Greenpeace News numero 86

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RINVERDIAMO L’ENERGIA

n°ottantasei GREENPEACE NEWS - N.86 - I QUADRIMESTRE 2007 - ANNO XXI - ISBN 88-85216 - STAMPA PROMOZIONALE POSTE ITALIANE SPA - SPED. IN ABB. POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L: 27/02/2004 N.46) ART.1 - COMMA 2 DCB - ROMA


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La rivoluzione è già cominciata

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OGM

ENERGIA CLIMA

NEWS

Un milione di no

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Direttore Editoriale/ Andrea Pinchera Direttore responsabile/ Fabrizio Carbone Redazione/ Maria Carla Giugliano, Luigi Lingelli, Claudia Quattrone, Gabriele Salari Archivio foto/ Massimo Guidi Progetto grafico/ Saatchi&Saatchi Impaginazione/ Francesca Schiavoni, Paolo Costa Internet/ Marcello Colacino

FORESTE MARE

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PERIODICO DI GREENPEACE ITALIA

Il santuario di cetacei

DISARMO

Per un medioriente di pace

Non gettiamole nel water

COME DARE IL 5X1000 A GREENPEACE?

12 DAL MONDO

GREEN MARKET Il nuovo merchandising

Redazione e Amministrazione/ Greenpeace ONLUS Piazza dell’Enciclopedia Italiana,50 00186 Roma email:info@greenpeace.it tel. 06.68136061 fax: 06.45439793 Ufficio abbonamenti/ Augusto Carta tel.06.68136061(223)

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Copertina / Azione di Greenpeace alla centrale di Porto Tolle, 2006 Foto / Vasari

EDITORIALE di DONATELLA MASSAI A VOLTE, Greenpeace viene dipinta come un’organizzazione meritevole, composta da romantici innamorati del pianeta, capace di denunciare il degrado ambientale ma non di indicare le soluzioni. È un pregiudizio diffuso, contro il quale ci troviamo a combattere da tempo. E passi quando il pregiudizio viene seminato ad arte da coloro che inquinano e distruggono la Terra. Meno piacevole è quando questo luogo comune affiora – come accaduto di recente – negli articoli di persone che pure mostrano di simpatizzare per i nostri valori, come Anthony Giddens (il politologo inglese noto per avere teorizzato la “terza via”) oppure Michele Serra. Sappiamo che una parte di “colpa” per questa opinione errata è nostra: Greenpeace è cresciuta con azioni spettacolari, e con le azioni continua e intende continuare a difendere il pianeta. Ma questa grande capacità “visiva” – le navi, i gommoni, i climber, ecc. – ha spesso finito per offuscare il lavoro di analisi e proposta che sta dietro le nostre azioni. Una prova di quanto sto scrivendo è contenuta nella rivista che avete in mano. Pensate che un’azione come quella contro il carbone Enel di Porto Tolle – una delle più spettacolari condotte in Italia – avrebbe avuto senso priva del supporto di rapporti come Energy [R]evolution, Generazione Eolica e Solare o La rivoluzione dell’efficienza? Greenpeace realizza da anni alcune delle analisi più accurate del potenziale di fonti come eolico e solare, disegnando scenari di forte crescita per rinnovabili ed efficienza energetica. Il fatto che questi scenari vengano ormai considerati come l’unica, o quasi, soluzione di fronte alla gravissima emergenza del riscaldamento globale non è un vanto, ma solo motivo per considerare quanto tempo si è perso inutilmente. Infatti, è sin dai primi anni Settanta – guarda caso proprio mentre nasce Greenpeace – che le fonti rinovabili e un uso più efficiente dell’energia vengono proposti come alternativa alla “dittatura” dei combustibili fossili. Naturalmente, non siamo così ingenui da non renderci conto che dietro il pregiudizio ci sono anche motivi, come dire… di interesse. Ridurre le nostre posizioni a quelle di un manipolo di inguaribili romantici, privi di soluzioni concrete, è un sistema eccellente per continuare a far soldi con petrolio e

carbone, rovesciando sui cittadini i costi ambientali dell’energia sporca e sulle prossime generazioni gli effetti dei cambiamenti climatici. La grandiosa campagna pubblicitaria dell’Enel – nella quale si magnifica un piccolo piano di riduzione delle emissioni di gas serra, mentre con il passaggio al carbone si aumentano le stesse emissioni in misura molto maggiore – è un esempio di corto circuito informativo. Poiché i media sono sempre più condizionati dalla pubblicità, l’Enel può rivestirsi di “verde” (con i soldi in parte nostri, visto che è ancora per un terzo proprietà pubblica) mentre le nostre critiche o ricerche come La rivoluzione dell’efficienza, per quanto realizzata da un’istituzione come il Politecnico di Milano, fanno fatica a trovare la considerazione che meritano. La capacità di pressione di un grande inserzionista pubblicitario come Enel avrà contato? Chissà… Non è facile far sentire la nostra voce, insomma. Per questo abbiamo sempre più bisogno del vostro sostegno. Anche quest’anno è stato confermato il 5x1000. Vi chiediamo di darlo a Greenpeace, naturalmente, e per come fare potete vedere qui sopra. Ma vi devo anche alcune spiegazioni. Innanzitutto, dare il 5x1000 non significa pagare più tasse, ma decidere di destinarne una parte – che altrimenti andrebbe allo Stato – ad attività sociali. Inoltre, il 5x1000 non è nominativo, quindi non c’è modo solo con questo sistema di essere riconosciuti come sostenitori di Greenpeace (e ricevere GP news o gli appelli speciali). Infine, il governo ancora non ha versato il corrispettivo indicato dai contribuenti nel 2006, né ha comunicato alle Onlus quanto spetta a ognuna di loro. Per tutti questi motivi, vi chiediamo di dare a Greenpeace il 5x1000, di spingere parenti e amici a fare lo stesso, ma di non dimenticarvi di continuare a sostenerci con i soliti sistemi. Per fare la differenza, abbiamo bisogno di sentire ogni singola persona vicina a noi.

