UN SANTUARIO NELL’ARTICO
n°centosei
GREENPEACE NEWS - N.106 - III TRIMESTRE 2012 - ANNO XXVI
SOMMARIO
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MARE
No alle trivelle
5 CLIMA
ARTICO
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FORESTE
Ancora più luce
Un santuario al Polo Nord
Favole mangia alberi
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INQUINAMENTO Il gioco dello scaricabarile
OGM
Un processo sbagliato
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CLICK & CO.
DAL MONDO
NEWS PERIODICO DI GREENPEACE ITALIA Direttore editoriale/ Andrea Pinchera Direttore responsabile/ Fabrizio Carbone Redazione/ Serena Bianchi, Laura Ciccardini, Maria Carla Giugliano, Valeria Iovane, Ambra Lattanzi, Luigi Lingelli, Felice Moramarco, Cecilia Preite Martinez, Gabriele Salari Archivio foto/ Massimo Guidi Internet/ Alessio Nunzi Progetto grafico/ Saatchi&Saatchi Impaginazione/ Francesca Schiavoni, Paolo Costa Redazione e Amministrazione/ Greenpeace ONLUS Via della Cordonata, 7 00187 Roma email: info.it@greenpeace.org tel: 06.68136061 fax: 06.45439793 Ufficio abbonamenti/ Augusto Carta tel: 06.68136061(231) Sped. in abb. postale -Art.1, Comma 2 - Legge 46/2004 - DBC Roma
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Aut. Tribunale di Roma 275/87 del 8.5/87
Foto copertina/ © Daniel Beltrà/Greenpeace Questo periodico è stampato su carta amica delle foreste: carta riciclata contenente alte quantità di fibre post-consumo e sbiancata senza cloro. L’involucro per l’invio del Greenpeace News è in Materbi, un materiale derivato dal mais, completamente biodegradabile.
EDITORIALE di GIUSEPPE ONUFRIO
FERMARE IL PENSIERO FOSSILE: questa è la priorità di Greenpeace per i prossimi mesi. Bloccare i progetti di espansione del carbone (di ENEL e di altri operatori) e la spinta per espandere le trivellazioni a mare, la cui restrizione è stata una delle pochissime scelte sagge degli ultimi anni. Andiamo per ordine. 1. La campagna contro il carbone di ENEL ha avuto un esito imprevisto. L’azienda elettrica ha presentato un reclamo urgente al Tribunale civile di Roma con la richiesta di bloccare buona parte dei contenuti. Dunque un’azienda con oltre 70 miliardi di fatturato, invece di rispondere nel merito delle nostre analisi (un morto al giorno per inquinamento dalle loro centrali a carbone in Italia), ha cercato di bloccare il nostro sito web attaccando il linguaggio di una narrativa da “investigazioni criminali” (“sporca verità”, “killer del clima”, etc.). Il giudice di Roma ha respinto il reclamo, confermando che la nostra campagna è scientificamente fondata e che il linguaggio utilizzato rientra nel diritto di critica. Oltre 34 mila persone hanno aderito alla piattaforma web per diffondere nei social network i materiali; la fase di “indagine” è chiusa. Si apre adesso una nuova fase anche in vista delle prossime elezioni. ENEL, azienda privata controllata dallo Stato al 30 per cento, spinge per aumentare la produzione da carbone: è questa la politica energetica che vogliamo? 2. La campagna anti-trivelle in Sicilia, lanciata in piena estate, ha avuto un ampio supporto: oltre 56 mila firme, l’adesione di una cinquantina di sindaci e del governo regionale, associazioni della pesca e del turismo. Se anche si estraesse tutto il petrolio di scarsa qualità che c’è dal Canale di Sicilia all’Adriatico, si tratterebbe di una quantità dell’ordine dei 10 milioni di tonnellate. Sembra tanto ma, a confronto dei consumi annuali dell’Italia di 77 milioni di tonnellate, consiste nel consumo di meno di due
mesi. Il gioco delle trivellazioni a mare (per le poche risorse estraibili) vale la candela (i rischi ambientali)? Secondo noi, e lo schieramento che abbiamo iniziato a costruire a partire dalla Sicilia, la risposta è No. 3. La bozza di Strategia Energetica Nazionale che circola in queste settimane esprime bene il pensiero del ministro dello sviluppo economico Corrado Passera. Anche se si dichiara un obiettivo sensibilmente maggiore per le rinnovabili anche nel settore elettrico, che salgono al 38 per cento invece che del 26 per cento, manca la chiarezza sugli incentivi che servirebbero per raggiungerlo, mentre la maggiore libertà di trivellare a mare è definita perfettamente. Si conferma il sostegno alle rinnovabili per gli usi termici ma anche per questo settore non si vede come gli incentivi possano sostenere gli obiettivi dichiarati. Sull’efficienza energetica si fanno dichiarazioni di principio ma non si definiscono gli obiettivi quantitativi dei certificati bianchi, considerati uno strumento fondamentale dallo stesso documento. Da segnalare di positivo che non c’è un aumento di potenza a carbone, la cui produzione rimane sostanzialmente stabile. L’aumento delle rinnovabili va dunque a scapito della produzione da gas naturale e delle importazioni. Se, invece, l’aumento delle rinnovabili andasse in parte a dimezzare la produzione di elettricità da carbone, come chiesto da Greenpeace, si taglierebbero almeno altri 10 milioni di tonnellate di CO2. Invece di continuare a investire ingenti risorse per l’estrazione petrolifera (la stessa bozza di Strategia ricorda che tutte le risorse presenti a terra e a mare si esaurirebbero in cinque anni), è necessario spostare questi investimenti per portare efficienza e rinnovabili al centro del sistema industriale dell’energia.
