Storia della Rivarossi
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RIVAROSSI Il Lanificio Rossi di Schio
GIORGIO GIULIANI Storico della Rivarossi
Gli inizi
Giorgio Giuliani
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Alessandro Rossi e Teresa Dubini nel giorno del matrimonio nel 1943
Rivarossi nasce alla fine del 1945 per volontà di Alessandro Rossi, classe 1921, un giovane ufficiale del Regio Esercito appena rientrato in Italia dopo due anni di internamento in Svizzera. Questi era discendente diretto dell’omonimo Alessandro Rossi, importante imprenditore della seconda metà dell’Ottocento, proprietario del lanificio Rossi di Schio. Alessandro, fresco di studi di ingegneria e animato da spirito imprenditoriale, volle lanciare la propria attività con un prodotto assolutamente nuovo e, considerate le disastrose condizioni in cui versava il Paese nell’immediato dopoguerra, molto particolare. Da sempre appassionato di ferrovie reali quanto di ferrovie in miniatura, Alessandro Rossi bambino giocava coi trenini a molla dell’inglese Meccano nella grande Villa Baragiola di Mognano, l’abitazione della sua famiglia a Como. Raggiunta l’età adulta e fresco degli studi al Politecnico di Milano, che gli avevano fornito le conoscenze tecniche necessarie, con un piccolo finanziamento lasciatogli in eredità da uno zio e tanta intraprendenza, trasformò il suo hobby in attività lavorativa. L’ing. Rossi, assieme alla moglie Teresa Dubini, entra dunque come socio in un’azienda fondata nel 1943 con lo scopo di produrre componenti per l’aviazione e ormai riconvertita a realizzare commutatori per forni elettrici, la ASA – Apparecchi Strumenti Aeronautici – di Albese con Cassano. Nella nuova compagine societaria resta uno dei vecchi soci dell’ASA, Antonio Riva, da cui il nome Rivarossi scelto per la nuova ditta il cui oggetto sociale è la realizzazione di “miniature elettroferroviarie”, segno della chiara svolta produttiva voluta da Rossi. Peraltro Riva sarebbe uscito dalla ditta già l’anno successivo, lasciando l’azienda nelle mani del solo Alessandro Rossi.
STORIA DELLA RIVAROSSI Dopo un periodo di transizione, in cui l’azienda continua la produzione di commutatori elettrici per la ditta del commendator Giovanni Borghi – l’Ignis di Varese – vengono messe in opera le nuove produzioni, tra cui un gioco di costruzioni meccaniche tipo “Meccano”, e soprattutto il primo modello di treno elettrico, l’automotrice E 2002 delle FNM. Della giovane Rivarossi colpisce la carica innovativa, sia tecnica, che commerciale: c’è voglia di fare, di far bene, di fare prodotti nuovi. La Rivarossi è la prima ditta al mondo in questo settore che utilizzi la pla-
Il “Meccano” Rivarossi (immagine tratta dal catalogo della mostra per i 50 anni dell’azienda)
stica (inizialmente bachelite) quando tutti i produttori, anche quelli più blasonati, realizzavano trenini con carrozzeria in metallo (di fusione o lamierino piegato). Le materie plastiche permettono di ottenere modelli meglio dettagliati, più raffinati e più economici. Le competenze tecniche e l’apertura mentale verso le nuove tecnologie consentono ad Alessandro Rossi di utilizzare al meglio le proprie conoscenze. Il giovane imprenditore punta fin da subito a realizzare treni modello, cioè non generici treni giocattolo, ma riproduzioni di rotabili reali. Pur se inizialmente, anche per motivi tecnici, la fedeltà al reale era relativa, questo approccio risultava innovativo. All’epoca, infatti, non c’era, né tra i produttori né tra gli appassionati, la sensibilità verso il “modello di treno reale” e conseguentemente verso una corretta riproduzione in scala. Peraltro Rossi credeva così fermamente nelle sue “miniature elettroferroviarie” che la ditta non realizzò mai i trenini a molla all’epoca ancora diffusissimi e proposti anche dai maggiori produttori.
