ACQUE AZZURRE?
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GREENPEACE STAMPA PROMOZIONALE PROMOZIONALE GREENPEACE NEWS NEWS -- N.88 N.87 -- III II QUADRIMESTRE 2007 - ANNO XXI - ISBN 88-85216 - STAMPA POSTE ITALIANE SPA - SPED. IN ABB. POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L: 27/02/2004 N.46) ART.1 - COMMA 2 DCB - ROMA
ACQUE AZZURRE?
NEWS
SOMMARIO
PERIODICO DI GREENPEACE ITALIA
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Acque azzurre?
La fabbrica del parmigiano
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INQUINAMENTO CLIMA
FORESTE
La strada per Bali
Il Congo chiama
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In salsa soviet
DAL MONDO
Giochi pericolosi
IL TOUR DELLA RAINBOW WARRIOR IN ITALIA di ALESSANDRO GIANNÌ
Redazione e Amministrazione/ Greenpeace ONLUS Piazza dell’Enciclopedia Italiana, 50 00186 Roma email: info@greenpeace.it tel: 06.68136061 fax: 06.45439793 Ufficio abbonamenti/ Augusto Carta tel: 06.68136061(223)
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Aut. Tribunale di Roma 275/87 del 8.5/87
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Questo periodico è stampato su carta amica delle foreste: carta riciclata contenente alte quantità di fibre post-consumo e sbiancata senza cloro. L’involucro per l’invio del Greenpeace News è in Materbi, un materiale derivato dal mais, completamente biodegradabile. Greenpeace/Carlo Porrone
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Direttore editoriale/ Andrea Pinchera Direttore responsabile/ Fabrizio Carbone Redazione/ Lisa Benvenuto, Giuliana Caprioglio, Maria Carla Giugliano, Vittoria Iacovella, Luigi Lingelli Archivio foto/ Massimo Guidi Progetto grafico/ Saatchi&Saatchi Impaginazione/ Francesca Schiavoni, Paolo Costa Internet/ Marcello Colacino
EDITORIALE di DONATELLA MASSAI ABBIAMO INTITOLATO il nostro servizio dedicato alla campagna Energia e clima “La strada per Bali”. E non c’è dubbio che di strada, per trasformare la tredicesima conferenza delle parti che hanno firmato il Protocollo di Kyoto (la cosiddetta Cop 13) in qualcosa di utile, ce ne sia molta da percorrere. Nonostante la crescente consapevolezza dei danni causati dal riscaldamento globale, infatti, le misure fin qui adottate dalla comunità internazionale sono largamente insufficienti. E non è detto neanche che vengano rispettate (al momento, lo stato di attuazione degli impegni presi per il 2012 da chi ha ratificato il protocollo è complessivamente deficitario). Ma trasformare tutto ciò in una riduzione dei gas serra del 30 per cento entro il 2020 (e poi del 60 per cento entro il 2050…) è un’impresa. Anche per chi ne ha la volontà. Come potete immaginare, quest’ultima caratteristica a Greenpeace non manca. Per questo stiamo potenziando la campagna Energia e clima, aggiungendo sempre nuovi contenuti e motivi di confronto. Naturalmente, ci opponiamo ai combustibili fossili, principali responsabili dell’aumento dell’effetto serra, e alla favola del “carbone pulito”. Consideriamo il nucleare una falsa risposta, sia in termini energetici che economici (per non parlare dei tempi: la vicenda del reattore finlandese, della quale si scrive all’interno, è esemplare a questo proposito). Cerchiamo di rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla costruzione di impianti eolici o solari, come le nostre attività in Sardegna testimoniano. E non la smettiamo di promuovere l’efficienza, il vero asso nella manica nella sfida ai cambiamenti climatici, l’unico strumento in grado di farci guadagnare il tempo necessario a evitare le peggiori conseguenze per il pianeta e insieme di permettere lo sviluppo di un’economia energetica sostenibile. Parlando di efficienza, non si può più posticipare l’eliminazione delle lampadine incandescenti a favore di quelle fluorescenti, che come tutti sanno consu-
mano circa un quinto di energia a parità di illuminazione. È l’obiettivo della campagna “ban the bulb”, lanciata nei mesi scorsi: Greenpeace chiede di mettere al bando – nei tempi più rapidi possibili – le lampadine incandescenti, facendo pressione su governi, produttori e rivenditori. Contemporaneamente, è in corso una revisione della campagna Foreste per rendere più evidenti i legami con quella Energia e clima. La deforestazione, infatti, è – dopo il consumo di combustibili fossili – la principale causa del riscaldamento globale. Difendere le foreste primarie, in particolare quelle di Amazzonia, Africa e Indonesia, non è solo un modo per tutelare la biodiversità terrestre, ma anche per rallentare la crescita di gas serra in atmosfera. Alla Cop 13, come sempre, cercheremo di far ascoltare le nostre ragioni. Forti dei segnali positivi riguardo alla correttezza della strada indicata. Nello scorso editoriale, per esempio, ricordavo la decisione della Commissione europea di tagliare il Piano di assegnazione delle quote di gas serra presentato dall’Italia (non è chiaro se il governo se ne è reso conto, ma è evidente la bocciatura in chiave europea). Qui vorrei aggiungere una piccola storia, apparsa a ottobre su The Guardian. Nel luglio scorso – racconta il quotidiano inglese – un potente terremoto ha obbligato la Tokyo Electric Power Co a bloccare la centrale nucleare di Kashiwazaki-Kariwa. Immediata la richiesta a negozi, aziende e abitazioni di risparmiare energia semplicemente abbassando la potenza dei condizionatori. A distanza di qualche mese, i proprietari della centrale riconoscono che più di mille megawatt di potenza elettrica, equivalenti a quella del reattore che ha subito l’incidente, sono stati risparmiati in questo modo. The Guardian commenta che è un precedente interessante. E noi siamo d’accordo.