SPECIALE
NO ALLE TRIVELLEU MARI NUN SI SPIRTUSA
MARE
© Gabriele Mastrilli/Greenpeace
di GIORGIA MONTI
IL CANALE DI SICILIA è uno dei punti più ricchi di biodiversità del Mediterraneo, ma anche tra quelli più minacciati dalla folle corsa al petrolio al largo delle nostre coste. Oltre a quattro piattaforme già attive, nel Canale vi sono ben ventinove richieste di ricerca di petrolio, di cui undici già autorizzate. A beneficiarne grandi compagnie come Shell o ENI, per le quali l’Italia è un vero paradiso fiscale. A rischio non solo l’ambiente, ma il benessere e l’economia delle comunità costiere, dalla pesca al turismo. Per fermare l’avanzata dei petrolieri questa estate Greenpeace è scesa in Sicilia con il tour “U mari nun si spirtusa”. Il nostro obiettivo? Informare le comunità del rischio delle trivellazioni e unirle in difesa del nostro mare, chiedendo ai sindaci dei comuni che si affacciano sul Canale di Sicilia di aderire al nostro appello al Ministero dell’Ambiente e della tutela del Mare per fermare le trivelle. Il tour parte dal capoluogo della Sicilia, Palermo, dove dalla spiaggia di Mondello gli attivisti di Greenpeace “sporchi di
petrolio” simulano gli effetti di un disastro petrolifero accompagnati dal sindaco della città e dall’assessore regionale all’Ambiente. Luna, la barca a vela sulla quale viaggiamo, inizia quindi a navigare verso sud visitando luoghi spettacolari messi a rischio dall’avanzata del petrolio. Dalla riserva naturale dello Zingaro alle Saline di Mozia il nostro messaggio è forte e chiaro: “No alle trivelle nel Canale di Sicilia”. Gli instancabili volontari di Greenpeace scendono sulle spiagge e nelle piazze delle principali località costiere per sensibilizzare le persone e chiedere loro di aderire alla nostra campagna con “Diccilu’ ‘o Sinnacu”, ovvero “Scrivi al tuo Sindaco”. NON SIAMO SOLI Al nostro fianco due siciliani doc, Salvo Ficarra e Valentino Picone che appoggiano con forza questa battaglia: “tutti insieme possiamo e riusciremo a vincere” dicono nel nostro video. La notizia del tour inizia così a diffondersi: in migliaia scrivono ai loro sindaci, le persone riconoscono il logo sulle nostre magliette, i citta-
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dini aspettano il nostro arrivo sulle spiagge. Riusciamo a contagiare i sindaci di tutte le città visitate: da Trapani ad Agrigento i primi cittadini firmano contro le trivellazioni in mare. E mentre l’opinione pubblica si mobilita, anche le associazioni locali e di categoria si uniscono alla nostra battaglia. Un evento storico viene organizzato a Scoglitti, che vede per la prima volta uniti Greenpeace, le associazioni di pescatori e i sindaci della zona. Da qui parte l’idea di un coordinamento sul territorio a tutela del mare e un nuovo incontro con i sindaci viene organizzato a Sciacca. Siamo a metà del tour e sono già ventinove i sindaci che hanno firmato il nostro appello; ma non possiamo fermarci, ne mancano ancora tanti altri. Arriviamo in uno dei punti più suggestivi di questa costa: Scala dei Turchi, un’enorme calata di roccia calcarea che si tuffa nel mare, dichiarata Patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Ci copriamo di finto petrolio e ci disponiamo sulla roccia bianca: oggi siamo "neri contro le trivelle" per evitare
sente in Italia. Insieme alle barche della Lega Navale ci avviciniamo per protestare e, con un enorme banner galleggiante, gridiamo “meglio l’oro blu dell’oro nero!”. Siamo ormai alla fine di questo incredibile viaggio che si conclude con enorme successo. Anche le ultime due città visitate aderiscono: a Siracusa la notizia ci arriva mentre siamo a bordo di Luna con Patrizia Maiorca, a Catania mentre
siamo in spiaggia con i volontari. La nostra campagna ha coinvolto ben 50 sindaci siciliani, il governo della Regione Sicilia, associazioni di pescatori, comitati locali e oltre 56 mila persone che hanno firmato la petizione on line. Tutti uniti per chiedere al Ministero dell'Ambiente e della tutela del Mare di fermare le trivelle e tutelare questo meraviglioso mare e le coste che vi si affacciano.
© Gabriele Mastrilli/Greenpeace
che la storia si ripeta e che ci renda spettatori di disastri come quello del Golfo del Messico. Il tour continua, e ad appoggiare la nostra campagna sono anche lo showman siciliano Sergio Friscia, lo scrittore Andrea Camilleri e l’europarlamentare Rita Borsellino. Il mostro che vogliamo sconfiggere è davanti a noi: al largo di Pozzallo si trova la Vega A di ENI-Edison, la piattaforma offshore più grande pre-
I SEGRETI NASCOSTI DEL CANALE © Greenpeace
COSA SI NASCONDE sui banchi del Canale di Sicilia? Questa estate, insieme ai ricercatori dell’ISPRA, abbiamo dato il via a una spedizione scientifica per documentare la biodiversità dei banchi d’alto mare. Partiti da Mazara del Vallo a bordo della nave Astrea, abbiamo esplorato, con l’ausilio di un veicolo filoguidato dotato di telecamera (ROV), le profondità del Banco Avventura e del Banco di Graham (Isola Ferdinandea).E’ la prima volta che tale tecnologia viene impiegata per monitorare queste aree fino alla profondità di 160 metri. Quello che abbiamo trovato è un universo sottomarino straordinario: praterie sconfinate di gorgonie rosse e bianche, foreste di laminarie, spugne di grandi dimensioni e coralli molli. A queste si alternano anfratti rocciosi che racchiudono i colori sgargianti di spugne incrostanti e anemoni, mentre tra una cavità e l’altra fanno capolino aragoste e pesci San Pietro. Sulle pareti più profonde del Banco di Graham, parte di un complesso vulcanico ancora attivo, siamo stati in grado di osservare tutte e quattro le specie di corallo nero conosciute per il Mediterraneo. I risultati sono degni di nota: in soli due giorni sono state identificate ben
96 specie diverse. Parliamo di dati preliminari a cui seguiranno ulteriori studi, ma che indicano che si tratta di un fondale con un'altissima biodiversità. La nostra spedizione conferma l'enorme ricchezza e fragilità di questi fondali, ove da tempo Greenpeace chiede di istituire delle riserve marine. Ambienti incontaminati come questi andrebbero tutelati e non messi a rischio con le trivellazioni. G.M.
