Michele Tiso - Bellamy

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Bellamy f f i c i n a d e l l a N a r r a z i o n e

Michele Tiso


Zahir

La scimmia che confonde i venditori del mercato sta suonando l’ukulele mentre piscia sul bazar di Mohammed Abramo Alì Bob Zeta Jones Ha un padrone col turbante anche se non serve mai nessuno e all’ombra della cupola del tempio giorno e notte vende e prega Archeopatici convulsi e strapazzati fanno a pugni col ribelle che voleva smidollare, sregolare il loro modo di pensare Lui ama quel che amano, anche se vorrebbe aver qualcuno e quei giovani vegliardi quanto odiano l’incosciente libertà Io sono il suo stregone, sono il mago che gira e volta, parte e prega e poi ritorna a mani nude, tranne che per qualche citazione e un dubbio in più ad ogni bicchiere Il sognadòr, lui rideva di goduria a quel pio verso degli Stones, e in quell’istante, in quel sollazzo capiva che poi non serve a un cazzo esser romantici in amore Sbriciolava la sua rosa col fervore di un fallito libertino e all’umido della grande inondazione asciugava la chitarra Peter Pan, lui tagliava la sua barba ed implorava tregua al vento, mentre sugli scogli scuri sfoderava il suo pugnale e sfregiava la sirena Wendy ha ormai vent’anni, ha sette amanti e odia i doppiogiochi ma ha una scritta sopra il seno che le ricorda quel che ha già dimenticato Io sono il suo stregone, sono il mago che gira e volta, parte e prega e poi rimane sempre fermo, tranne che per qualche deviazione e un dubbio in più ad ogni bicchiere Senza fallo è la collana che hai sul petto forma fallica irlandese destinata a cento donne e condensata in un fantasma La pioggia lava i miasmi del veleno che respiri là ogni giorno ma solo sulla strada e sul tuo viso perché dentro lui ti uccide Io sono, lei mi ha scritto, il suo Zahir lanterna di saggezza, luce di Galadriel, sogno stella d lontana ispirazione punto di non arrivo Io sono, lei mi ha scritto, il suo Zahir momento perso di un bisogno mai esistito scorre nei canali di Bologna che si inabissano nella terra


Il desiderio della musica saggia Nel buio ho visto un cantore disperso e abbandonato fra i resti di una chitarra spezzata E in quel momento ero un Principe Nero inciso in poche parole sul foglio spossato d’assenzio E guardavo le mie donne ballare una danza con cento feticci trafitti da aghi di pino e di piombo Tra il pugno e lo scettro ne ho avuto abbastanza dell’Amore intrappolato tra il ventre ed il cielo Così ho spento la luce che tremolava sulle dottrine dei mangiatori di saggezza e di fede E al buio dell’alba tutte le troie e le amanti mi han benedetto sotto i colpi di sciabola e di empietà

E ho visto gli occhi della Notte per capire dal loro profondo se ero in grado di amarla E ho chiesto a voi tutta la gente come potersi estasiare nella distruzione Nessuno parlò Sulla strada un giorno incontrai Qualcuno di una bellezza ineffabile inconfessabile E pensavo alla follia di una felicità forse insopportabile Il Genio ed io ci siamo uccisi e annientati nel punto d’arrivo dell’Amore Complesso e insieme distrutti E ho visto gli occhi della Morte per capire come sia il desiderio della musica saggia E muoio negli occhi della Notte che mi hanno insegnato a vagare senza meta per sempre Liberamente ispirata alla poesia Conte di Arthur Rimbaud


