Pannelli mostra seta bassa

Page 1

Cult

ur

a

territo r il

rio

pe

Albero di gelso centenario in frazione Mellea di Farigliano

Leggeri fili di seta dal Barocco al Novecento

- Luogo della Mostra: Carrù, Sacrestia della chiesa della Confraternita di S. Sebastiano o dei Battuti Bianchi. La mostra diviene un progetto itinerante interessando Comuni, Enti, Associazioni, Pro Loco, Biblioteche del territorio che la richiedono. - Promotore: associazione ELLISSE cultura per il territorio. - In collaborazione con Associazione Amici di Carrù, Biblioteca Civica Nicola Milano di Farigliano, Museo Civico di Clavesana, associazione Marchesato dei Clavesana, associazione San Fiorenzo di Bastia, Pro Loco Piozzo, Associazione “Centro Studi Storico-Etnografici Museo Etnografico Provinciale Augusto Doro”, Rocca de’ Baldi. - Con il patrocinio dei Comuni di Carrù, Clavesana, Rocca Cigliè, Piozzo, Bastia Mondovì, Farigliano, Lequio Tanaro, Rocca de’ Baldi. - Comitato scientifico: Patrizia Chierici, Laura Palmucci, Alessandro Abrate. - Ideazione e coordinamento: Alessandro Abrate. - Elaborazione dei testi: Alessandro Abrate, Patrizia Chierici, Laura Palmucci. - Con la collaborazione di Claudia Clerico, Enrico Chionetti, Andreina Galleani d’Agliano, Carla Bertone. - Fotografie: archivio Ellisse cultura per il territorio, archivio associazione Amici di Carrù, Claudia Clerico, Enrico Chionetti, Arianna Pellegrino, Alessandra Filippi. - Grafica: Rossella Borra. - “Ellisse, cultura per il territorio”, associazione onlus di volontariato: 3381471942 ellisseassociazione@outlook.it Nicola Dallamano, Michele Antonio Milocco ‘Allegoria della Primavera’, soffitto di una sala di casa Canosio, Carrù

- Pannelli espositivi tematici realizzati con il contributo della CRC Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, Bando Patrimonio Culturale - 2017. Con il contributo della

Nicola Dallamano, Michele Antonio Milocco ‘Allegoria della Primavera’, soffitto di una sala di casa Canosio, Carrù


Cult

ur

a

territo r il

rio

pe

Rocca de’ Baldi, altare della chiesa parrocchiale, ‘Annunciazione’, bottega dei Carlone

Farigliano, Santuario Madonna delle Grazie

Leggeri fili di seta dal Barocco al Novecento

Il progetto e la mostra

Pianeta in seta, ca. la metà del XVIII secolo, Carrù, chiesa dei battuti bianchi

Piozzo, castello dei conti Vacca

Alberi di gelso

Rocca Cigle, il castello, la torre, la chiesa parrocchiale

Prendendo spunto da ‘LE FABBRICHE MAGNIFICHE, la seta in provincia di Cuneo tra seicento e ottocento’ (mostra in S Francesco, Cuneo, 1993 – catalogo a cura di L. Palmucci e P. Chierici), tuttora il riferimento più completo per lo studio delle vicende legate alla produzione serica nel cuneese, il progetto si sviluppa in una parte di territorio particolarmente vocato (nei secoli passati) alla sericoltura. Infatti i Comuni di Carrù, Piozzo, Farigliano, Clavesana, Magliano Alpi, Rocca de’ Baldi, formano un’area omogenea in cui si svilupparono la coltivazione del gelso, l’allevamento del baco da seta, la trattura, la torcitura e la produzione di organzino dapprima nei Filatoi, in seguito, con i rinnovati sistemi di fabbrica, nelle Filande. Tuttora in questi paesi sono chiaramente rintracciabili i luoghi materiali (edifici) in cui si produceva la seta e svolgevano le operazioni della trattura e filatura. In particolare Carrù aveva il ruolo di capofila nella zona, in quanto il Filatoio settecentesco degli Alessi di Canosio rappresentò un sistema di fabbrica innovativo e all’avanguardia per quei tempi, in cui convergevano principalmente i bozzoli raccolti nel circostante territorio. La comunità carrucese e i paesi limitrofi erano, a tutti i livelli (dal contadino al nobile), impegnati nel complesso itinerario che dal vorace baco porta al sottile filo di seta. I conti Alessi di Canosio furono gli artefici del particolare splendore che caratterizzò il paese e il territorio in quel tempo: munifici ‘Signori della seta’, tradussero la loro ricchezza in committenza a largo raggio e così chiese, cappelle, case e palazzi, interni ed esterni restano tuttora a testimoniare un singolare contesto sociale e culturale. Se gli Alessi furono il ‘motore’ di quel clima fecondo altre famiglie carrucesi e dei paesi limitrofi, furono coinvolte nell’avventura della seta (ad es. i Mancardi a Farigliano e Piozzo, ecc.) che si traduceva in ricchezza, dunque, di conseguenza, in committenza e investimenti ‘culturali’. I paesi presi in considerazione conservano singolari testimonianze architettoniche e figurative poiché furono a più riprese coinvolti in cantieri prestigiosi (da Giovenale Boetto a Francesco Gallo, dai Dallamano al Milocco al Beltramelli, dai Pozzo al Ponzanelli ai Bongiovanni, da Filippo Nicolis di Robilant al Vittone, dai Gagini al Taricco al Piffetti sino allo Schellino). Non è difficile individuare nella seta e nel benessere legato alla sua produzione ed al suo commercio, la fonte principale di questa committenza complessa, esigente e attenta alla qualità degli interventi architettonici e figurativi. Non solo architetti, pittori, orafi e scultori ma anche scenografi, minusieri, doratori, marmorari, scalpellini, tappezzieri ed umili artigiani furono chiamati per definire quell’insieme di luoghi pubblici e privati che ancora oggi, anche se solo in parte, continua a raccontare un’epoca ed un gusto. E’ questo pertanto il filo conduttore del progetto: mettere in relazione luoghi, committenza, cantieri (che passano dalle prestigiose botteghe pittoriche e dei marmorari liguri agli artisti impegnati a Torino per la Corte, attivi in questo territorio) con il mondo affascinante e prezioso della produzione serica, che qui si veniva a svolgere e che rappresentava reddito, potere ed interesse culturale a largo raggio d’azione. Epoicisonolesetetuttoraconservatenellechiese,tasselloimportantepermegliocomprendere un contesto. Il patrimonio tessile custodito nelle varie chiese di Carrù, Clavesana, Farigliano, Piozzo, Bastia, Rocca Cigliè, Rocca de’ Baldi è notevole: ‘norme rigorose prescrivevano la consistenza del corredo di vesti liturgiche, disponendo la necessità di paramenti di colori diversi, confezionati in tessuti comuni o preziosi se destinati alle festività solenni; controlli periodici ne verificavano lo stato di conservazione e ne ordinavano la manutenzione e il rinnovo, accumulando negli armadi delle sacrestie nuovi parati accanto ai vecchi’. ‘Soffermarsi sui disegni, sulle stravaganze bizzarre, sui motivi naturalistici che nascono da vasi, ceste e cornucopie, essere catturati in quel gioco di strani riflessi, ammaliante, che solo la seta trasmette, è come aprire i cancelli e affacciarsi su di uno straordinario, lussureggiante giardino che mescola rarità esotiche agli incanti dei roseti, dei biancospini, dei gigli’. Con il contributo della