Donatella Massai Direttore esecutivo, Greenpeace Italia

Questo periodico è stampato, con inchiostri vegetali, su carta amica delle foreste: carta riciclata contenente alte quantità di fibre post-consumo e sbiancata senza cloro. L’involucro per l’invio del Greenpeace News è in Materbi, un materiale derivato dal mais, completamente biodegradabile.

QUATTRO CLIMBER che srotolano lo striscione "Enel, clima killer", altri che si calano dalla ciminiera della centrale a 250 metri d'altezza e iniziano a dipingere la scritta "No carbone" mentre il delta del Po si risveglia per una mattina col sole, senza nebbia, e con una certezza. Non ci sono solo gli abitanti del Polesine a protestare contro la centrale di Porto Tolle. C’è anche Greenpeace che ha voluto, in questo modo spettacolare, rilanciare la campagna Energia e clima in Italia e protestare contro la riconversione a carbone della centrale. L'impianto si trova peraltro in un’area di elevatissimo pregio ambientale – in tutto il mondo il delta dei fiumi è un ambiente protetto – patrimonio mondiale dell'umanità secondo l’Unesco.

RAPPORTI SCIENTIFICI E AZIONI DIRETTE PER INVERTIRE LAROTTA

ENERGIA E CLIMA

I PERMESSI PER INQUINARE Con l’azione di Porto Tolle, Greenpeace ha voluto poi denunciare che il governo si apprestava a presentare un piano di assegnazione dei permessi di inquinamento per il periodo 2008-2012 di 209 milioni di tonnellate di CO2, contro i 186 previsti per essere in linea con gli obiettivi di Kyoto. Al momento dell’azione il ministro dell’ambiente Pecoraro Scanio aveva già firmato il piano mentre c’erano pressioni da parte di Pierluigi Bersani, ministro dello sviluppo economico, per alzare ulteriormente il tetto delle emissioni, così da permettere la conversione a carbone della centrale di Porto Tolle oltre a quella di Civitavecchia dove i lavori avanzano. Dopo il blitz, Pecoraro ha preso le distanze dal piano affermando, in sede di presentazione alla Commissione europea, che il tetto proposto era eccessivo. Mentre scriviamo, è in corso la decisione della Commissione Europea e ci auguriamo che si arrivi a un consistente taglio ai permessi di emissione, anche perché gli obblighi di riduzione dei gas serra (meno 5,2 per cento a livello mondiale) previsti dal Protocollo di Kyoto sono solo un primo, debole passo nella lotta ai cambiamenti climatici. Il 16 febbraio scorso, infatti, il Protocollo ha compiuto due anni, eppure lo strumento è già superato. Già oggi sappiamo che al 2020 e al 2050 si dovranno definire traguardi ben più impegnativi. A ricordarcelo sono i segnali di un clima che cambia – sempre più frequenti e sempre più allarmanti – e, a febbraio, il quarto rapporto dell’Ipcc (Intergovernamental Panel on Climate Change, il comitato di scienziati che studia i cambiamenti climatici per conto delle Nazioni Unite). L’accelerazione dei fenomeni in atto viene confermata: nel 2100 la temperatura media globale aumenterà tra 1,1 e 6,4 gradi centigradi, ma la stima più probabile parla di 3 gradi. Si tratta di mezzo grado in più rispetto al precedente

LA RIVOLUZIONE È GIÀ COMINCIATA di FRANCESCO TEDESCO

Greenpeace/A.Vasari

SOMMARIO


SCALANDO LA CIMINIERA rapporto Ipcc. Sempre entro il 2100 il livello dei mari aumenterà di 30-60 centimetri, ma questo dato è stato calcolato senza tener conto dello scioglimento dei ghiacciai della Groenlandia. Considerando cosa potrebbe accadere su quel fronte, l'innalzamento dei mari arriverebbe anche ai sei metri. Gli scenari non sono certo tranquillizzanti, ma non è ancora troppo tardi.

RIDURRE LE EMISSIONI? SI PUÒ FARE Stabilizzare la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera è possibile, ma si dovranno abbattere le emissioni mondiali di gas serra del 30 per cento al 2020 e di almeno il 50 per cento al 2050. Gli strumenti per farlo esistono e sono alla nostra portata: efficienza energetica e fonti rinnovabili permetteranno di allentare la dipendenza cronica dalle fonti fossili responsabili dell’effetto serra, primo tra tutti il carbone. Il rapporto di Greenpeace Energy [R]evolution, elaborato insieme all'Erec, l’organizzazione europea dei produttori di rinnovabili, è la prima strategia globale per rinnovare in chiave sostenibile il sistema energetico mondiale. Le stime di Greenpeace prendono come scenario di riferimento le proiezioni fornite dall'Agenzia Internazionale per l'energia e mostrano che, attraverso misure di efficienza energetica negli usi finali, sarà possibile abbattere il 47 per cento del fabbisogno energetico mondiale al 2050. Bloccati i con-

sumi ai livelli attuali grazie ai forti aumenti dell’efficienza negli usi finali, il contributo delle fonti rinnovabili consentirà di abbattere le emissioni del 50 per cento. L’efficienza energetica è dunque fondamentale per un’efficace strategia di riduzione delle emissioni responsabili del cambiamento climatico. Dimezzare le emissioni di anidride carbonica entro il 2050 è possibile: attualmente l'uomo immette in atmosfera circa 23 miliardi di tonnellate di CO2 all'anno. Secondo l'Agenzia internazionale per l'energia, tali emissioni sono destinate a raddoppiare entro il 2050, superando i 45 miliardi di tonnellate all'anno. Energy [R]evolution mostra invece che è possibile dimezzarle, attraverso misure di efficienza energetica, attestandosi a 11,5 miliardi di tonnellate all'anno. Proprio su questo fronte, Greenpeace ha appena realizzato un ulteriore studio, questa volta tutto italiano, La rivoluzione dell’efficienza, commissionato al gruppo eERG del Politecnico di Milano. I ricercatori hanno indagato i potenziali di risparmio di elettricità ottenibili in Italia attraverso misure di efficienza energetica. I dati parlano chiaro. Non solo è possibile abbattere i consumi elettrici di oltre il 20 per cento al 2020, ma investire in efficienza è anche economicamente conveniente: a fronte di 80 miliardi di euro di investimenti, il beneficio economico netto per l’intera società sarà di 65 miliardi. Questo vuol dire che al 2020 sarà possibile abbatte-