Doctor Faustus

“spirito: Assomigli allo spirito che tu comprendi, non a me!” Goethe Faustus: Per vent’anni ho cercato lontano, reso il mondo mio riso e deriso quei deboli ed il vostro dio ho guardato dall’alto con sprezzo quell’Inferno che è solo l’immagine del dolore eterno. Ma la notte, io sento che uccide i ricordi grido il mio fallimento ad angeli sordi vecchi ormai. Mephistophilis: Dove andrai ora, che cosa farai hai perso tutto di te, ciò che sei e sarai hai avuto i baci di Elena, il potere di un dio e hai ucciso con il braccio mio. Ma stanotte ti uccide il tuo stesso rimorso lenirai col dolore il piacere che hai perso e ti sanguina il cuore. Faustus: Ora andrò dalla Morte, che mi ferisce la schiena pagherò questo debito, ma mi pesa la pena e tu Dio che ti dici fraterno, non mi senti eppure sai quanto grandi sono i miei pentimenti. Tu prometti illusioni di perdono alla gente ma io sono spezzato, tu mi uccidi ugualmente Dio, ora ti cerco. Mephistophilis: Non puoi più pentirti, sono i patti decisi dimentica il Cielo ed i Campi Elisi non pregare, non supplicar Dio o il mio re ti punirà con supplizio più degno di te.

Ma ecco, lui viene, sulle ali di un tuono arriva lui, il solo che ha sfidato il supremo e vive di morte. Lucifer: Vengo da quelle fiamme eterne che tutti credono in un baratro devastato da piogge avvelenate dal Cielo e da Dio abbandonato Ma, illusi, non sapete che il mio regno vi risucchia da quando siete nati è qui, davanti ai vostri occhi dentro i vostri volti spensierati E io, che mi sono ribellato al potere infinito della luce sono stato punito ed esiliato da quel luogo dove ipocrisia conduce Ma non creda così l’Onnipotente di avermi distrutto e debellato ché la forza e le idee della mia mente non cambia il tempo o altro luogo del creato E così ora vengo a catturare quei sudditi della mia monarchia quelle anime nere che il peccato macchia e getta via E vengo per riprendermi ciò che è mio e strappare la tua anima all’Elisio per deportarla nell’infinito oblio dove muore ogni sorriso


Il parente ed io “Night is young”. Casey

Faustus: E sei stato tu, servo dannato a rubarmi la gioia, il futuro, il passato mi hai tentato, hai distolto i miei occhi dall’Amore hai risucchiato le lacrime di ogni mia redenzione. Com’è ingiusta la vita per chi vuole sapere quel che c’è al di là del finito e guardare oltre gli specchi. Mephistophilis: Ora te lo confesso, illuso invasato e ne provo piacere, per averti tentato ma adesso è tardi per tutto, piangerai come piange all’Inferno chi in terra non mai. Osserva il palazzo delle torture si soffre, si brucia ma mai non si muore di nuove morti. Faustus: Carri della notte, fermate la corsa per un giorno eterno che il sole risorga se non posso più volare a Dio, che un confine o una fine sia posta alla mia tomba di spine. Ho paura di quello stesso Infinito che ho voluto e per cui la mia fede ho tradito. Ma tu, Dio del Cielo, perché sei perfetto perché vuoi avere il tuo mondo al cospetto tu che hai tutto. Liberamente ispirata all’opera teatrale Doctor Faustus di Christopher Marlowe

Eravamo io e il parente, il parente ed io eravamo sulla strada di che cosa lo sa Dio eravamo lontani da casa eravamo lontani da casa Lui pensava al cimitero, con le sue croci celtiche io pensavo ai fatti miei, ma avevamo in testa che eravamo lontani da casa eravamo lontani da casa Eravamo nella nostra stanza incasinata lui leggeva in italiano, io rompevo con la musica eravamo a digiuno e in ritardo eravamo a digiuno e in ritardo Eravamo in giro in centro e parlavamo di non so ci guardavamo intorno, cercavo quello che non ho volevamo volare più in alto volevamo volare più in alto Prima contavamo i giorni, i giorni già passati dopo alla rovescia quelli da passare vedevamo qualcosa di diverso nell’aria sentivamo che la fredda estate cantava


C.