Clavesana, castello Donadei, gà dei Conti Caramello

Carrù, il castello dei conti Costa e l a chiesa parrocchiale dell’Assunta


a ur Cult Carrù, Preosa, la Vigna degli Alessi

Stemma degli Alessi di Canosio

territo r il

rio

pe

Leggeri fili di seta dal Barocco al Novecento

I Signori della seta: gli Alessi di Canosio

Dall’alto in senso orario: Atrio e scala di casa Alessi di Canosio, Carrù Salone d’onore di casa Alessi, Fossano Ritratto di Paolo Felice Alessi di Canosio Portoncino d’ingresso di casa Canosio, Carrù Nicola Dallamano, Michele Antonio Milocco ‘Allegoria della Primavera’, soffitto di una sala di casa Canosio, Carrù

Gli Alessi sono documentati in Carrù dal XVII secolo dove possiedono una casa e terreni. Giovanni ‘teneva un banco di sete’, attività proseguita dal figlio Giacomo Bernardo, padre di Gianbattista che, muovendosi col fratello avvocato Giuseppe Antonio tra Carrù e Torino (entrambe impegnati nel commercio serico) accumula una discreta fortuna. Nel 1726 Gianbattista, con forte spirito imprenditoriale, impianta un Filatoio a Carrù, proprio sotto il castello dei Costa (che lo proteggono), attività redditizia e moderna che nel giro di pochi anni lo porta a compiere una scalata sociale folgorante. Più volte membro del Consiglio Comunale, Sindaco del paese, Priore della Confraternita di S. Giovanni Decollato, membro delle compagnie erette nella chiesa Parrocchiale, giunge a controllare la gestione (con fini speculativi) dei beni feudali, anticipandone le rendite ai Costa. Nel 1747 l’ascesa familiare è coronata dall’acquisto del feudo di Canosio col titolo comitale. Nel ’49, istituendo una primogenitura per il figlio Paolo Felice, il Conte consegna di possedere varie case nel concentrico del paese, tra cui il palazzotto sulla Piazza in cui risiede, cinque cascine, la Vigna sulla Preosa, il Filatoio nella valle del Rivo, prati, boschi, terre, orti e alteni; nel 1750 un nuovo investimento è destinato al figlio quartogenito Gerolamo Bernardino, ovvero l’acquisto di un Filatoio (già attivo) a Fossano nel sobborgo Romanisio. Alla sua morte, nel 1758, le redini delle imprese familiari fanno capo, per Carrù a Paolo Felice che nel 1751 sposa Carlotta Verri della Bosia; per Fossano a Gerolamo Bernardino che, nel ’59, acquista, accanto al duomo della città, il prestigioso palazzo Baratta e consolida immagine e potere sposando Maria Luisa Alessandri, di vecchia nobiltà. Ma è una committenza aggiornata, sicura e incalzante a caratterizzare le scelte dei due fratelli: Paolo Felice diviene direttore dei lavori all’interno della chiesa carrucese di S. Giovanni Decollato affidando a Nicola Dallamano l’intera decorazione e riservando per la famiglia la cappella del Crocefisso, con privilegio di sepoltura. Sempre Dallamano è impegnato, con direttive di Filippo di Robilant, nell’intera sistemazione dei due corpi di casa sulla Piazza, dove, nei vari ambienti, una ricca decorazione giustappone trompe l’oeil a figure, giocando un singolare effetto illusivo. Il Dallamano, nel risolvere decorazioni e quadrature, è affiancato dal celebre artista di Corte Michele Antonio Milocco, che dipinge figure ispirate alla mitologia in particolare agli Dei dell’Olimpo. Anche la Vigna sulla Preosa viene abbellita, il Filatoio ingrandito e impreziosito dalla cappella di S. Giobbe e il ruolo egemone del Conte è avvertibile un po’ ovunque in paese. A Fossano la dimora degli Alessi, appartenuta ai Baratta e oggi sede della Cassa di Risparmio di Fossano, è aggiornata da Filippo Nicolis di Robilant, e decorata dai luganesi Pozzo (alcune sovrapporte sono del Milocco) divenendo, in quegli anni, la più sontuosa della città, a celebrazione del nuovo titolo acquistato nel 1777 da Gerolamo B. per il figlio Giangiacomo Baldassarre, che diviene conte di Moiola. La ricchezza degli Alessi è manifestata anche quando, tra i beni del ‘fardello’ di una bisnipote di Gianbattista, la damigella Paola Maria Teresa che va sposa nel 1798 a Giuseppe Arimondi, è citata una ‘tabacchiera d’oro di Parigi’, prestigioso legato proveniente dalla bisnonna, che ci permette di intravedere raffinate consuetudini familiari. Quella degli Alessi è una continua ascesa che sembra non interrompersi neppure quando, negli anni ottanta, il mercato serico crolla. Ma i fratelli Alessi credono così tanto nella seta che continuano ad investire: con una mossa azzardata ma contando sull’ingente disponibilità di denaro accumulato acquisiscono, nel 1787, il controllo dei prestigiosi Filatoi di Caraglio e di Busca. Di qui, per i Signori della seta, ha inizio un lento declino che porterà i discendenti, via-via, ad erodere il consistente patrimonio. I carrucesi conti Alessi di Canosio e il ramo fossanese degli Alessi di Moiola, a ben vedere, si configurano singolare esempio di una formidabile scalata sociale avvenuta nell’arco di pochi Con il contributo della decenni legata alla produzione serica in Piemonte.


Cult

ur

a

territo r il

rio

pe

Da sinistra: l’ex filanda di Farigliano, oggi sede comunale. Tenuta Luzi Donadei a Clavesana, particolare.

Leggeri fili di seta dal Barocco al Novecento

Farigliano: filature e filanda.

