Rivista dell’Agenzia Spaziale Italiana
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Novembre 2023
Missioni spaziali, il backstage Lo spazio dietro le quinte: aneddoti, curiosità, imprevisti e capacità acquisite guardando al futuro
In collaborazione con
SOMMARIO
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NUMERO 9 NOVEMBRE 2023 Crediti: ASI
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Lo spazio dietro le quinte di Giuseppina Pulcrano
Broglio e il San Marco: inizia l'era dell'astronautica italiana di Daniela Amenta
Il making of di una missione spaziale di Maria Libera Battagliere
Dietro le quinte del progetto San Marco di Barbara Ranghelli
Il diavolo è nei dettagli: la Product Quality Assurance di Rita Carpentiero
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Altro che "Schiantarelli" di Pino Di Feo
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Solar Orbiter e il primo commissioning da remoto della storia di Marco Stangalini
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Missione LiciaCube nata da un cocktail di audacia e contingenza di Giuseppe Nucera Il caso di AGILE: la scienza inaspettata di Barbara Negri
Supplemento di Global Science Testata giornalistica gruppo Globalist Reg. Tribunale Roma 11.2017 del 02.02.2017 Stampato presso Peristegraf srl Via Giacomo Peroni 130, Roma
Un habitat italiano sul suolo lunare di Simone Illiano
Il contributo di OHB Italia alla costellazione satellitare Iride per proteggere la Terra di Redazione
L’Italia sulla Luna con il ricevitore LuGRE di Claudia Facchinetti
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Alla scoperta della faccia nascosta della Luna di Silvia Natalucci e Marco Di Clemente
Spazio made in Italy di Salvatore Pignataro
Euclid e Juice, quando la scienza corre sul filo di Fulvia Croci
Rivista dell'Agenzia Spaziale Italiana
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Rosetta, una missione impossibile di Giulia Bonelli
Thales Alenia Space: costruiremo i satelliti Galileo di Seconda Generazione di Redazione DIETRo LE qUINTE DELLA NUoVA CoNqUISTA DELLA LUNA
COSMO-SkyMed, l’eredità di una tecnologia abilitante per un programma leader di Giovanni Rum
Lo SPAzIo CoL FIATo SoSPESo
Gruppo FS verso una mobilità a zero emissioni di Redazione
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zoom sulle pmi L’Agenzia e la filiera industriale nazionale: l'importante ruolo delle Associazioni di Silvia Ciccarelli
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SPAzIo ITALIA, CoSì è NATA L’ExPERTISE
Moonlight, il sistema di navigazione lunare del futuro di Giancarlo Natale Varacalli
La tradizione della propulsione da Crocco al Vega di Rocco Carmine Pellegrini
Acqua sulla Luna: il progetto ORACLE di Michèle Roberta Lavagna
L'eredità di Cassini di Enrico Flamini Gli ingredienti di sonde, navette & co. di Valeria Guarnieri
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Una voce italiana dallo spazio profondo di Marco Di Clemente e Lorenzo Simone
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La propulsione elettrica: HT-100 un esempio italiano di Vincenzo Pulcino
Verso un futuro sostenibile fra Terra e spazio di Redazione
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in vetrina Generazione Spazio: tecnologie e professioni spaziali per la salvaguardia del Pianeta di Germana Galoforo
A cura di Unità multimedia ASI Responsabile Giuseppina Pulcrano
Progetto grafico Paola Gaviraghi
Direttore responsabile Gianni Cipriani
Si ringraziano tutti i colleghi ASI che hanno contribuito a questo numero
Coordinamento redazionale Manuela Proietti, Unità Multimedia ASI SPAZIO 2050 | 3
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Lo spazio dietro le quinte
di Giuseppina Pulcrano
Le missioni spaziali sono delle grandi imprese. E come per tutte le grandi imprese sono gli imprevisti, i cambi di scenario in corso d’opera, la capacità tecnologica, i finanziamenti, le collaborazioni nazionali e internazionali e pure una discreta dose di intraprendenza, a determinarne il successo. I programmi spaziali non possono prescindere da una conoscenza approfondita e puntuale dell’ambiente da esplorare e per ogni missione che si porta a compimento, c’è un intreccio di competenze che si mescolano e compongono il grande puzzle, la cui genesi spesso nasce da domande in cerca di risposte. In campo spaziale l’innovazione è una costante: le missioni spaziali future non possono prescindere dall’affrontare nuove sfide tecnologiche o dal compiere ricerca scientifica d’avanguardia. Restiamo affascinati dalla cronaca quotidiana di una manifestazione di intelligenza e potere dell’uomo sulla macchina ( …e sulla gravità) quando il Falcon 9 della SpaceX dopo avere lanciato in orbita satelliti rientra a Terra e si adagia in verticale su una piattaforma. La cronaca giornalistica o di reportistica racconta l’evento, lo spettacolo che in termini teatrali avviene nel proscenio, ma si parla poco o per nulla di ciò che accade ‘dietro le quinte’ di una missione spaziale. 4 | SPAZIO 2050
Il modulo Leonardo in orbita. Crediti: NASA
Questo numero di Spazio 2050 parte dal racconto della genesi di una missione spaziale, ne narra le obbligatorie procedure per la sua esecuzione come ad esempio il necessario controllo di qualità. E prosegue, grazie alle testimonianze recuperate, fin dentro al backstage di alcune singole missioni o progetti, dove anche gli imprevisti hanno comunque prodotto scienza, esperienza, test di tecnologie innovative utilizzate poi per missioni successive. Lo spazio dietro le quinte si nutre delle dichiarazioni dei protagonisti di team italiani, composti sempre da una filiera lunga che mette insieme industrie grandi, medie e piccole e la comunità scientifica che si articola tra università e istituti di ricerca, e di quanto la conduzione del buon esito di una missione richieda anche l’intraprendenza dell’esploratore, che avanza senza aver paura dei problemi sempre dietro l’angolo. Quelle donne e uomini che hanno dovuto optare per soluzioni ardite e inedite pur di ottenere il risultato
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raggi gamma e X, che a causa di un guasto ha dovuto operare fuori dalla modalità prevista dalla missione, producendo comunque ottima scienza. Anche l’eredità delle missioni storiche, a partire dal lancio del satellite italiano San Marco, con un racconto dedicato alla figura del prof. Luigi Broglio all’epoca di un’Italia ai suoi primi vagiti di competenza spaziale, rappresenta una valigia zeppa di esperienze oltre che di competenze ormai solide e trasmesse alle nuove generazioni, maturate nei circa trentasette anni dall’istituzione dell’Agenzia Spaziale Italiana. Gli esperti sanno come siamo arrivati a costruire la costellazione satellitare COSMO- SkyMed ma è necessario mettere in evidenza che le competenze e il saper fare spazio presuppongono intraprendenza a favore delle fasi di sperimentazione, spesso foriere di tecnologie distintive che permettono la competizione internazionale. Per questa ragione senza l’eredità di Cassini, che con la sua antenna ad alto e basso guadagno rappresenta tuttora lo stato dell'arte a livello mondiale sia in termini di progetto che di tecnologie utilizzate, altre importanti missioni non si sarebbero potute realizzare. Il radar di COSMO-Skymed o lo strumento iperspettrale di Prisma sono eredi della strumentazione di Cassini, così come la banda Ka, sperimentata per la prima volta tra gli anelli di Saturno. Senza contare di come l’Italia si sia guadagnata un ruolo di primo piano in Europa nel settore del trasporto spaziale e della propulsione con lo sviluppo del vettore Vega, espressione del made in Italy.
atteso, hanno dovuto intervenire di fronte all’imprevisto, come sanare un malfunzionamento in orbita o altro. Hanno dovuto anche facilitare la comprensione del linguaggio molto distante del mondo accademico scientifico da quello industriale manageriale, quando intorno a un tavolo si doveva tenere unita una squadra interdisciplinare e variegata per mescolare le conoscenze e il sapere. Il numero getta poi uno sguardo dietro le quinte di missioni di grande impatto mediatico, raccontandone aneddoti e storie poco note, come Rosetta, ExoMars del 2016 che ha visto la distruzione del modulo Schiaparelli, Euclid, Juice e Solar Orbiter il cui commissioning in orbita è avvenuto in tempi di confinamento da pandemia. E rivela come LiciaCube, la missione che in diretta ha filmato la collisione di una sonda contro un asteroide, sia nata durante una pausa al bar di un convegno internazionale, senza tralasciare l’epopea di Agile, il rilevatore di
in campo spaziale l'innovazione è una costante.
Lo sguardo al futuro prossimo ci consente di immergerci nello stato di avanzamento di nuove missioni, le nuove sfide che non vogliamo perdere. La capacità italiana in questo settore vive anche di quella capacità italiana tecnologica e scientifica che sostiene le industrie e la ricerca verso nuove soluzioni tecnologiche che non si avrebbero senza la cosiddetta ‘ scienza dei materiali’ un passe-partout per realizzare tecnologia di punta e d’avanguardia per strumentazione di bordo e di terra dei componenti un payload, di un tessuto o di materiali resistenti e affidabili. Quel processo di maturazione che le missioni spaziali necessitano è il vero capitale umano e tecnologico. Ne sono un esempio per tutti i Multi Purpose Logistic Modules, moduli cargo pressurizzati per il trasporto verso e dalla Stazione Spaziale Internazionale di equipaggiamento, rifornimenti ed esperimenti mediante lo Shuttle, il cui primo volo è avvenuto nel 2001 e che oggi, a distanza di ventidue anni, hanno consentito all’Italia di proporsi tra i pochi paesi al mondo per la costruzione di habitat spaziali, proprio quelli che consentiranno agli umani di trovare rifugio e confort presso le nuove colonie lunari. SPAZIO 2050 | 5
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Il makIng of dI una mIssIone spazIale di Maria Libera Battagliere
Nelle economie moderne il motore della crescita economica è quasi sempre rappresentato dall'innovazione tecnologica, spesso decisiva all’avvio di un nuovo programma spaziale. Ogni progetto, indipendentemente dalla sua complessità e dalla sua durata, viene sviluppato sulla base di una sequenza di fasi che ne individuano gli obiettivi, i requisiti, i vincoli, le caratteristiche, le prestazioni, i costi ed i rischi e la cui suddivisione segue precisi standard internazionali. Il primo passo nel processo che porta all’ideazione di una nuova missione spaziale è l’individuazione dei suoi obiettivi; questa fase è nota come fase 0 o anche pre-fase A e si conclude con la Mission Definition Review. L’innovazione è uno dei driver di missione nei programmi scientifici o anche nelle missioni pre-operative, dove un alto rischio tecnologico può essere accettato proprio con l’obiettivo di verificare e validare la strumentazione e gli scenari applicativi di future missioni operative, mentre nei programmi il cui utilizzo finale è la commercializzazione dei dati, l’innovazione tecnologica rappresenta una componente di rischio, che può avere importanti impatti sui tempi di realizzazione e sui costi del programma; per questo si predilige di solito un basso rischio tecnologico preferendo il riutilizzo di tecnologia matura e qualificata, con processi industriali standard, al fine di garantire il massimo ritorno dell’investimento effettuato come afferma Armando Tempesta nel numero 5 di Space Magazine del 2014. Per mettere a punto un programma scientifico, si ricorre tipicamente a Call for Ideas o Open Call, indirizzate alla comunità scientifica, dove vengono descritti gli obiettivi, la classe e il costo della missione oltre ai dettagli programmatici e attuativi. Le proposte 6 | SPAZIO 2050
pervenute in risposta a queste call aperte sono valutate e selezionate da esperti del settore che fanno parte dei comitati consultivi scientifici delle agenzie. Questo processo produce solitamente tre o quattro mission concepts per un programma, che entrano in una fase di valutazione e per i quali viene avviato uno studio di fattibilità, tipicamente della durata di un anno, che è la fase A di un progetto spaziale. Lo studio di fattibilità non individua potenziali progetti, ma verifica le condizioni di sviluppo di un progetto pre-identificato, fornendo tutti gli elementi per l’avvio della fase realizzativa attraverso l’identificazione di adeguate soluzioni tecnico-programmatiche scelte sulla base di criteri predefiniti, nell’ambito di vincoli economici e temporali dati. Questa fase si conclude con la Preliminary Requirements Review fornendo tutti gli elementi per l’avvio della fase di definizione delle specifiche del progetto, della configurazione e delle interfacce, nota come Fase B del progetto. Nel caso di un programma operativo,come quello della costellazione COSMO-SkyMed, che rappresenta uno dei maggiori investimenti nel settore dei sistemi
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spaziali per l’Osservazione della Terra fatti dal nostro Paese, la fattibilità del progetto si è completata con lo sviluppo delle tecnologie abilitanti necessarie a garantire la sua realizzabilità. Ed è stato proprio uno dei contratti tecnologici chiave, focalizzato sullo sviluppo della tecnologia e del modello di qualifica di un radar ad apertura sintetica ad alta risoluzione in banda X, che ha costituito il pilastro sulla base del quale è stato poi avviato il contratto definitivo di fase C/D/E per la definizione, sviluppo, realizzazione, messa in orbita e avvio operativo del sistema di Osservazione della Terra per applicazioni duali (civili e militari) COSMO-SkyMed come riporta su Arnaldo Capuzi su Space Magazine n. 5 del 2014. La fase C rappresenta la fase di definizione dettagliata delle specifiche di realizzazione e validazione del design, che si chiude con la Critical Design Review prima dell’avvio della fase di produzione e test di qualifica o fase D, che conduce alle Qualification e Acceptance Reviews.
Il satellite COSMO-SkyMed Seconda Generazione PFM prima del lancio.
Una rappresentazione del satellite COSMO-SkyMed Seconda Generazione. Di sfondo una immagine catturata da COSMO-SkyMed dello stretto di Fram tra le isole Svalbard e la Groenlandia. Crediti: ASI/e-Geos
A conclusione della fase D si autorizzano la spedizione del satellite/payload al sito di lancio, le operazioni al sito di lancio e il lancio. La successiva fase di avvio della vita operativa di una missione è nota come fase E, e prevede la fase di commissioning del satellite (validazione in volo), le attività nominali a regime, le operazioni di contingency e/o emergenza. Prima del lancio sono di norma stabilite anche le strategie di fine missione o fine vita operativa (fase F), nel corso della quale il satellite deve essere posizionato in modo da permettere il rientro nell’atmosfera o l’allontanamento definitivo dalla Terra (a seconda del tipo di missione), secondo modalità regolate da norme internazionali. Ad esempio, il propellente residuo deve essere scaricato per evitare esplosioni e questa operazione può anche richiedere diversi mesi, come è avvenuto per il terzo satellite della prima generazione della missione COSMO-SkyMed. Per un sistema di tipo duale - spiega Alessandro Coletta, su Space Magazine n. 5 del 2014 - come quello rappresentato dalla costellazione italiana COSMO-SkyMed, esistono sia vincoli di progettazione e realizzazione del sistema, sia vincoli di utilizzo dello stesso, con impatti su tutto il ciclo di vita del programma. La fase di gestione operativa della missione, per esempio, ha richiesto la definizione di una regolamentazione adeguata a far convivere le due componenti, quella civile e quella militare, per l’utilizzo del sistema, la cui fattiva collaborazione ha rappresentato un punto di forza che ha portato vantaggi alla componente civile, sia istituzionale sia commerciale, con ricadute positive anche nel contesto internazionale. SPAZIO 2050 | 7
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Il dIavolo è neI dettaglI: la Product Quality assurance di Rita Carpentiero
Lo Spazio è un ambiente estremamente ostile e complesso in cui anche un piccolo errore può risultare fatale e vanificare il lavoro di anni. Consolidate tecniche di Engineering e di Project Management, dispiegate nel ciclo di vita del progetto/prodotto spaziale non bastano a garantire il successo delle realizzazioni fino alla positiva conclusione della missione. Per questo motivo, gioca un ruolo fondamentale l’attività cosiddetta di Quality Assurance (QA), svolta da una struttura dedicata e responsabile di assicurare che la qualità dei processi e dei prodotti/servizi sia conforme alle specifiche richieste durante l’intero percorso di sviluppo. L’errore involontario, la casualità e la combinazione di elementi eccezionali avversi – esogeni o endogeni - sono purtroppo sempre in agguato. Queste eventualità non prevedibili vanno intercettate per tempo e comprese a fondo per essere gestite con metodo e professionalità. Chi si occupa di QA e Product Assurance (PA) non agisce solo per intuizione o per certezza storica ma per analisi dei dati raccolti, inclusi quelli provenienti da non conformità, anomalie e guasti. Per lo più problemi bloccanti accadono durante le fasi di fabbricazione, assiemaggio, integrazione e test, quando sovente i tempi stretti di sviluppo, qualifica e accettazione prima del lancio inducono ad analisi ed 8 | SPAZIO 2050
Il satellite Prisma dell'ASI nella camera pulita degli stabilimenti di OHB Italia a Tortona. Crediti: ASI/OHB
investigazioni affrettate rispetto al dovuto. Il contributo dei professionisti del Product/Quality Assurance grazie all’interazione con tutte le figure e i processi in campo, alla capacità di scansione ed intervento metodico, critico, anche creativo di fronte a scenari inattesi, e alle loro rigorose rilevazioni e registrazioni, permette di risalire alle condizioni operative di quanto accaduto a favore della diagnostica del modo di guasto e delle azioni di recupero. Difetti occulti svelabili già a terra sono la fonte principale dei malfunzionamenti anche permanenti in orbita. Sminuire o trascurare anche piccole ‘perdite’ durante il percorso amplifica i rischi. L’esame dei dettagli, precursori di errori ma a volte anche di azioni di mitigazione e opportunità di miglioramento, incide sul risultato finale. Va quindi dato il giusto peso ad accurate osservazioni, nonché a tutte le problematiche e non demonizzare l’errore, se dagli errori si vuol imparare ed evolvere, mettendo a frutto i ritorni dal campo. La figura del PA/QA, incisivo, indipendente, esempio di eccellenza operativa, soprattutto on site, e ad arte non interferente, è quanto richiesto per ergersi oltre il tradizionale controllo del rispetto dei piani e dei requisiti contrattualmente prescritti. Al fine di suggellare e dimostrare in esercizio le dichiarazioni di Prodotto Space-Quality, marchio universale di eccellenza.
