Marca aperta febbraio marzo 2011

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Periodico di informazione locale di argomento sociale, economico, culturale e sportivo - anno X - n. 1 - Febbraio/Marzo 2011 - € 0,20 Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1°, DCB TV - Contiene I.P.

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periodico di informazione - attualità - cultura

Riflessi lungo il Sile

Foto Giorgio Bedin

TREVISO Treviso si svuota Cui prodest?

Meno retorica e più sincerità

Atlante Trevigiano

INSERTO Treviso storica, l’isoła de ła Pescarìa

Teologia di un duello


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Editoriale

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Gentile Lettore,

Periodico di informazione locale

Anno X – Numero 1 – Febbraio/Marzo 2011 Reg. Trib. di Bassano al numero 2/05 Reg. Periodici in data 19/01/2005 Iscrizione ROC n. 10005 Prot. U/06378/04/NA Proprietario e Editore Giuliana Merotto Direttore Responsabile Giuliana Merotto Hanno collaborato A. Bedin, G. Bedin, E. Beggiato, L. Bertoncello, C. Biadene, T. Biasi, R. Bonora, S. Carniel, E. Casella, T. Dall'Omo, I. Durante, P. Ferraro, A. Fort, D. Genovese, M. Gottardi, A. Groppo, B. Murer, K. Pellizzari, M. Perin, F. Poloni, M. Prosdocimo, A. Romeo, B. Sorbo, C. Zanin. Foto G. Bedin, C. Biadene, D. Genovese, C. Zanin. Consulente aziendale Ivano Durante ivano.durante@donadiandpartners.it Grafica e impaginazione Martina Perin marty.perin@gmail.com Stampa Centro stampa L'Artegrafica di Zaia P. & C. s.n.c. Via Nuova Trevigiana, 58 - 31032 Casale sul Sile (TV) Tel. 0422.822754 - fax 0422.822755 Direzione e Redazione Via G. Galilei, 25 31044 Montebelluna (TV) Tel. 0423.603407 Fax 0423.248918 - Cell. 348.5702059 e-mail: info@marcaaperta.it sito web: www.marcaaperta.it Webmaster Alessio Baldasso - www.alebalweb.com Abbonamenti: - Poste Pay Carta N. 4023 6005 5732 4250 intestata a Giuliana Merotto - Bonifico Veneto Banca Montebelluna IBAN IT79A 05035 61820 050570097786 intestato a: Marca Aperta - Via G. Galilei, 25 31044 Montebelluna (TV) Ordinario: € 30,00 - Amico: € 50,00 - Estero: € 50,00. In omaggio il libro Prealpi trevigiane di Cesare Biadene, Zanetti Editore, Montebelluna.

SOMMARIO PRIMO PIANO 7

• Rilancio Urbano

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• Turismo trevigiano e internet

10 • Giovani e lavoro in Veneto 13 • L’onda di Civil Life 14 • Carnevale, chi vuol esser lieto, sia! 15 • Meno retorica e più sincerità 16 • Io sono Italiano • Orgoglioso di essere Veneto 17 • Veneto Banca seconda in Europa per la sicurezza 18 • Federalismo fiscale: una riforma utile o una burla? INFORMAZIONE LOCALE TREVISO

in questo periodo difficile e intenso, avanzando controcorrente, mi sento di spezzare una lancia in favore del presidente del Consiglio Berlusconi. Le sue recenti e passate prodezze mi fanno ribrezzo, ma ne comprendo le sofferenze per la persecuzione mediatica, iniziata il giorno stesso che è sceso in politica, tanti anni fa. Persone ricche, spavalde e vanitose come lui, sono portate a vivere sopra le righe, al di là del bene e del male, credendosi invulnerabili e onnipotenti, in una sfida costante delle leggi umane e divine - e del buon senso comune. Sta pagando e pagherà, questo è certo. E non basterà il denaro. Ma doppiezza e perfidia vere abitano spesso altrove, all’interno dei cuori di insospettabili, impeccabili maschere dagli occhi gelidi: e non mi riferisco al carnevale. In questo povero Paese se la svignano ladruncoli, furbi e delinquenti veri; fioriscono truffe e evasioni fiscali; orrendi delitti rimangono impuniti: la Giustizia è in crisi, ha pochi uomini e mezzi materiali. Ma questo non giustifica un’amministrazione della giustizia ingiusta, né l’ignoranza delle leggi da parte di chi deve applicarle. Quello delle intercettazioni, per esempio, è un falso problema. Perché invocarne la soppressione? Credo siano importanti, quando servono a prevenire e accertare gravi reati, ma è DOVEROSO e previsto da leggi italiane vigenti, nonché da quelle degli altri Paesi europei, tenerne riservato il contenuto: vedi gli artt. 114 e 329 del vigente codice penale italiano. Come mai i nostri uomini di legge si comportano come se non ne fossero al corrente? Chi passa le intercettazioni ai media perché massacrino gli indagati prima di averne accertate le colpe? Gli umanissimi amministratori della giustizia appartengono alla casta intoccabile degli dèi? In virtù di quale esame/filtro dei requisiti di idoneità attitudinale, e di accertata perfetta sanità mentale, essi ricoprono incarichi che li autorizzano a decidere la sorte delle persone? Esistono periodiche visite di controllo che verifichino nel tempo la sussistenza dei predetti necessari requisiti? Per quanto riguarda Berlusconi, in questi giorni si assiste a un dispiegamento di forze e a un accanimento giudiziario che dimostra in modo chiarissimo come in sede di applicazione la legge non sia uguale per tutti. Anzi. La Giustizia vera, purtroppo, abita solo Lassù. CASTELFRANCO VENETO 24 • I magici mondi della Natura CROCETTA del MONTELLO 25 • 2011, un nuovo anno digitale COVOLO DI PIAVE/VIDOR

• Da Treviso Braccia Aperte verso la Bolivia 21 • Atlante Trevigiano: cartografie e iconografie dal XV al XX secolo 22 • Il ritorno di San Valentino CONEGLIANO 23 • Giochi studenteschi in Nevegal • Nuova guida per turisti

46 • Quando la notizia va a teatro 47 • Treviso: “Amici del Modellismo” 49 • Passi di danza - Danza contemporanea 50 • Un racconto per sognare

26 • Un nuovo attraversamneto del Piave MONTEBELLUNA 27 • Casa Roncato per gli anziani montebellunesi

RUBRICHE 51 • Internazionalizzando

• “Fino” Bastian: muratore e panettiere

52 • Guida alle prestazioni a sostegno del reddito

VALDOBBIADENE

54 • Farsi una bella risata, la medicina più efficace

28 • Peccati di Golosa 2011

55 • Grafologia: coraggio e viltà

29 • 8 marzo 2011: Festa della Donna

56 • Conoscere se stessi

INSERTO 31 • Treviso storica, 'a me Treviso

19 • ADVAR 2011, iniziative culturali e un Appello 20 • Sanità: arriva il farmacista oncologo

45 • Teologia di un duello

SPORT 57 • XV Memorial Chiara Giavi

CULTURA

• A Colleferro Younes Elmofid è campione italiano

36 • Storia della Laverda

di Kumite

38 • Tosca di G. Puccini 39 • Quando è nata la poesia moderna?

ITINERARI

40 • Recensioni

59 • Calà del Sasso

42 • Isaac Asomov agli scrittori esordienti

60 • Oasi Fontane Bianche

• Lo straordinario presepio 2010 al Cavanis

61 • El Salvador

43 • Rosetta Schiavon 44 • A tutta musica

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• Lettere

Salvo accordi scritti o contratto di cessione di copyright, la collaborazione a questo periodico è da considerarsi del tutto gratuita. In nessun caso si garantisce la restituzione dei materiali giunti in redazione. È vietata la riproduzione anche parziale di testi, grafica, immagini e spazi pubblicitari. Del contenuto degli articoli sono responsabili i singoli autori. Nell’eventualità in cui immagini di proprietà di terzi siano state qui riprodotte, l’Editore ne risponde agli aventi diritto che si rendano reperibili. Porrà inoltre rimedio, su segnalazione, a eventuali involontari errori e/o omissioni nei riferimenti.

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PRIMO PIANO

A.A.A. Nuove vocazioni cercansi per rilancio urbano. Dal bell’esempio di Linz ai lavori in corso nella Marca Trevigiana di Alberto Tessariol*

Una tendenza in voga ormai da diversi anni in tema di sviluppo urbano pare essere la ricerca - e la successiva promozione - di una nuova immagine della città. Molti centri abitati, infatti, hanno intrapreso percorsi (più o meno consapevoli) di cambiamento, finalizzati a connotare in maniera diversa la propria realtà ed il modo in cui essa è percepita: il tentativo è quello di darsi una nuova veste, di reinventarsi. Per quale ragione? Gli anni passano, le circostanze cambiano e luoghi un tempo caratterizzati, ad esempio, da una particolare produzione industriale o dall’organizzazione di un evento, rischiano oggi di vivere una perdita di significato dovuta al ruolo non più fondante di quella condizione o addirittura al suo venir meno. La questione è di rilevante importanza in ordine al fatto che l’azzeccata identificazione del territorio “vince”: una città riconosciuta sotto la sua miglior luce, colta nel dispiegarsi della sua miglior potenzialità, è in grado di attrarre giovani professionisti e imprenditori innovativi, turismo locale e internazionale, è in grado di destare attenzione perché provoca interesse e curiosità. E’, insomma, sulla strada giusta per inseguire il proprio successo. I due esempi generali accennati sopra sono rintracciabili nella provincia di Treviso.

Montebelluna, a proposito di identificazione di un’area con una determinata produzione, è centro di un comprensorio più vasto denominato - economicamente parlando - Distretto dello

Sportsystem, nome che segna l’evoluzione dei pionieristici e gloriosi trascorsi nel settore calzaturiero vissuti da quelle parti. Se è vero, però, che in termini di lavorazione, addetti impiegati,

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richiamo immediato alla mente tra luogo e ciò che vi si collega in modo spontaneo, la specialità degli articoli sportivi non può più considerarsi “cosa” di Montebelluna (e basta), il suo tratto esclusivo e identitario, e Montebelluna - d’altra parte - non può più considerarsi (solo) “centro mondiale della calzatura sportiva”, andrebbe forse avanzata una riflessione sulla predisposizione della città di qui a venire. Importante sito archeologico (visto il consistente numero di ritrovamenti degli ultimi anni)? Centro di riferimento commerciale e del nuovo Terziario (considerata la storica tradizione mercatale ed anche il recente sviluppo edilizio)? O cos’altro? Castelfranco Veneto e Conegliano, invece, hanno vissuto un boom in occasione delle mostre evento (Giorgione 500 e Cima da Conegliano - poeta del paesaggio) che nel 2009 hanno richiamato un gran numero di visitatori ed animato sensibilmente le vie così come le attività economiche. Ottimi esempi di come la cultura paghi. Il problema che ora si pone, però, è andare oltre l’evento, dare continuità a due esperienze eccellenti. Che fare... strutturarsi convintamente quali città d’arte? Tale può essere il destino di quelle due aree, concluse le mostre? E, se sì, come dare corpo ad una riconoscibilità duratura (e, conseguentemente, ad un appeal duraturo)? Il passaggio difficile ma fondamentale per le realtà menzionate è capire cosa diventare nel prossimo futuro, su che cosa puntare. Pur trattandosi di una semplificazione, oggi lo scenario locale vede la presenza di connotazioni “vecchie” o tematismi ancora in fase di sviluppo. Ragionando di sviluppo urbano, appunto, sarebbe forse utile (ri)partire dall’obiettivo primario di cui un territorio dovrebbe dotarsi: una vocazione! In questo senso, una lezione per molte città di media taglia nel nostro Paese, dove capita che anche l’ultima periferia si senta tanto Parigi o New York, viene da Linz. Lì da una ventina d’anni, in settembre, si svolge Ars Electronica, festival che segue l’emergente rivoluzione digitale dei nostri tempi. Grazie a tale iniziativa, con annesso centro museale da poco inaugurato, la città austriaca è riuscita a reinventarsi,

posizionandosi a livello mondiale come crocevia di tutti coloro che lavorano tra “arte, tecnologia e società”. E proprio qui sta il successo dell’operazione Linz: aver individuato un settore culturale e lavorativo importante ed esserne divenuta leader

incontrastata, senza disperdere le proprie energie in tanti rivoli diversi entrando così in competizione con altre località. L’aver coltivato e sviluppato la propria nicchia di successo, ha portato a Linz nuove identità e riconoscibilità. Insieme con, nel 2010, più di 90.000 visitatori. Ricerca di un’esclusività, possibilità di farla “esplodere” e conoscere, continuità nel suo dispiegarsi. Di qui passa la vocazione di un territorio, tanto necessaria quanto preziosa. Che sia una sola città a dotarsene o un’area più vasta (l’intera Provincia in maniera coordinata: tanto meglio), che si tratti di cultura, di eno-gastronomia, di prodotti di consumo, ciò che conta è suscitare una chiara e positiva correlazione (“dici Treviso e pensi a...”). Senza accontentarsi, magari, di qualche Strada del Vino...

* Laureato in Sociologia, indirizzo Territorio / Ambiente. Si interessa di fenomeni sociali e culturali d’attualità.

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Turismo trevigiano e Internet: il futuro è in rete Negli alberghi della Marca, più del 50% delle prenotazioni arrivano dal web

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l futuro del turismo trevigiano passa per il web. “Sono numeri importanti quelli che chiudono il 2010 per il turismo trevigiano su internet ma quello che ci aspettiamo per il 2011 non ha paragoni rispetto a quanto fatto sino ad oggi”. Così Gianni Garatti, presidente del Consorzio di Promozione Turistica Marca Treviso traccia i primi bilanci di un anno di attività. Da un’indagine condotta da Google, risulta infatti che oltre il 70% dei turisti europei utilizza internet per trovare informazioni sulle destinazioni così come sugli alberghi. E nella Marca? “Il 2010 - conferma Alessandro Martini, direttore del Consorzio - chiude con dati che incoraggiano e premiano il lavoro fatto dal sistema turistico locale. A testimoniarlo anche l’attività del sito di Marca Treviso che ha registrato performance molto interessanti. Sono 3,5 milioni le pagine visitate (+42,68% rispetto al 2009), con il 73% di nuove visite. 104 sono i Paesi nel mondo di provenienza degli internauti del turismo trevigiano, di cui l’80% dall’Italia (in aumento di quasi il 30% rispetto al 2009), e una percentuale che arriva quasi al 10% tra Stati Uniti, Germania e UK. Significativi invece gli incrementi di visitatori al sito del Consorzio Marca Treviso provenienti dalla Spagna (+16,38%), dalla Francia (+11,72%) e dalla Svizzera (+28,16%). Come, per contro, sono da registrare le importanti diminuzioni dal Belgio (-39,65%) dall’Olanda (-36,24%) e dall’Irlanda (-41,41%). Per il 2011 la strategia prevede il 70% delle attività di promozione e commercializzazione ON LINE, il restante 30% OFF LINE, ovvero meno promozione istituzionale autoreferenziale

e più attività sul prodotto-destinazione e sui vantaggi che il cliente può trarne. La strategia, però, impone di proseguire e intensificare la relazione con gli enti locali e tutti quei soggetti che contribuiscono alla costruzione del prodotto turistico trevigiano, dalle Strade dei prodotti alle Pro Loco, dai Consorzi di tutela ai musei, fino alle ville venete, i golf club, le aziende di prodotti tipici. Oltre alle informazioni rispetto alla ricettività, il cliente chiede, infatti, notizie sempre più precise sull’enogastronomia, l’ingresso a musei e alle mostre da visitare, la possibilità di poter prendere contatto una guida turistica, ma anche le degustazioni guidate di prodotti tipici. “Per costruire un’offerta turistica integrata - conclude Garatti – sono state messe a punto due azioni importanti: il lancio del nuovo portale www.vidittreviso.it recentemente presentato al Touring Club di Milano, e il nuovissimo gestionale booking on line del Consorzio, con il quale il turista potrà prenotare direttamente i servizi per la propria vacanza nella Marca”. “Il booking di Marca Treviso - conclude Martini - conta oggi sull’offerta attiva di circa settanta strutture ricettive ma l’obiettivo nel 2011 è di raddoppiare il numero di imprese coinvolte. Sono in via di definizione le prime azioni di web marketing con specifiche azioni di keywords Advertising collegate ai principali prodotti tematici dell’offerta trevigiana. Molta strada c’è ancora da fare, in particolare nella diffusione dell’utilizzo di queste tecnologie, ma c’è la ferma convinzione che quella intrapresa sia la strada giusta”. Raffaella Bonora

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Giovani e lavoro in Veneto

Il diritto al lavoro: un diritto di carta?

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isulta sempre più sconfortante e frustrante la condizione del lavoro giovanile in Italia. Restringendo il campo d’analisi al Veneto, da sempre regione prospera e produttiva, non stupisce che in tempi di crisi, anche il ricco e florido Nord-Est si trovi a confrontarsi con una crescita del tasso di disoccupazione giovanile salito al 7,6%, un dato inferiore rispetto al più cospicuo e preoccupante 30% della media nazionale, ma pur sempre inusuale in una regione del Nord. Questi dati, registrati a partire dall’inizio della crisi, sono il sintomo di una situazione allarmante, soprattutto perché sono percentuali che riguardano i giovani dai 15 ai 34 anni. I giovani, appunto. Giovani operai, studenti, ricercatori, laureati. Sono loro i soggetti più penalizzati di questa crisi. Giovani pieni di speranze e sogni, spesso infranti da un mancato rinnovo dei contratti, da aziende che preferiscono assumere uno stagista dopo l’altro a 500 euro al mese, piuttosto che decidere di assumere a tempo indeterminato una singola persona, alla quale venga data così la possibilità di crescere professionalmente. A queste condizioni, senza la sicurezza di un lavoro e in una società nella quale il concetto di precarietà è scambiato per flessibilità, come possono i giovani pensare di costruirsi una casa, metter su famiglia? Sulla base di quali sicurezze? E poi si fa presto a dire “bamboccioni”. In un paese civile e democratico si può sperare che almeno un titolo di studio altamente qualificato possa fare la differenza, possa assicurarci un futuro. Ma cosa possiamo pretendere da una società nella quale si permette che un ex concorrente del Grande Fratello, solo per il fatto di essere stato in tv, guadagni 3.000 euro a serata, contro gli 800 e se va bene, 1.000 euro al mese di un ricercatore universitario? Non è forse esecrabile questo “elogio al nulla”? E dunque anche chi consuma tutte le sue energie nella ricerca, nello studio è costretto a riconoscere che quel sapere non costituisce più un valore aggiunto, anzi diventa elemento di disturbo, oggetto di critica, e allora se protesta, “faccia bene ad andare a studiare invece di perdere tempo sopra i tetti”, oppure vada al Grande Fratello! E così, che si sia studenti o semplici operai, il lavoro diventa una problematica comune che trascina in piazza fianco a fianco persone dalle aspirazioni diverse, ma con un unico obiettivo, quello di difendere il proprio diritto al lavoro.

Il primo articolo della Costituzione italiana recita: “l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”; l’articolo 4 afferma che “la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. Infine all’articolo 35 si legge che la “Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori”. È chiaro che leggendo questi diritti, si ha la percezione che essi rimangano tali solo sulla carta. Diritti di carta. E quindi, i precari, i lavoratori in nero, gli sfruttati, chi è costretto sotto ricatti e minacce alla prostituzione, chi insomma è costretto a fare un lavoro che non si è scelto? Come si collocano queste tipologie di lavoratori rispetto alla verità della Carta? Allora viene da chiedersi: cosa hanno fatto i nostri politici per difendere il diritto al lavoro? Cosa hanno fatto i sindacati? Poco o niente, impegnati come sono a fare e disfare partiti, pur di rimanere attaccati alle loro poltrone e assicurarsi una bella pensione che li faccia vivere tranquilli per il resto dei loro giorni. E intanto si scende in piazza, si sale sui tetti, ottenendo come unica risposta e giustificazione ai tagli alla cultura e alla scuola che non ci sono soldi. Nella puntata di Report del 5 dicembre 2010 Milena Gabanelli ci fa sapere dell’esistenza di una legge che consente ai magistrati fuori ruolo del Consiglio di Stato, Corte dei Conti, e Tar di continuare a percepire uno stipendio che va dai 5 ai 10 mila euro netti mensili per un mestiere che non svolgono più. Così accade che c’è chi si riempie la pancia fino scoppiare e chi tira la cinghia, come le insegnanti di sostegno che si sono viste tagliare ore di lavoro preziose. Ma quante ore di sostegno si potrebbero pagare con quei soldi? E allora si cominciassero a eliminare questi serbatoi di privilegi. I soldi, se tutti facessero bene il proprio lavoro e fossero onesti, si troverebbero. Ma se questo non accade, i cittadini non possono e non devono stare a guardare; se i diritti della Carta non vengono difesi in Parlamento da chi di dovere non resta che difendersi da soli, andando in piazza e se serve, salire anche sui tetti. Stefania Carniel

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Treviso si svuota Cui prodest?

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na lettera che mi è esplosa fra le mani”. Chi parla è Antonio Bottegal, ottico nel Centro Storico di Treviso, impegnato in prima linea nel movimento Treviso SOS, e la lettera in questione è la lettera di protesta che Bottegal, sollecitato dai colleghi trevigiani, inviò ai giornali nel novembre del 2009. “L’insostenibile leggerezza dell’essere trevigiani”, questo il titolo dell’accorato appello degli imprenditori del Centro Storico alle associazioni che avrebbero dovuto e dovrebbero tutelare l’economia della Città, appello che ad oggi, come confermano i fatti, è rimasto inascoltato. Quella lettera inviata ai giornali è stata per Antonio l’inizio di un’epopea che ha portato alla nascita del blog “Treviso SOS”, che mira, senza alcuna finalità politica, alla rivalutazione del Centro storico di Treviso e alla nascita di un gruppo su Facebook che vanta ad oggi ben 1.248 sostenitori. Il nodo della questione riguarda il trasferimento “immediato e contemporaneo” di tutti i principali Enti amministrativi della Città nel nuovo complesso di Treviso 2 presso l’Area Appiani, frutto di un progetto approvato il 26 febbraio 2008 dal Consiglio comunale della Città. Tra gli uffici già trasferiti si contano la Provincia, il Tribunale, la Guardia di Finanza, l’Ufficio delle Entrate, Vigili e Ascom; in via di trasferimento sono invece la Questura e la Camera di Commercio, mentre in progetto rimangono Unindustria, Confartigianato, Cup Borgo Cavalli, Scuole Canova, Scuole Riccati, Liceo Artistico. In tutto, più di una decina di Enti e associazioni con i loro uffici.

