107 - Missione pesca

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MISSIONE PESCA

n째centosette

GREENPEACE NEWS - N.107 - IV TRIMESTRE 2012 - ANNO XXVI


SOMMARIO

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MARE

Missione pesca sostenible

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5 MARE

Appello a Clini

CLIMA

Energy revolution

11 NUCLEARE Stress test

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10 OGM

Un futuro al veleno?

NEWS PERIODICO DI GREENPEACE ITALIA

CLICK & CO.

FORESTE

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Monocolture che avanzano

14 DAL MONDO

Direttore editoriale/ Andrea Pinchera Direttore responsabile/ Fabrizio Carbone Redazione/ Serena Bianchi, Laura Ciccardini, Maria Carla Giugliano, Valeria Iovane, Ambra Lattanzi, Luigi Lingelli, Felice Moramarco, Cecilia Preite Martinez, Gabriele Salari Archivio foto/ Massimo Guidi Internet/ Alessio Nunzi Progetto grafico/ Saatchi&Saatchi Impaginazione/ Francesca Schiavoni, Paolo Costa Redazione e Amministrazione/ Greenpeace ONLUS Via della Cordonata, 7 00187 Roma email: info.it@greenpeace.org tel: 06.68136061 fax: 06.45439793 Ufficio abbonamenti/ Augusto Carta tel: 06.68136061(231) Sped. in abb. postale -Art.1, Comma 2 - Legge 46/2004 - DBC Roma

Abbonamento annuo 35 Euro

Aut. Tribunale di Roma 275/87 del 8.5/87

Foto copertina/ © Paul Hilton/Greenpeace Questo periodico è stampato su carta amica delle foreste: carta riciclata contenente alte quantità di fibre post-consumo e sbiancata senza cloro. L’involucro per l’invio del Greenpeace News è in Materbi, un materiale derivato dal mais, completamente biodegradabile.

EDITORIALE di GIUSEPPE ONUFRIO

LA CAMPAGNA PER LA SALVAGUARDIA dell’Artico – per fermare l’estrazione petrolifera off-shore e lo sfruttamento industriale della pesca – ha superato i due milioni di sostenitori nel mondo (quasi 100 mila italiani). Per il 2012 sia Shell che Gazprom hanno fermato le operazioni di esplorazione petrolifera contro cui Greenpeace ha svolto diverse azioni di protesta sia a mare su piattaforme e navi appoggio, che a terra come alla sede moscovita del colosso energetico russo. In Olanda Shell ha portato Greenpeace in tribunale – per ottenere una sentenza di ingiunzione che blocchi le azioni di protesta – e ha perso: il diritto a protestare è inalienabile in democrazia. Dunque anche in questo caso – come successo lo scorso luglio con Enel in Italia – un colosso industriale cerca di eliminare chi lo critica denunciandolo ai giudici. Una cattiva abitudine segno di un atteggiamento arrogante e insofferente alla critica. Le operazioni di esplorazione nell’Artico – ovviamente – riprenderanno nella prossima estate quando, grazie all’aumento dello scioglimento estivo dei ghiacci artici causato dai cambiamenti climatici, la navigazione e queste attività sono possibili e con minori rischi che in passato. Per questa ragione la campagna Artico rimarrà la priorità di Greenpeace nel mondo anche per l’anno prossimo. Nel nuovo scenario globale Energy [R]evolution, sviluppato dall’istituto DLR tedesco per conto di Greenpeace ed Erec (Consiglio europeo delle rinnovabili), si riportano anche le stime delle riserve di petrolio e si dimostra come, sulla base delle informazioni ufficiali, le quantità di petrolio cosiddetto “non convenzionale” – come ad esempio quello presente sotto l’Oceano Artico – siano quantità abbastanza marginali. L’analisi dello scenario dimostra come il gioco non vale la candela, perché una rivoluzione energetica basata su efficienza e rinnovabili può sostituire quelle quantità.

Se a livello globale si può fare a meno del petrolio dell’Artico, a maggior ragione questo vale per l’Italia, visto che il petrolio estraibile a mare è meno del 2 per cento delle riserve esistenti in Italia, che in totale corrispondono a soli cinque anni di consumi. L’analisi specifica per l’Europa prevede la possibilità tecnica ed economica di una accelerazione del settore delle rinnovabili che produrrebbe, tra l’altro, mezzo milione di posti di lavoro in più, due terzi dei quali grazie al solare e all’eolico. In Italia il governo Monti ha sostanzialmente rallentato proprio questi due settori e va avanti con una proposta di Strategia Nazionale che prevede le trivellazioni a mare e non convince sugli strumenti previsti per raggiungere gli obiettivi (più ambiziosi i rispetto al passato, va sottolineato) per le rinnovabili e l’efficienza. Nei prossimi mesi cercheremo di portare all’attenzione l’importanza delle scelte energetiche, anche in vista delle elezioni della prossima primavera. Le nostre priorità: cancellare dal futuro energetico italiano le trivellazioni petrolifere a mare, eliminare i progetti di nuove centrali a carbone il cui uso deve invece almeno dimezzarsi entro il 2020, e promuovere la rivoluzione energetica basata su efficienza e rinnovabili. Si tratta di pilastri fondamentali per costruire un futuro più sostenibile e per rispondere, almeno in parte, alla profonda crisi economica attuale e creare decine di migliaia di posti di lavoro puliti. E non dimentichiamoci che a gennaio saremo chiamati in tribunale per aver tagliato e messo in sicurezza la parte superiore di piante di mais transgenico in un campo in Friuli, prevenendo la contaminazione. Tutto ciò mentre sono sempre più numerosi i riscontri dei problemi legati agli OGM in ambiente.


MISSIONE PESCA SOSTENIBILE OCEANO INDIANO

MARE

© Paul Hilton/Greenpeace

di GIORGIA MONTI

Dalla nostra campaigner sulla Rainbow Warrior III

SONO SALITA A BORDO della Rainbow Warrior III nel porto di Maputo, in Mozambico. La nave aveva appena concluso due settimane di monitoraggio nelle acque di questo paese con a bordo ufficiali del ministero della Pesca. Per mancanza di risorse il paese africano fa fatica a controllare i pescherecci stranieri che troppo spesso saccheggiano il mare per prelevare tonni o squali a rischio d'estinzione, per questo abbiamo offerto loro il nostro aiuto. Il tour di Greenpeace in Oceano Indiano è iniziato in Sudafrica e dopo il Mozambico attraverserà le zone di pesca al largo del Madagascar, Isole Mauritius fino alle Maldive. Dall'Oceano Indiano proviene circa un quarto del tonno pescato a livello globale ed è qui che si concentrano le barche europee e asiatiche impegnate nella pesca al tonno. Si tratta di una zona tra le più colpite dal problema della pesca. Si stima che circa il 18 per cento della pesca in quest'area sia illegale, non dichiarata o non regolamentata. A bordo della Rainbow Warrior vogliamo documentare quello che sta succedendo e offrire agli stati costieri la nostra collaborazione per sviluppare un modello di pesca sostenibile e garantire un futuro a risorse che per loro sono fonte vitale di cibo e lavoro.