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Lo spazio col fiato sospeso Chi ha seguito in diretta il lancio di una missione lo sa: quando un satellite sparato nello spazio raggiunge l’orbita e viene rilasciato dal vettore, la sensazione è quella di aver superato la prova più grande e raggiunto il traguardo più importante. In realtà, quello è solo l’inizio di una nuova storia, tutta da scrivere, in cui l’imprevisto, sempre dietro l’angolo, può in ogni momento compromettere l’esito della missione. Qui di seguito vi proponiamo il racconto, per molti inedito, di casi in cui non tutto è andato come da programma, generando, spesso, risvolti inaspettati. Ma questo è lo Spazio, bellezza!
A cura di Manuela Proietti
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Il lander Philae ‘ritrovato’ dalla sonda Rosetta dopo oltre un anno di ricerche. Durante l’accometaggio Philae era rimbalzato tre volte sulla soffice superficie della cometa 67P per poi posarsi in un crepaccio. Il lander riuscì comunque a comunicare con Rosetta, inviando alla sonda foto e dati di grande valore scientifico. Crediti: ESA/Rosetta/MPS per OSIRIS Team MPS/UPD/ LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA; contesto: ESA/ Rosetta/NavCam – CC BY-SA IGO 3.0 SPAZIO 2050 | 11
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«Io lo dico sempre: quando abbiamo deciso di fare una missione come Rosetta, raggiungendo la stessa velocità di una cometa a 600 milioni di chilometri dal Sole, non eravamo in pieno possesso delle nostre facoltà mentali.» Sulla carta, Rosetta era una missione impossibile. E a dirlo è proprio una delle colonne della tecnologia di Rosetta, Amalia Ercoli Finzi, che del resto alle sfide ci è abituata. Nel 1962 diventa la prima donna a laurearsi in ingegneria aeronautica in Italia, al Politecnico di Milano, dove continua anche la sua carriera in meccanica aerospaziale. Diventando poi consulente scientifica di NASA, ESA e ASI per diverse missioni spaziali. «Quando avevo appena iniziato l’università, nel 1957 - continua Amalia Ercoli Finzi - è volato lo Sputnik. Si può dire che io abbia visto la nascita dell’esplorazione spaziale. E in questi anni abbiamo fatto cose meravigliose».
RosEttA, una missione impossibile di Giulia Bonelli
Amalia Ercoli Finzi racconta il dietro le quinte della storica missione che ha svelato i segreti della cometa 67P
Amalia Ercoli Finzi. Crediti: Regione Piemonte
Come riuscire a inviare nello spazio una sonda in grado di entrare nell’orbita della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko e posare un lander sulla sua superficie. Rosetta, missione dell’Agenzia Spaziale Europea, è stata una delle imprese spaziali più innovative di sempre. Quel che è meno noto, però, è che la progettazione e costruzione di Rosetta hanno richiesto anche una certa dose di creatività. A partire da uno dei suoi strumenti principali, proprio quello di cui Ercoli Finzi era responsabile: SD2, la trivella che doveva perforare il suolo della cometa. Il progetto, preso in carico da Galileo Avionica, vede la mancanza di alcune componenti legate proprio al funzionamento dello strumento. Anche in questo caso, la sfida è notevole: far lavorare un trapano in condizioni estreme e a una gravità minima. Nessuno della tradizionale catena di fornitura spaziale sembra disposto ad accettare l’incarico. E così Amalia Ercoli Finzi ha l’intuizione di andare a cercare la soluzione nel mondo dell’industria automobilistica. Si rivolge quindi a un suo ex studente, Giampaolo Dallara, fondatore dell’omonima azienda. «Sapevo che in Dallara lavoravano bene con le fibre di carbonio, perché realizzavano parti di auto da corsa. Con loro siamo riusciti a completare uno strumento estremamente complicato eppure leggerissimo, meno di 5 chilogrammi. La punta della trivella era di diamante sintetico, il resto di platino e la lente attraverso cui analizzare gli esperimenti era di zaffiro». Un vero gioiello, che per funzionare necessita di motori in grado di regolare i due movimenti principali: la rotazione e l’abbassamento. «Ci servivano motori a secco - continua Ercoli Finzi - perché nello spazio non si possono mettere lubrificanti. Li abbiamo trovati in Svizzera. Funzionavano alla perfezione, ma in fase di test abbiamo commesso forse una leggerezza: nel sistema di terra abbiamo utilizzato la stessa tensione del sistema spaziale, 28 volt per entrambi i motori. Il rischio nello spazio era che, animando la rotazione, si potesse animare anche l’abbassamento della trivella, causando dei danni. Per fortuna questo non è avvenuto, ma è stato per noi un vero patema d’animo». Già, perché c’è una caratteristica che accomuna tutte le missioni spaziali così ambiziose: è praticamente impossibile anticipare tutti i possibili problemi, che sono molti più di quanto si riesca a immaginare. Nel febbraio 2004, dopo anni di test, Rosetta è pronta a partire. Ed è qui che cominciano le emozioni più forti del dietro le quinte della missione, a partire da due rinvii del lancio: prima per le condizioni meteo, poi per problemi tecnici al vettore europeo Ariane 5. «Il secondo rinvio è stata una sorpresa per tutti, - ricorda Amalia Ercoli Finzi - perché l’abbiamo saputo all’ultimo. Addirittura al momento del countdown». Il 2 marzo 2004 inizia finalmente il lungo viaggio di Rosetta verso la cometa 67P. Nel 2011 la sonda entra in stato di ibernazione, per ri-
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uscire ad affrontare il tratto di strada che la vedrà più lontana dal Sole. Il letargo di Rosetta dura due anni e mezzo. E il ‘risveglio’, il 20 gennaio 2014, è la tappa cruciale dell’intera missione. «L’ESA - racconta Ercoli Finzi - aveva un’ora di tempo per poter svegliare Rosetta, che a quel punto era come un minuscolo granello di sabbia nel Sistema solare. Sapete dopo quanto tempo si è svegliata la sonda? 50 minuti. Potete immaginare che cosa siano stati per noi quei 50 minuti di attesa». Dopo aver festeggiato il risveglio di Rosetta, per Amalia Ercoli Finzi inizia una delle prove più difficili della sua carriera: svegliare anche il ‘suo’ strumento, la trivella SD2. «Ero al centro ESA di Tolosa. Quando è arrivato il momento, ho chiamato SD2. Ed è arrivata la risposta: ready, ‘sono pronto’. È stata un’emozione così tremenda che mi sono messa a piangere. Le probabilità di riuscire a rimetterci in contatto erano bassissime, ma ce l’abbiamo fatta». E così Rosetta arriva a destinazione. Il 6 agosto 2014 avviene il suo rendez-vous con la cometa 67P, dove il 12 novembre atterra il lander Philae. E anche in questo caso, incognite e imprevisti sono la normalità.
Rappresentazione artistica della discesa del lander Philae sulla cometa 67P, qui immortalata dalla telecamera di navigazione di Rosetta. Crediti: Esa/Atg medialab; Esa/Rosetta/ NavCam
Replica del lander Philae. La freccia rossa indica la trivella SD2. Crediti: Esa
«Andavamo a lavorare in un ambiente completamente sconosciuto. Non sapevamo quali caratteristiche del suolo potesse incontrare la trivella: 67P poteva essere ricoperta di ghiaccio molto compatto, il che avrebbe reso più complessa la perforazione del suolo. In realtà, quando Philae è atterrato sulla cometa, i suoi arpioni non hanno funzionato. Questo perché ha incontrato un terreno soffice, come se fosse neve. Il lander ha fatto un balzo di quasi 3 chilometri, durato più di due ore, per poi tornare sulla superficie di 67P. A quel punto l’accometaggio è andato a buon fine». La missione Rosetta termina ufficialmente il 30 settembre 2016, dopo 12 anni di vita operativa, una miniera d’oro di dati raccolti e una preziosissima eredità tecnologica. Proprio alla trivella di Rosetta è ispirata la trivella a bordo della futura impresa europea ExoMars su Marte. Una missione che porta anche il nome di Amalia Ercoli Finzi: a lei è intitolato il rover terrestre su cui il team dell’ESA sta facendo tutti i test per preparare il rover marziano Rosalind Franklin. Ed è così che Rosetta, la missione impossibile, passerà il testimone ad altre missioni apparentemente impossibili. SPAZIO 2050 | 13
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Altro che “Schiantarelli” di Pino Di Feo
Пойдем! Andiamo… Un bagliore lontano, un boato crescente che fa tremare le gambe. Pian piano, il grosso lanciatore Proton della Roscosmos, si solleva verso il cielo, sparendo nella bassa copertura nuvolosa di un gelido marzo kazako. In un’atmosfera vintage, dal retrogusto anni ’40, l’eco di una voce gracchiante, attraverso un amplificatore, scandisce in russo le prime fasi dell’ascesa mentre intorno è un tripudio di click di macchine fotografiche, applausi, abbracci ed emozioni Made in Italy di scienziati, tecnici e ricercatori.
I retroscena e le lesson learned della missione Exomars del 2016 Ma, si sa, nelle missioni spaziali non sempre tutto va come si vorrebbe. Così, basta una piccola avaria a un giroscopio nelle fasi finali dell’ammartaggio, per trasformare Schiaparelli in… “Schiantarelli”.
È fatta, la missione Exomars è iniziata; il 14 marzo 2016, dal cosmodromo russo di Baikonur, in Kazakhstan, l’Italia è partita alla scoperta dei segreti di Marte, grazie a un ambizioso programma spaziale, nato dalla collaborazione tra l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), l’Agenzia Spaziale Europea ( ESA) e la russa Roscosmos. In circa 7 mesi, la sonda arriverà su Marte per operare con i suoi due componenti principali: il TGO, Trace Gas Orbiter che resterà nell’orbita marziana analizzando l'atmosfera del pianeta rosso e il modulo EDM (European Demonstration Module) Schiaparelli, un dimostratore tecnologico di discesa e ammartaggio, progettato e costruito in Italia, a Torino, da Thales Alenia Space che scenderà su Marte facendo da apripista per le future esplorazioni del pianeta, comprese quelle umane e che, sul suolo marziano, con gli esperimenti italiani Amelia e Dreams, condurrà ricerche e test scientifici. 14 | SPAZIO 2050
L'orbiter TGO e il lander Schiaparelli. Crediti: ESA
Il 19 ottobre 2016, mentre tutto il mondo è con il fiato sospeso, l’ ESA conferma che il piccolo lander italiano si è schiantato sulla superficie marziana a circa 300 Km all’ora. Le prime immagini, scattate dal TGO in orbita mostrano uno sbuffo nero nel punto in cui Schiaparelli ha impattato il suolo, decretando il fallimento della missione. Ma è davvero così? Raffaele Mugnuolo, responsabile dell’Unità Esplorazione, Infrastrutture Orbitanti e di Superficie e Satelliti Scientifici dell’ASI, non è di questo avviso. “Non si può parlare di fallimento – spiega – il TGO sta funzionando perfettamente dal 2016, senza sbavature. Siamo già a 7 anni di piena operatività, sia
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Insomma, il lavoro del TGO in orbita marziana è un successo senza se e senza ma… Tuttavia, per Mugnuolo anche l’estremo sacrificio di Schiaparelli non è stato vano. Si può dire, anzi che il test di discesa e ammartaggio ha funzionato al 99%, producendo dati utili che potranno essere utilizzati per le prossime missioni europee sul pianeta rosso. “Solo negli ultimi secondi – precisa – c’è stato un problema, abbastanza confinato e identificato, quindi siamo in grado di correggerlo tranquillamente. Un sensore dava per ‘arrivato’ il lander cioé sembrava che ci fosse già stato il contatto con la superficie, quindi il computer di bordo ha spento i retrorazzi prima del dovuto, causando lo schianto. Però tutta la sequenza che viene chiamata EDL (Entry, Descend and Landing) è divisa in tre fasi: entrata nell'atmosfera, discesa e atterraggio e, di queste, le prime due sono state eseguite perfettamente”.
scientifica sia di supporto alle comunicazioni. L'ESA, infatti, ha messo a disposizione il TGO, per la missione Insight della NASA del 2018 e per Mars 2020 del rover Perseverance. Durante queste missioni, la NASA si è avvalsa anche del satellite europeo per le comunicazioni durante alcune fasi della discesa su Marte. Inoltre, la strumentazione scientifica sta producendo molti dati con risultati importanti, per esempio sulla rilevazione di tracce di gas metano nell'atmosfera e ne aspettiamo molti altri nei prossimi anni”. “Molte informazioni che sta elaborando il TGO - aggiunge Mugnuolo - saranno confermate prossimamente, come le analisi sulla composizione dell’atmosfera di Marte ma non solo. Sta anche scattando straordinarie immagini in HD della superficie marziana con lo strumento CASSIS, utili per gli studi sulla morfologia e l’evoluzione geologica del pianeta e che, nel 2021, sono servite anche a individuare il migliore sito d’atterraggio del rover Perseverance della NASA, nel cratere Jezero”.
In circa 7 mesi, la sonda arriverà su Marte per operare con i suoi due componenti principali: il tGo, e il modulo eDM.
“Non è banale perché la prima fase, l'entrata nell'atmosfera marziana è cruciale; basta un'angolazione errata di frazioni di grado, per avere esiti disastrosi, in alcuni casi la sonda potrebbe, ‘rimbalzare’ sull'atmosfera di Marte e proseguire il suo viaggio senza scendere sul pianeta. Se, invece, entri con un'angolazione troppo acuta ti trovi ad affrontare velocità e temperature superiori a quelle attese e questo causerebbe la distruzione della sonda. Cosa fare non lo decidi quando sei arrivato, dipende da come hai fatto i calcoli alla partenza e da come hai corretto la traiettoria man mano che ci si avvicinava al pianeta, perché una volta in orbita marziana non c'è più tempo per correggere gli errori, quindi bisogna fare i complimenti al team dell’ ESA che gestisce le operazioni perché questa prima fase è stata perfetta. Così come quella di discesa, con l’apertura del paracadute supersonico che ha frenato come doveva la sonda e ha funzionato anche lo scudo termico, tant'è che il modulo di discesa, nei pochi secondi in cui si è acceso, ha dato prova che tutto funzionava perfettamente”. “Ciò che, invece, non è andato bene è l'ultima fase, cioè il landing – conclude Mugnuolo – i sensori hanno rilevato con qualche secondo d’anticipo l'arrivo sulla superficie, quindi sono stati spenti i retrorazzi e la sonda è precipitata. Questa fase è sicuramente da migliorare ma non si può dire che tutta l’esperienza sia stata un fallimento. Abbiamo raccolto informazioni necessarie per capire cosa abbiamo fatto bene e cosa, invece, dobbiamo migliorare”. Insomma, bisogna guardare il bicchiere mezzo pieno, soprattutto concentrandosi sui dati che Schiaparelli ha raccolto nella sua discesa e che, un domani, saranno preziosi per tornare su Marte e non solo. SPAZIO 2050 | 15
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Euclid E JuicE, quando la sciEnza corrE sul filo di Fulvia Croci
Le due missioni ESA hanno affrontato e superato momenti critici che hanno tenuto la comunità scientifica col fiato sospeso
La fase critica di una missione spaziale non si conclude, come molti credono, con il lancio e il posizionamento in orbita. Di frequente le maggiori difficoltà nell’avvio della fase operativa sono da imputarsi a problemi al software o altre criticità che si verificano giorni o mesi dopo il liftoff e possono seriamente precludere il buon esito della missione. Ne sono l’esempio due sonde che fanno parte della flotta europea di esplorazione del cosmo e del Sistema Solare: Euclid e Juice. La prima è partita il 1° luglio con l’incarico di migliorare le conoscenze sulla materia e sull’energia oscura, uno dei temi di maggiore interesse nell’astrofisica moderna. La seconda è stata lanciata lo scorso 13 aprile, alla scoperta del pianeta Giove e delle sue lune. A fine agosto Euclid è stato costretto a una pausa forzata a causa di un problema con il sensore di guida FGS (Fine Guidance Sensor) che ha interrotto la fase di verifica prima dell’avvio della campagna dedicata alle osservazioni scientifiche. Nello specifico l’FGS talvolta non riusciva a riconoscere le stelle guida del catalogo che vengono utilizzate per il puntamento. Al momento dello stop la sonda si trovava già nell’orbita prestabilita, attorno al secondo punto di Lagrange, a un milione e mezzo di chilometri dalla Terra da dove osserverà l’universo remoto per creare una mappa 3D di miliardi di galassie lontane. La soluzione è arrivata grazie all’aggiornamento del software realizzato 16 | SPAZIO 2050
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dai partner industriali della missione: Thales Alena Space e Leonardo, che hanno testato l’aggiornamento su un modello del satellite a terra. Una volta ricevuto il feedback positivo il team ha testato il software in orbita per dieci giorni, riscontrando un risultato positivo.
