Beatrix klakowicz curriculum testimonianze scritti

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BEATRICE KLAKOWICZ notizie (raccolte da testimonianze sue e di conoscenti) La famiglia della professoressa Klakowicz ha antiche e nobili origini. Il padre era Procuratore dello Zar in Ucraina. Alla caduta dell’impero zarista si trasferì a Cracovia (ove ebbe inizio un rapporto di amicizia con il futuro Papa Giovanni Paolo II). Quando la Polonia cadde sotto il regime comunista, gli furono confiscati i beni e si trasferì a Vienna ove il 6 luglio 1938 nacque Beatrix. Beatrice seguì gli studi a Vienna, a Parigi, a Oxford e a Roma, ove infine, pose la sua residenza, continuò gli studi, svolse attività di ricerca e d’insegnamento nelle Università Pontificie, collaborò attivamente con il santo pontefice Giovanni Paolo II il quale le affidò incarichi e missioni di fiducia (a proposito possono essere richieste informazioni a S. Em. il Cardinale Stanisław Dziwisz). Ecco alcuni richiami al suo percorso di studi e di vita: 6 luglio 1938

Nasce a Vienna

1956-1961: Diploma all'Università di Vienna in Diritto Romano, Epigrafia, Numismatica e Paleografia Classica e Orientale. Corsi di perfezionamento a Parigi, Oxford e Heidelberg; inglesi e statunitensi in Medio Oriente.

partecipazione agli scavi austriaci, francesi,

1961: Laurea in Filosofia sub auspiciis Praesidentis Rei Publicae (Vienna). 1962 – 1963: Borsa di Studio dell’’Österreichische Akademie der Wissenschaften, collaborando con i Musei Vaticani, il Deutsches Archäologisches Institut e l’Accademia Svedese. 1964/1965: Corso di Filosofia e Teologia Tedesca nell’Otto e Novecento nella P.U. di S. Tommaso (Angelicum). 1965-1983: Curatrice dei Musei di Orvieto, pubblicò la Storia della ricerca archeologica a Orvieto e preparò il progetto di un parco archeologico orvietano per la Regione Umbria. 1982: Pont. Ist. Biblico: studi teologico - orientali in Orientalia, edizione dei papiri egiziani Ribes-Palau Collection. 1984: Laurea in Teologia “summa cum laude” (P. Un. Lateranense) con specializzazione in Teologia fondamentale nelle concezioni e credenze religiose dell’Antico Oriente (Egitto e Asia Anteriore) Diplomi in Epigrafia e Paleografia greca e latina, nonché in Papirologia 1980-1985: Ha tenuto il Corso di Catechesi e Spiritualità dei Monumenti Cristiani di Roma all’Istituto di Catechesi Missionaria (P.U. Urbaniana) e il corso sulla Prima Evangelizzazione d’Italia per gli studenti di Filosofia della P.U. Salesiana. Ha curato diverse pubblicazioni di carattere teologico, esegetico e orientalistico in varie riviste pontificie, italiane e straniere. Ha presenziato - con P. Agostino Trapé - a una Sezione dell’Ottavo Congresso Tomistico Internazionale sulla Aeterni Patris.


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Dal 1986 al 2013 ha curato l’ufficio di segreteria dell’Unione Mondiale degli Insegnanti Cattolici e ha collaborato con il Forum delle ONG e, direttamente, con la Segreteria di Stato grazie alla sua conoscenza di diverse lingue. Grazie alla sua vasta cultura ha curato numerose visite ai monumenti di Roma in interazione con associazioni culturali (“Passeggiate romane”, ecc). In questi ultimi anni le precarie condizioni di salute l’hanno costretta a ridurre i suoi impegni. Dopo un lungo periodo di sofferenza e ricovero in struttura ospedaliera si è spenta nell’ospedale di Anzio. Negli ultimi giorni della vita ha più volte chiesto di poter essere sepolta nel Cimitero Teutonico del Vaticano, affermando di averne antico diritto. Nel corso della sua vita ha curato anzitutto la formazione e la spiritualità, mai la ricchezza. Ha reso gratuitamente molteplici e importanti servizi alla Santa Sede e ai singoli Sommi Pontefici, nonché alle associazioni cattoliche. Ha vissuto con dignità e con povertà, sempre fedele alla Chiesa Cattolica. L’Unione Mondiale degli Insegnanti Cattolici la ricorda per il suo generoso ed accurato impegno, per la sua disponibilità, per la sua elevata cultura. 20 giugno 2016 Giovanni Perrone Segretario Generale UMEC-WUCT