re circa 50 milioni di tonnellate di CO2 senza sostenere costi, ma anzi addirittura guadagnandoci. Le tecnologie migliori su cui puntare sono lampade efficienti e motori elettrici, i settori dove si potranno conseguire i maggiori risparmi sono l’industria e il terziario commerciale. Investire in efficienza energetica può rappresentare un affare anche per le grandi aziende dell’energia, ma occorre dirottare risorse verso nuovi settori. Lo slogan è "meno centrali e più efficienza": cambiare qualche lampadina non basta, occorre un piano industriale ad hoc sull’efficienza. L’Italia è in forte ritardo nel raggiungimento degli obiettivi di Kyoto. Al 2012 le emissioni dovranno essere il 6,5 per cento in meno rispetto al 1990, ma a oggi sono aumentate del 13 per cento circa. Le politiche messe in atto fino a oggi non sono state efficaci. Non abbiamo bisogno di più energia e di nuove centrali a carbone, abbiamo bisogno di utilizzare meglio l’energia che abbiamo già, trasformandola in energia pulita.

DOPO UN LUNGO LAVORO di preparazione, alle 4 del mattino siamo finalmente in azione, con l’idea di occupare la ciminiera anche per più giorni. Il gruppo dei “climber” di cui faccio parte, ha infatti molto materiale, questa volta si useranno addirittura 1200 metri di corde! Dopo essere entrati di soppiatto nell’area della centrale, arriviamo in cima alla ciminiera e il panorama è da mozzare il fiato! Siamo sopra le nuvole e la nebbia che ricopre tutta la pianura e l’area di parco circostante, sembra di essere sopra un letto di cotone. Questo è un momento meraviglioso, che ci emoziona ancor più dell’incredibile altezza del camino. Però non possiamo perdere tempo: si mettono subito le corde che permetteranno la calata sul fianco della ciminiera, appena pronte iniziamo a scendere di quasi 90 metri: dobbiamo superare le bande rosse e bianche di segnalazione per poi iniziare a dipingere la prima lettera dell’immensa scritta. Questo lavoro dura tutto il giorno e viene concluso il giorno dopo, ma alla fine lettere alte più di tre metri sono perfettamente leggibili da molto lontano: la scritta è alta in tutto quasi cento metri. L’obiettivo è raggiunto, siamo entusiasti ma dobbiamo mantenere la concentrazione, dato che il freddo, la stanchezza e la mancanza di corrente elettrica (tolta dall’Enel, ironia della sorte!) che ha bloccato alcuni di noi nel montacarichi non sono certo buoni compagni per dormire in quota, sul tetto di questa sporca ciminiera ma sotto un bellissimo cielo stellato e con la certezza di aver lanciato un chiaro segnale, a favore delle energie rinnovabili. Carlo

Leggi il rapporto di Greenpeace sul carbone: www.greenpeace.org/raw/content/italy/uffi ciostampa/rapporti/carbone-italia.pdf Leggi il rapporto di Greenpeace sull'efficienza energetica: www.greenpeace.org/italy/ufficiostampa/r apporti/efficienza2020

EFFICIENZA ITALIANA

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Greenpeace/A.Vasari

NEL RAPPORTO La rivoluzione dell’efficienza si dimostra che con la sostituzione delle tecnologie di uso dell’elettricità (per illuminazione, elettrodomestici, motori industriali) si può evitare la costruzione di quattordici centrali da 1000 megawatt da oggi al 2020. E si ottengono risparmi economici significativi. Un esempio semplice sono le lampade fluorescenti compatte: una da 20 wattt sostituisce una tradizionale a incandescenza. Anche comprando quelle ad alta qualità si spendono circa 10 euro (quelle di qualità inferiore si trovano anche a 2-3 euro) e nelle 8-10 mila ore di funzionamento medio si ottiene un risparmio in bolletta fino a 800 kilowattora che costano circa 130-140 euro, tredici-quattordici volte il costo della lampadina, senza considerare che una lampada tradizionale dura otto-dieci volte meno (mille ore) e che dunque nel tempo va ricomprata (con un costo di circa 1 euro). Chi più spende, insomma, meno spende. Facciamo un altro esempio: per l’acquisto di un frigorifero di classe A+ è necessario sostenere un maggior costo dell’ordine dei 100-150 euro rispetto a un modello di classe A. Il risparmio sulla bolletta elettrica è di circa 150 kilowattora all’anno che costano circa 25 euro all’anno. La maggiore spesa viene recuperata così in circa quattro-sei anni per un oggetto che dura almeno quindici anni. Nel corso della vita utile dunque si produrrà un risparmio e se ci fosse una politica di incentivazione questo costo aggiuntivo potrebbe essere ridotto per il cittadino che vuole comprare un elettrodomestico più efficiente. Risparmiare un kilowattora ha un costo complessivo, infatti, più basso non solo del prezzo all’utente finale ma anche del costo dell’elettricità all’ingrosso: meno di 5,4 centesimi al kilowattora rispetto a un prezzo attuale all’ingrosso di 6,5.


UN MILIONE DI NO

I NOSTRI POLLI E L’AMAZZONIA L’Amazzonia è una delle aree con maggiore biodiversità al mondo ma sta diventando anche un gigantesco campo di soia. Se continua così, perderemo il 40 per cento della foresta entro il 2050. Tre giganti statunitensi – ADM, Bunge e Cargill – se la stanno contendendo. Da sole controllano più del 60 per cento delle esportazioni di soia del Brasile. Alle stesse aziende fanno capo più dei tre quarti della capacità di trasformazione della soia in Europa, che rifornisce farina e olio al mercato mangimistico, spesso di origine tran-

COSA MANGIANO DAVVERO GLI ANIMALI D’ALLEVAMENTO?