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RIVAROSSI
Il catalogo Rivarossi 1946
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Le “cose nuove” in Rivarossi sono la norma. Nel 1946 esce il primo catalogo, con l’unico modello allora in produzione (E 2002), e la ditta partecipa alla prima Fiera di Milano del dopoguerra realizzando appositamente un plastico per mostrare le possibilità, allora in embrione, dei trenini Rivarossi. Nel 1947 è già pronto il nuovissimo stabilimento di Sagnino, costruito appositamente per le produzioni nella ditta, come
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recitano con orgoglio le pubblicità di quei primi anni. Nello stesso anno appare a catalogo una locomotiva americana, la Dockside 0 - 4 - 0, importantissima in quanto permette alla ditta di entrare nel più che florido mercato statunitense, che negli anni ’60 e ’70 sarebbe diventato il mercato principale di Rivarossi. L’anno successivo in catalogo troviamo già quattro locomotive, svariati carri e carrozze, e viene presentato anche il nuovissimo sistema in corrente continua a due rotaie, mentre tutti i produttori europei utilizzano ancora il sistema in corrente alternata a tre rotaie: sempre innovazioni e controcorrente! Il sistema voluto dall’ing. Rossi diventerà dopo alcuni anni uno standard mondiale, come l’uso della plastica per le carrozzerie dei modelli.
Il nuovo stabilimento di Sagnino dal catalogo Rivarossi 1950
Gli anni ’50 - L’esplosione commerciale Gli anni Cinquanta furono quelli dell’affermazione della ditta. Nel 1950 la Rivarossi partecipò alla prima fiera di Norimberga del terribile dopoguerra tedesco. La signora Teresa Dubini-Rossi mi raccontava: «La città era rasa al suolo, letteralmente, sembrava un’enorme piantina di città stesa a terra, degli edifici si vedeva solo l’impronta di dove erano stati costruiti». Ma si trattava della fiera del giocattolo più importante al mondo e, come era già evidente, Alessandro Rossi guardava ben oltre i confini nazionali. Però in quei primi anni alla fiera potevano partecipare solo i produttori tedeschi e così la Rivarossi espose in un albergo, organizzando con alcuni pullmini un servizio navetta dall’ingresso della fiera all’hotel, dimostrando inventiva, intraprendenza e grande determinazione. Nei cataloghi aumentano i rotabili proposti, si va affermando il sistema in corrente continua (Serie Rossa) a discapito di quello a tre rotaie (Serie Blu), vengono proposti il filobus e il tram, Rivarossi diventa importatrice per l’Italia di importanti ditte tedesche come Faller, Vollmer, Preiser, mentre già dal 1948 rappresentava l’inglese Lines Bros. Entra in società
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RIVAROSSI Franco Brunner, amico di Rossi, che segue la parte commerciale e sarà uno dei pilastri della ditta. Verso la metà del decennio, i modelli cominciano a essere realizzati in polistirolo (o polistirene, come si dice ora), una termoplastica che permette una finezza di dettaglio ancor maggiore. Viene riprodotta la Gr.835, importante in quanto primo modello di una vera locomotiva a vapore italiana, molto diffusa sulla rete ferroviaria nazionale e ben conosciuta dagli appassionati. La riproduzione è ben realizzata e dettagliata ed è venduta a un prezzo accettabile. Inizia anche la pubblicazione di
Locomotiva a vapore Gr.835 delle FS
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Nella pagina a fronte La rivista H0 Rivarossi
una rivista edita dalla ditta stessa, H0 Rivarossi, che si pone l’obiettivo di diffondere le conoscenze tecniche ed elettrotecniche per realizzare plastici e circuiti ferroviari. La testata tratta anche di ferrovie reali con articoli interessanti, tuttora validi, e serve come veicolo pubblicitario per le novità della ditta. Ma la causa principale dell’esplosione commerciale dell’azienda fu certo il boom economico italiano. Questo fenomeno portò un maggior reddito alle famiglie che poterono permettersi delle spese superflue e tra queste al primo posto c’erano i regali per i bambini, in un periodo in cui il treno elettrico cominciava a essere il giocattolo più ambito e richiesto. L’espansione della Rivarossi è riscontrabile anche dai lavori edili nella sede di Sagnino, dal 1955 al 1961 continuamente ampliata con altri capannoni, sopralzo degli stessi e nuovi uffici. Aumentano inoltre i dipendenti che, dagli 80-100 dell’inizio decennio, passano a 300-350, con altre 600 persone impegnate nell’indotto.