Farigliano in un’immagine del 1945. Nel riquadro parte della filanda

Estratto della Mappa del Territorio del luogo di Farigliano, seconda metà XVIII secolo, a firma Giuseppe Vigliada - Archivio di Stato di Torino Mappe del Catasto Antico - Circondario di Mondovì - Mandamento di Dogliani - Farigliano - Mazzo 121

“Nel 1780 apprendiamo (Ordinati) che in paese esistevano: “due filature per filare cochetti, una di 14 fornelletti sul fine del luogo degli Airali di San Sebastiano (ora casa ed area comunale) appartenente al Sigr. Giuseppe Maria Piacenza di questo luogo e l’altra di 8 esistente nelli Airali delle bicocche (ora in fondo alla via s. Martino) ed appartenente al Sigr. Tommaso Albesiano di Camerana, da più anni residente in questo luogo. Consumano fra tutte e due cento carra di legno (circa). Danno comodità al paese di vendere i loro “cochetti”. Nel 1825 l’opificio dei Piacenza passa ai Mancardi e intorno agli anni novanta dell’800 appartiene ai Levi e Fubini; nel 1861, aggiornato in filanda, dava lavoro a 176 addetti. Del notevole complesso produttivo per la trattura oggi non rimane che l’ala orientale, profondamente riplasmata per ospitare gli uffici comunali ed aule per attività scolastiche. Sono tuttora riconoscibili su entrambe le fronti dell’edificio parte delle aperture ad accentuato sviluppo verticale. Nel 1892 (Statistica Industriale Piemonte) la filanda, provvista di 110 bacinelle a vapore, dava lavoro a 6 maschi adulti, 150 donne e 20 bimbe-ragazze sotto i 15 anni. In data 14 agosto 1895 viene presentato un progetto di acquisto e di adattamento dell’intero complesso ad uso scuole ed uffici comunali. L’immobile è così descritto: “(…) fabbricati componenti il già edificio di Filanda cogli annessi cortili, giardino, prato e campo cinti da muro col fornello della Macchina e parafulmine e colla ragione, diritto e proprietà di acqua proveniente dalla fontana detta Sarmenga (…) di are centosettantaquattro, centiare settantadue, pari a giornate 4, tavole 59, piedi 6 (…)”.

Clavesana: la filatura Asinari di Bernezzo. Clavesana, dalla fine dell’800 fino agli anni settanta del 900, era rinomata per l’impianto del grande e moderno cotonificio Olcese; ma la vocazione legata ai filati risaliva al XVIII secolo quando gli Asinari di Bernezzo, che possedevano una parte dell’antico marchesato di Clavesana, impiantarono una piccola filatura da seta nella Villa. A testimonianza della presenza dell’opificio resta un documento relativo alla scelta del sito per la costruzione della nuova chiesa parrocchiale di San Michele (1760 ca), uno spazio pubblico che confinava a levante con il giardino e la filatura del marchese Asinari di Bernezzo. Clavesana, veduta de “La Villa” Clavesana: chiesa parrocchiale di S. Michele, sorta accanto alla filatura Asinari

Santuario N. S. delle Grazie, Mellea di Farigliano: altare della famiglia Mancardi. L’olio su tela raffigura S. Francesco d’Assisi che riceve le stimmate sul monte della Verna, opera del pittore carrucese Marengo, XVIII sec.

Santuario N. S. delle Grazie, Mellea di Farigliano: altare della famiglia Revelli, poi Boschis. L’olio su tela raffigura i Santi Michele Arcangelo, Lodovico Vescovo di Tolosa e Bernardino da Siena, opera del pittore Sebastiano Taricco, XVIII sec.

Negli edifici religiosi di Clavesana, in particolare nella chiesa parrocchiale di San Michele, nel Santuario della Madonna della Neve e nella cappella di Sant’Antonio sono conservati paramenti serici di pregevole interesse (soprattutto riferibili al XVIII secolo) a testimonianza di un gusto che, attraverso Torino, in cui i manufatti erano lavorati, qui giungeva grazie a famiglie prestigiose legate al territorio quali gli Asinari, i Caramello, i Faussone, i Della Valle. Anche Farigliano, nelle sue chiese, conserva tuttora interessanti paramenti sacri; i manufatti raccolti nel settecentesco Santuario della Madonna delle Grazie possono raccontare, ad esempio, la committenza, la devozione e il gusto dei nobili Piacenza, delle famiglie notabili Revelli e Mancardi (i Mancardi possedevano la filatura di Piozzo), dei carrucesi Lubatti, che qui avevano i loro altari e, per adornarli, chiamarono artisti importanti, tra questi il pittore Sebastiano Taricco. Con il contributo della


Cult

ur

a

territo r il

rio

pe

Leggeri fili di seta dal Barocco al Novecento

Storia della seta

Il baco da seta divora foglie di gelso

Matrone romane drappeggiate con preziosi abiti serici, affresco di epoca imperiale Le vie della seta dall'Oriente all'Europa

L'arte della seta in epoca medievale (da un manoscritto toscano)

La storia della seta parte dalla Cina e si fa risalire al 2700 a. C. La seta si ottiene dal bozzolo del bombyx mori, un baco appartenente all’ordine dei Lepidotteri, famiglia Bombycidae, che si sviluppa attraverso lo stadio di uovo, larva, crisalide e farfalla. Il baco da seta trascorre l’inverno nello stadio di uovo; quando, a primavera, le piante di gelso iniziano a germogliare l’allevatore trasferisce le piccole larve schiuse su graticci orizzontali ricoperti da foglie di gelso. Qui i bachi mangiano senza sosta per circa quattro settimane, aumentando enormemente le proprie dimensioni. Quando il baco inizia a dondolare il capo nervosamente l’allevatore dispone sui graticci dei fasci di rami secchi, detti bosco, sui quali l’insetto si arrampica. Il baco si fissa al ramo con fili rozzi ma robusti, che formano la spelata ed inizia a costruire il bozzolo vero e proprio, avvolgendosi nel filo che ininterrottamente secerne. I bozzoli destinati alla produzione della seta sono sottoposti alla cernita, poi alla stufatura, operazione con la quale si uccidono le crisalidi. Dopo l’immersione del bozzolo in acqua bollente, contenuta nelle bacinelle o “fornelletti”, avviene la scopinatura, ovvero la strofinatura dei bozzoli con scopine di saggina per trovare il capofilo; quindi inizia la trattura in cui, legato il capofilo ad una aspro, si fa ruotare quest’ultimo fino a quando il filo viene avvolto in matassa, pronto per le successive lavorazioni.

La seta

Giunse in Europa attraverso i commerci, ed in epoca romana era considerata un bene di lusso al pari dei metalli preziosi e delle gemme, prerogativa degli imperatori e delle classi abbienti. Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, VI, 54) parla di lanicio silvarum (filato delle foreste) per indicare la seta, testimoniando che i romani non avevano idee chiare relative alla lavorazione del prodotto. Secondo una leggenda, successivamente, grazie a due monaci inviati in missione segreta dall’imperatore Giustiniano, i bachi da seta giunsero in occidente ed iniziò a svilupparsi la produzione serica in Europa. Questo non pose fine al viavai lungo la Via della Seta, o meglio, le “Vie della Seta”, dato che non si trattava di un’unica strada, bensì di un groviglio di percorsi che univano l’Asia Orientale, soprattutto la Cina, al Medio Oriente e all’Europa. Celebre, a percorrere la strada della seta, fu Marco Polo (1254-1324) che, dai suoi viaggi, riportò a Venezia manufatti preziosi, soprattutto tessuti. E furono i manufatti serici, infatti, a creare la fortuna dei mercanti di Venezia, ma anche di Firenze, Bologna, Genova, Lucca ed altre città. Venezia divenne un importante centro dell’industria serica, che, in Italia, conoscerà il suo massimo splendore tra il XVI secolo e il XVIII secolo. In Francia, Lione, acquisì un rilievo internazionalmente riconosciuto legato alla tessitura ed al commercio dei prodotti serici. Con il contributo della


Cult

ur

a

territo r il

rio

pe

Leggeri fili di seta dal Barocco al Novecento

Mulino da seta piemontese, ricostruzione attuale

Dall’alto: Mulino da seta alla piemontese, XVIII sec. Soierie, tirage de la soie et plan du tour de Piemont, tavola dall’Enyclopedie, XVIII sec.