“L’Ideale avvelena ogni possesso imperfetto; e nell’amore ogni possesso è imperfetto e ingannevole”. G. d’A. Quel che ti ho lasciato è un pezzo di carta con una frase quasi divina che ho sempre amato ma purtroppo ho tradito, stavolta stanotte è solo per te sai cos’è il viaggio, ma ancora di più sai cos’è la partenza e l’abbandono, non so se dei tanti visti e subito persi qualcuno mai ti rimarrà nella pelle e sai anche tu quel che non sai e anche tu sei distrutta dal grande infinito dilemma senza risposta e senza futuro per l’eterno mortale forse era il mare, così sempre consueto o forse il trovare in un lontano vicino una luce su questo mio strano cammino che ancora mi fa pensare ma spero un giorno di poter rincontrarti tra i bar modenesi, dove ci si sbronza e si va giù pesi o magari in una danza irlandese o in un’altra effimera estate in terre non lontane né sognate ma vive e vere Fighedilegno, quante ne ho conosciute incontrate e poi andate perdute

né tu né io sappiamo già dire se qualcosa hanno vinto, o non han mai perso niente così ti ringrazio, e ora ti canto anche se mi lascerai per sempre un rimpianto che non svanirà al contrario degli altri subiti ogni volta che ho tradito la frase perché ora è diverso, è tutto più strano è tutto diverso e niente di invano perché vivo di notte e veglio di giorno e forse aspetto di sentire “ritorno” a volte mi chiedo se potrai riuscire tra i fumi del sogno e dell’intenzione a decider qualcosa di vero un universo più in là della tua immaginazione che tu possa decidere quello che senti per quanto sembri folle od ingiusto e sfanculare il maledetto buonsenso per lui non c’è spazio che la tua vita di tutti i giorni non ti sconfigga né uccida i ricordi e il tempo non ti trafigga che tu possa cercare sempre e comunque un’altra occasione a quelle già andate fossero anche tutte sprecate la troverai


Ho visto amori e parole buie ho visto cuori infranti e distanti ho visto il mio andare in mille pezzi e forse ne ho affettato qualcuno

Ti ho già incontrata, ora lo so forse era quando volavo su Londra o forse eri tu a sorridere in riva a quel mare inventato, tanti anni fa

ma ho visto amori di un solo istante di un solo giorno o di uno sguardo e tradimenti lontani nel sole velato di nebbia e scrosci di pioggia

o magari eri quella che con il mantello si copriva le vesti azzurro di perla bella come la notte calda d’Oriente fredda come il ghiaccio di Stella del Polo

e ragazze carlotte e calze di seta felponi d’autunno, ideali di creta conformisti e poveri stronzi e un povero stronzo anche in me

perdonami, solo, vorrei poter pensare che facessimo come la volpe e il principe e illudermi che ti possa importare e scoprire il prezzo della felicità

ti vorrei dire qualcosa di più che questo foglio non potrà sopportare che queste righe non potranno tenere ma illuminarti soltanto una porta

fra un attimo, quando la luce si spegne conchiglie, bambini, pensieri velati porteranno visi e baci mai osati quanto si sono pentiti quei baci

come un giorno mi hai detto, “spero tu possa capire” e sgombrare la mente dal troppo consueto io che ho ancora un argento al collo ma è un’altra vita, lo sai

questa retorica dell’antiretorica possa restare cullata in te e vivere di quel che le dai e sperare in ciò che darai

queste parole che ora ti canto le perderai in qualche giro di cocktail o tra le risate di vecchie amicizie ritrovate a un concerto ad un ballo

e questo odore di solitudine, solitudine di quando sei in mezzo alla gente mi assale mentre dietro le righe ti sussurro le parole più vecchie del mondo

o le perderai, dispersa e abbagliata in una notte d’amore, che tutto cancella e porta via il dolore o ancora in migliaia di posti diversi dove il tempo non è ancora arrivato è morto e poi rinato per poco

ma credo un giorno di poter rincontrarti tra i bar modenesi, dove si drinka e si va giù pesi o in qualche notte dove si va lontano o tra le cosce di Mamma Bologna con la storia che ogni tanto ritorna e poi…