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Secondo il movimento Treviso SOS tali trasferimenti sono deleteri per la Città e la sua economia, dal momento che il processo comporta lo spostamento di oltre tremila persone che prima lavoravano ed entravano in città per usufruire dei vari servizi. A tutto questo si aggiunge una mancata riconversione dei vecchi edifici; infatti, la discutibile uscita degli Enti dal centro storico, che secondo Bottegal doveva comunque essere graduale e sperimentale, era necessario avvenisse sulla base di uno studio che tenesse conto delle conseguenze di tale scelta, progetto di cui tuttora non c’è traccia, nonostante il programma e le proposte che Treviso SOS ha sottoposto alle associazioni competenti. A dare il colpo di grazia all’economia del Centro storico, già di per sé provata dalla crisi, sono arrivati i centri commerciali, uno su tutti quello in Zona Stiore davanti all’Appiani, il cui progetto è già stato presentato e, nel caso venisse approvato, secondo Bottegal “ammazzerebbe a tutti gli effetti la Città”; ma il dato più rilevante è quello che si riferisce alla densità di centri commerciali: altissima, se consideriamo che solo la nostra regione vanta la più alta concentrazione d’Europa con i suoi 649 mq di centro commerciale ogni mille abitanti, senza contare le ultime aperture. In un intervento del 30 novembre 2010 il Presidente dell’Ascom trevigiano Guido Pomini porta ad esempio la città austriaca di Klagenfurt: “In una città di dimensioni simili alla nostra sono riusciti, in meno di due anni, a portare in pieno centro, sulle ceneri di una vecchia fabbrica, un centro commerciale di qualità

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con 120 negozi, 880 parcheggi a disposizione di tutti i cittadini, una viabilità adeguata, nuovi e attraenti marchi, senza creare alcuna concorrenza ai negozi esistenti, ma anzi, con incrementi di vendite insospettabili. Lo sviluppo ci obbliga a guardare al futuro, e il futuro non può che prescindere dall’insediamento, in centro storico, di un’offerta commerciale ancora più ampia e variegata rispetto all’esistente”. Davvero oggi, per sopravvivere, una città deve piegarsi alle logiche della grande distribuzione e accogliere al suo interno la nascita di un centro commerciale? O esiste un modello alternativo in grado di far rivivere la città? Rivolgo il quesito a Bottegal: per lui la città di Klagenfurt non è una novità, già suo padre trent’anni fa l’aveva visitata con l’Ascom constatandone la funzionalità grazie alla presenza oltre che del centro commerciale, anche di bus navette, parcheggi etc., un sistema di parcheggi che invece Treviso attende invano da trent’anni vedendone realizzati solo alcuni. Ovvero quelli del Centro Appiani. Della serie “Cui prodest?” Se, da un lato, il modello della città austriaca è valido, dall’altro Bottegal puntualizza il fatto che un ipotetico centro commerciale all’interno della città deve essere frutto di un progetto sinergico che coinvolga e interpelli prima di tutto gli operatori economici esistenti, sondi la loro eventuale disponibilità a prendervi parte, e non debba essere invece l’ennesima decisione calata dall’alto. E poi comunque, Treviso non è Klagenfurt. Un altro tema scottante che emerge dall’intervista riguarda la pedonalizzazione della città. La stessa Ascom che promuove l’iniziativa ha idee contraddittorie al riguardo, come dimostrano le dichiarazioni altalenanti che Pomini ha rilasciato ai giornali; nel Corriere del Veneto del 16 dicembre 2009 Pomini boccia definitivamente la pedonalizzazione e afferma: “Per essere viva una città deve avere parcheggi in centro, i risultati si ottengono dove si consente l’ingresso delle automobili. Ormai la macchina è un’appendice del nostro corpo, l’uomo non può più farne a meno”. Il 6 Agosto 2010, in un’intervista scaricabile dal sito della Confcommercio, afferma esattamente il contrario: “Da sempre, gran parte del commercio cittadino, è favorevole alla pedonalizzazione della città (…) Laddove si è riusciti a restituire le strade al pedone, nessuno più tornerebbe indietro: senza auto, non solo si può vivere, ma ci si può anche proiettare in un futuro economicamente e commercialmente più vantaggioso, se si riesce a progettare il recupero di una parte del centro con un arredo urbano qualificato, un sistema di parcheggi comodi e

funzionanti, supportati da una efficace rete di trasporti pubblici ed adeguate informazioni.” L’elenco potrebbe proseguire ma ci fermiamo qui. Il resto è nel blog di Treviso SOS. Una cosa è certa: mentre Pomini afferma che la maggior parte del commercio cittadino è favorevole alla pedonalizzazione, a smentirlo nei fatti sono le 421 firme raccolte da Bottegal (più della metà degli 800 commercianti del centro Storico) nella petizione contro la pedonalizzazione del Centro, a patto che non si verifichino determinate condizioni: parcheggi scambiatori attorno/dentro la città a prezzi contenuti, navette ecologiche di collegamento parcheggi/aeroporto, programmazione annuale di eventi e mostre di rilievo nel Centro storico ecc. L’ultimo, ma non meno importante capitolo di questa vicenda riguarda proprio l’anima della Città, che rischia di scomparire. Treviso SOS si è mossa anche sul versante culturale, fornendo idee che spera vengano accolte da chi di dovere, affinché l’epiteto “Treviso città d’arte” non rimanga solo un ricordo. Una delle ultime iniziative promosse riguarda la collaborazione di SOS con la Pro Loco di Treviso che, in contatto con i tour operator italiani, si propone di portare in città cinquanta turisti un giorno alla settimana, nella speranza di riuscire presto a portarne cinquanta al giorno, grazie alla partecipazione di Enti che potrebbero sostenere l’iniziativa. L’esperimento-pilota ha ricevuto finora l’adesione di una ventina di commercianti, ma il numero è destinato a crescere. L’intento è di valorizzare Treviso nella sua peculiare fisionomia culturale, storica e artistica. Promuovere il turismo facendo conoscere la città nei suoi angoli più caratteristici, far camminare i visitatori per le sue vie ricche di storia, invitarli ad entrare nelle sue botteghe, piccole e accoglienti, farli innamorare dei prodotti tipici e dei sapori inconfondibili della “Marca gioiosa”. Valorizzare la Città, le sue prerogative, i dettagli che la rendono unica e di gran lunga più interessante di un centro commerciale. Questo l’obiettivo di Treviso SOS, reso urgente dal progressivo e inesorabile svuotamento della Città. Né va meglio la vita notturna, penalizzata dalla chiusura di Via Manin dalle 22.00 alle 4.00, decisione che ha costretto i bar e i locali delle zone limitrofe ad abbassare le serrande. Anche qui viene da chiedersi “Cui prodest?”.

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Stefania Carniel


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L’onda di Civil Life - Una nuova didattica della cittadinanza attiva

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l rilancio dell’Educazione Civica nella scuola italiana, l’irruzione delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione nella didattica, il disagio giovanile nei processi di socializzazione, le difficoltà del sistema scolastico a fare i conti con la crescente domanda di rinnovamento di strumenti e linguaggi con cui un corpo docente disorientato gestisce tradizionalmente l’offerta formativa. E tutto questo dentro una fase di razionalizzazione delle risorse dedicate all’istruzione. Ruota attorno a questi temi il Progetto Civil Life, un contributo, rivolto a studenti e insegnanti degli Istituti scolastici veneti, per la divulgazione delle pratiche di innovazione e ricerca didattica, e l’esercizio di una cittadinanza attiva, non solo per il successo scolastico, ma anche per rinnovare ed alimentare la virtù civica. Nata nel 2007, oggi l’esperienza promossa dal Consiglio regionale del Veneto è raccolta in una pubblicazione: L’onda di Civil Life, una nuova didattica della cittadinanza attiva. Sono oltre cinquanta le scuole coinvolte, migliaia di alunni, scolari ed allievi che partecipano a programmi di educazione alla cittadinanza attiva adottando e praticando il linguaggio multimediale. Un vero e proprio Laboratorio Didattico in cui si affrontano i temi e le sfide dell’innovazione attraverso la creazione e la divulgazione di tool multimediali, dai videogiochi ai cartoni animati, la realizzazione di Bandi e concorsi rivolti alle scuole impegnate in programmi di ricerca-azione, nei quali gli studenti diventano

protagonisti di una nuova esperienza didattica. L’autore del libro edito da Marsilio è Dino Bertocco, ideatore del progetto e dell’Associazione Aequinet, un network professionale impegnato a esprimere competenze e metodologie di intervento attraverso interdisciplinarità e corresponsabilità gestionale. L’idea è quella di raccontare alla platea degli studenti e delle loro famiglie, dei professionisti del mondo della scuola, dei soggetti impegnati nell’ambito sociale e culturale che si occupano di educazione, mondo giovanile e cittadinanza attiva, l’esperienza innovativa realizzata da Civil Life. Attraverso sette saggi che si soffermano sull’evoluzione di linguaggi, strumenti e metodologie che debbono essere adottati da un sistema scolastico che voglia misurarsi con le sfide di un inedito sviluppo sociale, economico e culturale, “Con la condivisa consapevolezza – afferma Clodovaldo Ruffato, presidente del Consiglio Regionale del Veneto - che il coinvolgimento degli studenti rappresenta un investimento decisivo per il nostro futuro ed un percorso obbligato per riprogettare ed aggiornare le forme della convivenza sociale, ovvero il rinnovamento delle istituzioni e la qualità della vita democratica”. Con l’onda di Civil Life la scuola, “comunità educante”, recupera così la vocazione e la funzione di soggetto decisivo per la crescita sociale e civile del territorio. Raffaella Bonora

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CARNEVALE

Chi vuol esser lieto, sia! “Donne e giovinetti amanti, / viva Bacco e viva Amore! / Ciascun suoni, balli e canti! / Arda di dolcezza il core!/ Non fatica, non dolore! / Ciò c’ha esser, convien sia. / Chi vuol esser lieto, sia: / di doman non c’è certezza.”

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osì si conclude uno dei più famosi canti carnascialeschi composti da Lorenzo de’ Medici in occasione del Carnevale fiorentino del 1490. Il tono goliardico ed entusiastico di questi versi, che, inneggianti ad Amore e a Bacco, dio del vino e dell’ebbrezza, ci invitano a mettere da parte fatica e dolori e a godere del presente, tanto “di doman non c’è certezza”, sono i giusti versi di iniziazione all’atmosfera di leggerezza e allegria tipica delle celebrazioni carnevalesche. Tant’è che, se è vero che, come dicevano i latini “Semel in anno licet insanire”, e cioè che

una volta l’anno è lecito impazzire, quella volta potrebbe proprio coincidere con il Carnevale, occasione nella quale ognuno smette i panni di se stesso per diventare qualcuno fuori da sé, in un cambio d’identità che diverte soprattutto i più piccoli. Comunemente a Carnevale, sono in molti, tra adulti e bambini, a partecipare alle sfilate di carri che le città o i piccoli paesi organizzano, inventandosi ogni volta temi e travestimenti tratti dai cartoni animati, o

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da leggende locali; ma forse sono in pochi a sapere le vere origini del Carnevale, a partire dall’etimologia del termine che con ogni probabilità deriva dal latino “Carnem levare” che significa “eliminare la carne”; anticamente infatti col termine Carnevale si indicava il banchetto del martedì grasso, ultimo giorno del Carnevale, subito prima del periodo di digiuno e astinenza della Quaresima. Benché sia una festa della tradizione cristiana, il carattere goliardico, trasgressivo, esuberante di questa festa affonda le sue radici nelle antiche festività greche e romane, rispettivamente le dionisiache e i Saturnali, le quali entrambe mettevano in scena la temporanea rottura dell’ordine costituito e delle gerarchie, per lasciare il posto allo scherzo e alla dissolutezza. Durante i Saturnali per esempio, era in uso uno scambio dei ruoli per cui gli schiavi facevano la parte dei padroni e viceversa. Le maschere, tipico elemento del Carnevale, compaiono anche in occasione dei Saturnali, nell’ambito dei quali esse rappresentavano il veicolo per una comunione con la divinità: chi indossava la maschera assumeva le caratteristiche del soprannaturale e garantiva la creazione di un nuovo regno della fecondità a seguito del caos creatosi durante i festeggiamenti del Carnevale.

Esso segnava, dal punto di vista miticosimbolico, il ritorno a un tempo primordiale, dopo il quale ritornava a costituirsi un nuovo cosmo, segnato dall’avvento della primavera. Oggi l’uomo contemporaneo è sempre più affascinato da travestimenti e mascheramenti, poiché rappresentano ancora in qualche modo un altrove, uno spazio bianco, libero dalle convenzioni e dalle regole a cui si è costretti a sottostare a seconda del ruolo che si riveste nella società. Portare una maschera dunque, significa, alla luce dei valori che originariamente hanno investito le celebrazioni del Carnevale, sovvertire un ordine, far saltare le gerarchie e le etichette che ci costringono in un ruolo che la maschera ci permette, almeno per una volta all’anno, di scrollarci di dosso, rendendoci più leggeri. Il Carnevale, insomma, ci regala un sogno: la possibilità di essere qualcun altro. Un’occasione da non perdere per uscire dalla routine di se stessi. E allora ben vengano carri mascherati, feste in maschera, travestimenti romantici (la classica principessa), trasgressivi o tradizionali (Arlecchino, Brighella, Pantalone etc.), stelle filanti, coriandoli, e i nostri dolci tipici: galani, crostoli e frittelle... Stefania Carniel


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Meno retorica e più sincerità di Eros Casella

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econdo il dizionario “retorica”, oltre che sinonimo di eloquenza, ha assunto un significato di vana e artificiosa ricerca dell’effetto, talvolta con ostentata adesione ai più banali luoghi comuni. Lo stiamo constatando, per esempio, ogni giorno in televisione e sulla stampa a proposito della commemorazione dell’unità d’Italia. Fiumi di parole celebranti un avvenimento che sotto molti aspetti fu tutt’altro che esaltante. Tanto per cominciare il primo re d’Italia, quasi a mandare un preciso messaggio, mantenne la numerazione savoiarda e continuò a farsi chiamare Vittorio Emanuele secondo. In effetti i Savoia non furono mai dei fanatici dell’unità italiana e la subirono costretti da Garibaldi e Cavour. Fin dalla lingua usata in casa, il piemontese, e nell’ufficialità, il francese, dimostrarono ben poco attaccamento al nuovo Stato. Che dire poi dell’opposizione dei patrioti di fede repubblicana e della Chiesa, che si considerò vittima di una violenza? Con ciò lungi da me non apprezzare i tanti lati positivi di un’unione che ormai era nelle cose e la cui mancanza avrebbe perpetuato un’anacronistica divisione in tanti litigiosi staterelli. Il fatto è che non mi piace la retorica con cui è sempre stato ammantato questo avvenimento. Come non mi piace (e mi risulta che sia così per la maggioranza degli italiani) l’esaltazione della nostra presenza militare (di pace?) in Afghanistan, in una situazione che sembra senza vie d’uscita. In molti ci chiediamo se il prestigio italiano in campo internazionale ricavi vantaggi da questa e altre nostre presenze militari (7811 soldati in Afghanistan, Libano, Balcani, Somalia,

Bosnia, Haiti, Egitto, ecc.). Di certo non ne gode il già striminzito bilancio nazionale e men che meno i poveretti che ci lasciano la pelle. Sappiamo che i soldati italiani all’estero sono quasi tutti meridionali, spinti in gran parte a entrare nell’esercito dalla necessità di trovare un lavoro ben retribuito. Non credo proprio che lo facciano esclusivamente per una vocazione umanitaria, che spinge irresistibilmente alcuni volontari a correre in aiuto agli afghani, in grande parte contrari alla nostra presenza. È una libera scelta professionale che mette fatalmente in conto il rischio di rimanere feriti o uccisi. Si tratta di eventi tragici e dolorosissimi che potrebbero cessare in ogni momento, se chi di dovere facesse tornare in Italia i nostri soldati. Ma la politica ha retoricamente bisogno di eroi moderni per rendere accettabile una presenza che

MARCAAPERTA, la rivista più amata dai Trevigiani! 15


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Io sono italiano di Antonio Romeo

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ono nato a Vicenza da genitori meridionali. Forse è per questo. Mio nonno, calabrese, ha combattuto sul Piave nella prima guerra mondiale. Forse è per questo. Mio padre, nella seconda guerra mondiale, ha combattuto nell’esercito italiano e durante una battaglia in Russia è stato fatto prigioniero. Non ha mai voluto raccontarmi niente di quegli anni ma fino alla morte ha avuto incubi notturni. Forse è per questo. Sempre mio padre, dopo la guerra è entrato in polizia, ha giurato fedeltà alla Repubblica italiana e ha rischiato la sua vita per quarant’anni, per i cittadini del Veneto. Forse è per questo. Il 28 maggio del 1974, alle ore 10 e 12 minuti, io prestavo servizio nei Carabinieri e mi trovavo in piazza della Loggia a Brescia quando è scoppiata una bomba: 8 morti e 100 feriti. Ero lì perché davo la caccia ai terroristi di estrema destra che volevano distruggere la democrazia in Italia. Forse è per questo. Successivamente, nei reparti speciali del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa ho combattuto contro le Brigate Rosse: terroristi di estrema sinistra. Anche loro volevano distruggere la democrazia in Italia. Ho visto morire colleghi veneti e siciliani, friulani e pugliesi, sardi e piemontesi. I brigatisti ci definivano “servi dello Stato” ma noi ci sentivamo molto onorati di esserlo e di rischiare la vita per il nostro paese: l’Italia. Forse è per questo. Dovunque io sia stato: Europa, America, Africa, ho sempre sentito una grande

ammirazione per l’arte, la cultura, la scienza, le bellezze naturali, la cucina, lo stile, l’umanità degli italiani. Nella storia del nostro paese, come peraltro in quella di qualsiasi altra nazione, si sono verificati e accadono ancora oggi fatti dei quali non andiamo fieri e che ci fanno molto arrabbiare. Nessuno ha la bacchetta magica ma se è vero che ciascuno è artefice del proprio destino allora dobbiamo impegnarci tutti per farcela. Io credo nella riforma federale dello Stato, penso che il Sud debba finalmente “tirare fuori le palle”, con comportamenti corretti e non “furbi”, dandosi una classe dirigente onesta e competente che sappia sfidare l’impopolarità, per stimolare ed obbligare tutti al rispetto delle regole e a ribellarsi alla mafia, alla ndrangheta, alla camorra e a qualsiasi altra forma di criminalità. Il meridione deve essere accompagnato in questo importante passaggio dall’ assistenzialismo statale all’assunzione di responsabilità proprie. Le regioni che non lo fanno devono essere commissariate. Essere nato e vissuto al Nord, da genitori “terroni”, mi fa sperare che esista una terza via tra “forza Nord” e “forza Sud”. Forse è per questo. Spesso i nostri governanti non sono all’altezza del loro compito e tutti ne siamo consapevoli, ma l’unità d’Italia è stata costruita da uomini e donne che ci hanno creduto e che hanno pagato con la loro vita questo ideale. Forse è per questo che io sono orgoglioso di essere italiano.

Orgoglioso di essere veneto

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rgoglioso di essere veneto” sta scritto nel mio profilo su Facebook. E chi mi conosce poco mi ha già chiesto perché l’ho inserito. Già, perché? Credo che ci siano due aspetti, uno razionale e uno irrazionale, uno spiegabile e uno che non si può spiegare in questa mia affermazione, i cinesi nella loro filosofia parlerebbero di “Yin” e “Yang”. Perché è difficile spiegare l’emozione che provo nel veder sventolare la bandiera con il leone di San Marco, o quando, a oltre 10.000 chilometri dalla nostra Terra, nel Brasile, nel Rio Grande do Sul, sento parlare la lingua veneta con una forza e con una espressività che non possono lasciarmi indifferente, o quando leggo le parole di Goffredo Parise: “Il Veneto è la mia Patria… Quando vedo scritto all’imbocco dei ponti sul Piave: ‘Fiume Sacro alla Patria’ mi commuovo ma non perché penso all’Italia bensì perché penso al Veneto.”… Mentre razionalmente si può spiegare l’orgoglio di appartenere a un popolo straordinario che ha saputo meritarsi il rispetto e l’ammirazione in tutto il mondo, che ha saputo costruire la città più bella e affascinante del mondo, Venezia, quintessenza delle genti venete che si rifugiarono nelle lagune per sfuggire all’invasore, che ha saputo realizzare una Repubblica la cui indipendenza è durata 1.100 anni, un modello ancor oggi di straordinaria lungimiranza, esempio di buon governo come pochi nell’intero pianeta, molto più considerata all’estero che non nella nostra terra veneta o nello stato italiano del quale, per il momento, il nostro Veneto fa parte. E come non si può essere orgogliosi quando in qualsiasi museo del mondo trovi i capolavori dei nostri grandi pittori rinascimen-

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di Ettore Beggiato

tali, quando recentemente il nostro Palladio viene riconosciuto dal Senato americano come il padre della loro architettura, quando ascolti Vivaldi, quando in qualche angolo sperduto in giro per il mondo trovi il frutto del lavoro e dell’arte dei nostri artigiani, quando pensi all’alta considerazione conquistata da tanti nostri fratelli che sono dovuti emigrare e che ora ricoprono ruoli di assoluto prestigio, quando pensi che i padri costituenti americani si sono ispirati alle leggi della Serenissima, quando tocchi con mano la capacità del nostro popolo di “inventarsi” un modello economico straordinario (il famoso “modello veneto”) coniugandolo però con il rispetto della tradizione, quando scorri le statistiche sul volontariato e vede sempre il Veneto ai primi posti. O quando vai nell’isola di San Lazzaro degli Armeni e ti rendi conto che, quando eravamo liberi e indipendenti, la Nostra Repubblica donava parte del proprio territorio a una Nazione amica come quella armena. E tutto questo, almeno per quanto mi riguarda, senza cadere nello sciovinismo o peggio: qui non si tratta di mitizzare il nostro popolo o di teorizzare una superiorità che non esiste (“conosci te stesso, rispetta gli altri” è uno dei miei motti) ma si tratta di essere giustamente orgogliosi in una dimensione moderna e non nostalgica, si tratta di essere orgogliosi di essere veneti e come tali pretendere il rispetto della nostra storia, della nostra cultura e di tutto ciò che ci caratterizza, si tratta di essere orgogliosi e come tali pretendere, come Veneti, un ruolo di protagonisti nella storia europea. Piaccia o non piaccia a Roma e all’Italia.


