Guida miroglio ridotto

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MIROGLIO Falesia e bouldering

Giovanni Massari


Impaginazione: Rossella Borra - www.graficasenzatitolo.it Crediti fotografici: Alex Barbera, Archivio CAI, Elio Panero, Paolo Seimandi Ringraziamenti: CAI sezione di Mondovì in particolare nelle figure del Presidente Davide Avagnina e del Vice Presidente Giorgio Aimo, Giorgio Mongardi, Paolo Seimandi e a tutti coloro che hanno creduto e collaborato a questo progetto In copertina: Diego Dho su Gnocchetti verdi con burro e salvia al Torrione M. Foto Paolo Seimandi Quarta di copertina: il Ponte dei Distretti dai torrioni di Miroglio. Foto Alex Barbera

Realizzato con il contributo del CAI Mondovì e del Comune di Frabosa Sottana

© Blu Edizioni 2016 Tutti i diritti riservati info@bluedizioni.it www.bluedizioni.it


A tutti gli appassionati frequentatori della Val Maudagna e di queste rocce e in particolare al nostro amico Massimo ÂŤCoccoÂť Coccalotto


Giovanni Massari in free solo sulla Via dei diedri. Foto Alex Barbera


Miroglio

SOMMARIO

Presentazione

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Una storia comune

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Miroglio e la Val Maudagna nei ricordi di Nando Bruno

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La Palestra dei Distretti ÂŤBeppino AvagninaÂť

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Palestra Gianni Comino o Miroglio 2

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Bouldering a Miroglio

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Via Penombra

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PRESENTAZIONE

La storica palestra di arrampicata dei Distretti di Miroglio, anche nota come palestra «Beppino Avagnina», non ha bisogno di presentazioni. Questo angolo di montagna è intriso della storia dell’arrampicata e dell’alpinismo sulle Alpi Liguri, e ha assunto un ruolo catalizzatore per i pionieri di questo sport. Frequentata fin dagli anni ’40 dal gruppo legato a Sandro Comino, a oggi unico membro monregalese del CAAI, la palestra dei Distretti ha visto nascere e crescere intere generazioni di alpinisti, dal dopoguerra fino ai climber dei giorni nostri, anche grazie ai corsi della Sezione. Tra i nomi illustri che hanno arrampicato a Miroglio non possiamo dimenticare la figura carismatica di Piero Billò, l’astro dell’arrampicata glaciale Gianni Comino e il mitico Gian Carlo Grassi. In tempi più recenti, la palestra è stata terreno di formazione e allenamento per i giovani del nostro gruppo GAM (Gruppo Alpinistico Marguareis), per i Sassisti della Maudagna Valley e per i volontari delle locali stazioni del CNSAS. Grazie al continuo impegno della Sezione e i recenti interventi supportati dall’amministrazione comunale di Frabosa Sottana, la palestra non presenta più traccia dei vecchi chiodi con cui era attrezzata. La paziente opera delle guide alpine Diego Dho e Matteo Casanova le ha dato una nuova veste in linea con gli attuali canoni dell’arrampicata pur nel rispetto della sua storia: oltre 100 itinerari che si articolano sulle caratteristiche strutture quarzitiche, ideali sia per esercitazioni di sport climbing, sia per un uso didattico anche su itinerari di più lunghezze. Oggi, la già copiosa offerta di itinerari si completa con un circuito di bouldering di circa 150 linee di diversa difficoltà, rinnovando le opportunità di ricerca e divertimento secondo le moderne esigenze sportive. La necessità di aggiornare la documentazione sulla palestra, perlopiù obsoleta se non addirittura carente, ha indotto il nostro socio Giovanni Massari, climber monregalese di spicco, a colmare il vuoto informativo. La Sezione, con stima, fiducia e riconoscenza, ha deciso di patrocinare il suo lavoro, affinché sia possibile rendere ancor più fruibile questa magnifica struttura rocciosa immersa in un contesto montano di straordinaria bellezza e di immediata accessibilità.

Davide Avagnina Presidente del Club Alpino Italiano Sezione di Mondovì

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Il territorio del Comune di Frabosa Sottana ha numerose strutture rocciose che, per la loro conformazione particolarmente adatta alla pratica dell’arrampicata, richiamano gli appassionati e i neofiti di tale attività. Sulla strada che porta alle stazioni sciistiche del comprensorio «Mondolè», Prato Nevoso e Artesina, all’altezza del Ponte dei Distretti, sopra la frazione di Miroglio, si staglia sulla sinistra orografica della valle la ben conosciuta palestra di roccia del CAI di Mondovì, anche nota come palestra «Beppino Avagnina». Tutti coloro che viaggiano sulla strada sottostante sono attratti dallo spettacolo dei torrioni rocciosi e dei tanti arrampicatori arroccati su di essi. In passato il Comune di Frabosa Sottana, molto sensibile a curare e mantenere tutte le proprie ricchezze turistiche, ha sempre dedicato grande attenzione alla Palestra. Ha sostenuto ogni iniziativa di valorizzazione, dalla richiodatura, effettuata tra l’altro a norma da guide alpine specializzate, alla pubblicazione di una guida comprendente tutti gli itinerari del sito e di altri settori di nuova sistemazione sulla destra orografica, e ora affianca la sezione del CAI di Mondovì nella promozione della nuova guida firmata da Giovanni Massari. L’Amministrazione che rappresento e io stesso ci auguriamo che con questa nuova pubblicazione il sito di arrampicata sia sempre più conosciuto e frequentato, essendo una peculiarità importante di questo Comune e soprattutto del comprensorio sciistico «Mondolè». Comprensorio che in questo modo si arricchisce sempre più, impreziosito anche da queste attività sportive meno conosciute, ma di cui la pratica è in forte espansione. Buona arrampicata a tutti. Adriano Bertolino Sindaco di Frabosa Sottana

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UNA STORIA COMUNE

Miroglio: un complesso di strutture quarzitiche dove ho iniziato a muovere i primi passi sulla roccia e di cui conosco ogni singolo appiglio; non un centro importante ma un piccolo sito con una grande storia di oltre settant’anni scritta dalle centinaia di persone che lo hanno frequentato e continuano a farlo con passione e sempre con un briciolo di ricerca. Fin dalla fine degli anni ’40 i torrioni dei Distretti di Miroglio fungono da «palestra di arrampicamento» per alpinisti affermati, neofiti e corsi di alpinismo. Grazie all’ottima qualità della roccia e alla sua conformazione particolarmente articolata in torrioni spesso di facile lettura ma anche dotati di sezioni lisce e impegnative, è stata, nel Cuneese, la palestra di tutti coloro che praticavano l’alpinismo regolarmente a cavallo tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’80; sia di chi cercava un po’ di difficoltà, spesso concentrata in tratti brevi e impegnativi, sia di chi voleva simulare un impegno alpinistico, concatenando creste e torrioni. Vi ho trascorso innumerevoli giornate dal 1980 a oggi, scalando prevalentemente da solo o con i miei compagni di allora: Federico Bausone, Stefano Antibo, Renato Simondi, Gian Piero Turco, Raffaele Trombin, Diego Gallo, Virgilio Chionetti, Fulvio Sclavo, il ligure Andrea Parodi e i goliardici amici del CRIC di Ceva con cui ci ritrovavamo generalmente il sabato pomeriggio per salire slegati i vari torrioni. Ma torniamo alla nostra storia… I primi ad arrampicare qui a Miroglio furono, verso la fine degli anni ’40 (epoca in cui fu aperta la strada per Artesina), i forti alpinisti monregalesi dell’epoca tra cui l’accademico Sandro Comino, classe 1900, l’elegantissimo Piero Billò, Arnaldo Colombatto, Nando Bruno, Franco Gallo, Pino Mantero, Piero Mattalia e altri che già a quei tempi, con scarponi rigidi, martello e chiodi, corde di canapa e rigorosamente dal basso, superarono le normali della maggior parte dei torrioni e si spinsero in arrampicata libera e artificiale su itinerari più audaci; sono di questo periodo, tra le altre, la Diretta Nord al Torrione B, la Via dei Diedri al Torrione C e le prime vie dei Torrioni D, F, G. Segue un relativo ma del tutto naturale periodo di stasi nelle aperture di nuovi itinerari nel quale, però, il CAI Mondovì, sotto la spinta delle idee di Piero Billò e di Arnaldo Colombatto, organizza nel 1963 un primo corso di roccia. Il corso inizia in sordina ma cresce negli anni fino a raggiungere alla fine degli anni ’60 una frequenza costante di una trentina di allievi per anno provenienti da tutte le sezioni CAI del monregalese e dintorni ma anche dalle sezioni liguri. Vale la pena ricordare che