Dopo tre giorni di navigazione intercettiamo i primi pescherecci. Sono barche della flotta spagnola che, dopo aver esaurito le risorse dei propri mari, si spingono adesso sempre più lontano in cerca dell’”ultimo” pesce. Ne seguiamo uno sul radar e alle 6.30 del mattino sono sul ponte per chiedere al capitano il permesso di salire a bordo a documentare la pesca. L'interesse è tanto: molto del tonno che finisce sulle nostre tavole in Italia proviene da questo oceano, ma pochissime persone conoscono i veri costi di questa pesca. Mentre controllo la documentazione, i pescatori iniziano a tirare su la lenza: tonni pinna gialla, tonno obeso, un marlin, due enormi pesci spada e… uno squalo. La linea di nylon con cui pescano è lunga 80 chilometri e ha attaccate oltre 1.200 lenze. Non oso immaginare quanti animali possano essere uccisi da una barca da pesca come questa senza che vi siano osservatori a bordo a controllare che vengano ridotte le catture accidentali. SOLO PER UNA PINNA Per gli squali che abboccano all’amo il destino è crudele. Dopo altri cinque giorni di navigazione intercettiamo tre pescherecci asiatici. Sul primo il capitano ci fa salire solo dopo due ore. Tempo utile per mettere tutto in regola. Libri di bordo perfettamente compilati, nessun tonno sotto misura, nessuno squalo e nessuna

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pinna di squalo! È quasi impossibile trovare un peschereccio taiwanese senza pinne di squali. Le pinne vengono vendute a prezzi molto alti sul mercato asiatico, fino a 740 dollari al chilo. E ogni anno si stima che vengano uccisi tra 26 e 73 milioni di squali per venderne le pinne. Circa ottomila squali uccisi in un’ora. Senza concedere nemmeno un minuto per fare ordine e pulizia, saliamo sugli altri due pescherecci. Bingo! Le stive sono piene di pinne ma non c’è traccia del corpo. Tagliare la pinna agli squali e ributtarli in mare vivi è una pratica illegale ma tristemente comune sui pescherecci asiatici che pescano con palamiti. Si stima che il numero di squali nel mondo si sia ridotto di circa l’80 per cento, e un terzo delle specie di squalo oggi è considerata a rischio. Questo sistema senza scrupoli che saccheggia i mari per una scatoletta di tonno miete anche altre vittime… Sui pescherecci su cui salgo incontro pescatori indonesiani, vietnamiti e filippini che, intrappolati in acque lontane per anni, pescano tonno in condizioni al limite dell’umanità. Sei mesi in mare, qualche giorno in porto e poi di nuovo in oceano aperto senza rivedere le proprie famiglie per anni. Ci raccontano che i loro turni sono di quattordici ore al giorno sotto un capitano cinese che a stento capiscono, con un salario che raramente supera i 250 dollari al mese.


In Italia si consumano oltre 140 mila tonnellate di tonno in scatola all'anno e molto del tonno consumato viene importato proprio dall'Oceano Indiano. Le scelte dei consumatori possono fare la differenza in queste acque lontane. Dobbiamo chiedere all’industria del tonno in scatola di comprare solo tonno pescato in modo sostenibile ed equo, preferendo le piccole flotte dei paesi costieri dove i guadagni sono equamente distribuiti. Nel Regno Unito le maggiori aziende del

settore si sono impegnate a usare solo tonno pescato con canna o senza FAD (sistemi di aggregazione per pesci), incoraggiando gli stati dove si pesca il tonno a andare in questa direzione. Cosa aspettano le aziende italiane? Un esempio importante nella regione sono le Maldive che hanno sviluppato una flotta di pesca a canna. in grado di offrire ai pescatori lavoro e un salario equo, e all’oceano un futuro. Questa è la speranza che la Rainbow Warrior vuole portare nell’Oceano Indiano.

© Paul Hilton/Greenpeace

TONNO NOSTRO Dall’altro lato c’è il tonno – in questa stagione è l'alalunga – venduto a circa 75 dollari al pezzo. Il capitano ci dice che pescano tra i venti e gli ottanta tonni al giorno, insieme ad altri pesci e squali. Il calcolo è facile: qualcuno molto lontano da queste acque e questo duro lavoro sta guadagnando un sacco di soldi a scapito dell'ecosistema marino e dei lavoratori costretti a condizioni durissime per sfamare i propri cari.

LA NUOVA RAINBOW A VELE E ALI SPIEGATE QUANDO SONO ARRIVATA al porto di Maputo ho visto la Rainbow Warrior III da lontano, i due alberi enormi a forma di “A”, di oltre 55 metri di altezza, svettavano al di sopra degli edifici con le loro luci rosse. Sono rimasta senza parole. Ero particolarmente affezionata alla vecchia Rainbow Warrior II con cui ho navigato ben quattro volte, ma questa nuova nave, lunga oltre 57 metri, è semplicemente perfetta per il lavoro di Greenpeace. E in queste tre settimane di campagna in Oceano Indiano ho avuto modo di rendermene conto: insieme abbiamo veleggiato per oltre 2.400 miglia marine monitorando un’ampia area a sud del Madagascar dove abbiamo incontrato oltre 27 pescherecci, avvicinandoci e salendo a bordo a ben 7 di essi. Le giornate di lavoro a bordo iniziano alle 7.30, mezz’ora per alzarsi e bere un caffè e alle otto si inizia con le pulizie giornaliere, nessuno escluso. Alle 9 siamo già in sala campagne, un ufficio grande due volte quello della vecchia nave, da cui è possibile comunicare in tempo reale cosa succede in queste acque lontane, grazie all’impianto satellitare a bordo. Passo la maggior parte delle mie giornate sul ponte di comando, osservando il radar e controllando i dati dei pescherecci incontrati per verifi-

carne le licenze, mentre gli ufficiali sono attenti alla navigazione. Via radio comunichiamo con le imbarcazioni e, appena accettano di farci salire a bordo, corro ai gommoni. Ci vogliono solo dieci minuti per metterli in mare, un sistema studiato apposta per le attività di Greenpeace. Quando non ci sono pescherecci sul radar, prepariamo l’elicottero per la perlustrazione dell’area. Le manovre sono complicate ma in mezz’ora, smontando le cime di poppa grazie a un grande lavoro di squadra dell’equipaggio, siamo in grado di farlo decollare. La Rainbow Warrior è l’unica nave dotata di vele e con un eliporto, progettata apposta per soddisfare le esigenze di campagna: grazie alle vele il consumo di carburante è ridotto al minimo, e l’elicottero ci permette di controllare ampie zone di mare. Ed è proprio quando si alza il vento che la nave si trasforma: con un sistema centralizzato in pochi minuti si aprono le cinque vele con una superficie di oltre 1.200 metri quadrati e la Rainbow Warrior inizia a volare sull’acqua a oltre dieci nodi. Salgo sul ponte per sentire il vento sulla mia faccia: adesso so che questa meravigliosa nave ci permetterà ancora una volta di essere in prima linea per proteggere il nostro pianeta. G.M.