BEATRICE KLAKOWICZ - ALCUNE TESTIMONIANZE AD OGGI PERVENUTE S.E. Mons. Luc Van Looy, vescovo di Gand, presidente Charitas Europea Beatrice ha fatto molto per noi, benché anche le sue forze negli ultimi tempi mancavano. E’ stata una grazia per noi averla in UMEC. + Luc van Looy UMEC-WUCT Le Président de l'UMEC-WUCT: "Après une vie ‘au service du catholicisme’, Béatrice nous a quitté en silence et grande modestie. Son œuvre était achevée après une longue vie au service de sa conviction. Elle pouvait enfin en toute tranquillité retourner à la maison du Père et de sa famille Polonaise. Nous n’oublierons jamais sa croyance sans aucun compromis, sa fidélité, son respect absolu pour les valeurs transmises par ses parents, sa foi plus que profonde. L’UMEC-WUCT perd en elle une vraie ‘aficionado de l’enseignement’ et tout l’Exécutif et les membres du Conseil l’appréciaient bien fort pour cet engagement sans limites. Nous croyons qu’elle restera avec nous et qu’elle continuera à être présente dans nos pensées et nos décisions. Chère Béatrice, je suis sûr que la porte du Ciel vous était largement ouverte et que même les anges vous y ont accompagné. Requiescat in pace! G. Bourdeaud’hui


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Università Pontificia Salesiana – il Rettore Ho ricevuto la triste notizia della morte di Beatrice, che ho fatto circolare tra gli amici del Centro Culturale “Paolo VI”. La ricordiamo nella preghiera. La Messa di chiusura delle attività 2015/2016 - che verrà celebrata domenica prossima 26 giugno a Sant’Ivo alla Sapienza alle ore 11 - sarà in suo suffragio. Che il Signore l’accolga nel suo regno di luce e di sapienza, e la ricompensi del bene che ha fatto per avvicinare tante persone a Lui attraverso il suo servizio culturale e l’appassionato gusto dell’arte cristiana e della testimonianza dei santi. 18 giugno 2016 d. Mauro Mantovani, rettore

Giuseppe Cicolini, già segretario UMEC-WUCT La professoressa Beatrice Klakowicz è volata al cielo. La sua memoria è in benedizione. Collaborò per molti anni con l’UMEC. La ricordano e pregano per lei: l’UMEC, l’AIMC e l’UCIIM; e gli amici dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e del Policlinico “Gemelli”, che per anni hanno seguito le sue lezioni e le sue visite guidate in Roma. Era di nobile famiglia di origine polacca e di alta cultura tedesca, e poi italiana. Persona di grande Fede cristiana, non ha risparmiato le sue energie perché nei suoi studi e pubblicazioni rifulgesse la grandezza e la bellezza delle memorie cristiane di Roma, che Ella aveva approfondito per anni. La sua conoscenza delle principali lingue moderne e delle lingue classiche le favorì l’accesso allo studio di documenti storici e teologici importanti. La Segreteria di Stato la ebbe come collaboratrice nel delicato lavoro di traduzione da e verso più lingue. Nell’UMEC fu segretaria e incaricata dei contatti con le Associazioni nazionali degli Insegnanti Cattolici di tutto il mondo. Negli ultimi anni visse a Nettuno, presso Roma, dedicandosi allo studio e alla preghiera. Giuseppe Cicolini, già ispettore centrale ministero p.i. e segretario generale UMEC-WUCT


