None But The Brave - Un viaggio immaginario nell'America di Bruce Springsteen

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Questo libro è Spotify* Connected. Significa che va letto ed ascoltato. Ogni racconto ha la durata di una canzone di Bruce Springsteen. Se disponi di un lettore QR Code sul tuo smartphone, potrai connetterti a Spotify ed ascoltare il brano all’inizio di ogni paragrafo. Buona lettura. E buon ascolto. *Spotify è un marchio registrato ed appartiene al legittimo proprietario.



Valerio V. Bruner

NONE BUT THE

BRAVE Un viaggio immaginario nell’America di Bruce Springsteen


Valerio V. Bruner None But The Brave Un viaggio immaginario nell’America di Bruce Springsteen Prefazione di Vincenzo Esposito Illustrazioni di Ivano Bruner © 2016 GM Press via della Repubblica, 7 – 81030 Parete (CE) info@gmpress.it www.gmpress.it ISBN 978-88-942281-0-6

NARRATIVA

Questo libro è un’opera di fantasia. Tutti i personaggi sono invenzioni dell’autore. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, vive o scomparse, è puramente casuale.


A chi resta e sopravvive



Prefazione «Puoi trovare la tua identità nella ferita che ti hanno inferto», ha dichiarato Bruce Springsteen in un’intervista a The Guardian del 2009, «l’identità la trovi nelle tue cicatrici, nei punti in cui sei stato colpito e le trasformi in medaglie. Tutti quanti portiamo addosso gli eventi a cui siamo sopravvissuti con un certo onore, ma il vero onore sta anche nel trascenderli» Se dispiegassimo il canzoniere di Springsteen come fosse una mappa geografica, ci accorgeremmo che il suo canone è attraversato da un’unica grande ferita che corre sul corpo dell’America, della sua storia, dei suoi uomini, delle sue donne; scopriremmo uno squarcio profondo che marca i confini tra sogno e incubo americani, tra legittimo (perfino “costituzionale”) desiderio di cercare la felicità e la consapevolezza di non poterla mai raggiungere pienamente. Le canzoni di Springsteen non parlano di sogni, né narrano incubi, esplorano i margini della lacerazione, fotografano il trauma del singolo e della collettività, dell’Io e del Noi. Danno speranza, ma non vendono bugie al mercato delle illusioni. Aprono il diaframma e lasciano entrare la luce del giorno, ma non nascondono le tenebre della notte. Ci rappresentano, e, per questo, comunicano autenticità. È ciò che accade in molti racconti - in parte ispirati proprio alle canzoni del songwriter americano - raccolti in questo bel volume di Valerio V. Bruner, che s’intitola None But The Brave, come la canzone esclusa da Born In The U.S.A.

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Sono ventidue brevi narrazioni nelle quali compaiono balordi e acchiappanuvole, sognatori e indomiti fuorilegge, anti-eroi in caduta libera verso l’abisso, ribelli danzanti sull’orlo di un’umanità perduta, esclusi e losers con le spalle al muro. L’attenzione dell’autore si concentra sull’uomo e sull’inumano, senza far ricorso alla facile retorica, né all’umanitarismo, non contestando, per questo, alle fantasie “neo-romantiche” il loro diritto sacrosanto di essere impaginate, e, in ultima analisi, all’amore di essere narrato, soprattutto quando è perduto. Ogni racconto si muove drammaturgicamente dentro una cornice contraddistinta da citazioni, messe in esergo, e indicazioni discografiche, a mo’ di chiosa, di brani scelti dal vasto repertorio di Springsteen: nelle prime avvertiamo l’urgenza di Bruner di segnalarci le sue fonti “alternative” di ispirazione, che spaziano dai poetici romantici inglesi ai registi della Nuova Hollywood, da William Faulkner a Bob Dylan; mentre le ultime, lungi dall’essere dei semplici consigli per l’ascolto, rappresentano delle colonne sonore ideali che interagiscono fattivamente col testo, talvolta empaticamente, talaltra in aperto contrasto con esso. Dentro queste cornici (ri)vivono personaggi springsteeniani in cerca di nuovi palcoscenici e nuove finzioni narrative. Così il volume si accresce e progredisce, inanellando, via via, dei racconti nei quali le vite degli antieroi di Bruner «finiscono per assomigliare alle canzoni che amiamo», o, almeno, così afferma l’Io narrante di Frankie, uno dei primi titoli di questa raccolta. Personaggi a tutto tondo, fatti di suoni oltre che di emozioni, che abitano non-luoghi scaturiti dai loro stessi paesaggi interiori. Esemplare, a tal proposito, l’inizio di Sogni infranti e giorni di gloria: «Le luci al neon dell’autogrill donavano una certa aria poetica a quella pompa di benzina