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APPELLO A CLINI 57 MILA FIRME

AL MINISTERO DELL'AMBIENTE

MARE

© Lorenzo Moscia/Greenpeace

di MARIA CHIARA MASCIA

PUÒ ESSERE DIFFICILE immaginare cosa vuol dire avere davanti alle proprie coste una trivella petrolifera: molti siciliani lo sanno bene e altri potrebbero conoscere a breve i rischi di una vera “petrolizzazione” del proprio mare. Lo scorso 9 ottobre i nostri attivisti hanno portato una trivella di quattro metri davanti al ministero dell’Ambiente a Roma, a simboleggiare i gravi rischi che corrono il Canale di Sicilia e il Mediterraneo a causa della corsa all’oro nero e accompagnata dal messaggio: “La Sicilia a Clini: salva il mare dalle trivelle”. Abbiamo infatti consegnato l’appello per la tutela del Canale al quale hanno aderito oltre cinquanta amministratori locali, comitati locali e asso-

ciazioni, il governo regionale e oltre 57 mila cittadini che hanno firmato online sul sito www.notrivelletour.org. Con noi una rappresentanza di sindaci e politici siciliani, comitati e associazioni dei pescatori. Purtroppo proprio il destinatario dell’appello, il ministro dell’Ambiente e della Tutela del Mare Corrado Clini, non si è presentato all’incontro, lasciando ai direttori generali responsabili della Valutazione di impatto ambientale e della Protezione della natura e del mare il compito di rispondere alle nostre domande. Volevamo chiedere direttamente al Ministro la sua posizione in merito all’articolo 35 del Decreto “Cresci Italia” che riapre la corsa all’oro nero entro le 12 miglia.

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Infatti, oltre alle 29 richieste per cercare petrolio nel Canale, di cui 11 già autorizzate, proprio con questo decreto, approvato ad agosto, il Governo rimette in gioco 8 richieste bloccate dal precedente Decreto Prestigiacomo perché troppo vicine alla costa o alle aree protette siciliane. IL GIOCO CHE NON VALE LA CANDELA Al largo della costa siciliana ci sono già quattro piattaforme attive su concessioni Eni ed Edison ed è stata aperta recentemente la proceduta di VIA per una nuova piattaforma al largo di Pozzallo, la Vega B. Ma ne vale la pena? No: tutto il petrolio che potrebbe essere estratto da questi pozzi soddisferebbe il nostro fabbisogno


© Gabriele Mastrilli/Greenpeace

per meno di due mesi, a fronte del rischio di distruggere un ecosistema marino unico e le economie locali ad esso legate, come il turismo e la pesca. Il messaggio di Greenpeace e dei siciliani è chiaro: tutelare il mare deve essere una priorità degli amministratori locali e del governo nazionale. Greenpeace chiede

un impegno forte e concreto contro la “petrolizzazione” del Canale di Sicilia, culla della biodiversità del Mediterraneo, e un progetto per la sua tutela, la ricostruzione degli stock ittici e la valorizzazione del turismo, puntando sulle energie rinnovabili e l’efficienza. Chi ama il mare non può tirarsi indietro nel

momento in cui bisogna difenderlo dai pericoli che potrebbero comprometterlo definitivamente. Non ci fermeremo qui: aspettiamo ancora risposte concrete e l’incontro che il Ministro ci ha promesso proprio in Sicilia, insieme agli amministratori e ai cittadini. Trivellazione è distruzione: ministro Clini, da che parte stai?

SONO FINITE ANCHE LE SARDINE IN ADRIATICO sembra delinearsi uno scenario decisamente poco piacevole. Protagonista questa volta il pesce azzurro che potrebbe scomparire definitivamente dalle tavole degli italiani. In seguito a un’inchiesta realizzata a Chioggia, Greenpeace ha pubblicato il rapporto “Blue gold in Italy” che mostra come la presenza di acciughe e sardine, e più in generale del pesce azzurro, sia in forte declino nelle acque del Mare Nostrum. Colpa della “volante a coppia”, il principale metodo di cattura utilizzato, consistente in una rete sospesa a mezz’acqua trainata contemporaneamente da due imbarcazioni “gemelle”. Tale sistema di pesca appare oggi in pole position rispetto al più tradizionale sistema della “lampara”, che utilizza una forte luce capace di concentrare i banchi di pesce azzurro che vengono così catturati da una rete che circonda il banco. Tra le pagine del rapporto di Greenpeace emerge come il governo italiano non si sia impegnato a trovare una soluzione al progressivo collasso del pesce azzurro iniziato da quasi quarant’anni. Al contrario, nel corso degli anni, lo abbiamo visto impegnato ad incrementare la pressione di pesca su queste popolazioni ittiche, permettendo un aumento del numero delle imbarcazioni autorizzate, anche grazie all’artificio delle licenze di “pesca sperimentale” che di sperimentale non avevano nulla: una vera e propria flotta fantasma che alla fine è stata “regolarizzata”. Da qui, il passo per finire nel vortice della spirale è breve: la diminuzione del prodotto, infatti, dovuta al sovra sfruttamento, ha causato un aumento dei prezzi di mercato stimolando l’incremento della pressione di pesca. Tutto ciò ha contribuito a mettere a rischio la salvaguardia dei popolamenti ittici e non di meno la redditività del settore.

© Matteo Nobili/Greenpeace

L’Italia, a fronte di una flotta di pesca tra le maggiori in Europa, è nota per la sua riluttanza ad applicare i regolamenti di pesca dell’UE. La storia delle reti pelagiche derivanti d’altura, le cosiddette “spadare”, lo dimostra: per tale vicenda l’Italia condivide con Panama il poco onorevole primato di essere elencata nei rapporti del Dipartimento del Commercio USA tra gli Stati i cui pescherecci esercitano pesca “pirata”. Chiediamo dunque ai governi dell’UE e al Parlamento Europeo di varare nuove leggi a favore di una pesca sostenibile. In particolare, è urgente che la Commissione chiarisca qual è il ruolo della “pesca sperimentale” nel nostro e negli altri Paesi comunitari, perché si tratta di un vero e proprio "sommerso" delle attività di pesca, che mina ogni piano di recupero degli stock. FABRIZIA GIORDANO

