ROMARCHEOMANIA
RIVISTA DI ARCHEOLOGIA 1
Benvenuti Archeomaniaci
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envenuti ! Questa rivista è dedicata a tutti quelli che si considerano veri e propri archeomaniaci, archeologi, storici, o appassionati di archeologia e storia antica. Qui si potranno esporre le proprie idee, impressioni e considerazioni su monumenti, opere d'arte dell'antichità , città antiche, episodi storici e scoperte piÚ o meno recenti. Condividete con noi le vostre notizie, i vostri studi e le vostre considerazioni.
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IL FORO ROMANO
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Roma altra era la sua natura. Originariamente infatti la zona del Foro, compresa tra le alture del Palatino e del Campidoglio, doveva presentarsi come una valle paludosa attraversata da un corso d’acqua, il Velabro. La prima forma di utilizzazione di questa valle fu di natura funeraria, come attestato dei risultati degli scavi archeologici eseguiti nella zona adiacente al tempio di Antonino e Faustina che hanno rivelato la presenza di una necropoli cronologicamente compresa tra il IX e il VII secolo a.C. e da ritenere pertinente ai centri abitati posti sulle alture dei colli circostanti.
l Foro Romano ha rappresentato nella storia di Roma oltre che il centro geografico della città anche e soprattutto il centro della vita politica e civile specialmente durante il periodo repubblicano. Qui si svolgevano le assemblee dei cittadini, le sedute del senato e il mercato, inoltre vi si amministrava la giustizia e, almeno fino all’età augustea, qui si svolgevano anche i combattimenti dei gladiatori. Era dunque il luogo dove venivano prese le decisioni riguardo tutta la politica dell’Impero e può a ragione essere considerato come il vero e proprio cuore pulsante del mondo romano. Ma prima di diventare il centro vitale di 3
La prima trasformazione avviene intorno al 600 a.C., quando si esegue per la prima volta la pavimentazione del Foro nel momento stesso in cui cessa l’utilizzazione della necropoli e la valle, prima esterna agli abitati vista la sua utilizzazione funeraria, diventa parte di un unico centro nato dall’unione dei precedenti villaggi testimoniando di conseguenza l’avvenuta espansione della primitiva Roma Quadrata sul Palatino. La tradizione romana riporta la pavimentazione del Foro sotto la dinastia dei Tarquini, la cui opera permise la completa utilizzazione della valle sopratutto grazie al sistema di drenaggio con fognature e in primo luogo con la costruzione della grandiosa Cloaca Maxima di cui ancora oggi si conserva il percorso. Dopo questa sistemazione comincia lo sviluppo monumentale del Foro, ma secondo la tradizione già in precedenza sorsero qui edifici importanti per la storia di Roma, come la Regia, la dimora del re, la cui costruzione è dagli autori classici attribuita a Numa Pompilio, e la quale doveva formare un complesso unitario insieme al tempio di Vesta, uno dei più antichi ed importanti santuari di Roma, e alla Casa delle Vestali. Nel VI secolo a.C. venne costruito il Comitium nella zona nord del Foro, un’area circolare con sedili che fu il primo luogo di assemblea dei cittadini, collegato con la Curia Hostilia, la prima sede del Senato. Doveva far parte di questo antico complesso del Comitium probabilmente anche il Lapis Niger, cioè quel settore del Foro pavimentato in marmo nero e delimitato da transenne di marmo bianco (ancora conservato di fronte la Curia Iulia) che le fonti indicano come tomba di Romolo e come luogo funesto, e che, al di sotto della particolare pavimentazione, conserva parte di un complesso databile al VI secolo a.C. in cui risalta la presenza di un cippo con iscrizione bustrofedica in latino arcaico. Nel V secolo a.C. vengono costruiti il tempio di Saturno (498 a.C.) alle pendici del Campidoglio, di cui oggi rimangono il podio e le otto colonne della facciata e che fu anche la sede dell’Erario, e il tempio dei Càstori (484 a.C.) di cui si vedono l’alto podio e le tre colonne corinzie superstiti ad est del Vicus Tuscus.
Successivamente soltanto dopo l’incendio dei Galli del 390 a.C. si ha la ripresa di una intensa attività edilizia al’interno del Foro, in particolare con la costruzione del tempio della Concordia (367 a.C.) ai piedi del Campidoglio, edificato in occasione della fine delle lotte tra patrizi e plebei, e di cui rimane solo parte del podio. Ma la vera monumentalizzazine del Foro avvenne solamente in seguito alla conclusione delle guerre puniche, tra la fine del III e l’inizio del II secolo a.C., cioè quando Roma aveva esteso ormai il suo dominio sul Mediterraneo. Nel II secolo a.C. vengono costruite ben quattro basiliche, la Porcia, l’Emilia, la Sempronia e l’Opimia, ma una particolare importanza topografica avevano tra queste la basilica Emilia (unica superstite delle basiliche repubblicane) e la Sempronia (che sorgeva dove sarà più tardi costruita la Basilica Giulia) che regolarizzarono rispettivamente il lato nord e il lato sud della piazza del Foro. Nel I secolo a.C. si creò un fondale monumentale sul Campidoglio con la costruzione in età sillana del Tabularium, ma la trasformazione più segnificativa del Foro Romano avvenne con Cesare che già dal 54 a.C. cominciò lavori di ampliamento della piazza verso nord, quando iniziò la costruzione del Foro di Cesare. Scomparve così il Comitium e fu costruita la nuova sede del senato, la Curia Iulia, mentre sul versante opposto venne edificata l’imponente Basilica Giulia, al posto della più antica basilica Sempronia. Con Augusto la sistemazione del Foro si completa nel 29 a.C. con la fine dei lavori iniziati da Cesare e l’inaugurazione dei nuovi edifici come il tempio del divo Giulio, in onore di Cesare divinizzato dopo la morte, che regolarizzò il lato est della piazza, e la tribuna dei Rostra sul lato opposto. Fu inoltre monumentalizzato anche l’ingresso alla piazza sul lato orientale con l’arco Partico e l’arco Aziaco, rispettivamente a nord e a sud del tempio del divo Giulio.Con la fine della repubblica il Foro Romano perde la sua funzione di centro politico del mondo romano, ma conserva la sua funzione di rappresentanza e nei secoli seguenti ospiterà monumenti ed edifici destinati ad esaltare la figura degli imperatori. Così verran4
no costruiti il tempio di Vespasiano e Tito, il tempio di Antonino e Faustina e l’imponente arco di Settimio Severo. Quindi gli edifici non trovando più spazio nell’area ristretta del Foro Romano vero e proprio saranno costruiti nella zona più ad est, seguendo il percorso della via sacra, come l’arco di Tito, il tempio di Venere e Roma, la basilica di Massenzio e il tempio di Romolo. L’ultimo monumento eretto nel Foro è la Colonna di Foca, alzata al centro della piazza nel 608 d.C., e dopo questa data tutta l’area verrà gradualmente abbandonata e subirà un notevole interro nel corso dei secoli successivi. Gli unici edifici a salvarsi dall’oblio furono quelli riutilizzati e trasformati nel Medioevo in chiese cristiane, come la Curia Iulia che divenne la chiesa di S. Adriano, il tempio di Antonino e Faustina che fu adattato per ospitare la chiesa di S. Lorenzo in Miranda, il
tempio di Romolo trasformato nela chiesa dei Santi Cosma e Damiano e una sala del palazzo imperiale ai piedi del Palatino dove fu sistemata S. Maria Antiqua. Gli altri edifici caddero in rovina e in gran parte furono depredati dei loro materiali, riutilizzati in altre costruzioni soprattutto durante il Rinascimento quando servirono per la costruzione della nuova Basilica di S. Pietro. Anche il nome stesso di Foro scomparve e tutta la zona del Foro venne chiamata Campo Vaccino, visto che ormai vi pascolavano i buoi. Dopo molti secoli soltanto alla fine dell’Ottocento e agli inizi del Novecento il Foro Romano sarebbe tornato alla luce grazie agli scavi archeologici che permisero la liberazione di tutta l’area e dunque la riscoperta del cuore dell’antica Roma.