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i corsi si tenevano anche nella struttura rocciosa della palestra di Miroglio, ora in disuso, posta immediatamente prima dell’abitato omonimo, sulla destra orografica della valle, dove già si era tenuto subito dopo la guerra un primissimo corso di roccia diretto da Sandro Comino, sotto l’egida della società sportiva Aurora. All’inizio degli anni ’70 la palestra dei Distretti di Miroglio prende comunque il sopravvento sulle altre strutture rocciose e diventa la palestra ufficiale del CAI Mondovì, che pubblica una piccola guida ciclostilata del sito in cui si dedica la palestra di arrampicata a Beppino Avagnina, giovane prematuramente scomparso. Sul luogo, proprio grazie al contributo della famiglia Avagnina, viene costruita una piccola casetta-rifugio, in appoggio alle strutture rocciose, con relativa sistemazione dei sentieri d’accesso ai settori. Nel 1973 si giunge a una vera e propria inaugurazione. È in questi anni, con l’arrivo delle nuove leve, prodotte proprio dai primi corsi di roccia e dai fermenti giovanili dell’epoca traslati nell’alpinismo (Gianni Comino con i suoi amici Aldo Pizzo e Francesco Tissino, i monregalesi Giorgio Mongardi, Sergio Rossi, futuro ghiacciatore estremo e autore di numerose prime, Pucci Giusta, Enzo Cordero, Andrea Motta, Massimo Voarino, Amilcare Gallo, Silvio Giuliano, Gino Ghiazza, Stefano Meineri, Stefano Avagnina, Gian Piero Bonelli, Dino Murazzano, Franco Botto, Guido Colombo, Rino Casanova, Stefano Garelli, Carlo Cavarero e un gruppo di chiusani capitanato da Gianfranco Bertolotto), che si assiste nuovamente a una ricerca della difficoltà e di nuovi itinerari, ma sempre con metodi tradizionali e senza l’ausilio degli spit, con una conseguente fervida attività sulle pareti alpine, soprattutto nelle Liguri e Marittime. Da questi germogli cresce una nuova pianta e, proprio nel 1973, nasce il GAM (Gruppo Alpinistico Marguareis), che darà nuovo lustro all’alpinismo locale di quegli anni. Gianfranco Bertolotto, classe 1949, alpinista e scrittore, descrive così l’epopea di allora: «Miroglio mi è rimasta nel cuore, perché, proprio qui, è iniziata la mia avventura di alpinista. Ed è stato certo un buon inizio se, alla vigilia del mio sessantacinquesimo compleanno, ho ancora ripetuto la via di Armando Aste alla Tino Prato, che non è proprio un monotiro di falesia! Era la fine degli anni ’60 quando frequentai il mio primo corso di roccia, organizzato dalla sezione CAI di Mondovì. Si trattava per me di un’occasione imperdibile: l’unico modo per realizzare concretamente il mio sogno di scalare, cominciando dal Marguareis, la montagna simbolo della Valle Pe-

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sio. Ricordi ancora nitidi mi riportano alla mente le emozioni, l’ambiente, i protagonisti del mio primo approccio con l’arrampicata. A quei tempi corde, moschettoni e chiodi pesavano quintali; si arrampicava con scarponi rigidi e si faceva sicurezza a spalla (per non parlare di pantaloni alla zuava e camicie scozzesi!). Il corso di roccia si teneva nel “tempio” dell’arrampicata monregalese, ossia sui picchi rocciosi di Miroglio e dei Distretti. Anticipando il futuro, i bravi alpinisti monregalesi avevano già compreso l’importanza della falesia per una buona preparazione ai più seri impegni di alpinismo, anche se, ovviamente, non esisteva ancora la cultura dell’arrampicata sportiva fine a se stessa. Il primo dei miei istruttori fu il “maestro” Toni Magliano. E maestro Antonio lo era veramente, perché insegnava nella scuola elementare di Vicoforte. La sua perizia didattica si estendeva anche all’arrampicata: spiegava accuratamente l’uso migliore di appigli e appoggi, le posizioni di equilibrio, i movimenti più adatti alla progressione. Era anche molto paziente e comprensivo verso i bocia come me, che si accostavano alla roccia in modo alquanto rozzo e primitivo. Su tutto e su tutti troneggiava la personalità di Piero Billò, alpinista di fama e grande stilista. La sua calma imperturbabile era una sorta di mito. Sapeva insegnare, consigliare e, talvolta, rimproverare gli imprudenti senza mai alzare la voce. Lezioni e pratica di scalata assorbivano tutto il tempo della domenica, e trascorrevano in un sereno ambiente famigliare, dove nessun primo della classe intendeva sfoggiare il suo talento a dispetto dei meno bravi. Però un vero talento c’era in quel gruppo, e non fra gli istruttori, ma fra gli allievi: si trattava di Gianni Comino, futuro alpinista estremo. Del folto gruppo di allievi e istruttori conoscevo già Stefano Meineri, con il quale avevo condiviso, poco più che adolescente, un’impressionante salita del Canalone dei Genovesi, alla cima Marguareis, portata a termine senza la minima attrezzatura. Inoltre feci amicizia, proprio allora, con Gianni Comino, che era un ragazzetto secco e occhialuto ma dimostrava già una passione e un talento per l’arrampicata che lo ponevano un gradino al di sopra di tutti gli altri. In virtù di una strana selezione naturale, all’interno del gruppo di partecipanti al Corso si cristallizzò un insieme ristretto di appassionati che voleva di più e coltivava progetti ambiziosi. I nostri istruttori capirono e lasciarono fare, consci che da quella passione focosa poteva scaturire nuova linfa alpinistica per il sodalizio monregalese. Da quel momento, cominciammo ad affrontare salite di roccia abbastanza temute, che non avevano attirato