LA RAINBOW WARRIOR è stata di nuovo nei mari italiani, questa volta in agosto. In estate, tempo di vacanze e mare, molti sperano di trovare acque pulite, coste e fondali incontaminati. La realtà è spesso differente, forse per questo tante persone sono venute a trovarci a bordo, sostenendoci nella battaglia per un mare in salute. Il tour è iniziato all’Elba il 31 luglio, dove si è discusso di una proposta per un’area marina protetta. Oggi, per l’isola toscana c’è già una piccola zona tutelata, lo Scoglietto di Portoferraio, in cui da anni è vietato pescare. I risultati positivi sono evidenti e oggi le sue acque sono visitate da migliaia di sub: le cernie e i dentici dello Scoglietto “valgono” per il turismo dell’Elba molto più da vivi che da morti. Le ancore di tutti questi “visitatori”, però, lasciano cicatrici profonde sui fondali di questa zona così preziosa e per questo Greenpeace ha avviato, con il Comune di Portoferraio, il Circolo sub Teseo Tesei e la Lega navale, un’intesa per dotare l’area di una serie di ormeggi. L’intesa è stata presentata durante una conferenza stampa sulla Rainbow Warrior e, naturalmente, si è parlato di riserve marine. Anzi, il Comune di Portoferraio ha chiesto a Greenpeace un commento su un suo documento sul progetto di area marina protetta. Greenpeace ha risposto: bisogna allar-
gare l’esperienza dello Scoglietto al 30-40 per cento delle coste elbane, anche per tutelare la piccola pesca locale. POSIDONIA, TRAPIANTO FALLITO Dall’Elba, il 2 agosto la Rainbow Warrior si è spostata a sud, nelle acque di Santa Marinella, per affrontare un problema spinoso: il “trapianto” della posidonia. La prateria di posidonia (Posidonia oceanica) è un habitat a protezione prioritaria ai sensi della Direttiva Habitat dell’Unione Europea. In alcuni casi però le nostre autorità autorizzano lo “spostamento” del posidonieto: accade per costruire porti, siti industriali e altro. A Santa Marinella, dove lo spostamento è stato “reso necessario” dall’ampliamento del porto di Civitavecchia, Greenpeace ha documentato il fallimento di parte del trapianto. Ma, soprattutto, i dati del nostro rapporto Trapianto letale mostrano che la prateria distrutta comunque non viene rimpiazzata e che le piantine trapiantate, anche se sopravvivono, non sono in grado di ricostruire un posidonieto. Tra l’altro, nell’area del trapianto l’acqua era molto torbida (anche con mare calmo) e la posidonia già esistente nella zona mostra segni di sofferenza. La posidonia, che è una vera pianta (con radici, fusto, foglie e fiori), soffre la scarsità d’illuminazione e l’ec-
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cesso di sedimenti, verosimilmente dovuto alla forte urbanizzazione del litorale. Greenpeace sta preparando un rapporto che invierà alla Commissione Europea chiedendo il puntuale rispetto della Direttiva Habitat. BARCHE, BARCHINI & CANOE Molto più limpide, per fortuna, sono le acque dell’isola di Ventotene dove il mare è protetto da una decina d’anni. E si vede. Approdati con la Rainbow Warrior, ci siamo immersi tra cernie giganti, ricciole amichevoli e tante diverse forme di vita. Ma niente ha eguagliato l’amicizia e il calore della gente di Ventotene. Dovevano essere poche decine di ragazzi a visitare la nave. Invece, sono state forse cinquecento le persone che in una mattinata, con barche, barchini e canoe sono venute a trovarci: un attimo di confusione e poi tutti siamo stati travolti. Nel pomeriggio, dopo un’altra immersione, siamo stati invitati a una festa in piazza con banda musicale e lancio di mongolfiera di carta. Peccato non poter restare di più ma era tempo di puntare al largo in cerca di spadare. Sapevamo che la stagione ormai era al termine e che trovarle non sarebbe stato facile. Abbiamo cercato, nelle notti tra il 4 e il 6 agosto, qualche possibile “bersaglio”, trovando solo un palamito. Abbiamo continuato a cer-
OCEANI IN PERICOLO UN RAPPORTO DEL WORLDWATCH INSTITUTE
Greenpeace/Carè
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ROMINA E LE RISERVE Anche per questo motivo, l’8 agosto, Greenpeace ha protestato andando sull’impianto abusivo di Cetara: una struttura fatta solo di boe e un paio di scheletri di gabbie, vuota, senza tonni. C’eravamo invece noi, dentro le gabbie, e su un nostro gommone c’era Romina Power che da madrina della campagna Mare non poteva mancare, per lanciare un messaggio chiaro: le gabbie dei tonni sono uno strumento di condanna a morte del mare. Bisogna andare altrove. La via maestra è sempre quella delle riserve marine. Riserve marine in altura, per proteggere le aree di riproduzione dei tonni (ad esempio, nel Tirreno meridionale) e lungo la costa per proteggere la Costiera. Greenpeace sta elaborando una proposta per una riserva marina a Capo d’Orso, presso Maiori e proprio di fronte al punto dove si vorrebbero mettere le gabbie. È uno dei pochi tratti in cui ancora si possono osservare quasi intatte le bellezze sottomarine della Costiera. Certo per ora mancano i pesci: torneranno se la zona sarà protetta!