OGM

MA QUALI PASCOLI… Lo scorso febbraio, è stata consegnata da Greenpeace alla Commissione europea una petizione firmata da oltre un milione di persone, in 21 Paesi europei, Italia inclusa, per chiedere l'etichettatura obbligatoria per latte, carne, uova e formaggi derivanti da animali che sono stati nutriti con Ogm. Con la normativa europea introdotta nel 2004,

tutti i prodotti, contenenti o derivanti da un ingrediente che contenga più dello 0,9 per cento di Ogm, devono esibire sull'etichetta la scritta: «Questo prodotto contiene (o deriva) da Ogm», ma continua ad esserci un enorme buco nero nella normativa. Latte, uova, carne, formaggi che ogni giorno troviamo sugli scaffali europei, non hanno l’obbligo di essere etichettati per legge, anche se spesso gli animali di provenienza vengono nutriti con Ogm. I consumatori hanno diritto di essere informati e di poter scegliere: si tratta di un fondamento dell'Unione europea. Ma in questo campo tale diritto viene negato. Eppure togliere gli Ogm dalla mangimistica europea è possibile e sarebbe un passo importante. Che i raccolti siano destinati all’alimentazione umana o animale, infatti, la propagazione di Ogm nell’ambiente presenta pericoli assolutamente identici. Più del 60 per cento del mais e del 90 per cento della farina di soia commercializzati nel mondo sono destinati a un consumo animale. In Europa, tre quarti delle superfici agricole sono impegnate per sfamare il bestiame di allevamento e, nonostante que-

sto consistente impiego di terreni agricoli, l’Unione europea importa in maniera massiccia la maggior parte delle proteine destinate alla zootecnia: la gran parte di queste proteine, infatti, provengono da Stati Uniti, Brasile, Canada e Argentina. Nonostante l’immaginario collettivo ci spinga a ritenere che i pascoli e il fieno siano la base alimentare degli animali allevati, sono la soia, il mais e, in misura minore, la colza, a fare la parte del leone della dieta zootecnica. Queste tre piante costituiscono, insieme al cotone – il cui seme è anch’esso usato come mangime dopo la sgranatura che lo separa dal fiocco – quasi il 99 per cento della superficie seminata a colture geneticamente modificate nel mondo; il loro impiego in zootecnia risulta pertanto il principale sbocco dell’intero arsenale transgenico: altro che contributo delle biotecnologie nella lotta alla fame nel mondo! Da quando le farine animali sono state vietate in Europa, la soia ha poi potenziato il suo ruolo di fonte proteica di riferimento, molta di quella che entra nel nostro continente è geneticamente modificata.

Greenpeace/Fistick

IN ITALIA i consumatori hanno chiaramente rivendicato il proprio diritto ad alimentarsi di cibi non manipolati geneticamente. Le grandi aziende agroalimentari e le principali catene di supermercati hanno raccolto questo segnale decidendo di escludere gli Ogm e i loro derivati dai prodotti alimentari. In Europa la situazione è identica. Le richieste dei consumatori si fanno sempre più pressanti e altrettanto avviene in Giappone, Cina, Corea, Australia e Nuova Zelanda. Anche all’interno dei grandi paesi esportatori come l’Argentina, gli Stati Uniti e il Canada, dove il dibattito è stato finora meno acceso, i consumatori cominciano a far sentire la propria voce.

Greenpeace/Graf

di FEDERICA FERRARIO

sgenica. Ogni giorno la foresta viene cancellata per fare spazio ai pascoli per il bestiame e ai campi per la produzione di soia destinata all’esportazione. Nell'Amazzonia brasiliana sono stati deforestati 560 milioni di ettari di foresta, un 15 per cento del totale. Di questi già 16 milioni sono degradati e abbandonati. Il pascolo e l'agricoltura estensiva generano ben poco lavoro, spingendo le popolazioni rurali verso l'inurbamento e la miseria. Lungi dal portare sviluppo, rappresentano uno dei fattori di arretratezza del paese. Malgrado ciò negli ultimi anni abbiamo assi-

INDUSTRIA DEL RISO SULL’ORLO DEL COLLASSO IL RISO OGM non lo vuole nessuno. Il rapporto di Greenpeace L'industria del riso sull’orlo del collasso contiene le dichiarazioni delle maggiori aziende risicole di Europa, Asia, Australia, Nord e Sud America, incluso l’impegno della Ebro Puleva, la maggiore azienda di trasformazione del settore, a interrompere l’acquisto di riso dagli Stati Uniti. Questa presa di posizione arriva in seguito alla grave contaminazione avvenuta lo scorso anno, delle forniture mondiali di riso, con una varietà sperimentale ed assolutamente illegale di riso geneticamente modificato prodotto dalla Bayer (LL601). A causa della contaminazione si è registrato il più brusco calo giornaliero del prezzo del riso mai registrato da anni. Gli esperti hanno previsto che le esportazioni di riso statunitense potranno ridursi anche del 16 per cento nel 2006/2007. Diverse azioni legali, del valore di milioni di dollari, sono state promosse dagli agricoltori americani contro la Bayer. La multinazionale preme per ottenere l’autorizzazione per il riso Ogm, ma continua a rifiutare la responsabilità per l’enorme danno economico che il suo riso ha causato. Partite di riso contaminato sono state trovate anche in Italia, maggior produttore europeo di riso, e rispedite al mittente. L'industria del riso sull’orlo del collasso: http://www.greenpeace.org/italy/ufficiostampa/rapporti/riso-ogm-2007

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stito ad una crescita della monocoltura della soia nell'Amazzonia brasiliana. Nel 2004 oltre un milione di ettari sono stati convertiti in piantagioni di soia. La sola Cargill ha costruito in area amazzonica 13 silos industriali ed un porto interamente illegale della capacità di 23 milioni di tonnellate annue, oltre ad asfaltare una strada, la BR163, che taglia l'Amazzonia. Oltre alla distruzione della foresta amazzonica, esistono pesanti rischi legati all'inquinamento da pesticidi e alla diffusione in ambiente di soia transgenica, il tutto per nutrire polli, maiali e bovini di Paesi come il nostro.