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Veneto banca seconda in Europa per la sicurezza

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eneto Banca è la seconda banca in Europa, dopo Monte dei Paschi di Siena, a ottenere la BS OHSAS 18001:2007 (British Standard Occupational Health and Safety Assessment Serie 18001:2007) per il settore di accreditamento EA 32, che nel mondo viene rilasciata solo a chi rispetta elevati standard SGSSL (Sistema di Gestione a Tutela della Salute e Sicurezza sul Lavoro). La società CisqCert di Milano ha riconosciuto a Veneto Banca la certificazione dopo attente valutazioni durate più di un anno. “Questo riconoscimento – afferma Mauro Gallea, Vice Direttore Generale di Veneto Banca – conferma l’impegno del nostro Gruppo nel garantire ai dipendenti e ai clienti ambienti idonei e sicuri, condizioni che spesso vengono date per scontate, ma sono invece frutto di importanti investimenti”. “Seguire degli standard internazionali – puntualizza Gallea – ha consentito di rafforzare ulteriormente le nostre attività di prevenzione e la gestione delle emergenze, garantendo adeguati livelli di continuità operativa in caso di eventi disastrosi. La recente alluvione che ha colpito diverse zone del Veneto dimostra l’importanza della prevenzione e soprattutto della gestione delle emergenze, in particolare per le aziende che sono chiamate a erogare servizi 365 giorni all’anno, 24 ore su 24”. “Per ottenere dei miglioramenti sistemici e continui di prestazione complessiva – prosegue Gallea –, il Sistema di Gestione di Veneto Banca è stato integrato con il modello di organizzazione previsto dal D.Lgs. 231/01 in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni”. “Al nostro interno – evidenzia Lamberto Tentonello, Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione dei Veneto Banca – abbiamo elaborato il software GSL (Gestione Sicurezza Lavoro), che è divenuto un modello anche per altre banche. Grazie al programma, utilizzabile da tutti i dipendenti tramite la intranet aziendale, è possibile consultare la documentazione sulla prevenzione e ricevere un’efficace formazione per il miglio-

ramento della qualità degli ambienti di lavoro, del lay-out e dell’ergonomia delle postazioni di lavoro. I colleghi possono inoltre verificare la funzionalità e la manutenzione di immobili, impianti, macchine e attrezzature. Soprattutto, il software consente di coinvolgere direttamente tutti coloro che lavorano nel nostro centro direzionale e nelle nostre filiali in un progetto condiviso, che ha come obiettivo la diffusione della cultura della sicurezza e favorire un impegno concreto da parte di tutti”. “Migliorare le condizioni di lavoro – conclude Tentonello – è un esempio del nostro approccio olistico alla sicurezza, che riconduce impegni e prassi nell’alveo dell’etica, fondamentale per la diffusione di una cultura di responsabilità sociale”.

APERTO IL CONTO “VENETO BANCA – SOCCORSO ALLUVIONE” Dopo il plafond di 100 milioni di euro per i finanziamenti a famiglie e imprese danneggiate dall’alluvione e la sospensione delle rate dei mutui per un massimo di 18 mesi, Veneto Banca apre il conto “Veneto Banca – Soccorso Alluvione” , per raccogliere fondi a favore delle popolazioni colpite. I contributi di solidarietà saranno raccolti nel conto corrente n. 150 – 350924 - 57, codice IBAN IT26 E050 3564 7031 5057 0350 924, intestato a Veneto Banca - Soccorso Alluvione, causale “Un aiuto concreto per il Veneto alluvionato”. Le donazioni saranno esenti da spese e i fondi raccolti saranno messi a disposizione della Regione Veneto per interventi mirati.

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Federalismo fiscale: una riforma utile o una burla? di Ivano Durante*

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a vent’anni, il termine Federalismo è entrato nel linguaggio comune. Da mesi, si parla della riforma del federalismo fiscale. Trattasi di vera riforma federale? La risposta è no. Le definizioni che si trovano (ad es. su wikipedia) evidenziano le differenze tra un vero stato federale dove i livelli di governo sono Indipendenti ed hanno Sovranità nelle loro competenze, e la riforma propostaci dove è lo Stato che continua a dominare la scena. La legge proposta non può essere di certo fatta passare per la storica riforma Federale (di tipo Svizzero) come erano le promesse iniziali. Ma riportiamo stralci (per motivi di spazio) del punto sul federalismo fiscale del professor Massimo Bordignon, membro della commissione tecnica sulla spesa pubblica presso il ministero del tesoro. Chi volesse leggere tutti gli articoli di Bordignon sul tema basta che visiti il sito www.lavoce.info. NUMERI IN LIBERTÀ SUL FEDERALISMO di Massimo Bordignon, da www.lavoce.info - 31.12.2010 A Santo Stefano i giornali si sono riempiti delle stime, dovute a un senatore del Pd, Stradiotto, sugli effetti del federalismo fiscale sulle entrate dei comuni capoluogo di provincia italiani. Ma hanno senso queste stime? Difficile rispondere. Al di là dei numeri, il vero problema è che lo schema di decreto a cui le stime fanno riferimento è ambiguo; dice poco su quello che succede da qui al 2014 e nulla su quello che succederà dal 2014 in poi. LA TRANSIZIONE - Il decreto 292 sulla fiscalità municipale prevede due fasi: una di transizione, dal 2011 al 2013, e una a regime, dal 2014 in poi. Che cosa succede nella fase di transizione è relativamente chiaro. Lo Stato devolve (dal 2011) ai comuni una serie di tributi erariali sul trasferimento e il possesso degli immobili. Si tratta di quasi 16 miliardi di euro. Il capo della Lega, Bossi, ha parlato per questo di “obiettivo raggiunto” per

il federalismo municipale, dando a intendere che questi sono nuovi soldi che affluiscono ai bilanci comunali. In realtà, non è così. Le risorse devolute vanno infatti a finanziare un nuovo “fondo di riequilibrio” che sostituisce gli attuali trasferimenti erariali ai comuni, che vengono contestualmente aboliti, per circa 13 miliardi di euro. Non solo, lo Stato incamera anche la differenza. Dunque, nel 2011 i comuni prenderanno gli stessi soldi che avrebbero preso con il sistema vigente. L’unica differenza è che i trasferimenti ai comuni, invece di essere finanziati dalla fiscalità generale, lo sono da una serie di tributi dedicati. Che succede nel 2012-3 è già meno chiaro, perché il decreto non lo dice, rimandando a successivi decreti ministeriali. LA FASE A REGIME - Ma la situazione si fa più incerta dopo la fase di transizione. Nel 2014, infatti, i tributi erariali devoluti nel 2011 dovrebbero in buona parte scomparire ed essere sostituiti dall’ imposta municipale unica, l’Imu. Più esattamente, i tributi erariali relativi al possesso dell’abitazione dovrebbero scomparire e confluire nell’Ici sulle seconde case (che scomparirebbe a sua volta, diventando Imu), la cui aliquota dovrebbe dunque crescere in modo da compensare la perdita di gettito, mentre quelli relativi al trasferimento degli immobili dovrebbero mutare nome e aliquote e diventare essi stessi parte della nuova Imu. A questo punto che succede al fondo di riequilibrio e alla perequazione tra i comuni? Di nuovo, non lo sappiamo perché il decreto non lo dice. Quanta parte dell’Imu affluirà davvero nella casse dei comuni e quanta parte rimarrà allo Stato per compensarlo della perdita dei tributi erariali? Non si sa. PROBLEMI IRRISOLTI - Il decreto 292 è un esempio di come il governo procede nell’attuazione del federalismo fiscale. Si dice cosa succederà nel 2011, cioè nulla; si è vaghissimi rispetto a quello che succederà in futuro, rimandando a ulteriori decreti.

* Dott. Ivano Durante - Collaboratore dello Studio di Consulenza Finanziaria Indipendente Donadi & Partners - Tel. 0422 444 114 - Cell. 340 6980649 - e-mail: ivano.durante@donadiandpartners.it

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TREVISO

ADVAR 2011

Iniziative culturali e un Appello, a sostegno di una Realtà trevigiana degna della massima considerazione

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arà la memoria, testimonianza di umanità ma anche di sofferenza, il filo conduttore degli incontri culturali dell’Advar, l’associazione di volontariato domiciliare “Alberto Rizzotti” che affianca i malati terminali. Si tratta di un immancabile appuntamento che da alcuni anni ha sede presso l’Università di Treviso, nella Chiesa S. Croce il sabato pomeriggio a partire dalle 16.00 e che arricchisce in chiave culturale l’attività dell’Associazione. Perché la memoria? “La memoria rappresenta le nostre radici, è il punto di partenza per le riflessioni sui nostri errori ed esperienze vissute - spiegano gli organizzatori – il passato spesso dà senso al presente, oggi è figlio di ieri. E la memoria è contenitore di continuità“. Il 26 febbraio, in particolare, si parlerà di memorie e storia e interverrà, tra l’altro, un reduce di un campo di concentramen-

to nazista. Il 19 marzo l’incontro sarà dedicato al tema “La fatica della memoria” e il 9 aprile si approfondirà il rapporto tra arte e memoria. Contemporaneamente Advar sta raccogliendo fondi destinati all’ampliamento del suo hospice “Casa dei gelsi” grazie ad un originale progetto editoriale, un confanetto, libro più cd, che racconta in suoni ed immagini le storie degli uomini Advar, musicate da Fabio Ricci e suonate dai Docs Off. (Chi vuole maggiori informazioni sul progetto e contribuirvi dando visibilità alla propria azienda può scrivere a info@advar. it all’attenzione della volontaria Tiveron Barbara e sarà ricontattato o può direttamente consultare il sito dell’Advar.) L’Advar si distingue ormai per un impegno nel territorio ultraventennnale. Nasce nel 1988 da un‘idea di Anna Mancini Rizzotti e di alcuni amici del marito Al-

berto, medico, scomparso prematuramente per malattia. Si forma un primo gruppo di volontari e parte la prima unità di cure palliative che hanno come scopo il miglioramento della qualità della vita di pazienti affetti da malattie terminali e delle loro famiglie. La missione del gruppo è proprio l’accompagnamento, uno stile di fare assistenza che vuole la partecipazione alla sofferenza dell’ammalato e dei suoi cari. Così l’Advar, libera associazione, apartitica e aconfessionale, da allora offre un servizio domicialiare gratuito ai malati di cancro in fase avanzata e terminale attraverso i propri volontari ed operatori sanitari. Nel 1991 iniziano i convegni scientifici, appuntamenti di approfondimento e riflessione. Nel 1993 Advar si trasferisce nella sede attuale in piazzale Pistoia a Treviso. Nel 1999 Advar pubblica “Notti azzurre”, voci di malati e volontari. Nel 2001 la cerimonia della posa della prima pietra dell’Hospice “Casa dei gelsi”, centro residenziale per le cure palliative, che verrà ultimato solo tre anni dopo in via Fossaggera a Treviso. Nello stesso anno Riccardo Pittis, capitano della Benetton Basket, firma la Carta per i Diritti della persona morente. Nel 2004 l’Azienda ULSS 9 stipula una convenzione con l’Associazione per l’erogazione dell’assistenza domiciliare e con la Fondazione “Amici dell’Advar” per l’assistenza presso la struttura Hospice “Casa dei gelsi”. La convenzione dà pieno riconoscimento e legittimazione alle attività dell’Advar e conferma un mutato atteggiamento culturale nei confronti della terapia del dolore e della morte. Barbara Sorbo

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Sanità: arriva il farmacista oncologo

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ll’ospedale di Treviso arriva il “Farmacista Oncologo”. Si tratta di una nuova figura professionale che, grazie ad una borsa di studio sostenuta da Federfarma Treviso e dal Consorzio Farmarca, consentirà di sostenere l’impegno professionale di un farmacista nel reparto Oncologia. “Abbiamo contribuito a sostenere questo progetto – spiega Franco Gariboldi Muschietti, presidente di Federfarma Treviso, perché molto importante nella valorizzazione della figura del farmacista in un ambito ospedaliero così delicato quale quello oncologico”. A favorire lo sviluppo dell’iniziativa: Federfarma Treviso, FEDERFARMA TREVISO - CHI È Federfarma Treviso è l’Associazione Titolari di Farmacia della provincia di Treviso. In essa si sono unite le Farmacie della Marca, sia pubbliche che private, per conseguire il comune obiettivo della professionalità e dell’efficienza. Gli associati godono di un tempestivo servizio informativo telematico, di consulenza giuridica e fiscale nonché di rappresentanza nei confronti delle Istituzioni pubbliche e delle Aziende private.

il Consorzio Farmarca - presidente dott. Agostino Bruscagnin, la Fondazione Oncologica Trevigiana, l’Azienda Ospedaliera di Treviso e l’oncologo dottor Rosti, che annunciano con soddisfazione come questa idea abbia preso definitivamente forma. “Si tratta – sottolinea Muschietti – di una delle prime esperienze in Italia nello sviluppo di questa professionalità, che mi auguro possa venire presa a modello e possa diventare un progetto pilota”. Ad oggi, a livello trevigiano, l’Ulss coinvolta è la numero 9, ma anche l’Ulss n.7 si è dimostrata fortemente interessata al progetto.

È una rete, quella delle Farmacie, che, integrata nelle unità locali del Servizio Sanitario Nazionale, copre capillarmente tutto il nostro territorio garantendo ai cittadini un efficiente accesso al farmaco. Oggi lavorando insieme, le Farmacie della Marca organizzano campagne di educazione sanitaria, convenzioni, servizi e programmi di aggiornamento per offrire ai cittadini un presidio di salute moderno e professionale. Inoltre tutti i giorni dell’an

no, ad ogni ora del giorno e della notte, le Farmacie garantiscono sempre l’assistenza al cittadino attraverso un articolato sistema di turni a battenti chiusi o aperti. Nella nostra provincia sono circa una ventina le Farmacie che ogni giorno ed ogni notte sono in servizio di turno. FEDERFARMA TREVISO Via Cortese 8 - 31100 Treviso www.farmacietv.it

Da Treviso “Braccia Aperte” verso la Bolivia

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n Palazzo Giacomelli gremito di pubblico ha partecipato il mese scorso alla presentazione del libro “Amori boliviani”, del giornalista e scrittore Letterio Scopelliti. Presenti anche il vicepresidente della Provincia Floriano Zambon, il vice sindaco di Zero Branco, il sindaco di San Pietro di Feletto, il delegato di UnionCamere Lucio Pasqualetto. Una presentazione coinvolgente, che da un lato ha messo a nudo le contraddizioni di un Paese ancora oggi alle prese con i problemi della povertà e dello sfruttamento, dall’altro ha offerto uno spaccato di speranza nel futuro. È il portato dell’opera dei volontari dell’Associazione “Braccia Aperte”, che ha trovato sintesi nelle parole pronunciate all’inizio dell’incontro dal presidente Sergio Bonato: “Unendo le nostre forze, possiamo contribuire a un progetto che altri prima di noi hanno avviato”. Il riferimento è al “Progetto Monteagudo”, per il completamento di un campus scolastico che darà l’opportunità a bambi-

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ni boliviani di seguire un percorso di studi che abbraccia tutte le fasce d’età. “Ogni libro potrà diventare un mattone di quella scuola - ha detto Vittorio Pierobon, vice direttore de “Il Gazzettino” - ho visto con i miei occhi come l’associazione Braccia Aperte ha lavorato in questi anni per quella gente e ho constatato come ogni singolo euro dato loro venga investito nell’interesse dei giovani”. Un messaggio di speranza rafforzato dall’intervento della psichiatra Sara Tabbone: “Nelle pagine di questo libro, così come nelle vicende delle persone che vi si raccontano, ho trovato amore, quell’amore che può davvero rappresentare la speranza con la quale questi giovani possono guardare al futuro della loro terra”. Il libro è un invito alla Bolivia. Un Paese senza fiato e non solo per la sua altitudine. Un reportage a quattromila metri di cultura raccontato sul filo di amori boliviani. Come quello ambientato tra La Paz e la Rute del Che, nel dipartimento di Santa Cruz, dove il guerrigliero medico argen-

tino venne ucciso. “Un Paese che offre anche bellezze e avventura, tra le sue contraddizioni - ha detto Letterio Scopelliti - con i suoi magici colori della natura, dalla Cordigliera ai laghi salati, e i sorrisi dei bambini in faccia alla povertà e la grande dignità delle loro madri”. Il libro costa 15,00 euro a copia, spese di spedizione comprese; in vendita nelle principali librerie della città, è acquistabile anche on line dal sito www. bracciaaperte.it inviando una mail all’indirizzo amoriboliviani@email.it. utte le indicazioni utili si trovano sul sito www.bracciaaperte.it.


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Atlante Trevigiano

Cartografie e iconografie di città e territorio dal XV al XX secolo

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ontinua presso la Fondazione Benetton Studi Ricerche di Treviso la mostra Atlante Trevigiano. Cartografie e iconografie di città e territorio dal XV al XX secolo, inaugurata il 21 gennaio e aperta al pubblico fino al 17 aprile. Il nucleo espositivo è costituito dalla Collezione Vianello Bote, una raccolta di stampe della città e del territorio di Treviso recentemente acquisita dalla Fondazione, in grado di coprire un arco temporale di quattro secoli. I documenti cartografici e iconografici sono al centro non solo dell'esposizione, ma di una più vasta operazione culturale volta alla restituzione di ogni singolo documento al contesto organico di appartenenza, per allargare lo sguardo conoscitivo alla storia europea della rappresentazione dei luoghi. La ricerca di atlanti, libri, cartografie e iconografie della città e del territorio si è avvalsa della collaborazione degli istituti culturali cittadini e dei collezionisti privati. Durante l’esposizione i visitatori potranno osservare cartografie di grandi dimensioni e visualizzazioni multimediali, per evidenziare in sequenza temporale non solo le trasformazioni

occorse al contesto urbano e provinciale, ma soprattutto le diverse modalità culturali e grafiche dei topografi nel restituire il territorio. La mostra offrirà l'occasione di vedere da vicino inediti, opere mai uscite dalle collezioni private o dagli archivi pubblici e in ogni caso scarsamente fruibili nel loro insieme. Tra i documenti originali esposti per la prima volta al pubblico: il Liber Chronicarum di Hartmann Schedel (1493), la grande mappa catastale napoleonica di Treviso (1811) e la veduta panoramica di Antonio Monterumici (1917). La mostra si articola in tre sezioni, la prima dedicata alla città di Treviso, la seconda al territorio provinciale e la terza al confronto tra materiali storici e attuali. Durante tutta la durata dell'esposizione vengono organizzati incontri pubblici

e conferenze ed è a disposizione dei visitatori un servizio di bookshop dove trovare il catalogo della mostra e inizitive editoriali inerenti i temi storico cartografici. La mostra è aperta da martedì a venerdì dalle 15 alle 20, sabato e domenica dalle 10 alle 20. Per informazioni: Fondazione Benetton Studi Ricerche via Cornarotta 7-9, 31100 Treviso, tel. 0422.5121, fax 0422.579483, fbsr@fbsr.it, www.fbsr.it

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Il ritorno di San Valentino

Idee regalo per la festa degli innamorati

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l 14 febbraio si veste di rosso. Di cuori. Di amori, antichi o appena nati. È il giorno degli innamorati. È il giorno in cui si rinnovano antiche promesse d’amore e si sussurrano all’orecchio dell’amante segreti mai svelati. Tutti considerano San Valentino il protettore degli innamorati ma, in origine, la festa del vescovo e martire ternano che fu decapitato a Roma dall’imperatore Aureliano il 14 febbraio 273, era legata alla purificazione dei campi e ai riti della fecondità. Fu la Chiesa poi a cristianizzare questi riti (già proibiti da Augusto perché ritenuti troppo licenziosi), attribuendo al martire la capacità di proteggere i fidanzati e gli innamorati indirizzati al matrimonio e a un’unione coronata dai figli. Da questa vicenda nacquero molte leggende intorno alla figura del Santo, tra cui quella che dipinge San Valentino amante di rose e fiori profumati che regalava alle coppie di

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fidanzati come augurio di un’unione duratura. E proprio i fiori sono i protagonisti di questa festa. Quando si regalano fiori, che siano rigorosamente rose rosse, il successo è assicurato. Dai fiori ai cioccolatini, da un profumo a un gioiello, a un vestito seducente, per finire ad una cenetta romantica a lume di candela, questi i regali che solitamente gli amanti fanno alle loro fidanzate, che in quel giorno tornano a innamorarsi come la prima volta. San Valentino è sicuramente l’occasione giusta per rispolverare un rituale del corteggiamento fatto di piccole attenzioni e galanterie diventate ormai desuete nell’era virtuale della generazione facebook; la conoscenza virtuale, infatti, ha sostituito in gran parte l’incontro vis à vis, riducendo la comunicazione ad uno scambio di battute in una chat o alla condivisione di una manciata di foto, perdendo di vista tutto ciò che di più veritiero e autentico passa attraverso una

comunicazione dal vivo, ovvero lo sguardo, la voce, l’espressione del volto, i movimenti del corpo, segnali inequivocabili che ci permettono di stabilire la sincerità del nostro interlocutore. Non solo. Il social network ha modificato anche le modalità di approccio e corteggiamento, riducendo la questione ad una cruciale “richiesta d’amicizia” alla quale si spera segua risposta affermativa. E allora che San Valentino sia il pretesto per rivalutare i rituali di un corteggiamento antico, ma pur sempre apprezzato dalle donne, che amano tanto sentirsi delle principesse in attesa del loro principe. E se la meta non fosse il castello incantato, ma uno splendido centro benessere o la romantica Parigi, il lieto fine di questa favola moderna sarebbe certamente assicurato. Stefania Carniel


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CONEGLIANO

Giochi studenteschi in Nevegal

Oltre 50 ragazzi alla prima sfida stagionale

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i sono svolte il 13 gennaio scorso, presso gli impianti sportivi del Nevegal, le gare di sci valide per le fasi comunali giochi sportivi studenteschi riservate agli alunni delle scuole medie inferiori, organizzate dall’assessorato allo sport del Comune di Conegliano in collaborazione con l’associazione Sci CAI di Conegliano. Banco di prova la pista “Cocca Bassa”. In gara oltre cinquanta partecipanti, che si sono sfidati con prestazioni agonistiche di ottimo livello lungo un tracciato che ospita questa competizione ormai da qualche anno. L’assessore allo Sport Loris Zava, intervenuto per portare il saluto dell’Amministrazione, ha sottolineato l’importanza che l’attività sportiva riveste nella crescita dello studente e del cittadino e ha voluto premiare personalmente i ragazzi e ragazze classificatisi dal

1° al 6° posto. Sabato 29 gennaio sarà la volta del nuoto in piscina comunale, presso gli impianti sportivi del Colnù. Le classifiche finali: Gara Femminile: 1. Marchi Virginia (tempo 0.58,08); 2. Turati Alessandra (0.59,31); 3. Botteon Angela (1.00,44); 4. Brinobet Gaia (1.01,84); 5. Menegazzo Anna (1.07,12); 6. Sommariva Victoria (1.07,75)

Gara Maschile: 1. De Battista Edoardo (tempo 54,21); 2. Caputo Nicola (59,72); 3. Grava Nicola (1.00,05); 4. Gellera Marco (1.03,17); 5. Drusian Paolo (1.06,65); 6. Paro Andrea (1.08,68). Nelle foto: Il presidente dello Sci Cai Conegliano Germano Oliana, l’assessore allo sport Loris Zava, l’insegnante Ennia Nardin e i ragazzi vincitori.