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nessuno dei rocciatori del CAI di Mondovì. In effetti, trasportati dalla nostra passione sfegatata e dall’audacia giovanile, l’ambiente della sezione ci appariva un po’ troppo ingessato e poco propenso a un’attività alpinistica impegnativa. Dalle interminabili discussioni del venerdì sera in sede nacque così il Gruppo Alpinistico Marguareis o GAM, che raccoglieva tutti i ragazzi che volevano salire di un gradino nel livello alpinistico. Le punte di diamante del Gruppo furono proprio Meineri, il più serio e maturo, e Gianni, il più dotato e il vero trascinatore. Da allora ogni venerdì sera estivo si teneva un vero e proprio consiglio di guerra: si leggevano relazioni, si discuteva, si programmavano scalate. E in breve tempo affrontammo e portammo a termine alcune prestigiose vie del Corno Stella, dell’Argentera e della Rocca Castello. Poi i nostri destini si divisero: lo studio, il lavoro, la famiglia. Gianni, da grande campione qual era, entrò nel firmamento dell’alpinismo glaciale fino alla sua tragica scomparsa. Io mi legai in cordata con tanti altri compagni, in un’attività senza termine». È così che nascono negli anni ’70 a Miroglio lo Spigolo Meineri (S. Meineri&C.) al Torrione E, o la fessura di Oberon al Torrione A (G. Comino&C.) e molte varianti, salite con qualche primitivo nut. È di questo periodo l’inizio della moda di percorrere slegati le normali dei vari torrioni in salita e discesa e della ricerca di brevi e difficili passaggi da usare come allenamento sulle paretine più brevi o sugli affioramenti alla base dei torrioni da parte dei già citati Comino e Tissino; sono complici di questa tendenza l’inizio dell’uso delle scarpette a suola liscia e della magnesite, che rivoluzioneranno un po’ ovunque l’arrampicata. Fino a questo momento, tuttavia, l’attività non è fine a se stessa ma sempre mezzo per imprese alpinistiche ritenute di maggior prestigio. Ho scalato personalmente con Checco Tissino: era indiscutibilmente dotato di una prodigiosa forza naturale e di una visione dell’arrampicata già orientata verso l’arrampicata libera. Si materializza a Miroglio, lasciandovi un segno indelebile, anche il famoso Gian Carlo Grassi, autore dell’omonimo passaggio sul Torrione F; una sezione rocciosa destinata a diventare in seguito una tappa obbligata per tutti i frequentatori del sito. Disgregatosi il gruppo GAM, che si era coagulato soprattutto attorno alla figura di Gianni Comino, destinato al grande alpinismo con Gian Carlo Grassi e caduto sul seracco della Poire nel febbraio 1980, raccolgono il testimone della ricerca a Miroglio i fossanesi Igor Napoli, Carlo Bergese ed Elio Panero (i «Sassisti della Maudagna Valley»). Introducendo sistematicamente l’uso della

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magnesite, questi arrampicatori intensificano la ricerca delle difficoltà sui massi tracciando addirittura un circuito e contribuiscono a quel fenomeno che si è manifestato in quegli anni un po’ ovunque in Italia, complice la nuova visione che comporta l’arrampicata libera: le rocce di Miroglio da terreno di allenamento per future salite acquistano una loro dignità, e da mezzo diventano teatro ultimo di prestazione e ricerca. Come nacque il passaggio Grassi e come mutò gradualmente la visione lo racconta Carlo «Charlie» Bergese, classe 1959, storico climber della Granda: «Durante un corso di roccia del CAI di Fossano, nell’autunno del 1979, in cui mi trovavo in veste di istruttore al seguito di Gianni Comino che ne era il direttore e in compagnia di Rio Celso e Gian Carlo Grassi, capitammo, dopo aver salito un discreto numero di torrioni con gli allievi, ai piedi del Torrione F, che presentava alla sua base una difficile sezione ancora irrisolta. Gian Carlo, che già aveva sperimentato il bouldering in Val Susa, prova ripetutamente la placca liscia, poi, trovata la sequenza, una serie di prese in diagonale verso destra, riesce a risolvere il passaggio, emulato in breve da Gianni e da Rio. Io provo e riprovo ma solo dopo alcuni mesi di tentativi e grazie anche a una suola speciale, la mitica Airlite in voga in quel periodo, riesco, per primo, a ripeterlo; di lì in poi, per me e per i miei compagni, si aprì un mondo nuovo fatto certamente di ricerca di passaggi impegnativi ma anche del piacere del movimento fine a se stesso e così, in breve tempo, nacque anche l’idea di esplorare l’area alla ricerca dei massi più interessanti. Arrampicare a Miroglio, in definitiva, diede i suoi frutti, se penso che mi consentì, dopo aver girovagato per anni sui suoi torrioni alla ricerca di me stesso e dei miei limiti, di salire in free solo, nel 1981, la classica Dufranc-Campia al Corno Stella». Un altro climber della zona, attivissimo in quel periodo, è Aurelio Borgna, chiusano, classe 1954, che così ci rende partecipi delle sue arrampicate a Miroglio: «Ricordo ancora le prime esperienze di arrampicata con corda, chiodi, martello, moschettoni e scarpe da ginnastica proprio a Miroglio con Aldo Caraglio. Era un misto di gioia e tensione, con un tourbillon di emozioni contrastanti tra l’eroismo (il mio libro di riferimento era Le mie montagne di Bonatti) e l’attesa del peggio. E quando riponevamo il materiale nello zaino tiravo un sospiro di sollievo: anche per quella volta non mi ero fatto male… Dopo il servizio militare, che mi ha offerto l’opportunità di arrampicare con una certa regolarità, Miroglio è diventata la palestra di riferimen-

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to dove preparare le scalate del fine settimana. Già, perché allora scalare in palestra serviva da preparazione per i veri cimenti che erano le odierne multipitch. In compagnia, ma più spesso da solo, ho imparato a valutare le cose con attenzione e a gestire la paura, che comunque provavo, nel muovermi senza corda. La mia percezione aumentava, i colori, i profumi del bosco e della roccia entravano in me e incorniciavano i miei movimenti. Poi, un brutto giorno, a metà degli anni ’80, compaiono sui torrioni pennellate di vernice bianca fatte da un gruppo di militari in occasione di una serie di esercitazioni: tanti tratteggi che dalla base arrivavano in cima ai vari torrioni, una ferita non facile da guarire… Più tardi, in vista dei mondiali di calcio del 1990 in Italia, quelle rocce sono entrate a far parte del video illustrativo della provincia di Cuneo che ha ospitato la nazionale costaricana. In quel video arrampico su alcuni torrioni e, una volta sceso, mi allontano mano nella mano con una modella danese che, alla domanda se avesse mai arrampicato, mi guarda con pietà e mi fa notare che in Danimarca di pareti proprio non c’è traccia... Intanto l’arrampicata si differenzia e la falesia vive di vita propria slegandosi dalla preparazione ai cimenti in montagna. Ma anche oggi, a mio avviso, si assiste a una mancanza di rispetto sia dell’ambiente sia di coloro che amano sperimentarsi sulla roccia: gli appigli vengono segnati con un tratto di magnesite, in pratica cercando di riprodurre sulla roccia l’arrampicata sulle prese di resina, svilendone il tratto caratteristico fatto di invenzione e ricerca del movimento più idoneo». Intorno alla metà degli anni ’70, il periodo d’oro del gruppo GAM, è protagonista dell’esplorazione delle rocce intorno a Miroglio Pucci Giusta, classe 1954, guida alpina e storico aderente al GAM, che racconta quei momenti con un significativo articolo apparso sulla rivista del CAI Mondovi L’alpinista nel 1979: «Parecchie volte, trovandoci ad arrampicare nella palestra dei Distretti e osservando il gruppo di torrioni posti sulla destra orografica della valle, ci colpì la vista di un enorme diedro che pareva di circa 40 metri. “Dobbiamo andare a farlo,” si diceva, ma poi, ponendo l’attenzione sul percorso di avvicinamento, si preferiva semplicemente ripiegare sulla vecchia palestra dalla breve e facile via d’accesso. Circa un mese fa, stufo delle solite arrampicate, partii da solo per “fare quel diedro”. L’avvicinamento fu uno schianto, infatti, non essendoci alcun sentiero nel basso sottobosco, le graffiature delle runse (piemontese: rovi) e le frustate dei rami sulle mani e la paura delle vipere mi scoraggiarono un po’. Raggiunsi il diedro e