Da allora Euclid ha proseguito il suo lavoro come da manuale e il telescopio ha inviato a terra le prime immagini: cinque straordinarie foto dettagliate che ritraggono una varietà di oggetti celesti. L’Italia è coinvolta nella missione Euclid sotto molteplici aspetti: sia attraverso la realizzazione di sottosistemi dei due strumenti di bordo, sia con la responsabilità della gestione della parte scientifica del Segmento di Terra e della survey e delle operazioni in volo degli strumenti, ma anche con ruoli importanti per aspetti tecnici e scientifici della missione. Il nostro Paese è, insieme a
Rappresentazione grafica del telescopio Euclid. Crediti: ESA Sullo sfondo: un modello miniaturizzato della sonda Juice presso il centro Estec dell’ESA. Crediti: ESA–M. Cowan
Francia e Gran Bretagna, il principale protagonista della missione grazie al supporto, in primo luogo, dell’Agenzia Spaziale Italiana. La missione prevede anche la partecipazione della NASA, che fornisce i rivelatori per lo strumento Nisp. «La soluzione del problema di puntamento ha fatto tirare un sospiro di sollievo alle oltre tremila persone che da quindici anni lavorano per la missione Euclid – ha commentato Elisabetta Tommasi dell’Agenzia Spaziale Italiana - in realtà c’era ottimismo, in particolare da quando si è capito che il problema non era nell’hardware del satellite o degli strumenti, ma poteva essere risolto inviando da Terra una nuova versione del software di bordo del Fine Guidance System. Diversamente è stata affrontata la questione della straylight, cioè della luce diffusa all’interno di uno degli strumenti dall’alloggiamento di un propulsore posto all’esterno del satellite e non correttamente schermato dalla luce solare; in questo caso è stato necessario ripianificare le osservazioni per far sì che il satellite si posizioni sempre in modo da tener in ombra questo elemento. Questi problemi non sono inusuali nelle prime fasi operative delle missioni spaziali, proprio per questo viene dedicato parecchio tempo dopo il lancio a tutti i tipi di controlli, prima di iniziare la verifica delle prestazioni, le calibrazioni e, finalmente, le osservazioni scientifiche». Anche la sonda Juice ha superato indenne un problema al dispiegamento all’antenna italiana Rime (Radar for Icy Moons Exploration), un radar ottimizzato per penetrare la superficie ghiacciata dei satelliti Galileiani fino alla profondità di 9 chilometri con una risoluzione verticale fino a 30 metri. Dopo aver rilevato il problema che si è verificato tre giorni dopo il lancio, il 17 aprile, i tecnici hanno lavorato per tre settimane con l’obiettivo di sbloccare il perno che impediva il completo dispiegamento di uno dei due bracci dell’antenna. Il team ha valutato diverse soluzioni per poi decidere di ruotare Juice, grazie all’uso dei propulsori, per otto volte in due settimane, con un tempo di esposizione alla luce sempre maggiore. In questo modo è stato possibile raggiungere una posizione favorevole per sfruttare il calore del Sole e permettere lo sblocco del meccanismo del perno. «Senza il completo dispiegamento dell’antenna – ha detto Barbara Negri, responsabile del Volo Umano e della Sperimentazione Scientifica di ASI – non saremmo stati in grado di utilizzare il radar Rime e abbiamo vissuto l’attesa delle riparazioni con preoccupazione. I dati prodotti da questo strumento consentiranno agli scienziati di vedere al di sotto della crosta ghiacciata della Lune per comprendere le caratteristiche del loro sottosuolo e identificare l’eventuale presenza di acqua allo stato liquido». SPAZIO 2050 | 17
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Solar orbiter e il primo commissioning da remoto della storia di Marco Stangalini Il 10 febbraio 2020, Solar Orbiter, la missione dell’ESA dedicata allo studio del Sole, era pronta per il lancio presso il centro NASA di Cape Canaveral. I team dei dieci strumenti scientifici di bordo avevano speso molti mesi a pianificare nei minimi dettagli tutte le procedure di accensione e le attività di verifica degli stessi che si sarebbero svolte nelle settimane successive. Questa fase, in gergo detta “commissioning”, è quella fase in cui gli strumenti scientifici vengono accesi per la prima volta dopo il lancio per verificarne la funzionalità e prepararli alla fase scientifica. È una fase molto delicata in cui non di rado si deve far fronte ad imprevisti tecnici di varia natura, mettendo il team sotto pressione. Tutto deve essere pertanto svolto seguendo procedure ben collaudate e, nel caso di Solar Orbiter, secondo tempistiche molto stringenti, vista l’urgenza di completare il processo prima che il satellite si allontanasse troppo dalla Terra, cosa che avrebbe limitato la capacità di comunicare con lo stesso e scaricare a Terra tutti i dati scientifici e di telemetria necessari alla corretta messa a punto degli strumenti. Tuttavia, quel 10 febbraio, mentre con un lancio da manuale Solar Orbiter prendeva una traiettoria che lo avrebbe portato ad una distanza ravvicinata dal Sole su un’orbita molto ellittica intorno alla nostra stella, nessuno avrebbe mai immaginato che di lì a poco tutti i piani sarebbero stati stravolti. In condizioni normali, la procedura per la prima accensione e verifica funzionale di ognuno degli strumenti scientifici a bordo di Solar Orbiter avrebbe 18 | SPAZIO 2050
Immagine ad alto contrasto della corona solare estesa acquisita da Metis e del disco solare in banda UV ottenuta da EUI durante il primo passaggio ravvicinato al Sole di Solar Orbiter il 25 marzo 2022. Crediti: ESA & NASA/Solar Orbiter/EUI & Metis teams, D. Telloni et al (2022).
richiesto la presenza dei relativi team presso la sede del centro operazioni dell’ESA, a Darmstadt in Germania. Tra questi, il team dello strumento italiano Metis, uno strumento dedicato allo studio degli strati più esterni dell’atmosfera solare con una risoluzione spaziale e temporale senza precedenti. Non sarebbe stato così e, con l’Italia che per prima tra i partner del programma si trovava alle prese con i primi focolai di Covid-19, il team italiano sarebbe stato il primo a dover far fronte a questa circostanza imprevista. Il 28 febbraio 2020, infatti, quando Metis doveva essere acceso per la prima volta, il team italiano che doveva recarsi presso il centro operazioni dell’ESA
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inizialmente avrebbe dovuto seguire direttamente le operazioni e raggiungere il team scientifico presso la sede ESA di Darmstadt, si era visto costretto ad annullare il proprio programma di viaggio a solo poche ore dalla partenza, e in considerazione delle raccomandazioni emanate dalle autorità sanitarie. Quel giorno, grazie alla grande preparazione e competenza del team scientifico italiano e del team ESA incaricato di assistere le operazioni, tutte le procedure e i test di verifica avrebbero dato esito positivo. Metis si era acceso correttamente, e i dati acquisiti e trasmessi a Terra erano più che soddisfacenti. Una soddisfazione doppia se si pensa alle modalità con le quali si erano svolte le attività. Questa situazione, che inizialmente appariva essere un problema limitato al solo team italiano, nel giro di poche settimane si sarebbe purtroppo estesa anche ad altri team europei, fino alla chiusura temporanea del centro operazioni dell’ESA a Darmstadt. Si era passati quindi improvvisamente ad una situazione mai sperimentata prima e del tutto incerta, e alla necessità di rivedere interamente e rapidamente il piano di commissioning di tutti gli strumenti di bordo secondo una modalità “in remoto” del tutto nuova e mai sperimentata. Le settimane e i mesi successivi hanno messo duramente alla prova i team e costretto i responsabili scientifici a riprogrammare le attività giorno per giorno, adattandosi al rapido evolversi della situazione e talvolta, purtroppo, all’indisponibilità momentanea di figure chiave del proprio team colpite dal Covid-19.
era stato decimato a causa delle prime restrizioni per il contenimento dell’epidemia. Ciò aveva causato notevoli difficoltà in quanto persone fondamentali per l’esecuzione delle procedure, l’invio dei telecomandi allo strumento e l’analisi della telemetria e dei dati scientifici ricevuti a Terra, erano state costrette a dare il proprio supporto telefonicamente, vista l’impossibilità in quel momento di accedere ai dati di telemetria che provenivano in tempo reale dallo strumento in volo. Tutte le procedure che erano state pianificate attentamente per mesi erano state completamente ripensate nel giro di pochissime ore. Lo stesso team ASI Solar Orbiter, che
Tuttavia, quei mesi concitati e di grande tensione per i team non hanno impedito il raggiungimento degli obiettivi previsti. Solo pochi mesi dopo lo scoppio della pandemia, nel luglio 2020, ESA rilasciava le prime immagini scientifiche ottenute dagli strumenti a bordo di Solar Orbiter. Quelle primissime immagini testimoniavano non solo la validità scientifica degli strumenti di bordo stessi, ma anche la grande preparazione e competenza di tutti i tecnici e degli scienziati coinvolti nella missione che avevano permesso di raggiungere quel risultato, con delle modalità impensabili prima.
la pandemia ci ha visti costretti a rivedere tutte le procedure.
A distanza di quasi quattro anni, Solar Orbiter ha ottenuto e continua ad ottenere importanti risultati scientifici permettendoci di osservare il Sole da una distanza ravvicinata pari a solo un terzo della distanza Terra-Sole. Un punto d’osservazione privilegiato che ci consente di osservare i processi dinamici dell’atmosfera del Sole come mai prima d’ora e di comprendere sempre meglio in che modo la nostra stella controlli le condizioni fisiche dello spazio interplanetario con effetti, quali ad esempio le tempeste geomagnetiche, misurabili anche a Terra. SPAZIO 2050 | 19
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Missione Liciacube, nata da un cocktail di audacia e contingenza di Giuseppe Nucera
Una sfida tecnologica nello spazio profondo può nascere anche da un aperitivo. È il caso del nanosatellite LiciaCube di ASI, prima missione interplanetaria italiana le cui immagini hanno documentato il primo test di difesa planetaria contro un asteroide: l’impatto avvenuto il 26 settembre 2022 ad opera della sonda Dart di NASA contro Dimorphos, con l’obbiettivo di modificarne l’orbita attorno al corpo maggiore Didymos. Una collisione storica di cui NASA, prima che LiciaCube fosse concepita al fianco di Dart, prevedeva di misurare gli effetti con telescopi da Terra, a 12 milioni di km di distanza. Un piano che muta, però, nel corso di un workshop organizzato a Washington in occasione della firma di un accordo di cooperazione tra ASI e l’istituto Sservi di NASA, ente per l’esplorazione del Sistema Solare nato dall’ex NASA Lunar Science Institute. «Era il 14 giugno 2017 e, invitato al seminario, ho presentato alcuni nanosatelliti ASI, allora ancora in fase di sviluppo, tra cui il CubeSat ArgoMoon – afferma Simone Pirrotta, Program Manager di LiciaCube per ASI– NASA aveva invece invitato Andy Rivkin, Project Scientist di Dart, credo perché il suo team era, tra quelli di NASA-Sservi, il più vicino geograficamente a Washington». Contingenza che ha permesso al team italiano di approfondire l’impresa che Dart si prefiggeva di compiere 5 anni dopo, e alla NASA di scoprire le potenzialità del nanosatellite ArgoMoon. In progettazione presso la ditta Argotec per conto di ASI affinchè prendesse parte alla missione lunare Artemis 1 di NASA, Argo20 | SPAZIO 2050
In alto: illustrazione che unisce un’immagine del nanosatellite LiciaCube con uno dei suoi scatti che hanno documentato in prossimità l’impatto di Dart contro l’asteroide Dimorphos.
Fotografia scattata da LiciaCube che mostra in primo piano l’asteroide maggiore Didymos e dietro la sua luna Dimorphos con il pennacchio di materiale espulso per la collisione con Dart.
Moon avrebbe eseguito manovre orbitali e acquisito immagini dei principali oggetti visibili, quindi il lanciatore Space Launch System, la Terra e la Luna, gestendo il puntamento in modo autonomo mediante il proprio software di bordo. «Conversando durante il cocktail finale dell’evento, in un brainstorming non pianificato ma efficace – dice Pirrotta – è nata l’idea che Dart fosse accompagnato da un nanosatellite simile ad ArgoMoon per configurazione e capacità, con l’obiettivo di documentare l’impatto contro l’asteroide da un punto di vista ravvicinato e prezioso». Tornato in Italia, il team ASI ha poi valutato in concreto, prima con Argotec e poi con i partner di Inaf e delle Università di Bologna e Milano, la possibilità di costruire, in soli 4 anni prima del lancio, un CubeSat in base alle prestazioni richieste: ArgoMoon sarebbe rimasto a lungo ad orbitare in prossimità dei target, mentre LiciaCube avrebbe dovuto sorvolare a più di 6 km al secondo l’asteroide appena impattato da Dart, con uno dei flyby più veloci e ravvicinati mai tentati. «Era necessario anche studiare e poi seguire la traiettoria con grande accuratezza». Un’impresa realizzata con successo e che NASA, all’epoca, avrebbe difficilmente concepito da sola. «Dopo i CubeSat gemelli MarCO di NASA, LiciaCube è stato il terzo nanosatellite nella storia dell’esplorazione in Deep Space, a cui è riconosciuto un alto valore aggiunto alla missione Dart», conclude Pirrotta.
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iL caso di agiLe: la scienza inaspettata parte del cielo. Gli scienziati comprendono che l’inaspettato ‘dietro le quinte’ è ideale per monitorare la variabilità delle sorgenti celesti su tutta la volta celeste.
di Barbara Negri
Correva l’anno 2007 quando il satellite scientifico italiano AGILE -Astrorivelatore gamma a immagini leggero- realizzato dall’Agenzia spaziale italiana (Asi) con il contributo dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), insieme all’industria italiana, veniva lanciato dalla base di Sriharikota in India. AGILE doveva studiare l’Universo in raggi X, in particolare i fenomeni più violenti dell’universo remoto come le stelle di neutroni, buchi neri e oggetti monstre ai confini del cosmo. Costato molto meno della metà del costo di una missione spaziale europea di medie dimensioni, AGILE era stato programmato per durare solo 2 anni, estendibili ad altri 2. Oggi, dopo sedici anni AGILE è ancora operativo e produce ottime osservazioni scientifiche, malgrado un serio imprevisto. Dopo il commissioning AGILE per quasi un anno e mezzo procede in “pointing mode" cioè la modalità stabilita, con una sequenza settimanale di puntamenti. Poi, ad aprile 2009 arriva inaspettata la brutta notizia: un grave malfunzionamento al sistema di puntamento inerziale aveva costretto il satellite ad entrare nella modalità Sun Pointing Spinning. Le reaction wheel erano andate in avaria, probabilmente per un difetto su alcuni componenti e non era più possibile ripristinare la modalità operativa di missione. AGILE cambia il modo di osservare: da “pointing mode" passa alla modalità “scanning” ruotando su sé stesso ogni 7 minuti e scrutando ogni giorno buona
Ed è proprio l’area di cielo che comprende la Nebulosa del Granchio o Crab Nebula, considerata finora una sorgente di energia stabile nelle alte energie, che offre una grande, sensazionale e inaspettata opportunità: AGILE scopre una variabilità nell'emissione gamma della Crab Nebula. È una scoperta scientifica talmente importante, che permette al team scientifico di AGILE di vincere nel 2012 il prestigioso premio Bruno Rossi nel campo dell’astrofisica delle alte energie. Il satellite scientifico italiano AGILE (Astrorivelatore Gamma a Immagini LEggero) dell’ASI.
La modalità ‘non prevista’ ha permesso di dare una risposta rapida in caso di eventi transienti nell’osservazione del cielo e il sistema di allerta ha permesso di osservare anche fenomeni terrestri, tra cui i lampi di raggi gamma chiamati Terrestrial Gamma-Ray Flashes (TGF), eventi brevissimi ad alta intensità energetica prodotti da fenomeni atmosferici estremi. Prima di AGILE la conoscenza dei TGF collegati a fenomeni atmosferici estremi come tempeste tropicali o eventi ad alta intensità elettrica era nota, ma venivano misurati da altri satelliti a livelli di energia più bassi. AGILE ha permesso di dimostrare che esistono in natura TGF molto più energetici di quelli noti, fino a energie dell’ordine di cento milioni di elettronVolt (MeV). La scoperta ha messo in crisi tutte le teorie fino ad allora elaborate per dare una spiegazione al fenomeno oggetto di modelli di studio applicati anche all’avionica terrestre. SPAZIO 2050 | 21
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GRUPPO FS VERSO UNA MOBILITÀ A ZERO EMISSIONI di Redazione Nel proprio piano industriale il Gruppo FS, guidato dall'amministratore delegato Luigi Ferraris, ha fissato al 2040 il raggiungimento della neutralità carbonica, con uno step intermedio: rispetto al 2019, FS vuole dimezzare entro il 2030 le emissioni dirette e indirette (Scope 1 e Scope 2) e ridurre del 30% quelle della catena del valore (le cosiddette Scope 3 prodotte da fornitori, clienti, collaboratori ecc.). Secondo l’ultimo GHG Report del Gruppo – che analizza la gestione degli aspetti energetici e delle emissioni di gas climalteranti – il 2022 ha registrato un incremento del traffico ferroviario post-pandemia al quale, tuttavia, ha corrisposto una riduzione di circa il 4% delle emissioni di gas serra. Per arrivare al traguardo net-zero e contribuire alla riduzione delle emissioni del settore dei trasporti, FS Italiane si muove lungo quattro direttrici: modal shift, phase out dei combustibili fossili, efficientamento energetico, energie rinnovabili. Modal shift. FS cerca di far spostare sempre più persone con treni, bus, mobilità dolce e altri mezzi collettivi e condivisi nonché trasportare su ferro una quota crescente di merci, togliendo auto e camion dalle strade. Sta ampliando la rete ferroviaria per renderla più capillare e diffusa, con 1.000 chilometri di nuove tratte ferroviarie ad alta velocità. Sta trasformando le stazioni in nodi di intermodalità e poli di attrazione per lo sviluppo del territorio. Phase out dei coMbustibili fossili. Il piano industriale prevede l’elettrificazione di oltre 2.000 chilometri di linea eliminando gradualmente i mezzi diesel inquinanti ed energivori. Il Gruppo sta studiando anche soluzioni che sfruttino l’idrogeno. 22 | SPAZIO 2050
Il Frecciarossa e il treno Rock.