Nuova guida per turisti

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n’opera attesa, una revisione critica del fare turismo a Conegliano, un’edizione elegante e curata. Fresco di stampa, edito da Zel Edizioni, è in libreria da gennaio “Conegliano, guida per turisti e Coneglianesi curiosi”, di Luciano Caniato e Giuseppe Palugan, con foto di Arcangelo Piai. Nelle 240 pagine si alternano i testi dei due storici coneglianesi agli oltre cento scatti di Piai. Un’opera che tiene conto dei molteplici approfondimenti condotti sulla città negli ultimi trent’anni. “Uno studio - come spiegano gli autori - fatto per i lettori curiosi, ma pensato anche per gli insegnanti. Un volume che ha l’ambizione di fornire ai Coneglianesi vecchi e nuovi una chiave di lettura della città in forma di guida rapida, essenziale, piacevole”. La pubblicazione illustra nelle sue 240 pagine, 7 itinerari per turisti e coneglianesi curiosi di ri-scoprire la propria città. Contiene 114 immagini, una cronologia che va dalla preistoria ad oggi, una bibliografia che abbraccia gli ultimi cinque secoli, 7

carte topografiche e 2 indici che permettono una rapida ricerca degli autori e dei luoghi. “Il tutto - spiegano ancora gli autori - costato anni di lavoro tra preparazione, progettazione, soluzioni cartografiche, ricerca bibliografica e controlli sul campo, misurazioni, allestimenti, sintonie”. Ora la soddisfazione dell’esordio in libreria e dei consensi che già fioccano sulla nuova pubblicazione”. Antonio Menegon

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CASTELFRANCO VENETO

I magici mondi della Natura

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l gruppo naturalistico “Le Tracce” organizza la IX^ edizione del ciclo d’incontri “I magici mondi della natura”. “Alberi e arbusti della pianura veneta nell’ambiente naturale, nel paesaggio agrario, nel costume contadino” a cura del naturalista Michele Zanetti: - mercoledì 23/2/2011 - Breve storia della vegetazione forestale di pianura: dalla tundra alle foreste di querce, di salici e di ontani; - mercoledì 2/3/2011 - La farnia (Quercus robur) e il corniolo (Cornus mas): simboli austeri di culture ancestrali; - mercoledì 9/3/2011- L’olmo campestre (Ulmus minor) e l’acero campestre (Acer campestris): simboli di tenacia e di povertà dignitosa; - mercoledì 16/3/2011 - Il carpino bianco (Carpinus betulus) e il biancospino

(Crataegus oxyacantha): dal bosco alle ville patrizie e alle siepi contadine; - mercoledì 23/3/2011- Il frassino ossifillo (Fraxinus oxycarpa) e il sambuco (Sambucus nigra): l’albero delle paludi e l’arbusto dei contadini; - mercoledì 30/3/2011 - Dalla foresta al giardino: impiego degli alberi e degli arbusti autoctoni per il verde ornamentale. Le lezioni si svolgeranno dalle 20.30 alle 22.30 presso la sala conferenze Pacifico Guidolin nella Biblioteca comunale di Castelfranco Veneto. Il corso si terrà con un minimo di trenta partecipanti.

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C R O C E T TA d e l M O N T E L L O

2011, un nuovo anno digitale di Tiziano Biasi

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ll’inizio del nuovo anno non possiamo sottrarci al rito del cambio del calendario. L’operazione è agevolata dalle tante consegne gratuite di questo strumento segnatempo che fra poco potrebbe essere sostituito da un semplice congegno digitale. Allora voltare pagina o premere il pulsante? Certamente il gesto che si rinnova in questi giorni ha una valenza soprattutto per i nati prima acarta stampata il primato della conoscenza. Per quelli invece che sono abituati a dialogare con sms, ascoltare musica da apparecchi sempre più miniaturizzati, comunicare attraverso facebook e navigare in rete non sarà certo un problema pigiare un bottone, quando sarà il momento. Altro motivo per definirlo anno digitale è il definitivo passaggio alla Tv con decoder, ovvero doppio telecomando. Se ne discute fino alla nausea abituati come siamo ad avere in casa almeno due apparecchi televisivi che reagiscono in maniera diversa alle sintonizzazioni automatiche. Poco importa se il televisore del salotto riproduce al canale 13 Antenna Tre Nordest e quello della taverna Radio Maria. Fino a poco tempo fa se qualcuno mi avesse nominato la parola digitale avrei pensato ad un antico medicamento usato per il mal di cuore, già conosciuto in epoche lontane e passato alla letteratura come flacone provvisto di teschio da cui il medico, e solo lui, poteva estrarre le gocce miracolose per ristabilire cuori stanchi ed affranti. Il principio attivo della pianta erbacea “Digitalis purpurea” è utilizzato tuttora ma i farmaci ricavati hanno assunto nomi complicati tanto da risultare di stretta competenza degli addetti ai lavori ed è bene che sia così. Oggi digitale, nella sua accezione più comune, diviene aggettivo e, benché venga utilizzato

sempre più frequentemente, riesce difficile darne una semplice spiegazione. Meglio ricorrere alla lingua inglese. Il dizionario traduce la parola in numerico e se pensiamo che il “digit” degli anglosassoni significa in primis “cifra” e in subordine “dito”, il passo è breve per intuire come si comincia a contare “sulla punta delle dita”. Digitale è il moderno orologio che scandisce la corsa del tempo con i numeri. Voi lo ricordate quello tradizionale, che trascina le lancette quasi con difficoltà, ma che per i nati nel primo dopoguerra come me, sembra più naturale? Senza volerlo siamo entrati a pieno diritto nell’era contemporanea, l’era dei numeri e numeri lo stiamo diventando in tutti i sensi, da quello più dispregiativo della poca considerazione a quello più esaltante di avere “i numeri” per essere in prima pagina, paradossalmente “per contare”. Vedete come la parola numero ci porti lontano un po’ fuori tema rispetto al mio intendimento di soffermarmi a censire o meglio ad assistere ad un paese che sta scomparendo. Non posso fare a meno di salire e risalire il lungo Brentella e costatare che le vetrine delle attività commerciali, vanto un tempo di Crocetta, si stanno progressivamente oscurando. Una visione che risulta ancora più amara nel periodo

natalizio. Com’è possibile che nessuno si muova per invertire questo stato di cose? Il pubblico rimprovera al privato la mancata iniziativa e il privato attende che il pubblico intervenga. Riusciremo a risolvere questa inerzia o dovremo soccombere per gli effetti della “salomonica” decisione di tagliare un paese in due? Il centro di Crocetta potrà rivivere come un tempo certamente con un progetto di riqualificazione dell’area che lo interessa, senza ripensamenti ma, prima di tutto con una riunificazione dei Comuni che all’alba del ‘900 si videro divisi per un gioco campanilistico. Degli strani confini del Comune di Crocetta cercò di occuparsene Filippo Garizzo. Eletto alla carica di Sindaco il 30 marzo del 1946, fin da subito fu investito del mandato di ridisegnare i confini con Cornuda. La sistemazione topografica avrebbe comportato un vantaggio economico-finanziario per Crocetta a detta di tutti. Noi aspettiamo da quel dì e fino a quando? La questione fu accantonata per sopraggiunti problemi economici e quando le cose andarono meglio, nessuno pensava che la stagione delle vacche grasse dovesse finire. Così siamo arrivati ai nostri giorni, a questo 2011, la cui sequenza di cifre nasconde significati esoterici. Anche stasera ho percorso a piedi la via del centro e, ancora una volta mi sono soffermato di fronte ad un cartello apposto sulla vetrina della bottega di alimentari. “34 anni insieme a voi… grazie!!!” Si legge questo gentile commiato e dei cipressetti vi fanno aiuola di contorno, ma non è tutto, la vetrina accanto è riservata ad una azienda di pompe funebri. Alla faccia dell’insegna digitale del macellaio, questa sera Crocetta mi sembra proprio solo una strada!

MARCAAPERTA: se la leggi t'innamori! 25


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COVOLO DI PIAVE

Un nuovo attraversamento del Piave tra Covolo e Vidor

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a necessità di mettere mano al Ponte di Vidor per lavori di consolidamento e il sempre più intenso traffico di collegamento tra Sinistra e Destra Piave con il passaggio obbligato per i centri abitati di Covolo, Vidor e Bosco di Vidor, rende concretizzabile l’idea di un nuovo attraversamento del Piave. Il collegamento della Strada Regionale Feltrina con la Sinistra Piave fa nascere alcune ipotesi sulle modalità di attraversamento. Il prolungamento della “strada della ghiaia” che attraverserebbe il Piave partendo dalla rotatoria di Cornuda fino alla località Bosco di Vidor passando a confine tra Crocetta e Pederobba, è una prima ipotesi. Questa, è stata presentata ed esaminata in un recentissimo incontro tra le Amministrazioni interessate, Comuni, Provincia e Regione sensibili al problema. Il tracciato, di 4750 metri di lunghezza, comprenderebbe un ponte di 1300 metri. Non è stata evidenziata, invece, una seconda ipotesi di tracciato,

a mio avviso meno impattante e più economica. Questa, passando a sud di Covolo, collegherebbe una nuova rotatoria posta circa a metà dello stradone di Covolo (Via Centa) con la Sinistra Piave, ma, in questo caso, ad Ovest di Bosco, con possibile circonvallazione, però, del centro abitato di Bosco lungo la sponda del Piave. La lunghezza complessiva, in questo caso di 3650 metri, è comprensiva di un ponte di 700 metri. In questa seconda ipotesi, un primo stralcio potrebbe collegare Via Erizzo a Covolo con Bosco Ovest e consentirebbe di eseguire in tranquillità il restauro, ormai indilazionabile, del vecchio Ponte. In entrambe le ipotesi, le progettazioni esecutive dovranno affrontare e risolvere problemi di impatto nei confronti delle aree attraversate. Ad uno studio di fattibilità, come noto, viene demandato l’approfondimento ed il confronto tra le due proposte, ma anche di eventuali altre. Planimetria con il tracciato della seconda ipotesi ing. Giorgio Bedin

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MONTEBELLUNA

Casa Roncato per gli anziani montebellunesi

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l principale punto di riferimento montebellunese per gli anziani è la struttura di Casa Roncato, in cui sono anche ubicati gli uffici dei Servizi sociali comunali. L’associazione Amici di Casa Roncato, che la gestisce, prepara ogni anno un ricco programma di manifestazioni e gite. Quello relativo al 2011 ne comprende alcune che si svolgono in sede, ossia le tradizionali feste di carnevale (2 marzo), la castagnata (26 ottobre), gli auguri natalizi (21 dicembre) e il cenone di fine anno. Le uscite sono rappresentate dalle gite sociali (18 maggio, 8 giugno a Jesolo, 10 agosto) e dalle possibilità di effettuare soggiorni

climatici di due settimane, a prezzi vantaggiosi, a Jesolo e a Montecatini. Vale la pena di ricordare che tutti i montebellunesi anziani possono frequentare

il Centro diurno di Casa Roncato, dove è anche possibile consultare due quotidiani (“Il Gazzettino” e “La Tribuna di Treviso”), utilizzare la saletta TV grande schermo o semplicemente passare qualche momento di relax., magari giocando a carte. Il bar interno, gestito dai volontari dell’associazione e riservato ai soci, è aperto ogni pomeriggio, sabato escluso, dalle 14.00 alle 18.00 (dalle 14.30 alle 18.30 in estate). La piccola quota annua di iscrizione all’associazione (7,00 euro, compresa assicurazione), oltre all’utilizzo del bar, consente di partecipare a tutte le attività organizzate dall’Associazione.

“Fino” Bastian: muratore e panettiere

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sattamente come i quattro Moschettieri i fratelli Bolzan (Pietro, Rosetta, Serafino e Teresina) sono sempre in movimento. Non si tratta di far andare avanti la fattoria Ca’ Bastian di S. Gaetano, perché a quella ci pensa Ivano, figlio di Teresina. Si tratta di una quantità di piccole cose, piccole si fa per dire, per tenersi in allenamento e non far arrugginire le giunture, che risalgono tutte alla prima metà del Novecento. È così che, oltre alle faccende di casa e alla cucina, Rosetta e Teresina riescono a trovare tempo da dedicare ad altre attività. Una di queste è la trasformazione delle “scartoze” (per gli italiani: foglie secche che avvolgono le pannocchie) in perso-

naggi, animali e tante altre cose ancora. Attività di cui ne sanno qualcosa anche i bambini della scuola elementare Saccardo e che recentemente hanno voluto imitare. I due maschi, invece, sono sempre impegnati in attività più pesanti, che riguardano soprattutto il bestiame. Alla fine di novembre, per esempio, il maiale di casa diventa triste, perché in poche ore Fino (Serafino) lo trasforma in tanti saeadi, coppe, salsicce, martondee, muset e via dicendo. Un’attività diciamo così “sportiva”, visto che Serafino, uno scapolone classe 1930, è sempre stato muratore fin dall’età di 18 anni. Un murèr che ha messo le mani in decine di case montebellunesi e che non ha perso la vocazione nemmeno adesso. Una delle sue più recenti realizzazioni è una bella costruzione, rigorosamente di sassi e mattoni riciclati, adibita a forno per cuocere pane e focacce, ma anche all’occasione carne di vario genere. In casa Bolzan il forno c’era da molto tempo, ma gli anni pesano per tutti e ormai il vecchio forno era piuttosto malandato. Tanto da spingere il nipote Ivano, con un’improvvisa azione notturna, a demolirlo e a

costringere Fino a mettersi all’opera per farne un altro a regola d’arte. Con pazienza e arte è via via cresciuto il nuovo forno certamente più degno del precedente di occupare uno spazio nella bella Ca’ Bastian. Una costruzione solida e pratica, che tuttavia non manca di fregi e piccoli abbellimenti, che sono anche l’espressione della vena artistica di Fino. Può così continuare la bella tradizione di fare il pane in casa, su vecchi mattoni e con il fuoco a legna. Una tradizione che sembra avere successo anche in molte famiglie cittadine, dove sono sempre più diffuse le impastatrici e i fornetti per fare il pane in casa. Anche se, senza offesa, quello di Fino è tutt’altra cosa. (E.C.)

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VALDOBBIADENE

"Mi son veneto": Peccati di Golosa 2011

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uest’anno la rassegna si amplia, per estensione territoriale e per numero di partecipanti, grazie all’accoglienza dei colli di Conegliano e Valdobbiadene. Inverno: è tempo di stare in compagnia davanti ai caminetti d’Alta Marca… Torna l’appuntamento con “Peccati di Golosa” (la golosa è la leccarda di rame stagnato, lunga e stretta, che contiene il

condimento e raccoglie il grasso che cola dalle carni infilate nello spiedo). L’iniziativa, nata nel 2009 dall’Associazione Le Ciàcole di Valdobbiadene per valorizzare la tradizione culinaria caratteristica dei colli tra Conegliano e Valdobbiadene e per solidarietà verso le persone diversamente abili, trova conferma nel 2011. Nell’edizione scorsa, a fine inverno 2010, ‘Peccati di Golosa’ ha riscosso un gradito successo di pubblico, e soprattutto ha portato alla raccolta di fondi e contatti a favore dell’Associazione Italiana Persone Down, Sezione Marca Trevigiana. Inoltre si è diffusa la rinomanza dello spiedo, el spéo d’Alta Marca, che a luglio è entrato a far parte ufficialmente dei prodotti agroalimentari tradizionali, inserito nell’apposito elenco dal Ministero delle politiche alimentari. Questo risultato è stato raggiunto anche grazie all’opera dell’Accademia dello Spiedo, che da tre anni col-

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labora con l’Associazione ‘Le Ciàcole’ nel coinvolgere la ristorazione delle colline tra Conegliano e Valdobbiadene nella qualificazione dello spiedo. Oggi l’area interessata alla rassegna arriva fino a Cison, Refrontolo, Pieve di Soligo e Susegana, e i partecipanti sono aumentati da tredici a diciassette. Ma la sfida si gioca sulla qualità, puntando sul tema dell’accoglienza. Si vuole raccontare di un territorio accogliente, che ha nello spumante Conegliano Valdobbiadene un punto di forza, ma che cerca una sua vocazione all’ospitalità. Accoglienza vuol dire anche passare una piacevole serata in compagnia. È per questo che i diciassette ristoratori di Peccati di Golosa saranno impegnati nel Festival dell’Accoglienza: in ognuna delle serate ci sarà un momento di intrattenimento di varia natura: dalle arti figurative alla musica, al cabaret. Quindi, lo spiedo come piatto principale, la solidarietà verso le persone Down e l’accoglienza: questi sono gli ingredienti dell’edizione 2011 di Peccati di Golosa.

Chiaramente continuano le collaborazioni con l’Accademia dello Spiedo d’Alta Marca di Pieve di Soligo e con il presidente Danilo Gasparini, che dovrà giudicare di volta in volta gli spiedi proposti dai ristoratori, e con l’Associazione Italiana Persone Down Sezione Marca Trevigiana e il suo presidente Maria Grazia Santolin, che ha in mente un obiettivo: l’autonomia dei ragazzi Down e la creazione di una agriturismo per coinvolgerli nel lavoro quotidiano. Al termine della rassegna la giuria dell’Accademia dello Spiedo d’Alta Marca individuerà il vincitore del Gran Premio Speo Veneto, che sarà premiato nel pranzo finale del 17 aprile a Vidor. La giornata fa parte della tre giorni “Mi son Veneto”, evento storico, culturale, teatrale e gastronomico che vede anche gli appuntamenti di sabato 16 aprile a Castelbrando con il teatro veneto e di sabato 23 aprile a Valdobbiadene con una serata di attualità e storia sul tema dell’alluvione in Veneto. Gli appuntamenti, le news, i contenuti sono pubblicati nel sito, continuamente aggiornato, www.misonveneto.it Marco Prosdocimo Associazione Le Ciàcole


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8 marzo 2011: festa della Donna Un’occasione per riflettere e stare insieme

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embrano lontani i tempi in cui Virginia Woolf rivendicava il diritto della donna di mettere a frutto le sue capacità e i suoi talenti. Ancora oggi, 82 anni dopo, assistiamo invece alla discriminazione delle donne sul lavoro e all’interno della famiglia. In quasi tutti i paesi il salario femminile è inferiore a quello maschile e recenti statistiche riguardanti l’Unione Europea dimostrano come la disoccupazione riguardi in gran parte il mondo femminile. Si sono dimostrate necessarie le quote rosa per garantire alla donna l’ingresso in ambienti che prima le erano negati, come organi politici ed istituzionali. Se allarghiamo lo sguardo oltre i confini europei, verso i paesi “in via di sviluppo”, la situazione non migliora: il tasso di analfabetismo e di scolarizzazione registrano un risultato negativo soprattutto per bambine e giovani donne. Una discriminazione, quella femminile, che spesso sfocia in veri e propri atti di violenza fisica e psicologica. Virginia sentenzia: “una donna deve avere soldi e una stanza tutta per sé per poter scrivere”, non ha bisogno d’altro se non della libertà di esprimere se stessa, per affermare la sua specificità femminile. In questa prospettiva la festa della donna si qualifica come un’occasione per riconoscere l’importanza delle donne che abbia-

mo accanto. Una giornata per ricordarci delle nostre madri, figlie, nonne e mogli, per farle sentire importanti ed apprezzate. La festa dell’8 marzo ricorda infatti la scomparsa di 129 coraggiose operaie che persero la vita nel 1908 per difendere il proprio diritto al lavoro. Non temiamo di dimostrare stima e affetto alle persone che amiamo con un fiore, un pensiero, una cena in compagnia e, perché no, con un gesto di gentilezza sul lavoro e in famiglia. Se attenzioni di questo tipo dovrebbero essere quotidiane, accogliamo la festa della donna come un promemoria e un’occasione per rendere omaggio alle persone per noi importanti.

E se mancano le idee, molti sono i suggerimenti che ci arrivano da commercianti e ristoratori, iniziando dai classici cioccolatini e gioielli, fino ad arrivare ai pacchetti benessere e soggiorni romantici per due. L’8 marzo offre a tutte un’opportunità per sentirsi orgogliose, una volta tanto, di essere donne, in virtù della forza con cui molte persone hanno lottato per la tanto agognata parità dei sessi. Il regalo più bello possiamo allora farcelo noi stesse, testimoniare la nostra identità femminile e farla diventare un valore aggiunto in tutto ciò che facciamo. Martina Perin

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Treviso storica, 'a me Treviso

Dedicà ai Trevisani e a quei che ama e vol conossar mejo Treviso

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ontinua la rassegna dei luoghi più belli di Treviso. Dopo la Fontana de 'e Tete, presentata nel numero scorso, è la volta de l’isoła de ła Pescarìa. Prosegue il viaggio di Claudio Zanin alla riscoperta dei luoghi simbolo della città di Treviso.

