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UNA SPORCA VERITÀ
n°centocinque
GREENPEACE NEWS - N.105 - II TRIMESTRE 2012 - ANNO XXVI
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SOMMARIO
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Facciamo luce sul Enel
MARE
Tonno sostenibile
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CLIMA
FORESTE
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Sperimentazioni
Bilancio 2011
Sbrigati ministro
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SPECIALE
MARE
CLICK & CO.
14 DAL MONDO
NEWS PERIODICO DI GREENPEACE ITALIA Direttore editoriale/ Andrea Pinchera Direttore responsabile/ Fabrizio Carbone Redazione/ Serena Bianchi, Laura Ciccardini, Maria Carla Giugliano, Valeria Iovane, Ambra Lattanzi, Luigi Lingelli, Cecilia Preite Martinez Archivio foto/ Massimo Guidi Internet/ Alessio Nunzi Progetto grafico/ Saatchi&Saatchi Impaginazione/ Francesca Schiavoni, Paolo Costa Redazione e Amministrazione/ Greenpeace ONLUS Via della Cordonata, 7 00187 Roma email: info.it@greenpeace.org tel: 06.68136061 fax: 06.45439793 Ufficio abbonamenti/ Augusto Carta tel: 06.68136061(231) Sped. in abb. postale -Art.1, Comma 2 - Legge 46/2004 - DBC Roma
Abbonamento annuo 35 Euro Aut. Tribunale di Roma 275/87 del 8.5/87
Foto copertina/ © Tommaso Galli/Greenpeace Questo periodico è stampato su carta amica delle foreste: carta riciclata contenente alte quantità di fibre post-consumo e sbiancata senza cloro. L’involucro per l’invio del Greenpeace News è in Materbi, un materiale derivato dal mais, completamente biodegradabile.
EDITORIALE di GIUSEPPE ONUFRIO
NELLO SCORSO NUMERO aprivamo l’editoriale con la tragedia della Costa Concordia e la nostra campagna per chiedere un decreto con misure restrittive per la navigazione. Nel giro di poche settimane il decreto è stato emanato, grazie anche alla pressione che siamo riusciti a fare con le nostre attività di protesta e grazie al sostegno dei nostri cyber-attivisti (la petizione online ha raggiunto le 34.571 firme). Si tratta di un risultato storico: per la prima volta sono state introdotte delle norme restrittive per la navigazione, sia per la maggiore sicurezza dei passeggeri che per la tutela dell’ambiente. Il processo che ha portato all’emanazione del decreto non è stato semplice e di certo non ha fermato le pressioni da parte delle lobby dei trasporti per una maggiore permissività sui comportamenti rischiosi. Continueremo a portare avanti la campagna per identificare le misure e le politiche per aumentare la protezione del mare in generale e del Santuario dei cetacei in particolare. In queste settimane la nostra campagna Clima si è concentrata sulle responsabilità di Enel, la principale azienda elettrica italiana, nella promozione dell’utilizzo del carbone in Italia. Nel 2011 l’azienda è arrivata a produrre il 41 per cento della sua energia dal carbone e continua a proporre nuovi investimenti sia a Porto Tolle, nel Delta del Po, che a Rossano Calabro. Il lancio della campagna ha messo in luce come, secondo le stime dell’Agenzia europea per l’ambiente (EEA), i costi per la salute e per l’ambiente della sola centrale di Brindisi ammontano a oltre 700 milioni di euro l’anno (stima per il 2009). Abbiamo denunciato che una cifra dello stesso ordine di grandezza è quella che l’azienda guadagna con quella centrale grazie alla differenza tra costi di produzione e di vendita dell’elettricità: con il carbone dunque si privatizzano i benefici economici scaricando una cifra equivalente come costi “esterni” sulla collettività e sull’ambiente. Abbiamo incaricato un Istituto di ricerca olandese di applicare questa metodologia dell’EEA a tutti gli impianti Enel e di esplici-
tare il numero di morti “premature” causate dall’inquinamento del carbone. Il risultato ha dato il titolo al nostro rapporto: Enel, il carbone costa un morto al giorno. Oltre ai danni al clima, anche quelli sulla salute sono impossibili da trascurare o tacere. Con questa metodologia per così dire “ufficiale” è possibile anche fare una valutazione comparativa tra diverse opzioni energetiche. Sul caso di Porto Tolle, Enel ha fatto una lobby aggressiva e arrogante – facendo addirittura approvare una modifica alla legge regionale“ad aziendam” – pur di sfuggire a un confronto serio con l’alternativa a gas (lì vicino è stato costruito il rigassificatore offshore più grande del mondo). Dalle stime da noi effettuate emerge invece come il cosiddetto “carbone pulito” produrrebbe una sessantina di morti all’anno, oltre il quintuplo degli impianti più moderni a gas. Ma le colpe di Enel non sono solo legate alla promozione delle energie “sporche” – carbone, nucleare anche d’epoca in Slovacchia, grandi dighe – ma anche al sabotaggio della normativa sulle rinnovabili: il testo della bozza di decreto sul V Conto Energia per il fotovoltaico – che se approvato bloccherebbe di fatto il settore – era un file la cui “proprietà” era di una persona con indirizzo elettronico di Enel. E tutto questo accade mentre c’è, come mai prima d’ora, un forte conflitto col governo proprio sulle rinnovabili, con tutto il settore industriale, i sindacati e gli ambientalisti a protestare come durante la manifestazione dello scorso 18 aprile a Montecitorio. E il governo? Il ministro Passera è determinato a bloccare le rinnovabili (in particolare quelle elettriche) e ad aumentare la produzione petrolifera allargando le maglie legali per le perforazioni a terra e in mare. Aveva già ostacolato il decreto “rotte sicure”, ora vuole dare una mano alla lobby delle fossili – tra cui Enel – a bloccare lo sviluppo delle rinnovabili. Noi faremo il possibile per contrastare la sua linea.
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FACCIAMO LUCE SU ENEL CLIMA
© Francesco Alesi/Parallelozero/Greenpeace
di ANDREA BORASCHI
IL CLIMA è malato, sta cambiando troppo velocemente e in una direzione che potrebbe rivelarsi fatale per il nostro Pianeta e per la vita che lo abita. Il problema siamo noi, i nostri consumi e i nostri stili di vita, le nostre modalità produttive e la nostra dipendenza dalle fonti fossili. La comunità scientifica è oramai univoca nella lettura dei trend climatici: abbiamo poco tempo per invertire una corsa folle, che rischia di farci precipitare nel baratro del caos climatico. Greenpeace è impegnata da molti anni nel contrasto all’uso delle fonti fossili nel settore energetico e nel sostegno alla crescita delle rinnovabili, così come al potenziamento dell’efficienza energetica.
“solo” il 13 per cento della produzione. Il primo responsabile? Si chiama Enel. Con il carbone infatti l’azienda realizza, in Italia, il 41 per cento della sua produzione elettrica e questo fa sì che sia il primo emettitore italiano di anidride carbonica, con circa 40 milioni di tonnellate l’anno. La dipendenza di Enel dal carbone è peraltro destinata a crescere: l’azienda ha infatti in programma di convertire a carbone gli impianti di Porto Tolle in Veneto e di Rossano Calabro in Calabria. Il rischio è che la principale azienda energetica italiana, una multinazionale presente in quattro continenti e controllata ancora oggi dal Ministero del Tesoro, riservi al nostro Paese un futuro nero-carbone.