Qbuzz, controllata di Busitalia operante nei Paesi Bassi, ha una flotta di bus elettrici cui si aggiungono alcuni bus alimentati a idrogeno (-1.375 tonnellate di CO2 all’anno). Qbuzz è leader nell’utilizzo di autobus a basso impatto ambientale (nella sua flotta 310 bus a zero emissioni, di cui 32 alimentati ad idrogeno e 278 elettrici, rappresentando oggi una best practice a livello europeo) e nella sperimentazione di carburanti a basso impatto ambientale come HVO, quest’ultimo già utilizzato con ottimi risultati. efficientaMento energetico. La riduzione dei consumi parte da treni e bus con performance ambientali sempre più elevate, come i regionali Pop,
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Due esempi di fotovoltaico: Officine di Foligno e Impianto di Scalo San Lorenzo a Roma Nell’Officina Manutenzione Ciclica Locomotive di Foligno, sulla copertura dei capannoni della torneria e sul capannone principale dello stabilimento, sono stati montati 2.564 pannelli solari in silicio monocristallino, per una superficie utile di captazione di 5.560 metri quadrati. Il parco fotovoltaico, inaugurato nel marzo 2023, produrrà a regime 1,4 GWh, pari al 20% del fabbisogno complessivo, evitando l’emissione di circa 740 tonnellate di CO2 all’anno. A Roma, nell’Impianto di Manutenzione Corrente dei treni Alta Velocità di Scalo San Lorenzo, è stato installato sul tetto dei capannoni un sistema da 1.108 kW per produrre 1,5 GWh all’anno, con un risparmio di quasi 800 tonnellate di CO2 all’anno. Oltre che nella produzione da fonti rinnovabili, Trenitalia ha investito nell’efficientamento energetico e ridotto i consumi di luce e riscaldamento, fino a raggiungere un livello di autosufficienza pari al 39% del fabbisogno energetico.
Rock e Blues. Le principali infrastrutture del Gruppo sono oggetto di numerosi interventi di riqualificazione. Con il progetto Smart Station, RFI telemonitora e telegestisce gli impianti di illuminazione, i consumi di gas e di acqua delle stazioni per massimizzare il risparmio e l'efficientamento energetico; nelle officine di Trenitalia si lavora per contenere il fabbisogno energetico attraverso il riscaldamento a nastri radianti, sistemi di illuminazione a led, compressori ad alta efficienza energetica per le lavorazioni e l’installazione di pannelli fotovoltaici sulle coperture; il progetto Green Light 2.0 di Anas prevede sistemi di illuminazione di ultima generazione in 800 gallerie italiane, per un risparmio medio annuo di 750.000 MWh e minori emissioni per 18.500 tonnellate di CO2; il progetto Green Island mira a posizionare lungo la rete autostradale stazioni fotovoltaiche di ricarica veloce per auto elettriche. energie rinnovabili. Gli investimenti sulle rinnovabili sono ingenti. Nel 2022 l’azienda ha consumato complessivamente circa 27 milioni di GJ, di cui circa il 74% da energia elettrica, destinata prevalentemen-
Treno Blues.
I nuovi treni regionali I treni regionali Pop e Rock, finanziati con Green Bond, permettono di ridurre del 30% i consumi rispetto alla generazione precedente. Realizzati con leghe leggere, hanno un motore con ventilazione naturale, illuminazione a led, un sistema di climatizzazione con sensori di CO2 e sfruttano la tecnologia Smart parking che, per ulteriore risparmio, spegne alcuni apparati di bordo durante le soste. I treni Blues hanno una tecnologia ibrida a tripla alimentazione: diesel, elettrica e a batteria. Possono viaggiare con motori diesel su linee non elettrificate, con motore elettrico su quelle elettrificate, con batterie per percorrere il primo e l’ultimo miglio sulle linee non elettrificate. Tutto ciò consente di ridurre del 50% i consumi di carburante e in modo significativo le emissioni di CO2 rispetto ai convogli diesel. In Calabria i treni Blues viaggiano anche con HVO in purezza, un biocarburante fornito da Eni Sustainable Mobility che abbatte fino a oltre l'80% le emissioni di CO2eq.
te a far muovere i treni. Ma ora il Gruppo comincia a ragionare da produttore e ha destinato 1,6 miliardi di euro all’installazione di impianti fotovoltaici negli spazi di proprietà. Obiettivo: produrre a regime 2,6 TWh all’anno aumentando del 10% la produzione degli impianti di energia solare. Nel gennaio 2023 è stato lanciato il primo bando europeo da 130 milioni di euro per realizzare i primi impianti fotovoltaici in Italia: saranno interconnessi alle sottostazioni elettriche di proprietà del Gruppo, attraverso la conversione e la trasformazione dell’energia per alimentare il traffico ferroviario. Dal sole, quindi, l’energia arriverà fino al treno e lo farà muovere. SPAZIO 2050 | 23
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Spazio Italia, così è nata l’expertise Forse non tutti sanno che… la futura stazione lunare sarà composta anche da moduli italiani. O che il nostro Paese possiede l’unica costellazione radar al mondo per l’osservazione della Terra. O ancora, che strumentazione scientifica made in Italy è a bordo delle più importanti missioni nel sistema solare. Ma come ci siamo arrivati? La prima scintilla si accende il 15 dicembre 1964 con il lancio del satellite San Marco, grazie all’intraprendente visione di Luigi Broglio. Un debutto di altissimo livello che posiziona subito il Paese accanto ai ‘grandi’ dello spazio. Da qui si dipana una lunga storia, fatta di intrecci di eccellenze in settori strategici in cui l’Italia è oggi leader e punto di riferimento a livello internazionale
Broglio e il San Marco: inizia l'era dell’astronautica italiana di Daniela Amenta Sessant'anni fa, nel 1964, l'Italia viaggiava a bordo delle Seicento Fiat, era stata appena inaugurata l'autostrada del Sole, Milano-Napoli, il boom economico iniziava a traballare ma c'era lavoro. La maggioranza aveva oramai la tv in casa per poter seguire il festival di Sanremo dove Gigliola Cinguetti cantava Non ho l'età. Eravamo un Paese pieno di risorse e fiducia, un Paese semplice che sognava nuovi elettrodomestici e vite tranquille. Pochi in quel 1964 ebbero consapevolezza di quanto stava accadendo in alto, molto in alto. Perché l'Italia, in quel tempo lontano, riuscì a ideare un progetto dalla portata internazionale – il San Marco – e a gestire il lancio in orbita di un proprio satellite, terza Nazione al mondo dopo Stati Uniti e Unione 24 | SPAZIO 2050
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Sovietica, inaugurando la prima base di lancio equatoriale al largo delle coste del Kenya. Tutto questo fu merito di un uomo intelligente, schivo, di straordinaria levatura morale e civile. Si chiamava Luigi Broglio. Un traguardo, che a guardarlo ancora oggi, risulta incredibile per i tempi e per i modi, e che ci ha lasciato un'eredità di competenze, di talento e di orgoglio nazionale, proiettandoci verso il futuro. Broglio, dunque: ingegnere, militare, padre della nostra astronautica. Era nato nel 1911 a Mestre ma da bambino si trasferì a Roma, dove nel 1934 si laureò in ingegneria civile con una tesi innovativa che proponeva il metodo delle forze bilanciate, un calcolo strutturale che si diffuse presto in tutto il mondo. Negli anni successivi si laureò anche in ingegneria aeronautica e in matematica. Fu lui a ideare la Scuola di Ingegneria Aerospaziale dell'Università degli studi di Roma “La Sapienza” diventandone preside dal 1952 al 1987. Nell'unica biografia disponibile che ne racconta
In alto Broglio e a sinistra il satellite San Marco.
la vita e la magnifica parabola, Nella Nebbia in attesa del sole di Giorgio Di Bernardo Nicolai, il professore racconta: «Mio padre voleva che facessi il medico. Tante volte, negli anni, mi sono chiesto se avrei potuto fare meglio seguendo i suoi suggerimenti. A mia scusante c’è da dire che ho sempre cercato di fare pensando al bene degli altri e al prestigio del nostro Paese». Possiamo dire che c'è riuscito, che Broglio può essere paragonato a personaggi di calibro di Fermi e Marconi. Tra le molte qualità di Broglio c'è quella di aver percorso parallelamente la carriera militare (iniziò come tenente dell'Aeronautica fino a diventare generale ispettore) e quella di studio e di pratica scientifica. Dopo l'8 settembre del 1943 scelse da cattolico di entrare in un gruppo di partigiani guidati da Paolo Emilio Taviani e finalmente finita la guerra ottenne la cattedra in ingegneria aeronautica a Roma, cattedra che una legge fascista gli aveva impedito di ricoprire solo SPAZIO 2050 | 25
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perché era scapolo. Da quel momento gli si aprirono molte altre strade, molte possibilità. A cominciare dai viaggi all'estero, America soprattutto. Fu in Indiana che conobbe diversi specialisti del settore aerospaziale, e in particolare Hugh Dryden, futuro amministratore associato della NASA. E grazie al supporto degli Stati Uniti, che ci invidiavano quell'ingegnere così brillante, iniziò nel 1951 ad avviare studi e a mettere in piedi progetti avveniristici, tutto questo nonostante finanziamenti molto ridotti, quasi inesistenti. Luigi Broglio nel 1954 ebbe la capacità di costruire il primo tunnel supersonico a Mach 4 in Italia grazie a vecchi compressori della Marina, mentre nel 1956 fu in grado di realizzare una galleria a Mach 6 unica in Europa. Parliamo di veri e propri miracoli per l'epoca. Nel libro Nella nebbia in attesa del sole a un certo punto confessa: "Nel campo della ricerca, ho sempre cercato di fare le cose in modo economico, ma forse sarebbe stato più utile sviluppare un grande programma. Comunque, quello che ho fatto, l’ho fatto perché ci credevo, pagandone il prezzo in prima persona: per esempio, sono portato a lavorare da solo. Eppure, per creare una scuola, una cultura, una tecnologia, ho accettato di fare anche cose amministrative che non amo e ho abbandonato un campo, quello aeronautico, di cui ero padrone, per entrare in un mondo nuovo di cui non sapevo nulla». Eppure quest'uomo solitario, timido e introverso è riuscito a cambiare la storia. Il mondo nuovo di cui parla Broglio è quello che gli propone il fisico Edoardo Amaldi: gli chiese di lasciare l'aeronautica per passare allo spazio. Lui tra mille dubbi alla fine accettò l'invito: introdusse la laurea in Ingegneria aerospaziale nelle università italiane e nel 1959, nominato presidente della Commissione per le Ricerche Spaziali del CNR, si presentò al Presidente del Consiglio, all'epoca era Amintore Fanfani, per proporgli un progetto rivoluzionario: costruire un satellite italiano da lanciare nello spazio con personale italiano da una base italiana. Il Paese che viaggiava sulle Seicento e s'invaghiva di nuove lavatrici cantando canzonette neppure immaginava. Noi, la piccola Italia, tra America e Unione Sovietica, a ideare un programma spaziale autonomo, un tema che il resto d'Europa neppure vagheggiava. Sembra fantascienza ma è realtà: la proposta fu accolta e Broglio ottenne anche il sostegno della NASA. In pochi anni l'operazione fu completata grazie a un team di scienziati e tecnici italiani da lui guidati. Il 15 dicembre 1964, dalla base americana di Wallops Island, in Virginia, la squadra di Broglio lanciava il satellite San Marco 1 con un razzo americano, lo Scout. A bordo vi era uno strumento innovativo per l’epoca: la bilancia Broglio, uno strumento ideato dallo scienziato italiano per misurare con grande precisione la densità e la temperatura molecolare dell'alta atmosfera. Andò tutto alla perfezione, come previsto, e questo permise a Luigi Broglio di imporre le proprie idee. La prima fu quella di utiliz26 | SPAZIO 2050
Il lancio del San Marco 2 dalla base italiana di Malindi.
La piattaforma di lancio, chiamata poi San Marco, Broglio la ottenne dagli americani: era una chiatta da sbarco dell’esercito riconvertita nei cantieri navali di La Spezia.
zare piattaforme marine posizionate vicino all’equatore: un progetto realmente temerario, mai realizzato prima, che Broglio mise in piedi con pochissimi mezzi e a tempo di record. Solo tre anni dopo il primo lancio, il 26 aprile 1967 il satellite San Marco 2 si alzava in pieno oceano da una base italiana costruita in Kenya, vicino Malindi. La piattaforma di lancio, chiamata poi San Marco, Broglio la ottenne dagli americani: era una chiatta da sbarco dell’esercito riconvertita nei cantieri navali di La Spezia. A 600 metri era stata posta una seconda base mobile per ospitare la control room: era una ex-piattaforma petrolifera dell’Eni, donata da Enrico Mattei a Broglio. Fu chiamata Santa Rita, la Santa dei miracoli impossibili, che a volte si avverano. Oggi la base equatoriale San Marco, divenuta Centro Spaziale Luigi Broglio, non è più usata per i lanci, ora è un importante centro di ricezione dei dati satellitari e svolge attività di telemetria, tracciamento di lanciatori e missioni spaziali. Da lì, tra il 1967 e il 1988, sono partiti in tutto 9 satelliti: 4 del programma San Marco, 4 statunitensi e uno inglese, e sono stati effettuati una ventina di lanci orbitali. La base, inizialmente sotto la gestione del Piano spaziale nazionale, in collaborazione con l’Università La Sapienza di Roma, è adesso un centro operativo dell’Agenzia Spaziale, unico esempio al mondo di base spaziale fuori del territorio nazionale. Luigi Broglio se n'è andato in punta di piedi, come nel suo stile, il 14 gennaio del 2001, a 90 anni, portando a termine molti meravigliosi, futuribili, avveniristici progetti ma soprattutto prestando fede con onore a quell'idea di Italia unita e concreta, fiduciosa e operosa, che viaggia lungo l'Autostrada del Sole guardando il cielo.
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Razzo Scout durante il Wet Dress Rehershal sulla Piattaforma San Marco - foto di Franco Quintilli.
taforma, dove era installato il ‘cordone ombelicale’, lo staccò a mano, mise in corto tre batterie e ci fu un ritorno di tensione. Da quel momento tutto funzionò a regola d’arte. Ricordo questi episodi con piacere, dimostrano che alla fine abbiamo sempre lanciato. Non ci sono mai state contrarietà, tranne che da parte della classe politica…
Dietro le quinte del Progetto San Marco
La vita in Africa non era facile. Prima che arrivassero i bungalow, vivevamo nelle tende e in alcuni periodi dell’anno le lenzuola si potevano strizzare, senza esagerare; in più c’erano i serpenti. La nostra attività, comunque, era apprezzata dai locali, era un indotto economico e faceva lavorare molti africani. Una volta Carmen Russo venne col marito in vacanza a Malindi e in hotel le dissero che c’erano degli italiani a 25 km. Quando arrivò alla base andammo tutti in ebollizione e l’attività si paralizzò. Le abbiamo fatto vedere la strumentazione e come si riceve il segnale dal satellite. Fummo fortunati perché ne passava uno sopra di noi: ha visto il segnale, ma lei pensava che si potesse vedere il satellite invece.
di Barbara Ranghelli
il racconto di Franco quintilli Franco Quintilli è un ingegnere aerospaziale. Ma non uno qualunque. Laureatosi in Svizzera in Meccanica di precisione, ha fatto parte della squadra del Progetto San Marco. «Quando fu lanciato il primo satellite da Wallops Island ero a Pachino, in Sicilia. Il satellite veniva verso l’Europa e noi dovevamo registrare i segnali e dare la luce verde dell’entrata in orbita. Sentire il primo “beep” del San Marco è stata un’emozione unica! Broglio chiamò per ringraziarci. Ma eravamo tutti fiduciosi del lavoro fatto. Tutte le missioni sono sempre andate a buon fine, nonostante qualche intoppo iniziale. Il secondo satellite, per esempio, dopo l’assemblaggio andava spedito negli Stati Uniti per i test. Benché l’aereo che doveva trasportarlo fosse un Super Constellation, la cassa non riusciva a passare attraverso la porta del velivolo. Così, sotto lo sguardo disperato del comandante, la porta fu smontata e alla fine il satellite partì. Un altro evento vale la pena menzionare, anche per comprendere meglio il professor Broglio. Eravamo in Kenya, pronti per il lancio del San Marco 3. Il tempo era pessimo e il conto alla rovescia fu interrotto. Broglio mi disse: «Quintilli, lei che è tanto devoto a Santa Rita che è la santa dell’impossibile, potrebbe salire in superficie e mandarle un messaggio per far aprire un varco tra le nuvole?». Così feci e per qualche motivo il cielo si schiuse, il conto alla rovescia riprese e il razzo partì. Un’altra volta, credo per il San Marco 4, al momento del lancio ci fu un abbassamento di tensione sulle batterie del satellite. Un collega andò sulla piat-
Oggi sono ancora in contatto con la Nasa per un progetto che avevamo messo a punto con il professor Carlo Buongiorno. Poi faccio conferenze nelle scuole sui programmi spaziali, c’è molto interesse per lo spazio, ma i ragazzi vanno spronati».
Franco Quintilli installa l'antenna 'ricezione dati' per il San Marco 2 Nairobi 1967.