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provai a salire, poi, giunto a metà senza corda e chiodi preferii ripiegare e dare un’occhiata ai torrioni vicini. Fui stupefatto dalle pareti e fessure che vidi: tanto che il giorno successivo tornai con un compagno e giocammo a esplorare nuovi torrioni. Siamo ritornati molte volte, e in parecchi abbiamo aperto vie e arrampicato dal mattino alla sera. Il giudizio di tutti è unanime: una bellissima palestra da sfruttare e da far conoscere. Finora abbiamo perlustrato e arrampicato solamente su otto torrioni. Ma almeno altrettanti sono ancora inesplorati, ragion per cui quel senso d’avventura e di novità sono alla portata di tutti coloro che vogliono praticare un’arrampicata di ricerca». Le esplorazioni di Pucci e compagni non si limitano alle rocce sopradescritte e poi battezzate Palestra G. Comino o Palestra Nuova, meglio conosciuta come Miroglio 2, ma proseguono anche più a monte, in quella che verrà soprannominata la palestra degli Astigiani e sulla torre situata davanti alla palestra dei Distretti (Torre Corrado Cavarero); resteranno tuttavia isolate o raramente riprese, e oggi, nonostante siano presenti qua e là un certo numero di vie attrezzate, le rocce dei Distretti restano quelle più apprezzate e frequentate. Giungono i primi anni ’80, e frequento quasi quotidianamente da solo la palestra di Miroglio; gli spit non sono ancora arrivati, e mentre sale il mio livello in arrampicata si innalza anche quello delle mie aperture e ripetizioni in free solo, che trasferirò anche sulle pareti e nella nascente arrampicata sportiva. Con Federico Bausone frequentiamo il Verdon e il Finalese: le cose stanno cambiando rapidamente, e non basta più salire le vie con qualsiasi mezzo, bisogna salirle con un certo stile e cioè in libera, un concetto ora del tutto normale e con regole ben definite ma per nulla scontato a quei tempi (sono passati trent’anni ma sembra davvero un secolo). Nel 1983 riesco, con le mitiche scarpette EB Maestria ai piedi e vetusti chiodi normali come protezione, a salire Arcadia, il primo 7a di Miroglio, e apro una decina di nuovi itinerari in free solo a vista. Poi, nel 1985, arrivano anche a Miroglio i primi spit! Grazie a un finanziamento del CAI Mondovì, le guide alpine Pucci Giusta e Sergio Rossi attrezzano a macchia di leopardo le classiche sui torrioni e qualche nuova linea come Spazio zero e il Tetto a Banana o Bausomat, forse ancora oggi il tiro più caratteristico di Miroglio, liberato da Federico Bausone nel 1987. A questo punto sembra tutto finito e si prospetta forse un destino di abbandono a favore di nuove palestre, ma l’anno dopo, nel 1986, si presenta Paolo Fenoglio con trapano e gene-

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ratore e inizia ad attrezzare vie nuove e vie già salite con mezzi tradizionali, dando nomi di fantasia a tutte le rocce cui mette mano; si trattò forse di un’operazione un po’ arbitraria, dal momento che spesso attrezzava vie già salite in precedenza, ma fu anche un modo per vedere le cose in maniera diversa. Personalmente sono d’accordo, qui a Miroglio, con la messa in sicurezza degli itinerari già esistenti, ma credo che debba anche apparire ben chiaro che chi attrezza non è sempre, necessariamente, il primo salitore; infatti una via senza chiodi non è detto sia una via vergine. È su questa scia che, sul finire degli anni ’80, un appassionato del suo «giardino» e cioè il fossanese Igor Napoli ritorna a Miroglio in veste di chiodatore: inizia con Apache al Torrione E e Itaca nella nebbia al Torrione B e non si ferma più. Nel giro di 15 anni da solo o con vari compagni apre molti nuovi itinerari, valorizzando i Torrioni M, N, O, Q, R, S, T. L’ultimo atto è del 2008 quando, con un contributo della CRC e del Comune di Frabosa, le guide alpine monregalesi Diego Dho e Matteo Casanova coadiuvati da Davide Gozzi compiono, da veri professionisti, un eccellente e intelligente restyling delle vie esistenti, creando anche qualche novità, omogeneizzando la chiodatura con materiali inox a norma e trasformando i Distretti in una falesia adatta all’arrampicata sportiva. Il passaggio e la fusione tra vecchio e nuovo sono ormai compiuti e certamente un altro Miroglio, meno romantico ma più sicuro e fruibile, è quello che si affaccia al nuovo millennio. La palestra dei Distretti mi sembra ora trasformata e nuova, come vedo nuovo il modo in cui i giovani oggi praticano l’arrampicata: per molti di loro è un’attività certo intensa ma più ai margini della loro vita, forse anche perché ormai sdoganata come sport di massa, da consumare in qualche stagione, anche agonistica, a un livello più alto possibile per poi magari abbandonarla (che sia meglio così? Che loro abbiano capito tutto e noi niente? Ma forse è solo cambiato il mondo…) per nuovi sport o per impegni successivi. Per noi (ma parlo soprattutto per me), giovani degli anni ’80, l’arrampicata, passione e folgorazione insieme, era vissuta come una disciplina e ci sembrava l’unica forma, alternativa e autentica, di vivere una vita vera e interessante; forse con il sogno segreto di creare una nuova forma di crescita interiore, prima attraverso l’impegno fisico, andando alla ricerca dei nostri limiti, poi attraverso quello mentale, dilatando la nostra coscienza, nell’illusione di una maggiore conoscenza di noi stessi, dopo momenti, anche cercati, di rischio controllato. Tutto que-

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sto si consumava, giocoforza, in modo integralista, radicale, ossessivo, con una buona dose di accettazione del rischio e in modo alternativo alla vita normale, tanto che qualcuno ci definì «parassiti sociali» (la cosa non mi turbò dal momento che ero studente…) Eravamo costantemente alla ricerca di un confronto: chi con se stesso, chi con gli altri, ma sempre attraverso la «libera», con i suoi gesti sempre uguali ma sempre diversi, in ogni sua declinazione, per sentirci più liberi da quell’omologazione che sembrava serpeggiasse avida di proseliti, sì proprio quella che cantavano i CCCP: «Produci-consuma-crepa!», e vivevamo sempre in attesa di un nostro, del tutto inutile ma nostro, mercoledì da leoni. Il più delle volte, tutto questo arrampicare non portava da nessuna parte, se non a un enorme ed edonistico auto-appagamento, ma diventava un vero e proprio modus vivendi e una drogata, quotidiana e vorace fame di roccia (non c’erano i muri) da scalare ma anche da scoprire, avulsa dalla realtà e da ogni forma di impegno sociale; era però anche un mondo immensamente intrigante e creativo. Oggi, che mi sembra vagamente di aver trovato un equilibrio (sarà l’età…), devo riconoscere che proprio questo modo di vivere l’arrampicata come disciplina (condita da potenti dosi di endorfine e più vicina all’alpinismo) e non come lo stupendo sport che è diventata, a noi ex giovani ha cambiato radicalmente la vita e le sue scelte; e devo ammettere che aver potuto procrastinare a lungo l’arrivo della cosiddetta età adulta, vivendo le scalate come l’unica ragione di vita, non mi trova per nulla pentito se, ancora oggi, non posso resistere al richiamo di una breve free solo che mi riporta nel mio mondo, lontano dalla realtà. Giovanni Massari