UN KILLER PERICOLOSO La fonte più sporca e dannosa per il clima e per la salute dell’uomo, la prima da abbandonare sulla strada di un futuro sostenibile, è certamente il carbone. Oggi in Italia questa fonte genera il 30 per cento delle emissioni di anidride carbonica del settore termoelettrico, garantendo
L’INDAGINE Per tutti questi motivi – e per molti altri ancora – abbiamo avviato una vera e propria indagine sul nostro principale killer del clima. www.FacciamoLucesuEnel.org è la piattaforma e la base di partenza per una investigazione a 360 gradi sul business del carbone marchiato Enel. Come in
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ogni vera indagine, siamo partiti forti di alcune prove, pronti a seguire numerosi indizi che descrivono il volto di un’azienda arrogante – capace di far cambiare le leggi di questo Paese pur di realizzare i suoi piani – e al contempo vecchia, incapace di visione sul futuro energetico italiano, vincolata a un guadagno immediato e sporco, cieca di fronte alle prospettive che le fonti rinnovabili offrono, anche in termini occupazionali e di indipendenza energetica. I CRIMINI Il quadro emerso dalle nostre indagini è agghiacciante e va ben oltre i dati sugli impatti climatici del carbone di Enel. L’azienda emette 27 milioni di tonnellate l’anno di CO2 (le città di Roma, Milano e Torino insieme producono emissioni di anidride carbonica per circa 11 milioni di tonnellate); ma col carbone Enel causa anche tra le 350 e le 400 morti premature l’anno in Italia e danni (sanitari, ambientali, economici) stimabili nell’ordine di quasi 1,8 miliardi di euro. La mortalità prematu-
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© Francesco Alesi/Parallelozero/Greenpeace
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ra, poi, potrebbe arrivare a superare i 500 casi attesi, in futuro, calcolando il funzionamento a pieno regime della centrale a carbone di Civitavecchia e la realizzazione dei due progetti in Veneto e Calabria. LE PROVE I dati sono emersi da uno studio che Greenpeace ha commissionato all’istituto indipendente di ricerca olandese SOMO. La ricerca applica la metodologia utilizzata dall’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) per stimare i danni delle emissioni atmosferiche degli impianti industriali in
Europa, applicata su dati di emissione pubblici e di fonte istituzionale. La metodologia che Greenpeace ha usato in questa ricerca ha inoltre dei margini di approssimazione largamente precauzionali. Infatti analizza solo un numero ristretto di inquinanti ed emissioni, tralasciando gli impatti di agenti come nichel, cadmio, mercurio, arsenico, piombo o di materiali radioattivi come l’uranio. Alla luce di questi dati, che Enel può ben conoscere ma che si guarda bene dal pubblicare nei suoi rapporti di sostenibilità ambientale, la scelta dell’azienda di continuare a puntare
sul carbone, sabotando a più riprese il settore delle rinnovabili, appare ancora più sciagurata. Greenpeace chiede all’azienda di dimezzare la produzione elettrica da carbone da qui al 2020 e di portarla a zero al 2030, investendo contemporaneamente in fonti rinnovabili per compensare la perdita di produzione. Ma prima ancora Greenpeace chiede a Enel di ritirare i progetti sui nuovi impianti a carbone, di prendere l’impegno di non costruire mai più una sola centrale – in questo Paese – alimentata con la fonte più sporca e dannosa fra tutte.
NUVOLE DIGITALI NERE © Michael Nagle/Greenpeace
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QUAL È IL QUINTO PAESE per consumo di elettricità? Non lo troverete negli atlanti o nelle riviste specializzate, perché si tratta dell’insieme di imprese che con il “cloud computing” stanno rapidamente cambiando il modo in cui lavoriamo, comunichiamo, ascoltiamo musica o ci scambiamo dati. La domanda globale di energia del sistema internet/cloud computing è dell’ordine di 623 miliardi di kWh e, con un piano di investimenti di oltre 500 miliardi di dollari, in pochi anni salirà a 1.973 miliardi di kWh: oltre sei volte il consumo dell’Italia nel 2009. Il “motore” che alimenta la nuvola sono i data center: migliaia e migliaia di byte di memoria che ospitano, gestiscono e fanno circolare i nostri dati. Da sempre associamo internet all’immaterialità, ma i data center sono “oggetti” molto concreti: alcuni sono così grandi da essere visibili dallo spazio, altri consumano come 180 mila abitazioni. Il cloud computing è una vera rivoluzione, ma non sempre le aziende che ne sono protagoniste usano il criterio dell’innovazione per risolvere la questione degli impatti ambientali dei loro consumi energetici. Non di rado i data center sono alimentati con le fonti energetiche più sporche e pericolose, come nucleare e carbone. Il nuovo rapporto di Greenpeace International, How clean is your cloud, dimostra ad esempio che tre delle maggiori compagnie che puntano sulla “nuvola” – Amazon, Apple e Microsoft – stanno sviluppando il
loro business senza alcuna attenzione agli impatti dei loro consumi. Per contro, le stesse indagini di Greenpeace mostrano come altre compagnie IT comincino a investire e a organizzarsi per disporre di forniture elettriche da fonti rinnovabili. Greenpeace ha ottenuto da Facebook un impegno preciso in tal senso, mentre anche Google e Yahoo! sono impegnate su questa strada. Le aziende protagoniste della “nuvola”, dati i loro ingenti consumi elettrici e il loro peso industriale, hanno un potere contrattuale tale da poter chiedere investimenti in fonti rinnovabili e politiche che conducano le compagnie elettriche e i governi verso scelte responsabili. A.B.
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TONNO SOSTENIBILELA NUOVA © Greenpeace/Giacomo Brocchetti
CLASSIFICA
di GIORGIA MONTI
MARE
A METÀ MARZO Greenpeace ha pubblicato la terza edizione della classifica “Rompiscatole” sulla sostenibilità delle scatolette di tonno. A due anni dalla prima classifica la posizione di molte aziende migliora dimostrando che la nostra campagna funziona, anche se nessun marchio conquista la zona verde. In testa rimane AsdoMar, unica etichetta ad offrire ai consumatori (in una parte dei propri prodotti) tonnetto striato pescato con canna. In fondo alla classifica troviamo invece marchi importanti come Nostromo, MareAperto STAR e Maruzzella, che non hanno ancora adottato alcun criterio per garantire ai consumatori che il proprio tonno non arrivi da una pesca distruttiva. Una delle grandi novità di questa edizione è l’impegno di Mareblu a utilizzare solo i metodi di pesca più sostenibili, come quelli con canna e senza FAD (sistemi di aggregazione per pesci), per il cento per cento dei propri prodotti entro il 2016. Si
tratta di un passo importante: è infatti il primo marchio italiano a impegnarsi nella giusta direzione. Adesso l’azienda dovrà dimostrare di far seguire alle parole i fatti. Rio Mare, invece, resta indietro. Non è ancora in grado di offrire alcun prodotto sostenibile e l’azienda non si è impegnata a eliminare dalla propria produzione il tonno pescato con i FAD. La pesca con reti a circuizione su FAD causa non solo la cattura di esemplari giovani di tonno, aggravando la crisi delle risorse, ma di numerosi altri animali marini, tra cui specie in pericolo come squali e tartarughe. Si stima che, per ogni nove chilogrammi di tonno catturato, si peschi un chilogrammo di altri animali "indesiderati". Tra i risultati più significativi che abbiamo ottenuto in questa edizione della classifica c'è l’impegno di molte aziende verso una maggiore trasparenza. Entro la fine del 2012, infatti, al posto della semplice scritta “Ingredienti: tonno”, ben dieci aziende
delle quattordici in classifica riporteranno in etichetta nome della specie e area di pesca e, di queste, tre inseriranno anche il metodo di pesca. Questo dimostra che quando sono i consumatori a chiederlo, il mercato si muove. E a farlo non devono essere solo le case produttrici ma anche le aziende della grande distribuzione, che all’estero hanno avuto un ruolo importante nell’orientare il mercato verso prodotti sostenibili. Purtroppo in Italia grandi supermercati come Auchan, Carrefour e Conad non hanno ancora adottato precisi criteri di sostenibilità. Le decisioni delle aziende possono davvero trasformare il mercato. È necessario che la grande distribuzione si impegni a vendere solo tonno pescato in modo sostenibile, favorire il recupero degli stock, evitando quelli a rischio, e incentivare una migliore gestione della pesca. Alcuni marchi hanno dimostrato che cambiare è possibile. Cosa aspettano gli altri?