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G. G. Belli e le Antichità di Roma (1)
RIFRESSIONE IMMORALE SUR CULISEO St'arcate rotte c'oggi li pittori Viengheno a ddiseggnà cco li pennelli, Tra ll'arberetti, le crosce, li fiori, Le farfalle e li canti de l'uscelli, A ttempo de l'antichi imperatori Ereno un fiteatro, indove quelli Curreveno a vvedé li gradiatori Sfracassasse le coste e li scervelli. Cqua llòro se pijjaveno piascere De sentì ll'urli de tanti cristiani Carpestati e sbranati da le fiere. Allora tante stragge e ttanto lutto, E adesso tanta pasce! Oh avventi umani! Cos'è sto monno! Come cammia tutto! 4 settembre 1835 6
L’ANFITEATRO FLAVIO (COLOSSEO)
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combattimenti all’interno dell’arena furono uccise cinquemila belve. La decorazione dell’edificio e la rifinitura di tutti i suoi particolari avvenne solamente con Domiziano al quale deve essere attribuita probabilmente anche la costruzione dei sotterranei dell’arena, sotteranei che in precedenza non dovevano essere presenti se sono vere le notizie fornite dagli autori classici su alcune naumachie (battaglie navali) svolte nell’anfiteatro durante gli anni di principato di Vespasiano e Domiziano. Costruito in massima parte di travertino e di forma ellittica con l’asse maggiore di 188 m. e quello minore di 156 m. l’Anfiteatro Flavio raggiunge l’imponente altezza di 52 m., al suo interno poteva ospitare circa 87.000 persone. L’anello esterno è composto da quattro ordini sovrapposti, i primi tre con arcate inquadrate da semicolonne tuscaniche al primo piano, ioniche al secondo e corinzie al terzo. Il quarto ordine, alla sommità dell’edificio, e costituito da una parete con lesene corinzie che scandiscono ottanta riquadri all’interno dei quali si aprono a intervalli regolari quaranta finestre quadrate. Su questo attico sono ancora visibili i fori e alcune mensole che servivano per alloggiare le travi di sostegno del velario che ser-
l Colosseo fu costruito durante l’impero dei Flavi nella valle compresa tra Palatino, Oppio e Celio sancendo il ripristino dell’uso pubblico di questa vasta erea che in precedenza era stata sottratta alla cittadinanza da Nerone, il quale ne aveva fatto il centro della sua grandiosa Domus Aurea, con un lago artificiale circondato da imm e n s i g i a r d i n i . Infatti prima della costruzione del grande anfiteatro i combattimenti tra gladiatori (munera) si svolsero per molto tempo nel Foro Romano e in edifici provvisori di legno costruiti occasionalmente, e il primo anfiteatro stabile in muratura fu costruito da Statilio Tauro nel Campo Marzio solo in epoca augustea. Fu Vespasiano a iniziare i lavori per la costruzione dell’anfiteatro sul sito del lago neroniano e a fare una prima cerimonia dedicatoria dell’edificio quando ancora non era stato completato nel 79 d.C., ma soltanto durante l’impero di Tito si portarono a termine i lavori e l’Anfiteatro Flavio fu dedicato definitivamente per la seconda volta nell’80 d.C. con una grandiosa cerimonia e cento giorni di festa durante i quali nei 7
viva per riparare gli spettatori dal sole. A manovrare l’enorme telo e le relative funi che ne dovevano regolare il funzionamento era addetta una squadra di marinai chiamati dal porto del Miseno e stabilmente alloggiata nei pressi dell’anfiteatro nei Castra Misenatium. All’esterno l’area di rispetto dell’edificio era delimitata da una serie di cippi di travertino, concentrici all’anfiteatro, e ancora oggi ne rimangono alcuni inseriti nella pavimentazione originale. Gli spettatori muniti di una tessera numerata per assistere agli spettacoli potevano accedere alle gradinate interne attraverso settantasei delle ottanta arcate totali di ingresso. Sulla chiave di volta di queste arcate infatti si possono ancora leggere i numeri che, presenti anche sulle tessere distribuite gratuitamente agli spettatori, permettevano la regolare affluenza nei giorni degli spettacoli. Le quattro arcate corrispondenti alle estremità degli assi dell’edificio costituivano gli ingressi privilegiati per senatori, sacerdoti e magistrati, e l’unica di queste arcate conservata, quella settentrionale che rivela anche tracce di un piccolo portico ad essa connesso, doveva probabilmente costituire l’ingresso al palco imperiale
che doveva trovarsi al centro del lato nord della cavea. L’interno dell’anfiteatro ospitava cinque settori di gradinate sovrapposti (maeniana) e in ognuno di questi settori trovavano posto determinate categorie di persone divise in base al rango sociale. Nel primo settore, più vicino all’arena, sedevano i senatori, con posti personali (rivelati da iscrizioni con alcuni nomi) su gradinate di marmo, seguiti subito dopo dai cavalieri. Quindi nei tre settori successivi si sistemava il resto della popolazione sempre seguendo gerarchie sociali, ed infine nell’ultimo settore, considerato il peggiore e costruito in legno sotto un colonnato alla sommità dell’anfiteatro, trovavano posto le donne. Queste gradinate poggiano sopra pilastri e volte a botte che al piano terra formano cinque corridoi concentrici, mentre il rapido deflusso degli spettatori era regolato da un complesso sistema di scalinate. L’analisi dell’edificio ha rivelato la presenza di uno scheletro portante, costituito da pilastri di travertino collegati da archi in muratura e dalle volte su cui poggiano i diversi settori della cavea, che ha permesso la rapida conclusione dei lavori con la possibilità di alzare i muri
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riempitivi tra i pilastri contemporaneamente al piano inferiore, in blocchi di tufo, e in quello superiore, in muratura. Al centro dell’anfiteatro l’arena concentrava su di sé l’attenzione degli spettatori che spesso assistevano meravigliati all’improvvisa apparizione di scenografie, gladiatori e animali, protagonisti dei combattimenti o delle cacce (venationes). Infatti il piano dell’arena doveva essere costituito da una struttura mista di muratura e legno o da un tavolato ligneo in cui si aprivano delle botole attraverso le quali venivano issati, con un sistema di montacarichi, gli elementi scenografici e i protagonisti dei combattimenti. I corridoi che compongono i sotterranei dell’arena ospitavano tutti i macchinari (carrucole, montacarichi e rampe inclinate) che servivano per il regolare svolgimento degli spettacoli, e inoltre il corridoio centrale maggiore consentiva un accesso nascosto e diretto, verso est, con la grande caserma dei gladiatori, il Ludus Magnus. Interessato da numerosi interventi di restauro nel corso dei secoli da parte degli imperatori l’Anfiteatro Flavio una volta aboliti definitivamente i combattimenti tra gladiatori nel V secolo d.C. iniziò la sua fase di declino, divenendo nel Medioevo sede della famiglia dei Frangipane. Seguirono numerose spoliazioni di materiale, come il recupero delle grappe
metalliche delle murature attraverso i numerosi buchi tra i blocchi ancora visibili, e l’utilizzazione dell’anfiteatro come vera e propria cava di materiale, soprattutto travertino, per costruzioni moderne, tra cui il Palazzo Barberini nel 1634 e il Porto di Ripetta nel 1703. Ancora oggi e dopo tanti secoli l’Anfiteatro Flavio, che solo dall’VIII secolo prese il nome di Colosseo per la vicinanza della statua colossale di Helios detta Colossus, colpisce il visitatore per la sua maestosità ed imponenza, caratteristiche che hanno portato ad indicare questo monumento come il simbolo stesso di Roma e che hanno ispirato la famosa e suggestiva profezia formulata nell’VIII secolo dal Venerabile Beda: “Fino a che starà in piedi il Colosseo anche Roma starà i piedi; quando cadrà il Colosseo anche Roma cadrà; quando cadrà Roma cadrà il mondo.”
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G.G. Belli e le antichità di Roma (2)
La Ritonna (Il Pantheon) Sta cchiesa è ttanta antica, ggente mie, che cce l’ha ttrova er nonno de mi’ nonna. Peccato abbi d’avé ste porcherie da nun essesce (1) bbianca una colonna! Prima era acconzagrata a la Madonna e cce sta scritto in delle lettanie: ma doppo s’è cchiamata la Ritonna pe ccerte storie che nun zò bbuscíe. Fu un miracolo, fu; pperché una vorta nun c’ereno finestre, e in concrusione je dava lume er buscio de la porta. Ma un Papa santo, che ciannò in priggione, fesce una Croce; e ssubbito a la Vorta se spalanco da sé cquell’occhialone. (2) E ’r miracolo è mmóne (3) ch’er muro cò cquer buggero de vôto, se ne frega de sé (4) e dder terremoto. Terni, 7 ottobre 1831 - De Pepp’er tosto 1 Esserci. 2 Credenza popolare. 3 Mo: ora. 4 Si ride di se stesso.
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L’ARA PACIS
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furono intraprese nel 1903 e portarono alla scoperta della struttura dell’altare e di altri rilievi della decorazione, mentre la completa liberazione delle parti restanti del monumento avvenne negli anni 1937-1938, in occasione del bimillenario di Augusto. Nel 1938 si procedette quindi alla ricostruzione e al restauro dell’altare che però fu trasferito dalla sede originaria in un apposito padiglione costruito accanto al Mausoleo di Augusto, luogo dove ancora oggi è possibile ammirarlo all’interno della nuova sistemazione museale. L’Ara Pacis è interamente realizzata in marmo lunense e si struttura come un recinto quasi quadrato (11, 65 x 10,62 m.) su podio, al cui interno si trova l’altare vero e proprio. Il recinto, sui cui lati lunghi si aprono due porte, è diviso all’esterno in due parti, una inferiore con decorazione uguale sui quattro lati (girali di acanto che nascono da un
’altare della pace di Augusto, votato il 4 luglio del 13 a.C. e dedicato il 30 settembre del 9 a.C., fu ideato come monumento simbolo della propaganda imperiale con lo scopo di legare saldamente la figura dell’imperatore con la pacificazione del mondo allora conosciuto. L’ara venne eretta nel Campo Marzio settentrionale proprio sul limite del pomerium della città e il sito esatto del monumento era già conosciuto a partire dal 1568, quando furono scoperti nove frammenti della decorazione scultorea, mentre altre parti dell’altare vennero rinvenuti nel 1859. Ma soltanto nel 1879 questi frammenti ritrovati furono esattamente identificati e attribuiti all’Ara Pacis di Augusto. Le prime vere esplorazioni archeologiche al di sotto del Palazzo Fiano-Almagià 11
cespo centrale), e una superiore con decorazione scultorea più originale. Infatti le porte di accesso all’altare sono inquadrate da pannelli decorativi con la rappresentazione di scene mitologiche e allegoriche: la rappresentazione del Lupercale (di cui rimangono scarsissimi resti) e il sacrificio di Enea ai Penati in presenza di suo figlio IuloAscanio, mentre sul lato opposto si trova la rappresentazione allegorica della Pace in veste di donna con due bambini sul grembo e, nell’altro panello, la personificazione di Roma (di cui rimangono scarsissimi resti) seduta sopra una catasta di armi. I due lati brevi del recinto invece accolgono nella parte superiore la rappresentazione di una processione sacra dove sono raffigurati insieme alle cariche sacerdotali romane anche Augusto e i membri della famiglia imperiale in una disposizione che riflette un ordine rigorosamente gerarchico. Sul lato sud l’imperatore è stato immortalato nel momento del sacrificio circondato dai sacerdoti e dai suoi famigliari, tra i quali si possono riconoscere Agrippa (amico fidato dell’imperatore nonché suo genero), Giulia (figlia di Augusto) e Tiberio (futuro imperatore). Sul lato opposto il fregio, meno conservato, raffigura il resto della processione nella quale, probabilmente, sono da riconoscere le figure delle vedove della famiglia imperiale (molte teste furono rifatte durante il XVI secolo). Anche la parte interna delrecinto risulta essere decorata, anche qui in una parte inferiore, a imitazione di una palizzata di legno (ricordo del recinto originario), e una parte superiore, con bucrani, corone e patere. L’altare vero e proprio, rialzato di tre gradini su tutti i lati e di cinque sul lato ovest da cui si aveva accesso alla mensa, è anch’esso riccamente decorato. Sullo zoccolo si trovano infatti le rappresentazioni di personaggi femminili, forse da intendere come raffigurazioni delle province dell’impero. Nella parte superiore dell’altare invece si trovano girali che poggiano su leoni alati. Intorno alla mensa dove avveniva il sacrificio annuale si trova inoltre un piccolo fregio con la rappresentazione del sacrificio stesso (il suovetaurilia, cioè il sacrificio di un maiale, una pecora e un toro) a cui partecipa-
vano le vestali e il pontefice massimo. L’Ara Pacis si presenta dunque come un monumento eclettico con motivi decorativi di diversa origine, evidenzia infatti rapporti con l’arte greca del periodo classico nella rappresentazione della processione della famiglia imperiale, una influenza dell’arte ellenistica che si manifesta specialmente nei pannelli di Enea e della Pace, e infine una tradizione più tipicamente romana documentata dal fregio sulla mensa. Con ogni probabilità la costruzione di questo monumento chiave dell’arte pubblica augustea si deve a botteghe greche. La propaganda imperiale augustea che si manifestò in modo particolare nella costruzione di questo monumento segnò certamente la ricerca di consenso dei successivi imperatori, come nel caso spacifico di Nerone e Domiziano, sulle cui monete tornarono le raffigurazioni dell’altare della pace di Augusto proprio per sottolinare un legame ed un rimando al modello augusteo. È interessante inoltre sottolineare come nel II secolo d.C. in seguito al forte rialzamento del terreno in tutta l’area del Campo Marzio per preservare l’Ara Pacis venne creato tutto intorno al monumento un muro di contenimento che permise di continuare a vedere e conservare le splendide decorazioni scultoree che rendevano e rendono tuttora questo monumento uno dei più importanti elementi dell’arte romana.