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ENERGY REVOLUTION

di ANDREA BORASCHI

NEGLI ULTIMI quarant’anni la domanda globale d’energia è raddoppiata. E con essa sono raddoppiate anche le emissioni di gas serra. L’Agenzia Internazionale per l’Energia (AIE) prevede un futuro in cui – in assenza di politiche diverse - la disponibilità di petrolio sarà certamente compromessa, e potrebbe esserla anche quella del gas. Tuttavia, nel prossimo decennio si realizzeranno investimenti nel settore energetico capaci di definirne lo sviluppo per i prossimi 60 anni, intrappolandoci nella dipendenza dalle fonti fossili. Risultato? Proseguendo su questa strada, in assenza di cambiamenti radicali nel nostro modo di produrre e consumare energia, le emissioni di gas serra, nel 2050, saranno due volte e mezzo quelle attuali. Nel rapporto Energy Technology Perspective, sempre del’ AIE, si prevede che di questo passo, alla fine del secolo, le temperature medie del pianeta si saranno alzate di 6 gradi centigradi. La soglia oltre la quale la comunità scientifica ci chiede di non spingerci, il baratro oltre il

CLIMA

quale scivoleremmo nel caos climatico, è rappresentato invece dai 2 gradi centigradi di aumento. Con quale spirito dovremmo guardare a questi dati? Rappresentano una condanna definitiva o, piuttosto, l’ultimo monito? Certamente non è troppo tardi per provare a sovvertire questo scenario: abbiamo le tecnologie e gli strumenti industriali per farlo. La rivoluzione energetica che Greenpeace propone, per alcuni aspetti, è già una realtà in divenire. Ed è una realtà che spesso precorre i tempi previsti nei nostri scenari per la conversione del sistema energetico. Lo scenario Energy [R]evolution di Greenpeace del 2007 prefigurava, al 2010, una potenza installata globale per l’eolico pari a 156 GW; la realtà è che in quell’anno se ne contavano 197, di GW installati (237 poi nel 2011 ). MEZZO MILIONE DI POSTI DI LAVORO Guardando all’Europa, il rapporto Energy [R]evolution Europe 2012 evidenzia come si potrebbero creare mezzo milione di

nuovi posti di lavoro al 2020, puntando con convinzione sull’efficienza e sulle energie rinnovabili – che al 2030 dovrebbero coprire il 45 per cento dei consumi – e abbandonando il nucleare e i carburanti fossili. Così facendo, da qui al 2050 si risparmierebbero 3.010 miliardi di euro: in media 75 miliardi l’anno, circa il doppio dei costi d’investimento previsti per dispiegare questa profonda trasformazione. Nel mentre, il governo italiano propone una Strategia energetica nazionale che fa leva soprattutto sulla riduzione delle importazioni energetiche: attraverso l’aumento di estrazioni petrolifere, efficienza e produzione da fonti rinnovabili. Gli obiettivi di sviluppo dell’energia pulita in questa strategia sono positivi (come lo sono quelli di abbattimento dei gas serra), ma non sembrano sostenuti da fondi sufficienti. E, soprattutto, non vengono usati per ridurre la produzione da carbone, né per cancellare definitivamente dall’orizzonte delle nostre coste lo spettro di un disastro petrolifero come quello del Golfo del Messico.

CARBONE UN MORTO AL GIORNO PER LA PRIMA VOLTA Greenpeace ha deciso di utilizzare come strumento di campagna un corto cinematografico, con l’obiettivo di aprire una crepa nel muro di silenzio mediatico che circonda un argomento scabroso: l’uso del carbone per la produzione di energia elettrica da parte di ENEL che, in Italia, è causa di una morte prematura al giorno e provoca danni ambientali, sanitari ed economici per circa due miliardi di euro l’anno. Per raccontare questa realtà al pubblico più vasto possibile e in maniera accattivante, Greenpeace ha chiamato a raccolta quattro attori di primissimo piano della scena italiana, sensibili ai temi ambientali, che hanno messo a diposizione la loro creatività a titolo totalmente gratuito per la realizzazione del corto: Alessandro Haber, Paolo Briguglia, Pino Quartullo e Sandra Ceccarelli. Per la regia, l’associazione si è affidata a Mimmo Calopresti, autore da sempre attento alla cronaca italiana e che fa dell’impegno civile una delle sue cifre stilistiche. A coronamento del progetto,

i Subsonica hanno offerto gratuitamente l’utilizzo di un suggestivo brano, tratto dal loro ultimo album, come colonna sonora. I costi vivi per le riprese sono stati coperti grazie alla generosa donazione di un nostro sostenitore, che si è sentito talmente coinvolto dal progetto, da volerlo finanziare. LUIGI LINGELLI © Francesco Alesi/Greenpeace

© Karuna Ang/Greenpeace

RINNOVABILI OLTRE LE PREVISIONI

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MONOCOLTURE CHE AVANZANO L’INCUBO PALMA DA OLIO

FORESTE

DARE VOCE ALLA POPOLAZIONE del Camerun la cui vita è minacciata da una società che vuole espropriargli la terra per produrre olio di palma e da un governo complice e corrotto. Questo è quello che Greenpeace ha provato a fare insieme all’Oakland Institute con il rapporto “The Herakles Debacle”. Greenpeace denuncia già da diversi anni l’espansione delle coltivazioni industriali di palma da olio come uno dei principali motori della deforestazione nel sud est asiatico. Da qualche tempo la palma da olio, pianta di origine africana peraltro, è stata riportata alla sua terra d’origine. Ma non si tratta di uno di quei bellissimi progetti per la reintroduzione di una specie nel proprio habitat naturale. Purtroppo no. Si tratta di un piano industriale quasi criminale della società che se fosse italiana si chiamerebbe “Ercole”. Ma non c’è niente di eroico nel progettare la conversione di un’area di foresta pluviale di quasi 73 mila ettari in una coltivazione industriale di palma da olio, la più grande dell’intero continente. Questa piantagione potrebbe sorgere nel bel mezzo di uno dei paesaggi più ricchi di biodiversità dell'Africa. Grazie a un accordo governativo che sta svendendo questi

di CHIARA CAMPIONE

territori, Herakles ha ottenuto un contratto di concessione di 99 anni. La società pagherà per l’affitto circa un euro all’anno, e beneficerà di un’esenzione fiscale per dieci anni e di un’esenzione doganale per tutta la durata del contratto. Quel che si dice un vero affare. Peccato però che a pagarne le spese sarebbero le popolazioni locali, le cui condizioni di vita verrebbero drasticamente cambiate, in peggio, dalla distruzione della foresta. PARADISO DI BIODIVERSITÀ William Laurence, ecologista tropicale di fama internazionale, ha recentemente denunciato che l’area sui cui Herakles sta progettando le proprie piantagioni “rappresenta uno dei patrimoni più importanti al mondo dal profilo biologico, e che un progetto del genere non verrebbe mai approvato in nessun altra parte del mondo poiché il prezzo da pagare in termini di biodiversità sarebbe semplicemente troppo alto”. La società si difende con dichiarazioni generiche e fallaci, sostenendo che la realizzazione di questa piantagione è anche un modo di rispondere a “una disperata richiesta di sviluppo che viene dal territorio”. Sembrerebbero le dichiarazioni di