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COSMO-SkyMed, l’eredità di una tecnologia abilitante per un programma leader di Giovanni Rum
Sono ormai trascorsi sedici anni dal giugno 2007, quando è stato lanciato il primo satellite della costellazione COSMO-SkyMed che oggi conta in orbita 6 esemplari, tutti pienamente operativi. Già con quel primo lancio, l’Italia si candidava ad assumere la posizione di leader, sia a livello europeo che mondiale, nell’impiego della tecnologia radar nel campo dell’osservazione della Terra. Ma come siamo arrivati a questo traguardo? Verso la fine degli anni ’70 in Europa gli sviluppi delle tecnologie associate al radar imaging si vanno consolidando e, dalla seconda metà degli anni ’80, trovano applicazione nei programmi europei e in quelli nazionali di Germania e Italia, dando origine ad una serie di missioni con lanci tra il 1991 e il 2002, quali ERS 1, ERS 2 e ENVISAT da parte ESA, e tre missioni, 2 Shuttle Radar Laboratory (SLR), e lo Shuttle Radar Topographic Mission (SRT) in collaborazione tra NASA, ASI e DLR con sviluppo congiunto Italia e Germania del SAR in banda X. Tutte missioni a prevalente carattere scientifico che dimostrano l’efficacia della tecnologia SAR per una serie di applicazioni, danno l’avvio a programmi applicativi e consolidano la leadership dell’industria tedesca e italiana, con un leggero vantaggio competitivo per quella tedesca, avendo ricoperto la responsabilità del sistema dello strumento SAR. 28 | SPAZIO 2050
L’antenna Sar di COSMO-SkyMed seconda generazione.
In Italia, nella seconda metà degli anni ’90, per colmare il gap con l’industria tedesca e per aumentare la flessibilità operativa dello strumento, anche in vista di un possibile sistema operativo nazionale, l’ASI riceve finanziamenti per lo sviluppo tecnologico SAR 2000, centrato sulla realizzazione di uno strumento SAR completo e sullo sviluppo delle tecnologie chiave relative a una antenna phased array ad elementi attivi, oltre che per la generazione digitale del segnale. Tali sviluppi consentono, tra l’altro, l’orientabilità elettronica dell’antenna in azimut ed elevazione, e la possibilità di implementare diverse modalità di imaging SAR, tra cui Stripmap, Spotlight, ScanSAR, con diversi valori di risoluzione geometrica e di area osservata. Tra il 1999-2000 c’è la svolta: il quadro di riferimento nazionale e internazionale per lo sviluppo si consolida grazie agli accordi ASI-Difesa per il cofinanziamento degli sviluppi tecnologici, dello sviluppo e delle operazioni di una costellazione ad uso duale: nasce così il programma COSMO-SkyMed. Maturano anche le condizioni per un accordo Italia Francia, relativo all’utilizzo congiunto, per scopi duali, dei sistemi francesi SPOT 5, Helios 2 e Pleiades e del sistema italiano COSMO-SkyMed. Con l’accordo SIASGE tra ASI e la Comisión Nacional de Actividades Espaciales (CONAE) l’industria italiana sperimenta e acquisisce il know-how relativo al SAR in banda L e gli utenti italiani hanno l’accesso ai relativi dati.
Radar ad Apertura Sintetica – SAR La risoluzione spaziale dei dati radar è legata al rapporto tra lunghezza d’onda del sensore e la lunghezza dell’antenna, cioè per una data lunghezza d’onda, più è lunga l’antenna, maggiore la risoluzione. Per un sensore in banda C (lunghezza d’onda di circa 5 cm), se si volesse ottenere una risoluzione di 10 m. sarebbe necessaria un’antenna di 4250 m, evidentemente non praticabile in orbita. E così viene sviluppato il concetto di “Apertura sintetica” che, sfruttando il movimento orbitale del satellite, combina una sequenza di acquisizioni sullo stesso target fatte da un’antenna più corta per simularne una più lunga.
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IL CONTRIBUTO DI OHB ITALIA alla COSTEllaZIONE SaTEllITaRE IRIDE PER PROTEGGERE la TERRa
di Redazione
Iride è una costellazione unica, innovativa e tutta italiana pensata per osservare dallo spazio ciò che accade sul nostro pianeta. I suoi dati saranno messi a disposizione e verranno conservati in modo permanente in un’infrastruttura di archiviazione di ultima generazione. Iride è uno dei più importanti programmi spaziali europei per l'osservazione della Terra in orbita terrestre LEO (Low Earth Orbit) e rappresenta una componente fondamentale della Next Generation EU dedicata allo sviluppo delle attività spaziali a supporto della transizione ecologica e digitale. Considerata una “costellazione di costellazioni”, Iride è un sistema end-to-end costituito da satelliti nell'orbita bassa (Upstream Segment), dall'infrastruttura operativa a terra (Downstream Segment) e dai servizi destinati alla pubblica amministrazione (Service Segment). Include tutte le componenti per fornire dati geospaziali a livello nazionale ed europeo, avendo come destinatari sia la pubblica amministrazione che i clienti privati. La costellazione Iride è in fase di realizzazione (verrà completata entro il 2026) e sarà composta da una serie di tecnologie e strumenti di rilevamento differenti che combineranno sensori SAR (radar ad apertura 30 | SPAZIO 2050
sintetica), sensori di tipo iperspettrale, payload ottici con risoluzioni di due o tre metri (in alcuni casi anche inferiori al metro), il tutto a bordo di satelliti di diverse tipologie e dimensioni, di matrice esclusivamente italiana.
IRIDE lavori in corso presso la CR di OHB Italia
I tre principali obiettivi del programma Iride sono in sintesi: alta risoluzione, immagini più frequenti e migliore reattività sia nella capacità di osservazione di un fenomeno di interesse e sia nella capacità di rapida trasmissione di tali informazioni agli utenti finali, siano essi istituzionali o commerciali. In OHB Italia le attività per lo sviluppo del primo lotto di 12 satelliti sono iniziate a dicembre dello scorso anno in seguito alla firma del contratto con l’Agenzia spaziale europea nell'ambito del Pnrr (Piano nazionale ripresa e resilienza). Il consorzio industriale guida-
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to da OHB Italia comprende anche Telespazio, Optec e Aresys come partner principali. I dodici satelliti sono denominati “Eaglet II”, per i quali è in corso anche lo sviluppo del relativo Flight Operation System (FOS), utilizzato per gestire i satelliti durante le fasi di calibrazione, accettazione e successivamente durante la vita operativa. I satelliti Eaglet II saranno disposti equi-spaziati su un unico piano orbitale basso ad un'altitudine di circa 500 km. La missione primaria dei satelliti Eaglet II consiste nell'acquisire immagini RGB utilizzando un payload elettro-ottico progettato da OHB Italia, con i dati che vengono scaricati a bassa latenza alle stazioni di terra in banda X. La missione secondaria consiste nell'acquisire e ritrasmettere a terra messaggi AIS (Automatic Identification System) per tracciare le imbarcazioni.
La costellazione Iride è in fase di realizzazione e verrà completata entro il 2026.
"Iride rappresenta lo sviluppo di un know-how fondamentale per affrontare le sfide sempre più difficili del sistema spaziale globale". - ha dichiarato Roberto Aceti, amministratore delegato di OHB Italia. "La nostra società è molto orgogliosa di mettere a disposizione il suo patrimonio spaziale di oltre quarant'anni per partecipare a questo progetto ambizioso e interamente realizzato entro il territorio nazionale. Aiuterà il Dipartimento della Protezione civile e altre amministrazioni a gestire servizi di sicurezza e prevenzione, il dissesto idrogeologico e gli incendi; a proteggere le coste e a monitorare le infrastrutture critiche, la qualità dell'aria e le condizioni meteorologiche. Inoltre, fornirà dati analitici per lo sviluppo di applicazioni commerciali, tutte attività fondamentali per una moderna nazione spaziale di primo livello". SPAZIO 2050 | 31
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SPAZIO MADE IN ITALY
hanno preso il nome Leonardo, Raffaello e Donatello. Dal 2001 al 2011, anno di pensionamento dello Shuttle, gli MPLM hanno compiuto con successo dodici missioni e nel 2021, Leonardo è stato trasformato in un modulo permanente della ISS.
Dai moduli logistici per la Iss al programma Artemis per la Luna
In cambio l’Italia ha ricevuto dalla NASA una quota di utilizzo delle risorse della Stazione Spaziale per la ricerca scientifica e tecnologica e le opportunità di volo per gli astronauti italiani. Il Protocollo d’intesa è stato anche un trampolino di lancio per l’industria italiana, che ha intrapreso da allora un ambizioso percorso nella costruzione della ISS, culminato nella firma italiana sui moduli che alloggiano gli astronauti e forniscono il supporto vitale alla Stazione, i Nodi 2 e 3, e sulla Cupola, la finestra degli astronauti con vista sulla Terra e sull’Universo.
di Salvatore Pignataro
L’Italia, tramite la NASA, sin dagli inizi del programma Stazione Spaziale Internazionale, ha avuto da subito un accesso privilegiato all’avamposto. Già ad aprile 2001, quando la ISS era abitata da pochi mesi, vi saliva a bordo il primo italiano, l’astronauta Umberto Guidoni e nel 2003, il primo strumento scientifico italiano, HPA, segnava, insieme a una manciata di strumenti americani gli albori dell’utilizzo della Stazione come laboratorio di ricerca. Da allora, gli astronauti italiani si sono succeduti con regolarità, la comunità scientifica e tecnologica nazionale ha realizzato centinaia di esperimenti, gran parte del volume abitabile della Stazione è stato costruito dall’industria italiana, e l’Agenzia Spaziale Italiana, unico caso di agenzia nazionale in Europa, ha avuto posto nei comitati di governo della ISS. Alle origini di questa straordinaria collaborazione c’è l'accordo di cooperazione tra l'Italia e gli Stati Uniti sui moduli logistici Multi-Porpuse Logistics (MPLM) della Stazione Spaziale Internazionale, che ha assegnato all’Italia il compito di realizzare per conto della NASA tre moduli pressurizzati, la cui funzione doveva essere quella di trasportare, viaggiando nella stiva dello Space Shuttle, gli equipaggiamenti essenziali per il funzionamento della ISS e la vita a bordo degli astronauti, oltre che la strumentazione per la ricerca. La firma di quel Protocollo d’intesa tra ASI e NASA sugli MPLM nella sua forma finale risale al 1997. Tre anni dopo, l’Italia consegnava agli USA i tre moduli, che 32 | SPAZIO 2050
I tre moduli logistici MPLM per la prima volta insieme nelle strutture NASA del Kennedy Space Center, in Florida, nel 2004. Crediti: NASA
Il Protocollo del 1997 non fu solo un accordo, ma il primo capitolo di un racconto di successo. Il cammino intrapreso dall’Italia con l'ISS ha segnato un momento cruciale, preparando il terreno per una nuova avventura: il nuovo Programma Artemis della NASA. L'Italia, attraverso la sua partecipazione di successo all'ISS, si è guadagnata un posto privilegiato nella nuova corsa alla Luna. Con Artemis, l'Italia, a cui è affidata la realizzazione di una serie di infrastrutture del programma, affronta nuove sfide scientifiche e tecnologiche, consolidando il suo ruolo di protagonista nella esplorazione spaziale e ispirando ancora le generazioni future.
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LA trADIZIOne DeLLA PrOPuLSIOne DA CroCCo AL vEgA di Rocco Carmine Pellegrini
L’Italia si è ritagliata nel tempo un ruolo di primo piano a livello europeo e mondiale nel campo della propulsione spaziale con una tradizione lunga ed importante. Il riconoscimento internazionale per gli studi astronautici italiani avviene con Gaetano Crocco, pioniere della propulsione a razzo che fu tra i primi a proporre un razzo a stadi paralleli oltre che lo studio della “fionda gravitazionale”, poi grandemente utilizzata dalle sonde di esplorazione per la realizzazione di missioni interplanetarie. Il figlio Luigi Crocco fu uno dei maggiori studiosi mondiali nel campo della propulsione a razzo e collaborò con la NASA per la realizzazione del propulsore F-1 del Saturn V che portò l'uomo sulla Luna. Nel dopoguerra, un ruolo chiave nell’avvio e nella promozione delle attività spaziali italiane fu rivestito dall’ingegnere Luigi Broglio e dal fisico Edoardo Amaldi, ai quali si deve la creazione di una rete di saldi rapporti politico-scientifici nazionali e internazionali. L’esperienza acquisita alla fine degli anni 60 nella progettazione e nel lancio di missili dalla base di Salto di Quirra si rivelò fondamentale per il delinearsi del progetto San Marco che portò l’Italia a divenire il terzo paese al mondo a lanciare un satellite nello spazio. Il Programma San Marco prevedeva l’esecuzione
Il decollo del primo volo di VEGA da Kourou, il 13 febbraio 2012. Crediti: ESA
La famiglia dei lanciatori VEGA. Crediti: ESA
di una serie di lanci suborbitali di razzi sonda dalla base NASA di Wallops Island, la messa in orbita di un prototipo del satellite San Marco dalla stessa base per mezzo del razzo statunitense Scout ed infine il lancio di un satellite per ricerca scientifica dalla base equatoriale italiana realizzata a Malindi, sempre mediante un vettore Scout. Su tali basi, l’Italia sviluppò competenze d’eccellenza nel campo della propulsione solida che la portarono a collaborare ai programmi dei lanciatori europei Ariane sviluppati da ESA fornendo i booster a solido per Ariane 3, Ariane 4 ed Ariane 5 realizzati da AVIO (in precedenza BPD). Il passo successivo fu quello di passare dal ruolo di fornitore a quello di sistemista dell’intero lanciatore col razzo VEGA. Il concetto iniziale era stato presentato nel 1988 quale successore del vettore Scout. Alla base del concetto c’era l’utilizzo di propulsori a solido il cui involucro era realizzato in fibra di carbonio, più leggera e resistente degli involucri metallici fino ad allora utilizzati. Il progetto definitivo VEGA è stato avviato nel 1998 con l'approvazione finale da parte dell’ESA ed il supporto di ASI che ha costituito assieme ad AVIO la società ELV per occuparsi del suo sviluppo finanziandolo per circa il 65%. Dopo un lungo sviluppo, il primo volo di VEGA è stato effettuato con successo nel febbraio 2012. Già prima di portare al volo VEGA, però, ASI ha cominciato a investire per poter padroneggiare in Italia anche la propulsione liquida, in particolare quella metano-ossigeno per gli indubbi vantaggi che questa combinazione di propellenti presenta. Nel 2007 fu avviato il Programma Lyra che prevedeva l’evoluzione di VEGA dotandolo di uno stadio superiore propulso da un motore LO2-LCH4 da 10 ton di spinta. Grazie alla collaborazione fra la ditta russa KBKhA e AVIO, il programma realizzò con successo nel 2014 la campagna di test del motore MIRA costruendo le basi per l’approvazione in ambito ESA del Programma VEGA-E in cui terzo e quarto stadio di VEGA sono sostituiti da un upper stage equipaggiato dal motore a metano M10 il cui sviluppo è in corso ed ha visto concludersi con successo le campagne sperimentali DM1 e DM2 condotte nel 2022 e 2023 presso l’impianto SPTF realizzato da AVIO in Sardegna. SPAZIO 2050 | 33
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Un rendering della sonda Cassini durante il tuffo nell’atmosfera di Saturno per il Grand Finale. Crediti: NASA/ JPL/Caltech
Sulla base degli ottimi rapporti tra Stati Uniti e Italia, come la fruttuosa collaborazione iniziata negli anni sessanta con il progetto S. Marco e proseguita nei primi anni novanta con i lanci dell'IRIS-LAGEOS2, del TSS 1 e 1-R, NASA ed ASI elaborarono un Memorandum of Understanding, firmato nel 1991, per una partnership che vedeva la realizzazione congiunta del Radar Cassini, dell’esperimento di Radioscienza, la realizzazione del canale visibile dello Spettrometro per Imaging, VIMS e la responsabilità italiana per la progettazione e realizzazione di uno degli elementi più critici di tutta la missione: l'antenna ad alto guadagno, la HGA.
L’eredità di Cassini di Enrico Flamini
Lanciata da Cape Canaveral, in Florida, il 15 ottobre del 1997, la missione Cassini-Huygens ha caratterizzato lo scenario dell'esplorazione del Sistema Solare per più di 30 anni: da quando è stata concepita fino al “Grand Finale” della sua lunga vita. La sua eredità è un'enorme quantità di dati scientifici di alta qualità e immagini sorprendenti del sistema di Saturno e delle sue lune, prima fra le altre Titano. La missione è stata anche la palestra dove nuove tecnologie e procedure sono state discusse, sviluppate e successivamente adottate da molte altre missioni. Cassini-Huygens ha anche svolto un ruolo importante nel consentire ad una nuova generazione di scienziati e ingegneri di aumentare le proprie conoscenze e competenze, unendo l'esperienza già maturata da una generazione formatasi in precedenti missioni come Voyager. Lo scenario internazionale che ha permesso la realizzazione della missione è l'altro carattere distintivo di questa avventura, guidata dalla partnership di tre agenzie spaziali, la NASA con il Jet Propulsion Laboratory in primis, l'Agenzia Spaziale Europea-ESA per la sonda Huygens e l'Agenzia Spaziale Italiana- ASI. Questo ambiente di cooperazione ha permesso sia all'ASI che all'ESA di inserirsi al meglio nell'ambiente delle missioni planetarie nello spazio profondo e ha anche fornito l'opportunità ad altre 15 nazioni di avere i propri scienziati a bordo e di contribuire, anche se in forma minore. Uno sforzo cooperativo, ben guidato e armonizzato dal Project Science Group, durato fino alla fine della missione quando con il “Grand Finale” nel 2017 c’è stato l'ultimo tuffo nell'atmosfera di Saturno. 34 | SPAZIO 2050
L'antenna ad alto e basso guadagno di Cassini rappresenta tuttora lo stato dell'arte a livello mondiale sia in termini di progetto che di tecnologie utilizzate che supportava le molte frequenze radio della missione (S, X, Ku e Ka), per gli esperimenti e per le telecomunicazioni. La grande parabola bianca è anche l’elemento più visibile e distintivo del satellite.