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SPECIALE
UN SANTUARIO AL POLO NORD
LA SCOMMESSA DI GREENPEACE
di REBECCA BORRACCINI
© Daniel Beltrà/Greenpeace
ARTICO
Dalla nostra inviata sull’Arctic Sunrise SUBITO DOPO la deludente conclusione del Vertice sulla Terra di Rio de Janeiro è partito il tour al Polo Nord dell'Arctic Sunrise, la nave rompighiaccio di Greenpeace, che ha segnato il lancio della campagna “Save The Arctic“. Il 4 agosto anch'io sono salita a bordo, come addetta stampa, e per due settimane ho navigato nel mare di Barents, al largo della Russia, in cerca della “Prirazlomnaya”, la prima piattaforma petrolifera nell'Artico di proprietà di Gazprom. Questa piattaforma potrebbe rappresentare l'inizio di una pericolosissima corsa all'oro nero. Per questo Greenpeace chiede la creazione di un santuario nell'Artico. La banchisa polare artica si sta sciogliendo rapidamente e senza il ghiaccio, che riflette nello spazio il calore del sole, le temperature sono destinate a salire. Sarebbe un disastro per tutti ma, paradossalmente, c'è qualcuno che vede nel disastro un'op-
portunità da cogliere. Per giganti dell’energia quali Shell, BP, Exxon, Gazprom ed Eni lo scioglimento dei ghiacci significa via libera alle esplorazioni petrolifere. E queste aziende sono le stesse che contribuiscono ad aggravare la situazione climatica globale continuando a investire in combustibili fossili invece che in rinnovabili. Il sito dove si trova la Prirazlomnaya è ghiacciato per circa nove mesi l'anno e le temperature possono raggiungere 50 gradi sotto lo zero. Né Gazprom né i suoi partner possiedono gli strumenti e le conoscenze per operare in un ambiente così estremo. La probabilità che si verifichino incidenti è molto alta, come altrettanto alta è l’impossibilità di gestire situazioni di emergenza da parti di tali compagnie. Il sistema approntato da Gazprom può reggere una fuoriuscita fino a 1.500 tonnellate di petrolio, ma la piattaforma ne può contenere 120 mila. Intorno al Polo Nord ruotano grandi interessi: i governi degli Stati che si affacciano
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sull'Artico sono in lotta per accaparrarsi queste zone, attualmente appartenenti alla comunità internazionale, per poi concederle alle compagnie petrolifere. Ed è preoccupante il fatto che questi Stati si stiano armando con sottomarini e aerei da combattimento. DIARIO DI BORDO Quando sono arrivata a Murmansk, la capitale polare della Russia, ho saputo che l'Arctic non aveva ottenuto i permessi per ormeggiare in porto. E dopo quattro giorni di navigazione, quando abbiamo raggiunto la Prirazlomnaya, ci è stato intimato di rimanere a una distanza di tre miglia. L'Arctic è la nave peggiore per il mal di mare, chi lavora a Greenpeace lo sa, e per questo viene chiamata the washing machine. Essendo una rompighiaccio, ha la chiglia piatta ed è molto sensibile al movimento del mare. Con il vento a favore, la prima metà del viaggio è andata bene, ma al ritorno è stata dura: disidrata-
© Bern Roemmelt/Greenpeace
zione e capogiri ci hanno accompagnato per tutto il tempo. Con il mal di mare concentrarsi è molto difficile e qualunque cosa appare stancante. Il primo risveglio in mezzo al mare è stato incredibile: attorno a me solo acqua. A volte l'idea di essere così lontana da tutto mi sembrava strana, per quel che ne sapevo il mondo poteva essere scomparso nel frattempo. Ma a bordo non c'è tempo per le speculazioni filosofiche: sveglia alle 7:30, colazione alle 8, poi le pulizie, pranzo a mezzogiorno e cena alle 18. Così viene scandito il tempo e tra un pasto e l'altro si lavora.
I membri dell'equipaggio sono persone eccezionali: non sono ossessionati da orari e scadenze perché quando vivi navigando non te lo puoi permettere. Il mare è più forte e scombina i tuoi piani, meglio essere flessibili. E pronti all’azione. Il giorno più emozionante della navigazione è stato il 24 agosto, quando attivisti da tutto il mondo insieme al direttore internazionale di Greenpeace, Kumi Naidoo, sono entrati in azione per bloccare la Prirazlomnaya e chiedere alla Russia di abbandonare i piani di perforazione in Artico. Sono rimasti appesi alla piattaforma per quindici ore, poi si sono incatenati
all'ancora della nave d'appoggio. L'impresa è durata in tutto cinque giorni: centoventi ore durante le quali gli attivisti sono stati sotto il tiro degli idranti della Prirazlomnaya. ULTIMO MINUTO Record del disgelo annuale del ghiaccio artico dal 1979, quando sono iniziate le rilevazioni satellitari. Gli scienziati statunitensi del National Snow and Ice Data Center comunicano che la superficie coperta dal ghiaccio è ora di 3,41 milioni di chilometri quadri, il 45 per cento in meno rispetto al 1979.
E VENNE IL TEMPO DELLA RIBELLIONE ARTICA È NATO IL MOVIMENTO GLOBALE per salvare una delle aree del pianeta più fragili e minacciate dai cambiamenti climatici. Sul nostro sito www.savethearctic.org più di due milioni di persone hanno chiesto ai leader del mondo di creare un santuario globale al Polo Nord e vietare le perforazioni petrolifere e la pesca industriale nelle acque artiche. La Ribellione Artica è cominciata lo scorso luglio quando i nostri “orsi polari” hanno invaso le capitali di tutto il mondo per protestare contro la distruzione della loro casa: la banchisa polare artica si è ridotta drammaticamente negli ultimi anni e, secondo gli scienziati, il ghiaccio del Polo Nord potrebbe scomparire presto. Alla “ribellione artica” si sono uniti cento personaggi famosi, tra loro Paul McCartney, Penelope Cruz e Robert Redford. In Italia hanno dato il loro sostegno alla campagna Sergio Castellitto, Laura Morante, Margherita Buy, Giobbe Covatta e Claudio Santamaria. Questo movimento ha anche una colonna sonora, quella dei Radiohead, che abbiamo seguito in tutte le tappe del loro tour italiano. L’orsa polare Paula, così simile alla realtà da sembrare vera, si aggirava tra la gente ai concerti della band a Roma, Firenze, © Francesco Alesi/Greenpeace
Bologna, Udine e, insieme agli attivisti di Greenpeace, ha reclutato migliaia di nuovi difensori artici. Su www.savethearctic.org firmare è solo il primo passo. Tutti possono scegliere il proprio animale artico. Vi sentite forti come un orso polare o furbi come una volpe artica? Simpatici come un tricheco o magici come una civetta delle nevi? C’è anche il narvalo, l’unicorno del mare. Una volta scelto l’animale preferito non resta che diffondere la campagna tra amici e contatti: più persone si riescono a portare sul sito, più aumenta il proprio punteggio. Il primo in classifica riceverà un premio straordinario: parteciperà alla spedizione di Greenpeace verso il Polo Nord dove, sul fondo dell’oceano, pianteremo la Bandiera per il Futuro disegnata dai giovani di tutto il mondo, insieme a una capsula artica che conterrà tutti i nomi dei difensori artici. La bandiera mostrerà che la nostra visione di un pianeta verde, sano e pacifico dipende dall'Artico protetto da tutti noi. Il suo stato di salute non riguarda solo gli animali artici e le comunità locali ma tutti noi poiché, riflettendo i raggi del sole con i suoi ghiacci, determina le condizioni meteorologiche di tutto il pianeta. MARIA CARLA GIUGLIANO
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ANCORA PIU’ LUCE PRIMA VITORIA CLIMA BREVE CRONACA di una battaglia iniziata lo scorso marzo. E ancora tutta da giocare, ma che segna una prima vittoria. Parliamo della campagna di Greenpeace contro il killer del clima numero uno del nostro Paese: ENEL. Una campagna che abbiamo titolato “Facciamo Luce Su ENEL” e che ha rappresentato un vero lavoro d’indagine sulla più grande compagnia elettrica italiana, una multinazionale con attività in quaranta Paesi. Perché abbiamo deciso di indagare su ENEL? Semplice: perché del totale dell’elettricità prodotta nel nostro Paese col carbone, quella targata ENEL è pari al 72 per cento. È possibile tradurre questa percentuale in una misurazione degli impatti? Sì.