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A sinistra, lo stabilimento di Sagnino nella seconda metà degli anni ’50. A destra, macchinari dell’officina (immagini tratte dalla rivista Rassegna di Modellismo n. 26 del 1958)
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Tutto il quartiere di Sagnino letteralmente sorge attorno alla Rivarossi, che nelle rare immagini dei primi anni Cinquanta appare solitaria, immersa nei campi delle colline attorno a Como. Questa campagna, nel corso degli anni, va rapidamente riempiendosi di nuovi edifici residenziali e produttivi. Il quartiere di Sagnino è legato allo stabilimento anche sotto il profilo lavorativo, in quanto nei nuovi appartamenti vanno a vivere i dipendenti Rivarossi e moltissime famiglie della zona erano impiegate nei lavori a domicilio per la ditta. I dipendenti ricordano quegli anni come un periodo di lavoro intenso, ma con ottimi rapporti interni. Più di una volta ho sentito dai dipendenti stessi dire «Eravamo una grande famiglia». Considerando che la ditta impegnava molto personale femminile, tanti - ma proprio tanti - furono gli amori sbocciati in fabbrica e le famiglie nate dalla Rivarossi. La direzione organizzava anche gite destinate ai dipendenti. Sicuramente tutti i partecipanti ricordano quella a Roma. Ma anche quella a Cortina, località già amatissima dai coniugi Rossi che vi avrebbero concluso la propria vita. L’affermazione della Rivarossi, oltre che dal punto di vista dell’espansione delle vendite, è riscontabile anche dal consenso a essa riservato da importanti ditte nazionali e internazionali. La Fiat, all’epoca la più importante industria italiana, nel 1955 doveva presentare al Salone dell’Auto di Torino una delle sue automobili più importanti, la prima utilitaria italiana, l’auto del boom economico, l’auto degli italiani, un prodotto di svolta nella produzione della casa torinese: la Fiat 600. Per farlo al meglio voleva che fossero fabbricati 10.000 modelli in scala 1:13, intesi non come giocattolo, ma come campione da esibire nelle concessionarie. Questo importante incarico fu affidato alla Rivarossi che, in pochi mesi e in assoluto segreto, realizzò tutti i modelli,
STORIA DELLA RIVAROSSI La Fiat 600
validati dall’Ufficio tecnico Fiat e nei colori ufficiali della casa: evidente segno che anche la maggiore industria italiana considerava Rivarossi un partner affidabile. Inoltre l’eccellenza di Rivarossi si stava dimostrando spendibile pure oltre Atlantico. Infatti nel 1957 Lionel, storica ditta statunitense, fondata nel 1900, e allora la più importante nel mercato americano del treno elettrico, voleva entrare rapidamente nel settore della scala H0, in enorme espansione, per affiancarla alla scala Zero da sempre esclusiva della propria attività. Per poter presentare rapidamente un catalogo in scala H0, la ditta, invece di partire con una lunga e costosa produzione Catalogo Lionel H0 del 1957
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RIVAROSSI Il sistema brevettato per le Mallet Rivarossi
propria, scelse di utilizzare modelli già sul mercato. Quindi chiese a Rivarossi di predisporre un importantissimo lotto di materiale rotabile americano – che l’azienda lariana già aveva a catalogo – che venne marcato e inscatolato come Lionel. La ditta americana propose così il proprio catalogo 1957 con lo slogan «And now H0 by Lionel», dove tutti i modelli erano realizzati da Rivarossi a Como.