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G.G.Belli e le antichità di Roma (3)
Li bbattesimi de l’anticajje Su l’anticajja a Ppiazza Montanara Ciànno scritto: Teatro de Marcello. Bbisoggna avé ppancotto pe ccervello, Pe ddí una bbuggiarata accusí rrara. Dove mai li teatri hanno er modello A uso d’una panza de callara? Dove tiengheno mai quele filara De parchetti de fora com’è cquello? Pàssino un po’ da Palaccorda e Ppasce: Arzino er nas’in zú, bbestie da soma: Studino llí, e sse faccino capasce. Quell’era un Culiseo, sori Cardei. Sti cosi tonni com’er culo, a Rroma Se sò ssempre chiamati Culisei. 22 giugno 1834 13
Le Terme di Caracalla
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dai Goti di Vitige durante il loro assedio alla città. A partire da questo periodo le terme divennero una delle più gandi cave di materiale pregiato di Roma. Nel XII secolo abbiamo notizia di alcuni capitelli riutilizzati nel Duomo di Pisa e nella chiesa di S. Maria in Trastevere, ma è nel XVI secolo che gran parte del complesso termale venne saccheggiato ad opera di papa Paolo III Farnese, che utilizzò i materiali tratti dagli scavi del 15451547 per la costruzione del suo palazzo nel Campo Marzio (Palazzo Farnese, oggi sede dell’Ambasciata di Francia). In questo periodo avvennero i ritrovamenti di maggior pregio e vennero scoperti, oltre alle opere considerate “minori”, il cosiddetto Toro Farnese (gruppo scultoreo che rappresenta il supplizio di Dirce), una statua di Flora (Flora Farnese) e l’Ercole Farnese (Ercole in riposo), tutte sculture che andarono ad arricchire la collezione della famiglia Farnese e che sono oggi conservate nel Museo Nazionele di Napoli. Dopo questi sterri le terme continuarono a fornire
uesto grandioso complesso termale venne costruito agli inizi del III secolo d.C. dall’imperatore Marco Aurelio Antonino Bassiano detto Caracalla e inaugurato per l’esattezza nel 216 d.C., ma i lavori proseguirono anche durante l’impero di Elagabalo e Alessandro Severo quando venne costruito il portico del recinto esterno e completata la decorazione, e dunque le terme possono considerarsi ultimate intorno al 235 d.C. Sono documentate successivamente fasi di restauro effettuate da Aureliano, in seguito ad un incendio, e da Diocleziano, con lavori di sistemazione dell’acquedotto (aqua Antoniniana) costruito da Caracalla per alimentare le sue terme. Gli ultimi restauri agli ambienti termali furono eseguiti da Teodorico e risalgono ai primi anni del VI secolo d.C., cioè pochi anni prima del definitivo abbandono delle terme avvenuto nel 537 d.C. in seguito al taglio degli acquedotti operato 14
pezzi pregiati che in continuazione vennero posti in opera nelle costruzioni moderne come nel caso della colonna di granito eretta in piazza Santa Trinità a Firenze nel 1561 proveniente dal frigidarium delle terme, e delle due grandi vasche di granito bigio riutilizzate in piazza Farnese a Roma nel 1612. In seguito scavi sistematici del complesso furono intrapresi solo nel 1812 e proseguirono a più riprese fino alla prima metà del XX secolo, quando venne scoperto il grande mitreo nei sotterranei; infine, in tempi più recenti, le ultime indagini archeologiche e le sistemazioni dell’area archeologica sono state eseguite negli anni Ottanta e Novanta. Le terme consistono di un corpo centrale (220 x 114 m.) posto al centro di un’area circondata da un recinto esterno (337 x 328 m.) costituito da un portico, dove si trovavano due piani di tabernae e di cui oggi rimangono scarse tracce visibili sul fronte nord, su via delle Terme di Caracalla. Ai lati est e ovest di questo recinto si aprono due grandi esedre ognuna con una sala absidata centrale e due ambienti minori alle sue estremità, mentre nel lato sud trova posto la grandiosa cisterna per la raccolta dell’acqua, che consisteva in 18 ambienti comunicanti coperti a volta per una capacità totale di circa 10.000 metri cubi. Addossata alla cisterna, ad impedirne la vista dall’impianto termale vero e proprio, si trova una gradinata che tradizionalmente viene riferita ad uno stadio, mentre forse è da interpretare come una cascata d’acqua che creava un suggestivo effetto scenografico. Ai lati di questa struttura due ambienti rettangolari sono stati identificati come biblioteche. Un giardino separa il recinto esterno dal corpo centrale in cui si trovano gli ambienti termali, il cui accesso avveniva anticamente sul lato nord attraverso due vestiboli che conducevano a due spogliatoi adiacenti (apodyteria). A separare queste due strutture simmetriche si trova la grande vasca della natatio, la piscina scoperta. Seguendo il percorso antico si passa nelle palestre, due grandi ambienti simmetrici con abside posti alle estremità dell’edificio e caratterizzate dalla presenza di portici con colonne di giallo antico e da mosaici pavimentali policromi. Da qui si
intraprendeva la serie dei bagni partendo dal calidarium, la sala circolare per i bagni caldi posta al centro dell’estremità meridionale, con grande vasca centrale e altre sei minori poste tra i pilastri che sostenevano la cupola di copertura. Proseguendo sull’asse centrale verso nord si entra poi nel tepidarium, fiancheggiato da due vasche, e quindi nella grande sala del frigidarium (58 x 24 m.), posta al centro di tutto il complesso, con i pilastri che sorreggevano le tre grandi volte a crociera e con le quattro vasche per i bagni di acqua fredda. Interessante è anche il complesso dei sotterranei con i corridoi carrabili di servizio da cui dipendeva il completo funzionemento delle terme. In uno di questi sotterranei vicino all’esedra occidentale del recinto esterno venne impiantato verso la prima metà del III secolo d.C. uno dei più grandi mitrei rinvenuti fino ad oggi a Roma.
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G.G. Belli e le antichità di Roma (4)
L’oche e li galli Ar tempo de l’antichi, in Campidojjo, dove che vvedi tanti piedestalli, quell’ommini vestiti rossi e ggialli c’ingrassaveno l’oche cor trifojjo. Ecchete che ’na notte scerti galli viengheno pe ddà a Roma un gran cordojjo: ma ll’oche je sce messeno uno scojjo, ché svejjorno un scozzone de cavalli. Quell’omo, usscito co la rete in testa e le mutanne sole in ne le scianche, cacciò li galli e jje tajjò la cresta. Pe cquesto caso fu che a ste pollanche er gran Zenato je mutò la vesta, ch’ereno nere, e vvorze fàlle bbianche. Terni, 4 ottobre 1831 - De Pepp’er tosto
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IL TEATRO DI POMPEO
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ghezza di 90 m. La struttura ad arcate era formata da pietra gabina e travertino, mentre la scena era costituita da tre esedre con colonne, le due laterali semicircolari e la centrale rettangolare. Sulla scena inoltre sappiamo che erano collocate delle statue raffiguranti le Muse ed Apollo, mentre altre 14 statue, eseguite dallo scultore Coponio, raffiguranti le nazioni sottomesse da Pompeo dovevano essere esposte nel vicino Ecatostylum (il portico dalle cento colonne).
l teatro di Pompeo, il primo in muratura a Roma, fu iniziato ad essere costruito nel Campo Marzio nel 61 a.C. dopo il trionfo di Gneo Pompeo Magno e venne inaugurato nel 55 a.C. con grandiosi spettacoli offerti alla popolazione il cui ricordo è conservato negli scritti di molti autori antichi tra cui Cicerone. La forma arrotondata della cavea del teatro può essere ancora oggi individuata nell'andamento curvo dei palazzi di via di Grottapinta, mentre il grande portico dietro la scena del teatro si estendeva fino a Largo Argentina. Si trattava del piÚ grande edificio teatrale di Roma, di cui conosciamo la pianta conservata in un frammento della Forma Urbis severiana. La cavea con posti per almeno 20.000 persone aveva un diametro di 150 m., mentre la scena si sviluppava per una lun-
Le statue della scena, di cui una conservata al Museo di Napoli e un'altra al Museo del Louvre, erano alte 4 m. La cavea era sovrastata da un tempio dedicato a Venere Vincitrice, nella zona del Palazzo Pio-Righetti, che si trovava ad una altezza di circa 45 m. Al teatro era annesso un grande portico dietro la scena che misurava 180 x 135 m., ed era caratterizzato da una doppia file di colonne lungo i lati e dallo spazio centrale aperto che co17
stituiva un vero e proprio parco pubblico con fontane, aiuole e boschetti di platani, le cui tracce sono state trovate sotto il Teatro Argentina. Al centro del lato minore opposto al teatro, adiacente ai templi di Largo Argentina, si trovava la Curia di Pompeo (i resti si vedono dietro il tempio B di Largo Argentina) sede di alcune riunioni del Senato e dove si trovava una grande statua di Pompeo sotto la quale avvenne l'assassinio di Cesare alle idi di marzo del 44 a.C. All'interno del portico trovavano posto numerose opere d'arte di pittori e scultori greci, come Policleto, Pausia, Nicia e Antifilo.