© Francesco Alesi/Greenpeace
LE PROVE La produzione termoelettrica a carbone di ENEL causa in Italia una morte prematura al giorno e provoca danni in termini monetari di circa 2 miliardi di euro l’anno. Nel resto d’ Europa quella stessa produzione sfiora quasi 1.100 casi di morti premature l’anno e vola a 4,3 miliardi di euro. A fare questi danni è la quantità di C02 emessa che fa piazzare ENEL in pole position con i suoi 36,8 milioni di tonnellate in Italia e che la vede al quarto posto nella più ampia classifica europea, con i suoi 78 milioni di tonnellate. Si pensi che nel nostro Paese le emissioni di anidride carbonica da parte di ENEL sono pari alla somma delle emissioni attribuite al comparto dell’acciaio e del cemento, circa il 55 per cento in più di
quanto attribuito ai grandi gruppi di raffinazione. I primi dati, quelli sull’impatto sanitario ed economico del carbone, sono frutto di una ricerca innovativa, realizzata dall’Istituto di ricerca indipendente olandese SOMO sulla base di una metodologia di ricerca utilizzata dall’Agenzia Europea per l’Ambiente (dunque una metodologia accreditata in seno all’Unione Europea) su dati di emissione ufficiali, certificati peraltro da ENEL stessa. A permetterci invece di quantificare le emissioni di anidride carbonica è l’Istituto Carbon Market Data operante sull’intero continente. Sulla base di queste evidenze Greenpeace, nei mesi scorsi, ha incalzato ENEL in mille modi: sfidandola direttamente durante l’assemblea annuale degli azionisti, consegnando a 100 mila italiani una “vera” bolletta che svela i costi effettivi dell’azienda per il Paese, e ancora, facendo controinformazione in moltissimi eventi sponsorizzati dall’ENEL. Ha realizzato spettacolari azioni di protesta presso il quartier generale di Roma e altrove, ha raccolto sul sito della campagna – www.facciamolucesuenel.org – il sostegno di migliaia di cittadini che chiedono un’azienda diversa, rispettosa del clima, dell’ambiente, della salute. Greenpeace, nello studio commissionato all’Istituto SOMO, ha incluso un piano dettagliato di uscita del carbone, una prospettiva economicamente sostenibile che porterebbe l’ENEL a dimezzare l’uso di quella fonte al 2020, sino ad abbandonarla definitiva-
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SULL’ENEL
di ANDREA BORASCHI
mente entro il 2030, rinunciando intanto alla realizzazione dei nuovi impianti che ha in progetto. ENEL: LA REAZIONE Qual è stata la risposta di ENEL alle richieste della nostra associazione? Un silenzio assordante prima, e poi il tentativo di batterci in tribunale e zittire la nostra protesta a suon di richieste di risarcimento. Greenpeace è stata trascinata in aula con un’accusa: la sua campagna è diffamatoria e lesiva dell’onore di ENEL. Ma il tentativo di censura è stato bocciato dal Tribunale di Roma. La Prima Sezione civile ha riconosciuto che la comunicazione di Greenpeace è commisurata all’evidenza dei dati scientifici prodotti, che dimostrano gli impatti del carbone sul clima e sulla salute umana. “Il nucleo essenziale della notizia riportata da Greenpeace è dunque conforme a verità…”, si legge nella sentenza; dove il giudice scrive anche che gli esiti della ricerca non “sono stati contestati dalle società ricorrenti [gruppo ENEL] essendone peraltro l’ENEL stata portata tempestivamente a conoscenza”. In altre parole, l’azienda non è in grado di smentire le nostre valutazioni. Il giudice ha condannato ENEL a pagare le spese processuali. Greenpeace, anche in virtù di ciò, continuerà a fare luce su ENEL. Come avremmo fatto, del resto, in ogni caso: fin quando vi sarà motivo di battersi per arrestare l’avanzata del carbone, per difendere il clima e il futuro del pianeta.
FAVOLE MANGIA ALBERIMA GLI EDITORI SI IMPEGNANO
FORESTE
“OH CHE DISGRAZIATA e spiacevole faccenda! Sono venute a trovarmi oggi due gentilissime tigri di Sumatra, le signore tigri dicono che per colpa mia non hanno più una casa!? Mia? Qualcuno ha stampato la mia favola con una carta che distrugge la foresta. Come è potuto accadere?” Così avrebbe reagito forse Alice se avesse letto il nostro rapporto “Favole Ammazza Foreste” in cui, nel mese di maggio, abbiamo inchiodato due giganti dell’editoria italiana alle loro responsabilità dimostrando che alcune delle più belle favole per bambini come, appunto, Alice nel Paese delle meraviglie, I tre porcellini ed altre sono stampate su carta proveniente dalle ultime foreste torbiere indonesiane. Sul banco degli imputati specialmente i libri per bambini stampati in Cina, dove le due grandi multinazionali indonesiane della carta APP e APRIL hanno il loro maggior mercato. Il problema è che queste aziende, APP in particolare, per produrre la carta distruggono le foreste e condannano all’estinzione le ultime tigri di Sumatra e specie arboree protette dalla Cites come il ramino.