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persa nel mezzo del nulla a metà tra il sogno e la realtà, palcoscenico allucinato sul quale si agitano uomini e donne di cui nessuno si sarebbe mai ricordato» Uomini e donne - questi e altri - destinati a diventare “fantasmi” dell’eterno ritorno, come il protagonista del racconto intitolato 1965 Atlanta, Georgia, una storia di “american skin”, un potente monologo che sembra pronto per essere portato in scena, nel quale un nero viene colto proprio nel momento del trapasso, mentre sta per essere impiccato dagli uomini del Ku Klux Klan. Un essere umano che si confronta con l’inumano senza nemmeno il conforto di Dio, giacché dice: «Dio ha voltato le spalle al mio popolo nel momento in cui siete venuti a prenderci e ci avete trascinato in catene dall’altra parte del mondo» Qui, la tecnica del monologo teatrale si confronta con lo stile della scrittura poetica di Springsteen, mediante il quale l’autore mette in scena spesso conversazioni di cui sentiamo solo una voce, conosciamo quasi sempre i nomi degli interlocutori, ma quasi mai quello del protagonista. «Tutte le cose morte che tornano portano dolore», scriveva Toni Morrison in Beloved, un altro racconto di “fantasmi”, ambientato durante la Guerra di Secessione americana, e ispirato alla storia vera di Margaret Garner, una schiava afroamericana. Ma i fantasmi di None But The Brave sono anche quelli dell’amore che persiste, perfino dopo la scomparsa dei corpi. Poco importa che sia l’amore per una sorella morta a causa di un cocktail letale di pillole, alcol e depressione (Randy), o per un padre (La lunga strada verso casa), o per una giovane fidanzata scomparsa (Come l’oceano) con la quale Lui aveva fantasticato tutto il tempo cercando di plasmare la loro storia sulle canzoni dell’album The River. Essi vivono! Nel ricordo di quell’amore.

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Non si vuole dare qui conto, partitamente, di tutti i racconti di Valerio Bruner, che, invece, invito a leggere come se fossero parte di un unico dramma a tappe, in cui trova spazio anche la narrativa di “genere”: per esempio, una detective story ambientata in una falsa “lucky town” che sa un po’ di American Tabloid (Marilyn), o un racconto di fantascienza springsteeniana (L’ultimo uomo sulla terra). Già, perché forse non lo abbiamo ancora detto, ma Springsteen è, tra le altre cose, anche uno straordinario “scrittore di genere”: i generi della narrativa e quelli del cinema, che, come ho già avuto modo di spiegare altrove, diventano per lui testi unici, continui, e infiniti, aperti sul loro protrarsi. Il genere inteso come sistema intertestuale e intratestuale, in grado di creare attese e di rappresentarsi come “autentico”, poiché uguale a se stesso. Narrazioni, come quelle che leggiamo piacevolmente anche in questo libro, che non si allontanano mai da quell’afflato metafisico che spira dalla ferita che separa, e unisce, l’arte e la vita. Vincenzo Esposito

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SPIRITI NELLA NOTTE

“E ridiamo come bambini teneri e pazzi, compiaciuti nei cervelli di cotone confusi dell’infanzia, la musica e le voci sono tutte intorno a noi.” THE DOORS, Ghost Song

Il caldo è insopportabile. Sono quasi otto ore che aspetto sotto questo sole rovente. Le entrate dello stadio sono gremite di gente, più di quanta pensassi. Una cosa che non giova affatto all’afa soffocante, ma ormai ci sono abituato e dopotutto mi piace. Dicono sarà uno show memorabile, di quelli che Bruce non metteva su da un bel po’ e ci sarò anche io, come ho sempre fatto dal lontano 1979. Infilo una mano nella tasca dei jeans. È ancora lì, la tasto e mi sento confortato, quasi si trattasse di un amuleto portafortuna. Mi guardo intorno: la sicurezza alle entrate non sembra dare segni di vita. Mi sa che dovremo aspettare ancora un bel po’. Mi siedo a terra, mi calo il berretto sugli occhi e lascio che i ricordi tornino a galla. Quando ci ripenso avverto ancora un gran vuoto nello stomaco, ma ne sento quasi il bisogno. Penso