TONNO RIO MARE RESPONSABILE ... MA SOLO A METÀ RIO MARE è il leader indiscusso del tonno in scatola in Italia, con oltre il 38 per cento del mercato, ma non lo è per sostenibilità. Per quanto l’azienda da mesi pubblicizzi il proprio impegno per una pesca responsabile, si è dimenticata di far sapere ai consumatori che per il momento ha promesso di utilizzare tonno pescato con i metodi più sostenibili, quali canna e reti a circuizione senza FAD, solo nel 45 per cento dei propri prodotti. Un impegno preso a metà non è certo un segnale di “qualità responsabile” come l’azienda afferma sul proprio sito. Greenpeace ha lanciato una petizione per chiedere a Rio Mare di abbandonare totalmente l'utilizzo di metodi di pesca che stanno causando la distruzione dell’ecosistema marino. In ventiquat-
tro ore oltre ventimila persone hanno scritto all’amministratore delegato di Bolton Alimentari, l’azienda che lo produce. Ad oggi la petizione ha superato le 43 mila firme ma il tonno “che si taglia con un grissino” non si è ancora deciso a cambiare. Noi continuiamo a chiedere a Rio Mare di impegnarsi a utilizzare nel 100 per cento dei propri prodotti tonno pescato con canna e senza FAD firmando su: www.tonnointrappola.it. Le catture accessorie della pesca con FAD superano le 182 mila tonnellate all'anno. Abbandonando tali metodi, Rio Mare potrebbe ridurle del 90 per cento! Altre aziende in Italia si sono impegnate a farlo, cosa aspetta Rio Mare? G.M.
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SBRIGATI MINISTRO IL RITARDO “COSTA”
© Greenpeace/Erica Varone
MARE di GIORGIA MONTI
IL 13 GENNAIO ci arriva la notizia di una tragedia che ha dell'incredibile. La nave da crociera Costa Concordia, a seguito di un avvicinamento rischioso alla costa dell'Isola del Giglio, ha naufragato causando la perdita di decine di vite umane. Ma c’è un’altra tragedia oltre a questa, quella del rischio di un disastro ambientale. Il relitto con un carico di 2.400 tonnellate di carburante minaccia uno dei punti più belli e vulnerabili del Santuario dei cetacei. Come è potuto accadere? Dal 2001 esiste in Italia una legge per regolamentare la navigazione in aree sensibili, eppure in dieci anni non è stato fatto nessun decreto per la sua attuazione. La legge sancisce la creazione dell'area protetta del Santuario dei cetacei, ma nessuno ha mai stabilito specifiche misure di tutela. Da anni Greenpeace denuncia che mancano regole precise per la navigazione e servono azioni concrete per mitigare i rischi da inquinamento nel Santuario. Fa rabbia vedere come si debba sempre aspettare una tragedia prima di intervenire.
IL NOSTRO INTERVENTO Greenpeace da subito ha chiesto al ministro dei Trasporti Corrado Passera un decreto per regolare le rotte pericolose, emanato in accordo con il ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, e che venisse attuato con urgenza un piano per lo svuotamento delle cisterne di carburante e la rimozione della nave. Oltre 34 mila persone hanno scritto al ministro Passera attraverso la petizione “Sbrigati Ministro. Il ritardo Costa”. Durante le operazioni di recupero ci siamo messi a disposizione della Protezione Civile e abbiamo monitorato la situazione ambientale al Giglio, pubblicando il rapporto “Come sta il mare del Giglio?”. Purtroppo, oltre al carburante, la nave – una vera e propria città galleggiante – trasportava molte altre sostanze inquinanti come detersivi, vernici e oli combustibili (vedi box). La nostra indagine preliminare dei fondali marini non ha evidenziato gravi impatti a seguito della tragedia, ma ci ha permesso di fotografarne lo stato in modo da poter valutare gli effetti di una possibi-
le contaminazione. Le analisi delle acque in vicinanza del relitto hanno invece rilevato alti quantitativi di tensioattivi e ammoniaca, a differenza di quanto trovato dall’ARPAT, l’agenzia di protezione dell’ambiente della Toscana. Grazie alla nostra pressione sul Governo, il primo marzo è finalmente arrivato il decreto sulle rotte a rischio, che stabilisce precisi limiti alla navigazione di navi oltre le 500 tonnellate in aree sensibili. E con questo la prima misura di tutela specifica per il Santuario, dove navi che trasportano sostanze pericolose su ponti scoperti potranno transitare solo se verranno adottati specifici sistemi di ritenuta del carico. Si tratta di una vittoria importante per il Santuario dei cetacei, ma non basta. Per risolvere tutti i problemi è necessario che le Regioni costiere, insieme al Ministero dell'Ambiente, si siedano per discutere le misure necessarie a creare una vera area protetta. I presidenti di Liguria e Toscana si erano impegnati a convocare un tavolo per iniziare i lavori, è ora che tengano fede alle proprie promesse.