Proverai

“A quei tempi le leggi del gioco posizionale erano ancora in embrione e predominava la cosiddetta direttiva romantica: si riteneva che bastasse la fantasia a ispirare brillanti combinazioni.” Averbach - Bejlin Se potrai e credi di avere potere cerca di trovare un sorriso da fingere se ti cercherò Quando siamo soli e nudi Se vorrai nella notte più profonda dimentica le sciocche convinzioni, tutti abbiam paura, non c’è più forte, le voltiane situazioni da cui fuggirò potente o carogna Sdraiati sull’erba e ama comunque e per chiunque E quando vuoi solo smetter di pensare ma portati la tua grande forza, perché io sono uno qualunque e far fatica per un posto a cui arrivare Parlerei e fare cose, vedere gente con cui stare parlerei queste parole se l’amore senza riccioli mi ritroverà ma non sei ciò che vorresti, non sei certo né uomo né dio Lo farei sei su un filo d’acciaio sospeso tra l’incerto e l’addio ma per ora son rinchiuso nella cella e tutto quel che senti è speranza di trovare un tuo io della mia pazzia e immaturità Proverai E così cerco i poeti, maledetti, sconfitti e diversi proverai anche tu la sensazione per vivere l’illusione di una vita vissuta coi versi di non appartenere a nessun mondo Ma se cerchi un posto dove andare E cercherai dove sei meno di niente, più in basso del mare cercherai anche tu di ritrovar te stesso ma sei alto più in alto del più alto altare fra i cliché della gente a tutto tondo prova, cerca ancora, forse avrai più fortuna di me Scenderai sulla strada a perderti tra le vie da scoprire io cerco da vent’anni, ho trovato sassi, fango e niente all’ombra della sera, a imparare come nascere o morire ma scava nella mente, forse lo porterai con te Piangerò Tu vedrai per tutte le occasioni che ho bruciato vedrai che c’è di più di quel che sembra tra i silenzi e le attese nei colori intorno a te Guarda su Troverai e vedrai fredda e distante col suo viso scuro e cortese nuove fiaccole di luce per scappare via Una visione angelica, angelica come il nome che porta de quel che è dentro in te ma è tutta un’ illusione, tutti umani i miti d’ogni sorta E se perdi amicizie, legami, amori o radici qualche donna Caballeros suonerà un violoncello ai felici E se cerchi un modo per restare Ma tu senza pensare sempre di scappare insegnante che siedi al trono sopra tutti tu vuoi fermarti, vivere e amare e credi di avere potere ma vivi di ricordi, non accetti ciò che esiste già E tu appeso a vecchi soli, a un bacio irlandese che non finirà uomo forte o intelligente sconfiggi tutti se vedessi quel che hai forse, forse, chi lo sa


Eminenza Mercenaria Mascherata d’Argento “Un’atra volta passava per il paese, e un ragazzino correndo urtò contro la sua spalla. Irritato Gesù gli disse: - Non proseguirai la tua strada! E subito quello cadde morto”. Vangelo dello Pseudo Tommaso

Per le strade acciottolate, strette e affollate sature di ricordi, visioni, suonatori, chitarre, accattoni Una vigilia di Natale maschera di tristezza, solitudine E la paura dei volti, delle facce, il terrore indefinito per la gente, le sue occhiate di odio e incertezza sfinita Ed io tenevo giù la testa io, nascosto dietro gli ombrelli Non ti ho mai davvero amata quando giravamo io e te per quelle strade, e mi guardavi con occhi dolci I miei occhi seguivano riccioli rossi e poetiche malinconie E la paura della finitudine del tempo e del quotidiano, tutto fisso come un cristallo spento nei mobili del tuo salotto Ed io seguivo le piume nell’aria io, che avevo il terrore del pianto Ho avuto prova della mia disumanità molto più umana della vostra e ho resistito come un povero sciocco alle tue tormente di lacrime Non servono rimorsi o pentimenti troppo patetici come sentimenti ridevo della libertà ma cosa farai se non ami e sei amato Dirai no come chi ti respinse