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n mèzo al Cagnan Grando, l’isoła de ła Pescarìa ła zé indubiamente uno dei angołi più bèi de Treviso; circondada da ła Casa dei Carraresi e da Ca’ dei Brittoni, da 'na parte, e da chealtra da quéło che ała fine del 1700 jèra el convento de łe móneghe Camaldołesi (tuto el spàssio conpreso tra ła via Manzoni, via Androna Ferrarese, via e vicoło Pescarìa, co ‘l chiostro in queła che dèsso zé Piassa San Parisio). Fin al 1853 al so posto no ghe jèra altro che tre isołete de tèra, puntualmente registràe su ła mapa napoleònica. Sicóme jèra da tanto che ‘l

Comune pensava de spostar ła Pescarìa da ła Piassa del Monte de Pietà, par motivi igènici e par via del catìvo odor, l’idea de crear un isołoto dove poderla trasferìr ła ghe zé vegnùa a P. Liberali e a M. Fidora i quałi ghe gà passà łe so memorie a l’ingegner Francesco Bomben. El progèto el gà piàsso sùbito e in poco tenpo el zé stà reałizà (1856; sóto ła dominassion austriaca). In ‘sta data zé stà costruìo el ponte de ghisa che ‘l permetéva de rivàr ne l’isoła de ła “Pescarìa Nova”; ponte che a l’inissio e a ła fine de oniùno de i dó parapèti,

el gà montà na riprodussion del pésse Gò (ghiozzo). Da qualche àno n’altra riprodussion de ‘l stesso pésse ła zé stada messa in àqua, a sinistra del ponte, rivando da via Pescarìa. Senpre in àqua, ma da ła parte de Ca’ dei Carraresi, a destra, circa a l’altessa de ła prima metà de l’isoła, da qualche tenpo ghe zé anca na riprodussion de na sireneta (a dir el vero ła fa un fià pecà dove che ła zé e secondo mi, bisognarìa trovarghe na sistemassion mèjo). Da isoła a penisoła, in realtà, dove che ła passarèła che da chealtra parte cołèga i ‘Pontesèi’ (ponticelli), che i

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serviva da cołegamento de servissio par ła serie de mułini alineài a monte del ponte grando de San Leonardo, ła zé stada reałizàda soło ne i àni çinquanta. In vicoło del Mołinéto ghe zé ancora na rosta originàłe che ła ne ricorda l’atività che uncuò no esiste più. Propio da ‘sto vicołeto se podeva acédar da i do lati ai stabiłimenti che i traversava el Cagnan Grando dove che l’àqua ła forniva ła fòrsa necesària a far mòvar łe rode de i mułìni (ròste). Larga 'na çinquantina de metri e larga ła metà, co i banchi del pésse parte par parte e i ipocastàni (castagnèri màti) che oltre a farghe onbra co i rami, co łe so radìze i tegneva su łe rive, ne i ani 1998-99 ła zé stada ‘rivisitada’ da l’arch. Toni Follina, che gà ripreso ła pavimentassion originaria de trachite, ritocà un fià de qua e un fià de łà ła forma de l’isoła (ne ła parte a vàe łe sponde łe zé stàe alsàe na s-ciànta, par riciamàr l’idea de 'na nave), sostituìo i vèci ipocastàni małài, sostituìo i vèci banchi del pesse (che jèra

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fàti in parte de pièra) co de i altri de novi, in aciàio, mantegnendo però ła stéssa posission, e coverzéndoła, in parte, co na tetòia fissa. In ‘sta maniera, ła Pescarìa ła vien utiłizàda d’istà anca par altri eventi: pìcołi concerti, opùr ła manifestassion "Isola del Gusto", evento gastronomico partìo nel 2004, che ‘l punta a far conossar i piàti locałi anca ai turisti che senpre de più i vién a visitàr Treviso. El marcà del pesse el vien fàto tute łe matine de i giorni feriàłi, da marti al sabo, escluso el luni, e zé incredibiłe ła quantità, ła quałità e ła varietà de pesse che se pòl trovar su i banchi; da farghe invidia a na çità de mar! E zé bèło védar ła zénte che se ferma, ła varda, ła domanda, ła se méte a discórar co quéo da viçin che magari no a ga gnanca mai visto prima. Èco, probabilmente ła Pescarìa el zé uno de i pochi posti restài dove che ancora se ritrova el modo de star de 'na volta. Mame co ła carosseła o co i putéi drìo, vecéte co ‘l can, dòne co ła bicicleta a man co łe sporte de ła spesa picàe sul manubrio, persone de tute łe età, de tùti

i ceti sociàłi, nòni co i nevodeti par man, còppie de morosi e, senpre pì spésso, turisti, i continua a far parte del paesagio che go senpre visto fin da quando che jèro cèo. Fòra dal tràfico, sensa màchine, co ‘l gusto de star in mèzo a ła zénte, sensa pericołi, co i oci che se inbriaga de cołori, łe rèce de voçi e el cuor che se inpenìsse de serenità e de alegrìa, co ‘l gusto de ‘vivar’ che ancora el sa dar uno dei posti pì bèi de Treviso. A ła prossima! Claudio Zanin Bibliografia: Giovanni Netto, Guida di Treviso, 1988; Edizioni Lint Trieste Toni Basso, 'Treviso Guida Turistica', 1997; Edizioni Canova Treviso La foto della cartolina con i 'lampori' è tratta dal libro 'Un saluto da Treviso' di Toni Basso e Andrea Cason, 1973; Edizioni Canova Treviso La foto storica è tratta dal periodico Ca' Spineda n.1 marzo 1986, scattata il 13 gennaio 1889

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Storia della Laverda

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ietro Laverda, classe 1845, era rimasto affascinato, fin da giovanissimo, dai congegni del grande orologio da campanile del suo paese, San Giorgio di Perlena, del quale era stato incaricato di sorvegliare il funzionamento. Lo aveva studiato talmente bene che un giorno ne costruì uno identico, con i meccanismi in legno. Aveva appena tredici anni e quell’orologio funzionò a lungo nella casa in cui, nel 1873, aprì la sua officina per la produzione di piccole macchine agricole: sgranatoi per mais, pigiatrici per uva e… orologi per campanili. Le diverse attività furono portate avanti parallelamente e con identico successo. Le macchine agricole, il cui uso stava diffondendosi, lo costrinsero ad ampliare l’officina e a trasferirai a Breganze. Qui la fabbrica crebbe in pochi anni incrementando la gamma produttiva con trebbiatrici manuali, trinciapaglia, ventilatori per granaglie, e la forza lavoro con l’assunzione di un centinaio di operai. Continuò anche l’attività di manutenzione dei grandi orologi, ma anche la costruzione di nuovi, con meccanismi di concezione originale; fu introdotta l’installazione di parafulmini, poi, verso il 1892, la costruzione di cannoni antigrandine. Nei primi del ‘900 la gamma di macchine agricole venne ulteriormente ampliata. Nel 1910 ebbe inizio la produzione di una pressa manuale per foraggi, smontabile e trasportabile a dorso di mulo, tanto che venne adottata dall’Esercito Italiano nel corso della Grande Guerra. Pietro Laverda ebbe due figli: Antonio e Giovanni, il primo dei quali entrò nella fabbrica di macchine agricole nei primi del 1900. Purtroppo la scomparsa prematura di Antonio nel 1922 costrinse Pietro a riprendere in mano le redini dell’industria, sostituito solo nel 1928 da tre dei dieci figli di Antonio, i gemelli Battista e Piero, dopo gli studi tecnici, e Angelina, che si occupò dell’amministrazione. Nel 1934 la Laverda mise in produzione una falciatrice trainata, che ottenne un grande successo di vendite; la gamma di attrezzi per la fienagione divenne così la più completa prodotta in Italia.

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Un anno più tardi nello stabilimento di Breganze fu inaugurata la costruzione di motori ausiliari per macchine agricole e in quello stesso anno Francesco, terzogenito di Antonio, si laureò in fisica teorica presso l’università di Padova. Francesco rientrò a Breganze e si dedicò alla progettazione di nuove macchine, firmando nel 1938 la prima mietilegatrice italiana. Nel 1946 la Laverda lanciò una motofalciatrice, ideata da Francesco, che fu presentata alla fiera di Verona nel 1947 come la prima macchina agricola italiana polifunzionale. La prerogativa di questa motofalciatrice, chiamata “Gioiello”, era una grande velocità operativa unita alla possibilità di trasformarsi rapidamente in macchina da traino. Tramite la presa di forza, poteva azionare pompe, seghe circolari e altri attrezzi normalmente in uso in un’azienda agricola. Unica controindicazione del “Gioiello”, che fu prodotto in 102 esemplari fino al 1953, era il costo elevato, cosa che ne precluse una vasta diffusione. Alla fine del 1948, lo stesso anno in cui era entrata in produzione la motofalciatrice, Francesco Laverda realizzò il primo prototipo di una motoleggera con motore di 75 cmc a quattro tempi. L’anno dopo fu fondata la nuova società Moto Laverda, che nel 1950 affrontò il mercato con una 75 profondamente rivista rispetto ai prototipi e subito apprezzata per le brillanti prestazioni e l’assoluta affidabilità.


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Tosca - Opera lirica in tre atti di Giacomo Puccini di Franco Poloni*

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ari lettori di MarcaAperta, dopo il numero Natalizio, nel quale vi ho raccontato la storia dell’Orchestra Legrenzi, concludo ciò che avevo lasciato incompiuto. Grazie ancora ai più di mille spettatori che la sera del 30 dicembre al Palamazzalovo di Montebelluna con il loro entusiasmo ci hanno fatto capire che vale la pena, nonostante tutto, continuare l’avventura iniziata sette anni fa. Ci siamo lasciati con la storia di Tosca, una delle opere più belle di Giacomo Puccini. Ora, senza ritornare oltre il dovuto su trama e considerazioni di carattere tecnico/musicale, mi piacerebbe fornire alcuni spunti di riflessione sulla figura della donna nelle opere del Maestro di Torre del Lago. Che Puccini fosse un grande seduttore, amante della bella vita, delle donne, del vino e, purtroppo del tabacco, che lo portò a morire di cancro alla gola nel 1924, è arcinoto, ma analizzando le figure femminili, siano esse protagoniste o comprimarie, che compaiono nelle sue opere, si nota chiaramente come egli avesse compreso l’universo femminile nella sua interezza, cogliendone ogni sfumatura e sfaccettatura, restituendo sensazioni, emozioni e caratteri, in forma di musica meravigliosa. Dei dieci principali lavori operistici con il quale Puccini ha raggiunto fama imperitura, sei portano a titolo il nome della protagonista femminile (Manon Lescaut, Butterfly, La fanciulla del West, Tosca, Turandot, e nel Trittico, comprendente il Tabarro e Gianni Schicchi, troviamo pure Suor Angelica). Si consideri pure che a fianco di queste figure dominanti ne compaiono altre di minor rilievo scenico, ma tutte ricche di personalità e tratti caratteriali marcati. (Suzuki, la domestica di Cio.cio-san in Butterfly, Musetta nella Boheme, Liù in Turandot, mentre in Suor Angelica sulla scena troviamo solo ed unicamente figure femminili). Solo in Tosca non compare nessun’altra figura femminile, se non la principessa Attavanti rappresentata in effigie nel primo atto, segno probabilmente che Puccini considerava questo modello di donna, bruna, artista bellissima, libera e disinvolta ma allo stesso sensibile ai bisogni dei più deboli, come il cliché della donna perfetta. C’è una cifra che accomuna tutte le donne che Giacomo mette in scena, la loro prima comparsa… una magia che ogni volta si ripete e si rinnova, suscitando emozioni davvero irripetibili. Entra Tosca e dopo il concitato “… Mario, Mario, Mario” con il quale chiama il suo adorato amante, e avendo ricevuto da lui il rassicurante “… son qui, son qui”, la melodia si distende suadente fino al bellissimo duetto. Cio-cio-san, la quindicenne protagonista di Butterfly, dopo la dura ascesa alla casetta preparata da Pinkerton per il matrimonio farsa, si presenta anche qui con uno stacco melodico che ha del sorprendente, la concitazione data dai preparativi in corso lascia posto ad un lungo, sereno ed ispiratissimo episodio melodico; lo stesso si dica per Bohème e

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per Manon Lescaut. Ora mi permetto di raccontare un piccolo aneddoto narratomi da un grande maestro, a suo tempo in gioventù, assistente di grandissimi direttori quali Furtwengler e Karajan, solo per citarne due. “… Siamo alla Scala nel 1956 per La Bohème” racconta il Maestro “… preparo l’Orchestra prima dell’arrivo di Karajan, ma il risultato non mi soddisfa, il suono all’ingresso di Mimi è troppo aggressivo, e nonostante la perizia tecnica mia e dei professori, non riesco ad ottenere quanto avrei voluto, era la prima volta che lavoravo a Milano con Karajan, e intendevo fare un figurone” già cominciava a sorridere “… faccio presente che nonostante gli sforzi, probabilmente non sarebbe rimasto pienamente soddisfatto…” Parole di Karajan “non ti preoccupare caro, vieni e vedi come si fa!” sale sul podio per iniziare la prova, tutto procede al meglio “… quando viene il momento dell’ingresso di Mimì, lo vedo ad occhi chiusi e completamente immobile, penso si debba fermare per qualche correzione o suggerimento, ma magicamente l’Orchestra continua a suonare con una sonorità mai udita prima, e si continua, lui ancora immobile e attorno tutto prende vita, entra Mirella Freni che canta in modo sublime, mi accorgo di avere le lacrime agli occhi, mai sentita una cosa simile…”. Quando la musica è scritta in questa maniera è sufficiente far trasparire la sola intenzione di fare tutto per il meglio e poi ritrarsi, non intervenire in nessun altro modo. Naturalmente c’è il seguito della storiella ed è quanto mai esilarante. Sempre il caro vecchio Maestro: “… Passa del tempo e mi scritturano per una Bohème in provincia… Se lo ha fatto lui, lo faccio anch’io” dice riferendosi al precedente episodio, “ … Tutto baldanzoso salgo sul podio, inizio la prova, dico ciò che c’è da dire, e al momento dell’ingresso di Mimì, faccio come Karajan, chiudo gli occhi e rimango immobile” credetemi, ancora oggi dopo trent’anni anni ricordando la simpatia del Maestro io ed i colleghi presenti non ci possiamo trattenere da una sana risata “… Mi fermo abbasso le braccia chiudo gli occhi e…” scusate il modo ma è stato così spontaneo “… Porco boia… Si erano fermati tutti e mi hanno cacciato via!”. Concludo: grande è stato il coraggio di Puccini nel trattare con tanto realismo i caratteri femminili, intuendo per primo come, passato il periodo del sentimento collettivo dettato dalla fiammata del Risorgimento, e magistralmente interpretato da Verdi, bisognasse entrare nell’intimo dei sentimenti senza peraltro cadere nel sentimentalismo, tracciando profili nettamente delineati di figure consapevoli di essere artefici del destino proprio e di chi con loro condivideva l’esistenza. *Musicista, Direttore d’Orchestra, Professore di musica presso il Conservatorio a Trieste. e-mail: poloni.fr@gmail.com


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Introduzione alla lettura di Marco Gottardi

Quando è nata la poesia moderna? Considerazioni sul verso libero e dintorni.

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issare una data di nascita per la poesia moderna è operazione tanto ardua quanto sconveniente (come, del resto, inadatte appaiono tutte le periodizzazioni basate su date fisse che riducono la storia a una serie di repentini cambi di rotta). Per comprendere il fenomeno della genesi della poesia moderna, dunque, si convenga anzi tutto su questo: un senso moderno di far poesia si può far coincidere con l’esigenza di liberazione dalle forme fisse della tradizione. Una rottura con la tradizione: ecco un punto fermo dal quale prendere le mosse. Ma cosa significa, in poesia, tradizione? E quand’è che questa tradizione comincia a incrinarsi? Ecco due buone domande che possono metterci sulla strada di una ri-scoperta. Se ancora oggi si scrivono sonetti verrebbe da dire che la poesia naviga ancora nell’alveo della sua storia plurisecolare. Ma lasciamo perdere le eccezioni. Vero è che la tradizione poetica italiana è fatta, sì, di sonetti, canzoni, madrigali, ballate e quant’altro, ma altrettanto accertabile è il fatto che tali forme subiscono, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, una graduale inflazione, aprendosi la poesia a strutture più libere (di cui la canzone leopardiana è già un chiaro segno premonitore). E la libertà non interessa solo la configurazione strofica, ma si estende finanche all’unità minima che costituisce la poesia stessa: il verso. Dai versi canonici, ad accenti fissi o liberi (endecasillabo e settenario gli esempi più illustri delle due categorie), si passa al cosiddetto verso libero. Ma come è fatto un verso libero e, soprattutto, chi l’ha inventato? Notevolmente più agevole rispondere al primo dei due quesiti. Un verso che si definisca libero è anzi tutto “sciolto” da qualsiasi vincolo di rima (il che non vuol dire non rimato, ma rimato, appunto, liberamente, ovvero sporadicamente), ma è soprattutto svincolato da qualsiasi norma che ne decreti, a priori, il numero di sillabe e la posizione degli accenti. La tematica del vers libre è

sviluppata in Francia da Mallarmé e da Gustave Kahn, il quale nel 1888 pubblica, in “versi liberati”, Les palais nomades, rivendicando nel 1897 l’invenzione del verso libero. Il 1888, ecco una data significativa: in quell’anno in Italia arrivano le Foglie d’erba dell’americano Walt Whitman (ed. orig. Leaves of grass, 1855) e Luigi Capuana pubblica i Semiritmi, primo tentativo di metrica libera. Ma Capuana, come del resto il D’Annunzio di Primo vere (1879) e Canto novo (1882), è debitore della lezione di Carducci, il quale nelle Odi barbare (1887, ma rielaborate, con aggiunte di nuovi testi, fino al 1893) aveva sperimentato una “metrica barbara” a imitazione di quella classica, basata su versi di lunghezza variabile, oscillanti fra le anomale misure di 13 e 17 sillabe. Il nuovo indirizzo è recepito da Gian Pietro Lucini, che impiega il verso libero nei Drami delle maschere (1898) e si impegna in una forte presa di posizione nella Ragion poetica e programma del verso libero (1908), e da D’Annunzio, che ricorre alla versificazione libera nelle Laudi (1903). Col Novecento, quindi, si prepara per la poesia una nuova stagione, sebbene, accanto agli entusiasmi, si registrino alcune eccellenti perplessità. Quando nel 1905 la rivista “Poesia”, allora diretta da Marinetti, propone un sondaggio sul verso libero, gli esiti non sono affatto scontati: 12 poeti sono contrari, 8 non si schierano (fra questi D’Annunzio), 3 dicono che il verso libero esiste già ed è l’endecasillabo (fra questi Pascoli), 18, invece, sono a favore (e fra questi Capuana, che dichiara di essere l’inventore del verso libero). Una situazione fluida, quindi, ma che ha prodotto una sensibile virata della poesia verso celebri innovazioni, non sempre ugualmente fortunate: l’esperienza del verso libero è approdata alla poesia in prosa, alle Parole in libertà di Marinetti e dei futuristi, al versofrase di Ungaretti, all’esperienza montaliana, in altri termini alla poesia moderna.

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La recensione di Marco Gottardi

Ritratto in nero di Anna Maria Pivetta G.S. Stampa, Asolo (TV) 2010

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n’annotazione preliminare: prima di consigliare (o sconsigliare) al nostro pubblico la lettura del libro che inaugura questa nuova rubrica di critica, consigliamo la rilettura del testo all’autrice stessa o, in sua vece, a un correttore di bozze, così che fosse eliminata la messe di fastidiosi refusi che ammorbano le pagine dell’opera. Annotazione seconda (ma non secondaria): se è vero che “la solitudine e la profonda nostalgia della sua terra, spingono l’autrice a cercare sollievo in un’autobiografia” e che “lo scrivere diventa terapia”, non si capisce per quale ragione ci si debba invischiare nei meandri di un personale percorso curativo. Processo, peraltro, la cui scialba materia diaristica, non propriamente adatta, si capisce, a dissimulare certo afflato autocelebrativo, subisce talora vacue impennate di egocentrismo che acuiscono il senso di una storia privata fino al parossismo: una sorta di autoreferenzialità del narrato che trova conferma nell’apparato fotografico, imperniato su luoghi e volti familiari per chi scrive ma che a stento riescono a incuriosire chi legge. Eppure l’ambientazione, fra gli anni ’50 e ’70 del secolo scorso, ha un suo intrinseco appeal e la figura del conte Piero Loredan (che, con l’autrice, è il protagonista della storia) emerge con un’aura talora epica talaltra elegiaca, che finisce col conferire a certe pagine un colore non spiacevole. E anche il ritmo è piut-

tosto agile, ovvero la sintassi è sufficientemente sciolta e agevole. Ma resta il fatto che, se avessimo voluto informarci sull’arte della falconeria, avremmo più volentieri letto il De arte venandi cum avibus di Federico II. Giudizio: stavolta le stelle vorremmo lasciarle fra i cieli ma, per inaugurare la rubrica con un pizzico di bontà regaliamo ad Anna Maria Pivetta due stelle.