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MIROGLIO NEI RICORDI DI NANDO

La Val Maudagna, con le sue borgate, le sue rocce, la sua vegetazione pittoresca e insieme selvaggia, è uno dei luoghi che mi sono più cari, legato a episodi che hanno segnato la mia vita fin dall’infanzia. Ricordo innanzitutto Miroglio, dove tutti gli anni mio padre, che suonava il violino e vari altri strumenti a corda, insieme con altri colleghi era solito portare una giornata di musica. Il concerto si svolgeva nei prati sottostanti alla vecchia Osteria del sole, gestita dal gioioso Tumena e dalla sua famiglia. Ma la festa cominciava già lungo il tragitto, che i musicisti percorrevano in bicicletta, ciascuno con il proprio strumento (grancassa compresa!), partendo da Mondovì e passando per Frabosa Sottana. Benché fossi appena un bambino, anch’io facevo parte della comitiva, che talvolta si fermava in prossimità di rocce che si stagliavano contro il cielo come pulpiti. Allora mio padre saliva su uno di quegli sbalzi e di lì suonava il suo violino, accompagnato dal basso da altri strumenti. Spettacolare! Da allora le rocce della Val Maudagna hanno sempre esercitato un’attrazione particolare su di me. E che dire della freschezza dei gorghi del torrente Maudagna, dove da ragazzino, munito di una rudimentale canna da pesca, ho acchiappato i miei primi pesciolini? Più tardi, poco dopo la guerra, la vallata è diventata il teatro dei miei allenamenti di arrampicata e di discesa a corda doppia. Le rocce dove attualmente è allestita la palestra offrono diversi tipi di difficoltà tecnica e si adattano a svariate prove di allenamento ed esercitazione. Ricordo con piacere sia le arrampicate, in cui usavamo chiodi normali e chiodi a espansione, per la maggior parte costruiti nell’officina di mio padre (oggi sarebbero definiti obsoleti o addirittura primitivi), sia il lavoro di squadra per allestire il ricovero e il sentiero per accedervi, fra spuntini rigeneranti e battute scherzose, in amicizia. Erano gli anni Cinquanta e si sentiva e si leggeva di imprese leggendarie compiute da alpinisti italiani e stranieri: un potente stimolo per noi ragazzi, che con passione e curiosità cercavamo il modo di dimostrare anche noi quello che eravamo capaci di fare. È nata così la voglia di migliorarci sempre più, all’inizio esercitandoci sulle rocce di Frabosa e Miroglio, comode da raggiungere per noi monregalesi,

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poi tentando scalate più impegnative. Lo spirito che ci muoveva era fatto di grande passione ma anche di orgoglio personale che quasi ci imponeva di collezionare traguardi e cime sempre nuove… Che soddisfazione! Il tempo a disposizione non era molto, e i mezzi di trasporto non erano certo quelli di cui si dispone oggi. Io mi muovevo spesso in Vespa, portando un compagno dietro di me e tenendo davanti alle ginocchia uno zaino strapieno di corde, cordini, staffe, martelli, chiodi… Fu proprio lo zaino a evitare il peggio un giorno in cui, con Franco Gallo, allora mio compagno di cordata più affiatato, tornavamo dopo l’ennesimo allenamento sui tanti torrioni della zona. Arrivati nei pressi dei Gosi, una Fiat 600 guidata da un ubriaco ci venne addosso, provocando un urto frontale. Franco fu sbalzato fuori strada, ma per fortuna rimase illeso. Io invece fui trasportato in stato di incoscienza alla clinica Bosio di Mondovì. Il mattino dopo, quando mi risvegliai, scoprii di avere subito un trauma cranico, di avere tre costole fratturate e un malleolo «da ristrutturare». Ma ci era andata bene, e allora non si usava il casco! Negli anni Sessanta e Settanta, d’inverno, insieme a tanti altri ho prestato servizio come addetto del Soccorso Alpino sulle piste di Artesina. A turno, la domenica, eravamo a disposizione lungo le piste, muniti di Akia, una slitta-barella con lunghi manici per manovrarla sulla neve: per i feriti trasportati erano brividi e affanni, ma anche risate! La valanga che nel febbraio 1972 travolse Artesina, compresa la «casa dell’ingegnere» (come la chiamavamo alludendo al progettista savonese della stazione sciistica), fu un duro colpo per tutti noi scialpinisti frequentatori della zona del Rifugio Mettolo. La Val Maudagna, così attraente… Quanti altri ricordi mi richiama alla mente: tanta allegria, tante soddisfazioni e qualche momento drammatico. Il ricordo più triste è quello della valanga che, mentre stavamo scendendo con gli sci lungo il canalone del Mondolè, travolse Franco Caveranno, mio fratello Mario e il sottoscritto, causando la morte del caro e forte Franco, appena diciannovenne. Nonostante questa tragedia, che da allora porto incisa nel cuore, la passione per la montagna non mi ha mai abbandonato. Allora non si raccoglievano i resoconti delle salite, né si scattavano molte fotografie (anche perché eravamo in pochi a possedere una macchina fo-

18


Miroglio

tografica), perciò a documentare le imprese di quegli anni sono rimasti rari documenti. Terminata una gita, ne progettavamo un’altra, guidati dall’entusiasmo, senza esibizionismi. L’abbigliamento e l’attrezzatura erano spesso rudimentali, e quando qualcuno, orgogliosamente, poteva mostrare qualcosa di moderno, gli altri cercavano di imitarlo nei limiti delle possibilità… finanziarie! Ci accontentavamo di poco, e a quel che mancava supplivamo con l’entusiasmo e la determinazione. Gli anni sono passati e tutto è cambiato, dall’equipaggiamento al modo stesso di andare in montagna, di sciare, di scalare. All’epoca, per esempio, non avremmo mai immaginato che certe salite e certi passaggi a strapiombo sarebbero stati percorsi in libera e a velocità incredibili! Oggi come ieri, però, quel che resta immutato è la passione che anima tutti coloro che si avvicinano alla montagna, magari muovendo i primi passi proprio in Val Maudagna, una vallata che talvolta sottovalutiamo, ma è così ricca di scorci bellissimi… Per me, come per altri, è stata luogo di svaghi giovanili e scuola per le diverse attività alpinistiche successive. Per questo non posso che esserle grato. Nando Bruno

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Quattro passi nella storia Da sinistra: Sandro Comino, pioniere dell’arrampicata libera sulle rocce di Miroglio, 1942 Il mitico Piero Billò, supera in artificiale l’uscita del 1° tiro della via dei Diedri al Torrione C, 1968 Foto di Archivio Cai Mondovì