L’insicurezza dei miei giorni e l’invecchiare della primavera mi fan pensare a un legame dentro in noi sconosciuto Non so se effimero, fugace, luminoso, rapace, non so dire E così son tornato a cercarti, ricordo ancora quella sera nevosa, l’attesa davanti alla tua porta, debole, malato E tu mi hai accolto come un vecchio amico E tu mi hai accolto nel caldo di casa Ma eri cambiata, proiettata in quello squallido mondo di amici e feste, nell’indifferenza del tuo senso di distacco indifferente al dolore degli altri Tu credi di essere quella che ha sofferto di più per amore e ti affolli di idioti la vita cercando una febbre del sabato morta e fallita ma tu non sei quel che sembri ancora È meglio che piangi per quello che vale Tutto gira lo sai, e tu credi a un destino fatato che ti salterà nel letto e ti sposerà la mia mente è più tormentata, ma infine hai sempre ragione e per quanto ne sappia chissà tutto diventa più bello solo quando ricordi, perché quando lo vivi vuoi sempre andare più in là tutto diventa più scuro con il passare del tempo, ma c’è qualcosa che rimane e ci sarà Non parlerò dei tuoi grandi dolori di cammino ma vedi quelle tue lacrime che vanno a tradimenti e perdite fantasma quando trovi nuovi amori a ogni passo e non è da tutti Questo tuo disprezzo ipocrita ti ferisce, vattene via ma io son qui che parlo e giudico, perdonami noi siamo tutti sbagliati e tutti soffriamo Ma per questo un briciolo ora forse ti amo


Cavalcando la Via Regina Bellamy tornò e rispose

Se ti lasci cullare dalle onde verso il luogo in cui il blu diventa azzurro e l’azzurro diventa mare puoi piangere lacrime di rabbia o d’amore, nessuno se ne accorgerà nessuno ti verrà a salvare Se immagini cose strane o pensi immagini verdi e guardi la schiuma che sale puoi sforzarti, faticare, ma l’onda ti dirà non pensare fa male quando sei al mare E poi tra la gente e le stelle mezzanotte è passata da ore e rivivi per un instante un istante del cuore come un attimo, un lampo, e subito offuschi e ricopri quell’ improvviso bagliore e fai un sorriso falso e ricominci a giocare

(Preludio)


Appunti di viaggio del collezionista d’attimi “Dimmi allora, per favore, - disse il barcaiolo perché devo sempre andare su e giù, senza che nessuno mi dia il cambio. Aspetta che torni, - rispose, - e lo saprai. Passato il fiume, trovò l’ingresso dell’inferno. Là dentro era tutto nero e fuligginoso e il diavolo non era in casa; ma c’era sua nonna, seduta su una gran poltrona.” Grimm, tradizionale

Quella volta era aperto il cancello e mi intrufolai come un ladro incurante della tua fotocopia in agguato fuggente tua madre non mi guardò neppure io finsi di bussare scambiavo lei per te ma fuori dalla penombra capivo che forse eri troppo invecchiata in due giorni

Parlavi di certe poesie che avevi già scritto ma fin troppo tue per essere lette a qualcuno e mi chiedevo per un attimo cosa fossero mai ma in realtà non vorrò saperlo non voglio scostare il velo di Maya so già troppo di te e dei tuoi misteri fasulli per intorbidare le immagini scure e future con versi forse già usati

Il prato puzzava di cane e il tuo zaino di birra esotica con quelle spille ma io ti parlavo di Kierkegaard e non mi ascoltavo poi il frappé nel bar deleterio alla radio davano Dylan e pensavo a chi avessi fregato le spille bohème, forse qualche viandante incallito od amante, e la tua fragola non andava giù

Al caffè dei poeti ci atteggiavamo come pseudointellettuali un po’ goffi e impacciati ma di poeti laggiù non ce n’erano, e neppure fra noi Milano sembrava risorgere o forse eri tu che le davi una mano per me ora è rimasta la solita fogna, ma il nostro treno al ritorno speravo viaggiasse più lento del vecchio giorno


Conrad e Svevo piazzati sul tavolino sapevano già l’effimerità della prova che inetti subivano forse anch’io lo sapevo, ma restavo in silenzio certo lo sapevi anche tu io credo, e ti fingevi distratta troppo valeva pensare alla noce di decadenza divina suina che misera e vuota suonava con occhi mai stanchi Ora è il mio turno e il mito della notte irlandese mi brucia di Guinness sotto le note di parole italiane tu sai che i dublinesi sono morti con Bloom e a Dublino imparo di Napoli e la madre tettona non è altro che una scuola fascista immersa nelle facce passate e disperse che il mio feticismo trasporta in adorazioni di luoghi ormai spenti Leila tu sai quanto il tuo nome mi porti in mondi e galassie lasciati nella promiscuità di ricordi rubati proprio come l’irish folk music muore nel disco non posso che pensare all’indietro o immaginare i litigi di Joyce poi la troia ci disse “le vostre birre son da signorina” mentre il quarantenne la toccheggiava e il padre era esperto di vini