Greenpeace/Carlo Porrone
TONNO ALL’INGRASSO Siamo quindi arrivati a Procida, la mattina del 6 agosto, dove è cominciata la parte conclusiva del nostro tour, dedicata al problema degli impianti di ingrasso del tonno rosso. Se la distruzione del tonno è un problema “globale”, che interessa tutto il Mediterraneo, la presenza di questi impianti crea allarme per le popolazioni locali. I tonni sono infatti nutriti con pesci scongelati che lasciano tracce oleose galleggianti (e… “profumate”) e gli impianti possono rilasciare nutrienti in eccesso, causando torbidità delle acque. Non è il massimo per una località turistica come Procida (dove tra l’altro dovrebbe partire a breve una discussa riserva marina) e per la Costiera Amalfitana, in cui Greenpeace ha contrastato – fino ad ora con successo – la realizzazione di un impianto a Cetara. Non è il massimo neanche per il Cilento dove l’impianto di Marina di Camerota è stato spostato al largo (per… manifesto inquinamento) e dove è stato presentato un altro progetto ad Acciaroli. Insomma, questi impianti creano moltissimi problemi e resta da capire se nei prossimi anni ci saranno tonni da ingrassare. Lo stesso gruppo che vuol installare nuove gabbie a Cetara aveva due gabbie vuote a Procida. Ma se i tonni non ci sono, perché costruire nuove gabbie? Solo perché ci sono i fondi dell’Unione Europea?
sbiancamento dei coralli: per lo stress termico i corali espellono le alghe simbionti e la barriera diventa più fragile ed esposta ad agenti patogeni e atmosferici avversi, come gli uragani o gli tsunami. Preoccupano anche le alterazioni delle correnti marine (che regolano il clima) e l’acidificazione dell’acqua di mare. Nel frattempo, continuiamo a sversare in mare sostanze chimiche e radioattive. Idrocarburi e rifiuti (soprattutto plastica) sono ovunque, e gli scarichi, urbani o agricoli, causano esplosioni algali e anossia dei fondali: il caso più noto è quello del Golfo del Messico (anche oltre 80 mila chilometri quadrati di fondale morto) ma in scala più modesta questi fenomeni sono noti anche nel Mediterraneo, ad esempio nel Mar Adriatico. Le conclusioni degli autori è che siamo ancora in tempo per salvare gli oceani, ma che questo tempo non è più molto. Si raccomandano azioni decise, in accordo con il principio di precauzione, e si chiede il rispetto di decisioni importanti come quella del Summit mondiale sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg (2002) di mettere a punto, entro il 2012, una rete mondiale di aree marine protette non solo lungo le coste ma anche in alto mare dove, oggi, si può fare di tutto, restando impuntiti.
IL WORLDWATCH INSTITUTE, prestigioso centro di ricerche con base a Washington, ha pubblicato nel mese di settembre il suo rapporto dedicato ai mari del Pianeta. Oceans in Peril, questo è il titolo, è stato scritto da quattro esperti che da tempo collaborano con Greenpeace International. Il rapporto ricorda l’incredibile varietà biologica ospitata dagli oceani: dalle montagne e sorgenti termali abissali, alle zone frontali in altro mare e, lungo le coste, le barriere coralline, le foreste a mangrovie e le praterie di fanerogame marine, come la nostra posidonia. Sappiamo quanto la diversità degli oceani sia minacciata, ad esempio dalla pesca industrializzata. Si pesca troppo (il 76 per cento degli stock è sovrasfruttato) e male. Alcuni attrezzi da pesca, infatti, presentano livelli inaccettabili di “catture accessorie”: un modo elegante per indicare pesci, invertebrati, rettili e mammiferi marini che sono uccisi da attrezzi pericolosi come le reti derivanti (note in Italia come spadare) o la pesca a strascico, per essere poi rigettati morti in mare. Non meno preoccupante è lo sviluppo dell’acquacoltura che spesso aggiunge, e non risolve, problemi. Anche il cambiamento climatico ha, ed avrà, impatti sulla diversità marina. Il caso più noto, ma non l’unico a preoccupare, è quello dello
Crediti/Nome e Cognome
care ma quando il mare s’è ingrossato (da forza 2 a forza 6 in tre ore) abbiamo capito che non era cosa: il mare bisogna rispettarlo.
LA SVOLTA EUROPEA STOP ALLA PESCA DEI TONNI (FINO A DICEMBRE...) Greenpeace ha monitorato e denunciato le attività illegali dei pescherecci europei, anche italiani. Ma sono molte altre le nazioni responsabili. Agli inizi di settembre, per esempio, abbiamo scoperto lo sbarco illegale di 96 tonnellate di tonni nel porto di La Valletta (Malta): provenivano da due pescherecci libici che dovevano essere fermi da metà giugno, ma secondo le autorità maltesi avevano i certificati di sbarco dell’Iccat (veri o falsi?). La Commissione Europea ha affermato che alle future quote per la pesca al tonno di ogni stato membro verranno sottratti i quantitativi pescati in eccesso (principio finora poco applicato) e che ci saranno più monitoraggi e controlli. Questo non basta! Greenpeace chiede che le aree di riproduzione del tonno rosso siano incluse in una rete di riserve marine d’altura e chiede che l’Ue si faccia promotrice di una revisione del “piano di gestione” del tonno con una riduzione delle quote verso i valori suggeriti dal comitato scientifico dell’Iccat.
LA COMMISSIONE EUROPEA, lo scorso 19 settembre, ha deciso di chiudere la stagione 2007di pesca al tonno. La quota europea (poco meno di 16.800 tonnellate) è stata superata da alcuni stati membri che hanno pescato troppo. La Commissione sta investigando, ma Italia e Francia avevano già bloccato la pesca a luglio, confessando di aver completato le quote nazionali. Nel 2006, il comitato scientifico Iccat era stato molto chiaro: lo stock è a rischio di collasso. L’unica possibilità di salvarlo sono una serie di misure di protezione, compresa la riduzione delle catture a 15 mila tonnellate/anno e una rete di riserve marine nelle zone di riproduzione. I Paesi dell’Iccat hanno invece adottato quote per circa 30 mila tonnellate. E così una flotta sovradimensionata, cresciuta grazie ai finanziamenti europei (almeno 34 milioni di euro) e degli stati membri, sta spazzando via la popolazione di tonno rosso. Fino ad oggi abbiamo perso l’80 per cento dello stock. Quest’estate
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LA FABBRICA DEL PARMIGIANO OGM
grafici con proposte alternative di pubblicità, per un Parmigiano non-OGM, raggiungendo un livello altissimo per le opere in concorso.