di CHIARA CAMPIONE
A marzo scorso abbiamo fatto analizzare presso l’Istituto Tedesco della Scienza e Tecnologia della Carta undici libri per bambini, stampati in Cina nel 2011, di Giunti Editore (Giunti Kids e Dami) e del Gruppo RCS (Rizzoli e Fabbri). Le analisi hanno dimostrato che ben quattro degli undici libri analizzati contenevano fibre di legno duro tropicale provenienti dalla distruzione delle ultime foreste indonesiane. Di fronte a risultati così sconcertanti non potevamo che denunciare con tutta la forza possibile le responsabilità di questi editori nei confronti di ecosistemi sempre più fragili e minacciati. Nell’ultimo Salone del libro di Torino abbiamo chiesto a due grandi editori, Giunti e Rizzoli, di diventare “amici delle foreste”. L’attrice e testimonial di Greenpeace Barbara Tabita nei panni di Alice, un attivista vestito da Cappellaio matto e un piccolo corteo di tigri di Sumatra hanno visitato lo stand della Rizzoli con il messaggio “Vietato distruggere le foreste nella mia favola”. La stessa richiesta è arrivata alla Giunti da attivisti vestiti da I tre porcellini. Il Salone Internazionale del Libro di Torino
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è stata inoltre l’occasione per lanciare l’edizione aggiornata della classifica "Salvaforeste". È davvero impressionante come in soli tre anni, attraverso la nostra campagna, sia cresciuto il numero delle case editrici che hanno raggiunto la fascia “verde”, passate da 15 a 76 in soli due anni. Feltrinelli, De Agostini, Mondadori e il Gruppo GEMS infatti hanno adottato le nostre politiche di acquisto della carta a Deforestazione Zero. DEFORESTAZIONE ZERO SI PUO’ Appena un mese dopo le nostre azioni di denuncia e sensibilizzazione al Salone del Libro, Giunti Editore, quarto gruppo editoriale italiano, si è impegnato in una rigida politica degli acquisti della carta a DeforestazioneZero. Dopo alcuni incontri tra Greenpeace e il gruppo Giunti, quest'ultimo si è impegnato ad escludere dalla filiera di tutte le case editrici del gruppo editoriale la presenza di carta proveniente da fonti "a rischio deforestazione". In particolare, Giunti ha intrapreso misure formali per escludere categoricamente l'uso di carta prodotta
da multinazionali controverse come APP e APRIL. Il percorso virtuoso intrapreso porterà Giunti a utilizzare da subito solo carta riciclata in 39 importanti collane per raggiungere nel 2014 un obiettivo complessivo fra il 40 e il 50 per cento di utilizzo di fibre riciclate , mentre il resto della produzione sarà stampato su carta certificata FSC (Forest Stewarship Council). Non finisce qui: anche l'editore Newton Compton ci ha infatti comunicato di aver interrotto i propri rapporti commerciali con l'azienda "mangia foreste" APP. Sellerio, inoltre, ha scelto di orientarsi per la maggior parte della propria produzione verso carte certificate. Dal Gruppo RCS continua invece un vergognoso silenzio per il quale siamo davvero indignati. Per questa ragione, la nostra campagna va avanti con forza fino a quando l’ultimo colosso dell’editoria italiana dirà un No forte e chiaro alla deforestazione. Seguiteci su www.deforestazionezero.it e continuate a preferire quei libri che, oltre a raccontare storie meravigliose, sono buoni con le foreste e le ultime tigri di Sumatra.
IL CODICE FORESTALE è stato fino ad oggi il principale strumento legale per proteggere la foresta amazzonica in Brasile. Le modifiche che il governo ha varato in seno a tali leggi accelerano però non di poco la distruzione di uno degli ultimi polmoni del pianeta. Quando il Congresso e il Senato brasiliano hanno approvato gli emendamenti al Codice Forestale, la presidente Dilma Rousseff aveva l’opportunità di dire l’ultima parola mettendo il veto a queste modifiche. A maggio, dopo aver ricevuto da parte di Greenpeace, WWF e Avaaz due milioni di firme raccolte in tutto il mondo e la visita dei nostri attivisti presso le ambasciate brasiliane di quattordici città del mondo, Dilma ha deciso purtroppo di mettere il veto solo su dodici parti della nuova legge e ne ha modificate trentadue. Cosa significa questo? Che in futuro sarà possibile convertire aree forestali vicino agli argini fluviali con buona pace della biodiversità degli ecosistemi, contigui al Rio delle Amazzoni. Questi nuovi limiti verranno stabiliti via via dai singoli Stati brasiliani. Inoltre, verrà garantita l’amnistia a chi ha commesso reati di deforestazione illegale prima del luglio 2008. Criminali forestali già condannati non dovranno quindi pagare le multe o riparare al danno ambientale. DATI SHOCK L’Università di Brasilia ha stimato che con il nuovo Codice Forestale il tasso di deforestazione aumenterà del 50 per cento entro il 2020 con buona pace dell’impegno preso solamente due anni fa dal governo brasiliano di ridurre la
deforestazione dell’80 per cento entro la stessa data. Se questa proiezione si rivelasse veritiera perderemmo 22 milioni di ettari di foresta amazzonica, un’area grande quanto il Regno Unito. La nave di Greenpeace Rainbow Warrior si è impegnata in un lungo tour in Brasile per documentare i crimini forestali sul Rio delle Amazzoni e per mostrare ai leader mondiali le soluzioni sostenibili a disposizione per salvare l'Amazzonia nella Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile svoltasi a Rio de Janeiro a giugno. Oggi abbiamo raccolto quasi 500 mila firme a sostegno della proposta di legge popolare "Deforestazione Zero", che garantirebbe la protezione integrale del più importante polmone verde del pianeta. Ogni giorno l’equipaggio di Greenpeace incontrava centinaia di persone della popolazione rurale e indigena che hanno potuto denunciare formalmente i crimini di deforestazione illegale. Dopo una protesta di dieci giorni ancorati a una nave trasportante ferro-ghisa collegato alla deforestazione e al lavoro schiavile, l’industria ha preso l’impegno di eliminare dalla catena di approvvigionamento il legno amazzonico usato come carbone per produrre la ghisa. L’Amazzonia è qualcosa di più di un ecosistema, di una grande foresta, di un’immensa area da proteggere. L’Amazzonia è il nostro futuro! Un importantissimo deposito di carbonio che aiuta l’intero globo a prevenire i disastrosi effetti dei cambiamenti climatici. E noi di Greenpeace ci battiamo affinché venga protetta. C.C.