La seta in Piemonte In Piemonte l’allevamento del baco da seta e l’industria serica, controllati, protetti e incentivati dal Governo Sabaudo, divennero, dalla seconda metà del Seicento sino agli anni ottanta del Settecento il settore trainante dello Stato. Dagli stabilimenti basati sull’innovazione tecnologica usciva l’organzino, un filo ritorto così pregiato da conquistare vaste e redditizie aree di mercato al di là delle Alpi ‘poiché non se ne trovava di simile in tutto il mondo’. La qualità del prodotto finito era garantita da funzionari e tecnici incaricati dal Sovrano di verificare periodicamente i macchinari, controllare il lavoro degli operai e punire chi non rispettava le norme di legge emanate a più riprese tra Sei e Settecento. Intanto i filari di gelso si moltiplicavano tra centro e periferia nelle zone di pianura, fino a raggiungere le pendici più remote della catena alpina. Le foglie dei moroni nutrivano i vermi da seta, allevati un po’ ovunque nella case dei contadini, che fornivano alle imprese ingenti quantitativi di bozzoli, coconi o gallette, selezionati con grande attenzione prima di essere trasferiti nei setifici. Al loro interno huomini periti accomodavano i coconi nel forno circolare, simile a quello domestico del pane, per soffocare le crisalidi col calore. Accanto al forno erano disposte le bacinelle di rame piene d’acqua riscaldata a fuoco diretto, affidate a fanciulle e ragazze capaci di estrarre fili molto sottili dai bozzoli rammolliti. Erano fili robusti e lucenti, di spessore uniforme, in grado di resistere, senza spezzarsi, alla tensione durante la torcitura (che avviene nei “mulini” o “piante”), fase di lavorazione necessaria per ottenere un prodotto eccellente. Il primo Filatoio fu costruito a Venaria nel 1670 per volontà del Duca Carlo Emanuele II. Altre Fabbriche Magnifiche (così vennero definiti i luoghi di lavorazione della seta) sorsero nel giro di breve tempo in vari luoghi del Piemonte tanté che, nella seconda metà del Settecento, con il perfezionamento delle tecniche, il Regno Sabaudo fu definito ‘in assoluta preminenza in Europa per la qualità

delle sete gregge prodotte’. L’impianto costruttivo degli edifici seguiva determinati schemi: erano presenti torcitoi mossi ad acqua, magazzini, depositi ed anche le abitazioni delle maestranze. Sul perimetro del cortile trovavano posto caldaie e filatrici protette da una semplice tettoia, una soluzione ricorrente sino allo scadere dell’Antico Regime: nell’Encyclopedie è riprodotto e reclamizzato quale esempio di eccellenza il procedimento di trattura e torcitura alla piemontese. Con il contributo della


a ur Cult

territo r il

rio

pe

Leggeri fili di seta dal Barocco al Novecento

Filatoi e Filande in area Cuneese

Dall’alto: Il filatoio di Caraglio Racconigi, filatoio Peyron Racconigi, setificio Manissero

Filatoio di Caraglio, meccanismi che azionano i torcitori

La provincia di Cuneo è terreno privilegiato per condurre un censimento delle testimonianze connesse alla lavorazione del filato serico, non soltanto per il numero e la consistenza materiale degli opifici, del tutto eccezionale rispetto al resto della Regione, ma anche per la funzione portante che tale attività ha svolto nell’ambito provinciale per circa tre secoli, a partire dalla seconda metà del Seicento. A Caraglio il Filatoio impiantato nel 1678 dal Conte Galleani costituisce un unicum nel contesto produttivo del Piemonte seicentesco per la sua rilevanza spaziale e architettonica, risultato di un progetto unitario che non perseguiva unicamente finalità funzionali ma anche rappresentative, sottolineate da pregevoli elementi decorativi. Altro importante centro per la lavorazione serica fu Cavallerleone (1750 ca; tra i proprietari i Tana e i Ceriana) dove tuttora è conservato un complesso edilizio di notevole interesse. Ad Alba è documentato un Filatoio agli inizi del XVIII secolo, poi trasformato in Filanda nell’800, attiva sino al 1930. Appartenne ai De Fernex e ai Craponne Viganò e nella seconda metà dell’800 era considerato uno dei maggiori complessi serici del cuneese, con una dotazione tecnologica di 7000 fusi cui erano addette 133 persone e di 120 fornelletti che occupavano 236 operai. A Boves furono in attività dapprima un Filatoio impiantato nel 1802 appartenuto ai Peano poi ai Musso; successivamente, nella seconda metà dell’800, due Filande (Cassin, poi Favole; Ariaudo). A Cuneo operavano, tra la fine del 700, l’800 e il primo 900 vari opifici serici in località Spinetta, Confreria, Basse S. Anna, appartenuti a varie famiglie tra cui i Quaranta, i Lattes, i Goffis, i Pasero, i Cassin, i De Michelis, i Tessore, i Martello, i Baroni Riperti di Canale. A Busca fu impiantato un Filatoio sin dal 1678 poi trasformato in Filanda, legato alle famiglie Amatis, Prandi, Sinigaglia. Tra la fine del 600 e il primo 700 a Racconigi sorsero ben quattro filatoi, numero che aumentò a metà 700 a 30 impianti, alcuni dei quali - in particolare Chicco e Manissero - attivi fino al primo 900. La cittadina costituiva un importante centro di lavorazione serica e numerose famiglie avevano investito ingenti capitali: tra queste i Paschetta, gli Agnelli, i Todros Segre, i Rignon, gli Sclopis, i Rubod, i Peyron, i Lapié, i Bay, gli Andreis Fava, i Guillot. Altri luoghi della Grande Provincia in cui furono costruiti opifici: Barge, Bene Vagienna, Bernezzo, Borgo S. Dalmazzo, Bra, Caramagna Piemonte, Castelletto Stura, Ceva, Cherasco, Chiusa di Pesio, Costigliole Saluzzo, Dronero, Fossano, Guarene, Margarita, Mondovì, Morozzo, Paesana, Peveragno, Revello, Saluzzo, Sanfrè, Savigliano, Sommariva Bosco, Venasca, Verzuolo, Villanova Mondovì. Con il contributo della


a ur Cult

territo r il

rio

pe

Leggeri fili di seta dal Barocco al Novecento

Cuneo, piazza Galimberti dove si svolgeva il mercato dei bozzoli

Macchina di trattura, in uso in varie parti d’Europa nel XVII sec. La seta prodotta, grossolana e sporca, non poteva competere con quella che sarà prodotta dalla macchina “alla piemontese”.