Da sinistra: Gianni Comino, futuro ghiacciatore estremo in veste di direttore del corso roccia del CAI di Fossano, 1978 Carlo Bergese, Elio Panero e Igor Napoli, imitano John Bachar e Ron Kauk sul masso dimostrativo, 1980 Foto di Elio Panero

Da sinistra: Elio Panero, durante una delle prime ripetizioni del passaggio Grassi al Torrione F, 1980 Foto Archivio Elio Panero Giovanni «Giova» Massari, in free solo all’uscita del primo tiro della via dei Diedri al Torrione C, 2014 Foto di Alex Barbera


G. Massari ripreso dalla finestra della casetta costruita nel 1973 dal CAI MondovĂŹ, sul tetto di Iperzenith, 6b+ al Torrione B. Foto Alex Barbera

21


Miroglio

LA PALESTRA DEI DISTRETTI «BEPPINO AVAGNINA»

Accesso: da Mondovì raggiungere Frabosa Sottana e proseguire verso

Prato Nevoso-Artesina. Oltrepassato l’abitato di Miroglio, dopo avere attraversato una galleria paravalanghe e un ponte sul fiume Maudagna parcheggiare l’auto dove possibile. Subito dopo il ponte, accanto a una bacheca con le vie, parte un sentiero che si dirama verso destra (casetta e Torrioni A, B, C, D, E, F, U, V) e verso sinistra (Torrioni G, H, I, L, M, N, O, P, Q, R, S, T, Z) e in pochi minuti conduce alle prime strutture. Le stagioni: a Miroglio è possibile arrampicare tutto l’anno a eccezione dei periodi immediatamente successivi alle nevicate. In estate può fare molto caldo e la roccia tende a diventare scivolosa. Ideali sono le mezze stagioni. Le vie: le vie si sviluppano sui lati dei torrioni e sono generalmente chiodate a spit inox con anello di calata. Per ciascuna vengono indicati: il nome dell’itinerario, la valutazione in gradi francesi, la lunghezza, una breve descrizione e i nomi dei primi salitori. Tutte le vie sono state riviste e messe in sicurezza dalle guide alpine D. Dho e M. Casanova nel 2008. I settori: i settori sono formati dai singoli torrioni e dagli affioramenti di maggiore sviluppo che formano, nell’insieme, una specie di crestaanfiteatro: la maggior parte dei torrioni sono alti 20-30 m, mentre i torrioni B e C, i primi verso la strada, raggiungono rispettivamente i 40 m e i 70 m. Tipo di arrampicata: l’arrampicata si svolge su una quarzite di eccellente qualità e con buona aderenza, dotata di protuberanze a forma di fungo di ogni misura; non mancano diedri e fessure. Generalmente le difficoltà si concentrano in brevi e intense sezioni. L’arrampicata risulta sempre piacevole e ben protetta e si presta ottimamente anche alle prime esperienze da capocordata. I blocchi: la base dei torrioni e gli affioramenti più bassi offrono la possibilità di cimentarsi in una notevole serie di passaggi che formano un circuito di variegata difficoltà v. capitolo «Bouldering a Miroglio».

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Miroglio

L’INSIEME DELLE STRUTTURE

P Q O

R

S

T

N

I L

H G

M

F E Dd D

Z

U

V

C

A

Bb B

23


Miroglio

TORRIONE A

4 5

1

1.

1980

6

2 3

6a+

20 m

Spigolo a tacche, placca e lame finali (G. Massari in free solo a vista 1984)

2.

L’ancienne

5c

20 m

Diedro fessurato e pilastrino (G. Massari 2014)

3.

Oberon

5c

30 m

Diedro fessurato e pilastrino, possibile anche sostare con la seguente (G. Comino&C. anni ’70)

4.

Gian & Gian

6c

15 m

Diedrino difficile e uscita in fessura (G. Massari 2014)

5.

Il ponte di cristallo

6a+

15 m

Lama e ristabilimento, diedrino aperto. Il finale è sullo spigolo a destra (G. Massari 2014)

6.

La colata grigia

6a

Passaggio difficile iniziale e placca articolata (G. Massari 2014)

24

15 m


Miroglio

TORRIONE B LATO NORD

1

2 3

4

2

5

1

2

1.

Tanto tanto

6b+

30 m

Diedro e fessura a V (6a, in comune con la seguente). Dalla sosta supera il muro bianco prima per tacche poi per una bella scaglia (D. Dho, M. Casanova 2008)

2.

La diagonale

L1 3c, L2 6a

50 m

Parte nel camino in basso alla base del torrione, la seconda lunghezza parte a destra della sosta ed esce dal caratteristico diedro a V (P. Billò&C. anni ’50)

3.

Irene, chi ce l’ha se la tiene

6c+

20 m

Variante alla precedente. Stessa partenza, ma esce a sinistra nel diedro strapiombante con incastri e incroci (ex Diretta Nord in arrampicata artificiale; P. Billò&C. anni ’60)

4.

Eva express

6b

Muro strapiombante a buone prese distanziate (I. Napoli&C.)

25

20 m


Miroglio

TORRIONE B LATO SUD

8

11 10

9 7

5.

Boia Contadin

6

5

L1 4b, L2 4c

35 m

Vago pilastro e fessura strapiombante (P. Billò&C. anni ’50)

6.

Zenith diretta

L1 5c, L2 4c

35 m

L1: pilastro a buone prese con breve passaggio difficile nel finale (G. Massari in free solo a vista 1982). L2 in comune con la seguente; più duro passando nel tetto a sinistra dello spit (6a)

7.

Zenith

L1 5c, L2 4c

35 m

Diedro-camino e breve diedro strapiombante a destra su lame (P. Billò&C. anni ’50).

26


Miroglio

8.

Iperzenith

6b+

5 m

Parte in comune con Zenith e senza moschettonare la sosta (attrito) supera il tetto verso sinistra con un ristabilimento su tacche (G. Massari 2014)

9.

Evergreen

5c

25 m

Pilastro e uscita a sinistra sotto il tetto, sosta in comune con la seguente (G. Massari in free solo a vista 1983)

10. Itaca nella nebbia

6b+

25 m

Bella placca con fessura finale (I. Napoli, L. Biasotti 1987); il ristabilimento centrale su tacchette e piatti è evitabile con un semicerchio a destra e la via diventa 6a+ (fu aperta in questo modo in free solo a vista da G. Massari 1984)

11. Diedro classico

5a

Diedro non chiodato (ignoti anni ’60)

27

30 m


Miroglio

TORRIONE Bb

2

6

1.

5

4

3

1

Disse «Muuuh!»

6a

20 m

4c

25 m

Diedro e fessura svasata (P. Fenoglio 1986)

2.

Fessura diagonale

Larga fessura che attraversa verso sinistra le vie del torrione, possibile concatenarla con le vie classiche del Torrione C (ignoti anni ’50, non chiodata a spit)

3.

Belzebù diretta

6b+

20 m

Partenza difficile su fessurine in opposizione poi placca (P. Fenoglio 1989)

4.

Belzebù

6a

15 m

Partenza difficile e proseguire in comune con la seguente (P. Fenoglio 1989)

5.

Spigolando

4c

15 m

Passo difficile iniziale poi buone lame (P. Fenoglio inizio anni ’90)

6.