ORA SAPPIAMO COSA MANGIANO LE MUCCHE!
di FEDERICA FERRARIO
ORMAI SAPPIAMO che il rilascio in natura di OGM potrebbe produrre effetti irreversibili sugli ecosistemi e che si tratta di organismi viventi che possono riprodursi, moltiplicarsi e diffondersi sfuggendo a qualsiasi controllo. Anche per quanto riguarda la sicurezza degli OGM per l’alimentazione umana e animale, sussistono seri dubbi, mentre emergono sempre nuove evidenze che gli OGM non vengono adeguatamente testati sul piano della sicurezza alimentare. Sappiamo che, nonostante il chiaro rifiuto degli italiani verso gli organismi transgenici, questi ultimi continuano a essere importati nel Belpaese, camuffati da mangimi animali, e grazie a una scappatoia delle norme di etichettatura, una volta usati per l’alimentazione degli animali, scompaiono come per magia dagli occhi dei consumatori.
Nel loro percorso di conquista, fatto di imbrogli, contaminazioni e controlli mancanti, gli OGM sono arrivati a intaccare anche alcune delle produzioni più apprezzate del mercato italiano, insinuandosi addirittura nella filiera produttiva del Parmigiano-Reggiano. Un caso emblematico, dove tra i foraggi naturali di produzione locale, si è insinuata la soia transgenica della Monsanto, diventata parte integrante dell’alimentazione delle bovine che forniscono il latte ai caseifici del Parmigiano. Una trappola, che mette a rischio sia la qualità che il futuro di uno dei formaggi più amati. Una beffa per produttori, consumatori e per il settore agroalimentare italiano. IL CARTOON DELLA MUCCA È un’assurdità che Greenpeace ritiene non si possa accettare. Per questo lo scorso giu-
gno, abbiamo lanciato una nuova campagna dal nome chiaro “Salviamo il ParmigianoReggiano dagli OGM”. Nasce così il sito www.parmigiaNOgm.it ricco di materiali e informazioni. Qui è possibile scaricare il rapporto che spiega nel dettaglio il problema e inviare una lettera al Consorzio del Parmigiano per chiedere di non usare più OGM nei mangimi (a settembre erano già oltre 11 mila le lettere spedite). Attraverso il sito si può stampare e diffondere materiale informativo (volantini, poster, adesivi), e giocare con il cartoon della mucca, la parodia di una famosa comunicazione del Consorzio che inciampa proprio sulla realtà dei mangimi utilizzati. Attraverso il sito è inoltre possibile diventare parte attiva di questa comunicazione, partecipando al concorso “Scaglie di creatività”. Tanti hanno già inviato contributi
IL DNA AL VOTO LA GRANDE COALIZIONE CONTRO IL TRANSGENICO della piccola e media impresa, dei consumatori, della scienza, della cultura, della cooperazione internazionale, delle autonomie locali, tutte unite per proteggere l’agroalimentare italiano dalla trappola degli OGM. Le organizzazione che aderiscono sono: Acli, Adiconsum, Adoc, Adusbef, Agci Agrital, Aiab, Alpa, Assocap, Avis, Cia, Cic, Citta` del Vino, Cna, Codacons, Coldiretti, Confartigianato, Coop, Copagri, Federconsumatori, Focsiv, Fondazione Diritti Genetici, Greenpeace, Legacoop Agroalimentare, Legambiente, Libera, Res Tipica, Slow Food, Vas, Wwf. È possibile votare anche online, all’indirizzo: http://www.liberidaogm.org/liberi/voto.php
FINO AL 15 NOVEMBRE 2007, Greenpeace, promuove – nell’ambito della Coalizione “ItaliaEuropa - LIBERI DA OGM" – una grande consultazione nazionale sugli OGM. Ci saranno migliaia di manifestazioni e di iniziative diffuse su tutto il territorio nazionale, durante le quali si potrà votare. La domanda è una: “Vuoi che l’agroalimentare, il cibo e la sua genuinità, siano il cuore dello sviluppo, fatto di persone e territori, salute e qualità, sostenibile e innovativo, fondato sulla biodiversità, libero da OGM?”. La nostra risposta è un fragoroso SÌ! La Coalizione “ItaliaEuropa – LIBERI DA OGM” è un vasto schieramento costituito dalle maggiori organizzazioni dell’ambientalismo, degli agricoltori, del commercio, della moderna distribuzione, dell’artigianato,
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LE ALTERNATIVE SONO DISPONIBILI In questo percorso, si sono affiancati anche i bolognesi Marcello e Gianluca Leoni, considerati fra i migliori cuochi italiani emergenti, che hanno deciso di sostenere questa campagna per eliminare gli OGM dalla filiera produttiva del Parmigiano, e ci offrono alcune ricette in cui l'ingrediente principale non può che essere uno: il Parmigiano-Reggiano non-OGM. Sì, perché come già dimostrato dagli stessi produttori di Parmigiano-Reggiano, le alternative agli OGM ci sono. Non tutta la produzione è contaminata dagli organismi transgenici. Quella legata all'agricoltura biologica non impiega la soia Monsanto e offre ai consumatori un prodotto garantito da tutti i punti di vista. Inoltre, diversi allevatori aderenti al Consorzio hanno già espresso la propria volontà di utilizzare solo mangimi senza OGM, per poter continuare a produrre un latte sicuro al cento per cento. Tecnicamente sarebbero sufficienti 200 mila tonnellate annue di soia certificata non-OGM per assicurare nell‘immediato la sicurezza e la salvaguardia del Parmigiano-Reggiano anche sui mercati internazionali. Sono i numeri stessi a confermare che una scelta alternativa al transgenico è praticabile, oltre che necessaria, per tutelare queste produzioni. LE ALTERNATIVE SONO DISPONIBILI Salvaguardare la qualità, e la tipicità, del Parmigiano-Reggiano è un obiettivo che può essere raggiunto senza riflessi sui costi sostenuti dai singoli allevatori e sul prezzo finale (e quindi sui consumatori). E quanto già avviene, tra l’altro, per la produzione biologica e per quei produttori che autonomamente e senza la collaborazione del Consorzio hanno già attivato filiere completamente non-OGM. Se il “sistema” Parmigiano-Reggiamo, quindi, si coordinasse per effettuare acquisti organizzati di materie prime, le minime differenze di costo verrebbero rapidamente assorbite. Il passo logico successivo è quello di promuovere e sperimentare a livello nazionale un nuovo piano proteine su larga scala. Lavorare per integrare il sistema con fonti proteiche alternative alla soia, prodotti direttamente in Italia, utilizzando colture quali il lupino, l'erba medica, il favino, il pisello e altre leguminose tipiche dell'area mediterranea. Gli ingredienti per la svolta ci sono tutti, manca solo una cosa: la volontà di risolvere il problema. Per quanto tempo ancora il presidente del Consorzio Parmigiano-Reggiano, Giuseppe Alai, continuerà a nascondersi dietro scuse fasulle?
