Il tempo di nessuno - Ave Govi

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Premessa

A distanza di tempo, messi nero su bianco, i retroscena di vicende note, pure se applicati fedelmente al contesto iniziale, possono assumere aspetti e significati diversi da ciò che l’immaginario comune ne serba ricordo, mettendo a nudo una seconda realtà scaturita dalle più recondite motivazioni personali, culturali ed emozionali. Quanto segue è il frammento di una piccola storia messo insieme attraverso il racconto di chi col protagonista ha condiviso le prime e più significative esperienze della propria esistenza, radici difficilmente estirpabili. I primi segnali di una netta quanto dolorosa frattura tra loro, ebbero inizio nell’immediato dopo sessant’otto, allorché, nello specifico in quel di Reggio Emilia, sui posti di lavoro all’interno di fabbriche di un certo rilievo,

nacquero e proliferarono

gruppi che in seguito, emergenti tra loro elementi di spicco in quanto a ideologie improntate a estremismo politico, diedero notevole impulso alle cronache con fatti ben noti. Non tutti gli aggregati ebbero parte attiva nella movimentata e spesso criminosa organizzazione, ma nel sottobosco dei simpatizzanti, certe scelte condizionarono e cambiarono l’esistenza di molti. Tra questi, così lo chiameremo, il Mario. Ragazzo poco più ventenne, estremamente intelligente, leale con colleghi e amici, convinto di poter cambiare le regole di un sistema a suo pensare ingiusto, debordò dai confini, tagliando di seguito i ponti con passato e presente, famiglia e amici. Quanto ciò gli sia stato favorevole e costruttivo sul piano personale, nessuno potrà mai saperlo, ma nel ricordo di tutti coloro che l’hanno conosciuto e frequentato, resterà sempre l’idealista che sognava uguaglianza e dignità per tutti.


Il tempo di nessuno

"Ma sei proprio tu, il Mario?" Genuina sorpresa mentre la ressa, incolonnata in corsie frontali lungo il viale, per metà occupato dalle fila di bancarelle nel giorno della festa del patrono, rintuzzava entrambi, infastidita dall’improvviso intoppo sul percorso. Eh sì, pareva proprio il Mario, il Mariùn, sparito dalla circolazione assai misteriosamente parecchi anni prima, lasciandosi alle spalle le più svariate congetture, la più fantasiosa delle quali, ridimensionata in seguito, che fosse entrato in clandestinità, reclutato e protetto dal movimento politico, assai nebulosi i contorni in verità, in cui ultimamente militava. Tempi caldi quelli, gruppi e gruppuscoli in sommersa ebollizione, malumori e malesseri spesso ingestibili sul posto di lavoro, scuole in subbuglio, cortei, slogan e disordini per le strade. Amici da sempre essendo nati e cresciuti nel medesimo, sonnolento paesetto della Bassa, contemporanea, dopo la scuola dell'obbligo l'assunzione in fabbrica, gomito a gomito alla catena di montaggio, ciò che li aveva improvvisamente e inspiegabilmente divisi, era stata appunto la politica. Testa complicata il Mariùn, imbottita di teorie filosofiche tratte dai libri di cui s'era riempito la stanza, una forbita dialettica sfoggiata con convincente fervore nel corso delle assemblee in fabbrica, sempre sul podio nelle manifestazioni di piazza. Niente quanto la politica, avevano in seguito preso coscienza i compagni di lavoro, poteva unire o dividere, creare o distruggere, schiavizzare o rendere liberi. Pure ai suoi genitori, rinserrati nel loro privato tormento, nessuno chiedeva più notizie. Ogniqualvolta le cronache davano risalto a eventi criminosi, rivendicati o attribuiti a turno a vari movimenti clandestini, occasionalmente veniva menzionato, ma che egli fosse capace di premere freddamente il grilletto o di rendersene complice, e a ragione,