Il Teatro fu restaurato varie volte a partire da Augusto e fino al V secolo d.C., e sempre in seguito ad incendi che ne danneggiarono le strutture. I resti del teatro, con murature in opera reticolata, sono conservati nelle cantine dei moderni edifici della zone e in particolar modo in quelle di via del Biscione e di via di Grottapinta.
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LA COLONNA DI MARCO AURELIO
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alto, circo 10,50 m. ed aveva decorazione con Vittorie che sostenevano festoni e una scena di sottomissione di barbari rivolta verso la via. Tutto questo venne distrutto da Sisto V nel 1589, aiutato da Domenico Fontana, che rifece la base e identificando erroneamente la colonna con quella di Antonino Pio nell'iscrizione posta su di essa. Il papa inoltre fece restaurare il fusto della colonna che presentava alcune lacune e mettere la statua di bronzo di S. Paolo sulla sommità (originariamente era qui collocata una statua bronzea di Marco Aurelio poi distrutta nel Medioevo). L'altezza del fusto è di 29,60 m. (con la base 41,95 m.) ed è formato da 28 tamburi di marmo lunense sovrapposti. Inoltre all'interno venne scavato ottenendo una scala a chiocciola di 203 gradini, illuminata da 56 piccole finestre, che arriva fino alla sommità.
u eretta in onore dell'imperatore Marco Aurelio dopo la sua morte, nel periodo compreso tra il 180 (anno della morte dell'imperatore) il 196 d.C. (anno in cui sappiamo da una iscrizione che Adrasto, custode della colonna, ottenne il permesso di servirsi delle impalcature di legno usate nella costruzione della colonna, per edificarsi una casa) e si trova ancora in piedi al centro di Piazza Colonna, a cui evidentemente ha dato il nome. Originariamente il livello pavimentale su cui si appoggiava la colonna era più basso dell'attuale di circa 4 m. e comunque risultava rialzato (una sorta di grande platea) rispetto al livello della via Lata a cui era collegata probabilmente attraverso una scalinata. Il basamento della colonna era in origine molto 19
Sul fusto sono scolpite le immagini che ricordano le guerre sostenute da Marco Aurelio contro i Sarmati e i Marcomanni. Anche qui come nella Colonna Traiana, che è evidentemente il modello seguito, la narrazione si apre con il passaggio di un fiume, il Danubio, dell'esercito romano, seguono scene di battaglie e a metà la rappresentazione di una Vittoria divide due diversi episodi della guerra, riferibili agli anni 172-173 d.C. e agli anni 174-175 d.C. A differenza dei rilievi della Colonna Traiana qui la raffigurazione è resa con maggiore profondità, con le figure più staccate dal fondo e si nota in tutta la composizione una spiccata tendenza alla schematizzazione. Abbiamo notizie relative anche ad un tempio in onore di Marco Aurelio eretto da Commodo e sembra che questo edificio potesse trovarsi dietro la Colonna. Alcuni ritrovamenti in questa zona hanno infatti rivelato frammenti di soffitti e tegole marmoree riconducibili ad un edificio templare che potrebbe essere stato distrutto già nel Medioevo. Si Ipotizza inoltre in questa zona la presenza di un arco dedicato all'imperatore e i cui rilievi furono inseriti successivamente nell'Arco di Costantino.
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LE TERME DI NERONE
Le terme neroniane furono il secondo grande complesso termale dopo quello di Agrippa costruite nel Campo Marzio, e furono le prime ad assumere l'impianto assiale e simmetrico tipico delle terme imperiali. Furono realizzate sotto l'impero di Nerone intorno al 62 d.C. nella zona oggi compresa tra Piazza della Rotonda, Corso Rinascimento, via delle Coppelle e via dei Crescenzi, ed erano conosciute anche con il nome di Gymnasium Neronis. Dovevano avere un'estensione di circa 25.000 mq e misurare circa 190 x 120 m. Le terme vennero restaurate da Alessandro Severo nel 227 d.C., senza subire alterazioni alla loro planimetria e assumendo da quel momento il nome di Thermae Alexandrinae. Come le vicine Terme di Agrippa anche queste venivano alimentate dall'acquedotto dell'Aqua Virgo. La planimetria dell'edificio venne disegnata nel Rinascimento e verificata con i resti conservati. Al centro delle terme si trovavano gli ambienti della natatio, un'aula di tipo basilicale e il tepidarium e il calidarium, quest'ultimo absidato. Sui due lati, simmetrici, un cortile porticato con colonne (il Ginna-
sio) con abside e una grande sala a cui si affiancavano vari ambienti. Di questo grande complesso rimangono soltanto pochi resti, dei muri sotto Palazzo Madama e Palazzo Giustiniani, ancora sotto Palazzo Patrizi e in Piazza Rondanini. Due colonne di granito con capitelli di marmo appartenenti alle terme furono scoperte nel 1934 davanti S. Luigi dei Francesi, e vennero poi rialzate in via Giovanna D'Arco sul lato della chiesa di S. Eustachio. Altre due colonne appartenenti a questo complesso termale furono usate nel 1666 da papa Alessandro VII per sostituirne altrettante danneggiate nell'angolo sinistro del pronao del Pantheon. Una ulteriore colonna di granito rosa trovata nella salita dei Cescenzi nel 1875 fu rialzata davanti alla breccia di Porta Pia in occasione del venticinquesimo anniversario della presa di Roma. Di queste terme neroniane che dovevano essere assai sfarzose per la loro ricca decorazione rimane il ricordo in Marziale che non trovava nessuno peggiore di Nerone, ma niente meglio delle sue terme. 21
ARA DI MARTE
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n antico santuario di Marte diede il nome alla vasta pianura nel settore a nord-ovest di Roma subito fuori le mura della città, il Campo Marzio. Connesso con le attività militari che si svolgevano in questa zona, il santuario, certamente già presente in età repubblicana, era costituito da un altare dedicato al dio della guerra. Sappiamo dalle fonti antiche (Livio 35, 10, 12) che costituiva quasi un unico complesso strutturale con i Saepta e la Villa Publica e che dal 193 a.C. era collegato alla Porta Fontinalis delle Mura Serviane da un portico. Da questi dati è probabile che l’ara di Marte dovesse trovarsi a non molta distanza dalle mura e più precisamente in prossimità della zona compresa tra le odierne piazza Venezia e piazza del Collegio Romano, luogo oggi occupato dal Palazzo Doria-Pamphili. Nel 1925 vennero scoperti sotto via del Plebiscito i resti di un edificio monumentale, probabilmente un recinto, che doveva continuare in direzione di via della Gatta anche sotto Palazzo Doria-Pamphili. Si tratta di un muro perimetrale, con nicchie per statue, di una lunghezza di circa 60 m. In base ai dati desunti dalle fonti si pensa che al centro di questo recinto possa trovarsi l’Ara Martis, l’altare di Marte che diede il nome al Campo Marzio. 22
LE MURA SERVIANE
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blocchi di cappellaccio. Infatti tratti del muro di VI secolo a.C. sono state ritrovate sul Viminale presso le Terme di Diocleziano e sull’Aventino sotto la chiesa di S.Sabina, con parti di restauro di IV secolo a.C. con blocchi di tufo di Grotta Oscura. La cinta di IV secolo a.C. venne costruita dopo la famosa invasione gallica del 390 a.C. e più precisamente sappiamo che la sua costruzione venne iniziata nel 378 a.C. e proseguita con diversi cantieri che lavoravano contemporaneamente nelle varie zone della città. La tecnica costruttiva però è ovunque la stessa, con blocchi di tufo alternati di testa e di taglio a comporre un muro dall’altezza di circa 10 m., con uno spessore che arriva fino ai 4 m. e formando un perimetro di 11 km. racchiudendo una superficie di 426 ettari. Di questa cinta
econdo la tradizione romana il re Servio Tullio nel VI secolo a.C. avrebbe costruito una poderosa cinta muraria per la difesa di roma, città in espansione ormai ben fuori dal primo muro di Romolo creato per la città appena nata sul Palatino. Rimangono ancora molti tratti delle mura Serviane, e lo studio di queste strutture superstiti ha portato l’archeologia ad una datazione differente da quella della tradizione, portando queste mura al IV secolo a.C. Ma ovviamente le mura giunte fino ai nostri giorni possono benissimo testimoniare un rifacimento o una ricostruzione con blocchi in tufo di Grotta Oscura di una cinta muraria più antica che doveva essere eretta con 23
il tratto più fortificato (circa 1300 m.) era quello composto dall’Agger, che doveva difendere il lato più debole della città, cioè il versante del Quirinale-Viminale-Esquilino. Questo Agger era costituito da un grandioso fossato, profondo più di 10 m., con retrostante terrapieno contenuto da un muro alto 10 m. Nel corso dei secoli le mura vennero più volte restaurate, almeno fino alle guerre tra Mario e Silla nella prima metà del I secolo a.C.
la Porta Sanqualis (Largo Magnanapoli), la Porta Salutaris e la Porta Quirinalis sul Quirinale, la Porta Collina (ex Ministero delle Finanze), la Porta Viminalis (Piazza dei Cinquecento) sul Viminale nel tratto dell’Agger, e infine la Porta Esquilina (trasformata poi nell’Arco di Gallieno in via Carlo Alberto) sull’Esquilino. Resti delle cd Mura Serviane possono vedersi in varie parti della città: un poderoso tratto di mura si trova in viale Aventino (con un arco per balista), altri resti in via di S. Anselmo e sotto S. Sabina; blocchi delle mura sono visibili sul Campidoglio e sul Quirinale alla Salita del Grillo e in Largo Magnanapoli, un arco con conci di tufo è visibile nel Palazzo Antonelli; tratti di mura sono inoltre in via Salandra e via Carducci e ancora in Piazza dei Cinquecento e Piazza Manfredo Fanti; infine altri resti possono vedersi vicino l’Auditorium di Mecenate in Piazza Leopardi.