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sia per questo che da allora ogni concerto di Bruce mi è sembrato unico, memorabile… Credo che l’estate del 1978 sia stata una delle più torride che abbia mai vissuto. La temperatura di giorno era rovente, mentre di notte non si respirava e l’umidità era così spessa che si poteva tagliare con il coltello. Allora vivevo con i miei in una modesta casa a una mezz’ora da Sacramento. Ricordo che mio padre si alzava nel cuore della notte bestemmiando perché non riusciva a chiudere occhio. Costringeva mia madre a svegliarsi per prendere le lenzuola e stenderle a terra, sperando così di trovare un po’ di sollievo. La mattina dopo però si lamentava dei dolori alla schiena urlando per tutta la casa. Quella povera donna aveva imparato a non dire nulla, ad aspettare paziente e silenziosa, come d’altronde ha fatto per tutta la sua vita, che papà smettesse di urlare e si desse una calmata. All’epoca frequentavo l’ultimo anno di college, ma con quel caldo insopportabile, ai banchi di scuola, preferivo le spiagge dorate della California. Almeno quando non ce la facevo più potevo fare un tuffo nell’oceano. A volte ci trascorrevo anche la notte, dormendo avvolto nel sacco a pelo – motivo per cui mio padre mi aspettava il mattino dopo con la cinghia già pronta – in compagnia di Willie El Loco e Grease Teddy, i miei amici di sempre. Teddy era figlio di italiani immigrati in America nel dopoguerra da un paesino sperduto delle campagne siciliane. Il suo vero nome era Teodoro Scalisi, ma per tutti era semplicemente Grease Teddy. Quando veniva da me a studiare, papà lo prendeva in giro dicendo che gli italiani si pettinavano con il lucido delle scarpe, ecco perché avevano sempre i capelli così neri e unti. Guardando Teddy un piccolo dubbio sarebbe sorto a chiunque.

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Per quanto riguarda Willie… lui era matto e basta. Si faceva chiamare El Loco da quando aveva avuto una discussione con l’ex di sua sorella. Il tipo era finito in ospedale con un bel po’ di costole ammaccate e Willie si era fatto un paio d’anni in riformatorio, prima che la madre lo iscrivesse al college per toglierlo dalla strada. Non avevamo nulla in comune se non una cosa sola: tutti e tre amavamo le canzoni di Bruce Springsteen. Lo avevamo scoperto per caso, quando un giorno Teddy aveva orgogliosamente tirato fuori dallo zaino The Wild, The Innocent & The E Street Shuffle, comprato al negozio di dischi all’angolo della scuola. E così eravamo diventati amici, tra birre rubate di nascosto dal frigo di casa e corse sfrenate in bicicletta, urlando a squarciagola che eravamo nati per correre. E quell’estate stavamo per coronare il nostro sogno: andare a Passaic per ascoltare Bruce che avrebbe suonato al Capitol Theatre. Il concerto si sarebbe tenuto a settembre in New Jersey. Mancavano solo poche settimane, dovevamo pianificare tutto con cura. Ci eravamo dati appuntamento sulla solita spiaggia. Willie si presentò un’ora dopo con una cassa di birra sulle spalle. Almeno non saremmo morti di sete sotto quel sole rovente. Era più allegro del solito. «Sentito che bomba il nuovo album?» aveva detto aprendosi una birra ghiacciata «Che chitarra, che voce e quel sax poi! Ma che lo dico a fare a un italiano come te! Che vuoi capirne tu di musica!» «Parli proprio tu, Willie Rodriguez? Se non fosse stato per me che ti facevo ascoltare Spirit In The Night, tu stavi ancora appresso a quella roba che spacciano per musica dalle parti tue» gli aveva risposto Teddy con quel suo sorriso furbo e accattivante che non potevi fare a meno di amare. «Hai ragione, amico, hai proprio ragione! Io sono uno spirito nella notte e come un fantasma mi intrufolerò nel letto di tua madre, prima o