Tre anni dopo l’aver consacrato il cimitero notturno di preti e fantasmi il partente fratello mi tradisce e richiude la porta il giorno delle sue nozze o dei suoi incontri fuori le porte di Roma ci sarà qualche ora di me, insieme a un pugno di parole non vere che fluivano l’unica sera del mio ritorno in Dundrum Busserò come il cugino Jolly alla porta del monastero in vesti da pellegrino consunto cosa farò o penserò ancora lo ignoro coverò pensieri non troppo pudichi all’ombra del bosco di castità tutto forse soltanto per vedermi strappare da sotto gli occhi quel che mai ho avuto, e un gusto di familiare tempesta Ascolto la predica di blasfemi cattolici che decantano di una verità assoluta, iperbolica e poi aprono Nietzsche e ne leggono i versi “noi siamo compagni di mensa ma non andiamo a letto insieme” padre, lei parli per sé, io mi limiterò a frustrarmi nella tentazione


e Nietzsche si agita nel suo inferno afrodisiaco Cristo forse sarebbe lui stesso un esule nutopiano in questa terra straniera e remota che però mi scivola accanto senza sfiorarmi per una attimo ho visto dio da lontano, io sguazzavo nel fango quando lei mi trafisse con i suoi occhi verdi in quell’eterno momento capii come mai da millenni l’uomo la preghi Addio, la rotaia vicina mi chiama, con l’ultimo bacio sospeso all’amuchina forte che il parente ti aveva spalmato sulle labbra sottili ho spezzato la duplice gabbia e la morsa nel petto tarda a arrivare mi ha colpito che ero già troppo lontano, nel sole della costa dell’Est dove la vecchia roulotte tornava per un’altro giro di mano E’ il momento di aprire le porte ai vitelloni e alla caccia alle foche nella penombra dell’estate emiliana ma quando evapora il vino posso toccare la notte vuota nel nichilismo disfatto di chi perde e non trova o ritrova nel solcare le strade non battute dai carri ero sempre straniero

in ogni terra e forse, fratello, mi mancavi più della nostra donna fantasma Ed è l’inverno inoltrato che mi richiama per una breve estate dei morti nel cuore della terra imperiale illuso da una dea che, come tutte, si scopre mortale ma al buio sul mare nella Miami minore mi sentivo come Allen e Keaton col tuo cappotto alla “Blonde on Blonde” sembravi l’amante di bronzo del solcamari, ma era solo un altro flebile istante da collezione, lo sai Il ritorno è sempre malato di vizi passati che uno alla volta son ritornati al loro atavico nido nido mobile e infermo nelle case degli altri un marinaio di granito baciava la sua donna coi fiori sul petto osservare loro o guardare i vampiri era sempre e per sempre tutto quello che il mare e la terra ci avrebbero dato nel primo e secondo tempo


Inno ad eco

“Imagination is not real Mr. M, although I must say, there is no better cure for gravity when you’re not an astronaut“. Patrick Castelli Azzam Voi scrittori amici, pittori di moleskine Picasso sei troppo eroe coi tuoi tratti squadrati Chatwin i tuoi viaggi, i tuoi scritti nella notte mi donano il gusto dell’avventura lontana perché son qui seduto, intrappolato nella mia vita un po’ l’ho cercata, e un po’ troppo l’ho tradita Tu che giri in strada, ma non le appartieni guardi dall’alto la gente, gli accattoni li uccideresti tutti con il tuo fucile che vorresti comprare, perché ami le armi ami la difesa, sei un vero eroe ma perché non siamo in America Non c’è spazio per i romanticismi malati che serpeggiano tra i muri che avete creati Amico professore che sei ancora fra quei pochi molto pochi degni del mio modesto rispetto la tua passione di conoscere, di amore per l’antico ristagna nella frustrazione di non essere capita ma non disperare, la gente è varia e strana troverai chi capirà, capirai chi troverai con la grandiosa arte che nascondi dietro i tuoi occhiali astratti, tondi Me ne frego dei vostri doppi sensi di parole la mia devozione è ad altre cose, un po’ più strane un po’ più sole non ci incontreremo mai, non seguirò le vostre strade ma lasciate la violenza che avete nelle anime E tu, Mina, sei sempre più bella Mina, tu, nella nebbia di gennaio un po’ di Rimmel, il sorriso così trascurato mi invade con dolcezza e malinconia