Nelle Mura Serviane si aprivano diverse porte per l’ingresso e l’uscita dalla città. Partendo dal Celio troviamo la Porta Querquetulana (che doveva aprirsi nell’area vicino alla chiesa dei SS. Quattro Coronati), quindi la Porta Celimontana (ancora visibile nella sua trasformazione augustea in Arco di Dolabella), segue la Porta Capena vicino il lato curvo del Circo Massimo) da dove usciva la via Appia, poi la Porta Naevia, La Porta Rauduscolana e la Porta Lavernalis nel tratto di mura che cingeva l’Aventino, la Porta Trigemina (vicino S. Maria in Cosmedin), la Porta Flumentana (nell’area del Tempio di Portuno), la Porta Carmentalis (nell’area di S. Omobono), quindi nel tratto del Campidoglio la Porta Catularia e la Porta Fontinalis (dove è il Museo del Risorgimento),
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HOROLOGIUM
I
avvenuto in seguito al grande incendio dell'80 d.C. Così possiamo ricostruire il funzionamento dell'Horologium solare, dove l'obelisco-gnomone proiettava la sua ombra su un enorme quadrante, che si estendeva da S. Lorenzo in Lucina fino alla piazza del Parlamento, e da via della Lupa a via in Lucina e costituito da lastre di travertino, nel quale erano inserite linee in bronzo dorato per dividere i vari settori temporali e scritte in greco che davano indicazioni cronologiche.
l grande obelisco che si trova davanti al palazzo di Montecitorio fu portato a Roma da Augusto nel 10 a.C. da Eliopoli in Egitto, e venne innalzato nel Campo Marzio come maestoso gnomone di un monumentale orologio solare, per la cui realizzazione, eseguita a cura di Mecenate, fu richiesta la collaborazione di matematici e astronomi di Alessandria d'Egitto. La scoperta dell'obelisco segnato dai geroglifici, che ne indicano l'originaria appartenenza al faraone Psammetico II, avvenne nel 1748 sotto una casa al civico 3 di piazza del Parlamento (un'iscrizione ricorda il ritrovamento). Qualche tempo dopo, nel 1792, l'obelisco fu restaurato con pezzi della colonna di granito di Antonino Pio (scoperta nel 1703 in via degli Uffici del Vicario) e rialzato nella sua sede attuale, non lontano dal suo posto originario.
Oltre al ritrovamento dell'obelisco nel corso dei secoli furono trovati tratti del quadrante, come nel 1463 proprio sotto la chiesa di S. Lorenzo in Lucina dove si trovò parte del pavimento con linee bronzee e durante il pontificato di Sisto IV con tratti di quadrante con mosaici rappresentanti figure dei venti e scritte che indicavano i loro nomi (Boreas, Aquilo, ecc.). Sappiamo da Plinio che l'orologio, forse in seguito ad un terremoto che spostò leggermente l'obelisco, non funzionava bene, così fu restaurato da Domiziano. Dalle fonti inoltre sappiamo anche che il 23 settembre, data di nascita di Augusto, l'ombra dell'obelisco cadeva esattamente sulla vicina Ara Pacis.
Scavi recenti in via del Campo Marzio hanno permesso di portare alla luce una parte dell' Horologium, a circa 6 metri di profondità rispetto al piano attuale, composta da pavimento in grandi lastre di travertino su cui sono posizionate indicazioni in lingua greca in grandi lettere di bronzo. Si tratta di un restauro riferibile a età domizianea 25
L’AREA SACRA DI LARGO ARGENTINA
L'area sacra di Largo Argentina venne alla luce durante i lavori di demolizione degli edifici compresi tra l'attuale Corso Vittorio Emanuele e via Florida negli anni tra il 1926 e il 1928. Quattro templi repubblicani caratterizzano quest'area e fin dal momento della loro scoperta vennero denominati con le prima quattro lettere dell'alfabeto, da nord a sud rispettivamente A, B, C, e D, e furono costruiti in un arco di tempo che va dall'inizio del III secolo a.C. alla fine del II secolo a.C. Tre di questi furono costruiti sull'originario piano di campagna del Campo Marzio (templi C, A e D) e tutti avevano un'area esterna antistante leggermente sopraelevata dove sorgevano gli altari per il sacrificio. Nella seconda metà del II secolo a.C. questi tre templi vennero uniti all'interno di un'area comune dalla creazione di una pavimentazione in tufo che rialzò il livello del terreno di 1,40 m. rispetto al piano di campagna originario. La datazione di questa pavimentazione in tufo è in-
dicata dal fatto che essa andò a ricoprire e sigillare l'altare davanti al tempio C, altare non originario ma probabilmente un rifacimento, su cui compare il nome di Aulo Postumio Albino console nel 155 a.C. È chiaro che la nuova pavimentazione sia stata fatta dopo tale data e forse in seguito all'incendio del 111 a.C. che devastò gran parte del Campo Marzio. Con la creazione del pavimento in tufo, che è ancora possibile vedere in vari punti dell'area archeologica, i podi dei primi tre templi vennero tagliati a metà e adattati alla nuova sistemazione. Subito dopo questa trasformazione, nello spazio compreso tra il tempio C e il tempio A venne costruito il tempio B che, come si può vedere ancora agevolmente, poggia sul pavimento in tufo e deve dunque essere cronologicamente posteriore ad esso e riconducibile alla fine del II secolo a.C. Con la creazione del quarto tempio avvenne la definitiva unificazione dell'area sacra che dovette inoltre essere circondata da un porti26
co. Il pavimento in lastre di travertino che è ancora oggi possibile vedere all'interno dell'area venne realizzato sopra la pavimentazione in tufo nella prima età imperiale ad opera di Domiziano, il quale restaurò anche gran parte dei quattro templi probabilmente in seguito all'incendio dell'80 d.C. Un ulteriore livello di pavimentazione sempre in travertino, e di cui non rimane oggi nessuna traccia, venne successivamente costruita al di sopra del pavimento domizianeo in età tardoantica.
zia, aveva la pavimentazione in mosaico bianco con riquadratura nera, e documenta il restauro di età domizianea, così come le basi delle colonne in travertino. Il podio è preceduto da una scalinata che in origine doveva avere venti gradini, sostituiti poi dai cinque gradini in travertino in relazione con la nuova pavimentazione domizianea. Davanti al tempio al di sotto della pavimentazione in tufo si conserva l'altare con iscrizione dove si trova il nome di Aulo Postumio Albino console del 155 a.C. Questo tempio viene ormai comunemente identificato con il tempio di Feronia, divinità italica la cui introduzione a Roma avvenne nel III secolo a.C. probabilmente ad opera di M. Curio Dentato che potrebbe anche aver fatto costruire il tempio a questa divinità dopo il 290 a.C., cioè all'indomani la sua vittoria sui Sabini e la conquista del loro territorio.
Il primo ad essere stato costruito è il tempio C. Presenta un podio in opera quadrata di tufo alto 4,25 m. con modanatura di tipo arcaico e nel complesso misura 30,5 m.di lunghezza per 17,1 m. di larghezza. Sulla fronte dovevano essere quattro colonne, cinque sui lati. La cella, in opera lateri-
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Il secondo edificio in ordine cronologico ad essere costruito è il tempio A. Può essere datato alla metà del III secolo a.C. ed è il tempio che subì nel corsi dei secoli le più radicali trasformazioni. Originariamente doveva essere prostilo ed esastilo (cioè con sei colonne sulla fronte) e un primo intervento di modifica lo subì verso la fine del II secolo a.C. quando venne innalzato e ingrandito il podio, che inglobò quello più piccolo precedente. Lo stato attuale è forse dovuto ad una sistemazione appartenente al periodo di Pompeo o di Agrippa e si presenta come un tempio periptero, con colonne di tufo e capitelli in travertino, mentre le due colonne in travertino oggi visibili sono dovute al restauro successivo di età domizianea. Al di sotto del pavimento in travertino nell'area antistante si conservano i nuclei di due altari, uno sull'altro, relative alle fasi più antiche del tempio. Questo edificio venne occupato nell'VIII secolo d.C. dalla chiesa di S.Nicola de Calcarariis o de' Cesarini di cui rimangono testimonianze negli affreschi delle due absidi costruite all'interno dell'antica cella, in un cippo-altare databile al XII secolo e nella cripta semianulare. L'adattamento a chiesa ha permesso comunque la conservazione dei colonnati laterali mentre ha invece compromesso tutta l'area della cella e del pronao dell'antico tempio. Sembra comunque comunemente accettata l'identificazione con il tempio di Giuturna costruito da Q. Lutatio Catulo nel 241 a.C. dopo la sua vittoria nella battaglia delle Isole Egadi contro i Cartaginesi durante la prima guerra punica. A sostegno di questa proposta identificativa dell'edificio sembra essere una notizia contenuta nei "Fasti" di Ovidio, dove il tempio di Giutura è indicato vicino allo sbocco dell'aqua Virgo e cioè vicino alle Terme di Agrippa che sappiamo essere a nord dell'area sacra di Largo Argentina. Il tempio A è sicuramente il più vicino ad esse e per questo motivo sembra, ad oggi, essere quello che meglio risponde all'identificazione con il santuario di Giuturna.