Muro verde

4c

Muro verticale su buone prese (P. Fenoglio inizio anni ’90)

28

15 m


Miroglio

TORRIONE C LATO NORD

3 2 1

1.

No Edge

6a

15 m

Spigolo leggermente strapiombante e uscita su tacche (G. Massari in free solo a vista 1984, non chiodata)

2.

Gunf

5c

15 m

Muretto verticale su lame (P. Billò&C. anni ’60)

3.

Snorg

5a

15 m

Diedro con uscita a destra; dalla sosta è possibile proseguire verso sinistra e unirsi a C’era una volta (P. Billò&C. anni ’50)

29


Miroglio

TORRIONE C LATO SUD

17 16 13 12

14

11

15

10

9

7 8 5 6

4.

Olga pizzaiola

6a

15 m

Placca a piccole prese situata alla base del torrione, non segnata in foto (G. Massari in free solo 1985, chiodata da P. Fenoglio 1986)

30


Miroglio

5.

C’era una volta

L1 4b, L2 4b, L3 4b

70 m

Arrampicata classica su lame e fessure di tre brevi lunghezze di corda (ignoti anni ’70)

6.

Superclassica

L1 4a, L2 4a, L3 4a

60 m

La classica di Miroglio su ottime prese di ogni forma, salita da generazioni come iniziazione o in free solo (ignoti anni ’50)

7.

Genere: duri

L1 6b, L2 5b

50 m

Parte dalla prima sosta della Superclassica. Tetto atletico da superare direttamente su rovescio e tacche, poi lame e diedri (L1 G.Massari in free solo a vista 1984, L2 ignoti anni ’70, chiodata in seguito da I. Napoli&C.)

8.

Vampir

6a

20 m

Diedro tecnico di difficile impostazione (ignoti anni ’70)

9.

Spazio zero

6b+

20 m

Muro a tacche verticali con partenza difficile (P. Giusta, S. Rossi 1986). Nota: sosta in comune con la precedente da cui parte Miroj du fou (4c, 25 m) lame e diedri (ignoti anni ’80, chiodata in seguito da I. Napoli &C., non indicata in fotografia)

10. Bin Laden

7a

20 m

Breve sezione boulder, una presa in comune con Spazio zero (D. Dho, M. Casanova 2008, liberata da D. Dho 2008)

11. Arcadia

7a

25 m

Parte da Samarcanda e traversa sotto il tetto uscendo per Spazio zero (P. Billò&C. anni ’60, liberata da G. Massari 1983)

12. Samarcanda

6b

20 m

Larga fessura strapiombante, tecnica e un po’ fisica (P. Fenoglio 1989)

13. Fortebraccio

L1 6c, L2 5c+

50 m

Muro su piccoli appigli (un po’ costretto), poi diedri a tacche. La via è dedicata a G. Comino (L1 I. Napoli&C., L2 ex Via dei Diedri)

14. Diedrolandia

L1 5c, L2 5b

50 m

Diedro aperto con finale tecnico, poi diedri verticali su buone prese (ex primo tiro della Via dei Diedri che proseguiva a destra sul torrione per la linea di maggiore debolezza, P. Billò&C. anni ’60)

15. Pinocchio

4b

25 m

5c

20 m

Spigolo appoggiato (ignoti anni ’60)

16. Sogni d’oro

Piccoli tetti e muretto finale (ignoti gruppo GAM anni ’70)

17. Fessura pazza

5c+

20 m

Parte a sinistra di Sogni d’oro. Fessura a incastro e muretto finale a sinistra della precedente, non chiodata (G. Massari in free solo a vista 1998)

31


Lorenzo Tomatis imposta sapientemente il passaggio chiave di Eldorado, 6a al Torrione E, lo assicura l’attenta guida alpina Diego Dho. Foto Paolo Seimandi


La suggestione del bouldering notturno a Miroglio. Foto Alex Barbera

Diego Dho, in posa plastica all’uscita di Gnocchetti verdi con burro e salvia, 6a+ al Torrione M. Foto Paolo Seimandi


Miroglio

PALESTRA GIANNI COMINO O MIROGLIO 2

La storia: le prime testimonianze ufficiali di un’esplorazione del sito si devono a Pucci Giusta, che nel 1979, prima da solo e in seguito con Gianni Comino, alcuni amici e i compagni del gruppo GAM, esplora sistematicamente i torrioni più evidenti, tracciando in arrampicata libera e con l’uso dei primi nut una ventina di itinerari che seguono le molte ed evidenti linee in fessura. Successivamente, all’inizio degli anni ’80, fanno la loro comparsa, grazie agli alpini che utilizzano queste rocce per le loro esercitazioni, le prime vie con attrezzatura fissa (chiodi normali, spit e chiodi a pressione); alcune sono nuove, mentre altre ricalcano le vie precedentemente aperte dai ragazzi del GAM. Nonostante la palestra sia stata meta di alcune uscite dei corsi di roccia del CAI di Mondovì con la conseguente apertura di ulteriori itinerari, sempre in ottica «clean», è solo all’inizio degli anni ’90 che l’area viene attrezzata con intenti più sportivi da parte del sempre attivo Paolo Fenoglio e di Igor Napoli; tracciano una ventina di vie a spit di più lunghezze o da percorrere in moulinette, anch’esse in parte nuove e in parte già salite in modo tradizionale, nel tentativo di dare un nuovo impulso all’area. Dopo un lungo periodo di oblio, è soltanto nel 2016 che Giovanni Massari chioda il settore Juventus Area.

H

G F

E

D C I L

B

A

54


Miroglio

P

I settori: la palestra si suddivide in una serie numerosa e complessa

di guglie quarzitiche contrassegnate da lettere dell’alfabeto, alcune delle quali ancora inesplorate. In questa pubblicazione prenderemo in considerazione solo tre dei molteplici settori, quelli in cui si concentra il maggior numero di vie di interesse sportivo e quelli con attrezzatura migliore: il settore principale del Torrione C, il Torrione D e la nuova Juventus area. Per gli altri settori si rimanda alla pubblicazione Castagne, spit e magnesite di Igor Napoli (L’Arciere, 2004), rammentando comunque che esistono ancora numerose possibilità di sviluppo di nuovi itinerari.

55


Miroglio

Accesso: da Miroglio proseguire verso Artesina. Dopo aver superato

una cappella e circa 200 m prima di un paravalanghe parcheggiare l’auto in corrispondenza di uno scolo dell’acqua con due sbarre orizzontali. Sopra lo scolo parte il sentiero che, segnalato con ometti, porta in una ventina di minuti alle prime rocce chiodate in corrispondenza di una balconata con alberi di quercia. Per la Juventus Area traversare a sinistra verso nord e aggirare il Torrione B, raggiungendo in breve le prime vie. Per i torrioni C e D salire il ripido canale a sinistra del Torrione A fino a un piccolo canyon dove sono evidenti gli itinerari. La roccia: la roccia è la solita quarzite di buona qualità tipica della Valle Maudagna, che qui si manifesta forse nella sua forma migliore, con una grande varietà di strutture e una maggiore compattezza e lunghezza rispetto alle altre strutture della valle.

Da sinistra Pucci Giusta, Gianni Comino e Silvio Giuliano nelle prime esplorazioni di Miroglio 2 nel tardo autunno del 1979. Foto Archivio CAI


Miroglio

TORRIONE C

1

1.