Ho sempre visto una falce egoista fra le righe del tuo volto sempre altruista non avrei mai pensato di cedere a cliché come questi, van contro di me Ma non disperate amici mai conosciuti ci incontreremo un giorno, quando non serviranno i saluti La notte è ormai scesa del tutto con le sue coperte, le sue ispirazioni con la sua voglia di intessere poemi e di cantare storie di antieroi falliti con le sue immagini a lampi delle feste e degli sballi che insaziabili proseguono Lampi e immagini del tuo abito nero che mi hai fatto scegliere nel promiscuo del tuo letto di vestiti a me non è mai importato ma ora tu lo indossi e dimentico chi sei dimentichi chi sono e lo usi per baciare gente che è l’opposto contrario di me E tu, Mina, sei sempre più bella Mina, tu, in un caffè di viaggiatori tu che non viaggi, sempre più egoista sai e non sai e fingi ancora un po’ Vorrei leggere a fondo quegli occhi di musa che di musa non hanno poi niente e capire se credi, se non credi, se ami se fingi, se vuoi partire domani o restare per sempre tra le mura di pietra e le torri che segnano la tua terra di vita Sono incerto, come te, come voi certi ho pietà, ho paura, come la forza è insicura Vorrei essere tanto una persona migliore


Non (Postludio) si chiama alla fine sono io pure egoista quanto te vorrei cambiar le cose senza cambiar me stesso cambiare le vostre menti e far bene lo stesso esser più saldo, più forte, atarassico ma stanotte mi accorgo di quanto si sogni Ed è sempre la notte che mi dà la forza di indebolirmi e sentir le vostre voci che danzano e gridano qui nell’immane silenzio che circonda, prende ed avvolge la notte lo senti se ti sforzi anche poco la notte lo senti con fare noir ma è di giorno che viene confuso tra tutto tra le cose del mondo e delle città eppure è proprio di giorno che regna soave e uccide ogni tentativo di libertà E ora il mio corpo, abbandonato sulle rive di quel lago gelato e fetido tra le montagne che non ricordo più si lascia andare alle piogge crudeli Luoghi comuni, vecchi nemici vi ritrovo in parte della mia vita e una parte di voi non è più comune ma rara, desolata, furiosa e smarrita. “Comporrò un canto sul puro nulla: non parlerà né di me né di altri né d’amore né di gioventù né di null’altro”. Guglielmo IX

Sentivamo appesi a un filo la risposta di Carida con mucchi di terra in mano “E’ vero caro amico che ritorneremo un giorno?” “Menzogna” disse lui, “e Plutone è una altro mito o una leggenda, ma con due scellini in tasca farete la fortuna” Siamo diventati sordi da un orecchio soltanto e siamo ingrassati di fame Beviamo in compagnia, ma senza mai giocare a carte e sappiamo solo per sentito dire che i giuramenti d’amore non raggiungono l’orecchio degli dei Perdevamo il potere della nostra forza bianca ma compravamo letti e grandi api Abbiam provato vergogna e siamo morti da un giorno all’altro qualche posto vuoto ai tavoli dei ristoranti e delle enoteche scambiate per osterie ipocrisie di vino Siamo stati deturpati da un teatro di Venezia e siamo stati amati in simulacri di marmo Le labbra che ci sfiorano sono fredde come le nostre e come Adoni sfioriti siamo chiusi in un’alcova oltre un vetro a doppio malto, soli con la nostra obliqua e sfinita nostalgia Dolce amore mio, i tuoi occhi sono di cenere e così i miei (con un ringraziamento a Callimaco e Thomas Hardy)


Edizioni di Officina della narrazione Coordinamento editoriale a cura di Alberto Terzi www.stringhecolorate.com Booklet progettato da Grafici Senza Frontiere Dipinti di Laura Marelli Grafica di Tomaso Baj


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