Alcune fasi della lavorazione della seta in una incisione bolognese della metà del XVII sec. (Giovanni Mangini incisore; Milano, Civica raccolta Bertarelli)

Veduta dell’interno della Filanda Keller di Villanovetta, ripresa da una pagina de ‘L’illustrazione popolare’ 7 luglio 1870, p. 160 (Milano, civica raccolta A. Bertarelli, vol. U 69)

Le ‘Fabbriche Magnifiche’ piemontesi ‘Ogni Filatura dovrebbe essere posta in comodi e convenienti siti dove si abbia un copioso canale di corrente acqua limpida’: questo annotava nel 1786 il conte Ignazio Ghigliossi di Lemie, Procuratore Generale del Commercio del Regno Sabaudo. E, rivolgendosi ai proprietari ‘che impiantano o riadattano filature di un qualche riguardo’ suggeriva ‘i portici siano alti e spaziosi |…|con i fornelli seguitati l’uno dopo l’altro e distribuiti in due ordini in linea retta ed il viale frapposto fra essi sia alquanto spazioso affinché gli invigilatori possano passeggiarvi con comodo.’ Ghigliossi dedicava particolare attenzione al sistema di copertura delle filature ricordando che ‘il tetto deve essere costrutto con somma diligenza in modo che le volanti faville della fuliggine che sortono col fumo dal fumaiolo del fornelletto non possano insinuarsi tra le fessure delle tavole, e soffiando il vento cadere di poi sulla superficie delle caldaie, con grave e notabile danno delle istesse sete’. Gli ottimi guadagni procurati dalla produzione e commercio serico fecero investire i proprietari dei Setifici in sempre nuovi, perfezionati e aggiornati sistemi di fabbrica, interventi volti a migliorare l’efficienza delle unità aziendali specializzate nella trasformazione dei bozzoli in seta greggia. L’allevamento dei bachi e le prime fasi della trasformazione erano, nell’età moderna sino all’epoca della loro scomparsa, attività decentrate nelle campagne. A Torino, capitale del Regno, erano invece localizzate, secondo uno schema usuale, le lavorazioni finali: la tessitura e la tintura. Torino era inoltre il centro finanziario dello Stato: vi risiedevano i grandi banchieri e mercanti, che accentravano nelle loro mani le operazioni relative al credito e all’organizzazione delle esportazioni. La sericoltura non era ugualmente diffusa sul territorio piemontese perché non tutti i terreni erano propizi alla coltivazione del gelso: nelle medie ed alte valli alpine questa coltura non era praticabile, così come nei terreni eccessivamente umidi. I luoghi piani erano i più adatti per il gelso che, essendo a fittone, si poteva sviluppare meglio in terreni sciolti, leggeri, calcarei, ghiaiosi. Il Cuneese fu particolarmente vocato per coltivare gelsi, e molti Filatoi e poi Filande vi furono impiantati. Con il contributo della Il mercato dei bozzoli di Cuneo fu nell’ottocento e nel primo novecento il più esteso ed importante dell’intera Italia.


a ur Cult

territo r il

rio

pe

Leggeri fili di seta dal Barocco al Novecento

Il Filatoio, sopra, in un disegno del 1848 ca. di Clemente Rovere, sotto, in una foto del 1890 ca.

Carrù: il Filatoio degli Alessi di Canosio. Nel 1753 l’intendente Lazzaro Corvesy, nella sua Relazione della provincia di Mondovì, presenta Carrù come ‘luogo cospicuo, bello, con contrade assai spaziose e cinto di mura… la maggior parte rovinate, con li fossi che circondano le medesime…vi sono belle case e in cima ad esso, a mezzogiorno un bel castello sebbene molto antico è stato ridotto al gusto moderno’. L’ufficiale sabaudo osserva inoltre ‘la moderna architettura della parrocchiale di disegno del fu architetto Gallo’. E ci informa che ‘vi sono due filatoi da seta propri uno dei signori Giò Batta Reineri e Giovanni Dalanzo, qual si fa girare con bestie e l’altro del signor conte Alessi di Canosio che gira con l’acqua proveniente da fontane, di quattro piante due da filato e due da torto, al quale resta unita una filatura di 70 fornelletti’. L’installazione del setificio idraulico Alessi, ampio e moderno rispetto a quello piccolo e antiquato Reineri-Dalanzo, risale al 1726. Cesare Vadda, nella sua Monografia di Carrù (1902), ci informa che ‘fin dal 1627 era florido assai in Carrù il mercato di bozzoli e si filava una grande quantità di seta’ e severe disposizioni erano applicate ‘a quelli che non consegnavano il giusto o facevano sfroso’. La vocazione serica carrucese è, nel 700, suggellata dall’impianto del filatoio Alessi, ingrandito dopo pochi anni da 3 a 5 piante, giungendo ad occupare, intorno alla metà del secolo, sino a 500 persone. Il sistema edilizio era imponente: sistemato nella scarpata (valle del Rivo) sotto il castello, tangente il canale da cui traeva forza motrice, conteneva l’edificio del torcitoio, sviluppato su più piani (ora parzialmente andato perduto), la tettoia per la filatura, l’abitazione delle maestranze, i magazzini e una cappella dedicata a S. Giobbe, ricostruita intorno al 1780. Il complesso produttivo, in continua ascesa durante i decenni centrali del 700, fu coinvolto, come tutti i setifici piemontesi, dalla crisi che rapidamente si diffuse negli anni ottanta del settecento, causata dai mutamenti di gusto (la moda del cotone, leggero e colorato); una terribile brinata poi, nell’aprile 1787, gelò sugli alberi buona parte delle foglie di gelso e, determinante, la Rivoluzione francese causò una rapida caduta della domanda di merci di lusso. L’indiscussa qualità delle sete piemontesi aiutò a sostenere, nonostante la flessione, il mercato che ebbe una sensibile ripresa dall’epoca napoleonica in poi. L’attività del mulino da seta Alessi continuò sino al 1890, quando un incendio compromise e distrusse buona parte del complesso edilizio. Quel che oggi resta versa in avanzato stato di degrado. Gli Alessi cedettero il filatoio ai Nigra nel 1834; da questi passò ai Musso sul finire dell’800. Con il contributo della Localizzazione, via del Filatoio 1. Catastale: fg. XVI, part. 17, 41, 42.


a ur Cult

territo r il

rio

pe

Leggeri fili di seta dal Barocco al Novecento

Carrù: la cappella di San Giobbe al Filatoio.