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un’agenzia per gli aiuti umanitari, e invece Herakles cerca solo il profitto in un progetto che, fino ad adesso, è andato avanti senza alcun tipo di consultazione e consenso delle comunità locali. Purtroppo è solo un esempio, un altro, di come la corsa per la terra in Africa minacci proprio lo sviluppo sostenibile e dei diritti umani. Le ricerche congiunte, dell’Oakland Institute e Greenpeace International, pubblicate nel rapporto “The Herakles Debacle”, documentano inoltre la fortissima e disperata resistenza delle comunità locali e la distruzione delle foreste che risulterà dal progetto. L’Oakland Institute si è inoltre fatto promotore di un video che racconta tutto ciò che, a causa di questo progetto, il Camerun potrebbe perdere. Ma ciò che colpisce di più è la determinazione delle popolazioni locali, molte delle quali vivono di agricoltura su piccola scala, nell’opporsi senza alcun mezzo ai progetto di Herakles. Okie Bonaventure Ekoko, un piccolo coltivatore di cacao, nel villaggio di Mboko ci dice: “Ciò che vogliono sottrarci è nostro diritto e senza la nostra terra non riusciremo più a vivere. Per questo motivo molti di noi sono pronti ad opporsi anche a costo della propria vita”.


© Jan-Joseph Stok/Greenpeace

SENZA TATIANA IL NOSTRO ARCOBALENO HA MENO COLORE ALL’INIZIO DI OTTOBRE Greenpeace e l'Amazzonia hanno perso Tatiana de Carvalho, una delle campaigner più determinate del nostro ufficio brasiliano, a causa di un incidente vicino alla capitale Brasilia. Tati, come la chiamavamo tutti, era pura espressione di gioia, autenticità, coraggio e spontaneità. Una di quelle persone che vengono al mondo in edizione, molto, limitata. Dai corridoi del Congresso Brasiliano ai profondi labirinti della foresta amazzonica, dove ha vissuto quasi dieci anni lottando spalla a spalla con le popolazioni indigene contro la deforestazione, Tati era una fonte di ispirazione che infondeva energia a chi entrava in contatto con lei. Quando siamo stati informati della sua morte il nostro cuore si è tuffato nell'incredulità e nella disperazione. Per due giorni e due notti le nostre caselle di posta sono state inondate da messaggi e telefonate provenienti da tutte le parti del mondo: colleghi con cui Tati aveva lavorato o anche solo persone che sapevano dei suoi successi. Credo che questo dimostri la grandezza di spirito che questa donna ha lasciato dietro di sé. Alcuni volontari ed attivisti italiani hanno voluto ricordarla con que-

© Greenpeace

UN ETTARO DI FORESTA, UN EURO Non c’è dubbio che il Progetto Herakles non sarà la manna dal cielo per queste popolazioni. Del resto, come potrebbe mai diventare un’opportunità di sviluppo per un Paese che riceverebbe meno di un euro all’anno per la conversione di un ettaro di foresta pluviale? Secondo diverse multinazionali dell'agrobusiness, oltre a Herakles, che stanno investendo nello sviluppo di vaste piantagioni di palma da olio in tutta l'Africa centrale e occidentale, il vero obiettivo è sostenere le economie locali fornendo posti di lavoro e migliorando la vita delle popolazioni indigene. Ma difficilmente ci diranno che ciò che realmente li spinge è cercare di trarre più profitto possibile dall’inestinguibile sete globale di olio di palma. Per questa ragione Greenpeace ha deciso di continuare a far campagna per fermare il progetto di Herakles, e tutti quelli che vorranno imitarlo, e stabilire una moratoria sull’espansione delle piantagioni industriali di olio di palma nelle preziose foreste del bacino del Congo. Una piantagione di palma da olio fa perdere per sempre a quell'area tutti i suoi valori di biodiversità, mentre l’impiego di pesticidi e fertilizzanti danneggia anche le aree circostanti.

ste parole: “Molte volte abbiamo parlato con i bambini nelle scuole dei problemi dell'Amazzonia e molte volte delle soluzioni che Greenpeace, che Tatiana, aveva cercato e, spesso, trovato. È incredibile come le parole di una persona tanto lontana possano viaggiare per il mondo. Non abbiamo potuto conoscerti o incontrarti di persona ma sapevamo del tuo lavoro, della tua passione che è arrivata sino in Italia e che ancora rimane”. Tati era “La Campaigner” per antonomasia: caparbia, pungente e stimolante di fronte all'autorità, piena di vita e sempre "sul pezzo" con entusiasmo. Nonostante la tristezza che sentiamo abbiamo la certezza che l'eredità di Tati non svanirà mai. Né per noi, né per nessun altro qui a Greenpeace. E dovunque lei sia, questa Guerriera dell'Arcobaleno continuerà a brillare indicandoci, magari con la sua meravigliosa risata, le strade che portano al mondo migliore che tanto vogliamo. Alla sua famiglia mandiamo le più sentite condoglianze. E a te, Tatiana, promettiamo di onorare i tuoi sogni e portare avanti le lotte che abbiamo condiviso. Descanse em paz, querida amiga. C.P.

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STRESS TEST

NUCLEARE LA COMMISSIONE EUROPEA per la prima volta ha promosso un’analisi della vulnerabilità su 145 reattori nucleari europei. Le conclusioni sono state che occorrono circa 25 miliardi di euro per migliorare la loro sicurezza, pur senza prevedere nessuna chiusura. Un’analisi indipendente commissionata da Greenpeace mostra che non è così. 13 centrali con 34 reattori andrebbero chiuse immediatamente o in breve tempo. Circa la metà delle centrali europee, inoltre, si trova in zone a rischio sismico e quindi in situazioni molto pericolose o perché prive di doppio contenimento o perché troppo vecchie per garantire gli standard di sicurezza necessari. Spagna: centrale di Almaraz, 2 reattori. Un solo generatore di emergenza, i rischi di inondazioni per eventuale danno a una diga soprastante non valutati sufficientemente. Belgio: centrale di Doel, 4 reattori. Rischi principali: incendio, allagamento, e rischi sismici. Insufficiente valutazione dei rischi per le piscine di stoccaggio. Recentemente sono state trovate 7.776 fratture nel vessel del reattore n.3. I reattori 1 e 2 andavano già chiusi con i soli risultati degli stress test, il numero 3 va chiuso definitivamente e una analisi trasparente delle insufficienze del reattore 4 va condotta al più presto. Centrale di Thiange, 3 reattori. Esposto a rischio alluvione; l’evento di un incidente aereo è considerato in Belgio, e ritenuto dal regolatore un problema, ma cui non si dà alcuna soluzione.