di ALESSANDRO GIANNÌ

Greenpeace/Grace

MARE

QUELL’IMPIANTO NON S’HA DAFARE

SIAMO STATI TRA I PRIMI a proporre l’istituzione di un Santuario dei Cetacei nel Mar Ligure, dopo aver effettuato un censimento di balene e capodogli che passano l'estate in queste acque attratti dalla risalita di acque profonde ricche di plancton. Questi microscopici organismi sono alla base di una complessa rete alimentare che include anche numerose specie di cetacei: il Santuario è quindi un prezioso scrigno di biodiversità che deve essere protetto. Purtroppo, l’Accordo stipulato nel 1999 fra Italia, Francia e Monaco, e ratificato dall’Italia due anni dopo, non ha sancito nessuna vera misura di tutela e da subito Greenpeace l'ha ribattezzato una “scatola vuota”: nessun divieto, nessuna garanzia. I nostri timori si sono rivelati purtroppo fondati. Dopo oltre cinque anni il Santuario resta protetto solo sulla carta, minacciato da nuove attività che sembrano del tutto in contrasto con le più elementari norme di conservazione. Tra queste, l’idea folle di realizzarvi un sito industriale in cui collocare un rigassificatore off-shore. Di che si tratta? Nel febbraio 2006 il ministero delle Attività produttive, di concerto con il ministero dell’Ambiente, ha autorizzato la collocazione nelle acque del Santuario di una nave che sarà permanentemente ancorata e su cui verrà trasferito gas naturale liquefatto. Questo tipo di trasferimento era vietato fino a pochi anni fa, per motivi di sicurezza: il progetto è di produrre il gas liquefatto a bordo e quindi pomparlo fino alla costa con una tubatura lunga decine di chilometri. Questo rigassificatore è un pericoloso precedente per la creazione di siti industriali in mare. In Italia non esistono procedure per autorizzare la creazione di siti industriali in mare e, ad esempio, non esistono nemmeno norme per gli scarichi di questi impianti. Inoltre, il progetto viola vari punti non solo dell’Accordo sul Santuario ma anche della Convenzione di Barcellona, quella che tutela il mar Mediterraneo. Greenpeace ha poi rilevato vari aspetti che non convincono nel decreto della Commissione per la valutazione dell’impatto ambientale che ha dato il via libera al rigassificatore. Tra questi spicca la sparizione del cloro dagli scarichi dell’impianto: eppure secondo la Via verrà usato ipoclorito per evitare incrostazioni sulle pompe dell’impianto e nei cassoni che servono a stabilizzare la nave. Si temevano forse violazioni ad alcune norme internazionali sugli scarichi

di cloro in mare? E che dire della incredibile dispersione, a pochi metri dalla nave, di un flusso di 2,2 metri cubi al secondo di acqua fredda e clorata? Non è stata, infine, eseguita nessuna valutazione del rumore emesso dall’impianto e dei possibili effetti sui cetacei

che sono estremamente sensibili all'inquinamento acustico. Problema noto, visto che, per questo motivo, sono proibite nel Santuario dei Cetacei le gare off shore. Questa dev'essere considerato come una vasta area nella quale sperimen-

tare nuovi modelli di convivenza tra attività umane e ambiente, incluse le attività industriali. Questo rigassificatore, però, è un esperimento di tipo ben diverso da quelli che vorremmo vedere realizzati nel Santuario ed è quindi inaccettabile.

Innerspace Vision

IL SANTUARIO DEI CETACEI: AREA PROTETTA O AREA INDUSTRIALE?

CACCIA AL TONNO ROSSO re buona parte dei tonni che sono ingrassati in questi impianti proviene dalla pesca illegale. Che senso ha, quindi, costruire ancora impianti per l’ingrasso? Ancora più assurdo è pensare di insediare gli impianti in aree di rinomata valenza turistica e paesaggistica come, ad esempio, la Costiera Amalfitana, dove Greenpeace sta contrastando un progetto che prevede di ingrassare circa mille tonnellate di tonni, a Cetara. Gli effetti dell’ingrasso dei tonni sull’ambiente circostante sono noti: i pesci scongelati usati come mangime lasciano chiazze oleose, sotto le gabbie c’è un accumulo di materia organica dovuta al mangime non consumato e la torbidità delle acque aumenta. E sono noti anche i conflitti tra impianti e turismo in Turchia, a Malta, in Francia e in Spagna. In Italia, i casi più emblematici sono quelli di Castellammare del Golfo, Vibo Valentia e Marina di Camerota. Per salvare i tonni Greenpeace chiede l'istituzione di riserve marine in altura, ad esempio nel Tirreno Meridionale, anche a tutela degli stock dei grandi pesci pelagici come tonni e pesce spada, mentre lungo le coste italiane si deve realizzare una rete efficace di riserve marine. E si potrebbe cominciare proprio dalla Costiera Amalfitana.

A DUBROVNIK, durante la riunione dell’Iccat, la Commissione Internazionale per il tonno rosso, il comitato scientifico ha chiesto di diminuire subito le quote di pesca, da 32 mila a 15 mila tonnellate l'anno. Nonostante lo stato tragico dello stock, i Paesi membri si sono invece accordati per una misera riduzione del 20 per cento entro il 2010: siccome Libia e Turchia hanno presentato un'obiezione, in pratica le quote dichiarate nel 2007 sono superiori a quelle del 2006. La pesca, oltre che eccessiva, è anche in gran parte illegale e l’Iccat ammette che si pescano circa 50 mila tonnellate di tonni ogni anno, invece di 32 mila. I tonni sono pescati soprattutto dalle “tonnare volanti”, pescherecci con enormi reti che circondano interi banchi, e quindi trasferiti in gabbie dove vengono ingrassati artificialmente. La capacità degli impianti di ingrasso del tonno di tutto il Mediterraneo supera ormai le 58 mila tonnellate l'anno, quasi il 60 per cento oltre la quota ammessa. Solo in Italia, da maggio 2006 a gennaio 2007, la capacità degli impianti comunicata dal ministero delle Politiche agricole all’Iccat è quasi raddoppiata, da 5.800 a 10.900 tonnellate. La quota italiana per le tonnare volanti è ben al di sotto delle quattromila tonnellate l'anno. O i dati comunicati all’Iccat sono errati, oppu-

