultima istanza ispirerebbe, da un lato, la disciplina che sovrintende l’ingresso dei cittadini extracomunitari sul mercato del lavoro – governata dall’intreccio, da taluno definito “perverso”, tra contratto di lavoro e autorizzazione al soggiorno – e i provvedimenti periodici di regolarizzazione del lavoro sommerso, dall’altro. Ma procediamo con ordine. 2. A far data dall’entrata in vigore della l. 189/2002 (cd. Legge Bossi-Fini) il procedimento che sovrintende l’ingresso nel mercato del lavoro dei cittadini privi della cittadinanza comunitaria prevede in buona sostanza che il datore di lavoro interessato all’assunzione presenti dinanzi allo Sportello Unico per l’immigrazione territorialmente competente (ovverosia quello della Provincia di residenza, della sede legale dell’impresa o dell’esecuzione della prestazione lavorativa) una richiesta (solitamente) nominativa di nulla osta al lavoro. La richiesta in questione deve essere corredata della documentazione relativa alle modalità di sistemazione alloggiativa per il lavoratore, della proposta di contratto di soggiorno di cui all’art. 5 bis del d.lgs. 286 del 1998 (cd. T.U. sull’immigrazione) comprensiva dell’impegno datoriale al pagamento delle spese di rientro del lavoratore nel Paese di appartenenza nonché della dichiarazione di impegno a comunicare ogni variazione concernente il rapporto di lavoro (art. 22, d.lgs. 286/98) 1. Laddove nel termine di quaranta giorni dall’invio della domanda venga accertato il soddisfacimento di tutte le condizioni prescritte dalla legge ed essa rientri altresì nella quota di ingressi stabilita annualmente con decreto, lo Sportello provvede al rilascio del nulla osta all’assunzione (art. 22, co. 5). Segue l’accesso in Italia del lavoratore extracomunitario munito di regolare visto di ingresso ai fini della sottoscrizione presso lo Sportello unico del contratto di soggiorno per lavoro subordinato (di durata variabile e comunque non superiore ai due anni nel caso di assunzione a tempo indeterminato). Adempiute siffatte pratiche, l’iter si conclude con il rilascio al lavoratore di un permesso di soggiorno, invero desti-

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Per una ricognizione della disciplina nazionale in materia si rinvia, senza alcuna pretesa di esaustività, a: G. LUDOVICO, La disciplina del lavori immigrati extracomunitario dopo le modifiche previste dalla l. n. 189/2002, in Lav. giur., 2002, 11, p. 1021; L. NERI, A. GUARISO, La legge Bossi-Fini in materia di immigrazione: le innovazioni in materia di lavoro, in Riv. crit. dir. lav., 2002, p. 239 e ss.; G. DONDI, La politica dell’immigrazione: dalla legge Turco-Napolitano alla legge Bossi-Fini, in G. DONDI, Il lavoro degli immigrati, Milano, 2003, p. 3 e ss.. Recentemente, L. CALAFÀ, Il contratto di lavoro degli stranieri tra sicurezza pubblica e mercato, in Lavoro e diritto, 2009, 4, p. 541 e ss. Per una lettura in chiave comparata: B. VENEZIANI, Il “popolo” degli immigrati e il diritto al lavoro: una partitura incompiuta, in Riv. giur. lav., 2007, 3, p. 479 e ss.

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Gianluca Varraso *

Il rispetto dei diritti fondamentali dello straniero e il principio della doppia punibilità: tra estradizione e mandato d’arresto europeo NOTA alle sentenze della Corte di Cassazione sez. VI penale, n. 32685 del 3 settembre 2010 e sez. fer. penale, n. 32372 del agosto 2010

SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. Il caso concreto. - 3. Il rispetto dei diritti fondamentali in tema di estradizione. - 4. Il principio di doppia punibilità e il mandato d’arresto europeo. - 5. Le nuove prospettive processual-penalistiche dopo il Trattato di Lisbona.