MONICA GABRIELI
LIDIA CESTARI
MASSIMILANO PETRIGNANI
MONICA GABRIELI
ALESSANDRA REDI
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LICIA MARINO
ANTONIO ZURUM
DARIO MARVULLI
di FRANCESCO TEDESCO
Greenpeace/ Ardiles Rante
CLIMA
IL PROTOCOLLO DI KYOTO VERSO LA SECONDA FASE
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UN ANNO DI SVOLTA? Il 2007 è stato l’anno della svolta, quello della presentazione del “Quarto Rapporto sui Cambiamenti Climatici” dell’Ipcc – il comitato di scienziati che studia il riscaldamento globale per conto dell’Onu e dei governi di tutto il mondo – e della presa di coscienza a livello planetario che la crisi climatica è in rapida evoluzione. I roghi nel Mediterraneo e la riduzione record dei ghiacci dell’Artico di quest’estate sono solo alcuni degli esempi più recenti che testimoniano la gravità del fenomeno. Ma il 2007 sarà un anno cruciale nella lotta al riscaldamento globale anche per un secondo motivo: la sfida per dimezzare le emissioni di gas serra al 2050 incomincia proprio a Bali. È infatti impellente trovare da subito un futuro al Protocollo di Kyoto – la cui prima fase si conclude nel 2012 – andando a definire nuovi obiettivi di riduzione al 2020. L’accordo dovrà essere raggiunto al più tardi nel 2009, o si creerà un un vuoto tra la prima e la seconda fase. Il vertice di Bali sarà dunque cruciale per definire contenuto, obiettivi e tempi degli impegni futuri. Nel corso dell’ultimo G8, gli Usa hanno riconosciuto che occorre operare all’interno delle Nazioni Unite. Un passo che purtroppo non garantisce niente: Usa e Australia si rifiutano ancora di ratificare Kyoto (che li impegnerebbe a rispettare obiettivi vincolanti) e continuano a indebolire il processo proponendo invece false soluzioni. La posizione di Bush e del premier australiano John Howard è diventata chiarissima nel corso dell’Apec, il forum di cooperazione economica Asia-Pacifico, dove i due stati hanno proposto un accordo al di fuori di Kyoto per fissare obiettivi volontari di riduzione dell’intensità energetica.
CONDURRE LA SFIDA Greenpeace ha bollato questo tentativo come una pericolosa distrazione da un concreto impegno per limitare le emissioni di gas serra, e ha chiesto alla Cina e agli altri ventuno nazioni dell’Apec di sostenere Kyoto come unico tavolo di negoziazione. Il forum ha prodotto un ridicolo documento, la “Sidney Declaration”, con il quale i suoi aderenti adottano un obiettivo volontario per diminuire la propria intensità energetica del 25 per cento al 2030. Il Presidente cinese Hu Jintao è stato tuttavia
perentorio nell’affermare che il Protocollo di Kyoto rappresenta la base legale per qualsiasi accordo internazionale sul clima, e che sono le nazioni industrializzate ad avere la responsabilità storica dell’effetto serra. Queste nazioni devono condurre la sfida, impegnandosi a ridurre i gas serra del 30 per cento al 2020 rispetto al 1990. Sarà poi fondamentale includere nuovi stati all’interno del Protocollo (in particolare gli emergenti come Sud Corea, Singapore e Arabia Saudita) e portare economie in forte espansione come Cina,
Brasile, India e Sud Africa ad adottare primi obiettivi vincolanti per alcuni settori, ad esempio quello della generazione elettrica. Inoltre bisognerà affrontare con decisione lo stretto legame tra deforestazione e riscaldamento globale: per questo proponiamo di azzerare entro il 2015 il taglio della foresta dell’Amazzonia in Brasile. Greenpeace chiederà nei prossimi mesi che il mondo industrializzato faccia il massimo per raggiungere un forte “mandato di Bali”, in modo da avviare le future negoziazioni su basi solide.
Greenpeace/ Ardiles Rante
LA STRADA PER BALI
IL PRESIDENTE americano George W. Bush ha snobbato, il 24 settembre, il vertice Onu sul clima dedicando la sua giornata a New York a incontri sul Medio Oriente. Ma proprio in quel giorno le Nazioni Unite decidevano la “scaletta” degli argomenti da trattare al prossimo vertice per il Protocollo di Kyoto. A Bali, in Indonesia, dal 3 al 14 dicembre ci sarà la tredicesima “conferenza delle parti”, l’annuale meeting tra tutti i soggetti che hanno preso un impegno vincolante nella lotta al riscaldamento globale. In compenso Bush, dopo pochi giorni, il 27 settembre, ha proposto un “contromeeting” sul clima, proponendo le sue alternative a Kyoto.