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ALCUNI SCRITTI … ai vasti quartieri della memoria di Beatrice Klakowicz

(S. Agostino, Le Confessioni, Libro X) Giungo allora ai campi e ai vasti quartieri della memoria, dove riposano i tesori delle innumerevoli immagini di ogni sorta di cose, introdotte dalle percezioni; dove sono pure depositati tutti i prodotti del nostro pensiero, ottenuti amplificando o riducendo o comunque alterando le percezioni dei sensi, e tutto ciò che vi fu messo al riparo e in disparte e che l'oblio non ha ancora inghiottito e sepolto. Quando sono là dentro, evoco tutte le immagini che voglio. Alcune si presentano all'istante, altre si fanno desiderare più a lungo, quasi vengano estratte da ripostigli più segreti. Alcune si precipitano a ondate e, mentre ne cerco e desidero altre, balzano in mezzo con l'aria di dire: "Non siamo noi per caso?", e io le scaccio con la mano dello spirito dal volto del ricordo, finché quella che cerco si snebbia e avanza dalle segrete al mio sguardo; altre sopravvengono docili, in gruppi ordinati, via via che le cerco, le prime che si ritirano davanti alle seconde e ritirandosi vanno a riporsi ove staranno, pronte a uscire di nuovo quando vorrò. Tutto ciò avviene, quando faccio un racconto a memoria. Le sensazioni avute Lì si conservano, distinte per specie, le cose che, ciascuna per il proprio accesso, vi furono introdotte: la luce e tutti i colori e le forme dei corpi attraverso gli occhi; attraverso gli orecchi invece tutte le varietà dei suoni, e tutti gli odori per l'accesso delle nari, tutti i sapori per l'accesso della bocca, mentre per la sensibilità diffusa in tutto il corpo la durezza e mollezza, il caldo o freddo, il liscio o aspro, il pesante o leggero sia all'esterno sia all'interno del corpo stesso. Tutte queste cose la memoria accoglie nella sua vasta caverna, nelle sue, come dire, pieghe segrete e ineffabili, per richiamarle e rivederle all'occorrenza. Tutte vi entrano, ciascuna per la sua porta, e vi vengono riposte. Non le cose in sé, naturalmente, vi entrano; ma lì stanno, pronte al richiamo del pensiero che le ricordi, le immagini delle cose percepite. Nessuno sa dire come si siano formate queste immagini, benché siano visibili i sensi che le captano e le ripongono nel nostro interno. Anche immerso nelle tenebre e nel silenzio io posso, se voglio, estrarre nella mia memoria i colori, distinguere il bianco dal nero e da qualsiasi altro colore voglio; la mia considerazione delle immagini attinte per il tramite degli occhi non è disturbata dalle incursioni dei suoni, essi pure presenti, ma inavvertiti, come se fossero depositati in disparte. Ma quando li desidero e chiamo essi pure, si presentano immediatamente, e allora canto finché voglio senza muovere la lingua e con la gola tacita; e ora sono le immagini dei colori che, sebbene là presenti, non s'intromettono a interrompere l'azione che compio, di maneggiare l'altro tesoro, quello confluito dalle orecchie. Così per tutte le altre cose immesse e ammassate attraverso gli altri sensi: le ricordo a mio piacimento,