quello più a sud dell'area e che rimane per gran parte ancora al di sotto di via Florida. Questo tempio viene datato all'inizio del II secolo a.C. e doveva essere uno pseudoperiptero esastilo, almeno nella sua ultima sistemazione. Il podio appare rivestito di lastre di travertino che in origine dovevano essere stuccate, mentre la cella, che occupa quasi tutta l'area del podio ed è riferibile ad età domizianea, è in opera laterizia e doveva avere come decorazione riquadri di stucco sia all'interno sia all'esterno. La scalinata in travertino attualmente visibile venne costruita sopra dei gradini precedenti in opera cementizia riconducibili alla originaria pavimentazione dell'area. Il tempio D di Largo Argentina viene attualmente identificato con il tempio dei Lares Permarini, che sappiamo essere stato dedicato nel 179 a.C. dal censore M. Emilio Lepido. Dai Fasti Prenestini sappiamo inoltre che questo tempio sorgeva all'interno della porticus Minucia che si trovava nel Campo Marzio. Questa notizia unita ad un frammento della Forma Urbis, la pianta marmorea di età severiana, in cui compare il nome di questo portico con al centro un tempio ha portato alcuni studiosi a identificare il tempio dei Lares Permarini con i resti del tempio di via delle Botteghe Oscure, che dovrebbe essere effettivamente il tempio rappresentato nel frammento dell'antica pianta di Roma. Ma in base ai dati archeologici relativi alla zona di via delle Botteghe Oscure sembra che tale tempio sia da identificare piuttosto con il tempio delle Ninfe e il portico circostante con la porticus Minucia Frumentaria. Ultimo in ordine di tempo è il tempio B, il secondo da nord, che si differenzia dagli altri templi per la sua pianta circolare. Come indicato in precedenza questo edificio sacro venne eretto soltanto verso la fine del II secolo a.C. sulla pavimentazione in tufo della seconda metà del II secolo a.C. Il tempio venne originariamente costruito con alto podio (h. 2,5 m.) in blocchi di tufo preceduto da una gradinata anch'essa in tufo, mentre sopra il podio era un cella cilindrica circondata da colonne (ne rimangono 6) in tufo con capitelli e basi in travertino. In un secondo
Segue cronologicamente il tempio D, l'edificio più grande tra quelli di Largo Argentina che è anche 28
momento la cella venne demolita e vennero murati gli intercolumni della peristasi con muratura laterizia che lasciava però sporgere le colonne sia verso l'interno che verso l'esterno a modo di semicolonne. La pavimentazione della cella così ingrandita venne rifatta con un mosaico pavimentale, e venne ulteriormente ingrandito il podio. Un ultimo intervento edilizio si deve a Domiziano che coprì definitivamente verso l'esterno le colonne, che rimasero visibili soltanto all'interno della cella, ricoprì l'originaria scalinata con una nuova in travertino rifacendo allo stesso tempo una nuova ara (di cui rimane il nucleo) nella parte antistante il tempio e interrando in maniera parziale il podio che venne decorato con una cornice di base in travertino. Il tempio B di Largo Argentina è l'unico che sembra potersi identificare con certezza con il tempio della Fortuna Huiusce Diei (la "Fortuna di questo giorno") fondato da Q. Lutatio Catulo console nel 101 a.C.
insieme a Mario, dopo la vittoria conseguita il 30 giugno di quell'anno nella battaglia di Vercelli contro i Cimbri. La sicurezza di tale identificazione viene dal ritrovamento nell'area compresa tra il tempio B e C dei resti in marmo bianco di Paros di un acrolito (statua con parti nude in marmo e parti vestite in metallo), consistenti in una testa colossale femminile alta 1,50 m. insieme con un braccio e due piedi. Si tratta dunque della statua di culto del tempio B che dagli storici dell'arte antica è stata considerata come uno dei rari esempi di opera d'arte ellenistica elaborata per un monumento romano ed è stata datata intorno agli anni tra il 100 e il 95 a.C. Suggestiva l'ipotesi che vedrebbe in Scopas minore, artista che sappiamo operativo in quegli anni, l'artefice di questa colossale scultura, i cui resti sono conservati nel Palazzo dei Conservatori dei Musei Capitolini (ora spostati nella sede delle Centrale Montemartini).
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Altri resti visibili al'interno dell'area sacra di Largo Argentina sono parte del portico che doveva cingere i quattro templi (la porticus Minucia Vetus) conservato sul lato nord in prossimitĂ del tempio A, portico che era addossato ad una analoga struttura piĂš grande conosciuta con il nome di Hecatistylum, ossia il portico dalle cento colonne, che si trova sotto il limite settentrionale dell'area archeologica. Dietro il tempio A si trovano i
resti di una monumentale latrina pubblica (forica) costruita in etĂ imperiale, ed una analoga struttura troviamo anche dietro il tempio C. Tra queste due latrine e proprio alle spalle del tempio rotondo B si trovano i resti di un grande podio in opera quadrata di tufo, appartenenti alla Curia di Pompeo, luogo famoso per essere stato lo scenario in cui il 15 marzo del 44.C. venne ucciso Giulio Cesare.
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ARCO DI DRUSO
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probabilmente perché in stretto rapporto con l’ingresso alla città. Sui lati dell’arco è infatti possibile vedere lo speco, all’altezza dell’attico, entro il quale correva l’acqua che serviva per alimentare le Terme di Caracalla e gli attacchi di altri fornici dell’acquedotto che seguivano e precedevano quello rimasto.
l cd Arco di Druso si trova subito prima di Porta S. Sebastiano sull’Appia antica. Sappiamo dalle fonti che un arco di trionfo di marmo e con trofei (padre dell’imperatore Claudio) venne eretto sull’Appia nel 9 a.C. in onore di Druso Maggiore. Alcune rappresentazioni del monumento su monete indicano che era ad un solo fornice e composto da quattro colonne a sostegno dell’attico su cui era una statua equestre con due trofei ai lati. L’identificazione tra l’Arco di Druso e quello oggi visibile sulla via Appia si deve probabilmente al solo dato topografico. Infatti l’arco vicino a Porta S. Sebastiano è un fornice di acquedotto dell’aqua Antoniniana, monumentalizzato
La decorazione marmorea che nobilitò la struttura del condotto si può ancora osservare ed è formata da due colonne poggianti su un’alta base con capitelli compositi a sostegno di un attico con timpano triangolare.
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IL PORTICO DI OTTAVIA
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del portico dovevano trovarsi anche la biblioteca latina e greca. Parte di questo portico si trova rappresentato nei frammenti della pianta marmorea severiana e doveva avere una pianta rettangolare di 119 x 132 m.
uesto portico venne costruito da Augusto negli anni compresi tra il 33 e 23 a.C. sul luogo già occupato in precedenza dal Portico di Metello. La nuova struttura, che venne dedicata ad Ottavia sorella dell'imperatore, si trovava in prossimità del Circo Flaminio e vicino il Teatro di Marcello. Il portico era costituito da un doppio colonnato che racchiudeva due templi, già inseriti nel portico di Metello, il tempio di Giove Statore e il tempio di Giunone Regina. Il Portico di Ottavia era inoltre caratterizzato dalla presenza di opere d'arte, anche queste ereditate dalla più antica struttura. Doveva trattarsi di un vero e proprio museo a cielo aperto in quanto qui era ospitato il gruppo con 34 statue equestri di bronzo, opera di Lisippo, raffiguranti Alessandro e i suoi ufficiali alla battaglia del Granico. Era esposta qui inoltre la prima statua dedicata (verso il 100 a.C.) ad una donna a Roma, che rappresentava, in bronzo, Cornelia, la madre dei Gracchi. Sappiamo inoltre che sul lato di fondo del portico si apriva una grande esedra, la Curia Octavia, e all'interno
L'ingresso del portico di Ottavia si trovava sul lato meridionale, ed era costituito da un propileo, conservato, con due facciate identiche parallele sporgenti all'esterno ed all'interno del portico. Ogni facciata aveva quattro colonne corinzie scanalate tra due ante sormontate da architrave e timpano. Le facciate erano collegate fra loro sui lati da archi in laterizio con rivestimento marmoreo che si aprivano sul portico e formavano un grande ambiente con soffitto di legno. Sono testimoniati lavori di restauro in età domizianea, dopo l'incendio dell'80 d.C. ed una quasi integrale ricostruzione da parte di Settimio Severo dopo l'incendio del 191 d.C. Oggi si può vedere la struttura del propileo di ingresso del portico che conserva le due colonne di sinistra della facciata esterna (le altre furono sostituite da un arco in laterizio probabilmente durante il medioevo in corrispondenza della chiesa di S. Angelo in Pe32
scheria) l'architrave (con iscrizione che testimonia i lavori di restauro di Settimio Severo nel 203 d.C.) e il timpano. Si possono vedere ancora inoltre tre colonne con architrave e timpano della facciata interna, parti del tetto con tegole di marmo e antefisse con raffigurazioni di aquile, gli archi laterali con mensole di marmo e resti del rivesti-
mento marmoreo. Accanto al propileo, sulla sinistra, si conservano inoltre alcune colonne dell'ala porticata meridionale, sono di granito e di cipollino alternate, mentre sul lato destro gli scavi hanno rimesso in luce la base su cui poggiava il colonnato, parte della pavimentazione e resti del pi첫 antico portico di Metello.
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IL SACELLO DI VENERE CLOACINA
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te la divinità più antica risulta essere Cloacina, il cui piccolo sacello, a cielo aperto, in questo punto del Foro Romano coincide con l’ingresso nell’area della Cloaca Massima. Proprio in prossimità di questo piccolo recinto sacro la tradizione storica romana colloca episodi importanti delle origini della città come la purificazione degli eserciti dei romani e dei sabini dopo la guerra scatenata dal ratto delle sabine, e l’uccisione di Virginia per mano del padre che sottrae così la figlia dalle insidie del decemviro Appio Claudio.
resti del sacello di Venere Cloacina si trovano nel Foro Romano a ridosso della Basilica Emilia lungo il percorso della via Sacra.