TOXIC COSTA QUALI INQUINANTI A BORDO? QUANTE SOSTANZE e materiali pericolosi potrebbe riversare in mare il relitto della Costa Concordia? Questa è la domanda a cui Greenpeace ha voluto rispondere pubblicando un proprio inventario a un mese dal naufragio. Pitture, smalti, insetticidi, candeggina e poi detergenti, grassi e carburante. Questa la lunga lista stilata dal Commissario delegato per l'emergenza naufragio della nave. Un elenco, secondo Greenpeace, incompleto e generico dove molti dei termini usati non hanno permesso di effettuare un’adeguata stima dei rischi per l'ambiente. Cosa dire degli “articoli di arredamento”, che verosimilmente erano a bordo della Costa Concordia? Si tratta di tappeti, tendaggi, tavoli, ma anche giochi, elettrodomestici, prodot-
ti cosmetici e profumi: tutti contenenti composti chimici pericolosi. Gran parte di questi “additivi chimici” non è molto solubile in acqua, ma nel caso in cui la nave si fosse spezzata o fosse rimasta per sempre sul fondo, allora ftalati, alchilfenoli (tensioattivi non ionici), composti a base di bromo e paraffine clorurate sarebbero gradualmente fuoriusciti dal relitto contaminando l’ambiente marino circostante. Questo fenomeno, detto lisciviazione, è un processo lento e imprevedibile, inevitabile nel caso di una lunga permanenza in mare del relitto. È per questo che Greenpeace ha richiesto la pronta rimozione della Costa Concordia non appena fossero terminate le operazioni di estrazione del carburante. VITTORIA POLIDORI
© Tommaso Galli/Greenpeace
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Bilancio sociale e bilancio di esercizio 2011
SINTESI
La versione completa è disponibile sul sito all’indirizzo http://www.greenpeace.org/italy/bilancio2011
Lettera del Presidente (estratto) Dovremo ricordare il 2011 come un anno storico per Greenpeace Italia: il nostro contributo, rilevante, alla vittoria del Referendum sul nucleare e – anche grazie a questa campagna – una crescita sensibile del numero dei sostenitori segnano un bilancio record. La capacità di impatto ha toccato un livello che si era raggiunto solo nel 1995, all’epoca della campagna contro i test atomici a Mururoa, nella quale anche io sono stato impegnato come direttore delle Campagne e della Comunicazione. Aver contribuito a portare la maggioranza degli italiani al voto – nella totale assenza di informazione sui contenuti referendari da parte dei principali canali di informazione televisiva – è stata un’impresa storica, sulla quale certamente ha influito anche il disastro nucleare di Fukushima. Un primo segnale incoraggiante era stato il numero di firme (ben 130 mila) sulla petizione per chiedere al governo di unificare le date del Referendum e delle elezioni amministrative. Ma solo quando il pubblico dello Stadio Olimpico di Roma, in occasione della finale di Coppa Italia, ha applaudito all’apertura dello striscione contro il nucleare, abbiamo capito che la vittoria era possibile. Inoltre, il contributo del mondo dello spettacolo ha aiutato a raggiungere il più vasto pubblico. Per Greenpeace è assai significativo – sul piano simbolico e anche su quello della realizzazione di una mission fondamentale – che questa vittoria coincida con il venticinquennale dell’ufficio italiano, nato nel 1986 con azioni di protesta contro il nucleare. La battaglia per una rivoluzione energetica, fondamentale per proteggere il clima e priorità della nostra organizzazione a livello globale, non è finita: il fronte si sposta ora di nuovo sul carbone, tema su cui abbiamo già investito molte risorse. Prezioso è stato il contributo di chi segue Greenpeace attraverso il sito, via email e sui social network. Gli attivisti online (cyberattivisti), in particolare, sono raddoppiati anche quest’anno, superando il numero di 360 mila a fine 2011. Ci confermiamo tra le organizzazioni all’avanguardia in Italia nella mobilitazione online, elemento sempre più fondamentale anche del nostro sviluppo, con una crescita significativa dei sostenitori Web. Chiudiamo il 2011 con quasi 58 mila sostenitori attivi – oltre 11 mila in più rispetto all’anno precedente – segnando, per il secondo anno consecutivo, un record assoluto per Greenpeace Italia. La raccolta fondi ha superato quella dello scorso anno, pur non avendo registrato lasciti e donazioni straordinarie come era avvenuto invece nel 2010. Il cambio di sede (uno spazio più grande, funzionale e moderno) e l’apertura di un piccolo ufficio a Milano sono altri elementi significativi della crescita dell’Associazione. Il Presidente
Campagne Le linee strategiche delle campagne di Greenpeace sono definite all’interno del Programma internazionale. Questa programmazione definisce un ordine di priorità che può essere modificato, da eventi non programmati: nel 2011 è stato il caso del disastro nucleare di Fukushima.
LE PRIORITÀ GLOBALI 1. La priorità principale è quella della salvaguardia del clima globale, con focus specifici nel settore energetico, con una strategia che mira a contrapporre fonti energetiche “sporche” (inquinanti e/o climalteranti) come carbone, petrolio e nucleare, allo sviluppo delle energie rinnovabili e dell’efficienza.
2. Strettamente legata alla questione climatica è quella della protezione delle foreste: oltre a rilasciare notevoli quantità di gas serra, la deforestazione ha effetti drammatici sulla biodiversità planetaria e sulle popolazioni locali. 3. La terza priorità è la protezione del mare e degli oceani, con focus sulla promozione delle riserve marine e il contrasto alla pesca pirata. Una strategia particolare è stata sviluppata per la campagna Balene che è riuscita a portare le ragioni della tutela in un contesto difficile come quello del Giappone, maggior Paese baleniero al mondo. 4. Sugli OGM sono previste attività per rendere più efficace il processo di valutazione degli impatti, intervenendo non solo sui singoli prodotti, ma sull’intera procedura autorizzativa.
In progettazione anche attività a favore dell’agricoltura sostenibile. 5. Sul tema pace e disarmo continuano alcune attività limitate: al momento Greenpeace ritiene necessario fornire il suo contributo su questi temi con l’affermazione di un sistema socioeconomico più giusto, attraverso le attività delle altre campagne. 6. La campagna Inquinamento prosegue le attività sul settore Hi-tech, ma ha anche avviato una serie di azioni sul tema dell’inquinamento dell’acqua, in particolare nei Paesi in via di sviluppo.
LE ATTIVITÀ IN ITALIA Rispetto alle linee programmatiche generali, Greenpeace Italia, dopo aver riattivato nel 2006 la campagna Energia e clima (con un focus particolare sui temi carbone,
I. Bilancio sociale e bilancio di esercizio 2011 SINTESI
Ivano Novelli
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efficienza energetica ed energie rinnovabili), ha rilanciato sin dal 2007 anche le attività contro il nucleare, culminate durante la campagna referendaria del 2011. La campagna Foreste si è orientata in modo specifico sul ruolo delle aziende della filiera della carta (dall’editoria al tissue) e di quelle del settore della pelle e della moda: queste, nel nostro Paese, sono grandi “consumatrici” di materia prima forestale. La campagna Mare ha rivolto la sua attenzione alle aziende del settore della produzione di tonno in scatola, continuando a sviluppare anche le attività sul Santuario dei cetacei rafforzate con uno specifico progetto “intercampagna” sull’inquinamento del mare. La campagna Inquinamento ha proseguito le sue attività sui rifiuti elettronici e ha aperto un fronte specifico sui siti contaminati denunciando le irregolarità nella bonifica della discarica di Pioltello.
IL REFERENDUM NUCLEARE Alla prospettiva di un ritorno dell’Italia al nucleare – una fonte energetica rischiosa, in crisi già prima del disastro di Fukushima – Greenpeace non poteva che rispondere con un intervento a tutto campo. Se nessuno ha mai messo in dubbio la contrarietà della maggioranza del Paese al nucleare, la vera questione, chiara sin dall’inizio, era quella del raggiungimento del quorum al Referendum per il quale serviva portare al voto oltre 25 milioni di persone: una circostanza che in Italia non si verificava da sedici anni. Il 12 e 13 giugno, gli italiani si sono espressi con chiarezza: un quorum del 56 per cento e una percentuale di “sì” del 94,5 per cento, infatti, esprimono una maggioranza assoluta dei cittadini contraria al nucleare. Questo risultato, insieme al precedente Referendum del 1987, indica probabilmente che le porte per il nucleare in Italia si sono chiuse per sempre.