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distinguo la fragranza dei gigli dalle viole senza odorare nulla, preferisco il miele al mosto cotto, il liscio all'aspro senza nulla gustare o palpare al momento, ma col ricordo. Le esperienze. Sono tutte azioni che compio interiormente nell'enorme palazzo della mia memoria. Là dispongo di cielo e terra e mare insieme a tutte le sensazioni che potei avere da essi, tranne quelle dimenticate. Là incontro anche me stesso e mi ricordo negli atti che ho compiuto, nel tempo e nel luogo in cui li ho compiuti, nei sentimenti che ebbi compiendoli. Là stanno tutte le cose di cui serbo il ricordo, sperimentate di persona o udite da altri. Dalla stessa, copiosa riserva traggo via via sempre nuovi raffronti tra le cose sperimentate, o udite e sulla scorta dell'esperienza credute; non solo collegandole al passato, ma intessendo sopra di esse anche azioni, eventi e speranze future, e sempre a tutte pensando come a cose presenti. "Farò questa cosa, farò quell'altra", dico fra me appunto nell'immane grembo del mio spirito, popolato di tante immagini di tante cose; e l'una cosa e l'altra avviene. "Oh, se accadesse questa cosa, o quell'altra!", "Dio ci scampi da questa cosa, o da quell'altra!", dico fra me, e mentre lo dico ho innanzi le immagini di tutte le cose che dico, uscite dall'unico scrigno della memoria, e senza di cui non potrei nominarne una sola. Meravigliosa potenza della memoria Grande è questa potenza della memoria, troppo grande, Dio mio, un santuario vasto, infinito. Chi giunse mai al suo fondo? E tuttavia è una facoltà del mio spirito, connessa alla mia natura. In realtà io non riesco a comprendere tutto ciò che sono. Dunque lo spirito sarebbe troppo angusto per comprendere se stesso? E dove sarebbe quanto di se stesso non comprende? Fuori di se stesso anziché in se stesso? No. Come mai allora non lo comprende? Ciò mi riempie di gran meraviglia, lo sbigottimento mi afferra. Eppure gli uomini vanno ad ammirare le vette dei monti, le onde enormi del mare, le correnti amplissime dei fiumi, la circonferenza dell'Oceano, le orbite degli astri, mentre trascurano se stessi. Non li meraviglia ch'io parlassi di tutte queste cose senza vederle con gli occhi; eppure non avrei potuto parlare senza vedere i monti e le onde e i fiumi e gli astri che vidi e l'Oceano di cui sentii parlare, dentro di me, nella memoria tanto estesi come se li vedessi fuori di me. Eppure non li inghiottii vedendoli, quando li vidi con gli occhi, né sono in me queste cose reali, ma le loro immagini, e so da quale senso del corpo ognuna fu impressa in me. BEATRIX ERIKA KLAKOWICZ: UNA «CRITTOGRAFIA» IN FORMA DI CROCE? Tra le opere d’arte sacra di Paolo Menon suscita particolare interesse un Crocifisso, («Quando le parole uccidono», ndr.), composto dal solo corpus fatto di lettere e cifre, il cui colore argilla si stacca dal fondo bianco – simbolo di luce, purezza e perfezione -, che sembra non voler altro che sottolineare l’abisso che esiste tra divina armonia universale e disgregante presunzione umana. Che non è così, che questa singolare croce non «trasmette negatività o tristezza», bensì corrobora una convinta fede nel «salvificus dolor» (B. Giovanni Paolo II), l’ha evidenziato – in maniera giusta e appropriata - il teologo e pedagogista Stefano Peretti. Perciò, le seguenti considerazioni desiderano rivedere quest’opera dell’artista – altrettanto singolare quanto legata ad un millenario contesto, quello della scrittura cosiddetta enigmatica o crittografica riservata ai testi sacri: un contesto o meglio un invito a non fermarsi alle apparenze, ma a penetrare nel loro significato più vero e profondo, come lo erano state le isolate e tuttora misteriose lettere-