Gli anni ’60 - L’era della Big-Boy
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Gli anni Sessanta sono quelli dell’esplosione commerciale sul mercato americano. Cambia l’importatore: ai fratelli Polk e al marchio Aristo-Craft subentra la AHM di Bernie Paul, che porterà la Rivarossi a esportare l’80% della produzione negli Stati Uniti. Si mettono così in atto accordi commerciali con altre ditte per aumentare i modelli proposti. Nel 1960 vengono presentati alcuni nuovi carri e le prime vere carrozze americane, che, prodotte tacitamente dalla statunitense Athearn, resteranno in catalogo pochi anni per poi essere sostituite da nuove vetture Usa progettate e realizzate a Como. L’anno successivo è definito un accordo commerciale con la Trix per cui alcuni rotabili prodotti dalla ditta tedesca entrano nel catalogo Ri-
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La confezione con le carrozze americane Athearn - Rivarossi
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La Big-Boy Rivarossi del 1967
varossi e viceversa. Poi, nel 1963, Rivarossi acquista il 50% delle quote societarie della Pocher di Torino, ditta fondata nel 1952, cui si doveva la produzione di modelli ferroviari in scala H0 di ottima qualità che infastidivano la dirigenza Rivarossi. Nello stesso anno, per la prima volta, il bilancio della società si chiude in rosso, con una pesante flessione del fatturato, probabilmente dovuta a una saturazione del mercato dopo le imponenti vendite degli anni precedenti, ma anche all’affermarsi della Lima e del treno giocattolo a basso costo, settore in cui Rivarossi non riuscirà mai a essere competitiva. Il responsabile commerciale e azionista Franco Brunner, verso il 1965, esce dalla società, per problemi personali. Era un abilissimo venditore e la sua presenza ha coinciso con la fase di maggior espansione per l’azienda. La sua uscita di scena, per alcuni, ha segnato l’inizio del declino gestionale dell’azienda di Sagnino. Comunque, anche trainata dalle forti vendite oltreoceano, la ditta continua a innovare e produrre. Nel 1964 viene presentata la Mallet Y6b, enorme locomotiva americana articolata, con due carrelli motori. Rivarossi, grazie a un proprio geniale brevetto, riesce a realizzare un modello imponente ed estremamente complesso, ma in grado di funzionare egregiamente anche sui circuiti casalinghi. Nel 1967 tocca alla prima locomotiva europea (fino ad allora la ditta aveva prodotto solo rotabili italiani e americani), la francese Chapelon, modello bellissimo anche dopo quasi cinquant’anni. L’accompagnò la famosa Big-Boy, la più grande locomotiva mai costruita, che Rivarossi fu in grado di realizzare grazie al brevetto sviluppato per la Mallet Y6b. La ditta di Como produsse per prima su scala industriale questa nota locomotiva, con caratteristiche tali da permetterle di girare, nonostante la mole, sui normali circuiti. Grazie pure a un prezzo relativamente accettabile, questa locomotiva non uscirà più dai cataloghi Rivarossi. Verso la fine del decennio iniziò la produzione di modelli nella nuova e piccola scala N (1:160, circa la metà dell’H0), “inventata” pochi anni prima dalla tedesca Arnold, e uscirono anche i primi modelli nella più classica scala Zero.