ENERGIA SOLARE “CENERENTOLA” ALLA RIBALTA GREENPEACE ha presentato con Epia – l’associazione europea dei produttori di solare fotovoltaico – il quarto rapporto Solar Generation, nel corso della 22° Conferenza sul solare che si è svolta a Milano lo scorso settembre. Il rapporto conferma uno sviluppo a ritmi elevatissimi del mercato fotovoltaico, cresciuto dal 1998 al 2006 a un tasso del 35 per cento l’anno, fino a raggiungere i 6.500 MW (erano 1.200 nel 2000). Le prospettive di questa tecnologia sono molto positive, sottolinea il rapporto, specie se si estenderà un sistema di incentivazione stabile e adeguato. Se questo avverrà, nel 2030 sarà possibile soddisfare fino al 9,4 per cento della richiesta di elettricità dando energia a 2,9 miliardi di persone, buona parte delle quali nei Paesi in via di sviluppo. In questo modo, nello stesso arco di tempo, si potrà ridurre le emissioni di CO2 di 6,6 miliardi di tonnellate (pari alle emissioni annuali della Cina, oggi prima nazione al mondo in termini di rilascio di anidride carbonica). Gli aspetti economici sono rilevanti: 300 miliardi di euro di fatturato al 2030 rispetto ai circa 9 di oggi e 6,5 milioni di posti di lavoro, rispetto
ai 74 mila di oggi. Un aspetto importante riguarda la notevole riduzione dei costi dell’elettricità prodotta. I costi dell’elettricità da altre fonti sono invece in crescita, senza tener conto del prezzo pagato dall’ambiente e della CO2, che nel caso del solare è nulla. L’Italia, che nel 1996 era quarto produttore mondiale di pannelli fotovoltaici (Eurosolar di Eni), ha praticamente abbandonato il campo proprio nel momento in cui il mercato decollava. Il sistema di incentivi invece di andare alle rinnovabili è stato devoluto alle “fonti assimilate” per bruciare residui industriali e rifiuti (che hanno forti emissioni di CO2) e finanziare la cogenerazione industriale. Il “conto energia”, riproposto con un decreto lo scorso febbraio, è certamente lo strumento giusto, burocrazie centrali e locali permettendo. Infatti, anche per questa tecnologia, come per le altre fonti rinnovabili e l’efficienza energetica, occorre un insieme di azioni mirate anche sulla normativa che facilitino le autorizzazioni, aiutino a superare le barriere e gli ostacoli che frenano l’espansione del solare fotovoltaico nel nostro Paese. [GIUSEPPE ONUFRIO]
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MUSICWOOD ECCO LE CHITARRE DALL’ANIMA VERDE
IL CONGO CHIAMA
LA BARBIE IL PIOMBO LA CINA
L’ARTIC SUNRISE PER SVEGLIARE IL BELGIO
INQUINAMENTO
di VITTORIA POLIDORI
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L’ANIMA delle migliori chitarre del mondo è verde: Fender, Gibson, Guild, Martin e Taylor hanno assunto, grazie a Greenpeace, un impegno a favore della gestione responsabile delle foreste. È nata così “MusicWood”(www.musicwood.org), una campagna promossa da Greenpeace Usa che prevede il supporto ai proprietari e gestori forestali che producono legno destinato agli strumenti musicali con la certificazione secondo gli standard del FSC. L’attenzione è focalizzata sul legno dell’Abete sitka, molto apprezzato per le sue proprietà armoniche, che ne fanno un materiale ideale per realizzare il cuore di strumenti come pianoforti e chitarre. Le principali fonti di questo legno sono le foreste pluviali temperate del Canada e dell’Alaska, attualmente in pericolo. Sebbene l’industria degli strumenti musicali non compaia tra i principali utilizzatori di legno proveniente da queste foreste, le cinque case hanno deciso di prestare particolare attenzione all’origine del legno impiegato per la fabbricazione dei loro strumenti. Alcuni tra i grandi musicisti come Paul Simon, Sting, Suzane Vega e Eric Clapton, clienti dei cinque produttori di chitarre, hanno fatto i loro apprezzamenti per l’impegno.
LO SCANDALO che ha coinvolto la Mattel, che tra agosto e settembre ha ritirato dal mercato oltre 20 milioni di giocattoli prodotti in Cina per eccesso di piombo nella verniciatura dei pezzi, ha portato di nuovo all’attenzione dell’opinione pubblica il tema della pericolosità dei giochi per bambini. Come molti sanno, si tratta dell’oggetto di un’importante campagna di Greenpeace, nata alla fine degli anni Novanta con la denuncia della presenza di PVC nei giocattoli. Ancora oggi molti composti pericolosi vengono messi in commercio nonostante l’esistenza di alternative più sicure (e senza che ci
siano, tra l’altro, dei controlli adeguati). Qualche progresso, grazie alla campagna di Greenpeace, è stato raggiunto. Alcune compagnie stanno hanno avviato una politica di sostituzione di queste sostanze, con l’eliminazione graduale dai prodotti di consumo. Ma fino a quando esisterà il doppio standard in paesi in via di sviluppo come la Cina – una regola per il mercato locale e un’altra per l’esportazione nei paesi occidentali – non sarà mai assicurata la sicurezza dei prodotti importati. Dal 1 giugno 2007 è in vigore REACH, la nuova legislazione sulla chimica in Europa.