2

3

4

Chi la fa la spitti

5c

5

20 m

Ottima roccia articolata (gli Alpini 1985) richiodata da I. Napoli 1995

2.

Salve

6b

20 m

6a+

20 m

Resistenza su buone prese (I. Napoli 1995)

3.

De bras

Simile alla precedente, ricalca fedelmente una via aperta con l’uso dei nut da G. Massari e F. Bausone 1984 (I. Napoli 1995)

4.

Forate pro nobis

5b

25m

6b+

25 m

Roccia articolata (I. Napoli 1995)

5.

Aria Singolo da interpretare (I. Napoli 1995)

57


Miroglio

TORRIONE D

1

2

3 4

1. Progetto 2. Biasottik colpisce ancora 6c 28 m Atletica fessura in parte da proteggere (A. Biasotti 1995)

3.

Caro Fuffy

5c

28 m

5a

28 m

Buone prese e continuitĂ (I. Napoli 1995)

4.

Spigolo dei tira taje

Itinerario facile e articolato (P. Fenoglio 1996)

58


Arrampicare in free solo è da sempre una consuetudine della palestra di Miroglio. Ape Iris, 5b al Torrione Dd. Foto Alex Barbera

Andrea Motta, storico rappresentante del gruppo GAM si destreggia su El sabor, 5b+ al Torrione D. Foto Alex Barbera


Miroglio

JUVENTUS AREA

1

2

3 4

5 6

1.

Bacciballum

6c+

15 m

6b+

15 m

6a+

18 m

Resistenza in strapiombo su buone prese

2.

De senectute Ristabilimento e buone prese

3.

Ad hoc Finale in strapiombo

60


Miroglio

4.

Una tantum

7a

18 m

Fessurina difficile e strapiombino finale

5.

Progetto

20 m

Muretto a tacche minime e finale strapiombante

6.

Probi viri

6a+

20 m

6a

20 m

Bel tiro strapiombante in fessura

7.

Bis in idem Buone prese distanziate

Il bouldering a Miroglio si svolge spesso su piccole highball. Placca del Ki, 6a al Torrione C nord, datata 1981. Foto Paolo Seimandi

61


Miroglio

JUVENTUS AREA

6 7

8

10

9

8.

Ibidem

11

6b

20 m

5c+

25 m

5c+

15 m

5c

15 m

Diretta del 7 su buone prese distanziate

9.

Obtorto collo Buone prese, diedro e ristabilimento

10. Simplex Buone prese e ristabilimento

11. Simpliciter Diedro e concrezioni.

62


Arrampicata nella fresca parete estiva della ÂŤJuventus AreaÂť alla palestra Gianni Comino o Miroglio 2. Qui su Obtorto collo, 5c+. Foto Paolo Seimandi


Miroglio

generale consigliato. Ho predisposto, sui blocchi più alti, alcune soste a spit in modo che chiunque, se lo desidera, possa esercitarsi e divertirsi senza rischi (è sufficiente munirsi di uno spezzone di 20 m e di un Gri-gri). Inoltre potrete notare che alcuni passaggi, saliti come boulder, sono ora chiodati (gli spit sono arrivati a Miroglio solo nel 1985), ma ho voluto proporli ugualmente per memoria storica (uno per tutti: il passaggio Grassi). Gli itinerari non presentano alcuna descrizione ma solo la linea di salita, in modo che ciascuno possa scegliere liberamente la propria sequenza nell’interpretazione dei passaggi. Percorrere questo circuito, oltre che un piccolo viaggio nel tempo e tra i personaggi dell’epoca (primi fra tutti Gianni Comino e Gian Carlo Grassi) è una piacevolissima alternativa alla solita giornata in falesia; una sorta di tuffo nel passato quando il confine tra le varie forme di arrampicata non era così definito e le difficoltà erano solo un dettaglio. partenza da seduto

partenza accovacciato

partenza in piedi

traverso

Il bouldering a Miroglio negli anni ’80 era fatto da tanto coraggio e parecchia incoscienza. Un giovane Carlo «Charlie» Bergese affronta al meglio il passaggio Grassi, simbolo di quell’epoca; a sinistra spuntano le braccia di Igor Napoli. Foto Archivio Elio Panero

68


Tutta la magia di Miroglio nei colori dell’autunno. Tito, 6c+ al Torrione N. Foto Paolo Seimandi


Miroglio

VIA PENOMBRA

La via si snoda sul lato nordest dei torrioni B e C, cercando di ottimizzare una linea attraverso i torrioni e di accumulare così un po’ di dislivello. Non mancano i tratti di bell’arrampicata e le soste sono tutte particolarmente comode. La via, chiodata a fix inox a distanza ravvicinata, si presta quindi ottimamente a una presa di contatto con le vie di più tiri per chi flirta con il 6a. Per la comodità d’accesso e per la variegata esposizione, sole al mattino e ombra al pomeriggio, rappresenta una valida alternativa quando si ha poco tempo a disposizione.

98


Miroglio

Molte sezioni lungo i tiri erano già state salite in precedenza senza l’uso degli spit. Materiale occorrente: sono sufficienti 10 rinvii e una corda da 50 m, alcune fettucce e qualche moschettone a ghiera. È consigliabile moschettonare tutti gli spit di passaggio al fine di ottimizzare lo scorrimento delle corde e garantire una buona assicurazione anche al secondo di cordata. Chiodatura a fix inox offerta da Rosso Sport di Lesegno. Penombra L1: salire il vago pilastro per una placca e, superato un risalto, raggiungere una sosta con anello alla base di un muro giallastro (5b+, 25 m, 8 fix, da qui è possibile salire i monotiri del settore nord del Torrione B) L2: salire il muro fessurato (La Diagonale, P. Billò&C.; richiodatura Matteo Casanova e Diego Dho) e superare un caratteristico diedro a V; quindi spostarsi a destra fino a un fix con anello (6a, 25 m, 8 fix) L3: salire per lame direttamente sopra la sosta, traversare a destra su blocchi e salire ancora per facili lame fino a un pulpito, quindi scendere 2 m a un terrazzino (2 fix) dove si sosta (5b+, 25 m, 8 fix) L4: salire la magnifica lama a destra del terrazzino, proseguire sull’evidente muro, ribaltarsi sullo spigolo e salire una placchetta fino a un terrazzino poco sotto la vetta (5c+, 25 m, 7 fix). A destra una larga fessura (Fessura Comino) e un risalto di bella roccia offrono un’altra possibilità, anch’essa già salita prima della chiodatura di I. Napoli (non segnato in foto, 5c, 25 m, 4 fix) L4 bis: superare direttamente il muro bianco sopra la sosta, e seguire la linea degli spit con bei passaggi su tacche fino a uscire su un terrazzino poco sotto la vetta, raggiungendo la sosta su un muretto bianco (6a+, 25 m, 8 fix) L5: Salire facilmente per un vago camino fino alla vetta del Torrione C (2b, 15 m)

Discesa sulla parete sud del Torrione C con 3 doppie da 25 m sugli evidenti ancoraggi, oppure dalla sosta di L4 traversare facilmente a destra fino a reperire una sosta che con una doppia di 25 m riporta sul sentiero a monte della casetta.

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Diego Dho su El Dorado al Torrione Meineri. Foto Paolo Seimandi

Finito di stampare nel mese di dicembre 2016 presso Andersen spa, Boca (NO)



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