Gli anni ’70 - Verso la crisi 26
Gli anni ’70 costituiscono una vera e propria fase di passione per l’azienda. Nel 1972 si verifica un altro crollo delle vendite con un bilancio in perdita. Poi, ai primi di ottobre del 1974, un periodo di intenso lavoro, un
STORIA DELLA RIVAROSSI furioso incendio distrugge alcuni reparti dello stabilimento di Sagnino. La produzione riprende dopo pochi mesi e, nonostante tutto, continua la realizzazione di ottimi modelli, come la locomotiva elettrica E 428 FS terza serie, la Hudson NYC carenata, la E 444 FS Tartaruga seconda serie, l’inglese Royal Scot, per non parlare delle splendide carrozze della Compagnia Internazionale dei Vagoni Letto.
Locomotiva inglese Royal Scot
Nella seconda metà degli anni ’70 proseguì la difficile congiuntura segnata da un costante calo di vendite sul mercato interno, dovuto al prezzo elevato dei prodotti Rivarossi e all’ormai anacronistico “fuori scala” dei suoi modelli italiani, realizzati in una scala di circa 1:80 invece del corretto 1:87 dell’H0. Molto consistenti furono, invece, le vendite negli Usa, addirittura con punte del 95% della produzione complessiva. Purtroppo, però, i rapporti con AHM erano troppo vincolanti, il mercato Usa richiedeva prezzi contenuti, quindi alle grandi quantità prodotte corrispondevano scarsi guadagni. L’azienda, che da anni non era economicamente florida, era ora in continua crisi di liquidità, con il costo del lavoro che aumentava continuamente. Venne anche a mancare la spinta innovativa che aveva fatto grande la Rivarossi dei primi vent’anni e, mentre la tecnologia andava evolvendosi, l’azienda non teneva il passo. Anche oltreoceano le cose cominciavano ad andar male per AHM e, alla luce delle difficoltà interne, si sarebbe reso necessario ridurre i costi di gestione. Tuttavia Rossi, industriale e gentiluomo di vecchio stampo, si riteneva obbligato nei confronti dei suoi collaboratori e non voleva licenziare, nonostante la crisi incombente. Il personale rimase e continuò a produrre in attesa che la situazione in America si sbloccasse, ma questo non accadeva, le spese aumentavano, i magazzini erano pieni e le casse sempre più vuote.
Locomotiva a vapore americana Hudson NYC carenata del 1971, confronto fra modello e macchina reale
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Anni ’80 - La crisi Quindi una somma di fattori portò a una crisi gravissima: la cronica mancanza di liquidità e la scarsa redditività della ditta impedivano investimenti e innovazioni, il mercato italiano languiva, nuovi giocattoli stavano scalzando il primato del trenino elettrico. La produzione era quasi esclusivamente per l’America e quando AHM fallì si bloccò anche quel mercato: per la Rivarossi fu il colpo di grazia. Il bilancio al 31 marzo 1981 evidenziava una perdita di oltre 200 milioni di lire. Si tentò un nuovo aumento di capitale mediante un prestito obbligazionario che però non trovò sottoscrittori. Così il 1° settembre 1981 quasi tutto il personale fu posto in Cassa Integrazione Straordinaria. Il 28 ottobre 1981 Alessandro Rossi presentò istanza al Tribunale di Como per chiedere che l’azienda venisse ammessa alla procedura di Amministrazione Controllata. Per quanto la situazione fosse evidentemente grave, per i dipendenti fu una
Locomotiva a vapore tedesca Gt 2 4/4 del 1982
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doccia fredda. I conti bancari dell’azienda furono congelati, buona parte del personale fu posto in cassa e restarono in servizio solo i dipendenti indispensabili a garantire il funzionamento minimo della ditta: vendite, ricambi e servizio commerciale. Con il passare dei mesi, comunque, la situazione andò lentamente migliorando, grazie alla dedizione dei dipendenti e alla disponibilità di molti negozianti. Nel 1983 Alessandro Rossi chiese che l’azienda venisse ammessa alla procedura di concordato preventivo e il Commissario Giudiziale diede parere favorevole. La cassa integrazione fu chiusa e parte dei dipendenti reintegrati, ma con una drastica riduzione del personale che dalle 210 unità dell’ottobre 1981 si ridusse alle 80 unità nel marzo del 1984, attraverso prepensionamenti e incentivazioni al licenziamento concordate con i sindacati. Si fece avanti una cordata guidata dal cugino omonimo del fondatore, l’ingegner Alessandro Rossi, anch’egli dipendente Rivarossi dai primi anni ’70. Ne faceva parte anche lo zio Giorgio Dalla Costa, industriale farmaceutico, che diventò presidente della Rivarossi Nuova Gestione SpA. Nell’ottobre 1984 Alessandro Rossi, il fondatore, si dimise da tutte le cariche sociali e uscì dalla società.