Questa normativa nasce con l’obiettivo di regolare produzione e importazione dei composti di sintesi, ma è stata indebolita dalla forte pressione dell’industria chimica e di alcuni governi, come quello statunitense. Per questa ragione, e per gli scandali come quello della Mattel, Greenpeace chiede ancora all’Ue di rafforzare REACH nel corso delle periodiche revisioni, ma soprattutto l’adozione a livello globale di una legislazione equivalente e del principio di sostituzione delle sostanze pericolose in virtù di una maggiore tutela dell’uomo e dell’ambiente.
ECOGUIDA ELETTRONICA UN ANNO DOPO TUTTI UN PO’ PIÙ VERDI A UN ANNO dal lancio dell’ecoguida di Greenpeace ai prodotti elettronici, le aziende hanno fatto grandi progressi per essere le prime a diventare “verdi”, iminando le sostanze pericolose nei propri prodotti e iniziando a gestire il ritiro e riciclo dei beni a fine vita. La quinta edizione della guida vede al primo posto Nokia, seguita da Sony Ericsson, mentre Dell e Lenovo si contendono il terzo posto. Dalla pubblicazione della guida, le aziende sono entrate in competizione tra loro ed oggi sono in commercio molti più prodotti privi di PVC e ritardanti di fiamma a base di bromo (BFR). Un anno fa, soltanto Nokia e Sony Ericson vendevano cellulari privi di uno o di entrambi, ora lo fanno anche Motorola e LGE. Sony ha messo in commercio modelli di VAIO notebook, walkman, videocamere e macchine digitali che sono parzialmente privi di BFR e PVC. Panasonic offre una serie di prodotti senza PVC che includono lettori DVD, home cinema, video player, impianti di illuminazione, e due modelli di impianti di
illuminazione senza BFR. Greenpeace è molto soddisfatta dei progressi fatti non solo dalle aziende leader del mondo hi-tech su cui si concentra l’ecoguida, ma dall’intero settore.
Greenpeace/Berhing
foresta congolese e continua ad ottenere nuove concessioni dal governo nonostante la moratoria del 2002. Gli attivisti di Greenpeace hanno appeso un grosso striscione: “Salvate la foresta del Congo”. I climber a terra, subito dopo l’approdo della nave in porto, si sono arrampicati sulle gru bloccando lo scarico del legno dalla nave. L’azione, ripresa da tutti i media, è stata organizzata poco dopo le elezioni in Belgio affinché il nuovo governo assuma un ruolo importante nella protezione della foresta congolese. Mentre i nostri attivisti erano impegnati in quest’azione, il responsabile della campagna foreste di Greenpeace International, Filip Verbelen, e il capo progetto della campagna Africa Amadou incontravano il ministro delle Foreste a Kinshasa chiedendo la cancellazione dei permessi per il taglio illegale.
Greenpeace/Simona Granati
L’ARTIC SUNRISE ha solcato il freddo Mare del Nord per raggiungere il Belgio. Ad Anversa, nelle giornate del 16 e 17 di giugno, la nave è stata visitata da più di 1200 persone: sostenitori di Greenpeace e gente comune. Così è accaduto anche per il Congo Truck, il camion che ha viaggiato attraverso il Belgio insieme a una mostra fotografica sull’importanza della foresta del Congo e le minacce a cui è sottoposta dalle attività di taglio illegale. Pochi giorni dopo, il 23 giugno, Greenpeace ha portato a termine un’azione, dando continuità alle attività made in Italy di aprile, contro la MS Ceynova, una barca sospettata di trasportare legno illegale dalla Repubblica Democratica del Congo. Tale carico proveniva da attività di taglio illegale della Sodefor, parte del colosso del legno Nord-Sud Timber che controlla direttamente 4,7 milioni di ettari di
Greenpeace/Davison
di CHIARA CAMPIONE
Greenpeace/Davison
FORESTE
GIOCHI PERICOLOSI
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IN SALSA SOVIET
A NOVEMBRE ricorre il ventesimo anniversario del referendum con cui l’Italia di fatto ha chiuso il nucleare, referendum vinto a larga maggioranza dopo la tragedia di Cernobyl. A vent’anni di distanza il dibattito sul nucleare continua a percorrere i media italiani. Essendoci stato un referendum, gli unici fatti al momento riguardano la decisione di Enel di investire in tecnologia sovietica nella Repubblica slovacca e di scalare la spagnola Endesa che possiede un parco nucleare, dopo che il governo Zapatero ha deciso la fuoriuscita dal nucleare in quel Paese. L’affare slovacco è paradossale: l’investimento riguarda il completamento di due reattori a Mochovce per quasi 1,9 miliardi di euro. Nel complesso si tratta di un totale di 880 MW: un costo occidentale per una tecnologia sovietica progettata negli anni Settanta. Greenpeace ha presentato a maggio un rapporto sulla sicurezza che si basa sugli ultimi documenti ufficiali disponibili, quelli del 2002. Enel, che aveva promesso di fornire il piano di fattibilità con le ulteriori modifiche, non ha ancora consegnato nulla. L’elemento più grave – che come annunciato da Enel non verrà modificato dal nuovo piano di fattibilità – è la mancanza di un guscio di protezione da eventi esterni, come la caduta di un aereo. A questa obiezione Enel risponde che «la probabilità di un impatto aereo su Mochovce è trascurabile», dichiarazione riportata da “Affari e Finanza” di Repubblica il giorno prima della ricomparsa di Bin Laden con un nuovo video. Nel 2012 ci sarà un reattore senza una protezione da atti terroristici, una scelta assurda.