Un’immagine di Saturno catturata dalla sonda Cassini. Crediti: NASA/ JPL/Caltech/ Space Science Institute
Dei dodici strumenti scientifici a bordo di Cassini e dei sei a bordo di Huygens cinque erano a guida o a partecipazione italiana paritaria con il JPL. Quegli strumenti, progettati e costruiti all’inizio degli anni ’90 hanno rappresentato un coraggioso salto tecnologico che continua ancora oggi a ripagare. Il radar di COSMO-SkyMed o lo strumento iperspettrale di Prisma sono l’evoluzione degli archetipi volati sulla Cassini, così come la banda Ka che fu usata per la prima volta allora su una missione operativa.
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Gli ‘ingredienti’ di sonde, navette & co. I contenitori – chiamati PEC (Passive Experiment Container) – del set di materiali per l’esperimento MISSE-6A e MISSE 6B. Questi campioni sono stati esposti all’ambiente spaziale dal 22 marzo 2008 al 1° settembre 2009. Crediti: NASA
di Valeria Guarnieri
I materiali di costruzione giocano un ruolo fondamentale nel successo delle varie tipologie di missioni spaziali 36 | SPAZIO 2050
Cosa occorre per realizzare il rivestimento di una navetta che porta gli astronauti sulla Stazione Spaziale? Quali sono i materiali più idonei per costruire un rover in grado di resistere per qualche anno su Marte? Come si dovranno costruire eventuali insediamenti umani sulla Luna e sul Pianeta Rosso? Sono queste alcune delle domande cui può fornire una risposta la scienza dei materiali, la disciplina che appunto studia le proprietà e le modalità di produzione dei nuovi materiali. Quest’area di ricerca - divenuta di fondamentale importanza per tanti settori, oltre a quello spaziale - si è particolarmente sviluppata dalla seconda metà del XX secolo e abbraccia diversi ambiti scientifici, quali fisica, chimica, ingegneria e biologia. È una branca in continua evoluzione, impegnata a elaborare soluzioni innovative per le sfide tecnologiche attuali e future. Temperature estreme, radiazioni solari, detriti vaganti, sollecitazioni durante i lanci, polveri che spazzano la superficie di Marte e attrito da rientro nell’atmosfera: sono queste le principali situazioni critiche che vengono sperimentate da varie tipologie di manufatti umani quando affrontano lo spazio o addirittura l’habitat di un altro pianeta. Si tratta di ambienti complessi, ostili e caratterizzati da condizioni completamente differenti in confronto a quelle della Terra.
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sta. In alcuni casi la scelta dei materiali si è rivelata particolarmente felice, permettendo l’estensione delle missioni ben oltre la durata iniziale: basti pensare alle due sonde Voyager della Nasa, ancora attive dal 1977 nonostante qualche inevitabile segno di usura, o al telescopio NASA-ESA Hubble, che continua a regalarci splendide immagini del cosmo dopo oltre 33 anni nello spazio. I materiali, inoltre, cambiano a seconda del tipo di stress che il manufatto dovrà affrontare e delle attività da svolgere. Tra quelli più utilizzati e studiati figurano i materiali ceramici, le leghe metalliche e quelle multicomponenti. I materiali ceramici sono impiegati per l’isolamento termico dei veicoli spaziali; un esempio noto è il rivestimento di mattonelle di uno speciale materiale di questo tipo, costituito principalmente da un composto di silicio, che fungeva da scudo protettivo per lo Space Shuttle durante la delicata fase di rientro sulla Terra. Altri materiali di primaria importanza sono le leghe metalliche, come quelle a base di alluminio utilizzate per i moduli abitativi degli astronauti. Le leghe, inoltre, sono al centro di recenti studi per lo sviluppo di materiali innovativi, come quelli costituiti da leghe ad alta entropia (Hea - High Entropy Alloys): si tratta di composti multicomponenti che devono il nome all’alta entropia dovuta alla mescolanza casuale degli elementi. Queste combinazioni sono capaci di unire bassa densità, duttilità, nonché resistenza all’ossidazione, alla fatica e alla deformazione.
L’esperimento MISSE-8, collocato sulla piattaforma da esposizione ORMatE-III posta all'esterno dell'ELC-2 durante una passeggiata spaziale effettuata nel corso della missione STS-135. Questi campioni sono stati esposti all’ambiente spaziale dal 20 maggio 2011 al 9 luglio 2013. Crediti: NASA
Di conseguenza, gli ‘ingredienti’ con cui vengono costruiti satelliti, sonde, navette, rover ecc… rivestono un ruolo di primo piano e devono essere scelti con particolare cura: il loro comportamento in scenari estremi può essere molto diverso rispetto alle condizioni del nostro pianeta, nonostante le lunghe attività di studio e di test che vengono condotte preliminarmente. Le prove, per quanto realistiche nel simulare scenari spaziali, vengono comunque condotte in strutture sulla Terra: quindi, non sempre è possibile prevenire eventuali inconvenienti perché solo quando questi prodotti dell’ingegno umano saranno in viaggio nello spazio si potrà effettivamente verificare il comportamento dei loro materiali. Considerato che le missioni spaziali comportano consistenti investimenti in termini sia di anni di ricerca e di progettazione, sia finanziari, è quindi fondamentale che esse abbiano un esito positivo e rispettino la tempistica della vita operativa previ-
Nella foto in alto a destra il MISSE-3 poco prima del recupero avvenuto nel corso della missione STS-118. Questi campioni sono stati esposti all’ambiente spaziale dal 3 agosto 2006 al 18 agosto 2007. Crediti: NASA
Proprio questo tipo di leghe, che potrebbe essere proficuamente utilizzato per i sistemi di propulsione, è al centro di un progetto con finanziamento europeo che vede protagonista l’Italia: si tratta di Atlas (Advanced Design of High Entropy Alloys Based Materials for Space Propulsion), progetto coordinato dal Dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano e finanziato nell’ambito del programma Horizon 2020-Space. Massimo impegno, quindi, della comunità scientifica per migliorare sempre più i materiali per lo spazio in termini di performance, stabilità e affidabilità a lungo termine. SPAZIO 2050 | 37
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Una voce italiana dallo spazio profondo
luzione, con il coinvolgimento di Università e Centri di Ricerca in tutto il paese, finanziando attività di ricerca e sviluppo volte all’introduzione di nuove funzioni di radio-comunicazione in linea con gli ambiziosi obiettivi delle diverse missioni.
di Marco Di Clemente e Lorenzo Simone
Quasi ogni giorno ammiriamo la straordinaria bellezza delle immagini raccolte dal telescopio spaziale James Webb Space Telescope, gli scienziati analizzano i dati provenienti dalla sonda Bepi Colombo che sta viaggiando verso Mercurio, o dalla sonda Juice, recentemente lanciata, che si sta dirigendo verso Giove. Tutte queste missioni, e molte altre, hanno un sottile filo rosso che le unisce: operano tutte nel cosiddetto spazio profondo a milioni di km dal nostro pianeta e tutte ‘comunicano’ con la Terra grazie ad un contributo italiano di grande valore tecnologico, il Trasponditore di Spazio Profondo (Deep Space Transponder), progettato nei laboratori della Thales Alenia Space di Roma e realizzato nelle camere pulite dello stabilimento de L’Aquila. Questo equipaggiamento di radio-comunicazione, basato sulla combinazione di tecnologie a radio-frequenza e digitali allo stato dell’arte, consente di gestire tutte le operazioni in volo, controllando le sonde dalle stazioni di telecomando e telemetria situate sulla Terra e di eseguire esperimenti scientifici durante la missione. Quella dei Trasponditori di Spazio Profondo rappresenta una delle eccellenze dell’industria spaziale Italiana, sviluppata a partire dagli anni ’90, e valorizzata nel tempo grazie al supporto dell’Agenzia Spaziale Italiana che ne ha sostenuto l’utilizzo nelle più importanti missioni di esplorazione, garantendo la sua evo38 | SPAZIO 2050
Il Trasponditore di Spazio Profondo (Deep Space Transponder).
Il trasponditore, oltre a fungere come unità dedicata alla comunicazione da e verso la Terra, permette anche di ricavare informazioni riguardo l’orbita della sonda sulla quale è montata per le attività di navigazione e di compiere importanti esperimenti scientifici di radio-scienza, contribuendo a ricavare informazioni sul campo gravitazionale del pianeta intorno al quale la sonda orbita. Grazie alle caratteristiche uniche nel suo genere, ed alla continua evoluzione del sistema, tutte le più importanti missioni Europee di esplorazione (da Rosetta a Gaia, da Bepi Colombo a Solar Orbiter, da Venus Express ad ExoMars, da EUCLID a JUICE) utilizzano tale apparato nelle diverse versioni. Venere, Marte, Mercurio, Saturno, la Luna, Giove, asteroidi e comete... Il trasponditore di spazio profondo è una componente essenziale per l’esplorazione dello spazio remoto, contribuendo a portare lontano la tecnologia e l’eccellenza italiana.
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Motore ad effetto Hall HT-100 di PLATiNO in fase di qualifica. Crediti:ASI/SITAEL
la propUlsione elettrica: HT-100 un esempio italiano
successo sono la missione Dawn della NASA, che ha impiegato un motore a ioni per esplorare gli asteroidi Vesta e Cerere o la missione SMART dell’ESA che ha esplorato la Luna grazie ad un motore elettrico che, con soli 82 kg di propellente, ha portato la sonda da un’orbita terrestre ad un’orbita lunare.
di Vincenzo Pulcino
L'era dell'esplorazione spaziale ha intrapreso una nuova strada: l’uso della propulsione elettrica su ampia scala. Questa tecnologia all'avanguardia, che sfrutta l'energia elettrica per energizzare un gas ed espellerlo per accelerare i veicoli nello spazio, sta rapidamente emergendo e cambierà il volto delle missioni. Uno dei vantaggi fondamentali è la sua efficienza. I tradizionali propulsori chimici richiedono ingenti quantità di carburante per generare spinta, limitando la durata delle missioni. La propulsione elettrica può invece operare per periodi più lunghi utilizzando quantità significativamente inferiori di propellente generando al contempo velocità più elevate e riducendo, nel lungo termine, i tempi di viaggio. Ciò rende possibile esplorare regioni più remote del sistema solare senza la necessità di carichi massicci di carburante e sarà cruciale per le missioni di esplorazione umana; inoltre, la versatilità di tali motori, consente di cambiare più spesso orbita abilitando missioni sia interplanetarie sia di in-orbit servicing nel quale l’Italia sta investendo grazie anche al PNRR. Esempi di notevole
Motore ad effetto Hall HT-100 di PLATiNO assemblato prima dei test di qualifica. Crediti:ASI/SITAEL
In Italia il principale esempio di utilizzo di propulsione elettrica (EP) è il programma dell’ASI PLATiNO: un progetto in cui collaborano SITAEL, TAS-I, Leonardo ed Airbus Italia per lo sviluppo di una mini piattaforma versatile ad alte prestazioni su cui viene imbarcato il propulsore ad effetto Hall HT-100 a bassa potenza (< 200W) interamente sviluppato nel nostro paese da SITAEL stessa; propulsore che terminerà la sua qualifica entro l’inizio del 2024. Grazie alla piattaforma PLATiNO e alla sua versatilità dovuta anche al suo sistema EP verranno dispiegate missioni sia SAR che ottiche e di telecomunicazioni: una missione PLT-1 SAR, PLT2 MAIA in collaborazione con NASA/JPL per l’analisi dell’inquinamento atmosferico, una costellazione PLT-3 di osservazione della Terra ad altissima risoluzione PLT-3, una costellazione PLT-4 ipespettrale in ambito PNRR e una missione di telecomunicazioni, EAGLE-1, con cliente SES. Tuttavia, la propulsione elettrica non è priva di sfide. La necessità di alimentare i motori con grandi quantità di energia elettrica richiede sistemi di alimentazione robusti e leggeri. L'uso di pannelli solari avanzati e sistemi di batterie ad alte prestazioni sta diventando sempre più importante per garantire il successo di queste missioni. In conclusione, la propulsione elettrica spaziale è una rivoluzione che sta trasformando il modo in cui esploriamo il cosmo. Con la sua efficienza energetica e la capacità di accelerare l'umanità verso nuovi orizzonti è destinata a diventare il cuore delle future missioni spaziali, aprendo le porte a un'era di scoperte e di nuove missioni. SPAZIO 2050 | 39
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una vetrina per le piccole e medie imprese e start-up nazionali con l’obiettivo di evidenziare percorsi unici di crescita, modelli di business in evoluzione e strategie di adattamento e anticipazione dei più avanzati trend del New Space, affinché siano di ispirazione per tutto il comparto.
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L’AgenziA e LA fiLierA industriALe nAzionALe: L'importante ruoLo deLLe associazioni di Silvia Ciccarelli
La competitività industriale è tra gli obiettivi istituzionali dell’ASI. L’industria nazionale svolge un ruolo cruciale per i successi spaziali del paese, senza di essa verrebbe meno il primo pilastro del New Space e non ci sarebbero i ritorni commerciali derivanti anche dagli investimenti istituzionali. L’Agenzia, pur nell’autonomia delle sue scelte, ha necessità di consultare e confrontarsi con l’industria sulle questioni più rilevanti di politica industriale. Sono più di 250 le imprese spaziali italiane, svolgono attività su tutti i domini con ruoli diversi, da grandi integratori a piccoli fornitori. Per l’80% sono PMI, inclusa la comunità delle start-up in continua evoluzione. L’ASI ha interazioni con singoli player industriali su specifici temi, ad esempio per incontri a carattere tecnologico, per le attività con l’ESA o con paesi terzi, ma non è concretamente pensabile che consulti tutti con regolarità. Come quindi interfacciarsi in modo efficace con una realtà così eterogenea? Da diversi anni ormai l’ASI ha adottato una politica di regolare consultazione con le 3 Associazioni industriali nazionali: AIAD, AIPAS e ASAS. Tale rapporto si è consolidato con l’istituzione del Tavolo Permanente 40 | SPAZIO 2050
Industriale, chiamato a trattare i temi di maggiore interesse. Da questo Tavolo è nato anche un gruppo di lavoro con la specifica funzione di definire una agenda condivisa delle iniziative internazionali. Le Associazioni svolgono un ruolo fondamentale nel processo di “democratizzazione” dello spazio, poiché favoriscono la diffusione capillare delle informazioni, contrastano le asimmetrie informative e si fanno portatrici del punto di vista di ampi gruppi di imprese sintetizzandone la posizione. Si tratta di un ruolo di raccordo e di bilanciamento di interessi di fondamentale importanza per l’Agenzia, che è chiamata a supportare la competitività di tutta la filiera nazionale. A testimonianza dell’eterogeneità della comunità industriale italiana, nel tempo sono nate 3 Associazioni, ciascuna con una propria specificità e insieme in grado di avere un’ampia rappresentatività del comparto. AIAD, nata già nel dopoguerra, è riconosciuta da Confindustria come Federazione di riferimento per il comparto. AIAD aderisce anche all’omologa associazione europea ASD, di cui Eurospace rappresenta la componente spaziale. Nel 1998 è nata AIPAS con l’obiettivo di rappresentare gli interessi delle PMI nazionali, dal 2006 con la finalità più ampia di favorire la collaborazione tra PMI e grandi imprese. Nel 2006 si è fatta promotrice della costituzione di una associazione analoga su scala europea, SME4SPACE. Nel 2004 è nata ASAS, con lo scopo di valorizzare le applicazioni e i servizi basati sulle tecnologie spaziali e la capacità di portare dallo Spazio alla Terra le potenzialità di questo settore. ASAS, nata in seno a Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici, aderisce a sua volta a AIAD. Le opportunità offerte dall’ASI restano ovviamente sempre aperte a tutta la comunità industriale, a prescindere dall’adesione associativa, attraverso i vari canali pubblici con cui l’Agenzia comunica all’esterno, tra cui il sito web e il Catalogo industriale. ASI si interfaccia inoltre anche con altre realtà a carattere aggregativo, come gli incubatori e i Distretti Tecnologici. Negli anni l’Agenzia ha portato avanti numerose iniziative di successo in collaborazione con queste realtà, coinvolgendo spesso anche altri player, tra cui ICE Agenzia, un lavoro di sistema a beneficio di tutta la filiera e contributo concreto ai successi dell’Italia nello spazio.