© Rodrigo Paiva/Greenpeace
Davide Bozzalla/Greenpeace
NON C’E’ PACE PER L’AMAZZONIA
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STORIA DI UNA BONIFICA
INQUINAMENTOdi FEDERICA FERRARIO LO SMALTIMENTO dei rifiuti tossici dell’ex Sisas, l’impianto chimico alla periferia di Milano, non è avvenuto nei tempi e nelle modalità previste. Greenpeace, dopo esposti e indagini sul campo, presenta formale denuncia alla Commissione europea. Una storia a base di corruzione e di negligenze tra il Governo italiano e l’Unione europea, con contorno di tangenti. La vicenda è quella del Sito di Interesse Nazionale (SIN) di Pioltello-Rodano, alle porte di Milano, ed è una storia che puzza di bruciato con oltre 300.000 tonnellate di rifiuti, nerofumo contaminato da mercurio, idrocarburi policiclici aromatici, ftalati, e ancora molti punti interrogativi sulle operazioni di bonifica. Si tratta di una storia i cui principali attori pensavano di aver insabbiato il 28 marzo dell’anno scorso, con una conferenza stampa dai toni trionfali. L’ex ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo annunciava infatti, insieme al governatore della Regione Lombardia Roberto Formigoni, al commissario alla Bonifica Luigi Pelaggi (attualmente sotto indagine per una sospetta tangente di 700 mila euro) e al commissario europeo per l'Ambiente Janez Potocnik, la chiusura dei lavori di bonifica nell’area industriale ex Sisas, tra i comuni di Pioltello e Rodano. La Commissione europea ha approvato senza discussioni il resoconto del governo italiano, evitando - in extremis - di multare l'Italia con una sanzione di oltre 400 milioni di euro per mancata bonifica.
UNA SPORCA VERITA’ Greenpeace denunciava da tempo i molteplici aspetti della vicenda non ancora chiariti. Così lo scorso 27 giugno, come ultimo atto, ha consegnato alla Commissione europea una denuncia formale ricalcante una sporca verità. E’ stato dimostrato infatti come la Commissione abbia retto il gioco alle autorità italiane sulla bonifica della ex Sisas prolungando i lavori di bonifica bel oltre il 28 marzo, per la precisione fino al 30 dicembre 2011. Un “prolungamento” che ha coinvolto circa 30 mila tonnellate di rifiuti, più della metà pericolosi. Nella denuncia Greenpeace presenta tra l'altro i bandi di gara relativi alla rimozione di fusti interrati contenenti rifiuti pericolosi che sono stati scoperti - non è chiaro quando - a margine delle discariche precedentemente vuotate, nel cosiddetto "Lobo C". Queste "operazioni aggiuntive" sono avvenute tutte sotto il naso della Commissione europea. Il fantomatico Lobo C è una zona a margine delle discariche B e C, oggetto dei lavori di bonifica, e come affermato dal commissario alla Bonifica - l’avvocato Luigi Pelaggi - durante l'audizione dello scorso ottobre di fronte alla Commissione bicamerale sul ciclo dei rifiuti, in quella zona erano stati seppelliti “fusti con materiale pericoloso e, poiché le analisi non erano positive, abbiamo proceduto a scavare sempre più”. Le questioni dolenti non si limitano però
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alle tempistiche. Non è noto quali siano stati i criteri utilizzati per la caratterizzazione dei rifiuti - pericolosi e non pericolosi presenti nelle discariche. Non è tutt'oranota la destinazione finale di parte dei rifiuti nè il luogo in cui è stata smaltita la frazione di rifiuti pericolosi più contaminata da mercurio, un elemento fortemente tossico, com'è noto fin dal tempo dei Romani. L’APPENDICE SPAGNOLA Ma ci resta ancora la “ciliegina sulla torta”: la spedizione di 25 mila tonnellate di rifiuti pericolosi alla discarica spagnola di Nerva, in Andalusia. Dove Greenpeace ha documentato fotograficamente lo scarico dei rifiuti italiani senza l'obbligatorio trattamento di stabilizzazione fisico-chimico e dove i rifiuti di origine italiana hanno magicamente preso fuoco, per ben due volte, nel giro di pochi mesi. Peccato che la Commissione abbia ritenuto opportuno chiudere anche quest'aspetto delle indagini nonostante il trasferimento si configuri come una spedizione illegale ai sensi delle normative comunitarie. Pare esserci una sola certezza: la bonifica della ex Sisas si conferma un caso esemplare dell'inadeguatezza delle "gestioni emergenziali" delle bonifiche, con il consueto alone di mistero che ancora oggi avvolge parte delle attività svolte, assieme, alla tendenza di una parte delle istituzioni, italiane ed europee, a chiudere gli occhi di fronte all'evidenza. Non è ora di far uscire la verità?
Pedro Armestre/Greenpeace
IL GIOCO DELLO SCARICABARILE
UN PROCESSO SBAGLIATO L’INTERVENTO DI GREENPEACE IN FRIULI
OGM
© Matteo Nobili/Greenpeace
di FEDERICA FERRARIO
COSA FARESTI se camminando per strada e costeggiando un giardino privato, scorgessi al suo interno del petrolio fuoriuscire da una tubazione? Cercheresti sicuramente di attirare l'attenzione sul problema per evitare lo sversamento e il conseguente pesante danno ambientale. E se dopo aver contattato tutte le autorità preposte non succedesse nulla? A quel punto avresti due possibilità: rimanere impassibile oppure intervenire in prima persona per fermare il disastro. Il buon senso dice di intervenire, e così fai anche tu. Entri nella proprietà privata, “chiudi il rubinetto” e impedisci la dispersione in ambiente. A lavoro fatto anche le autorità pubbliche finalmente si muovono e il proprietario del giardino viene condannato, avendo volontariamente dato il via all'inquinamento. Le persone che vivono nella zona ti ringraziano per aver difeso il territorio. La proprietà viene posta sotto sequestro per evitare che l'atto illegale venga ripetuto, e comincia la conta dei danni. Nella realtà, il giardino rappresenta due campi di mais in Friuli e il petrolio la coltivazione illegale di mais OGM della Monsanto (il MON810), il cui polline OGM nel luglio del 2010 si stava disseminando sull'area circostante contaminando di con-
seguenza coltivazioni convenzionali e ambiente. E le autorità vi chiederete? Tardavano ad intervenire. ECCO COM’E’ ANDATA Due anni fa sono stati gli attivisti di Greenpeace a mettere in quarantena la coltivazione di mais OGM seminato illegalmente, tagliando e mettendo in sicurezza la parte superiore delle piante di mais transgenico e prevenendo la contaminazione. Dopo questo intervento, le autorità nazionali e regionali si sono finalmente mosse. I campi sono stati posti sotto sequestro, insieme all'azienda agricola, ed è stata ordinata la distruzione del mais transgenico. Il proprietario è stato condannato al pagamento di una sanzione di 30 mila euro e gli agricoltori confinanti erano felici che la contaminazione fosse terminata. Nella primavera del 2011 inoltre, è stata approvata la nuova legge regionale che vieta espressamente la coltivazione di OGM. La denuncia per violazione di proprietà privata nei confronti della responsabile della campagna OGM di Greenpeace è stata archiviata e le accuse rigettate, dato che il giudice ha stabilito la necessità di prevenire la contaminazione. Per questo intervento, volto ad arginare la contaminazione, ora gli attivisti intervenu-
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ti dovranno affrontare un processo che inizierà nei prossimi mesi con l'accusa di invasione di terreno agricolo e con una multa complessiva di oltre 86 mila euro. Tutto ciò mentre diventano sempre più numerosi i riscontri dei problemi legati agli OGM in ambiente. Ormai siamo tutti consapevoli che le coltivazioni di OGM resistenti agli erbicidi, come la soia OGM, stanno causando un aumento massiccio dell'uso di prodotti chimici per cercare di arginare le piante infestanti diventate a loro volta resistenti agli erbicidi. Lo stesso fenomeno sta inesorabilmente avvenendo anche per gli OGM resistenti a un determinato parassita, come il mais OGM. Con popolazioni di parassiti che teoricamente sarebbero dovuti soccombere di fronte alle coltivazioni di mais OGM Bt (in grado di produrre una tossina insetticida), che invece stanno già sviluppando la resistenza solo pochi anni dopo la messa in commercio dei nuovi fantomatici OGM. Cosa che costringe gli agricoltori interessati dal problema a disseminare le coltivazioni di pesticidi, nonostante abbiano già pagato il sovrapprezzo per le costose sementi coperte da brevetto. Morale? Con gli OGM in agricoltura non si risolvono problemi e al processo lo ribadiremo a voce alta.