1. Con le sentenze in commento la Suprema Corte esamina due problematiche centrali in tema di cooperazione giudiziaria internazionale: il divieto di concedere l’estradizione 1 in particolare quando vi è ragione di ritenere che il condannato (o l’imputato) verrà sottoposto nel paese che ne chiede la consegna a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o comunque ad atti che configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della persona (art. 698 comma 1 c.p.p.); la verifica, alla luce della disciplina del mandato d’arresto europeo 2, del c.d. principio di doppia

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Professore associato di Diritto processuale penale – “Carlo Cattaneo” LIUC e Incaricato di Diritto penitenziario – Università Cattolica S. Cuore di Milano. 1 Limitandoci ad alcuni dei contributi più recenti, v. P.P. DELL’ANNO, L’estradizione: a) per l’estero, in Trattato di procedura penale, diretto da G. SPANGHER, VI, L. KALB (a cura di), Esecuzione e rapporti con autorità giurisdizionali straniere, Torino, 2009, p. 567 ss.; M.R. MARCHETTI, Estradizione (diritto processuale penale), in Enc. dir. Annali, III, Milano, 2010, p. 299 ss.; G. RANALDI, Estradizione (diritto processuale penale), in Digesto discipline penalistiche, Agg., t. 1, Torino, 2005, p. 470 ss.. 2 Da ultimo, A. CHELO, Il mandato d’arresto europeo, Padova, 2010; G. DELLA MONICA, Il mandato d’arresto europeo. A) la procedura passiva di consegna, in Trattato di procedura penale, diretto da G. SPANGHER, VI, op. cit., p. 410 ss.; M.R. MARCHETTI, Mandato d’arresto europeo, in Enc. dir., Annali, II, t.1, Milano, 2008, p. 539 ss.; E. ZANETTI, Il mandato d’arresto europeo e la giurisprudenza italiana, Milano, 2009.

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Rassegna di giurisprudenza annotata e commentata

punibilità, in base al quale il fatto oggetto della richiesta di consegna deve costituire reato sia nello Stato richiedente sia nello Stato richiesto. I risultati a cui si perviene sono sostanzialmente condivisibili, ma taluni passaggi motivazionali, un po’ criptici, necessitano di talune precisazioni anche a carattere sistematico. Sullo sfondo vi è un cambiamento “epocale”, anche per il diritto processuale penale, costituito dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona 3. 2. In breve le vicende alla base delle due pronunce. La sentenza della sezione VI n. 32685 del 2010 scaturisce dal ricorso del Procuratore generale presso la corte di appello di Roma avverso una sentenza della medesima Corte, che rigetta la domanda di estradizione avanzata dalla Turchia per l’esecuzione di plurimi provvedimenti cautelari nei confronti di una persona accusata del reato di partecipazione all’organizzazione terroristica denominata PKK. Il Procuratore generale ravvisa, tra l’altro, l’inosservanza dell’art. 698, comma 1, c.p.p. in quanto erroneamente i Giudici di secondo grado avrebbero respinto l’estradizione basandosi su di una sentenza del Tribunale olandese di Mastricht del 2006 la quale aveva accertato che l’accusato era stato sottoposto a torture nel suo paese di origine. Si contesta in particolare l’idoneità della predetta sentenza a comprovare la violazione “attuale” dei diritti umani in Turchia nel 2009. A fondamento della decisione della Sezione feriale n. 32372 del 2010 vi è, per contro, il gravame di uno straniero condannato per il delitto di truffa aggravata con sentenza definitiva del Tribunale di Timisoara alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione, persona della quale è concessa la consegna all’autorità giudiziaria romena in forza di un mandato d’arresto eu-

È da sottolineare che la disciplina del c.d. MAE è oggi integrata dal d.lgs. 7 settembre 2010, n. 161, recante disposizioni per conformare il diritto interno alla Decisione quadro 2008/909/GAI relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell’Unione europea con specifico riferimento alle ipotesi della consegna in executivis e per finalità processuali dei cittadini e dei residenti in Italia (ex art. 18 lett. r e 19 comma 1 lett. c l. n. 69 del 2005): cfr. la Relazione n. III/11/10 al predetto decreto che si può leggere in www.cortedicassazione.it. 3 Cfr. A. GIARDA, Oralità e “ragionevole durata del processo”: un binomio indissolubile, in Iustitia, , 2010, p. 299 ss.; G. UBERTIS, La Corte di Strasburgo quale garante del giusto processo, in Diritto penale e processo, 2010, p. 373; nonché C. DI PAOLA, sub artt. 1 – 7 Trattato di Lisbona, in A. GIARDA, G. SPANGHER (a cura di), Codice di procedura penale commentato, IV ed., I, Milano, 2010, p. 163 ss..

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