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thales alenia space: costruiremo i satelliti Galileo di seconda Generazione Nelle camere bianche di Thales Alenia Space al via la costruzione dei satelliti Galileo di Seconda Generazione il sistema europeo flessibile e capace di adattarsi alle esigenze degli utenti
di Redazione
Galileo è il sistema globale europeo di navigazione satellitare (GNSS). Operativi dal 15 dicembre 2016, i servizi iniziali di Galileo sono pienamente interoperabili con il GPS, offrendo così agli utenti una gamma ampliata in termini di prestazioni e livelli di servizi, nonché un posizionamento molto più accurato. Ad oggi, Galileo è programmato per avere una costellazione fino a 38 satelliti di prima generazione, stazioni di trasmissione per il controllo satellitare e la telemetria, stazioni di trasmissione dei dati di missione, due centri di gestione della sicurezza (Saint-Germainen-Laye e Madrid) due centri di controllo del sistema (Oberpfaffenhofen e Fucino) e 16 stazioni per il controllo dell’orbita e la sincronizzazione dell'orologio. Thales Alenia Space come Telespazio e Leonardo, è uno dei partner fondamentali in Galileo sin dal 1999, anno d’inizio del progetto e ricopre un ruolo principale anche nella costellazione Galileo di Seconda Generazione. Nelle camere pulite di Thales Alenia Space in Italia, presso il centro integrazione satelliti di Roma nello specifico, sono iniziate le attività sui primi sa42 | SPAZIO 2050
La costellazione dei satelliti Galileo. Crediti: Thales Alenia Space
telliti di una fornitura di 6 come previsto dal contratto siglato con l’Agenzia spaziale europea (ESA), per conto dell’Unione Europea. Per la prima volta, l'innovativo payload di navigazione di Thales Alenia Space - completamente digitale e riconfigurabile - ha trasmesso segnali Galileo in linea con gli impegnativi requisiti del documento di controllo dell’interfaccia del segnale nello spazio di seconda generazione (SIS-ICD). Ciò ha dimostrato la retro compatibilità con i segnali del sistema Galileo di prima generazione, nonché la conformità con i nuovi segnali definiti. Il carico utile
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EM è stato sviluppato e costruito molto rapidamente, soprattutto se si considerano le funzioni e le prestazioni avanzate richieste e gli stringenti requisiti di progettazione per la produzione di unità NSGU e NAVANT di seconda generazione. La campagna di test ha incluso l'effettiva trasmissione del segnale attraverso l'antenna di navigazione (trasmissione irradiata) nella camera anecoica della struttura Hertz. Questa camera è specificamente progettata per operare nelle bande di frequenza utilizzate dai segnali di Galileo. Questo traguardo dimostra ulteriormente l'esperienza di
Thales Alenia Space nella navigazione spaziale e la comprovata capacità di sviluppare sistemi di navigazione satellitare ad alte prestazioni. Il modello ingegneristico (EM) del payload di navigazione Galileo di Seconda Generazione ha recentemente completato la campagna di test radiati presso il centro ESTEC dell'Agenzia spaziale europea nei Paesi Bassi. Thales Alenia Space è in grado di raggiungere gli obiettivi di questo sfidante programma grazie alle sue capacità in termini di progettazione, utilizzo delle tecnologie digitali e tecnologie up-stream all’avanguardia provenienti dai nostri centri di competenza in Italia, Francia, Spagna e Belgio, nonché grazie alla pluriennale esperienza e agli asset di assemblaggio, integrazione e test delle costellazioni di satelliti presenti nello stabilimento di Roma. I primi satelliti di questa seconda generazione saranno messi in orbita entro la fine del 2026. Con le loro nuove capacità basate su tecnologie altamente innovative (antenne digitalmente configurabili, collegamenti inter-satelliti, utilizzo di sistemi di propulsione completamente elettrici) questi satelliti miglioreranno la precisione del sistema Galileo, nonché la robustezza e la resilienza del suo segnale, che sarà fondamentale per il prossimo decennio digitale, così come per la sicurezza e per gli usi di difesa. Tra i diversi obiettivi, i satelliti Galileo di Seconda Generazione incrementeranno anche la competitività dell'industria europea nel settore altamente strategico delle tecnologie per la sovranità dell'UE. Galileo di Seconda Generazione beneficerà dell'eredità straordinaria dell’azienda nelle costellazioni e del suo forte know-how di lunga data nelle soluzioni per la Navigazione, in particolare con Galileo ed EGNOS. I satelliti di questa seconda generazione saranno più robusti e affidabili, protetti da attacchi informatici, con una maggiore disponibilità del servizio ed una vita operativa di 15 anni. Thales Alenia Space in Italia è il primo contraente per la realizzazione dei satelliti e per le attività connesse al segmento spaziale e guiderà un team internazionale formato da industrie europee che comprende le varie entità di Thales Alenia Space, Thales, Spaceopal, Leonardo e altri partner di comprovata esperienza provenienti da 14 Paesi Europei: Italia, Francia, Spagna, Belgio, Germania, Austria, Svezia, Repubblica Ceca, Danimarca, Paesi Bassi, Svizzera, Romania, Polonia, Grecia. Thales Alenia Space conferma il suo ruolo chiave nel programma Galileo di seconda generazione (G2G) anche grazie ai recenti contratti siglati con l’Agenzia spaziale europea (ESA), in nome e per conto dell'Agenzia dell’Unione europea per il programma spaziale (Euspa) e con l’Unione Europea rappresentata dalla Commissione Europea, per il segmento di missione di Terra e le attività di sistema. Questi due contratti, nei quali sono coinvolti anche Leonardo e Telespazio forniranno ad ESA l’infrastruttura di Terra per la costellazione di satelliti Galileo di seconda generazione e le attività di ingegneria a livello di sistema e di assistenza tecnica (SETA). SPAZIO 2050 | 43
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Dietro le quinte della nuova conquista della Luna Tra il 2025 e il 2026 partirà la prima missione che riporterà l’uomo sulla Luna dai tempi delle spedizioni Apollo. Ma questa volta sarà per restare. Il programma Nasa Artemis prevede infatti una complessa architettura che include una stazione orbitante, un sistema di discesa, moduli di superficie, rover, sistemi di comunicazioni e quant’altro servirà a costruire un avamposto umano permanente sulla Luna. Quando gli astronauti, un domani, arriveranno a destinazione, stavolta troveranno ad attenderli infrastrutture e servizi, a cui si sta lavorando oggi, ‘behind the scenes’, anche con programmi paralleli. E l’Italia è in prima linea.
Un habitat italiano sul suolo lunare di Simone Illiano
Polo sud lunare e possibili siti operativi per le missioni Artemis.
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L’Italia, attraverso l’Agenzia Spaziale Italiana, è risultata tra i primissimi paesi partner della NASA nel programma Artemis, avendo firmato gli Artemis Accords il 13 ottobre 2020. L'obiettivo principale del programma è consentire il ritorno dell’uomo sulla Luna per periodi continuativi al fine di eseguire ricognizioni, ricerche, esperimenti ed operazioni logistiche svolte sia dall’uomo sia da
sistemi robotici. Rispetto all’era dell’esplorazione lunare vissuta dagli astronauti del vecchio programma Apollo, le nuove sfide del programma Artemis sono rappresentate dall'obiettivo di dispiegare infrastrutture di superficie operanti sulla Luna per molti anni, consentendo molteplici missioni con astronauti durante l'intera vita operativa di questi sistemi complessi. Questo aspetto chiave consentirà di abilitare la piena sostenibilità della presenza umana sulla Luna. L'eccellenza italiana nel campo dell’esplorazione uma-
na dello spazio è testimoniata dalle numerose tecnologie italiane utilizzate in molte missioni di esplorazione spaziale robotica dell'ESA e della NASA e dalla lunga tradizione italiana nella progettazione, sviluppo e realizzazione di moduli orbitali pressurizzati utilizzati per missioni con equipaggio, rafforzata nel tempo passando dalle infrastrutture orbitali terrestri (nodi della ISS, Cygnus, AXIOM) ai nuovi sviluppi in corso per applicazioni orbitali lunari (Lunar Gateway: HALO, I-HAB, ESPRIT). Per sfruttare ed accrescere ulteriormente
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gramma Artemis, in quanto oltre alla capacità di garantire un habitat sicuro e confortevole per gli astronauti in missione al polo sud lunare, MPH sarà in grado di espletare molte funzionalità utili per facilitare le operazioni al campo base lunare, di interoperare con altri asset esterni (lander, rover, ecc.) e di essere gestito in autonomia dalla Terra. Nella visione NASA di lungo periodo, c’è l’obiettivo di costituire un campo base (Artemis Base Camp - ABC) nella regione del Polo Sud della Luna, composto da moduli pressurizzati di superficie integrati e in grado di operare tra loro. Le sfide tecnologiche sono molteplici e principalmente dovute all’ambiente lunare e alla capacità richiesta al modulo di sopravvivere e funzionare per dieci anni in condizioni di temperature estreme, radiazioni cosmiche e tempeste solari, rischio di impatti di micro-meteoriti, polvere lunare (regolite) contaminante, condizioni di vuoto, ecc. ma i benefici derivanti dalla realizzazione e sfruttamento di un modulo abitativo di superficie lunare hanno ricadute a cascata in termini di ritorno tecnologico, scientifico e di opportunità commerciali.
tali capacità, l'Agenzia Spaziale Italiana punta ad estendere il proprio patrimonio sviluppando, progettando e realizzando, per poi operare sulla superficie del Polo Sud lunare, il primo modulo abitativo pressurizzato italiano: il modulo Multi-Purpose Habitat (MPH), frutto delle attività di co-ingegneria che ASI sta conducendo con la NASA da oltre un anno. Questi studi hanno portato la NASA a riconoscere il modulo abitativo italiano come un elemento ad alto valore aggiunto nel pro-
Modulo abitativo lunare MPH (Multi-Purpose Habitat). Crediti: NASA
La logica di sviluppo del modulo MPH si adatta perfettamente alla strategia a lungo termine Moon to Mars (M2M), per consentire una presenza umana sostenibile sulla Luna, volta ad abilitare i futuri scenari di esplorazione di Marte e a confermare l’Italia a livello mondiale tra i paesi protagonisti del settore spaziale. Il 13 novembre 2023 l’ASI ha svolto il kick-off del programma con Thales Alenia Space Italia (TAS-I), responsabile della costruzione di MPH. Il modulo ha infatti superato positivamente il vaglio Element Initiation che è la tappa formale con cui la NASA autorizza su Artemis la prosecuzione dei progetti ritenuti di interesse che entrano così in fase Mission.
Lo Spazio veste Prada Saranno griffate Prada le tute degli astronauti che torneranno sulla Luna. L’azienda texana Axiom Space ha scelto il noto marchio di lusso milanese per disegnare la nuova generazione delle AxEMU, le Axiom Extravehicular Mobility Unit, il cui sviluppo è stato assegnato dalla Nasa nell’ambito di un contratto dal valore di 228,5 milioni di dollari. «Nella tuta spaziale per l’era Artemis confluiranno decenni di sperimentazione, studio di tecnologie all’avanguardia e know-how nel campo del design raccolti fin dagli anni Novanta, quando Luna Rossa partecipò all’America’s Cup. È una celebrazione della creatività e dell’innovazione nel progresso della civiltà», ha dichiarato Lorenzo Bertelli, direttore marketing Prada. Per Axiom l’esperienza di Prada sui materiali compositi consentirà di applicare tecnologie avanzate per garantire il comfort degli astronauti sulla superficie lunare, tenendo in considerazione anche quei fattori umani tanto necessari quanto tutt’ora assenti nelle tute spaziali tradizionali. L’obiettivo primario è dunque il comfort. Una scelta che appare come un cambio di passo rispetto al passato. In realtà, questo è un approccio ormai consolidato: nei futuri piani di colonizzazione della Luna e soprattutto di Marte, che vedranno l’uomo stare per lunghi periodi lontano, anche fisicamente, dalla Terra, il benessere psico-fisico degli astronauti è ormai ritenuto un fattore determinante per il successo di una missione. Artemis III potrebbe slittare al 2026 ma una cosa è certa: la prima donna e il prossimo uomo che passeggeranno sulla Luna lo faranno con tecnologia ma anche stile… made in Italy. di Manuela Proietti
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Fig. 1. Il lander Lugre. Crediti: ASI e NASA
Antenna
LNA
ricevitore
sensibilità ed implementa soluzioni innovative basate su specifici algoritmi di processamento dei segnali satellitari; l'antenna ad alto guadagno è mobile ed orientabile per puntare la Terra con 1 grado di accuratezza e intercettare i deboli segnali dei satelliti che le orbitano intorno.
L’ItaLIa suLLa Luna con IL rIcevItore LuGre
Il Payload Operation Center presso NASA, che ospita il tool di comando, controllo e monitoraggio del p/l LuGRE e quello scientifico per l’analisi dati e reporting delle acquisizioni durante la missione, sarà assistito in Italia dal Remote Troubleshooting Center per l'indagine e la risoluzione delle anomalie e dal Remote Science Processing Center per estendere le capacità scientifiche.
di Claudia Facchinetti
Lunar GNSS Receiver Experiment (LuGRE) è un progetto bilaterale che coinvolge ASI e NASA nel contesto ARTEMIS che riporterà l’uomo sulla Luna. La missione LuGRE ha lo scopo di sperimentare l’uso dei segnali di radionavigazione satellitare fuori dall’ambiente terrestre. Progettato per acquisire i deboli segnali dei satelliti GPS/Galileo, LuGRE fornirà Posizione, Navigazione e Tempo (PNT) quanto più accurati a futuri assets sulla Luna e in ambiente cislunare. Il Progetto NEIL (Navigation Earliest Investigation on Lunar Surface - dal nome di Armstrong primo astronauta a visitare il nostro satellite), finanziato da ASI, ha sviluppato un Sistema di ricezione GNSS capace di supportare le severe condizioni dello spazio e dell’ambiente lunare, costituito dal ricevitore a doppia frequenza (L1/E1/L5/E5a) e multi-costellazione (GPS/GALILEO), dalla catena di ricezione del segnale (antenna, filtri, cavi) e dall’Unità di Terra per la gestione del payload di bordo (p/l LuGRE). Quest’ultimo sarà integrato nel lander lunare Blue Ghost M1 (Fig. 1) realizzato da Firefly Aerospace (FF) per la missione CLPS 19D della NASA diretta verso il bacino del Mare Crisium sulla luna, nel 2024 (Fig.2). La missione CLPS 19D vuole migliorare la conoscenza lunare e consentire una presenza sostenibile sulla Luna; durerà 55 giorni terrestri, di cui almeno 12 sulla superficie lunare e fino alla gelida notte quando verrà meno l’energia per le attività. Il P/L LuGRE non supera 5kg e usa 14 W di potenza, il Ricevitore è ottimizzato per l'acquisizione ad alta 46 | SPAZIO 2050
Fig.2. Missione Lugre.
Il p/l LuGRE, dopo un’intensa campagna di test e qualifiche per verificarne l'affidabilità e la funzionalità, a dicembre sarà integrato nel Lander e seguirà la campagna di validazione con gli altri 9 p/l della missione. LuGRE produrrà info utili per sfruttare il GNSS nelle prime fasi di colonizzazione lunare e garantire un servizio di posizionamento robusto, sicuro e accurato, di cui i futuri satelliti in orbita lunare gioveranno. La conquista della Luna mette alla prova le capacità tecnologiche e di adattamento della specie umana, da sempre volta ad esplorare nuovi mondi ("Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza" scriveva Dante) ma che ora vuole accasarsi, prima di raggiungere il Pianeta Rosso.
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AllA scopertA della faccia nascosta della luna di Silvia Natalucci e Marco Di Clemente
Panoramica delle fasi della missione LUMIO Credit: Politecnico di Milano
L'ultima volta che degli esseri umani hanno messo piede sulla Luna è stato il dicembre 1972 con la missione Apollo 17. Da allora non si è più tornati, ma negli ultimi anni si è riacceso l'interesse per l'esplorazione umana del nostro satellite, tanto che si sta parlando di “nuova corsa alla Luna”. A cosa è dovuto questo rinnovato interesse? Il motivo principale è certamente quello di acquisire il know-how necessario ad affrontare la sfida forse più ambiziosa nella storia: la costruzione di basi umane su altri mondi, utilizzando la Luna come avamposto ideale per raggiungere corpi celesti più lontani e per esercitarsi a fare ciò che è necessario per colonizzarli: estrarre acqua, ossigeno, energia e materie prime con finalità sia scientifiche che economiche. Lo sfruttamento mi-
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nerario dei corpi celesti, se dovesse diventare economicamente sostenibile, potrà, infatti, rivoluzionare l'economia terrestre e impattare in maniera clamorosa sui settori energetico e delle materie prime. Tuttavia, stabilirsi per lunghi periodi sul nostro satellite naturale non sarà facile, a causa di una molteplicità di fattori che rendono l’ambiente lunare particolarmente ostile come ad esempio la forte esposizione alle radiazioni oppure le innumerevoli meteoriti che, in assenza di atmosfera, si schiantano sulla superficie lunare con impatti violenti. Ne è testimonianza il grande numero di crateri presenti che, limitandosi a contare quelli con un diametro di almeno 1 km, raggiungono quota 300.000 unità. Ma quanti meteoriti colpiscono realmente la Luna? Con quale frequenza? E qual è l’entità del rischio per astronauti e strutture?
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Domande a cui potrebbe contribuire a dare una risposta la Missione LUMIO (Lunar Meteoroid Impacts Observer) che ha come obiettivo proprio quello di osservare, quantificare e caratterizzare gli impatti dei meteoroidi, piccole rocce non osservabili dalla Terra, sul lato nascosto della Luna, tramite il tele-rilevamento di flash luminosi dovuti agli impatti. Ciò consentirebbe di complementare le osservazioni raccolte dalla Terra al fine di formulare il primo modello completo ed accurato del flusso di meteoroidi in ambiente lunare che potrebbe fornire importanti informazioni sui siti maggiormente idonei ad accoglier un eventuale avamposto umano in quanto caratterizzati da un limitato rischio di impatti. La missione utilizza un CubeSat 12U delle dimensioni di 30x20x20 cm e del peso di circa 25 kg realizzato con tecnologie miniaturizzate molto avanzate quali la micro-propulsione, il transponder miniaturizzato in banda X, il sistema di controllo dei pannelli solari, la navigazione ottica autonoma, il processamento di immagini a bordo e una camera payload miniaturizzata. Quest’ultima, chiamata LUMIO-Cam, è in grado di rilevare flash luminosi nello spettro del visibile e nel vicino infrarosso. Il processore della LUMIO-Cam scansiona autonomamente le immagini per rilevare i flash luminosi in modo da scaricare a Terra i soli dati con contenuto scientifico. La missione usa una inusuale orbita “halo” attorno al punto Lagrangiano L2 Terra-Luna, da cui si può osservare il lato lontano della Luna, quello non osservabile dalla Terra, in modo permanente. Il progetto LUMIO è risultato uno dei vincitori della competizione Lunar CubeSats for Exploration (LUCE) indetta da ESA nel 2017 ed è implementato all’interno del programma ESA General Support Technology Programme (GSTP) grazie al sostegno dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e dell’Agen-
zia Spaziale Norvegese (NOSA). Ad ottobre si è conclusa con successo la fase di progettazione preliminare e la missione è pronta ad entrare nella fase di progettazione di dettaglio e successiva realizzazione, con l’obiettivo di volare tra la fine del 2026 e l’inizio del 2027, presumibilmente come carico secondario di una delle tante missioni che nei prossimi anni raggiungeranno il nostro satellite naturale. La progettazione preliminare della missione è stata realizzata da un consorzio europeo costituito dal Politecnico di Milano, Argotec, Leonardo, IMT, Nautilus e S&T Norway. Il Politecnico di Milano, oltre ad essere principal investigator, è leader del consorzio e si occupa dell’analisi di missione, del sistema di guida, navigazione e controllo del satellite, dell’esperimento di navigazione autonoma, dell’elaborazione scientifica dei dati e della gestione dell’intero progetto. Argotec ha il ruolo di progettare e sviluppare la piattaforma CubeSat, mentre Leonardo quello della realizzazione della LUMIO-Cam. IMT guida lo sviluppo del transponder in banda X e del meccanismo di rotazione dei pannelli solari, mentre Nautilus si occupa della progettazione del segmento di terra e delle operazioni di controllo del volo. Infine, la norvegese S&T si occupa della realizzazione del processore di bordo che elaborerà in tempo reale i dati provenienti dalla LUMIO-Cam. Una folta comunità scientifica, coordinata da ASI, si sta inoltre preparando ad elaborare i dati che saranno raccolti durante tutte le fasi della missione. La missione LUMIO insieme ad altri progetti supportati dall’Agenzia Spaziale Italiana nell’ambito del programma ALCOR, una volta in orbita, contribuirà a consolidare la leadership del nostro paese nel campo della progettazione di sistemi e missioni per CubeSat interplanetari avviata con le missioni Licia Cube e Argomoon.