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FA ROTTA SULL’IRAN

di GIUSEPPE ONUFRIO

Greenpeace/Novis

DISARMO

IL TOUR DELLA NOSTRA NAVE ammiraglia, Rainbow Warrior, attorno alla Penisola arabica è iniziato con una conferenza stampa a Kuwait City, presentando i dati della contaminazione da Ogm di 14 prodotti alimentari sui 35 analizzati. Erano stati acquistati in Kuwait, Qatar e Emirati Arabi Uniti, ma tutti erano di importazione statunitense. Successivamente la nave di Greenpeace ha fatto rotta verso l’Iran, mentre nelle acque del Golfo erano in corso esercitazioni militari sia da parte degli Usa che dell’Iran. Il piano era quello di effettuare una conferenza stampa a bordo nel porto di Bushehr, in Iran, per presentare i risultati di una ricerca su come soddisfare i bisogni energetici del

Paese senza ricorrere al nucleare. Attraverso efficienza energetica e fonti rinnovabili l'Iran può soddisfare il proprio fabbisogno, risparmiando e riducendo anche il ricorso al petrolio e al gas. All'ultimo momento il permesso di entrare nelle acque territoriali iraniane è stato negato dalle autorità. Appare vergognoso che in un momento come questo non ci sia stato spazio per un messaggio di pace. Abbiamo ricevuto comunque grande sostegno da diverse organizzazioni non governative iraniane, che hanno cercato di aiutarci a far entrare la nostra nave. In Israele, in contemporanea, si è svolta una protesta di attivisti di Greenpeace davanti

alla Knesset, il parlamento israeliano, a simboleggiare la minaccia nucleare sopra le nostre teste. All'inizio del mese di febbraio, invece, ad Abu Dhabi, Greenpeace ha presentato il capitolo relativo al Medio Oriente del rapporto Energy [R]evolution, che mostra come si possa trasformare l'intero settore energetico e renderlo più ecologico e sicuro. Questo processo potrebbe aumentare la sicurezza degli approvvigionamenti energetici, riducendo il costo dell'energia, e accelerando lo sviluppo economico, con una contemporanea riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. Non c'è affatto bisogno dell'energia nucleare e solo così un futuro di pace diventa possibile.

BOMBE A MONTECITORIO

Greenpeace/A.Vasari

SEI RIPRODUZIONI di bombe atomiche tipo B61 a grandezza naturale di fronte a Montecitorio. Così Greenpeace ha voluto rilanciare lo scorso novembre un messaggio semplice e chiaro: senza una nuova stagione di disarmo nucleare è impossibile bloccare la proliferazione atomica. Le 480 bombe atomiche Nato ancora presenti in Europa – 90 in Italia – facevano parte degli accordi Usa-Urss del 1991 che ne prevedevano lo smantellamento. Le armi presenti in Italia sono bombe atomiche di tipo B61 a gravità e si trovano nelle basi di Aviano e Ghedi Torre.

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STOP ALLA DISTRUZIONE delle foreste primarie del Canada per prodotti usa e getta. I nostri attivisti hanno protestato recentemente a Torino di fronte alla direzione della KimberlyClark, che detiene marchi come Scottex e Kleenex. Una scelta non casuale perché questa multinazionale è il primo produttore di carta per uso domestico: circa un terzo della cellulosa vergine utilizzata per i suoi prodotti europei e un quinto della produzione internazionale proviene dal Canada, anche dalle foreste boreali. La stragrande maggioranza delle operazioni di taglio in questa regione avviene con il taglio a raso che prevede la completa eliminazione della vegetazione, anche in aree di foresta primaria o di alto valore biologico. Non si capisce perché la Kimberly continui a promuovere la distruzione delle foreste più antiche, perfino in presenza di valide alternative. La richiesta di Greenpeace è di incrementare sostanzialmente la percentuale di fibre riciclate nei propri prodotti e, se è necessario impiegare le fibre vergini, usare solo quelle da operazioni forestali responsabili, certificate sotto gli affidabili standard del Forest Stewardship Council. Solo così si potranno proteggere le foreste boreali del Canada, che si estendono dalla costa atlantica a quella pacifica, su una superficie vasta diciannove volte quella dell'Italia, e rappresentano circa un quarto delle foreste ancora intatte del pianeta. Offrono riparo a numerose specie minacciate, come il caribù e il ghiottone.

PER PRODURRE CARTA IGIENICA RISCHIAMO DI DIRE ADDIO A ORSI E BOSCHI di GABRIELE SALARI

GRANDE ORSO Greenpeace ha festeggiato, dopo un decennio di battaglie, la decisione del governo della Columbia Britannica, in Canada, di proteggere due milioni di ettari di foresta. Si chiama foresta del Grande Orso perché di orsi bruni dal sorprendente manto bianco se ne vedono parecchi in questa distesa di conifere grande come la Lombardia. Industria, amministratori, popoli indigeni e ambientalisti si sono seduti attorno a un tavolo e hanno accettato un modello di gestione forestale messo a punto da una equipe di scienziati indipendenti. Per la nostra associazione è un modello da adottare negli altri stati canadesi. È arrivato ora anche un importante finanziamento per la foresta del Grande Orso: tra donazioni private e istituzioni, il più cospicuo pacchetto di investimenti della storia per un simile progetto. I fondi permetteranno non solo di creare numerose aree protette, ma anche di sostenere lo sviluppo di un modello economico pienamente sostenibile di sfruttamento forestale, basato sulla diversificazione e sul pieno coinvolgimento delle comunità locali e dei popoli indigeni. Accanto a nuove metodologie di prelievo del legno, saranno stimolati usi diversi della foresta, dalla raccolta di prodotti non legnosi a progetti di turismo responsabile. I popoli indigeni verranno pienamente coinvolti in tutti i loro territori tradizionali.