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cifre, inserite dal san Pacomio (IV sec.) nelle sue epistole a monaci e dignitari ecclesiastici. Ed il «Padre del cenobitismo» non faceva altro che applicare alla pastorale cristiana un’usanza, che contava oltre tremila anni. Infatti, mentre la letteratura sacra cuneiforme dell’Antico Oriente faceva ricorso a segni non usati dagli scribi locali per l’ordinaria amministrazione, obbligando ad una faticosa decifrazione e con ciò obbligatoria meditazione[1], l’Egitto creò verso il 3.000 a.C. il «principio del rebus o charade … per indicare non le cose stesse, bensì altre non facilmente rappresentabili»[2]. Lo stesso Plutarco († 120 d.C.) paragonerà nel De Iside et Osiride l’uso e contenuto della scrittura geroglifica, e dapprima della cosiddetta scrittura enigmatica, alle massime di Pitagora (VI sec. a.C.). E sappiamo da Giustino Martire (II sec.)[3] che la scuola pitagorica imponeva la ricerca della verità attraverso l’aritmetica, per scoprire che «cielo, terra, dèi ed uomini sono tenuti insieme dall’ordine, dalla saggezza e dalla rettitudine»[4]. Grazie al Timaios diPlatone, definito uno dei capolavori filosofici di tutti i tempi, che non mancherà il suo influsso sul pensiero filosofico e teologico dei successivi secoli – nella «Scuola di Atene» Raffaellodipingerà Platone con il Timaios sotto braccio - , l’arithmologia pitagorica diventerà nel neo-platonismo pagano (Iamblichos), ma anche cristiano (Nicolaus Cusanus e Marsilius Ficinus), arithmosophia. Questa nuova ed in pari istante antica interpretazione dei numeri, inscindibile dalla theosophia,sant’Agostino elaborerà nella sua disamina ed acculturazione del pensiero platonico, in theologia arthmetica proprio nei suoi scritti più importante: la Civitas Dei ed il De Trinitate. Ed il figlio di santaMonica riprende tanto più volentieri questa «ratio et veritas numeri» [5], in quanto trova una sua corrispondenza nelle Scritture: «Hai disposto tutte le cose nella misura, nel numero e nel peso» (Sap11,21). Identificando le immutabili regulae numerorum con le altrettanto immutabili regulae sapientiae, il vescovo di Hippona se ne serve per salire dai numeri sensibili ed intelligibili, i quali esprimono l’ordine e la bellezza delle cose, al «numerum sempiternum, che trascende l’animo umano e permette di contemplare la divina provvidenza che opera con armonia nelle cose» [6]. Non «parole che uccidono» dunque, ma «cifre e lettere» che dobbiamo imparare di nuovo a leggere nel loro valore simbolico e metaforico, per riscoprire e meditare la sofferenza ed il suo valore salvifico; «Un tema universale che accompagna l’uomo … (e) coesiste con lui nel mondo. … La sofferenza sembra appartenere alla trascendenza dell’uomo: essa è uno di quei punti, nei quali l’uomo viene in un certo senso «destinato» a superare se stesso, e viene a ciò chiamato in modo misterioso» [7]. E sant’Agostino descrive la beatitudine del paradiso – della Civitas Dei – così: «Tutti i ritmi dell’armoniosa proporzione del corpo, che ora sono latenti, allora non lo saranno. Essi, disposti dentro e fuori in tutte le parti del corpo, assieme alle altre cose che nell’eternità appariranno grandi e meravigliose, infiammeranno, col lirismo della bellezza intelligibile fondata sul numero, le intelligenze capaci del numero alla lode di un sì grande Artefice» [8] Beatrix Erika Klakowicz (Dr. Phil. Dr. Theol.) Nella foto: «Quando le parole uccidono» di Paolo Menon. Composizione di piastrine alfabetiche fittili su 6 tele (60x60 cm) disposte a T, 180x240 cm, 2008. [1] È una caratteristica dell’Antico Oriente, che per oltre tremila anni cambiano gli idiomi e con ciò il valore fonetico dei segni, ma mai la loro forma grafica. Perciò era possibile adottare il valore fonetico in uso in un sito vicino o lontano, per applicarla al vocabolario locale. [2] Cfr. Sir Alan Gardiner, Egyptian Grammar, 3ª ediz., Oxford 1978, p. 6sq. [3] Dialogus ad Tryphonem 2-8. [4] Platon, Gorgias 507 a. [5] Cfr. De libero arbitrio II 8,20. [6] De Trinitate IV 4,7.10 [7] Beato Giovanni Paolo II, Lett. Apost. Salvifici Doloris, 1984, I,2.[8] De Civitate Dei 22, 30.1.


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