Comunicazione II. Bilancio sociale e bilancio di esercizio 2011 SINTESI
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Il nucleare ha dominato tutta la prima parte dell’anno, fino al Referendum di giugno. Già a gennaio, infatti, Greenpeace ha lanciato il video “Il problema senza la soluzione” come risposta allo spot promosso a fine 2010, con grande profusione di mezzi, da parte del Forum Nucleare Italiano. La tempestività del video e il suo tono ironico hanno prodotto un esito molto positivo sia in termini di quantità che di qualità delle uscite. Ad accentuare l’attenzione sul tema è stato – purtroppo – il disastro di Fukushima, dove i reattori di una centrale nucleare sono stati devastati dal terremoto e dal successivo tsunami che hanno colpito il Giappone l’11 marzo. Di conseguenza, a partire da metà marzo
si è registrato un aumento vertiginoso delle uscite stampa e del traffico sul sito Web di Greenpeace Italia. Forte di questo traino, la campagna referendaria ha ricevuto un’attenzione da parte dei Media con pochi precedenti. Greenpeace ha contribuito con l’esperienza dei “pazzi”: un gruppo di ragazzi che ha scelto di vivere per trenta giorni rinchiuso in una casa, in una località ignota, adottando misure di radioprotezione come se stessero vivendo in un’area contaminata da un incidente nucleare. Lo slogan scelto è stato “i pazzi siete voi” (se non andate a votare; se volete il nucleare), mentre la casa era collegata con una piattaforma di mobilitazione online da cui i “pazzi” hanno comunicato con il mondo esterno. Ma il vero punto di svolta della campagna antinucleare è stato l’azione allo Stadio Olimpico, nel corso della finale di Coppa Italia: con più di 8 milioni di persone in diretta Rai, i telegiornali e giornali del giorno dopo, una fetta molto ampia della popolazione italiana (circa 15 milioni di “contatti” complessivi) è stata raggiunta dal messaggio sul Referendum. Il successo dell’azione all’Olimpico spiega forse anche l’incredibile riscontro mediatico ottenuto dall’apertura dei tre striscioni al Colosseo a Roma, a Ponte Vecchio a Firenze e al Campanile di S. Marco a Venezia, nell’ultimo giorno utile della campagna referendaria. Si tratta forse di oltre 22 milioni di contatti.
GREENPEACE, GLI ANNIVERSARI, LA RAINBOW WARRIOR Dopo l’estate, la comunicazione si è occupata dei 40 anni dalla nascita di Greenpeace e dei 25 dell’ufficio italiano: quest’ultimo anniversario è stato celebrato il 24 novembre, presso il Centro culturale “Baobab” di Roma, con la partecipazione di Diego Parassole, Giobbe Covatta, Barbara Tabita, Adriano Bono e il gruppo di cover “4 No nukes”. Altro tema di comunicazione è stato la costruzione e poi il varo della nuova ammiraglia dell’organizzazione: la Rainbow Warrior III, equipaggiata con le più moderne tecnologie, è la prima nave a essere appositamente costruita per Greenpeace e non riadattata. Si è parlato di Greenpeace, della sua missione e della storia in occasione dell’invito rivolto a Kumi Naidoo da parte della rivista “Internazionale”, in occasione del Festival che la rivista organizza ogni anno a Ferrara. Il Direttore esecutivo di Greenpeace International è stato protagonista dell’intervista in Piazza Municipio, sabato 1° ottobre: sollecitato dalle domande di Barbara Serra, di Al Jazeera, ha parlato davanti a circa 1.500 persone.
ALTRE COMUNICAZIONI Per il resto, la Comunicazione ha seguito soprattutto la falsariga delle attività di campagna. Alcune iniziative sono emerse nel corso del 2011: l’inchiesta sui rifiuti tossici dell’ex SISAS di Pioltello, la campagna “Facebook Unfriend Coal”, il video “Ken lascia Barbie!”, per denunciare la deforestazione dell’Indonesia, e “VW: The Dark Side”, una parodia di un celebre spot ispirato a “Guerre Stellari” realizzato dalla Volkswagen. Ancora: il nuovo rapporto sui biocarburanti e il video che documenta l’agonia di una tigre, intrappolata a Sumatra, all’interno di una concessione forestale della multinazionale della carta APP. Quindi, la campagna Detox, sull’inquinamento dei fiumi cinesi, e il rapporto “I segreti del tonno”. Verso fine anno, puntuale, la comunicazione delle attività di Greenpeace a Durban, in occasione dell’annuale conferenza sul Clima.
LE CAMPAGNE ONLINE Oltre alla campagna integrata sul nucleare, la grande novità del 2011 è stata la migrazione del sito Web verso la nuova piattaforma globale, chiamata “Planet 3”. Il nuovo sito – comune a Greenpeace International e a gran parte degli uffici nazionali – è un notevole passo in avanti per le sue caratteristiche di multimedialità e integrazione con i social network, e per le sue potenzialità come strumento di mass networking e di raccolta fondi. Il traffico del sito è in forte crescita, come indica la media dei visitatori unici che ogni mese ne hanno aperto le pagine: da 94.96 del 2010 a 149.106 del 2011. Al centro del Web di Greenpeace sono i cyberattivisti, ovvero coloro che accettano di impegnarsi in azioni online, aiutando l’organizzazione a svolgere le proprie campagne. Nel corso del 2011, il loro numero è cresciuto da 170 mila a 365 mila, in crescita anche gli altri social network. I “fan” dell’account Facebook di Greenpeace sono passati da 118 mila a 205 mila, mentre i “follower” di Twitter sono quasi quadruplicati: da 34 mila a 128 mila.
Raccolta fondi Se il primo pilastro di Greenpeace è rappresentato dalle sue campagne, il secondo è senz’altro costituito dalla raccolta fondi, come e più di altre organizzazioni non profit. Il motivo è semplice: l’obiettivo dell’indipendenza condiziona il modo di raccogliere finanziamenti da parte di Greenpeace. Le policy – a livello globale – impediscono all’organizzazione di accettare fondi da aziende, governi o istituzioni. L’unica possibilità che rimane è di rivolgersi
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alle singole persone che credono negli obiettivi di Greenpeace e nella sua capacità di perseguirli; attualmente si tratta di circa 3 milioni di persone in tutto il mondo.
I DONATORI Anche nel 2011 la raccolta fondi ha proseguito il consolidamento delle strategie già avviate. Una delle ragioni dei buoni risultati ottenuti è nella continuità, là dove nel passato Greenpeace Italia aveva forse ecceduto nei cambi di direzione. Almeno a partire dal 2007, invece, il dialogo diretto è tornato al centro delle attività di
acquisizione di nuovi donatori, mentre la conversione in donatori degli attivisti online si è confermata – dopo il test del 2008 – e viene considerata strategica per lo sviluppo dell’organizzazione. Il numero dei donatori attivi nel corso del 2011 è pari a 57.905 (+11.252 rispetto al 2010): si tratta del numero più alto raggiunto nella storia di Greenpeace in Italia. Inoltre, i donatori periodici (ovvero che tornano a donare periodicamente grazie all’addebito bancario o alla carta di credito) sono l’82 per cento del totale degli attivi, e rappresentano un elemento di stabilità dell’organizzazione.
IL RISULTATO ECONOMICO Per quanto riguarda i risultati economici delle attività di raccolta fondi, i dati di sintesi: t i proventi aumentano del 1.5% rispetto all’anno precedente; t al netto del 5x1000 e dei fondi speciali ricevuti nel 2010, la crescita dei proventi tra 2010 e 2011 è del 21,4%; t gli oneri crescono soprattutto per effetto dello sviluppo delle campagne di dialogo diretto; t il risultato netto, per effetto di questi investimenti, diminuisce del 20,6%.