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poi. Tuo padre nemmeno se ne accorgerà» iniziò a canticchiare Willie passandogli una lattina di birra. «Dateci un taglio tutti e due, pensiamo alle cose serie» dissi tirando fuori una vecchia cartina geografica spiegazzata. «Allora il piano è questo: prendiamo il primo treno che va a San Francisco e una volta lì facciamo l’autostop e filiamo dritti fino in New Jersey. Che ne dite, eh? Queste sono le tappe, guardate!» Ero troppo eccitato per quell’avventura che mi ero dimenticato di un piccolo particolare: non avevamo i biglietti per il concerto. Ma Willie aveva detto che conosceva dei tizi a Passaic che glieli avrebbero procurati. Ci credevo poco, ma non mi preoccupavo più di tanto. Presi il pennarello e tracciai una lunga linea che partiva da San Francisco e arrivava a Passaic tagliando in due gli Stati Uniti d’America. Avremmo fatto il viaggio della nostra vita, passando per il Nevada, lo Utah, il Colorado, il Nebraska e continuando a est fino alla meta dove speravamo di incontrare il nostro idolo. Ne parlavamo già da un po’ e sia io che Teddy eravamo riusciti a mettere da parte un bel gruzzoletto, almeno quello che ci serviva per prendere il treno, poi da lì si sarebbe visto. Lo avevamo detto a Willie che ne era stato entusiasta benché non avesse il becco di un quattrino e tantomeno poteva chiederne alla madre che faceva il turno di notte al supermercato. El Loco però non si scoraggiava, pieno di idee com’era, e continuava a ripeterci che lui ci stava dentro e che i soldi non sarebbero stati un problema. Quello spirito nella notte non si dava mai per vinto, o forse era semplicemente suonato. «Allora è deciso» dissi rimettendomi in tasca la cartina con cura, quasi fosse stata una sacra reliquia «tra una settimana partiamo e se abbiamo la fortuna dalla nostra arriveremo in New Jersey giusto in tempo per il

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concerto» Presi una birra e me la appoggiai sulla fronte, sperando che potesse darmi un po’ di sollievo dall’afa insopportabile. «Sì dai, una settimana e partiamo» esplose Teddy iniziando a canticchiare Born To Run di cui non aveva imparato nemmeno una strofa se non “Tramps like us, baby we were born to run” e la ripeteva all’infinito alternandola a delle parole incomprensibili. «Ragazzi, ho un colpo di genio» disse improvvisamente Willie alzandosi di scatto e sollevando quintali di sabbia, «conservatevi i soldi del treno che ci serviranno per offrire da bere a tutte le belle ragazze che incontreremo lungo il viaggio. Ascoltatemi! C’è un vecchio zio di mia madre che vive a mezz’ora da qua, lui la macchina ce l’ha eccome. Sapete che faccio? Vado a trovarlo e me la faccio prestare, poi vi vengo a prendere e schizziamo via! Che dite? Non sono un genio, eh?» e si tuffò a mare con tutti i vestiti. Era proprio matto. Dio quanto tempo è passato. Eravamo solo tre ragazzini, uniti dalla passione per la musica e per i viaggi impossibili a bordo di auto immaginarie. Eravamo giovani, fieri, convinti che nessuno ci avrebbe mai potuto separare. Iniziano ad aprire i cancelli. Tra qualche minuto tutti si fionderanno dentro, passando l’uno sull’altro pur di accaparrarsi il miglior posto sotto il palco. Mentre mi dirigo verso l’entrata ripenso a Willie che corre felice sulla spiaggia assolata e si tuffa in acqua. Non lo rivedemmo più: lo zio di sua madre, ubriaco fradicio, gli sparò un colpo di fucile alla schiena mentre il ragazzo stava cercando di forzare la portiera dell’auto. Da allora non mi sono mai perso nessun tour di Springsteen. Questi concerti sono anche un po’ per il mio vecchio amico. È un modo come un altro per sentirmelo ancora accanto che mi sussurra: “Sono uno spirito nella notte, amico mio”. Tiro fuori la vecchia cartina spiegazzata dagli

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anni, c’è ancora quel tragitto tracciato a pennarello tanti anni fa da un ragazzo seduto in riva all’oceano. La giro e ci scrivo sopra il titolo della canzone. Alzerò questo foglio fino al cielo e, quando sarà il momento, spero che Bruce se ne accorga. Sarà per te Willie, amico mio. Pazzo spirito nella notte.

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INDICE Prefazione

p. 7

Spiriti nella notte

p. 11

Frankie

p. 19

Sogni infranti e giorni di gloria

p. 27

Una storia di confine

p. 33

Un romantico figlio di puttana

p. 39

Randy

p. 47

1965 Atlanta, Georgia

p. 57

4 luglio (SOLD OUT)

p. 63

Stanza n. 26

p. 71

Come l’oceano

p. 79

La Valle dell’Eden

p. 87

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La lunga strada verso casa

p. 95

Semper Fidelis

p. 103

Canzone per un’anima dannata

p. 111

Il blues della Cadillac bianca

p. 117

La pioggia del nuovo giorno

p. 127

Marilyn

p. 135

Mr. Jones

p. 147

Finché morte non vi separi

p. 153

Bianco e Nero

p. 161

L’ultimo uomo sulla Terra

p. 167

L’ultima corsa

p. 175

Ringraziamenti

p. 183

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