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1. Alaska, Stati Uniti – Il sommergibile a bordo
4. Manila, Filippine – Greenpeace fuori dal
2. Pechino, Cina – Gli oranghi di Greenpeace chie-
5. Amsterdam, Olanda – Un enorme carrello della
dell'Esperanza per esplorare i fondali dell'Artico. © Jiri Rezac/Greenpeace.
dono a KFC di non distruggere le foreste pluviali. © Ma Dong/Greenpeace.
3. Johannesburg, Sud Africa – Attivisti di Green-
peace protestano contro lo sviluppo del nucleare in Sud Africa e nel resto del continente africano. © Shaine Robinson/Greenpeace.
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Dipartimento dell'Agricoltura filippino per dire no agli ogm. © VJ Villafranca/Greenpeace. spesa si mangia la foresta. Greenpeace chiede ai supermercati Macro di fermare la vendita di carne proveniente dalla distruzione dell'Amazzonia. © Greenpeace/Bass Beentjes.
6. Lussemburgo – Greenpeace protesta durante il Consiglio Europeo della pesca contro il sovrasfruttamento delle risorse ittiche. © Greenpeace.
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7. Londra, Gran Bretagna – Paul McCartney è testi-
10. Padmapur, India – Brikesh Singh, attivista di
8. Mar di Pechora, Artico – Il gommone di Green-
11. Seul, Corea del Sud – Attivisti chiedono al gover-
monial della campagna Save the Arctic di Greenpeace. © MPL Communication Ltd./MJ Kim.
peace contro una piattaforma petrolifera della Gazprom nell'Artico.© Denis Syniakov/Greenpeace.
9. San Luis, Brasile – Attivisti vestiti da delegati delle
Nazioni Unite e del Governo brasiliano bloccano una nave per denunciare la distruzione delle foreste brasiliane durante il vertice Rio+20 dell'Onu. © Marizilda Cruppe/Greenpeace.
Greenpeace, protesta contro la distruzione della foresta di Chandrapur. © Sunny L/Greenpeace.
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no di Seul di fermare i piani per la ripresa della caccia alle balene per "scopi scientifici". Alex Hofford/Greenpeace. . Londra, Gran Bretagna – Thom Yorke: i Radiohead sostengono Greenpeace nella campagna in difesa dell'Artico. © Nick Cobbing/Greenpeace.
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CLICK & CO.
di MASSIMO GUIDI
COME GREENPEACE HA CAMBIATO I FRIGORIFERI
due catene della grande distribuzione – Coop e Carrefour – per fare il punto sui progressi nella sostituzione di questi gas nella catena del freddo. Ed è stata anche l’occasione per riepilogare lo sviluppo delle soluzioni alternative, cioè delle tecnologie Greenfreeze, che usano sostanze naturali come fluidi refrigeranti e per le schiume isolanti (a seconda delle diverse applicazioni: miscele di idrocarburi, ammoniaca, CO2, acqua o aria). Si tratta di tecnologie promosse proprio da Greenpeace che, coinvolgendo un gruppo di tecnici del settore, fece progettare nel 1992 un’alternativa ai gas fluorurati. La messa al bando dei CFC (clorofluorocarburi), stabilita dal Protocollo di Montreal per la protezione della fascia d’ozono, prevedeva infatti la cessazione della produzione dal 1996 nei Paesi industrializzati, ma non nei Paesi in via di sviluppo come India e Cina. Le sostanze alternative che furono sviluppate dall’industria – gas fluorurati come gli HFC - presentano un impatto ridotto o nullo sulla fascia d’ozono, ma sono potenti gas serra. Dunque c’era bisogno di un’alternativa a basso impatto e che fosse libera dalle royalties industriali. Per questo Greenpeace ha ricevuto il riconoscimento dell’Unep, l’agenzia ambientale dell’Onu. Il primo Greenfreeze fu prodotto nel 1993 in Germania, a seguito di una campagna di Greenpeace, e venne scelto da 70 mila consumatori. Oggi queste tecnologie hanno conquistato grandi fette di mercato: oltre il 90 per cento dei frigoriferi nella Ue e il 75 per cento in Cina sono prodotti con questo standard. Molto è stato fatto e colossi aziendali – da Coca-Cola a Unilever – hanno adottato la tecnologia e sottoscritto la campagna di Greenpeace. Rimangono ancora alcune applicazioni, come i condizionatori per auto, su cui l’industria non vuole ancora convertirsi. G.O.