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Sul bufalo d’acqua di Alessandro Fort

AltroMondo editore 2010, 19,00 euro

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n giorno potrebbe venir voglia di fare un passo, e poi un altro e poi un altro ancora, senza fermarsi, senza pensare di tornare indietro. Così comincia un viaggio. È il percorso del protagonista, un docente dell’Università di Venezia, alle prese con una moltitudine di dubbi, sulla vita e sulle persone che lo circondano. Egli sospetta che l’insoddisfazione nasconda l’esigenza di andare oltre le cose che la società moderna considera irrinunciabili: l’automobile nuova, la bella casa, gli abiti eleganti, le vacanze in luoghi esotici, il denaro. Il giorno del suo compleanno compie però un errore che nessuno dovrebbe fare, per non correre il rischio di dare spazio alle emozioni e alla voglia di libertà: alza lo sguardo al cielo, si ferma a guardare uno stormo di rondini e per la prima volta, prova il desiderio di avere le ali. Dalla magia delle calli veneziane […] un intricato labirinto di passaggi che si insinuano furtivi fra palazzi antichi e abitazioni semideserte. Un continuo sormontarsi di edifici appoggiati l’uno sull’altro, alla ricerca del sole di giorno e della luna con l’arrivo della notte, serie infinita di spigoli improvvisi fatti di muri erosi dal tempo e dalla salsedine… attraverso la malinconica consapevolezza di non riuscire a liberarsi delle proprie abitudini […] chiedendomi per quale motivo l’idea di andarmene non mi venisse così naturale. Le mie maledette abitudini! ... sino al fascino di un paese sconosciuto, lontano, infinito […] la ripetitività di quel suono mi annoiò, spingendo l'attenzione a distrarsi sui profili delle colonne verniciate di rosso, lungo le travature del sottotetto e nelle sottili volute di fumo aromatico esalate dai bracieri. Il risalire di queste ultime era perfetto, regolare, senza alcuna deviazione. L'atmosfera era immobile, trattenuta dal coro, che avvolgeva ogni cosa rendendo fuori luogo il pensare, porsi delle domande o cercare delle spiegazioni. Tutto scivolava nel nulla e il nulla conquistava il valore del tutto… Raggiunta la scelta di cambiare lavoro, il protagonista sfrutta l’occasione di cominciare una ricerca che

lo porterà tuttavia molto lontano dalla meta programmata, sino a condividere la povera abitazione di una famiglia alle prese con la sola, fondamentale necessità: sopravvivere, in un mondo immerso nella sottile polvere del carbone. Violentemente strappato dalla nuova vita, nella terza parte del viaggio, si ritroverà all’interno di un complesso intreccio di personaggi diversi fra loro, accomunati da ideali frustrati dal mutare degli eventi. Tutto girerà attorno ad una sorprendente quanto ruvida donna anziana custode di un segreto che viene dal passato, un segreto cercato da molto tempo e da molte persone, ma celato in un modo e in un luogo assolutamente improbabili. Nella quarta e penultima parte, in un’improvvisa accelerazione degli eventi, il protagonista precipita in situazioni nelle quali perderà se stesso, ritrovandosi a fare cose che prima non avrebbe mai osato nemmeno immaginare. Quella che normalmente potrebbe essere considerata una serie di episodi avventurosi tipici degli eroi, diventa cruda realtà e ciò che poteva sembrare impossibile diviene drammaticamente naturale, quanto disdicevole. Grazie all’ennesimo incontro, il protagonista procederà tuttavia lungo un nuovo cammino. Recuperato il suo passato e sconfitta l’ultima delle sue paure, potrà tornare al punto di partenza del lungo e inaspettato peregrinare, affidandosi però alla volontà del suo ultimo compagno di viaggio, un grosso bufalo d’acqua. Ma quel che lo aspetta non è per lui una sorpresa, in cuor suo ha già intuito che alla fine di un viaggio, nessuno è uguale a com’era prima.

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Isaac Asimov agli scrittori esordienti*

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uomo - si sa - non ha la conoscenza infusa. Per acquisirla, occorrono anni e anni di studio e di impegno. Ma, anche se si è stati ligi a tale regola, alla fine si può arrivare alla conclusione a cui arrivò Socrate: di sapere di non sapere. È, dunque, inutile l’istruzione? Dobbiamo disertare e chiudere le scuole? Buttare a mare tutti i libri di testo, enciclopedie comprese? Non esageriamo! Intanto, l’affermazione del famoso filosofo era diretta contro il dogmatismo, reo di impedire lo sviluppo della conoscenza. Quest’ultima, poi, che altro è se non un progressivo accumulo di saperi ed di esperienze, che le generazioni passate trasmettono a quelle successive? Ciò avviene in tutti i campi. Ad esempio, nella fantascienza, scrittori e editori di riviste specializzate danno consigli, raccolti in volume, su come scrivere una storia di fantascienza. Lo scrittore principiante impara, così, ad evitare le descrizioni accurate di astronavi e robot, perché finiscono con l’annoiare, a non esagerare con le divagazioni, a ravvivare la storia immettendovi elementi di una certa carica emotiva, a non lasciare in sospeso parti della trama, ad entrare subito nel cuore della vicenda narrata, a rivelare solo successivamente qualcuno degli antefatti. Non tutti gli scrittori, però, vedono di buon occhio i corsi di scrittura e i manuali e le guide per i principianti. Tra questi, c’è il “good doctor” Isaac Asimov. Per lui, sì, bisogna imparare a scrivere, ma “per imparare a scrivere bisogna scrivere. Potete leggere libri sull’arte dello scrivere, o sentire conferenze sull’argomen-

to, o seguire lezioni, o abbonarvi alle riviste letterarie. Ma tutto questo non farà di voi uno scrittore. È soltanto scrivendo che si impara a scrivere. Sono i racconti ignobili a far sì che, prima o poi, si scrivano buoni racconti”. Che fare dopo avere scritto un racconto? Inutile farlo leggere a parenti e amici. Vi direbbero inevitabilmente che è un bel racconto. Mandarlo ad uno scrittore? E pensate che, dovendo occuparsi dei propri racconti, abbia il tempo e la voglia di leggere i racconti degli altri? Non resta, dunque, secondo il parere di Asimov, che inviarlo ai direttori di riviste. E in caso di rifiuto? Niente paura: “I rifiuti non piacciono a nessuno, nemmeno a me, e quando mi capita me la prendo molto. Però mi rimetto a scrivere. E così dovete fare anche voi” (da Isaac Asimov, Guida alla fantascienza, Mondadori, pp. 46-47). * Da ‘Future Shock’, la rivista della fantascienza umanistica, curata dal prof. Antonio Scacco. http://www.futureshock-online. info/pubblicati/fsk56/html/notizie.htm#asimov

Lo straordinario presepio 2010 al Cavanis

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Natale, come consuetudine, fioriscono, in quasi ogni classe del Cavanis di Possagno, presepi piccoli e grandi, addobbi natalizi, alberi e decorazioni, poster e ricostruzioni figurate della Natività del Signore. Ma una tra tutte queste opere merita un plauso particolare: è il presepio costruito dalle classi medie sotto la paziente ed esperta regia della prof.ssa Sira De Valentin, insegnante di Educazione Artistica. Si tratta di una grande ricostruzione della Natività di Betlemme, composta con straordinaria armonia cromatica e con materiali “poveri” (polistirolo, tessuti ecc.): un lavoro che interpreta la suggestione della vetrata gotica e l’abilità tecnica del patchwork. Davvero un’opera d’arte, da citare negli annali Cavanis tra le cose artistiche meglio riuscite degli ultimi tempi. Per informazioni, dirigente scolastico: prof. Alessandro Gatto alessandro. gatto@cavanis.net (per informazioni relative al presepe: prof. Sira De Valentin sira.devalentin@cavanis.net)

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Rosetta Schiavon all'ombra del Maestro

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mmaginate una donna che per anni vive all’ombra del marito tutto preso dalla sua arte e dai suoi viaggi che un bel giorno torna e trova che la moglie non soltanto dipinge, ma si apre come una scatola cinese piena di sorprendenti novità… Beh, potrebbe essere anche spiacevole per lui, non fosse altro per il senso di colpa di non aver sospettato prima tanta forza inespressa. Nei corsi di pittura, a cui prima partecipava come testimone passiva, appare improvvisamente vivace e spesso ribelle come chi si è svegliato da un lungo sonno e scopre di non sopportare la frusta del domatore… A parte il tono scherzoso, questa donna affronta l’acquerello prima e altre tecniche pittoriche poi con una sicurezza innata, figlia di un’educazione visiva coltivata in segreto per lungo tempo, di una frequentazione sistematica dei luoghi d’arte e della conduzione di una galleria e di uno studio di pittura assieme al marito. In pochi anni la casa si è riempita di “opere” anche minuscole, dettate da un’ossessione creativa spesso felice, fatta di poche pennellate o spatolate evocatrici di fiori e paesaggi fantastici. Ha partecipato a numerose mostre collettive con esposizioni personali in ambito regionale e con un paio di concorsi prestigiosi (Farfalla d’oro e libellula d’argento a Levico Terme, Trento). È stata socio fondatore dell’Associazione artistica “Labrys” e collabora attivamente alle attività culturali e professionali del marito Sergio Favotto con il quale condivide lo studio. Vive e lavora a Musano di Trevignano (Tv) in via Castello, 9, tel. e fax 0423-819861.

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A tutta musica!

di Alessandro Groppo

Una nuova ventata di energia nel rock Sex Pistols, Clash e Rancid per quarant’anni di sano punk

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os’è il punk? O, meglio, come nasce questo genere musicale così controverso e spesso frainteso? Inteso, come genere musicale, e quindi qui si tratterà del punk rock: non solo uno stile, ma principalmente un frastuono che dirompe e sconvolge la scena musicale americana e internazionale degli anni Settanta. Certo, i primi esempi, anzi, le prime prove di punk si hanno a metà degli anni Sessanta con i gruppi cosiddetti “garage rock”, che rappresentano un’evoluzione dell’allegro rock’n’roll di metà ventesimo secolo e portano sulla scena un nuovo groove, più grezzo, asciutto, diciamo più sanguigno e bestiale. Si tratta di gruppi come i Sonics, che nel 1965 ripropongono la strepitosa cover Have love will travel, scritta da Richard Berry, autore peraltro dell’intramontabile successo Louie Louie, ripreso non solo dall’indemoniato Higgy Pop ma anche dai Kingsmen, un altro gruppo antesignano del punk che nel 1963, grazie a questa canzone, viene consacrato a vero precursore del genere. Ma i veri inventori di questo stile, intriso di aggressività e inaudita violenza, devono ancora venire: nel 1969 si affacciano sulla scena gli MC5, forse il più significativo gruppo proto punk – così l’appellativo voluto dai puristi – che è in grado di sconvolgere persino i tradizionali rocker: testi dissacranti, ai limiti della blasfemia, che esaltano l’abuso di droga e, naturalmente, il sesso libero. Questi simpatici ragazzi di Detroit saranno d’esempio ai rozzi e più famosi Sex Pistols, sicuramente la vera, prima, unica formazione punk della storia. Un gruppo nato nel 1975 che trova espressione nella voce graffiante di Johnny Rotten e, più tardi, nella monotonia del basso di Sid Vicious, arrivato solo nel 1977 e morto per overdose appena due anni più tardi. Sono loro che dirompono con God save the Queen, brano di punta dell’album Never mind the bollocks, un’ironica canzone in cui si attacca il potere costituito, un affronto alla monarchia che gli inglesi perbenisti faticano a mandare giù e censurano; è forse il pezzo più celebre di questo gruppo che in soli quattro anni è riuscito non solo a lasciare un segno indelebile nel mondo del punk, ma a creare una nuova maniera di far musica. Poco dopo l’avvento dei Sex Pistols entrano in scena quattro ragazzi londinesi poco più che ventenni che sconvolgono con il loro album The Clash, una mistura di parole feroci e musica dissonante, potente e allo

stesso tempo necessaria; qui è contenuto il celebre pezzo I’m so bored with the USA, una chiara protesta contro la tendenza inglese ad assorbire ogni spunto della cultura statunitense, parole che, come quelle del traviato inno nazionale inglese d’ascendenza “pistoliana”, infastidiscono. La vera svolta dei Clash avverrà con il capolavoro London calling, un doppio 33 giri del 1979 che contiene successi come Clampdown, una canzone che, con tutta probabilità, parla di un tema scottante come la persecuzione nazista e le sue stragi, nonché la splendida, Train in vain che racconta, con musica allegra e senza troppe pretese, una storia d’amore finita male. Da loro in poi nascono tantissimi altri gruppi, che prendono a pretesto l’impatto sonoro e i testi grintosi per fare della “cattiva” musica. Nel frattempo continuano a calcare il palcoscenico i Ramones, che già dal 1972 davano sentori di punk, e altri gruppi hardcore, caratteristici per l’ulteriore semplificazione della musica, fino ad arrivare al trash metal, corrente che molto deve al punk e che prende il via nel 1981 con i Metallica e negli Slayer. Nel 1991 fanno capolino i Rancid, una delle formazioni punk rock più fortunate di tutti gli anni Novanta e anche del ventunesimo secolo: la loro è una sonorità particolare che mescola l’hardcore al reggae e quindi al pop punk e genera interessanti commistioni dei generi. Cos’è quindi il punk? Un’accozzaglia di suoni mescolati a parole forti? O solo un misterioso modo per comunicare la rabbia e l’insoddisfazione? Non è altro che una musica semplice e impetuosa, diretta al cuore di chi sa ascoltare, di grande effetto, fantasiosa, dissacrante ma intelligente – se usata con le dovute maniere – un suono roboante e continuo che crea scompiglio. Punk, significa letteralmente “poco di buono”, “delinquentello”, “teppista”, “piccolo imbroglione”, ma in fondo vuol dire anche veracità e voglia di sentimenti semplici che si esprimono così, “facendo casino”, ma facendolo bene. Alessandro Groppo

Primavera è alle porte. Presto a Montebelluna ci saranno nuove elezioni, che dovrebbero portare alla luce un movimento nuovo e trasversale, che si ispira all’Ecologia. Speriamo che l’idea si diffonda, ma soprattutto che diventi Ecologia delle coscienze, stimolando quel senso di responsabilità individuale e sociale necessario per costruire un futuro diverso e migliore per tutti.

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Teologia di un duello

Un western metafisico sulle rive del Piave scritto e diretto da Marco Zuin e Fabio Donatini

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ulle rive del Piave due pistoleri si ritrovano con un grosso buco in fronte: Io e te siamo morti! esclama il primo. Se fossimo morti sarebbe questo il paradiso? gli rinfaccia, amareggiato, il secondo. Tra dialoghi surreali, problemi intestinali e fuocherelli al chiaro di luna nasce Teologia di un duello, un insolito western, scritto e diretto da Marco Zuin e Fabio Donatini. Giocando con gli stereotipi del genere, i due registi catapultano i due protagonisti in uno stralunato aldilà dove non accade nulla, non si va a cavallo e perfino le pistole fanno cilecca, mentre una voce misteriosa comunica ai caduti per problemi esistenziali di attendere c’è Fabio Donatini, bolognese, con cui si è instaurata il proprio turno. una sinergia particolare In questo nostro breve film, Protagonisti Vasco Mirandola e Andrea Pennacchi tentiamo di raccontare come dopo la conclusione di un duello, due uomini si ritrovino vicini a Dio, allo spettatore ci rivolgiamo senza chiedere interpretazioni speciali: abbandonanarsi alle flatulenze e alla noia, è un invito a prendersi del tempo per pensare ma anche per divertirsi.” Realizzare dei film sperimentali dove confrontarsi con un linguaggio insolito non è sempre facile, “soprattutto se vuoi seguire una linea guida autoriale che si scosta dalla struttura classica del cortometraggio, quella dell’emozione a tutti i costi e del colpo di scena finale, dello stupore. Con Fabio stiamo anche portando a termine un film sperimentale I principi dell’indeterminazione, che ha ottenuto il riconoscimento di interesse culturale nazionale da parte del Ministero – prosegue che, in questo luogo d’attesa, potranno ricordare il loro Zuin – dopo aver appena concluso il docu-drama passato di fuorilegge a Black River e l’amore comune Tuber, la saga del pico bianco. per la stessa donna – causa del loro duello - finendo per accettare con rassegnazione la loro vicinanza a Dio. Raffaella Bonora Dopo aver assistito allo scontro, non sopravvive neppure la loro amante Roslyn, interpretata dalla danzatrice Silvia Gribaudi. E’ lei a capire immediatamente cosa è successo e a indicare la strada per costruire un nuovo futuro, come se nulla fosse successo. “Il Piave, a Crocetta del Lontello in località Santa Mama - ci ha offerto uno scenario stupendo dove calare un aldilà che per noi diventa una sorta di anticamera paradisiaca – spiega Marco Zuin – e ‘idea di una voce off, stile speaker ferroviario, contribuisce a creare lo spaesamento necessario per capire che siamo in un altrove. Assieme me, nella scrittura e nella regia,

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Facile dire giornalista... più difficile dire otorinolaringoiatria

Quando la notizia va a teatro

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osa succede quando un giornalista, che è anche docente e coordinatore di una scuola di giornalismo, decide di portare in scena gli esercizi dati ai suoi allievi durante le ore di lezione? “Un deragliamento linguistico irridente e arguto, ma rigorosissimo, che fa saltare la notizia di cronaca sui binari di altri generi letterari, sulla falsariga dell’immortale Esercizi di Stile di Queneau con esiti esilaranti”. A rispondere è Alberto Laggia, autore di Facile dire giornalista... più difficile dire otorinolaringoiatria, una riflessione semiseria e tragicomica su una strana professione, un mestiere ancora in cima alle preferenze dei giovani, ma sull’orlo del baratro della credibilità, a cavallo tra l’impegno civile e “lo faccio perché una conferenza-stampa non comincia mai prima delle undici”. In tournée da un paio d’anni, lo spettacolo è approdato a novembre all’Antiruggine a Castelfranco, “uno spazio culturale in-

dispensabile – ha detto Laggia, per una sera anche attore – tra un po’ dovremmo chiedere a Mario Brunello di aprire al più presto un altro capannone culturale, l’Antitetanica”. Con una selezionata pattuglia di allievi della Scuola di Cultura del Giornalismo “A. Chiodi” del Centro Kolbe, la pièce mette così insieme teatro e jazz, alternando divertenti monologhi sul senso della professione a giochi linguistici, il tutto a partire da notizie vere. Perché l’insolita protagonista in palcoscenico è proprio la notizia, anzi le notizie, “grondanti” sangue, o che scadono prima degli yogurt, miseri brandelli di realtà qui rilette in modo comico e surreale. Interpretato da Massimo D’Onofrio, Francesco Pinzoni, Adriano Spolaor, con le musiche originali del trio Jazz di Maurizio Nizzetto, lo spettacolo comincia dalla pagina più letta del quotidiano, ovvero i necrologi, per poi rimbalzare alla cronaca estera, proposta nella versione minimalista, in stile sonetto, ma anche in tono esclamativo e perfino come sms. Ad esplorare la regina dei generi, la cronaca nera, ci pensa il telegiornale, proposto anche in una straordinaria edizione per non udenti. E come un’opera che si costruisce per aggregazione, lo spettacolo continua accarezzando il repertorio del teatro canzone di Gaber: così Qualcuno era comunista non può che diventare Qualcuno era giornalista. E se qualcuno fa il giornalista perché sempre meglio che lavorare, o perché col tesserino entri gratis allo stadio, c’è anche chi intraprende questo mestiere perché non avere orari e giorni, sentire l’adrenalina della notizia in corpo, è avere un po’ cura del mondo, con la coscienza di raccontare quello che vede senza potersi girare dall’altra parte. Per contatti e informazioni sullo spettacolo http://scuolachiodir.wordpress.com/ Raffaella Bonora

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Treviso: “Amici del Modellismo”

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ei anni fa l’associazione ‘Amici del Modellismo’ è nata da un gruppo spontaneo di appassionati del genere, con l’intenzione di esibire al pubblico i modelli (modellismo ferroviario, aereo, navale, collezione di auto, diorami di guerra, scene di battaglia con carri armati, diorami di vecchi mestieri e di case contadine dei primi del Novecento e altro). Un anno fa l’Associazione si è consolidata come “Associazione a Promozione sociale”, affiancandosi a un’associazione onlus che opera nell’Africa sahariana per dare uno scopo al gruppo di Amici. Da allora, gli introiti realizzati con le mostre vengono riservati ai Partner come contributo per i loro progetti umanitari. Alcune volte la partecipazione degli Amici del Modellismo viene richiesta nelle feste paesane del Trevigiano, per far conoscere ai giovani la possibilità di valorizzare la propria manualità realizzando originali modelli da presentare al pubblico. Un modo tranquillo e creativo per divertirsi e confrontarsi con la gente lontano da ‘ombre’, birre e sigarette.

La prima Mostra di modellismo è stata allestita nel 2006 nel salone della Camera di Commercio di Treviso, ora l’Associazione ha appena concluso la sesta manifestazione, che ha suscitato grande curiosità, interesse e ammirazione tra i numerosi visitatori. È stata una bella occasione per esporre le ultime vere e proprie opere d’arte, frutto di un lavoro certosino di creatività e pazienza, che ha assorbito gran parte del tempo libero degli artisti durante anni di appassionata dedizione. Per accedere al salone era richiesto un piccolo contributo, che tra poco arriverà agli amici benefattori impegnati in Africa. Chiunque voglia aggregarsi agli Amici del Modellismo di Treviso può rivolgersi al presidente Emilio Meneghelli, cell. 347.2738062, e sarà il benvenuto.