Stato patrimoniale e Rendiconto della gestione Stato patrimoniale al 31.12.2011 Valori in euro
A) Crediti verso associati per versamento quote
31.12.2011
31.12.2010
3.837
1.483
276.114
119.164
I. Immobilizzazioni immateriali
107.523
11.035
960
5.665
3) Spese manutenzioni da ammortizzare 6) Immobilizzazioni in corso e acconti
A) Patrimonio Netto I - Fondo di dotazione dell’ente
B) Immobilizzazioni
2) Diritti di brevetto industriale e diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno
PASSIVO
106.563
1.698
-
3.672
2) Impianti e attrezzature 3) Altri beni 4) Immobilizzazioni in corso e acconti
III. Immobilizzazioni finanziarie 3) Altri titoli
C) Attivo circolante I. Rimanenze 4) Prodotti finiti e merci (merchandise) 6) Altri beni destinati alla vendita
II. Crediti 2) Verso altri 2.1) Crediti verso Organizzazioni Greenpeace 2.2) Crediti verso Altri
IV. Disponibilità liquide 1) Depositi bancari e postali 3) Denaro e valori in cassa
D) Ratei e risconti attivi
Totale attività
167.558
107.096
47.356
36.024
120.202
47.223
-
23.849
1.033
1.033
1.033
1.033
3.061.409
3.006.610
264.358
222.026
64.358
22.026
200.000
200.000
1.372.951
713.188
1.372.951
713.188
129.326
98.045
1.243.625
615.143
1.424.100
2.071.396
1.423.626
2.070.325
474
1.071
17.271
30.340
3.358.631
3.157.597
31.12.2010
1.021.542
1.424.035
51.646
51.646
III - Patrimonio libero -402.493
943.586
2) Risultato gestionale da esercizi precedenti
1.372.389
428.803
B) Fondi per rischi e oneri
518.925
415.925
518.925
415.925
238.794
183.459
1) Risultato gestionale esercizio in corso
2) altri
II. Immobilizzazioni materiali
31.12.2011
C) Trattamento di fine rapporto
D) Debiti
1.568.958
1.115.488
4) debiti verso fornitori
749.071
454.466
5) debiti tributari
100.250
64.147
6) debiti verso istituti di previdenza e di sicurezza sociale
114.478
89.081
7) altri debiti
239.943
211.259
8) debiti verso organizzazioni Greenpeace
365.216
296.535
E) Ratei e risconti passivi
10.412
18.690
3.358.631
3.157.597
Totale passività CONTI D’ORDINE
31.12.2011
31.12.2010
Conti d’ordine
26.250
26.250
Totale conti d’ordine
26.250
26.250
III. Bilancio sociale e bilancio di esercizio 2011 SINTESI
ATTIVO
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Rendiconto della gestione 2011 a proventi ed oneri Valori in euro (SEZIONI DIVISE E CONTRAPPOSTE) ONERI 1) Oneri da attività tipiche Campagne di cui: 1.2) Servizi 1.4) Personale Supporto alle Campagne di cui:
31.12.2011
31.12.2010
2.349.612
1.844.842
1.671.300
1.293.649
1.312.238
1.042.029
359.062
251.620
678.312
551.193
1.2) Servizi
327.395
270.857
1.4) Personale
350.917
280.336
2) Oneri promozionali e di raccolta fondi
2.482.197
1.677.242
2.1) Attività promozionale per ricerca nuovi sostenitori
1.624.228
1.078.128
a) Costi acquisizione nuovi sostenitori
1.624.228
1.078.128
417.385
254.091
2.2) Attività per rinnovo e sollecito sostenitori già iscritti 2.3) Attività per raccolte specifiche a) 5 x 1000
47.332
39.099
47.332
39.099
PROVENTI 1) Proventi da attività tipiche 1.3) Contributi da soci e associati
1.6) Contributi da GPI
2) Proventi da raccolta fondi 2.1) Contributi da nuovi sostenitori
2.2) Contributi da sostenitori già iscritti 2.3) Contributi da Altri a) 5 x 1000 b) Liberalità ricevute tramite gruppi di volontari c) Lasciti d) Altre donazioni
2.4) Oneri generali di coordinamento su attività di raccolta
393.252
305.924
2.4) Contributi da GPI su raccolta fondi
3) Oneri da attività accessorie
3) Proventi da attività accessorie
99.366
28.989
3.1) Materie prime
68.602
15.739
3.2) Servizi
29.994
12.324
770
926
1.506
-
4) Proventi finanziari e patrimoniali
1.506
-
4.1) Interessi attivi da depositi bancari
3.4) Personale
4) Oneri finanziari e patrimoniali 4.2) Interessi su altri prestiti
6) Oneri di supporto generale
1.076.726
771.503
6.2) Servizi
273.559
186.417
6.3) Godimento beni di terzi
146.995
75.464
6.4) Personale
430.031
370.249
6.5) Ammortamenti 6.6) Oneri diversi di gestione
TOTALE ONERI IV. Bilancio sociale e bilancio di esercizio 2011 SINTESI
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Avanzo di Gestione
Greenpeace Onlus Il Chief Finance Officer Dott. Romolo Cicchetti
53.355
24.324
172.786
115.049
6.009.407
4.322.576 943.586
3.5) Altri proventi
6) Proventi di supporto generale 6.6) Proventi diversi di gestione 6.7) Contributi da GPI
TOTALE PROVENTI Disavanzo di Gestione
31.12.2011
31.12.2010
129.010
36.548
5.053
4.770
123.957
31.778
5.219.826
5.124.083
939.657
727.393
3.735.971
3.124.030
474.669
1.236.477
465.000
542.492
9.669
6.320
-
491.665
-
196.000
69.529
36.183
138.756
50.461
138.756
50.461
5.546
1.891
5.546
1.891
113.776
53.179
113.776
52.591
-
588
5.606.914
5.266.162
402.493
Greenpeace Onlus Il Presidente del Consiglio Direttivo Ivano Novelli
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PER SALVARLA SERVONO 1,4 MILIONI DI FIRME
di CHIARA CAMPIONE
© Rodrigo Baleia/Greenpeace
FORESTE
AMAZZONIA
È INIZIATA. Ha un nome semplice con un messaggio univoco. È "Save the Amazon" la nuova campagna di Greenpeace con un obiettivo ambizioso. Forse il più ambizioso da quando la nostra organizzazione, vent’anni fa, ha iniziato a lottare per la salvezza del più grande polmone del Pianeta. Questa volta abbiamo deciso di aiutare il popolo brasiliano a salvare l'Amazzonia per sempre e per legge. Quello che vogliamo ottenere, e che stiamo chiedendo con una spedizione di tre mesi della nostra nuova Rainbow Warrior, è una legge “Deforestazione Zero”. Per poterla presentare al Governo brasiliano dobbiamo raccogliere 1,4 milioni di firme di cittadini brasiliani. La nostra nave è partita da Manaus e viaggerà lungo il Rio delle Amazzoni fino a Rio de Janeiro dove, dal 20 al 22 Giugno, si terrà la Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile, Rio+20. Un team di attivisti, esperti internazionali e giornalisti sta viaggiando a bordo della Rainbow Warrior per mostrare a tutti la bellezza, l’importanza e la biodiversità dell’Amazzonia ma anche la sua distruzione selvaggia, e per denunciare fenomeni di taglio illegale delle foreste e coinvolgere nella nostra iniziativa popolazioni indigene e rurali. Oltre a questo dimostreremo che le soluzioni per uno sviluppo sostenibile del Paese ci sono ed è su queste che bisogna investire.