Recentemente sono state riscontrate 2.450 fratture nel vessel del reattore n. 2. I reattori 1 e 2 da chiudere subito. Il reattore 3 va fermato fino a che non siano state prese le misure anti-alluvione e risolti i diversi problemi riscontrati. Germania: centrale di Grundemiggen, 2 reattori. Si rileva la mancanza di sicurezza della centrale per una alluvione di lunga durata. Nessun piano di emergenza per fronteggiare eventuali perdite di idrogeno. La centrale andrebbe chiusa ben prima del 2015, data prevista. Slovenia: centrale di Krsko, 1 reattore. La zona è sismicamente attiva ed esposta al rischio di alluvioni. Effetti dell’invecchiamento delle componenti non considerati. Anche se il gestore sta costruendo una nuova sala controllo, la centrale andrebbe messa in via di chiusura. Slovacchia: Mochovce, 2 reattori (e altri 2 in costruzione) da bloccare subito. Il rischio sismico non è valutato con sufficienza e, nel caso di un evento maggiore, l’edificio del reattore sarebbe soggetto ad allagamento per rottura condotte. Manca il contenimento secondario e il rischio di incidente aereo non è valutato. Svizzera: centrale di Mühleberg, 1 reattore vecchio quasi 40 anni. La strumentazione per la piscina di stoccaggio del combustibile non è a prova di incidente, e manca anche un generatore per alimentare il raffreddamento della piscina. Nessuna misura per prevenire l’esplosione di idrogeno in caso di malfunzionamento. Svezia: centrale di Ringhals, 4 reattori. Nessuno dei reattori ha sufficienti prote-

di GIUSEPPE ONUFRIO

zioni antisismiche e il regolatore ha dato come scadenza il 2013 per rimediare. Il reattore 1 risulta a rischio in caso di evento sismico anche nei limiti del progetto, a rischio la piscina del combustibile esausto vulnerabile anche a eventuali interruzioni della fornitura d’acqua. E’ una centrale che andrebbe chiusa immediatamente. Repubblica Ceca: centrale di Temelin, 2 reattori. Diversità dei sistemi di raffreddamento, mancanza di misure per la rimozione di idrogeno per prevenirne l’esplosione. Scarsa protezione contro terremoti. A rischio anche la piscina di stoccaggio del combustibile nucleare. Il reattore 1 andrebbe chiuso immediatamente e il 2 andrebbe prevista l’uscita al più presto. Regno Unito: centrale di Wylfa, 1 reattore. La chiusura dell’ultimo reattore ancora in funzione è prevista nel 2014. Nessun sistema automatico di arresto in caso di terremoto. Sistema di raffreddamento stoccaggio combustibile non antisismico. Mancanza del contenimento secondario del reattore. Il reattore andrebbe chiuso immediatamente. Francia: centrale di Fessenheim, 2 reattori; centrale di Gravelines, 6 reattori; centrale di Cattenom, 4 reattori. Tutti esposti a rischio terremoti e inondazioni, così come eventi meteorologici estremi (alluvioni, nubifragi etc.). Un solo generatore diesel di emergenza è disponibile per ogni centrale, e non antisismici. Manca accesso a una fonte di raffreddamento alternativo. I sistemi antincendio non hanno alcun backup con caratteristiche antisismiche. Tutte da chiudere.

LA LITUANIA DICE NO CON UN REFERENDUM IL 62 PER CENTO dei lituani ha detto un NO forte e chiaro al nuovo programma di sviluppo del nucleare, in un referendum. Un segnale di vitalità della democrazia, considerato il clima di fango, propaganda e intimidazione che si è registrato nel Paese. Nelle ultime settimane, infatti, il governo lituano aveva negato l’ingresso nel Paese a ospiti invitati a intervenire in Parlamento contro il nucleare. Chi critica il nucleare è stato apostrofato addi-

rittura come “traditore” o “agente della Russia” e il Primo ministro uscente Andrius Kubilius non ha accolto l’invito di Greenpeace a una discussione più equilibrata. Il nuovo governo lituano dovrà adottare ora una strategia orientata alle rinnovabili e all’efficienza energetica tenendo conto della volontà espressa dai cittadini. Greenpeace chiede a Bielorussia, Polonia e Russia di seguire l’esempio lituano. G.S.

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© Greenpeace

LE CENTRALI DA CHIUDERE ORA


© Hernan Perez Aguirre/Greenpeace

UN FUTURO AL VELENO? COLTURE RESISTENTI AGLI ERBICIDI IN EUROPA

OGM

di FEDERICA FERRARIO

STATI UNITI E ARGENTINA sono i paesi dove è più diffusa la coltivazione di OGM resistenti agli erbicidi. Nei mesi scorsi, un gruppo di ricercatori di Greenpeace ha viaggiato attraverso questi Paesi per incontrare agricoltori e comunità agricole. Per parlare con loro e capire quali sono i contraccolpi delle monocolture OGM sulla loro realtà quotidiana. I racconti e le preoccupazioni di queste comunità che testimoniano gli impatti degli OGM sulla loro economia, il loro ambiente e la loro società, sono state raccolte nel documentario “Growing Doubt” (www.greenpeace.org/italy/it/multimedia/Video/) pubblicato di recente, e mettono in luce una realtà triste e sconcertante. Una realtà che va a braccetto con monopoli e un controllo sempre più forte da parte di poche aziende di tutta la filiera della produzione di cibo. Un aumento della quantità e della tossicità delle sostanze chimiche utilizzate nei campi. Impatti crescenti sulla salute e sulla vita quotidiana di tante comunità che vicino a quei campi vivono, specialmente in Argentina. I problemi diventano sempre più evidenti anche per gli agricoltori statunitensi. L'eccessiva dipendenza da colture resistenti agli erbicidi ha innescato nel Paese la nascita e la rapida diffusione di piante infestanti resistenti al glifosato (la sostanza attiva presente negli erbicidi a cui queste colture sono tolleranti) e di conseguenza l'aumento dei costi per la gestione delle infestanti, così come crescenti sono i volumi e la tossicità di erbicidi necessari per prevenire le perdite maggiori nei raccolti.

IN EUROPA 26 OGM IN PISTA Un quadro desolante che rischia di diventare l'incubo anche dell'agricoltura europea. Già, perché al momento sono 26 le colture OGM in fase di valutazione per ottenere l'autorizzazione per la coltivazione in Europa. E 19 di queste sono geneticamente modificate per essere tolleranti agli erbicidi, che sono prodotti e commercializzati dalle stesse aziende agro-chimiche che ne brevettano i semi. L'agricoltura europea rischia quindi di subire danni irreparabili se la Commissione europea dovesse seguire l'esempio degli Stati Uniti e autorizzare queste coltivazioni. L'allarme arriva dalle stime, mai realizzate prima, di cosa accadrebbe in Europa con l'approvazione di colture OGM tolleranti agli erbicidi e del conseguente incremento dell'uso di diserbanti. Greenpeace ha commissionato al noto economista agrario Charles Benbrook l'elaborazione del rapporto “Colture resistenti al glifosato nell'Unione europea”, che utilizza i dati sulle colture OGM tolleranti agli erbicidi negli Stati Uniti come base per la previsione europea. I risultati sono preoccupanti. Il rapporto prevede variazioni – in alcuni casi aumenti fino a quindici volte – nell'uso di glifosato su un periodo di quattordici anni (2012-2025), per mais, soia e barbabietola da zucchero OGM nell'UE. Secondo Benbrook, se gli agricoltori europei dovessero utilizzare OGM tolleranti agli erbicidi con la stessa velocità degli Stati Uniti, l'uso del glifosato nella coltivazione del mais – la coltura più importante e ampiamente diffusa in Europa – aumenterebbe di oltre il mille per cento entro il 2025, e l'uso totale di erbicidi raddoppierebbe.