Greenpeace/A.Guermani

PER UN MEDIORIENTE DI PACE LA RAINBOW WARRIOR

NON GETTIAMOLE NEL WATER FORESTE


BREVI DAL MONDO

VOGLIAMO LA MELA VERDE

REACH DECOLLA CON TROPPE FALLE

7 MARATONE IN SETTE CONTINENTI

NIENTE CREDITO AL NUCLEARE

VINCONO LE BALENE, PER ORA

DOPO IL SUCCESSO dell' Eco guida ai prodotti elettronici, Greenpeace rilancia la campagna Green my Apple. Migliaia di persone hanno partecipato e vogliono Apple all’avanguardia nella tutela dell’ambiente: appassionati e potenziali clienti chiedono a gran voce una rivoluzione nel campo dell'industria elettronica. La società di Steve Jobs, infatti, non ha ancora preso provvedimenti contro l’uso di sostanze chimiche pericolose nei suoi prodotti e per lo smaltimento eco-compatibile dei rifiuti elettronici. Molte altre aziende tra cui HP e Dell hanno già deciso di abbandonare l’uso di sostanze come Pvc e ritardanti di fiamma, Apple invece a mala pena ha attivato un programma di riciclaggio. E mentre rifiuti tossici elettronici si accatastano in Cina e India, succede che l’industria dell’hi-tech avveleni il bene più prezioso, l'acqua. Lo dimostra il recente rapporto di Greenpeace Cutting Edge Contamination: le analisi di laboratorio mostrano che in prossimità delle fabbriche di prodotti elettronici in Messico e nelle Filippine vengono rilasciate sostanze tossiche come i PBDE, un gruppo di ritardanti di fiamma bromurati, e gli ftalati, usati per ammorbidire le sostanze plastiche, ma anche composti volatili del cloro e metalli pesanti. Oltre al rischio cui sono esposti i lavoratori, Greenpeace denuncia l’alto tasso di inquinamento registrato nei fiumi e nelle acque di falda. Nelle Filippine, in uno dei siti esaminati, l'acqua potabile conteneva concentrazioni di cloro anche settanta volte superiori ai limiti fissati dall'Agenzia Usa per l'ambiente. In altri casi si sono trovate forti concentrazioni di rame, un metallo responsabile di calo della fertilità o della crescita negli organismi acquatici. L'industria hi-tech deve assumersi la responsabilità dei danni che sta provocando: dalla produzione alla fine del ciclo di vita dei prodotti si devono garantire misure efficaci per la tutela dell'ambiente e la salute dei consumatori.

LA NUOVA LEGISLAZIONE EUROPEA sulle sostanze chimiche, denominata Reach, è stata approvata dal Parlamento europeo ma il testo non è quello auspicato dalle associazioni ambientaliste, di tutela della salute, dei consumatori e delle donne. La legislazione, pensata per sostituire regole vecchie di quarant’anni, fa compiere all’Europa il primo piccolo passo verso un nuovo approccio alla regolamentazione delle sostanze chimiche. Le aziende dovranno fornire dati sulla sicurezza per gran parte delle sostanze chimiche che producono o importano in Europa, ed è prevista la sostituzione ma solo laddove esistano alternative più sicure. In passato, le aziende potevano vendere qualsiasi sostanza senza fornire informazioni su salute e sicurezza e le sostanze chimiche pericolose venivano eliminate solo in caso di scandali. Tuttavia, il regolamento Reach contiene troppe scappatoie perché non verranno banditi molti composti che possono causare seri problemi alla salute, tra cui cancro, difetti alla nascita, malattie riproduttive. Ulteriori concessioni dispensano le aziende che importano e trattano sostanze chimiche in volumi inferiori alle 10 tonnellate all’anno – il 60 per cento delle sostanze chimiche prese in considerazione da Reach – dall’obbligo di fornire qualsiasi dato di sicurezza significativo. Molti composti pericolosi arriveranno sul mercato se i produttori affermeranno di poterli adeguatamente controllare. Si tratta di scappatoie rischiose: infatti, i concetti di "adeguato controllo" e di "soglie di sicurezza" si basano su un azzardo, dati gli effetti sconosciuti della combinazione di agenti chimici sulle funzioni ormonali e sullo sviluppo dei bambini nei primi anni di vita. Greenpeace ha richiesto a gran voce l'introduzione del principio di sostituzione come misura minima necessaria. Non ci sono garanzie, per esempio, che informazioni da parte di terzi sulle alternative più sicure alle sostanze pericolose verranno prese in considerazione.

HA CORSO nei deserti più estremi del pianeta e ora, ad aprile, lo aspetta una prova tra i ghiacci, al Polo Nord. Lì si corre sull'acqua, seppure solidificata. Francesco Galanzino, testimonial della campagna Energia e Clima di Greenpeace, è arrivato secondo alla Sahara Race, preceduto solo dal danese Jimmi Olsen, e si conferma come uno dei più forti runner al mondo, dopo il secondo posto in Cina e il terzo in Cile. Galanzino ha percorso ben 250 chilometri – in sei tappe – con la scritta Greenpeace sulla maglia. Giunto al traguardo, tra le Piramidi e la Sfinge, ha aperto – come nelle due maratone precedenti – lo striscione con il messaggio: "Save the Climate. Energy Revolution". Il quarto deserto doveva essere quello antartico, il più freddo del pianeta con temperature che possono scendere a meno 30 gradi centigradi e percorsi impegnativi su sassi, neve e ghiaccio. Nessuno ha però se l'è sentita di sfidare Galanzino, che quindi ha dovuto rinunciare per il momento e si è iscritto a un'altra sfida tra i ghiacci, al Polo Nord. Lì sarà testimone di quanto lo strato di ghiaccio della Terra si stia sciogliendo. Uno studio scientifico norvegese prevede che entro 50 anni l’Oceano artico potrebbe ritrovarsi privo di ghiaccio durante l’estate. Lo spessore dello strato di ghiaccio si è già ridotto del 42 per cento durante gli ultimi quattro decenni e la superficie dello strato di ghiaccio del 6 per cento. La diminuzione dello spessore e della superficie hanno ridotto la massa di ghiaccio dell’Oceano artico di quasi la metà. Il senso dell'impegno di Francesco Galanzino accanto a Greenpeace è chiaro, aiutare con il proprio impegno fisico la lotta ai cambiamenti climatici. Non c'è continente in cui non correrà in questi due anni e ovunque con la stessa grinta e impegno ambientalista. Continuiamo a seguirlo e sostenerlo in quest'avventura sportiva e umana. Facciamogli sentire il nostro incoraggiamento.