nessuno lo credeva e mai l'avrebbe creduto. Colui che ora aveva di fronte, emerso d'improvviso dalla più banale e improbabile delle circostanze, confacente a lui quanto una camicia rossa sotto un abito talare, del ragazzo di allora, a parte la stazza che sovrastava la media di una buona testa, poteva soltanto vantare quella sua incredibile capigliatura radicata sino a metà fronte ora ingrigita, ché sotto di essa lo sguardo, disorientato e sfuggente, non apparteneva di certo al Mariùn che ricordava, sempre infervorato e totalmente assorbito dalle sue incomprese dottrine. Le mani sprofondate nelle tasche del giaccone, saldo e massiccio quanto un pilone di cemento, si lasciava rintuzzare dalla folla non palesando alcuna concreta emozione per l'inatteso incontro, neppure fastidio, soltanto pacata indifferenza. Ma l’occasione per non lasciarselo sfuggire era troppo ghiotta e l’invito fiorì spontaneo: "Togliamoci di qui, vuoi? Ti va di prendere un caffè?" Destreggiandosi tra la calca, trovarono scampo in un baretto, fortunosamente appartati a un tavolino d'angolo con vista sul corso, il via vai che sfiorava la vetrina. "Vecchio Mariùn, ne è passato di tempo. Racconta su, racconta" "Di cosa?" "Beh, di te. Come te la sei passata in questi anni." "Sono passati, come per tutti." "Tutto qui? Non può essere. Sai, per moltissimo tempo dopo che te ne sei andato, più in fabbrica che in paese, s'è continuato a parlare di te chiedendoci dove fossi finito, tutti concordi nel pensare che in fondo forse facesti un favore ai”grandi capi” togliendoti di mezzo. Non rimasero loro che pecore da portare a pascolare dove meno c'era erba." L'uscita lo fece finalmente sorridere, un barlume della vecchia, infervorata scintilla, riaccesa per un attimo all'accenno delle passate lotte. Capì che poteva stimolarlo a sbottonarsi non chiedendo ma parlando di sé, dei compagni di lavoro, scoprendosi a sua volta desideroso di confidenze. Nel timore di vederlo di nuovo chiudersi a riccio, preferì però avventurarsi su campo neutro, più o meno come parlare del tempo.


"Pare ieri vero che facevamo a gara a collezionare conquiste, scambiandoci a turno le ragazze." Approccio sbagliato, che a quell'epoca al Mariùn le ragazze non interessavano affatto, sempre assorbito dalle sue colorite e personali interpretazioni inerenti a presunti sfruttamenti esercitati da qualunque tipo di potere: padroni, capi, capetti e crumiri, tutti da mettere alla gogna. Pure era da lì che poteva cominciare. "Sai chi ho infine sposato? Tira a indovinare." "Non saprei, poi… non ho ancora visto né chiesto in giro di nessuno." "Ah, ma allora sei appena tornato. Beh, ho sposato la Marina." "La Marina? Quella che..." Non lo lasciò terminare. "Sì, so che vorresti dire, ma non era vero sai che stava con tutti, puoi credermi.Era soltanto un atteggiamento indotto dall’emergente fenomeno del femminismo, pure lei, un po' come te, animata da introversa insoddisfazione, private rivalse, smaniosa di emancipazione e cambiamenti. Pur con qualche alto e basso, non mi sono mai pentito della scelta e s'è rivelata pure un'ottima madre." “ Non sei proprio cambiato tu.” “Già, coniglio e…coglione.” “E neppure dimentichi eh?” Lo disse con un mezzo sorriso, lo sguardo finalmente diretto senza inespresse reminiscenze di passate incomprensioni. “Taci coglione” era l’epiteto che s’era un giorno beccato proprio da lui allorché, durante un’assemblea in fabbrica, s’era prodigato nel tentativo di calmare gli animi, esasperati dalle inconcludenti trattative per il rinnovo del contratto, soggiogati e coinvolti loro malgrado dall’appassionata foga del Mario.. “Sei in errore. Ho dimenticato nel momento stesso in cui ho preso coscienza che i torti e le ragioni non stanno mai da una parte sola. Che la vera difficoltà, il perno che quasi sempre crea contrasti e divide consiste nell’incapacità di trovare dignitosi e accettabili compromessi, la via di mezzo insomma, che la saggezza dei nostri vecchi ha sempre