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UN CIRCOLO VIZIOSO Con il suo lavoro, Benbrook avverte che gli agricoltori negli Stati Uniti non riescono più a liberarsi dal circolo vizioso in cui sono finiti a causa degli OGM. Il ricorso a questi prodotti ha innescato lo sviluppo e la rapida diffusione di quasi due dozzine di varietà di piante infestanti resistenti agli erbicidi. La diffusione di queste piante infestanti è cresciuta così rapidamente che anche i dati riportati nel sondaggio della Dow AgroSciences suggeriscono che negli Usa oltre 12 milioni di ettari coltivati a soia erano infestati da erbacce resistenti al glifosato nel 2010. Se si considerano le principali infestanti resistenti al glifosato, sono quasi 37 milioni gli ettari interessati dal fenomeno. Gli agricoltori stanno affrontando la diffusione di queste infestanti resistenti al glifosato effettuando più applicazioni di glifosato, aumentando le quantità utilizzate, applicando principi attivi differenti, ed effettuando anche il diserbo manuale. Aziende biotech come la Monsanto e la Dow stanno rispondendo a questa emergenza sviluppando nuovi OGM resistenti a dosi maggiori ed erbicidi probabilmente più tossici come 2,4-D e Dicamba. Tutto ciò costringe gli agricoltori a tilizzare sempre più erbicidi diserbanti, utilizzando erbicidi, sempre più tossici. Come ammonisce Wes Shoemyer, uno degli agricoltori statunitensi interpellato nel documentario, finora l'Europa è riuscita a tenere il punto e ha ancora la possibilità di mantenere la propria indipendenza e la propria integrità. Che si attivi quindi per difendere gli agricoltori e tenere lontano gli OGM dai campi del vecchio continente.


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1. Kaohsiung, Taiwan – Greenpeace protesta contro lo sfruttamento eccessivo delle risorse ittiche nel Pacifico. © Alex Hofford/Greenpeace.

2. Hiderabad, India – Le tigri di Greenpeace contro

4. Hong Kong, Cina – La nave di Greenpeace,

Esperanza, fa tappa ad Hong Kong durante il “Save our Oceans” tour. © Clement Tang/Greenpeace.

5. Java, Indonesia – La rock band indonesiana, Navicula,

la deforestazione alla conferenza dell'ONU sulla Biodiversità. © Sudhanshu Malhota/Greenpeace.

suona alla Climate Rescue Station di Greenpeace vicino al tempio buddhista di Borobudur, il più grande del mondo. © Ulet Ifansasti/Greenpeace.

3. Mar di Andaman, India – Sub di Greenpeace

6. Johannesburg, Sud Africa – Greenpeace insieme

chiedono all'India di proteggere i suoi mari, durante la conferenza dell'ONU sulla Biodiversità. © Sumer Verma /Greenpeace.

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ad altre organizzazioni africane, protesta contro la gestione energetica della Eskom. © Shayne Robinson/Greenpeace.


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7. Palo Alto, Stati Uniti – Attivisti davanti al negozio della Microsoft. Greenpeace chiede al colosso di Richmond di usare energia pulita per alimentare il cloud del nuovo Windows 8. © Jakob Mosur/Greenpeace.

8. Nordheam, Germania – I gommoni di Green-

peace in azione contro una nave che trasporta combustibile nucleare. © Daniel Mueller/Greenpeace

9. Roma, Italia – L'orso Paula di Greenpeace al con-

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10. Quezon City, Filippine – Attivisti vestiti da zombie

protestano contro l'inquinamento chimico delle acque fuori dal Dipartimento dell'Ambiente e delle Risorse Naturali. © Jed Delano/Greenpeace.

11. Forsmark, Svezia – Attivisti in azione alla centrale nucleare di Forsmark. © Greenpeace.

12. New Jersey, Stati Uniti – I danni dell'uragano Sandy. © Tim Aubrey/Greenpeace.

certo dei Radiohead a Roma. © Francesco Alesi/Greenpeace.

CLICK & CO.

di MASSIMO GUIDI

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GIAPPONE INCUBO RADIOATTIVITÀ

attenzione rispetto a quelle ancora densamente abitate. Più del 75 per cento delle quaranta stazioni di monitoraggio controllate da Greenpeace a Fukushima città ha mostrato livelli di radiazione più bassi rispetto a quelli rilevati nei loro immediati dintorni: a 25 metri di distanza si possono registrare livelli di contaminazione fino a sei volte superiori rispetto a quanto misurato nelle stazioni installate dal governo. “Le stazioni di monitoraggio ufficiali sono collocate in aree che le autorità hanno già decontaminato, ma dal nostro monitoraggio risulta che a pochi passi di distanza i livelli delle radiazioni crescono in modo significativo”, afferma Rianne Teule, esperto di radiazioni di Greenpeace International. La decontaminazione di aree di gioco per bambini e altre aree rilevanti per le persone più vulnerabili, non è andata avanti in modo sufficiente, nonostante sia passato più di un anno e mezzo dal triplice incidente di Fukushima. Greenpeace ha controllato anche l’area di Iitate, di cui ha in passato chiesto l’evacuazione e che il governo ha suddiviso in diversi livelli di rischio, al fine di preparare i residenti a tornare dopo la decontaminazione. Il team di monitoraggio di Greenpeace ha scoperto che la bonifica è stata finora insufficiente. Nella situazione attuale, le persone corrono un rischio superiore di molte volte il limite internazionalmente riconosciuto di 1 millisievert (1 mSv) all’anno. Le persone non possono tornare alla normalità a Iitate se le loro case, le imprese o aziende sono contaminate. Una casa o un ufficio possono essere stati ripuliti, ma è molto improbabile che l'intera area sia resa priva dei rischi di irraggiamento per i prossimi anni, il che rende molto difficile ricostruire una vita normale delle comunità. Il governo continua a minimizzare i rischi delle radiazioni, e a dare false speranze, invece di prendere la triste decisione di spostare le comunità colpite compensandole in modo equo. GABRIELE SALARI

© Jeremy Souteyrat/Greenpeace

A SEGUITO DI NUOVI CONTROLLI sulla radioattività a Fukushima e nella cittadina fortemente contaminata di Iitate, effettuati da Greenpeace si è scoperto che le stazioni di monitoraggio ufficiali sottovalutano sistematicamente i rischi delle radiazioni per la popolazione e che la gestione delle attività di decontaminazione è ancora molto frammentaria, mal indirizzata, e insufficiente, con aree già evacuate che ricevono maggior