STORIA DELLA RIVAROSSI
La nuova gestione cercò di assecondare le richieste del mercato realizzando finalmente la prima locomotiva italiana in scala H0 esatta, la E 321 FS. Ma, ritenendo ormai poco remunerativo il mercato del trenino, puntò sui prodotti Pocher. La ditta torinese, acquisita negli anni ’60 e ora trasferita nello stabilimento di Sagnino, da anni produceva con un buon successo scatole di montaggio di automobili storiche in scala 1:8, estremamente dettagliate, piuttosto impegnative da assemblare e costosissime. La Pocher aveva sempre mantenuto una propria autonomia progettuale e produttiva, ma la Rivarossi Nuova Gestione prova a puntare su un modello innovativo: una automobile attuale, più semplice da montare e in metallo, mentre i modelli Pocher classici erano auto d’epoca, con molte centinaia di pezzi da montare – fino a 2.200! – e con carrozzeria in plastica. Viene scelta la Ferrari Testarossa, l’auto sportiva del momento, e il modello viene progettato e gestito dall’ufficio tecnico di Rivarossi. In prevendita il successo è enorme, anche perché il prezzo proposto è contenuto, ma la realizzazione viene tutta esternalizzata e frazionata tra vari artigiani. Così alla fine, per problemi di programmazione e coordinamento, la produzione risulta in estremo ritardo e mal realizzata, con richieste di danni per la mancata consegna, modelli difettosi respinti, ecc. Quindi la Rivarossi si ritrova nuovamente in crisi, non per difficoltà legate ai trenini, ma per i problemi dati dalla nuova autovettura Pocher. Ne consegue che nel 1989 c’è una nuova richiesta per la cassa integrazione. I soci non sono disponibili a ricapitalizzare la ditta e cercano nuovi capitali. Il presidente Giorgio Dalla Costa contatta l’avvocato Sergio Erede, noto finanziere milanese, che si mostra interessato a rilevare la maggioranza societaria della ditta.
A sinistra, locomotiva elettrica E321 FS in scala H0 esatta del 1986. Sopra, la Ferrari Testarossa Pocher in scala 1:8
Anni ’90 - L’holding del trenino La Penteco S.p.A. di Sergio Erede entra come azionista di maggioranza in Rivarossi, con la nuova compagine societaria arriva un nuovo direttore generale e amministratore delegato, Giuseppe Cafieri. Viene ulteriormente ridotto il personale, che scende a circa cinquanta unità; viene
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RIVAROSSI I loghi Lima, Arnold e Jouef
L’acquisizione della Lima da parte della Rivarossi in un articolo di Repubblica
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riorganizzata la produzione e circoscritto il numero di artigiani esterni; sono sistemate le problematiche derivate dai modelli Pocher difettosi e altre pendenze con lo storico importatore tedesco; si risolve pure una questione riguardante la locomotiva in scala Zero “Bayard” della ferrovia Napoli-Portici che, nonostante annunci e conferenze stampa, non veniva consegnata dall’artigiano esterno a cui era stata commissionata e sarebbe stata poi assemblata e finita in stabilimento. Ritrovata una certa tranquillità, per l’azienda di Como iniziò un periodo di acquisizioni di importanti ditte concorrenti, tra cui la Lima di Vicenza. Il settore del modellismo ferroviario era in crisi, il mercato si era notevolmente contratto, i competitori erano forti e la redditività bassa di fronte agli investimenti sostenuti. L’azienda doveva cercare nuove strade per aumentare la propria solidità finanziaria. La Lima di Vicenza, l’altra storica ditta italiana, dal 1955 nel campo del trenino elettrico, e all’epoca considerata l’azienda con il più grande catalogo di rotabili a livello mondiale, era stata per anni leader di mercato