UN GIGANTE ECONOMICO CHE PUÒ RIMANERE VERDE Il Brasile è la sesta potenza economica a livello globale, il più grande esportatore di carne e il secondo per cereali e leguminose. La sua ascesa economica ha coinciso, per diversi anni consecutivi, con la riduzione del tasso di deforestazione in Amazzonia. Il Brasile deve essere la dimostrazione che è possibile lo sviluppo sostenibile senza distruggere preziose foreste, un esempio che anche Indonesia e Congo possono seguire. La proposta per una nuova legge "Deforestazione Zero" nasce a seguito della forte opposizione dell'opinione pubblica brasiliana alle modifiche al Codice Forestale che il Congresso ha appena approvato e che mettono a rischio la salvaguardia dell'Amazzonia distruggendo una legge che per anni ha consentito la protezione delle foreste in Brasile. Il Codice Forestale infatti è una legge in vigore da ben 76 anni e fino a oggi ha rappresentato il primo strumento di salvaguardia delle foreste brasiliane. Le modifiche approvate dal Congresso compromettono seriamente gli accordi sottoscritti dall’ex Presidente Lula alla conferenza sul clima di Copenhagen (dicembre 2009) dove il Brasile si impegnava a raggiungere target ambiziosi di riduzione delle emissioni di CO2. A due anni dall’impegno preso, il futuro dell’Amazzonia e la reputa-
11
zione del Brasile sono in pericolo. Gli scienziati brasiliani stimano che, se la riforma del Codice Forestale dovesse diventare una realtà, 47 milioni di ettari di foresta verrebbero immediatamente messi in pericolo. I dati scientifici prodotti dimostrano che più di 60 milioni di ettari di foresta già degradata o suoli non utilizzati potrebbero essere sfruttati per aumentare la produzione di cibo e che non è necessario distruggere altra foresta per garantire la crescita e lo sviluppo del settore agricolo brasiliano. Dunque crescita economica e protezione delle foreste sono obiettivi che il Brasile può raggiungere. Adesso l’unica speranza per fermare l’approvazione del Codice Forestale è che Dilma ponga un veto su questa legge disastrosa e che si renda conto che solo con un quadro normativo forte ed efficace potrà garantire la protezione dell'Amazzonia. L'effetto combinato della deforestazione e dei cambiamenti climatici a danno del più grande polmone del Pianeta ci sta spingendo verso un punto di non ritorno. Se non fermiamo la deforestazione alla fine di questo secolo l'Amazzonia sarà solo una savana. Non possiamo permettercelo. Partecipate anche voi alla nostra campagna. Dobbiamo convincere la Presidente Dilma a mettere il veto sul Codice Forestale e aiutare il popolo brasiliano a ottenere la legge “Deforestazione Zero”.
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ESPERIMENTI IN CAMPOUN AFFARE RISCHIOSO
di FEDERICA FERRARIO
CHE IN AGRICOLTURA serva fare molta ricerca è assolutamente vero e importante. L'utilizzo crescente di sostanze chimiche come fertilizzanti e fitofarmaci sta progressivamente impoverendo e inquinando suolo e acqua, ovvero quelle risorse che ci sono indispensabili per produrre il cibo. I fenomeni meteorologici estremi causati dai cambiamenti climatici stanno drammaticamente mostrando una nuova realtà che l'agricoltura deve imparare ad affrontare per non soccombere. DISINFORMAZIONE MINISTERIALE In questo contesto le dichiarazioni che il ministro dell'Ambiente Corrado Clini ha rilasciato lo scorso marzo lasciano semplicemente basiti. Non saper distinguere – o far finta di non sapere – fra incroci e OGM, definendo prodotti italiani come il riso Carnaroli o la cipolla di Tropea come OGM, apre una serie di interrogativi sul livello di disinformazione che si vuole perpetuare su questo tema. Far credere che la ricerca sugli OGM sia un passaggio necessario per lo sviluppo dell'agricoltura è fuorviante e pericoloso. Siamo ormai abituati al ripetersi periodico delle notizie eclatanti che le aziende agro-chimiche cercano di far circolare riguardo miracolosi e inesistenti prodotti OGM, ma la realtà dei fatti è un'altra: la stragrande maggioranza dei prodotti biotech in commercio ha come caratteristica principale quella di
OGM
essere resistente alle sostanze chimiche che le stesse aziende producono e vogliono vendere. Questi prodotti stanno causando lo sviluppo di piante infestanti diventate a loro volta resistenti agli erbicidi e che quindi portano ad utilizzare quantità sempre maggiori di sostanze tossiche sulle coltivazioni. Gli OGM che dovrebbero fornire protezione dai parassiti stanno andando nella stessa direzione, come il cotone Bt, che ha causato il diffondersi di un super-parassita negli Stati Uniti che costringe gli agricoltori a utilizzi sempre maggiori di pesticidi. GLI OGM SONO UN RISCHIO Non si può continuare a ignorare la realtà. Il rilascio in ambiente di colture geneticamente modificate comporta rischi legati alla loro imprevedibilità e incontrollabilità. La loro coltivazione può causare contaminazioni genetiche non volute del nostro cibo. Non è necessario che ci siano coltivazioni su scala commerciale per causare contaminazioni. Anche le sperimentazioni in ambiente sono in grado di farlo. Spesso non è chiaro come ciò avvenga, possono essere causate da errori umani o dalla semplice impollinazione tramite gli insetti, ma avvengono sistematicamente. Perché le contaminazioni sono rilevanti? Perché dovremmo essere preoccupati della presenza di colture OGM sperimentali nei nostri alimenti?
Dovremmo preoccuparcene dal momento che gli OGM in fase sperimentale sono stati, per definizione, sottoposti solo a limitati o nessun test di sicurezza per determinare i loro possibili impatti su ambiente o salute umana e animale. A livello globale le contaminazioni causate da campi sperimentali sono costate agli agricoltori la perdita dei mercati di esportazione. Per questo motivo è utile tenere ben presenti alcune delle contaminazioni degli alimenti avvenute a causa di campi sperimentali, e il documento recentemente pubblicato: Sperimentazioni di OGM in ambiente: un affare rischioso (e costoso), vuole aiutare in questo senso, elencando alcuni casi studio di contaminazioni avvenute per riso, mais, papaia e lino, originatesi appunto da campi sperimentali. Il ruolo del ministro dell'Ambiente è quello di difendere l'ambiente italiano, non di metterlo ulteriormente a rischio. Gli OGM danno oggi solo due certezze: sono un problema per l'ambiente e costituiscono un rischio ancora non quantificabile per la sicurezza alimentare. È opportuno quindi ribadire che per salvaguardare l'agricoltura, in Italia come altrove, è necessario investire in una ricerca scientifica che abbia come obiettivo uno sviluppo sostenibile sul lungo periodo, in grado di fornire cibo sano per tutti, senza compromettere l'ambiente. Con l'utilizzo degli OGM si va nella direzione opposta.
© VJ Villafranca/Greenpeace
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1. Fukui, Giappone – Attivisti di Greenpeace parteci-
4. Queensland, Australia – Attivisti di Greenpeace in
2. Londra, Inghilterra – In azione alla National
5. Jalisco, Messico – Greenpeace manifesta durante
pano a una manifestazione contro il nucleare. ©Jeremy Sutton Hibbert/Greenpeace Gallery di Londra per protestare contro le trivellazioni nell'Artico. ©David Sandison/Greenpeace
3. Taranaki, Nuova Zelanda – Ancora in azione con-
tro le trivellazioni nell'Artico da parte della compagnia petrolifera Shell. ©Nigel Murple/Greenpeace
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difesa della barriera corallina australiana. ©Tom Jefferson/Greenpeace
la Giornata Mondiale dell'Acqua contro l'inquinamento dei fiumi. ©Ivan Castaneira/Greenpeace
6. Giacarta, Indonesia – Attivisti travestiti da tigre,
protestano contro la distruzione delle foreste indonesiane, habitat delle tigri di Sumatra. ©Didit Majalolo/Greenpeace
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CLICK & CO.
di MASSIMO GUIDI
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GP NEWS GOES DIGITAL Da questo numero 105 potrete leggere il GP News anche online, sul nostro sito www.greenpeace.it. Continuerete a riceverlo nelle vostre case come sempre, ma adesso potrete anche condividerlo con tutti i vostri contatti online e scoprire i contenuti multimediali legati agli articoli della rivista.