LE RAGAZZE DI FUKUSHIMA VISITANO GREENPEACE abbiamo indossato le mascherine e ancora oggi i prodotti provenienti dalla Prefettura di Fukushima vengono sottoposti a controlli prima di essere messi sul mercato”. Misaki Ishiguro, compagna di corso di Yurina, ha deciso di approfondire le sue conoscenze sul tema perché è spaventata: “Non so a quante radiazioni sono stata esposta e che effetto potranno avere in futuro su di me e su eventuali figli”. In Giappone l’informazione contraddittoria fornita dal governo durante l’emergenza è ora semplicemente carente e dell’addio al nucleare di Germania e Svizzera e del referendum italiano sembra non si sia parlato sui mass media. “Per anni ci hanno illuso che l'eventualità di un incidente nucleare fosse semplicemente impossibile”, dice Nobuhiro Takeda, che è membro dell’Ong Peaceboat. “Ora ci troviamo in una

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situazione pazzesca in cui un terzo degli abitanti di Fukushima vorrebbe andarsene ma non ha le risorse per farlo, e poi non saprebbe neanche dove andare. Il governo ha fornito alloggi alle persone evacuate d'ufficio, ma i più si sono dispersi nel paese, e le comunità sono così molto disgregate”. Il governo giapponese ha annunciato di voler eliminare l'energia nucleare dal Paese entro gli anni trenta. G.S. © Greenpeace

SONO SBARCATE A CIVITAVECCHIA con la Peaceboat, una nave da crociera che consente agli studenti universitari giapponesi di trascorrere due mesi in giro per il mondo approfondendo le tematiche della pace e dello sviluppo sostenibile. Misaki Ishiguro e Yurina Sato, due studentesse di Fukushima (nella foto al centro), hanno visitato la sede di Greenpeace e incontrato staff e volontari romani. “Neanche sapevo dell'esistenza di una centrale nucleare nella mia città, ora so cosa è in grado di provocare”, dice Yurina Sato, vent’anni, studentessa di Scienze Sociali all’Università di Fukushima. Fa fatica a raccontare come è cambiata la sua vita dopo l’incidente alla centrale nucleare: “Ho dovuto familiarizzare con i contatori geiger in mezzo alla città e con lo sgretolamento della comunità. Per mesi


UNA CANZONE DALL'AFRICA È COMINCIATO NEL 2011 come un appello ai giovani congolesi perché si esprimessero a favore della protezione della loro foresta e oggi è diventato un videoclip, "La voce della foresta", a cui hanno partecipato uomini, donne e bambini. In una piccola foresta del comune di Mont Ngafula, più persone hanno parlato con una voce sola, senza distinzioni di razza o di età, per proteggere le foreste del Congo. La gioia era nei loro occhi, soprattutto quando sono arrivati nel cuore della foresta per girare le immagini. “Ci siamo tenuti la mano per reclamare la protezione della nostra risorsa più preziosa. Insieme quel giorno abbiamo dato una voce più forte alla foresta, il cui eco speriamo attraversi tutto il continente”, racconta Augustine Kasambule di Greenpeace Africa. Nello stesso momento, in altre parti del mondo, persone di tutte le nazionalità si sono unite per ripetere lo stesso appello in favore della seconda foresta del mondo, quella del Bacino del Congo. L'industria del legno ruba la foresta a bonobo, elefanti africani e ippopotami. Le comunità locali dei pigmei Twa rischiano di perdere la loro casa, a colpi di motosega. Undici cantanti congolesi ci ricordano così che la nostra vita è strettamente legata alla foresta. È il polmone della Terra, che purifica l'aria che respiriamo, ci procura le piante medicinali, il cibo e l'acqua che utilizziamo. La biodiversità del pianeta e il futuro del clima dipendono dalle foreste del mondo. Non poteva esserci nulla di meglio di una canzone per esprimerlo: “Non toccare la mia foresta, ce l'ho nella pelle”. G.S.

ULTIMO MINUTO

© Matteo Nobili/Greenpeace

© Markus Mauthe/Greenpeace

© Greenpeace/Z-eyez

ISRAELE, DAVIDE CONTRO GOLIA LA VALLE DI ELAH è il luogo in cui si svolse lo scontro fra il giovane Davide e il forte Golia nella tradizione biblica. A breve Elah, non lontano da Gerusalemme, potrebbe anche diventare sinonimo di petrolio e distruzione dell’ambiente naturale se prosegue il progetto di estrarre in quella valle il petrolio da scisti, contro il quale si sono recentemente mobilitati oltre cinquecento israeliani, che hanno accolto l’appello di Greenpeace creando un gigantesco striscione umano, fino a comporre la parola “Stop”. La richiesta al Primo ministro Benjamin Netanyahu è di fermare questo pericoloso esperimento da parte di una società americana della galassia di Rupert Murdoch, perché potrebbe compromettere la valle di Davide e Golia. Il governo israeliano ha recentemente reso più snello il procedimento di approvazione di questi progetti, scavalcando il ministero dell’Ambiente che si oppone fermamente e ignorando il diritto di consultazione dei cittadini. Grazie all' introduzione di nuove tecnologie di estrazione, negli ultimi anni l'accesso alle riserve contenute negli scisti è diventato più facile e conveniente, soprattutto nel caso del gas ma anche del petrolio. Gli Stati Uniti sono in prima fila in questa corsa, anche se di recente diversi Stati della federazione stanno correndo ai ripari visti i problemi di contaminazione delle falde idriche. Anche l’Agenzia internazionale per l’energia (AIE) è fortemente critica su questa fonte energetica ed evidenzia tra l'altro la possibilità di microsismi, e lo sprigionamento incontrollato in atmosfera di gas metano, in contrasto con ogni tentativo di ridurre i cambiamenti climatici. G.S.

BREVI DAL MONDO

SUCCESSO DI GREENPEACE che ha invaso l'ingresso del quartier generale di RCS Libri per offrire agli editori Rizzoli e Fabbri “una cura per debellare l'epidemia di deforestazione che infesta i loro libri”. Vestiti da tigri o in divisa da paramedico e con la testa da tigre, gli attivisti sono arrivati in ambulanza, chiedendo di poter somministrare ai responsabili di Rizzoli e Fabbri una “pillola anti-deforestazione”, una caramella ovviamente, ma nel bugiardino c'erano tutte le istruzioni per combattere la deforestazione. Nel frattempo, all'esterno alcuni attivisti si sono arrampicati sui pali dell'illuminazione con degli striscioni. Dopo poco tempo l'azienda ha incontrato Greenpeace assicurando che a breve tutti gli editori del gruppo adotteranno carta “amica delle foreste”. La nostra terapia d'urto contro la deforestazione ha funzionato.

SOSTIENI GREENPEACE! Dall'1 al 16 dicembre troverai i nostri dialogatori presso tutti i negozi Ikea. Saranno lì per raccogliere firme in favore dell'Artico ma soprattutto per incontrare i nuovi sostenitori!

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