indicato come la migliore. La vita di coppia credimi, ne è un esempio e insegna tante cose.” "E già. Con qualche variante, presumo la si possa davvero applicare alla politica. Tutto dipende sempre, a prescindere dalle specifiche scelte, da quanto uno ne resta coinvolto, da quanto riesce a mantenere intatta la razionalità” " Quindi concordi?” “Eh sì. C’è un momento preciso nella vita di ognuno, transitorio ma incancellabile che determina appunto le scelte. Se di forza o di debolezza non saprei dire. Ti lasci soggiogare da idealismi che non ti portano in seguito da nessuna parte, ti scontri e di seguito combatti caparbiamente spinto da teorie che ben presto si smentiscono da sole, t'affianchi a compagni che poi tradiscono. Senza neppure averne coscienza, un giro di vite oggi, uno domani, ed eccoti intrappolato nelle tue filosofie da quattro soldi. Sai che ti dico? Che forse un giorno, tanto per ammazzare il tempo, scriverò una storiella, la mia, ma non per insegnare qualcosa a qualcuno, non ne varrebbe davvero la pena, soltanto per sentirmi dire: “Tutto qui? Ti sei proprio svenduto, caro il mio Mario. Sì, credo che lo farò." "Un altro caffè?" offrì, osservandolo portarsi la tazzina alle labbra, indugiando a scolare l'ultima goccia ormai rappresa sul fondo. Si impose di restare in silenzio non volendo interrompere quel processo inverso del quale, avvertì, esserne soltanto occasionale spettatore, seppur artefice dello stimolo. Si scolarono il secondo caffè senza guardarsi, assorti entrambi nei loro privati percorsi, evidente, per chi li avesse osservati, l'intento andato a vuoto di poter riportare l'incontro sui binari della lontana amicizia. Pure sentiva l'esigenza di un ulteriore tentativo. "Ti andrebbe una rimpatriata? Sono certo che tutti ti rivedrebbero volentieri e potrei combinare. Sai, molti sono andati in pensione, pochi di loro rimpiazzati. Si prospetta cassa integrazione, forse licenziamenti. Non è un buon momento e una delle tue belle scrollate giungerebbe a fagiolo". Di nuovo quell’insondabile sorriso, poi:


" Ti farò sapere. Sai, ancora non so se o quanto mi fermerò." Vide che non portava fede al dito, ma questo, considerò, poteva avere ben poco significato: lui stesso da anni se l'era tolta dopo essere rimasto appigliato a un gancio della catena. Meccanicamente guardò l'orologio, interpretato il gesto dal Mario come un sollecito, inducendolo ad alzarsi. "No, scusami. E' che ho portato i ragazzi al cinema parrocchiale e devo andare a riprenderli, ma c'è tempo. Sono grandicelli, quasi adolescenti, ma la Marina insiste nel volerli tenere sotto controllo. Pure qui in paese i tempi non sono più i nostri, occorre vigilare. A proposito, per cena ha promesso loro una pizza speciale, sua esclusiva ricetta, ti andrebbe di dividerla con noi?" La spontaneità dell’invito gli strappò di nuovo quel suo mezzo sorriso, un sottofondo di genuina gratitudine, di umiltà, che lo quasi lo disorientò. "Ti ringrazio, ma rimandiamo a un'altra occasione" Parve sul punto d'incamminarsi verso l'uscita ma, riconquistata la sedia, vi si riaccomodò, esortandolo con un gesto a fare altrettanto. "Ma tu, dimmi, rimpiangi davvero i vecchi tempi? Si? Beh, io no, li rinnego e li colpevolizzo. Guarda che hanno fatto di noi. Io rincoglionito dalle mie astruse teorie, col senno di poi con ben poco in se di costruttivo, di valido, di convincente. Anni vuoti, votati a una causa persa se non peggio, che pesano come un macigno sulle spalle. Tu buon padre di famiglia sicuramente, un discreto marito, ma con la sola certezza di cosa troverai in tavola stasera, ma non ciò che potresti trovarti di fronte sul posto di lavoro domani mattina. Energie, tempo, ideali, gli anni migliori della nostra vita condensati nel vivere precariamente alla giornata. Hai detto bene prima, una bella scrollata ci vorrebbe, ma a tutto il sistema, partendo indifferentemente dall’alto o dal basso. Ma dove trovare l’energia, la voglia, l’unità? E’ quest’ultima che è sempre mancata credimi, che manca e mancherà sempre: l’UNITA’!”


Monologo. Eccolo il Mariùn che ricordava, rientrato per un attimo nei panni palesemente dimessi e ormai dismessi, impantanato di nuovo nella sua vecchia strada senza uscita. Eppure, mai come in quel momento, avvertì di condividere appieno le sue complicate, insopprimibili teorie. Lo osservò rialzarsi, chiaro ora l’intento di porre fine al colloquio, allungandogli la mano. “Sappi che mi ha fatto piacere incontrarti, parlare con te. Porta i miei saluti alla Marina." Lo osservò allontanarsi, la testa leonina sovrastante la marea, su e giù, giù e su lungo il viale, l'odore caramellato, bruciacchiato dello zucchero filato, del popcorn, la musica assordante delle giostre. Fiera, apparente, effimera allegria, ostentato benessere, stuolo di solitudini accantonate, forse soltanto represse per un giorno, di sentinella dietro l'uscio di casa. Involuzione del tempo, pronto a scegliersi le sue vittime ad ogni mutamento di stagione.


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