Rimane il basamento circolare di marmo che, come risulta dalle raffigurazioni sulle monete, originariamente sosteneva un piccolo recinto perimetrale al cui interno erano situate due statue di divinità: Cloacina e Venere, divinità che con il tempo vennero assimilate e fuse in un’unica dea conosciuta come Venere Cloacina. Cronologicamen-
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IL SEPOLCRO DEGLI SCIPIONI
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originale. La facciata del sepolcro si trovava sulla strada che univa la via Appia alla Latina e venne rifatta al momento della costruzione dell’ampliamento del sepolcro nel II secolo a.C., probabilmente per iniziativa di Scipione Emiliano. Oggi della facciata monumentale non rimane quasi niente, solo la parte inferiore, ma sappiamo che era formata da un basamento in blocchi di tufo con modanatura superiore a sostenere un prospetto con semicolonne e probabilmente tripartito per le tre statue che vi trovavano posto, e che raffiguravano Scipione Africano, il poeta Ennio e Scipione Emiliano. La parte inferiore della facciata presenta tracce di pittura con motivo a onde e scene di probabile soggetto militare, e in essa si aprivano le tre porte ad arco che davano accesso al sepolcro. Quella al centro dava accesso alla parte più antica del se-
l sepolcro degli Scipioni è situato tra la via Latina e la via Appia, più vicino a quest’ultima, poco prima di Porta S. Sebastiano. Venne scoperto una prima volta nel 1616 e poi più di un secolo dopo nel 1780, quando i proprietari del terreno, i fratelli Sassi, scoprirono iscrizioni e sarcofagi in esso contenuti. Soltanto nel 1926-1928 però si completò lo scavo del sepolcro e si provvide al restauro della struttura, con la sistemazione di copie delle iscrizioni e dei sarcofagi che già si trovavano altrove. Il Sepolcro venne scavato nel tufo all’inizio del III secolo a.C. per iniziativa di uno dei membri della famiglia degli Scipioni e fu utilizzato fino alla metà del II secolo a.C. quando si rese necessario un ampliamento che venne affiancato alla struttura 35
polcro, formato da un grande ambiente con quattro pilastri di tufo risparmiati durante lo scavo, con i sarcofagi disposti lungo le pareti. In posizione centrale e in asse con l’ingresso centrale del sepolcro si trova il grande sarcofago (l’originale è ai Musei Vaticani) di Lucio Cornelio Scipione Barbato, console nel 298 a.C., con iscrizione del nome sul coperchio e altra iscrizione sulla cassa in versi saturni che ne ricorda le imprese. Ci sono poi altri sarcofagi di appartenenti alla famiglia che qui vennero deposti al momento della loro morte, come L. Cornelio Scipione, figlio di Barbato e console nel 259 a.C. e Publio Cornelio Scipione, forse il figlio dell’Africano (che fu sepolto no qui ma nella sua villa di Liternum), morto in giovane età. Seguono poi tutta una serie di altri membri della
famiglia. Il sepolcro venne parzialmente riutilizzato in età giulio-claudia dalla famiglia dei Corneli Lentuli, eredi dei Corneli Scipioni, di cui si sono trovavate le iscrizioni e i loculi per incinerazione. In prossimità del sepolcro si trova anche un colombario ipogeo formato da un unico ambiente con due pilastri e alle pareti quattro file sovrapposte di nicchie per le urne cinerarie con pitture e stucchi. Il sepolcro degli Scipioni ormai abbandonato, venne danneggiato nel III secolo d.C. dalla costruzione su di esso (in particolare sull’ampliamento del II secolo a.C.) di una casa a più piani le cui strutture sono ancora visibili.
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LO STADIO DI DOMIZIANO
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vrebbe essere stata eseguita intorno all’86 d.C. in seguito ad un grande incendio che nell’80 d.C. distrusse gran parte degli edifici del Campo Marzio.
a pianta dello Stadio di Domiziano è rimasta visibile nel tessuto urbanistico della moderna città di Roma nell’attuale Piazza Navona. I palazzi che la delimitano infatti sono stati costruiti sopra le antiche gradinate della cavea, i cui resti si possono vedere ancora nel settore del lato curvo dello stadio verso piazza di Tor Sanguigna (scoperti negli anni 1936-38 sotto il Palazzo dell’INA) e sotto la chiesa di S. Agnese. L’imperatore Domiziano, della dinastia dei Flavi, decise di costruire un edificio dove potessero svolgersi le gare di atletica importate dalla Grecia e mal viste originariamente dai Romani, ma che entrarono a far parte del Certamen Capitolinum in onore di Giove insieme a gare equestri e musicali. Sappiamo dalle fonti che eccezionalmente venne usato anche per combattimenti tra gladiatori. La costruzione dello Stadio e dell’Odeon do-
La lunghezza dello stadio è di circa 275 m., la larghezza di 106 m. e originariamente l’aspetto della struttura esterna doveva essere caratterizzato da una serie di doppie arcate con pilastri di travertino con semicolonne ioniche (per il primo ordine) e forse corinzie (per il secondo ordine). La tradizione cristiana vuole che proprio in un lupanare all’interno dei fornici dello stadio di Domiziano abbia subito il martirio S.Agnese, nel luogo dove si trova la chiesa a lei dedicata e sotto la quale possono vedersi notevoli resti della struttura antica. Quattro ingressi, ciascuno per ogni lato, consentivano l’accesso sugli spalti divisi in due settori (maeniana) dove potevano trovare posto circa 37
30.000 spettatori. L’arena era libera da costruzioni, senza spina centrale o cancelli di partenza (carceres), come testimoniano le rappresentazioni sulle monete. Lo stadio fu successivamente oggetto di lavori di restauro sotto l’impero Alessandro Severo insieme alle vicine terme di Nerone. Domiziano fece inoltre costruire l’Odeon nelle immediate vicinanze dello Stadio, a sud di questo. Si tratta di un edificio destinato agli spettacoli musicali la cui capienza è stimata intorno alle 10.000 unità. Anche in questo caso la forma dell’antico edificio è stata ricalcata dal Palazzo Massimo, la
cui facciata su Corso Vittorio Emanuele segue la linea curva della cavea. Dell’Odeon rimane forse solo una alta colonna di marmo cipollino, probabilmente appartenente all’antica scena, che si trova al centro di Piazza dei Massimi, davanti alla facciata posteriore del Palazzo. Dalle fonti sappiamo che questo edificio venne restaurato sotto Traiano dal suo architetto Apollodoro di Damasco.
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IL TEMPIO DI APOLLO SOSIANO
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tengono proprio a questa ricostruzione: il podio (21 x 40 m.) alto 5, 50 m. è costituito da calcestruzzo con blocchi di travertino e tufo, e al suo interno sono stati trovati resti appartenenti al restauro del 179 a.C. tra cui un’iscrizione a mosaico; sul podio si trovano le tre colonne corinzie di marmo lunense (Carrara) rialzate dopo lo scavo e alte circa 14 m., sormontate da fregio con bucrani e ghirlande di olivo. Per la costruzione del vicinissimo Teatro di Marcello il tempio venne arretrato di qualche metro e addossato al Portico di Ottavia, e la scala frontale di accesso venne eliminata per far posto a delle scalette laterali. Il tempio originariamente si presentava come uno pseudoperiptero, con un pronao con sei colonne sulla fronte e tre sui lati e sette semicolonne per ogni lato della cella; l’inter-
l Tempio di Apollo nell’area del Circo Flaminio, fu l’unico a Roma dedicato al dio fino alla costruzione dell’altro grande tempio sul Palatino. Venne votato nel 433 a.C. in seguito ad una pestilenza e consacrato ad Apollo Medicus, quindi dedicato nel 431 a.C. dal console Cneo Giulio. Questo tempio venne eretto nei Prata Flaminia, nel luogo dove già da tempo esisteva un santuario di Apollo (Apollinar). L’edificio venne restaurato nel 359 a.C. e ancora nel 179 a.C. con la realizzazione della nuova statua di culto del dio opera dello scultore Timarchides. Nel 34 a.C. fu integralmente ricostruito da Caio Sosio, da cui l’appellativo di Sosiano. I resti del tempio appar39
no della cella era articolato in una doppia fila di edicole riccamente ornate da colonnine di marmo policromo e timpani triangolari e lunati inquadrati da colonne di marmo africano e capitelli corinzi; l’architrave era decorato da un fregio con scene di battaglia e cortei trionfali, i cui resti sono conservati nei Musei Capitolini; sappiamo dagli autori antichi che frequentemente all’interno del tempio si svolgevano le riunioni del senato ed inoltre erano qui conservate numerose opere d’arte, tra cui alcune pitture di Aristide di Tebe, sculture di Fisi-
lisco di Rodi, l’Apollo con la cetra di Timarchides e un gruppo di Niobidi di Skopas o Prassitele. All’esterno il frontone era decorato con scena di Amazzonomachia con statue di marmo pario, forse provenienti da un tempio greco di Eretria, databili al V secolo a.C. Nove di queste statue tra le quali compaiono Atena, Ercole. Teseo e Amazzoni a cavallo sono conservate nei Musei Capitolini.
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PONTE MILVIO
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la gens Mulvia del IV secolo a.C., ma la prima menzione nelle fonti letterarie romane la troviamo in un passo di Livio (XXVII, 51, 1-2) che vede il ponte come scenario principale in cui il popolo romano accorse per apprendere la notizia della vittoria nella battaglia del Metauro, e della morte di Asdrubale, nel 207 a.C., durante la seconda guerra punica. Altra indicazione importante è relativa all'anno 109 a.C. quando sappiamo che il ponte venne rifatto dal censore Marco Emilio Scauro. Questa ricostruzione doveva essere talmente solida che Augusto non fu costretto a restauralo quando rifece tutta la vi Flaminia e i suoi ponti durante il suo impero, ma probabilmente lo arricchì con un arco e una sua statua, che trovò il suo corrispettivo alla fine della via Flaminia nella città di Ariminum (odierna Rimini). Molti gli av-
ituato al terzo miglio della via Flaminia è il ponte più antico ancora in uso a Roma. La sua costruzione risale probabilmente al IV secolo a.C. (qualche studioso tende a datarlo addirittura al Vi secolo a.C.) subito dopo la presa di Veio del 396 a.C., come ponte dell'antica via Veientana. In seguito su Ponte Milvio passeranno ben quattro strade: la via Veientana, la via Cassia, la via Clodia e la via Flaminia. Probabilmente, come il più antico ponte Sublicio, anche questo doveva essere di legno o almeno con i piloni in muratura e la passerella lignea. Pons Mulvius, questo il nome del ponte romano, venne probabilmente costruito da un censore del41
venimenti che si svolsero sul ponte o nei suoi dintorni:
trovò il suo epilogo a Ponte Milvio dove l'imperatore Massenzio nel tentativo di attraversare proprio il ponte cadde nel tevere e annegò appesantito dalla corazza e dalle armi. secondo le fonti che narrano gli avvenimento il ponte sarebbe stato tagliato prorio da Massenzio e reso agibile solo con passerelle di legno, che non ressero il peso delle truppe in ritirata. La vittoria di Costantino, che la notte precedente avrebbe avuto una visione nel cielo di una croce con le parole in hoc signo vinces, portò, l'anno successivo alla proclamazione dell'editto di Milano in cui si sanciva la libertà di culto dei cristiani. La leggenda del segno divino inviato a Costantino riecheggia nell'iscrizione del suo arco vicino al Colosseo dove compaiono le parole istinctu divinitatis (= per ispirazione divina).