© Greenpeace/Alan Hindle
UN RECENTE STUDIO, pubblicato su Science, ha rilanciato il tema degli HFC: con l’espansione del mercato dei sistemi di refrigerazione e condizionamento questi gas potrebbero pesare sul cambiamento climatico fino al 27 per cento da qui al 2050, mentre oggi influiscono per circa l’8 per cento. Un seminario che abbiamo organizzato a fine giugno presso i Frigoriferi Milanesi è stato anche l’occasione di un confronto con
SALVA L’ULTIMA FORESTA BAVARESE
© Andreas Varnhorn/Greenpeace
GREENPEACE LOTTA per ottenere la totale protezione delle ultime foreste di faggio rimanenti in Germania dopo aver fatto uno studio sulle zone potenzialmente a rischio di deforestazione, in cui ha proposto di stabilire una rete di riserve naturali interconnesse. A febbraio di quest’anno gli attivisti di Greenpeace hanno protestato per la continua distruzione delle foreste di faggi, installando un campo 50 chilometri a est di Francoforte, e hanno mappato con strumenti Gis i limiti di queste aree. Pur essendo territorio dello stato, i governi provinciali e le società pubbliche che lo gestiscono non hanno mai messo a disposizione con trasparenza le informazioni necessarie. Greenpeace ha avviato procedimenti giudiziari nei confronti di tre governi provinciali e ha presentato una denuncia alla Commissione Europea circa l'introduzione di specie arboree aliene all’interno delle aree protette. Dopo sei mesi di duro lavoro, il governo della provincia di Baviera e l’azienda che gestisce questo territorio hanno annunciato che lasceranno intatti i boschi di faggio di più di 180 anni e i querceti di più di 300. Nonostante sia un primo passo in risposta alle nostre azioni, la situazione resta critica e Greenpeace continuerà a impegnarsi per ottenere una moratoria da parte di tutte le province coinvolte fino a raggiungere il 10 per cento di aree protette, che è l’obiettivo dichiarato dal governo tedesco. C.C.
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© Gordon Welters/Greenpeace
© Greenpeace/Ludvig Tillman
VESTITI TOSSICI ADDIO IL MARCHIO DI ABBIGLIAMENTO H&M ha aderito all’impegno globale di bandire qualsiasi ulteriore utilizzo di sostanze tossiche quali i PFC (composti perflorurati) entro il 1 gennaio 2013. Una buona notizia. H&M mantiene dunque l’impegno assunto con Greenpeace di eliminare il rilascio di sostanze tossiche dalla sua catena di produzione e dai suoi prodotti e invia un chiaro messaggio alle industrie tessili secondo cui l’utilizzo di queste sostanze chimiche altamente tossiche e che possono alterare il sistema ormonale dell’uomo non è necessario. H&M si è unita ad altri noti marchi del settore come Puma, Nike, Adidas, C&A, LiNing e G-Star nella sfida, lanciata da Greenpeace, di raggiungere l'obiettivo Scarichi Zero entro il 2020. Ci aspettiamo che anche gli altri marchi della moda che prestano attenzione alla sicurezza dei propri clienti e all’ambiente, rispondano con eguale ambizione e prontezza al divieto di utilizzo dei composti perflorurati. L’invito, in particolare, è rivolto a W.L. Gore, il creatore di “Gore Tex”: gli amanti del trekking e degli sport all'aria aperta ne sarebbero felici. Anche il noto marchio tedesco dell’abbigliamento outdoor Jack Wolfskin ha aderito alla roadmap per arrivare a una produzione tessile più pulita e sostenibile, ma ancora mancano obiettivi concreti e termini temporali. Mentre andiamo in stampa Inditex, uno dei maggiori gruppi di distribuzione di moda a scala mondiale, proprietario di marchi come Zara, Massimo Dutti e Bershka, ha annunciato di volersi muovere nella stessa direzione. E i consumatori apprezzano. GABRIELE SALARI
NUOVA GOLF, VECCHIA EFFICIENZA GREENPEACE HA PROTESTATO a Berlino in occasione della presentazione della nuova Golf 7. La nuova flotta Golf emetterà 150 milioni di tonnellate di CO2 (l'equivalente delle emissioni annue del Belgio), ma queste sarebbero potute essere ridotte di un terzo se solo la Volkswagen avesse applicato le tecnologie esistenti. Perché il maggior produttore di auto al mondo non impiega le migliori tecnologie per la riduzione dei consumi nei suoi modelli più venduti? La nuova Golf 7 consuma solo 0,4 litri in meno della versione a benzina più economica della Golf 6. Per Volkswagen, che cerca di accreditarsi come attento all'ambiente e al clima, un bel fallimento. Per i consumatori che si confrontano ogni giorno con il crescente prezzo della benzina una vera beffa. Sarebbe stato possibile invece produrre una vettura che consumi 3 litri di benzina al chilometro, con emissioni di 80 grammi di CO2. L'anno scorso, Greenpeace aveva chiesto direttamente a Volkswagen di fissare concreti obiettivi ambientali nella sua strategia aziendale, ma l'azienda ha interrotto il dialogo avviato. L’azienda tedesca deve non aver apprezzato troppo il video di Greenpeace, realizzato con un team di creativi che include vincitori di premi Oscar ed esperti di effetti speciali da Hollywood, che fa la parodia dello spot della Volkswagen Passat, il maggior successo virale della Rete di sempre. Nel video personaggi di Star Wars in tenerissima età sfidano un piccolo Darth Vader mentre una Morte Nera con il marchio Volkswagen minaccia di distruggere la Terra. Lo spot è disponibile su www.greenpeace.org/italy/it/multimedia/Video/ Volkswagen---La-Forza-Oscura. G.S.
BREVI DAL MONDO
IN RICORDO DI ALFREDO
ALFREDO TADINI Nato nel 1937 a Milano e scomparso nel luglio scorso, ha lasciato parte della propria eredità a Greenpeace ed Emergency. Alfredo nutriva una sana avversione verso le aggressioni che il nostro pianeta subisce quotidianamente e questo lascito farà in modo che il suo impegno per un futuro verde e di pace continui oltre la sua vita. Ci sentiamo molto onorati da questa decisione e questo sarà un ulteriore motivo per dimostrarci all'altezza di tanta fiducia. Insieme alla nipote Adonella e alla sua famiglia, ricordiamo con affetto Alfredo Tadini.
È ARRIVATO IL CALENDARIO 2013 Entra nel sito e scopri le nuove immagini: www.greenpeace.org/italy/calendario2013 Per informazioni: augusto.carta@greenpeace.org 06.68136061 [int. 231].
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Greenpeace/Ardiles Rante
Il lascito a Greenpeace. Per lasciare il 0ianeta, senza abbandonarlo. Siamo custodi del Pianeta solo per un breve momento. Il lascito testamentario a Greenpeace è un modo concreto per difendere la Terra dal riscaldamento globale, dalla deforestazione, dall’inquinamento, dalla pesca distruttiva. È un gesto che onorerà la tua memoria, perpetuerà i tuoi ideali e contribuirà a creare un futuro verde e di pace. Per informazioni: luigi.lingelli@greenpeace.org | Tel. 06.68136061 - interno 229 | Fax 06.45439793
www.greenpeace.it