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MONTEBELLUNA: palestra scuole elementari di Contea CROCETTA DEL MONTELLO: Villa Pontello VALDOBBIADENE: Villa dei Cedri

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PASSI DI DANZA di Alessandra Bedin*

Danza contemporanea: l’Arte di Sonia Nifosi

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el mio percorso artistico e personale, ho avuto l’immenso onore e piacere di collaborare con una grande personalità della danza italiana, una donna di rara sensibilità con una visione costante sul mondo e sull’universo, la coreografa Sonia Nifosi. Sonia è insegnante di danza, membro di giurie d’esami e concorsi, soggettista, sceneggiatrice e regista, ed è stata recentemente nominata Direttore tecnico generale del Consiglio superiore nazionale della Danza dal Consiglio direttivo nazionale della F.I.D., organo supremo della Federazione Italiana Danza. Già direttrice del Conservatorio Coreutico di Grottaferrata (Roma), Sonia è inoltre direttrice artistica della ‘Sonia Nifosi Motion Dance Group’, una volta ‘Sonia Nifosi Theatre Dance Company Gruppomagnetika’, in alcune produzioni della quale ho dato il mio contributo personale come danzatrice. A quasi due anni dal tragico incidente che l’ha coinvolta assieme al marito Gianluca Grasso, professionista della danza italiana e artista poliedrico purtroppo deceduto nella collisione, e nonostante le gravi ferite da lei riportate, Sonia ha creato la Gianluca Grasso Heritage Art Association in sua memoria per promuovere e patrocinare iniziative di particolare valore artistico. Gianluca è stato anche mio insegnante, esaminatore e collega nelle produzioni ballettistiche della Nifosi, e la sua simpatia e professionalità sono certa resteranno sempre nei cuori di coloro che, come me, hanno avuto l’opportunità di conoscerlo ed apprezzarne l’umanità e il grande talento. Attualmente la Nifosi lavora per continuare il progetto avviato con il marito, e ha creato ‘Gulietta degli spiriti (questi ed altri fantasmi)’, otto visioni liberamente tratte dal film omonimo di Federico Fellini. ‘Spiriti’ intesi come memorie, persone che vivono nei nostri ricordi, emersione di sensi di colpa... I danzatori-fantasmi incontrano la storia di Giulietta, le loro storie personali e il pubblico. L’epilogo vedrà però riemergere la speranza nella vita e allontanarsi i fantasmi per lasciare spazio a una maggiore serenità esistenziale. Lo spettacolo è dedicato alla memoria di Gianluca Grasso, fonte di ispirazione per Sonia, e non sarà l’unico né l’ultimo. Tra gli articoli della rassegna stampa dedicati alla produzione teatrale della Nifosi, That’s Entertainment, “Tutti gli spiriti di Giulietta” di Giancarlo Nicoletti [… Un’ultima parola va obbligatoriamente spesa sullo straordinario coraggio e sulla

bellezza del messaggio lanciato dalla Nifosi. Da vera artista, ha pescato nel suo vissuto le sensazioni giuste e le ha trasformate in materia artistica…] tratto da “Musical!” (bimestrale per il teatro musicale) n. 56 di luglio-agosto 2010, e l’articolo di Giammichele Meloni in “Danzasì” del 24 giugno 2010 [… In un momento particolarmente difficile per la vita del teatro italiano, Sonia Nifosi sembra stregare il pubblico numeroso con momenti di grande emozione…], [… Si è apprezzata la particolarità del linguaggio gestuale utilizzato dalla Nifosi con un gusto registico poco usuale nella danza, ma gradito anche dalla stampa proprio per il suo tono originale…]. Ma parole di apprezzamento sono state pubblicate anche su Tutto Danza, MP News, Lungotevere. net musica e spettacoli-teatro e la lista continua. La Gianluca Grasso Heritage Art Association promuove parallelamente anche il ‘Danza Master - Percorsi professionali di formazione e aggiornamento per insegnanti di danza’, con possibilità di certificazione e riconoscimenti da parte di enti giuridici e professionali di alto rango. Con l’ideazione del Danza Master la Nifosi punta al miglioramento della qualità della danza e del suo insegnamento, e si rivolge a coloro che desiderano apprendere e specializzarsi nell’ambito dell’insegnamento della danza e acquisire un’elevata professionalità. Danza Master sviluppa un percorso integrato di fasi formative a seconda degli obiettivi prescelti, e offre occasioni di crescita personale e di approfondimento teorico-pratico sulle varie materie inerenti alla danza. I percorsi didattici includono i seguenti stili: Classico, Neoclassico, Contemporaneo, Modern e Jazz Dance. Ognuna di queste opzioni offre più alternative tra cui scegliere e spaziare a seconda dei propri obiettivi, gusti e necessità. Per la parte teorica, l’integrazione vede metodologia e programmazione, teoria della danza, storia della danza e del balletto, psicologia applicata alla danza, anatomia del corpo umano, musica applicata alla lezione. Inoltre, il programma è arricchito da approfondimenti che comprendono repertorio e pas de deux, sbarra a terra e posturale, contact improvisation, teatro danza, carattere russo, danza indiana, scenotecnica e illuminotecnica, corsi di aggiornamento e per coreografi. Un invito di altissimo valore per chiunque operi nella danza e voglia migliorare il proprio bagaglio culturale. Per informazioni sul lavoro di Sonia Nifosi e contatti, visitare il sito internet www.sonianifosi.it o scrivere a info@sonianifosi.it. * Member ICDF - CID UNESCO - FTBM Mentoring Program Student Holy Dance Academy Director - SCB Teacher www.alessandrabedin.net - alessandra@alessandrabedin.net Tel. 0039.0423.64068 - 0039.349.7769667

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Un racconto per sognare

La prima notte di Alessandro Fort

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ole entrò in collegio a sette anni. La madre era morta da pochi mesi ed il padre, una sera di febbraio, si limitò a consegnarla all’Istituto delle Orfanelle. Di quel momento, con servò il freddo che le attraversava la mantellina e la figura che si allontanava senza voltarsi. Una suora la condusse in un ufficio e la fece sedere: “Ferma lì e stai su, che diventi gobba”, la rimproverò. Rimase talmente impaurita da provar la voglia di piangere che pur aveva represso sin dal momento in cui il padre se ne era andato. Incapace di leggere l’orologio, percepì il trascorrere del tempo dall’intensità del dolore alla schiena. Ripensò ai suoi amici che in quel momento erano nel cortile e proprio quando la schiena stette per cedere e avevano cominciato a farle male pure le gambe, arrivò un’altra suora. Era robusta, con l’espressione arrabbiata come se avesse litigato fino a qualche istante prima. Jole venne trascinata in un altro corridoio lungo il quale erano collocate numerose stanze, all’interno della seconda fu posta su di uno sgabello di ferro. In quella posizione seguì il passare delle forbici che le solcarono i lunghi capelli neri che tutti le dicevano aver ereditato dalla nonna. Vide le sue chiome cadere a terra rimbalzando sulla mantellina, sulle ginocchia e sulle scarpe prima di adagiarsi sul pavimento. Poi venne appoggiata su un bancone. Avvertì lo sguardo della religiosa squadrarla dalla testa ai piedi e dopo qualche secondo voltarsi a prendere degli abiti che sbatté con forza accanto a lei. Riportata a terra da mani giganti, venne accompagnata nei bagni. “Il sapone lo trovi dentro, qui non vogliamo pidocchi”, l’ammonì. L’aria gelida l’avvolse facendola tremare e una volta nuda riuscì, a fatica, a salire sulla piattaforma di marmo bianco, posta sotto la doccia, con cinque fori al centro. Notò il rubinetto e una tavoletta di legno fissata alla parete, con una saponetta consumata. Guardò la sua mano afferrarla e avvicinarla all’altra per fare un po’ di schiuma che si passò dappertutto. L’immagine della mamma le attraversò la mente illudendola di non essere lì, ma solo per pochi istanti. L’acqua fredda si rovesciò sulla testa,

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sulle spalle e sul resto del corpo fino ai piedi, sentì la pelle attraversata da migliaia di aghi. Il contatto con l’asciugamano le sembrò una cosa meravigliosa, ma una forza improvvisa le strappò quella misera fonte di calore e le diede i vestiti da indossare: freddi, ruvidi e sconosciuti. Nel percorso a ritroso, si specchiò su una vetrata individuando una bambina che non conosceva, con gli occhi smarriti, chi era quella bambina? Le porte e i corridoi, le sale e i quadri con visi che la guardavano severi, le vennero incontro senza più distinguersi fra loro. Davanti ad una porta sentì provenire un buon odore, le sembrò di riconoscere quello della casa accanto alla sua, dove vivevano le sue amiche. La porta si spalancò e una suora dagli occhi azzurri la guardò sorridendo. “Come ti chiami?”, le chiese abbassandosi. Udì il suo nome pronunciato da chi l’aveva accompagnata, lei riuscì solo ad annuire. Entrò in una sala dove c’erano dei tavoli. “Mettiti qui”, le disse la voce gentile. Pochi minuti dopo comparve un piatto colmo di una minestra fumante. Osservò gli occhi buoni della suora, poi prese il cucchiaio e lo immerse, lo portò alla bocca e apprezzò il sapore delle verdure. Appena ebbe finito, la monaca le collocò una mano sulla spalla: “Adesso vai a dormire, domani mattina conoscerai tante amiche nuove”. Riattraversò sale, stanze e corridoi avvolti dal buio appena rischiarato dalle scarse luci delle candele. In un salone intravide due file di letti, la suora l’aiutò a infilarsi sotto le lenzuola dove non riuscì ad annusare il profumo di lavanda del suo cuscino. Sentì solo i bisbigli provenire dagli altri letti. Provò le lenzuola gelide e allora fece quello che le aveva insegnato la mamma. Si ficcò più sotto, fino a coprire anche la testa per scaldarsi con il respiro. Pose le mani ghiacciate fra le gambe e prestò attenzione ai bisbigli che si andavano spegnendo. Rimase ad ascoltare gli altri rumori di una notte che non conosceva e che le faceva tanta paura, quanto il pensiero di dover rimanere in quel posto per chissà quanto tempo. Dedicato a tutti quelli che un giorno si sono ritrovati soli, lontani da casa, in un luogo sconosciuto.


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RUBRICHE INTERNAZIONALIZZANDO

di Tiziano Dall'Omo*

Fare business (e soldi) in Romania, è ancora possibile?

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rima di cercare di intraprendere un qualsiasi tipo di business in Romania, l’imprenditore italiano dovrebbe fare un piccolo check-up rispondendo a queste domande: 1. Sono un imprenditore? Ovvero: possiedo un background di studi ed esperienza che mi consentano di avviare e gestire un business? 2. Dispongo di capitale? La Romania è un paese abbastanza costoso, dove esistono forti incentivi per gli investimenti. Per ottenerli, occorre prima fare gli investimenti. Scordatevi di andare lì con le idee e costruire qualcosa con i Fondi Europei. 3. Sono in grado di resistere per almeno cinque anni, anche se gli affari, all’inizio, non andassero troppo bene? Arrivando da buoni ultimi in un Paese in piena evoluzione, spesso si scelgono strade che si riveleranno redditizie sì, ma nel tempo. Purtroppo, in Romania il tempo è un concetto estremamente indefinito. 4. Posso condurre i miei affari restando

in Romania? L’imprenditore che si sposta quattro giorni al mese non riuscirà. Le caratteristiche del mondo degli affari e dei rapporti interpersonali in Romania, infatti, richiedono una presenza assidua dell’imprenditore o di personale, italiano, da lui delegato. Immaginate di fare così in Italia: non funzionerebbe mai. Ma la domanda principale e apparentemente semplice che più influenzerà la riuscita dei vostri affari in Romania è: a chi mi affido? Due errori: l’errore più diffuso è quello di ricavare indirizzi da internet: molti studi contabili che dichiarano di parlare l’italiano in realtà mentono e, capitemi bene, succede anche in altri Paesi, beninteso. Negli ultimi anni, gran parte del mio tempo l’ho spesa a cercare di togliere dai guai imprese impantanate in errori di traduzione, bilanci illeggibili, controlli fiscali e false aspettative; l’altro errore fatale è quello di aprire un’azienda in Romania “perché ho un amico/amica di origine ro-

mena che vuole tornare a casa e mi seguirebbe il tutto”. Uno che si scelglie i collaboratori sulla base delle qualifiche e delle capacità, calcola il break even point e arriva in ufficio prima dei dipendenti uscendone dopo non farebbe mai questo discorso. Ecco un’idea che ogni imprenditore dovrebbe prendere in considerazione: in Italia mi comporterei come ho intenzione di comportarmi in Romania? Se la risposta è no, lasciate perdere, vi costa molto meno; se invece è sì, lasciate perdere anche in Italia.

*Tiziano Dall’Omo è Presidente della Dall’Omo & Associati, impresa di Consulenza Internazionale con sedi a Treviso e a Lugano, che conta numerosi professionisti associati in Italia e in varie parti del mondo, da Budapest a Damasco, da Adelaide a Johannesburg a Delhi. Per saperne di più www.dallomoeassociati.eu, oppure www. eurofunding.biz

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di Andrea Roffarè* Tel. 0422.481090 - a.roffa@gmail.com - www.studio-bordignon.it IL CONSULENTE PER LE RISORSE UMANE

Guida alle prestazioni a sostegno del reddito

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ista la situazione contingente del mercato del lavoro, di seguito, riepiloghiamo quali sono le principali misure concesse dallo Stato, per il tramite dell’Inps, per sostenere economicamente il lavoratore e la sua famiglia. L’articolo non ha la pretesa di essere esaustivo (visto lo spazio ridotto e la complessa articolazione della materia), ma è un semplice vademecum per orientarsi in maniera più consapevole. Indennità di disoccupazione ordinaria: è riconosciuta ai lavoratori assicurati contro la disoccupazione involontaria, licenziati o che abbiano cessato un contratto a termine. Requisiti: 52 settimane di contribuzione da lavoro dipendente nel biennio precedente la data di licenziamento ed essere stato assicurato contro la disoccupazione involontaria. Indennità di disoccupazione ordinaria per lavoratori sospesi per crisi aziendali e occupazionali: è riconosciuta ai lavoratori assicurati contro la disoccupazione involontaria, sospesi dal lavoro, per crisi aziendale ed occupazionale, da aziende non destinatarie per settore o dimensione di: C.I.G ordinaria, C.I.G. straordinaria, C.I.G edilizia, C.I.G. agricola. Requisiti: i medesimi per l’indennità di disoccupazione ordinaria. Indennità di disoccupazione a requisiti ridotti per lavoratori licenziati: ha la finalità di indennizzare i periodi di non occupazione dei lavoratori che hanno svolto lavori brevi e discontinui e non raggiungono il requisito di contribuzione mini-

mo richiesto per ottenere l’indennità di disoccupazione ordinaria. Requisiti: aver lavorato, nell’anno di riferimento, almeno 78 giornate, comprese le festività e le giornate di assenza indennizzate (malattia, maternità, ferie ecc…) ed essere assicurato contro la disoccupazione involontaria da almeno due anni. Indennità di disoccupazione a requisiti ridotti per lavoratori sospesi per crisi aziendali e occupazionali: ha l’obiettivo di indennizzare i periodi di non occupazione dei lavoratori sospesi da aziende non destinatarie per settore o dimensione di Cig ordinaria, Cig straordinaria che non raggiungono il requisito di contribuzione minimo richiesto per ottenere l’indennità di disoccupazione ordinaria. Indennità di mobilità: garantisce un trattamento economico sostitutivo della retribuzione ai lavoratori licenziati da aziende con più di 15 dipendenti che hanno intrapreso procedure di licenziamento collettivo a seguito di esaurimento della CIGS o licenziamento per riduzione di personale, trasformazione, cessazione di attività. Non spetta ai dipendenti delle imprese edili (spetta, comunque, un trattamento di disoccupazione speciale per l’edilizia equivalente all’indennità di mobilità), dirigenti, apprendisti, lavoratori con contratto a tempo determinato, lavoratori stagionali e dipendenti di datori di lavoro non imprenditori (es: associazioni politiche o sindacali, associazioni di volontariato, gli enti senza fine di lucro, gli studi professionali);

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Indennità per co.co.pro. - co.co.co. : è un nuovo strumento di sostegno al reddito in favore dei collaboratori coordinati e continuativi e collaboratori a progetto che viene riconosciuta nel caso di fine lavoro. Cassa integrazione ordinaria/straordinaria: garantisce al lavoratore un reddito sostitutivo della retribuzione, nel caso di sospensione dal lavoro o riduzione dell’orario di lavoro dovuta ad eventi transitori e/o situazioni temporanee di mercato non imputabili all’imprenditore o ai lavoratori. Spetta ai lavoratori assunti a tempo indeterminato o a termine. Contratto di solidarietà: istituito dalla L.863/84 ed integrato dalla L. 236/93, si articola in speciali contratti collettivi aziendali che comportano la riduzione dell’orario di lavoro e della relativa retribuzione. Possono essere difensivi, nel caso in cui la riduzione dell’orario di lavoro sia finalizzata ad evitare la riduzione di personale, oppure espansivi, quando la riduzione dell’orario di lavoro sia preordinata ad assumere nuovo personale a tempo indeterminato. Incentivi all’autoimprenditorialità: il lavoratore percettore di indennità di disoccupazione può richiedere all’INPS la riscossione dell’indennità in un’unica soluzione nel caso in cui intenda intraprendere un’attività’ di lavoro autonomo, avviare un’attività autoimprenditoriale o una micro impresa oppure associarsi in cooperativa. * Consulente delle risorse umane e docente

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Farsi una bella risata… la medicina più efficace.

umorismo è una gran cosa, è quello che ci salva. Non appena spunta, tutte le nostre irritazioni, tutti i nostri risentimenti scivolano via, e al posto loro sorge uno spirito solare” (Mark Twain). Ridere fa bene, lo dicono molti detti popolari, e infatti la frase “il riso fa buon sangue” è dimostrabile scientificamente. Le persone che riescono a trovare il lato buffo delle situazioni, degli altri e di se stessi, vivono meglio e più a lungo. Un ritardo, un imprevisto, una persona che ci infastidisce, un oggetto che ci cade dalle mani e che si rompe, il cellulare che non funziona, possono essere circostanze su cui ridere anziché indurci a pensare che siamo sfortunati. Prendere le cose senza drammatizzare e scoprire anche il lato divertente della vita, scatena in noi un’energia tale da farci superare qualsiasi ostacolo. Riusciamo ad utilizzare tutte le risorse disponibili e a trovare soluzioni creative. Di conseguenza ci sentiamo più contenti di noi stessi e pronti ad affrontare meglio qualsiasi avversità. Anche dal punto di vista fisico la risata provoca dei cambiamenti: lo stato di piacere legato ad essa scatena le endorfine, sostanze prodotte dal nostro organismo

che aiutano il nostro corpo a rafforzare il sistema immunitario. Il risultato è che siamo più forti e ci ammaliamo di meno. Anche i lineamenti del nostro viso si rilassano, la pelle è più distesa e luminosa. La risata scarica la tensione e la notte dormiamo di più con il risultato che l’aspetto fisico migliora tanto da essere piacevoli sia ai nostri occhi che a quelli degli altri, dandoci maggiori opportunità di socializzazione. L’umorismo fa parte del carattere: far ridere e saper ridere, richiede la capacità di perdere temporaneamente il controllo dell’adulto per lasciar spazio al bambino. I film comici e le barzellette per esempio hanno un ruolo fondamentale nella nostra vita: ci fanno ridere e quindi ci fanno stare bene. Non dobbiamo preoccuparci di sprecare alle volte il nostro tempo in cose apparentemente stupide e inutili. A Natale è uscito il film “La banda dei Babbi Natale” con Aldo Giovanni e Giacomo. La storia non era un gran che, ma ha fatto ridere molte persone con molte battute originali e la simpatia dei personaggi. Anche questo può essere un buon risultato! Ridere non significa essere degli irresponsabili superficiali, ma essere capaci di aiutarci ad affrontare con più leggerezza un

problema che non troverebbe soluzione in preda ad una crisi di sconforto, la depressione porta ad uno stato di apatia e ad un atteggiamento distruttivo. La persona che ride sempre non è considerata affidabile perché dà l’impressione di non prendere sul serio le questioni della vita. Questo comportamento è indice di superficialità e noi stessi non confideremmo mai un problema o non chiederemmo mai un consiglio a un tal tipo di persona. Saper ridere al momento opportuno significa capire cosa sta succedendo e riuscire a trovare una soluzione intelligente: la persona superficiale, al contrario, ridendo in qualsiasi occasione, non capisce e rimanda a domani quello che potrebbe fare subito. Anche Shakespeare, parlando della vita, diceva che essa può essere vissuta come una tragedia o come una commedia: dipende dai punti di vista. In questo caso sarebbe utile guardare la vita dall’alto: tutto ci apparirebbe così piccolo e relativo e alle volte così comico da meritare una risata! Spesso i problemi vengono ingigantiti più del dovuto: noi non ce ne rendiamo conto, ma la nostra mente alle volte ci fa degli scherzi e magari ride anche di noi!