"NO AL FINANZIAMENTO di nuovi impianti nucleari!". È questo il messaggio lanciato da Greenpeace di fronte agli sportelli di Unicredit Group a Milano e in altre città italiane, lo scorso ottobre. Greenpeace ha smascherato e poi dissuaso Unicredit dall’investire nel nucleare in Bulgaria. La banca stava progettando il finanziamento di un reattore nucleare in una zona sismica, a Belene, dove nel 1977 un terremoto ha causato 200 morti a soli 14 chilometri dal luogo in cui dovrebbe sorgere il nuovo reattore. Il progetto prevede la costruzione di un reattore sovietico del tipo VVER 1000, una tecnologia vecchia di trent’anni, non in linea con gli standard di sicurezza dell'Unione Europea e che non vedrebbe mai la luce in Europa occidentale. Un reattore dello stesso tipo nella centrale di Temelin, in Repubblica Ceca, ha avuto problemi sin dalla messa in funzione nel 2000 ed è stato protagonista lo scorso ottobre di un ennesimo incidente. Anche due reattori di tecnologia occidentale sono stati bloccati di recente in Gran Bretagna per guasti legati all'impianto di raffreddamento, e questo non fa che confermare la pericolosità di questi impianti. Il nucleare è un vicolo cieco: le centrali sono costose e pericolose e costituiscono un obiettivo sensibile per attacchi terroristici; la gestione delle scorie, nel lungo periodo, è un nodo irrisolto; le scorte di uranio sono limitate e potrebbero esaurirsi nel giro di cinquant’anni. Dopo le denunce di Greenpeace, il gruppo Unicredit, insieme alla Deutsche Bank, ha ritirato la partecipazione alla gara per finanziare i reattori di Belene. Investire nel nucleare, per di più in zona sismica, è una vera follia e il progetto di Belene rischia di risolversi in un disastro ambientale per l'Europa intera. Se Unicredit vuole presentarsi come un gruppo finanziario responsabile anche sul piano ambientale, deve continuare a sottrarsi a questo tipo di investimenti. Enel, intanto, investirà 1,8 miliardi di euro per completare due reattori nucleari sovietici anni Settanta in Slovacchia, nonostante manchi ancora lo studio di fattibilità.

LA NAVE ESPERANZA di Greenpeace, con a bordo l'attivista italiana Caterina Nitto, ha scortato a fine febbraio la flotta baleniera giapponese fuori dalle acque antartiche e lontano dall’area di caccia. In aggiunta all’assurdità della caccia all’interno di un santuario internazionale di protezione dei cetacei, questa stagione è stata segnata da una tragedia umana e da una minaccia davvero concreta all’ambiente incontaminato dell’Antartide. Un incendio sprigionatosi a bordo della Nisshin Maru, la nave mattatoio nipponica, ha causato la perdita di un membro dell'equipaggio e il rischio, poi rientrato, che la nave colasse a picco. Se si fosse verificato il disastro sarebbe stata colpita la maggiore colonia al mondo di pinguini di Adelia. L' Esperanza si era subito offerta di soccorrere la baleniera, un aiuto però rifiutato perché per i giapponesi i nostri attivisti sono "terroristi". Passati i 60 gradi di latitudine, Karli Thomas, capo della spedizione di Greenpeace, ha inviato un messaggio radio alla Nisshin Maru: «Comprendiamo il vostro dolore per la perdita di un membro dell’equipaggio e riconosciamo anche il lavoro che avete fatto giorno e notte per riparare la vostra nave, ma questa deve essere l’ultima volta che il vostro governo vi manda nell’Oceano meridionale a cacciare balene e a minacciare l’ambiente antartico. Per il bene dell’ambiente e delle balene – mai più!» Il governo giapponese e la comunità internazionale devono ora promettere che questa stagione di caccia sarà l’ultima. A maggio non devono tornare gli arpioni nell'Oceano Pacifico, come Tokyo invece lascia intendere. L’Esperanza continuerà a scortare la flotta baleniera finché sarà chiaro che non c’è più alcuna intenzione di tornare a cacciare. La nave di Greenpeace navigherà poi verso l’Australia per chiudere la campagna Defending Our Oceans, una spedizione di quattordici mesi per denunciare tutte le minacce agli oceani.

Segui la campagna www.greenmyapple.com

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ZAINETTO/ TRACOLLA Quaderni composti da 52 fogli bianchi in carta 100 per cento riciclata da raccolta differenziata, non deinchiostrata, con certificazione ecolabel, blue angel e Nord Swan. Copertina personalizzata con logo Greenpeace e realizzata in cartoncino riciclato stampato con l’utilizzo di inchiostri a base di olii vegetali.

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Tazza personalizzata Greenpeace con timbro a secco, realizzata artigianalmente in materiale estremamente resistente, ispirato alle geometrie presenti in natura. La lavorazione è esente dall’impiego di metalli pesanti quali piombo, cadmio, selenio e altri.

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Il tubo, in cartone riciclato da raccolta differenziata, contiene due vasetti di coccio, due cialde di torba e una bustina con semi di zucca e girasole. Pianta i semi e regalali ai tuoi amici. Diventerai anche tu un seed saver contribuendo a moltiplicare queste varietà in via di estinzione.

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Cotone 100 per cento, dal commercio equo e solidale, senza uso di inchiostri tossici o materie prime dannose per la salute umana. Soggetti balene (blu), foreste (rosso), clima (giallo adulti, blu bambini) e ogm (arancione).

codice T001XL T001LL T001MM T001SS T002XL T002LL T002MM T002SS T002DM T002DS T003XL T003LL T003MM T003SS T003BP T003BG T004XL T004LL T004MM T004SS T004DM T004DS

descrizione Balene Uomo XL Balene Uomo L Balene Uomo M Balene Uomo S Foreste Uomo XL Foreste Uomo L Foreste Uomo M Foreste Uomo S Foreste Donna M Foreste Donna S Clima Uomo XL Clima Uomo L Clima Uomo M Clima Uomo S Clima Bimbo 7-8 anni Clima Bimbo 9-11 anni OGM Uomo XL OGM Uomo L OGM Uomo M OGM Uomo S OGM Donna M OGM Donna S

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