Carrù, cappella di San Giobbe al Filatoio, 1780 ca. Esterno e interni

Inserita nella ‘fabbrica’ del setificio Alessi la cappella dedicata a San Giobbe (patrono dei lavoratori della seta) e allo Sposalizio della Vergine, desta meraviglia e stupore. Si tratta di un vero gioiello, una architettura definita nei dettagli, sottolineata da una ricca e ricercata decorazione a stucco, piena di luce e di armonia: si possono ancora rintracciare i colori originali, i giallini, i celestini, i rosa a dare risalto agli intrecci di foglie, fiori e frutti degli stucchi bianchi. Siamo intorno al 1780 e a volere questo scrigno di eleganza fu Paolo Felice Alessi di Canosio, un uomo che non solo a Carrù, ma in giro per la Provincia ed il Piemonte era riconosciuto come un imprenditore attento e illuminato, così come il fratello Gerolamo Bernardino che, da Fossano, contribuiva a consolidare il potere della famiglia. La posizione, le conoscenze, le frequentazioni e i contatti d’alto livello non potevano che orientare gli Alessi, anche nel campo della committenza, verso gli ambienti e i nomi più qualificati presenti nel Regno di Sardegna. Qui l’architetto Filippo Nicolis di Robilant potrebbe giocare un ruolo significativo, forse affiancato da un altro importante collega sensibilmente attento alle minuzie decorative sperimentate in un memorabile soggiorno inglese, Giovanni Battista Borra. Il nome del Borra si rivela per certi particolari decorativi, per alcune morbide soluzioni architettoniche: ritmi e pause nella conduzione dell’apparato plastico indubbiamente ricavati da precisi disegni, segnalano un gusto, uno stile, una sensibilità prossima ad alcune opere certe dell’architetto che fu allievo di Vittone e spesso collaborò con l’Alfieri. Soprattutto accostando l’apparato decorativo della cappella di San Giobbe agli stucchi che riscontriamo nel salone d’onore di villa Berroni a Racconigi troviamo analogie dirette e calzanti: la nervosità di certe volute, la distribuzione pausata degli elementi plastici, uno sguardo d’insieme sicuro e aggiornatissimo che va al di là degli orizzonti piemontesi e, oltre ad essere estremo prodotto di una tarda cultura rocaille si fa testimone di un più razionale procedere verso l’incipiente gusto neoclassico, sono elementi che ci portano ad avanzare il suo nome. Siamo negli anni ottanta del settecento e, in questa piccola cappella oggi defilata ma che a quel tempo costituiva una importante ‘carta da visita’ per i contiimprenditori Alessi all’interno del loro setificio, si raggiungeva (ed esauriva) la massima espressione della cultura tardobarocca in area carrucese. Gli Alessi di Canosio offrivano, accanto alle sete preziose, il meglio che l’architettura d’interni di quel tempo stava producendo, una sorta di piccola cappella di Corte, perché questo gioiello, incastonato a Stupinigi, nella reggia di Potsdam o in quella di Caserta non sfigurerebbe di certo. Praticamente abbandonata, fatiscente, la cappella è oggi una sorta di garage, di deposito per attrezzi e ciarpame, esempio di bellezza svilita, non considerata, deturpata. Per quanto tempo ancora? Con il contributo della


a ur Cult

territo r il

rio

pe

Leggeri fili di seta dal Barocco al Novecento

Carrù: il dono della contessa. Storia di un manto prezioso. Nella chiesa carrucese della Confraternita di San Sebastiano (o dei Battuti Bianchi) è conservato un manto in seta, un tempo usato in occasione di solenni celebrazioni e processioni per vestire la statua dell’Addolorata (scolpita nella prima metà del settecento dal celebre artista torinese Carlo Giuseppe Plura). Il prezioso paramento giunse in dono alla confraternita nel 1840; a donarlo fu la contessa Costanza Luserna di Rorà (nata nel 1817), che aveva sposato nella chiesa di San Carlo a Torino, nel 1836, il conte Paolo Remigio Costa della Trinità, Signore di Carrù, morto di tisi nel 1839. La giovane contessa vedova volle, con questo dono, ricordare il marito defunto e ribadire il legame che univa la casa Costa-Trinità alla chiesa dei Battuti Bianchi, ed in particolare la sentita devozione verso la statua dell’Addolorata. La singolarità del manufatto serico sta nel fatto che il manto fu ricavato dall’abito di Corte (e da sposa) della contessa che, una volta vedova vestì sino alla fine dei suoi giorni abiti scuri (neri, viola, verdone). La contessa Costanza fu l’ultima Signora di Carrù di casa Costa e fu lei, nel 1872, a vendere il Castello e tutti i beni carrucesi ai Curreno. Il modello sartoriale del prezioso abito dismesso, in tessuto di seta a nido d’ape, ricamato a piccolo punto con fili di seta ed impreziosito da paillettes e filigrane d’oro e d’argento, è riconoscibile, ad occhio esperto, nella costruzione e nelle cuciture del manto. Molti ritratti di regine, principesse e dame dell’alta aristocrazia europea (e sabauda in particolare) possono aiutare a restituirci un’idea di come il manufatto poteva presentarsi in origine, un modello ‘di Corte’ che imponeva, sin dai tempi della moda adottata durante l’epoca dell’impero napoleonico, la vita alta e assai stretta e la scampanatura della gonna, impreziosita, nella parte inferiore, da un bordo a ricchi motivi ricamati a ramages floreali. Abiti come quello da cui è ricavato il manto dell’Addolorata, costavano cifre astronomiche e richiedevano specializzate lavorazioni sartoriali, grande abilità nel taglio, con tempi di esecuzione assai lunghi; per questo motivo erano indossati dalle principesse sabaude e dalle grandi dame di Corte nelle occasioni e celebrazioni più importanti. Nel ritratto della Regina Maria Cristina di Borbone Napoli, moglie del Re Carlo Felice di Savoia, pubblicato qui accanto, la sovrana indossa un abito che può ricordare il modello da cui fu ricavato il manto dell’Addolorata.

Dall’alto: Manto dell’Addolorata, chiesa dei Battuti Bianchi, Carrù Altare dell’Addolorata, chiesa dei Battuti Bianchi, Carrù Castello dei Costa della Trinità, ora BAM, Carrù Maria Cristina di Borbone Napoli, moglie del Re Carlo Felice di Savoia

Con il contributo della


a ur Cult

territo r il

rio

pe

Leggeri fili di seta dal Barocco al Novecento

Carrù: la filanda Dumontel.