PARTITA A RAMINO… QUELLO ILLEGALE
produrre carta senza distruggere le foreste e senza spingere all'estinzione specie protette come il ramino e la tigre di Sumatra. Lo hanno fatto tutte, cancellando i contratti con APP e impegnandosi ad acquistare solo carta proveniente da fonti sostenibili. Una vittoria per le foreste, il ramino e le tigri di Sumatra. Ma non ci fermeremo fino a quando APP non interromperà la sua opera di distruzione delle foreste e delle specie in estinzione che le abitano. C.C.
© Kemal Jufri/Greenpeace
IL RAMINO non è un gioco ma un maestoso albero in via d’estinzione. La sopravvivenza di questa specie è garantita dal trattato internazionale CITES e dallo stesso Governo indonesiano le cui foreste ospitano gli ultimi esemplari di ramino. L’habitat naturale del ramino coincide con quello di un’altra specie minacciata d’estinzione: la tigre di Sumatra. Attraverso una lunga indagine sul campo Greenpeace ha scoperto e denunciato per l’ennesima volta i crimini ambientali del colosso cartario APP (Asia Pulp & Paper) e abbiamo dimostrato come fibre provenienti da deforestazione, prodotte da APP, finiscano in prodotti di uso comune venduti da marchi come Xerox, Danone e National Geographic. A supporto delle nostre denunce un rapporto e i filmati delle indagini sotto copertura, che incastrano APP e dimostrano come l'azienda non rispetti la legge indonesiana né tantomeno la convenzione internazionale CITES; entrambe a protezione di specie a rischio come il ramino. Abbiamo mostrato a tutte le aziende che continuano ad acquistare carta da APP i risultati della nostra indagine sapendo che queste avrebbero riconosciuto quanto siano ridicole e fantasiose le affermazioni dell'azienda sulla sua presunta "tolleranza zero" per il legno illegale. APP continua a infrangere la legge, per questo abbiamo chiesto a tutte le aziende coinvolte in questo scandalo di prendere le distanze e di interrompere i propri contratti fino a quando il colosso indonesiano non dimostrerà di saper
QUALCOSA DI STRAORDINARIO Nel 1988, durante la Guerra Fredda, Greenpeace si trovò coinvolta nel salvataggio di tre balene grigie intrappolate sotto il ghiaccio del Circolo Polare Artico. Il dramma dei tre cetacei divenne in pochi giorni un affare internazionale che catalizzò l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica, tanto da spingere il governo americano e quello sovietico a collaborare, mettendo da parte le divergenze politiche. L'operazione di salvataggio finì per richiedere gli sforzi congiunti della Guardia Nazionale dell'Alaska, della comunità Inuit di Barrow, Alaska, di Greenpeace, della compagnia petrolifera Veeco, dell'amministrazione Reagan e dell'URSS. Questa storia avvincente è stata trasformata nel film “Big Miracle” (Qualcosa di straordinario) dall’Universal Picures, con Drew Barrymore come protagonista nel ruolo di un’attivista di Greenpeace. Dal 20 giugno il film uscirà in DVD anche in Italia. Per noi è un’occasione importante per ricordare a tutti che la nostra battaglia per la salvaguardia delle balene e del loro habitat continua anche nel Mediterraneo, in particolare con le nostre iniziative per la reale tutela della biodiversità marina nel Santuario dei cetacei. C.P.M.
© Universal
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© Matteo Nobili/Greenpeace
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© VJ Villafranca/Greenpeace
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UN BUCATO SPORCO IN OCCASIONE della Giornata mondiale dell’acqua Greenpeace pubblica i risultati di una nuova ricerca internazionale: il lavaggio in casa dei nostri abiti rilascia sostanze pericolose – come i nonilfenoli etossilati – nei fiumi, nei laghi e in mare. I nostri risultati dimostrano la perdita di queste sostanze dopo un solo lavaggio, in quantità variabile tra le marche e a seconda se l’analisi sia stata condotta solo sul prodotto in tessuto o sui campioni contenenti stampe in plastisol. Una volta a contatto con l’acqua i nonilfenoli etossilati si trasformano in un composto più pericoloso, il nonilfenolo (NP), che non si degrada facilmente, è bioaccumulante lungo la catena alimentare e può alterare il sistema ormonale dell’uomo. I risultati della nostra ricerca non sono rassicuranti. È bastato sottoporre a un singolo lavaggio la metà dei campioni per estrarre oltre l’80 per cento dei composti pericolosi presenti in origine. Le multinazionali ci rendono complici dell’inquinamento delle nostre risorse idriche senza farcelo sapere. Da un anno Greenpeace chiede un impegno volontario alle aziende di abbigliamento affinché non usino più sostanze pericolose per la salute e per l’ambiente. Un obiettivo difficile ma realizzabile. Lo dimostra l’impegno assunto da Nike, Adidas, Puma, H&M, C&A e Li-Ning di eliminare entro il 2020 l’uso di composti tossici nella filiera produttiva. Queste aziende hanno promosso una “Roadmap congiunta”, per muovere l’industria tessile verso una produzione più pulita e sostenibile. L’italiana BasicNet, proprietaria dei marchi Kappa, Superga, K-Way, sembra voler aderire alla Roadmap ma senza esporsi pubblicamente per l’eliminazione di queste sostanze. Ha molta strada da fare. V.P.
QUANDO IL DITO INDICA LA LUNA… A MARZO sono state pubblicate le motivazioni della sentenza della terza sezione penale della Cassazione che ha confermato l'illegalità dei due appezzamenti friulani seminati con mais OGM Mon810 nel 2010. Si tratta di una sentenza attesa che conferma quanto Greenpeace sostiene da tempo: le coltivazioni di mais OGM in Friuli erano illegali. Viene quindi ulteriormente legittimata la correttezza dell'intervento fatto dagli attivisti di Greenpeace nel luglio 2010 per isolare e mettere in sicurezza le piante OGM per evitare ulteriori dispersioni del polline transgenico e le contaminazioni correlate, data l'inazione delle autorità predisposte. Tutto corretto, se non fosse che lo scorso febbraio è stato notificato agli attivisti un decreto penale di condanna per oltre 86 mila euro, per “invasione di terreno agricolo”, ovvero per aver camminato sui campi illegali. Greenpeace ha naturalmente già depositato opposizione al Decreto e si difenderà in sede giudiziaria, ma la sentenza della Cassazione porta ad altri interrogativi: perché condannare degli attivisti che hanno semplicemente fatto ciò che spettava alle autorità che non agivano? È notorio che i campi OGM in Friuli violavano il Decreto Legislativo 24 aprile 2001 n.212, che prevede la richiesta di una specifica autorizzazione ministeriale per la semina di OGM, in assenza della quale è prevista la pena dell'arresto da sei mesi a tre anni o dell'ammenda fino a 51.700 euro. Greenpeace ha già raccolto la solidarietà – tra gli altri – di tutta la Task Force per un'Italia libera dagli OGM che ha deciso di autodenunciarsi in solidarietà con gli attivisti, ma la domanda rimane: quando il dito indica la luna perché guardare solo il dito? F.F.
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BREVI DAL MONDO
IN RICORDO DI UGO E MARIA
UGO MIGLIARI Ugo era una persona generosa, da anni nostro sostenitore. Insieme alla famiglia e ai colleghi, lo ricordiamo con affetto.
MARIA SALGAROLO Maria ha cresciuto i suoi figli con enorme affetto, Greenpeace si unisce al ricordo del figlio Paolo.
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22-05-2012
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