Stampa 3D La rapida crescita della nuova economia spaziale e le nuove sfide affrontate dal settore negli ultimi anni hanno motivato lo studio e l’adozione di nuove tecnologie e metodi di produzione. La Manifattura Additiva (AM), anche conosciuta come stampa 3D, è stata indicata come una tecnologia abilitante fondamentale per tutti i principali domini spaziali. Si tratta di un processo industriale impiegato per fabbricare oggetti partendo da modelli 3D computerizzati, aggiungendo uno strato sopra l'altro, in opposizione alle metodologie tradizionali di produzione sottrattiva, che partono da un blocco di materiale dal quale vengono rimossi meccanicamente trucioli. Studi recenti prevedono che l’impatto del mercato della stampa 3D per il settore spaziale supererà i 5,5 miliardi di dollari entro il 20271. La stampa 3D si applica nella produzione di pezzi unici in piccoli volumi, ma anche per lo sviluppo di componenti di megacostellazioni di satelliti. L’interesse per la stampa 3D si è rapidamente spostato dalle applicazioni di prototipazione rapida alla produzione di parti funzionali, e da strutture terziarie e secondarie a componenti primari e critici per le missioni spaziali, raggiungendo in alcuni casi anche esperienze di volo. Risulta ad oggi necessario mantenere la posizione europea all'avanguardia nello sviluppo di hardware spaziale e ASI ed ESA lavorano per migliorare la conoscenza dei materiali e delle tecnologie di processo, puntando sulla coerenza tra l'hardware sviluppato e il suo modello 3D computerizzato (digital twin). di tanya scalia e Marco pizzarelli
Concept di una base lunare costruita utilizzando la tencologia di stampa 3D. Crediti: ESA/Foster + Partners
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MOONLIGHT il sistema di navigazione lunare del futuro
astronauti di comunicare direttamente con la Terra e di conoscere con precisione la propria posizione, elementi fondamentali per la sicurezza e per il successo delle missioni umane. Moonlight sarà realizzato in modo da essere compatibile con altri futuri sistemi, ad esempio quelli di NASA o JAXA, in quanto adotterà lo standard internazionale Lunanet, e ciò permetterà di essere utilizzato non solo per le missioni prettamente ESA – ad esempio il lander Argonaut – ma anche per comunicare con la Gateway e per fornire servizi ad altre Agenzie Spaziali o ad aziende private, previa la stipula di accordi governativi o commerciali. Moonlight è pertanto considerato un elemento essenziale per future collaborazioni internazionali che prevedono obiettivi strategici ambiziosi, andando ben oltre la pura fornitura dei servizi di telecomunicazioni e di navigazione.
di Giancarlo Natale Varacalli
L’esplorazione della Luna sta emergendo come una priorità strategica globale, con ambizioni governative, scientifiche e anche commerciali da parte di molte nazioni. Ad oggi si contano globalmente centinaia di missioni pianificate per i prossimi 10 anni destinate al nostro satellite naturale. La grande maggioranza di queste avranno bisogno di servizi di telecomunicazioni e di navigazione e, in assenza di un’infrastruttura dedicata, dovranno provvedere con soluzioni ad-hoc con riflessi negativi sull’efficienza e sui costi delle singole missioni. In tale contesto, tutte le maggiori Agenzie Spaziali mondiali hanno nei loro piani progetti più o meno concreti per realizzare infrastrutture in orbita lunare per fornire servizi di telecomunicazioni e navigazione in prossimità della Luna con i livelli di capacità e affidabilità necessari nel lungo periodo. In ambito Europeo il programma Moonlight dell’ESA, che vede l’Italia come primo finanziatore e l’industria nazionale con ruoli di leadership, contribuirà a rendere tecnicamente ed economicamente convenienti molte future missioni lunari attraverso la fornitura di servizi di telecomunicazioni e di posizionamento accurato. Prevedendo 4 satelliti orbitanti intorno alla Luna, Moonlight sarà infatti in grado entro questo decennio di supportare – in modo ottimizzato per servire la zona del polo sud, ma anche sulla faccia nascosta - le comunicazioni con lander, gli allunaggi di precisione, la navigazione dei rover e, soprattutto, consentirà agli 50 | SPAZIO 2050
Satelliti Moonlight a supporto della presenza umana sulla Luna. Crediti: ESA
È infine importante osservare che l’architettura della NASA Moon-to-Mars prevede nel prossimo decennio un costante incremento delle missioni lunari e di crescente difficoltà, il cui grande passo successivo è rappresentato dall’esplorazione robotica ed umana di Marte. Ciò richiederà infrastrutture marziane permanenti di supporto fra le quali sarà indispensabile la componente di telecomunicazioni e navigazione, di cui Moonlight può essere considerato un precursore che porrà l’Europa e l’Italia in una posizione di vantaggio competitivo nell’esplorazione di Marte ed oltre.
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AcquA suLLA LuNA il progetto oraCle di Michèle Roberta Lavagna
Negli anni ‘20 la Luna rappresenta il nuovo ‘Far West’: curiosità scientifica, desiderio di scoperta, fascino dell’ignoto, sfida tecnologica, opportunità di mercato. Così vicina, quattro giorni di viaggio, un secondo e mezzo per un segnale da Terra, affida all’uomo un ruolo centrale nella sua esplorazione; si va per restare, non per sostare qualche ora, Apollo like. L’essere umano, tuttavia, è molto esigente, specie quando viaggia: respira, mangia, beve, soffre gli sbalzi termici, si sposta, esplora. Sappiamo quanto sia più funzionale, viaggiando, reperire in loco quanto possa servirci, senza preoccuparsi di metterlo in valigia, alleggerendo notevolmente il bagaglio. Se ci chiedessimo: «quale bene non deve mancare in valigia verso la Luna?» O, meglio, «che cosa sarebbe ottimale per i viaggiatori lunari avere a disposizione all’arrivo senza timore di terminarne le scorte?» Beh, la risposta immediata sarebbe certamente: «l’acqua!». Il progetto ORACLE risponde: sfruttando un processo chimico ad alta temperatura estrae ossigeno intrappolato nei minerali della regolite lunare, insieme di materiali eterogenei, non coesi, che ricopre i primi metri di superficie. Grazie ad un processo industriale per l’estrazione del silicio, partendo da regolite anidra, quindi priva di acqua, si può strappare l’ossigeno dal materiale sabbioso e stivarlo in serbatoi per uso
Impianto-globaleAcqua-luna PoliMi: impianto di laboratorio realizzato presso Politecnico di Milano per l’estrazione di acqua da regolite lunare secca. Crediti: PoliMI
Dettaglio del collettore dell’acqua estratto dal condensatore a valle di un ciclo di produzione, contenente ossigeno in forma di ghiaccio estratto da regolite secca. Crediti: PoliMI
futuro. La sabbia, riscaldata ad alta temperatura, è investita da gas a base di metano per estrarre l’ossigeno intrappolato nei minerali; la miscela gassosa contenente l’ossigeno come ossido di carbonio, viene ‘digerita’ da un secondo reattore, per uscirne come vapore acqueo; l’acqua si separa dalla miscela per raffreddamento, stivabile o separabile in idrogeno e ossigeno. Il processo si distingue da quello industriale non portando la regolite a fusione, aspetto che, se parzialmente riduce la resa, è a favore dell’automazione dell’impianto, sollevando gli astronauti dalla manutenzione impiantistica. ORACLE è stato verificato nel 2020 su impianto di laboratorio al Politecnico di Milano - gruppo ASTRA, grazie ad ESA e ASI; esso non dipende dal tipo di regolite usato, aspetto molto importante perché svincola l’impianto dall’installazione in zone ricche di uno specifico componente mineralogico: la superficie lunare presenta minerali a base di ossido di silicio ovunque, composto con cui l’impianto lavora. Si potrà quindi scegliere dove allunare in base alle attività e al benessere degli astronauti, non alla funzionalità dell’impianto. Il processo proposto, in quanto nuova tecnologia, chiede verifica e sperimentazione per gradi. ORACLE, finanziato dall’ASI, passerà dal laboratorio alla Luna: un impianto di dimensioni ridotte, scatola da trasloco, fra pochi anni sulla Luna svolgerà alcuni cicli del processo di estrazione dell’ossigeno producendo qualche grammo di acqua. Ciò abbatterà un’importante barriera per la presenza stanziale sulla Luna e ci porterà, speriamo, al primo brindisi spaziale con acqua lunare! SPAZIO 2050 | 51
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Verso un futuro sostenibile fra terra e spazio
"Spazio al Futuro - La Sfida del Presente": da Telespazio e SEELab un libro per raccontare un nuovo modo di intendere la sostenibilità
di Redazione
Una sfida globale, capace di abbracciare sia il pianeta Terra che lo spazio. La sostenibilità, oggi più che mai, si presenta come un concetto destinato a trasformare il nostro modo di vivere, lavorare ed esplorare. La Terra, in bilico tra la promessa di un futuro sostenibile e la minaccia dei cambiamenti climatici, ci obbliga a considerare la complessità dei legami che intrecciano il nostro pianeta con lo spazio circostante. Le tecnologie spaziali, con i loro satelliti e gli strumenti di osservazione, hanno rivoluzionato la nostra 52 | SPAZIO 2050
Un'immagine da satellite del Rio delle Amazzoni.
capacità di comprenderlo. Da una prospettiva privilegiata, ci hanno fornito dati fondamentali per gestire emergenze, ottimizzare l'agricoltura e affrontare il cambiamento climatico. Tuttavia, possedere conoscenza non è sufficiente; il passo successivo sarà anticipare gli eventi e agire preventivamente. La chiave per affrontare il cambiamento climatico e altre sfide globali risiede nella tecnologia spaziale. I satelliti che orbitano attorno al nostro pianeta sono diventati non solo strumenti di osservazione, ma veri
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generazioni di esplorare le stelle. Gli oggetti abbandonati in orbita, infatti, rappresentano un pericolo reale, con il potenziale di danneggiare o distruggere satelliti attivi e navicelle spaziali. Quindi, mentre sfruttiamo lo spazio per migliorare la sostenibilità sulla Terra, dobbiamo anche considerare come preservare la sostenibilità nello spazio vicino. Da questa consapevolezza nasce il libro "Spazio al Futuro - La Sfida del Presente", uscito nel mese di ottobre edito da Hoepli. Frutto della collaborazione fra Telespazio del gruppo Leonardo e il SEELab dell'Università Bocconi di Milano, l’opera è stata scritta dall'autore americano David W. Brown. Giornalista e divulgatore, con la sua scrittura essenziale ma coinvolgente, Brown rende accessibili anche ai non addetti ai lavori le complesse tematiche dello spazio: dall’architettura sostenibile su altri corpi celesti al solar space power, fino alla costituzione di una normativa condivisa per l’esplorazione e la colonizzazione dello spazio vicino. Tra i contributors illustri di questo volume, figurano personalità del calibro di Paolo Nespoli, John C. Mankins, Paolo Gaudenzi, Simonetta Di Pippo, Waltraut Hoheneder, Barbara Imhof, René Waclavicek, Angel Abbud-Madrid, Kevin O’Connell, Moriba Jah, Cynda Collins Arsenault e Victoria Samson, che hanno condiviso generosamente la loro esperienza e conoscenza per offrire una visione audace e innovativa del futuro dello spazio. L'esplorazione e la colonizzazione dello spazio sollevano anche questioni etiche importanti. Come dovremmo gestire i possibili impatti ambientali sulle lune o i pianeti che potremmo abitare? In che modo sfrutteremo le risorse extraterrestri? Come possiamo garantire che l'esplorazione spaziale sia equa e inclusiva, coinvolgendo una diversità di Paesi e individui? Queste sono sfide complesse che richiedono una riflessione approfondita.
e propri alleati nella nostra ricerca di un futuro più sostenibile. Monitorano la temperatura del pianeta, la qualità dell'aria, il livello del mare e molto altro. Le informazioni raccolte non solo ci aiutano a comprendere meglio il nostro pianeta ma forniscono anche dati fondamentali per la creazione di politiche e interventi mirati a mitigare i cambiamenti climatici.
Il volume è una finestra aperta su un mondo in cui lavorare e abitare su altri corpi celesti non è più fantascienza, ma una prospettiva tangibile. La visione di un futuro in cui colonizzare la Luna o Marte è una realtà imminente che ci spinge a considerare come rendere sostenibili queste nuove frontiere. L'uso delle risorse spaziali, la gestione dei rifiuti spaziali e la creazione di ecosistemi chiusi sono solo alcune delle sfide che affronteremo mentre ci spingiamo sempre più lontano nello spazio.
La sostenibilità nello spazio è altrettanto cruciale. L'accumulo di detriti spaziali minaccia non solo le attività spaziali, ma anche la possibilità per le future
Una sfida cruciale da affrontare con responsabilità, consapevoli del potere di plasmare un futuro sostenibile, sia sulla Terra che fra le stelle. SPAZIO 2050 | 53
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IN VETRINA
Il lIbro Generazione Spazio: tecnoloGie e profeSSioni Spaziali per la SalvaGuardia del pianeta Generazione Spazio è il secondo volume della collana Amici del Pianeta di Giunti Editore, nato grazie alla collaborazione con l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), che ha curato la redazione di alcuni testi e la supervisione scientifica dei contenuti. Il volume si apre con la prefazione dell’astronauta dell’ESA Luca Parmitano che racconta ai lettori la sua esperienza e le emozioni vissute nello spazio e come, proprio da lassù, emerga ancora più evidente la consapevolezza che la Terra sia un luogo da preservare. Prosegue con una illustrazione del Sistema Solare, con informazioni e curiosità sui pianeti che lo compongono e approfondimenti sulle prossime esplorazioni spaziali di Luna e Marte, e con una panoramica delle professioni spaziali. Uno degli obiettivi della pubblicazione è far capire ai più giovani come siano necessarie figure professionali diverse, oltre gli astronauti: astrofisici, ingegneri aerospaziali, agronomi, informatici, astrobiologi, ma anche giuristi ed esperti di diplomazia internazionale sono solo alcune delle tante professionalità e competenze necessarie per realizzare le missioni di esplorazione del nostro universo e per sviluppare le tecnologie spaziali utili non solo a conoscere di più il cosmo ma anche a preservare il nostro pianeta. Tra queste ultime, ruolo di primo piano per i satelliti di osservazione della Terra: il libro contiene una sezione di immagini realizzate dalla costellazione italiana COSMO-SkyMed e della missione PRISMA dell’Agenzia Spaziale Italiana, la cui illustrazione aiuta a capire meglio come vengono utilizzati i dati del telerilevamento per, ad esempio, ottimizzare i raccolti, per controllare il patrimonio forestale e boschivo, o per organizzare meglio gli interventi necessari in caso di emergenze come alluvioni o terremoti. 54 | SPAZIO 2050
di Germana Galoforo
luca parmitano racconta ai lettori la sua esperienza e le emozioni vissute nello spazio e come, proprio da lassù, emerga ancora più evidente la consapevolezza che la terra sia un luogo da preservare
titolo: Generazione Spazio autori: Disney Libri / Giunti Editore / ASI editori: Disney Libri / Giunti Editore anno edizione: 2023 prezzo: 12 euro
Generazione Spazio contiene anche due storie a fumetti, che, seppur pubblicate per la prima volta alcuni anni fa, mostrano interessanti elementi di attualità. Zio Paperone e dieci piccoli miliardari, pubblicata per la prima volta nel 2013, nella quale Zio Paperone dimostra ancora una volta il suo fiuto per gli affari, inaugurando il business dei viaggi spaziali sulla Luna. L’idea fantasiosa di Zio Paperone è oggi, a soli dieci anni di distanza, una realtà: si chiama turismo spaziale e ha già iniziato a portare in orbita a 400 km dalla Terra alcuni facoltosi neofiti dello spazio. La seconda storia, Eta Beta e il Buz pappapianeti, ha come filo conduttore il rispetto dell’ecosistema e lascia ai lettori un importante messaggio ecologista sull’importanza non solo di prendersi cura della Terra ma anche di sviluppare tecnologie per lo spazio sempre più attente alla sostenibilità.
SPACE FOR LIFE CREDIAMO NELLO SPAZIO COME NUOVO ORIZZONTE DELL’UMANITÀ PER COSTRUIRE UNA VITA SULLA TERRA MIGLIORE E SOSTENIBILE.