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Coraggio e Viltà

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l coraggio uno non se lo può dare diceva nei Promessi Sposi un rassegnato Don Abbondio al Cardinale Federigo Borromeo per giustificare il suo comportamento pusillanime nei confronti di Renzo e Lucia. Don Abbondio non era nato con un cuor di leone, scriveva Manzoni sottolineando con questa espressione un vivere nella paura, nel timore del pericolo, un sentire ostacoli e insidie in ogni cosa. Grafologicamente, trovo affascinante la lettura psicologica che Padre Girolamo Moretti, il padre della grafologia italiana, diede a questo tratto di personalità. Il coraggio può prendere le forme di colui che si sente forte e non crede al pericolo. La sua muscolatura sarà tesa, non oscillante, i movimenti saranno concisi e incisivi. Il gesto grafico seguirà lo stesso impulso imperioso ed essenziale. Il coraggio può prendere le forme di colui che crede al pericolo ma non ne fa conto e ne ha disprezzo. La sua muscolatura sarà tesa da un’irritabilità continua che altro non è che la tenacia irragionevole della lotta. Il gesto grafico si districherà in un tracciato segnato da spiccate angolosità. Il coraggio può prendere le forme di colui

che sente il pericolo ma lo supera, spin-

to da sentimenti superiori. È qualcosa di più complesso del disprezzo della morte (che accomuna invece le due precedenti tendenze innate al coraggio); tale modalità di coraggio implica il mantenere il proprio Io integro, capace di rimanere sui binari della volontà. Padre Moretti lo paragonava alla fedeltà del cane verso il proprio padrone; il cane di guardia alla casa del proprio padrone nonostante avverta il pericolo, si avventa sui ladri, compiendo il suo dovere fino alla morte. Sono la volontà e la fedeltà al suo padrone a indurlo a combattere, altrimenti fuggirebbe non rischiando la vita. È un coraggio che può contenere in sé la compassione, la prudenza, anche la re-

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missività, purché l’Io non rinneghi mai se stesso, sia in grado quindi di mantenersi saldo alla propria volontà. Il gesto grafico sarà altrettanto complesso, ma il tracciato pur non presentando rigidità di sorta, rimanderà all’occhio un’immagine di fermezza. E chi il coraggio non se lo può dare? Anche qui Padre Moretti colse distintamente le varie sfumature della viltà, dalla vigliaccheria, quale egoismo diretto da un’intelligenza poco attiva, alla paura nelle sue sfaccettature definite spavento e terrore. Lo spavento paralizza l’individuo, il terrore dà le ali per sfuggire. Grafologicamente, la paura paralizzante si ripercuote in un gesto grafico che si inceppa e arrestandosi origina delle piccole macchie di inchiostro (definite intozzature). Il terrore implica invece uno scatto repentino, e la gestualità grafomotoria ne seguirà la natura. Della grafia che segue, sottoposta in maniera anonima a Padre Moretti, egli disse che si trattava di un tipo emotivo e che in un primo tempo aveva paura. La grafia era di Benito Mussolini. * Grafologa - Consulente tecnico e Perito del Tribunale di Treviso

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L’ARTE DEL COMBATTERE

di Luca Bertoncello*

Conoscere se stessi

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onosco veramente me stesso e le mie capacità? Cosa riuscirei a fare se…? Se mi capitasse una situazione cosi, come reagirei? È importante porsi questi quesiti per il semplice fatto che se non conosciamo noi stessi, non riusciremo mai a conoscere e capire gli altri, nemmeno in modesta misura. Molte volte si fa confusione tra coscienza e conoscenza. C’è invece una netta distinzione tra i due termini. La coscienza rappresenta il prendere atto di chi siamo, senza però oltremodo sviluppare tale concezione per accrescere quello che è invece importante avere come scopo ultimo della nostra vita: la conoscenza di noi stessi. Conoscersi significa fondamentalmente sapere come reagisce il nostro corpo e la nostra mente a degli input che ci vengono forniti, anche quotidianamente, e in qualsivoglia situazione ambientale. Ciò si può tranquillamente suddividere in due macrosettori: la conoscenza mentale e corporale. La conoscenza mentale riguarda il nostro modo di approcciare, sviluppare e concludere una ben precisa situazione che ci possiamo trovare davanti. Come reagiamo, per ipotesi, ad un’aggressione verbale in una lite tra colleghi di lavoro o con dei vicini di casa? È di certo una situazione che è capitata a tutti, ed è molto utile come esempio al fine di farci riflettere su come ci comporteremo davanti ad una simile situazione. Il risultato di questo ragionamento ci fa capire a che punto siamo posizionati nella mappa del nostro percorso personale alla ricerca della conoscenza di noi stessi. La conoscenza corporale lavora in simbiosi con quella mentale, a cui è strettamente collegata. Ma volendo scindere le due cose e darne una spiegazione, essa dimostra di fatto il livello di conoscenza del nostro corpo, ovvero del

veicolo che ci permette di camminare, viaggiare e relazionarci con gli altri. È opportuno quindi conoscere come esso funziona, e saper leggere i vari segnali che ci trasmette incontinuazione. Non è fondamentale avere una cultura avanzata per possedere la conoscenza corporale. È però importante capire cosa succede e come risponde il nostro corpo, i muscoli e le articolazioni, in tutte le situazioni in cui mi trovo a dover far lavorare questa nostra perfetta macchina. Come fare a far crescere queste nostre conoscenze di noi stessi? Il modo migliore è trovare quello che comunemente si chiama “Maestro” o “Guida”. Una persona che ci faccia capire e conoscere chi siamo, attraverso vari elementi ed esercizi, sia mentali che corporali. Assimilare l’Arte del Combattere, attraverso la pratica del Reef Line System, è la strada che ci permette di arrivare a scoprire le nostre capacità fisiche e mentali, ed averne padronanza… E quindi finalmente possedere la conoscenza. (Condensato del testo di Master Paul Tang “Conoscenza o presunta tale”). * VTA Official Trainer - website: http://www.vta-i.org e http://www.lucabertoncello.com e-mail: luba.brt@alice.it - cell. +39.349.7517457

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SPORT

XV Memorial Chiara Giavi Quattro borse di studio per studenti-sportivi meritevoli

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a avuto luogo il 6 gennaio 2011 il 15’ Memorial Internazionale di Nuoto “Chiara Giavi” presso le piscine comunali di Montebelluna durante il quale sono state assegnate quattro borse di studio, intitolate a Chiara, a giovani meritevoli sia nella scuola che nello sport. Vincitori delle quattro borse di studio da 1.300 euro cadauna sono risultati Elisabetta Colbertaldo di

Montebelluna che si è distinta nell’atletica leggera, Alessandra Durigon syncronette di Vedelago, Andrea Girotto pattinatore trevigiano, e Giulia Alessandra Viola di Musano, premiata per i suoi risultati nell’atletica. Sono 54 i giovani che dal 1997 ad oggi hanno vimto questa borsa di studio, istituita per ricordare una giovanissima campionessa di nuoto che nella sua breve vita

A Colleferro Younes Elmofid è Campione italiano di kumite Esordienti A

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rande gara di Younes Elmofid domenica 19 dicembre alla finale nazionale dei Campionati italiani esordienti A (12-13 anni) a Colleferro (Roma). Younes supera quattro difficili incontri dimostrando tutto il suo valore! Nel primo incontro della fase eliminatoria vince 2 a 1 contro il romano Alessandro Iorio del System Fitness Sporting; nel secondo incontro ha la meglio su Davide Patrono del A.S.D. Karate Team Gravellona di Viterbo con un largo 3 a 0; nella semifinale tutta trevigiana vince ancora con tre lunghezze contro Rudy Menegaldo dell’A.S.D. Studio Karate Ju Jitsu 2002. In finale incontra Antonio Della Volpe, atleta napoletano del Centro Ginnico Pielle, che proprio la settimana scorsa era riuscito a battere Younes agli Open di Campania. Younes è quindi determinato a prendersi la rivincita. Parte subito tenendo un ritmo frenetico che l’avversario non riesce a reggere e piazza subito un paio di tecniche vincenti di gambe. L’atleta castellano mantiene un ritmo molto elevato per tutta la durata del combattimento rispondendo a tutti gli attacchi dell’avversario e alla fine, a soli 13 anni, conquista il titolo di Campione italiano esordienti A. “Younes si è allenato seriemente e con grande umiltà tutto l’anno – spiega il direttore tecnico Niki Mardegan – a Milano per gli Open d’Italia (aprile 2010) era preparatissimo e ha vinto

un importante bronzo perdendo solo contro l’atleta napoletano Pagano. A Napoli la scorsa settimana ha battuto questo forte atleta dimostrando grande preparazione e volontà di vincere”!

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ITINERARI Itinerari di Cesare Biadene* e-mail: cbiadene@fastwebnet.it

Calà del Sasso

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embra che sia l’opera più lunga del mondo nel suo genere: una scala di 4444 gradini che supera più di 700 metri di dislivello, una scalona larga e geometrica, che risale dalla Valsugana su fino all’altipiano di Asiago partendo dai pressi di Valstagna. Osserva acutamente Rumiz che in qualsiasi paese europeo una simile formidabile opera sarebbe molto più conosciuta, celebrata, conservata con cura fino a diventare un vero e proprio museo all’aperto, anche perché è un’opera storica, la cui costruzione fu ordinata da Giangaleazzo Visconti alla fine del 1300. L’antica scala è praticamente visibile nella sua forma originale. Come spiega il suo stesso nome, “Calà”, serviva essenzialmente a calare il legname dall’altopiano (vedi ad es. il toponimo “col dei remi”) e quindi è un percorso che si dovrebbe fare in discesa. È troppo lungo qui raccontarne le varie vicende, sulla quali rimandiamo alla copiosa documentazione reperibile anche in internet, e passiamo alla descrizione del nostro itinerario, che percorreremo prima in salita. Dal parcheggio sulla strada per Foza ci inoltriamo a piedi per la val Frenzela (praticamente una gola intagliata tra pareti rocciose), e raggiungiamo, in 20 minuti di strada sterrata pianeggiante, la Fonte Bessele, dove un gazebo di legno segna l’inizio della grande

scala di pietra. Il selciato è sempre calcareo e sale regolarmente, e dove è possibile con rampe rettilinee con una pendenza del 20 e passa per cento; in genere la parte verso la montagna è a gradini (lunghi 30 centimetri e alti 10), mentre lo scivolo per i tronchi è lastricato con pietre più grandi ed è un po’ scavata. Certo non si possono osservare grandi panorami anche perché la vegetazione è fitta e quasi sempre si cammina all’ombra, ma il fascino della camminata consiste nella scoperta di un’opera di grande valore storico. Lungo il percorso incontriamo presto a sinistra presto un bivio per la vecchia “alta via del tabacco” e molto più avanti il sentiero 778 b, che devia a destra e conduce al borghetto di Mori - che fa parte della frazione di Sasso d’Asiago - e che permette eventualmente di compiere un piccolo anello. A metà salita incontriamo l’edicola di S. Antonio. Qui come in altri punti si può prendere fiato, ammirando sempre la grandiosa costruzione, eccezionale dove si notano i grandi muraglioni in pietra che sostengono il ripiano della scalinata. Alla fine dell’ascesa il paesaggio cambia completamente, perché siamo sull’altipiano e sbuchiamo su un riposante prato con gazebo, presso la Val Scausse. Qui termina la gita e in genere si ritorna per la stessa strada. Però sono possibili delle varianti: si può andare all’abitato di Sasso a quota 955 metri – e poi scendere, come detto, da Mori, oppure salire ancora verso le malghe Posta e la cima del Col d’Astiago e di qui scendere a Valstagna per il sentiero 775, detto del “Vu”. Ma quest’ultimo percorso è piuttosto lungo e presenta tratti esposti. Per l’escursione della sola Calà vera

e propria si possono usare anche scarpe basse, con suola scolpita, facendo attenzione se il fondo è bagnato o addirittura ghiacciato. Come già detto, la salita è regolare, senza strappi - ha solo due rampe più ripide e qualche tratto rovinato che costringe a superare dei gradoni – per cui non è certo faticosa per chi è allenato. Considerazione finale: chi non conosce di persona la Calà deve visitarla almeno una volta! Immagini: 1: Val Frenzela 2: Calà del sasso * Escursionista e alpinista. Foto di Cesare Biadene

Accesso: : da Valstagna in Valsugana. Parcheggio al secondo tornante della provinciale Valstagna-Foza (221m), dove inizia la strada sterrata che si inoltra nella Val Frenzela. Segnavia 778. Dislivello: 710 metri circa. Tempo di percorrenza: circa 2 ore per la salita. Difficoltà: nessuna, e niente esposizione. Attenzione in caso di pietre e foglie bagnate in discesa

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Oasi Fontane Bianche a cura di Daniele Genovese - www.timetotravel.it

L’

Oasi Fontane Bianche è situata a Fontigo vicino Farra di Soligo. Alla rotonda di Falzé di Piave si imbocca la strada verso Fontigo/Vidor e dopo circa 800 m sulla sinistra si prende la stradina di campagna (tabella segnaletica) che ci conduce in questo luogo. Ci sono due parcheggi: il primo vicino al mulino vecchio e l’altro proprio all’entrata dell’oasi per un totale di circa venti posti auto. È un’area naturalistica compresa tra il terrazzo fluviale e l’alveo del fiume Piave in una zona dove le acque di falda della piana del Quartier del Piave emergono in superficie sgorgando per tutto l’anno. Il percorso circolare della durata di un’ora e mezza/ due è esclusivamente pedonale e attraversa il bosco golenale tra risorgive e specchi d’acqua che creano degli scorci veramente incantevoli. Le stagioni più indicate per visitare questo luogo sono l’autunno per osservare gli uccelli migratori (martin pescatore, germano reale, airone cinerino) e la primavera per la fioritura della flora locale (orchidee, olivello spinoso, salice bianco)... ma credo che anche d’estate qui si possa trovare riparo dalla calura. Oltrepassato su passerella il guado Barnes, si entra nell’oasi e ci si dirige verso destra entrando nel bosco golenale, il tragitto è sempre ben segnalato e non presenta alcuna difficoltà. In breve tempo si arriva al punto di osservazione degli aironi cinerini e poco dopo

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alla torre di osservazione degli uccelli migratori che al suo interno contiene un pannello illustrativo sulle specie più rappresentative del posto. Scesi dalla torre si prosegue lungo il tragitto sempre accompagnati dal fragore delle acque; se ogni tanto vi fermate a scrutare al loro “interno” potete anche intravedere qualche trota e uno strano insetto, del quale non ricordo il nome, che si muove nelle acque creando delle strane figure. Poco prima di completare il percorso si passa davanti a un capanno, dove è possibile fare una sosta, e a una sorta di penisola attrezzata con panchine e tavoli dove al tramonto il sole crea strani giochi di luce e dove vi invito a soffermarvi a guardare lo scorrere delle acque per notarne la purezza; in certi punti sembra che sul greto del fiume siano stati posati apposta dei sassi per creare un

effetto pavimento. Per vedere ulteriori foto potete visitare il mio sito www.timetotravel.it


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EL SALVADOR

Emozioni di viaggio

E

l Salvador è un piccolo stato dell’America Centrale che confina a Nord con il Guatemala e l’Honduras e si affaccia a Sud verso l’Oceano Pacifico con 300 km di spiagge. L’estensione è di Kmq 21.000. Gli abitanti sono circa sette milioni. La capitale è San Salvador, con circa 1.500.000 abitanti. Nell’anno 1525 il Paese subì l’invasione spagnola con Pedro de Alvarado, e conquistò l’indipendenza dalla Spagna dopo quasi tre secoli, nell’anno 1821. Dal 1980 al 1992 ci fu una feroce guerra civile, con migliaia di morti, che lasciò il paese sul lastrico. Dal 1992 i governi si susseguono con elezioni regolari senza

gravi incidenti. El Salvador è ricchissimo di vulcani, laghi, montagne, parchi e riserve naturali con una gran varietà di specie animali e vegetali, vasti boschi con pini, cipressi e animali rari. Molto Interessanti sono pure i vari siti archeologici Maya e Olmechi. Vi si trovano moltissimi alberghi e ristoranti di lusso, ed enormi centri commerciali. Grazie a queste e ad altre attrazioni, il turismo sta prendendo ogni giorno più consistenza. Nel 2008 ci sono stati 1.800.000 visitatori. L’aeroporto di San Salvador ,Comalapa, è stato rimodernato ed ampliato consentendo l’atterraggio di aerei a lungo raggio. Ad Acajutla c’è pure

un importante porto maríttimo. Per le feste di Natale strade, negozi, alberi ecc. sono addobbati di luci veramente belle, ci sono babbi Natale in tutti i giardini, carri allegorici pieni di bambini che percorrono le vie. Per la settimana santa, invece, chiudono alcune strade in quasi tutti i paesi per creare sull’asfalto dei disegni con i petali di fiori (tipo infiorate di Spello in Italia) e processioni numerose e veramente sentite. Le principali esportazioni sono: caffè, zucchero, tessili e altro. Il clima è generalmente caldo secco, solo da maggio a ottobre è piovoso. Le strade sono abbastanza buone e larghe, il traffico è intenso specie nelle città e l’aria quindi non è proprio pulita. La gente è molto buona e affabile, disponibile per qualsiasi aiuto; anche se la povertà è alta, è però dignitosa. Consigliabile una escursione per vedere qualcosa di naturale in tutti i sensi, non certo da paragonare a Miami o Rio de Janeiro, o alla nostra Riviera Adriatica… Bruno Murer

Il paradiso dei golosi

da Udy Cagnetta: croccanti delizie e fontane di cioccolato catering dolciario per tutte le occasioni Buona Pasqua! 61


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LETTERE

lluvione in Veneto: interrogazione per togliere la “tassa sulla solidarietà”. “Ho presentato al Ministro dell’Economia e delle Finanze un’interrogazione parlamentare per segnalare l’anomalia che prevede la tassazione delle somme ricevute in beneficenza dalle aziende colpite dalla recente alluvione in Veneto, confidando in una pronta calendarizzazione in Commissione Finanze ed in una rapida e risolutiva risposta da parte del Ministro”. Massimo Bitonci, deputato della Lega Nord, dopo aver rilevato l’assurda norma che prevede la tassazione delle somme ricevute dalle imprese danneggiate, considerate alla stregua di redditi di impresa, ha predisposto e depositato un’apposita interrogazione, per conoscere i provvedimenti che il Governo intende assumere per eliminare tale ingiustizia: “Questa situazione – commenta Bitonci - risulta palesemente assurda, in quanto le donazioni verrebbero tassate alla stessa stregua dei ricavi di esercizio, aggiungendo al danno subito a causa degli eventi alluvionali anche la beffa di pagare le tasse sulla beneficenza ricevuta. Mi sembra necessario un intervento urgente da parte del Governo per escludere da imposizione fiscale tutte le donazioni ricevute da parte delle famiglie e dalle imprese colpite dall’alluvione. Le somme ricevute in beneficenza, infatti, devono essere trattate alla stessa stregua dei contributi erogati dal Commissario straordinario delegato dal Governo, e cioè non devono assolutamente concorrere a formare reddito d’impresa”. Confidiamo in un aggiornamento positivo.

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remesso che appartengo alla folta schiera degli elettori di destra sostanzialmente delusi dall’operato di questo governo (non si vedono riforme degne di questo nome), ancora non ho capito perché quando ci sono delle contestazioni ad un convegno del Pd (vedi uova contro Bonanni) queste ultime sono “azioni squadristiche”, mentre quando le contestazioni, sempre a base di uova, sono fatte ai danni di un governo legittimamente eletto, queste diventano “manifestazioni democratiche”. Qualcuno potrebbe illuminarmi? Gianni Pellizzari Caro Gianni, ci sono uova e uova: è evidente! Dipende sempre dal punto di vista.

funzioni di rappresentanza, sul palco con le massime autorità dello Stato: se una persona non riesce a controllare i propri malvagi istinti nemmeno in presenza frontale di centinaia di giornalisti e fotografi, non serve fare tante discussioni pro o contro bisogna solo dichiararlo non sano di mente e rinchiuderlo in una sua clinica con tutte le sue conquiste amorose. Non sarà previsto dalle nostre numerose Leggi ma dovrà essere inserito un articolo che prevede la decadenza immediata da pubbliche funzioni di chi si macchia di un comportamento disonorevole per un qualsiasi personaggio pubblico: Sindaco, Presidente, Governatore, Ministro, Giudici, e anche giù, giù fino all’usciere. Cordialmente. Francesco Agnolazza Gentile Signor Francesco, la Sua lettera non ha bisogno di commento.

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entile signora Giuliana, sono confusa! La nostalgia che ho del mio paese mi fa spontaneamente esprimere in modo un po’ particolare quello che provo e sfogliare il suo giornale mi ha aiutato a riscoprire in modo piacevole i luoghi dei miei ricordi. Sono partita da Montebelluna nel lontano 1958 per un soggiorno linguistico di un anno e... sono ancora qui! Il destino a volte ci porta per sentieri che non avevamo proprio previsto e le nuove scoperte non cancellano certo i vecchi ricordi. Ho lasciato un paese che a quell’epoca si stava ancora rimettendo dei danni della guerra e ora lo ritrovo molto cambiato; forse lo avrei sognato diverso perché son rimasta molto legata alla natura e la zona è ancora molto ricca di verde e di acqua, ma ora è anche molto ... costruita! Certo che non si può avere tutto e se si deve seguire l’evoluzione del lavoro e di tutto quello che ci ruota intorno bisogna accettare anche che ci siano case, strade, rotatorie, ma nell’insieme mi sembra che ci sono molte persone che si attivano perché tutto si sviluppi con un corollario di svariate attività che rendono senz’altro piacevole la vita a Montebelluna. A volte basta poco per ravvivare altre immagini e quando con gli auguri ho ricevuto questo bigliettino, subito ho rivisto Piazza dei Grani anni ‘50 al momento dei festeggiamenti: delle coppie osavano!!! ballare bughi bughi e charleston!!! Certo non avevano

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risi Non pretendiamo che le cose cambino, se facciamo sempre la stessa cosa. La crisi è la migliore benedizione che può arrivare a persone e Paesi, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dalle difficoltà nello stesso modo che il giorno nasce dalla notte oscura. È dalla crisi che nascono l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato. Chi attribuisce alla crisi i propri insuccessi e disagi, inibisce il proprio talento e ha più rispetto dei problemi che delle soluzioni. La vera crisi è la crisi dell’incompetenza. La convenienza delle persone e dei Paesi è di trovare soluzioni e vie d’uscita. Senza crisi non ci sono sfide, e senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non ci sono meriti. È dalla crisi che affiora il meglio di ciascuno, poiché senza crisi ogni vento è una carezza. Parlare della crisi significa promuoverla e non nominarla vuol dire esaltare il conformismo. Invece di ciò dobbiamo lavorare duro. Terminiamo definitivamente con l’unica crisi che ci minaccia, cioè la tragedia di non voler lottare per superarla. (Albert Einstein - 1955) da una e-mail di Giorgio Lanaro

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pett.le redazione, ho rivisto ieri in TV l’espressione del Capo del Governo assunta in occasione della sfilata del 2 Giugno delle Forze Armate al momento del passaggio dell’Ufficiale delle Crocerossine in testa al plotone, una donna. È l’espressione di un “lurido puttaniere” o come ebbe a dire un direttore del Giornale “vecchio porco”come può essere solo uno che vedendo una bella donna non pensa che ad una femmina da usare e non vedere in Lei una Signora, una Madre, una Sorella, una Figlia, una Nipote data la sua vecchiaia. Comportamento non degno di un Primo Ministro nell’esercizio delle sue alte

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pantaloni attillati, ma le gonne che ruotavano in aria!!! E noi bambini ci divertivamo a vedere tra l’altro anche l’aria scandalizzata delle persone per bene!!! In questi ultimi anni sono potuta venire davvero di rado, ma spero che il futuro mi conceda qualche possibilità in più. Intanto accetto la sua offerta (di abbonamento gratuito: ndr) e le metto qui il mio indirizzo: (omissis) …Svizzera. In anticipo grazie e cordiali saluti. Clara Altieri P.S. - Se per caso racconta le mie stranezze a qualcuno che può avere la mia età, sono del ‘38 e allora mi chiamavo Pajussin e ho frequentato le medie con i professori Favotto, De Orazi e la signorina Niero per il francese. Chissà forse ritroverò qualche compagno o compagna di scuola! Cara Lettrice, ricevo con piacere i Suoi auguri, che contraccambio con il cuore. I professori che Lei cita li ho conosciuti anch’io, anche se non li ho avuti come insegnanti; soprattutto di De Orazi, gelosissimo della ‘sua’ biblioteca scolastica, conservo un divertito ricordo. Io sono arrivata nella Sua stessa scuola solo qualche anno dopo… Come vede, pubblico il suo appello ai nati nel 1938: chissà che possiate incontrarvi e organizzare una bella festa!


MARCAAPERTA

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