Carrù, Filanda- Setificio Dumontel et fils. Immagini di ambienti interni. Sopra, le vaschette al piano superiore. Sotto, il locale dove erano immagazzinati i bozzoli al piano inferiore. Da album pubblicitario tardo-ottocentesco (collezione privata, Carrù)

Carrù: Filanda Dumontel in due immagini esterne che illustrano l’opificio, le case operaie, la caldaia e la grande vasca che caratterizzava il cortile interno. Le foto sono tratte da un album pubblicitario tardo-ottocentesco (Carrù, collezione privata)

Del primitivo complesso produttivo ottocentesco costruito da Gilberto Dumontel, che nel 1878 occupava 392 operai nella trattura della seta, si sono conservati il fabbricato della filanda (al centro di un grande cortile interno) e il palazzo che affaccia su via Marconi, già via di Piozzo. Quest’ultima costruzione, a tre piani fuori terra, ospitava gli uffici di rappresentanza, la direzione, alcuni alloggi riservati alle maestranze e locali di stoccaggio: era un edificio preesistente, riattato, con finalità funzionali e rappresentative. Il fabbricato della filanda invece, costruito ex novo e realizzato in muratura di mattoni a vista a due piani fuori terra, ospitava a piano terreno la sala di lavorazione scandita da una successione di campate rettangolari coperte da volte a vela; il piano superiore, caratterizzato da grandi finestroni rettangolari, presenta tuttora un unico vano di notevoli dimensioni. La filanda Dumontel et fils, ritenuta nel 1892 (Statistica Industriale Piemontese) uno ‘splendido stabilimento’, forte di due caldaie a vapore di 12 cavalli e 144 bacinelle, che occupava, per ben 230 giorni lavorativi annuali 218 donne, 40 bimbe-ragazze sotto i 15 anni, e 7 uomini adulti, faceva di Carrù uno dei centri più importanti nella produzione serica. Il moderno opificio si affiancava all’antico filatoio Alessi (passato ai Musso), sempre attivo e in parte aggiornato, e ad otto piccole filature, che stanno ad indicare quanto la produzione serica fosse considerata in paese. Un album pubblicitario tardo-ottocentesco restituisce immagini esterne ed interne dell’opificio in piena attività: ad esempio un’alta ciminiera collegata alla caldaia e un ampio bacino per l’acqua caratterizzavano l’esterno, mentre i locali per la lavorazione accoglievano ordinate file di bacinelle provviste di rubinetti. Sin dalla seconda metà dell’Ottocento, a causa della libertà di esportazione della seta semilavorata, le filande piemontesi avvertono un rallentamento nella produzione, nonostante la qualità dei manufatti continui ad essere alta. Nel primo Novecento, dopo alterne vicende, non per ultima lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, successivamente il mancato rinnovamento tecnologico, la situazione precipita: soprattutto la concorrenza dei mercati orientali e l’introduzione della seta artificiale segnano l’abbandono della lavorazione serica. La filanda Dumontel restò in attività (ridotta) sino agli anni quaranta del 900: alcuni anziani carrucesi ricordano il sig. Bolmida che ne fu l’ultimo direttore. I Dumontel, banchieri e filandieri di origine francese, nel corso dell’800 e primo 900 controllavano (o ne furono proprietari) le filande di Bene Vagienna, Caramagna Piemonte, Castelletto Stura, Canelli e Ciriè testimoniando, come era successo per gli Alessi nel 700, quanto fossero redditizi (e rischiosi) gli investimenti legati alla produzione serica. Con il contributo della


a ur Cult

territo r il

rio

pe

Leggeri fili di seta dal Barocco al Novecento

Piozzo: la filatura Mancardi.

Estratto dalla mappa catastale di Piozzo, epoca Napoleonica (la freccia indica il complesso della filatura).

L’Intendente sabaudo Lazzaro Corvesy nella sua Descrizione della provincia di Mondovì del 1753 relaziona che a Piozzo ‘vi sono due filature di seta di quattro fornelletti cadauna e quattro telari da seta’. Uno dei due opifici menzionati è identificabile nell’attuale edificio attualmente diviso in varie proprietà, ubicato in via Garibaldi in direzione del Santuario della Mirra; all’epoca apparteneva alla famiglia Mancardi, tra le più agiate di Farigliano, luogo in cui, nel corso dell’ottocento, i fratelli Giacinto e Giuseppe saranno proprietari di una moderna filanda. La mappa catastale di epoca francese (Piozzo, 1812) rileva l’edificio e le sue pertinenze dando indicazione (mappali) di une maison, une fillature a 36 forni, un portico ed un giardino: la proprietà è riferita a Mancardi Giovenale di Farigliano e la forma della costruzione è pressoché identica a quanto oggi si può vedere. Il canale Piozza (in quel tratto attualmente interrato) scorreva accanto al perimetro settentrionale dell’edificio e dava forza alla ruota del mulino da seta. L’acqua del Rivo del mulino, questo l’antico nome del canale proveniente da Montanera, era usata per scopi irrigui e per azionare un martinetto e tre mulini sin dal 1613 quando, uomini di Piozzo e il Conte feudatario, acquistano dal Comune di Cherasco ventiquattro oncie di acqua in larghezza e sei in altezza. Il Casalis (1847) nel suo Dizionario storico-statistico (…) descrivendo Piozzo precisa che ‘il traffico è ravvivato da una filatura di bozzoli, che per tre mesi all’anno occupa cento venti persone’. Allo stato attuale, nonostante certe pur limitate manomissioni, alcuni spazi esterni e ambienti interni restituiscono chiaramente la funzione d’origine del complesso. La data1775, accanto ad alcune scritte impresse nella malta conservate all’interno dell’edificio, stanno ad indicare un termine ante quem relativo ad una datazione (almeno di una parte) dello stesso. I Mancardi furono particolarmente legati al vicino Santuario della Mellea di Farigliano, dove avevano un altare di patronato, testimoniando una devozione religiosa che si esprimeva attraverso la committenza artistica. In Piozzo restano nella chiesa parrocchiale di Santo Stefano, nella chiesa della Confraternita dei Neri, nella cappella dell’Albarosa paramenti e manufatti serici di singolare qualità (in particolare la pianeta dei Conti Vacca in parrocchia) a testimonianza di un gusto aggiornato e d’alto livello che circolava in paese. Il complesso della Madonna della Mirra, oggi in condizioni di semiabbandono, straordinario luogo di convergenza devozionale tra settecento e ottocento, potrebbe svelare aspetti complessi e inediti circa intrecci e percorsi legati alla committenza in territorio monregalese. Con il contributo della

Immagini esterne ed interne della filatura Mancardi, Piozzo

Piozzo, chiesa parrocchiale di S. Stefano, pianeta in seta donata dai Conti Vacca, metà XVIII sec.