STORIA DELLA RIVAROSSI del treno giocattolo, con una forte presenza su tutti i mercati più importanti d’Europa e non solo. Economicamente più grande, era nei primi anni ’90 anche tecnologicamente più avanzata di Rivarossi, in quanto la buona redditività dei decenni precedenti aveva permesso alla dirigenza di attuare forti investimenti tesi a migliorare l’efficienza produttiva. Le quantità di modelli realizzati era enormemente maggiore di quella Rivarossi e la produzione a Vicenza era di tipo prettamente industriale. La Rivarossi nel 1992 acquisisce per 10 miliardi di lire il 100% di Lima s.r.l. in amministrazione controllata. Il fatturato di Rivarossi nel 1990 – in aumento dall’anno precedente – era di 11 miliardi di Lire, quello di Lima – in forte calo – era di 11,5 miliardi. Nel 1995 il gruppo avrebbe fatturato 30,7 miliardi, con il bilancio in attivo. La stampa nazionale plaudì alla notizia dell’acquisizione e al salvataggio della Lima, anche se rimase la perplessità che da due aziende non floride se ne potesse ottenere una sana. Le possibilità di integrazione sia produttiva che commerciale erano reali e l’andamento del fatturato pareva darne conferma. L’euforia per i buoni risultati del connubio con Lima spinsero la Rivarossi e la Penteco, suo maggior azionista, verso altre acquisizioni che puntavano a creare “La Holding del Trenino”. Nel 1995 Rivarossi acquista quindi il 100% di Arnold. Le intenzioni erano buone, la proprietà di un’azienda tedesca permetteva un accesso diretto a quel grande mercato. La Arnold era inoltre leader mondiale nella scala N, che aveva “inventato” negli anni ’60, e aveva i diritti di sviluppo per un innovativo “sistema digitale” per i tracciati ferroviari in miniatura. L’anno successivo venne poi acquisita la francese Jouef, anch’essa in amministrazione controllata. Il gruppo raggiunse così i 320 dipendenti, con un fatturato di 48.7 miliardi nel 1996, diventando il secondo gruppo europeo dopo Märklin. Si punta a una integrazione produttiva tra le quatto aziende, che però non riuscirà a decollare, anche per le resistenze interne delle varie ditte che cercavano per quanto possibile di mantenere le proprie prerogative. A parte i problemi legati alle acquisizioni, la ditta prosegue la propria attività produttiva: all’inizio degli anni ’90 la disponibilità economica derivante dal nuovo assetto societario permette nuovi investimenti e vengono proposti altri modelli italiani, ora in scala corretta. Per festeggiare i cinquant’anni di Rivarossi, viene organizzata una grande mostra al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano, intitolata “Un trenino lungo 50 anni”, che si svolge nei mesi di dicembre ’94 e gennaio ’95, a cavallo del periodo natalizio, ottenendo articoli e risalto su tutta la stampa nazionale. La decade si chiude con la presentazione di interessanti novità, come il già citato sistema digitale Rivarossi-Arnold, la nuova grande locomotiva articolata americana Allegheny, che però vedrà la luce solo nel 2002, la locomotiva a vapore francese 141. Ma, alla fine del decennio, terminata l’euforia delle acquisizioni, i nodi vengono al pettine: se le ditte erano state tutte in amministrazione controllata, i motivi di crisi c’erano e
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