- nei giorni tesissimi della congiura di Catilina, Cicerone fece appostare suoi uomini sul ponte e in alcune ville vicine per tendere un agguato e far arrestare delegati dei Galli Allobrogi che si trovavano a Roma per stringere un patto con alcuni congiurati. Nelle loro mani venne trovato un accordo che sanciva l'aiuto nella congiura da parte dei Galli in cambio dell'indipendenza. Patto sancito da firme di alcuni membri della congiura, che il giorno dopo, quando Cicerone pronunciò in senato la terza catlinaria, vennero arrestati e poi strangolati in carcere senza subire un regolare processo, atto questo di cui Cicerone venne sempre accusato. - nelle taberne malfamate che si trovavano intorno a Ponte Milvio sappiamo che era solito girare Nerone in cerca di emozioni forti e risse, e qualcuno inoltre tramanda che qui vicino morì incinta Poppea, moglie dell'imperatore, dopo essere stata aggredita con un calcio al ventre.
- dal tardo impero in poi il ponte inizia la sua vita di baluardo difensivo della città di Roma. Già con la guerra gotica viene fortificato dal generale Belisario, 536 d.C., con una torre difensiva in legno per respingere l'attacco dell'esercito nemico e proprio a apartire dal VI secolo d.C. venne ulteriormente difeso con la presenza di due ponti levatoi al posto dalle arcate minori laterali, che consentivano di isolarlo completamente sul fiume e di renderlo inagibile agli assedianti. Una torre difensiva chiamata Torre del Tripizone (probabilmente nome derivato dal termine greco che indica le passerelle di legno) caratterizza per molti secoli l'aspetto del ponte e anzi alcuni disegni mostrano tre torri difensive a creare un vero e proprio ponte fortificato. Molti i restauri e i lavori che i pontefici fecero al ponte nel corso dei secoli, e tra i principali sono da rilevare quelli eseguiti tra il 1149 e il 1152 eseguiti dal Se-
- il ponte fu inoltre teatro degli scontri tra Otone e Vitellio nel 69 d.C. e ancora fece da scenario all'ingresso trionfale di Settimio Severo e delle sue truppe nel 193 d.C. - nel 312 d.C. qui si svolse la vicenda finale della famosa battaglia di Ponte Milvio, combattuta tra Massenzio e Costantino. Gli antichi conoscevano questa come la battaglia di Saxa Rubra, poichè lo scontro tra i due eserciti ebbe luogo in quella località dopo il quinto miglio della via Flaminia e solo dopo la ritirata delle truppe di Massenzio, inseguite da quelle di Costantino, l'esito dello scontro 42
le colonne e il tetto sono di travertino perchè nel 1869 un fulmine distrusse l'edicola che venne quindi ricostruita con altri materiali. Ponte Milvio dal 1400 divenne posto di dogane con l'istituzione dei custodi del Dazio, e nel corso dei secoli si ricordano anche episodi di estorsione avvenuti sul ponte da parte dei funzionari. Il restauro che ci ha consegnato il ponte nelle condizioni attuali si deve all'iniziativa di papa Pio VII (la cui memoria rimane nelle due grandi iscrizioni sulla torretta) che incaricò il Valadier dei lavori di sistemazione. I ponti levatoi che resistevano dal VI secolo d.C. vennero finalmente tolti e si ricostruirono le due arcate laterali; il torrione venne ristrutturato con l'apertura del grande arco d'ingresso, e nella parte alta venne creato un appartamento per il custode; la statua di S. Giovanni Nepomuceno (santo boemo annegato nella Moldava nel 1393 la cui statua venne sistemata nel 1731 sul parapetto del ponte poichè il santo era considerato protettore degli annegati e dei giuramenti segreti) venne spostata alla testata meridionale del ponte, dove si vede ancora oggi. Nel 1825 davanti al torrione vennero sistemate le due statue (oggi presenti in copie poichè gli originali vennero portati al Museo di Roma di Palazzo Braschi nel 1956) rappresentanti il Battesimo di Cristo: a destra S. Giovanni Battista e a sinistra Gesù Cristo. Le statue che furono create alla metà del Seicanto dallo scultore Francesco Mochi per la famiglia dei Falconieri attesero nei magazzini del loro palazzo di famiglia di via Giulia per due secoli prima di trovare la loro sistemazione all'in-
nato del Comune di Roma per sistemare il ponte per il passaggio dell'imperatore Corrado III. Nel 1312 passò su Ponte Milvio Arrigo VII per essere incoronato imperatore in Laterano. Era questi il sovrano di Lussemburgo, poi re di Germania che qualcuno vuole identificare nel famoso "veltro" profetizzato da Dante nel I canto dell'Inferno. Un restauro importante venne eseguito dai pontefici Niccolò V e Callisto III tra il 1451 e il 1458, e di questi lavori si conserva all'interno del torrione attuale una iscrizione con stemmi di Callisto III e dei suoi nipoti i cardinali Borgia. Il 12 aprile 1462 il cardinal Bessarione venne accolto sul ponte da papa Pio II, i cardinali e il popolo, al ritorno dalla Grecia da dove aveva riportato la reliquia della testa di S. Andera apostolo. Passato il ponte, nell'attuale piazza card. Consalvi, la reliquia venne posata su un antico rudere e si svolse una messa solenne. Da questo punto la processione proseguì lungo la Flaminia fino a S. Maria del Popolo dove la reliquia venne custodita per una notte, e il giorno successivo venne portata in Vaticano, dove fu conservata fino al 1964 quando Paolo VI la restituì al patriarca ortodosso. Nel 1463 a ricordo dell'avvenimento Pio II fece erigere una edicola sul uogo dove enne posata a reliquia e al posto del rudere romano (probabilmente un sepolcro) venne eretto il monumento con quattro colonnine che si può vedere ancora oggi in p.za Card. Consalvi. Originariamente sulla base, dove compare l'iscrizione che racconta la vicenda, si trova la statua di S. Andrea, coperta da una tettoia sorretta da quattro colonne di alabastro. Oggi 43
gresso di Ponte Milvio. Infatti i Falconieri non rimasero soddisfatti dal lavoro eseguito dallo scultore e invece di posizionarle nella loro cappella a S. Giovanni de' Fiorentini li nascosero nella loro dimora. Solo con l'interesse di Belisario Cristaldi esse furono prima acquistate e poi sistemate sul ponte. Un'ultima statua prese il suo posto su Ponte Milvio: si tratta della statua dell'Immacolata che nel 1840 prese posto sulla testata meridionale del ponte in posizione simmetrica a quella di S. Giovanni Nepomuceno. Una Targa all'interno dell'arco di ingresso del torrione ricorda infine l'impresa di alcuni garibaldini che nel 1849 minarono il ponte e lo fecero saltare per impedire l'accesso alle truppe francesi che assediavano Roma. Osservando la struttura del ponte si notano quattro arcate maggiori e due laterali minori. delle arcate maggiori le due più meridionali, insieme con l'arco di piena nel pilone che le sorregge, sono quelle del ponte romano del 109 a.C. costruito o restaurato dal censore Marco Emilio Scauro e sono individuabili facilmente dall'arco caratterizzato dalla ghiera di blocchi di travertino, mentre i due archi maggiori a nord sono frutto di restauri medioevali e presentano un arco a sesto acuto e con ghiera costituita da mattoni. Il nucleo del ponte è costituito da blocchi di tufo di Grotta Oscura che è un materiale largamente utilizzato nel IV secolo a.C. e che potrebbe benissimo riferirsi al ponte originario. Inoltre altre parti romane possono individuarsi nelle basi dei piloni e nelle loro fondazioni nel letto del fiume. Notizie del Piranesi e di Nibby sembrano indicare la presenza di un altro ponte antico a monte dell'attuale Ponte Milvio. Secondo la loro testimonianza la presenza di questa struttura era indicata da blocchi di materiale nel letto del fiume e da strutture ulla riva destra che oggi non si vedono più. Potrebbe trattarsi anche dell'originario Ponte Milvio poi spostato nella ricostruzione di Scauro, ma ovviamente si tratta solamente di ipotesi. Il nome del ponte passò da Mulvio a Milvio fino a diventare per il popolo romano Ponte Molle o Mollo, il ponte più "vecchio" di Roma. Secondo l'etimologia popolare il mollo del ponte si deve al fatto che
il ponte durante le piene si allagasse oppure, secondo altra etimologia, dal fatto che molleggiasse. A rafforzare quest'ultima spiegazione nel 1962, a valle del ponte, furono eseguiti alcuni interventi nel letto del Tevere creando delle piccole rapide che ebbero il risultato di stabilizzare la struttura del ponte soprattutto dopo le piene e la veloce asportazione dei sedimenti fluviali. In tempi recenti ponte Milvio ha sostenuto il traffico veicolare fino al 1985, quando alcuni interventi di restauri individuarono un tratto di strada del 1600 e il ponte divenne finalmente pedonale. Dopo battaglie imperiali, passaggi trionfali di imperatori e papi oggi Ponte Milvio è conosciuto soprattutto per essere teatro dell "movida" notturna di Roma e per essere invaso da adolescenziali lucchetti dell'amore che negli scorsi anni hanno provocato anche il crollo di un lampione del parapetto del ponte. Ad ogni epoca le proprie usanze.
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