Cult

ur

a

territo r il

rio

pe

Leggeri fili di seta dal Barocco al Novecento

Rocca Cigliè, panorama

Magliano Alpi, concerto Ellisse sotto il faggio secolare di via Verdino

Lequio Tanaro, la chiesa parrocchiale

Bastia Mondovì, panorama

Rocca Cigliè, Magliano Alpi, Lequio Tanaro, Bastia Mondovì: l’allevamento dei bachi da seta. In questi paesi era consuetudine, nei secoli passati sino agli anni quaranta del 900, allevare bachi da seta. I bozzoli venivano poi conferiti nei setifici carrucesi o benesi oppure potevano prendere la via dei mercati e giungere sulle piazze di Mondovì e Cuneo. Molti alberi di gelso caratterizzavano il paesaggio, sovente delimitando campi e prati oppure seguendo le linee di canali e bealere (M. Rosati, nel 1955, segnala sul territorio di Magliano Alpi la presenza di rigogliosi gelsi). L’allevamento dei bigat costituiva una economia diffusa e quasi tutte le case contadine destinavano un locale, o parte di esso, a questo scopo; si trattava di stanze ricavate all’ultimo piano delle abitazioni, ben areate (i bachi emanavano cattivo odore), spesso provviste di camino perché la temperatura doveva mantenersi costante. In tempi di aspre difficoltà economiche e di risorse assai limitate, la vendita dei bozzoli poteva aiutare le famiglie a disporre di qualche entrata in più; erano soprattutto le donne di casa ad accudire l’allevamento ed il ricavato della vendita era solitamente gestito da loro. Una Statistica Industriale Piemontese del 1892 ci informa che a Magliano Alpi, in quell’anno, era attiva una piccola filanda in cui lavoravano 12 persone. Non esiste invece documentazione relativa a Rocca Cigliè, Cigliè, Bastia M.vì così come non esistono tracce materiali che possano indicare strutture idonee ad una, pur limitata, lavorazione: in queste aree rurali era dunque diffuso il solo, e sporadico, allevamento, d’altra parte condizionato dall’asperità dei terreni collinari di Langa. Da Lequio Tanaro venivano conferiti ai mercati buone quantità di bozzoli; nell’800 e primo 900 abbiamo brevi riferimenti relativi a produzioni che facevano capo ai Curreno, proprietari terrieri, che, accanto alla coltivazione di cereali e allevamento di animali, erano attenti al Con il contributo della reddito che poteva offrire la vendita dei bigat.


a ur Cult

territo r il

rio

pe

Leggeri fili di seta dal Barocco al Novecento

Il setificio di Rocca de’Baldi, dai Morozzo ai Prandi Nel 1720 Giovanni Battista Ferro chiedeva di attivare «un filatore da seta posto sotto le ripe del luogo della Rocca de’ Baldi» presso il ponte sul Pesio, con la dotazione di «tre piante da travaglio mosse dall’acqua». Parte dell’opificio perviene poi al marchese Giuseppe Morozzo e nel 1744 risulta «ozioso, in pessimo stato e bisognoso di riparazioni». In quello stesso anno, il 27 marzo, Ferro vendeva la sua parte al marchese Giovanni Giacomo Fontana di Cravanzana, e il Testimoniale di visita condotto il successivo 1° giugno ne riportava ancora le pessime condizioni. Per rimetterlo in attività si fondava una società tra Morozzo, Fontana e un tale Giorgio Bruno che entrava come affittavolo e direttore. Il setificio riprendeva l’attività dal 1751, dopo che si erano ricostruite le “piante”, aumentate a 4 e ristrutturato la vicina filanda che ospitava 50 “fornelletti”. Poco dopo compariva come affittuario il notaio Carlo Francesco Prandi, che nel 1773 acquistava l’impresa industriale. La famiglia Prandi era nota da tempo nella professione notarile e medica Il setificio di Rocca in una carta del 1736 ma era attiva anche in campo serico, giacchè lo zio di Carlo Francesco, il sacerdote Luigi, possedeva una cascina con filatura a Crava, eredità dell’illustre avo Ludovico Prandi, chirurgo, bene introdotto alla Corte sabauda. L’opificio aveva accolto da subito l’intero ciclo di lavorazione del filato serico, secondo la tradizione dei setifici “alla piemontese” (trattura, incannatura e torcitura) producendo un “organzino” pronto per la tessitura che avveniva altrove, a Lione e Genova. Carlo Francesco Prandi, aumentava la dotazione a 60 “fornelletti” per la trattura e conservava le 4 “piante” per la torcitura; dunque una fabbrica di media grandezza che mantenne più o meno la stessa capacità Veduta del setificio di Rocca, anni ‘20 del ‘900 lavorativa e la stessa dotazione di macchine anche durante la crisi del settore, durante l’Ottocento. Nel 1822, scomparso Carlo Francesco, gli eredi Luigi e Amedeo Prandi figli del cugino, diventavano proprietari dei beni immobili della famiglia: alcune case - tra queste il grandioso palazzo sulla “platea” prospicente il castello fatto ingrandire e restaurare da Carlo Francesco - due cascine e il setificio. Sempre la Statistica del 1822 segnalava che al setificio di Rocca lavoravano alla torcitura complessivamente 70 addetti (12 lavoranti maschi, 46 donne, 7 apprendisti maschi e 5 femmine) insieme a 120 tra operai e operaie occupati nella trattura. Nel decennio 1830-‘40 la trattura aumentava sotto la cura di Luigi Prandi, rimasto solo a gestire l’azienda, e poco dopo, egli progettava di ingrandire anche il torcitoio. Ma le notizie successive rivelano la repentina scomparsa anche di Luigi entro iI 1852 e l’acquisto del complesso serico dai Formento, banchieri torinesi. D’altra parte la stessa sorte toccava al palazzo Prandi sulla piazza che circa alla stessa data passava ai fratelli Quaglia, eredi dei Prandi per parte femminile, insieme al castello Morozzo, simbolo e nucleo vitale dell’abitato. La nuova proprietà del setificio giungeva poco dopo alla sorella del Formento, sposata Giorgis; la forza lavoro veniva aumentata arrivando a toccare 220 operai e l’opificio era ancora potenziato dal proprietario successivo, Camillo Giorgis, nipote di Formento, subentrato nell’anno 1900. Egli incrementava soprattutto la trattura, a quel tempo in grande espansione, giungendo nel 1910 a contare 350 operai, e modernizzava l’impianto con l’inserimento di un motore a vapore. Infine il successivo imprenditore, dal 1919 Giuseppe Antonio Musso, ben noto nel panorama ottocentesco della seta per possedere molti impianti di trattura nel Piemonte meridionale ed oltre, portava l’opificio alla fase di massima espansione. Ma nonostante la lunga, progressiva e vivace produttività, l’impresa era colpita, con molte altre, dalla crisi serica degli anni successivi alla prima guerra mondiale e concludeva la sua vita intorno al 1935. Della grande mole del setificio presso il ponte sul Pesio, ora non esiste che un piccolo lacerto, essendo stato l’edificio parzialmente abbattuto sia per le condizioni d’abbandono sia per favorire il nuovo tracciato della strada provinciale Crava–Rocca. La sua imponente memoria visiva ci è rimandata Con il contributo della dai disegni settecenteschi, dalle planimetrie ottocentesche e dalle vecchie immagini fotografiche.


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.