L’ATOMO ALL’ITALIANA: COSTI ATTUALI E TECNOLOGIA D’ANNATA di GIUSEPPE ONUFRIO
OLKILUOTO, FINLANDIA IL MAGNIFICO REATTORE
Greenpeace/Vadim Kantor
NUCLEARE
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L’ULTERIORE RITARDO nella costruzione del reattore in Finlandia per un totale di due anni e mezzo, costerà caro ai finlandesi. Il costo dell’elettricità da nucleare è infatti strettamente legato a quello di costruzione e più si allungano i tempi più costa l’impianto. Secondo Elfi, il consorzio industriale di grandi utilizzatori di elettricità, il ritardo del reattore Olkiluoto-3 costerà 3 miliardi di euro in più rispetto a quanto previsto, un sostanziale raddoppio. Greenpeace ha fatto notare che se nel 2001 si fosse deciso un investimento alternativo in fonti rinnovabili – com’era stato proposto –, il costo dell’elettricità sarebbe stato inferiore, esattamente al contrario di quanto ha sempre sostenuto il governo per giustificare l’investimento nel nucleare. Se si fosse investito in tempo, l’eolico da solo avrebbe potuto generare metà dell’elettricità del futuro reattore nucleare. La cogenerazione di elettricità e calore è in declino e la Finlandia è indietro sugli obiettivi fissati per le rinnovabili. La storia finlandese è comune: l’ultimo reattore cinese ha avuto un ritardo di due anni, a Taiwan è in ritardo di cinque e l’ultimo costruito nel Regno Unito è costato il doppio del previsto.
BREVI DAL MONDO
CAMBIA LAMPADINA CAMBIA IL MONDO
LA ROMANIA SI VACCINA DAGLI OGM
PARTE ANCHE IN EUROPA “Ban The Bulb”, la campagna per chiedere la messa al bando delle lampadine incandescenti: GP Uk e GP Belgio hanno già chiesto a supermercati e centri distribuzione di rimuovere dagli scaffali le lampadine sprecone. Ad aprire le attività era stato l’ufficio indiano di Greenpeace: ad agosto un centinaio di attivisti ha bloccato una fabbrica della Surya a Nuova Delhi. Stiamo affrontando oggi la più grave crisi ambientale di tutti i tempi: i cambiamenti climatici. Proseguire nella produzione e vendita di prodotti altamente inefficienti che potrebbero facilmente essere sostituiti è un crimine collettivo contro il pianeta e i suoi abitanti. Le incandescenti sprecano il 90 per cento dell’energia sotto forma di calore, mentre una fluorescente compatta – a parità di illuminazione – permette di risparmiare l’80 per cento di elettricità, soldi ed emissioni di gas serra. In Gran Bretagna, la campagna ha avuto grandi risultati: quasi tutti i “rivenditori” hanno deciso di rimuovere le lampadine entro il 2011. Primi nella classifica dei “virtuosi” troviamo Curry's e Habitat, che si impegnano a eliminare le incandescenti rispettivamente a fine 2007 e 2009. Al momento sono in corso discussioni anche con i produttori: Philips, Osram e General Elettric. Greenpeace chiede di fermare la produzione di incandescenti al 2010, ma l’industria sostiene di non potersi attivare prima del 2015. Il braccio di ferro va avanti. Intanto, l’Europa rinnova per un solo anno i dazi sulle lampadine fluorescenti compatte di importazione dalla Cina, che dal 2008 avranno prezzi ancora più competitivi. In Italia, il governo si è impegnato a tramutare in legge la messa al bando delle incandescenti al 2012. Una ghiotta occasione è tuttavia andata già perduta: nulla appare nello scialbo Piano d’azione per l’efficienza energetica presentato alla Commissione europea. La situazione di immobilismo, insomma, non si sblocca, anche se non abbiamo molto tempo. La partita si gioca ora: chi cambia una lampadina cambia il mondo.
BRAILA, IN ROMANIA, è una contea, una città e un’isola. A collegare l’isola con la città c’è un servizio di ferry per mezzi agricoli, camion, auto, bici e persone; persone all’ultimo posto visto che occupano lo spazio libero tra un mezzo e l’altro. A Braila si va per due sole ragioni, per pescare la cena nelle acque del Danubio, oppure a lavorare per il magnate dell’isola che la possiede quasi tutta. Per due giorni la zona è stata messa in quarantena da attivisti di Greenpeace provenienti da vari paesi d’Europa, tra cui anche l’Italia, dopo che le analisi sulla soia qui coltivata sono risultate positive, mostrando la presenza di organismi geneticamente modificati. Una stazione di decontaminazione è stata allestita all’imbarcadero principale, mentre quelli secondari venivano monitorati dalle squadre nautiche e un messaggio chiaro veniva aperto dai climber: “STOP OGM”. Questo è lo scenario offerto a chi, in barba alle normative di recente sottoscritte per entrare in Europa, continua a coltivare OGM: «a nessuno stato membro dell’unione è permesso coltivare soia geneticamente modificata». Ora la Romania ha aperto gli occhi. Solo pochi giorni dopo, un grande striscione raffigurante un “mais-mostro” è stato calato dagli attivisti davanti alle finestre del ministero dell’Ambiente, chiedendo una risposta chiara sul futuro dell’agricoltura rumena. Sono trascorse due ore di colloqui privati tra i nostri campaigner e il ministro prima che fosse indetta la conferenza stampa, durante la quale il segretario di Stato si è detto favorevole a bandire gli OGM dalla Romania. Le reazioni non si sono fatte attendere e le multinazionali biotech, tra cui la Monsanto fornitrice della soia individuata sull’isola (Roundup Ready), hanno subito organizzato una serie di conferenze pro-OGM. Ma anche l’opera degli attivisti prosegue, da Bucarest a Constanta, importante porto di ingresso per le sementi geneticamente modificate. Romania terra splendida come i suoi contrasti: ricca di persone speciali che a dispetto dei problemi gravi che vivono sono sensibili alle tematiche ambientali e a conoscenza dei rischi degli OGM.
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STORIA (E PREISTORIA) DI GREENPEACE Negli anni Settanta, quando venne creata Greenpeace International, c’era un elemento sempre presente nell’agenda del meeting annuale: trovare un logo comune. A quei tempi, non c’era un unico modo per scrivere “Greenpeace”. Alcuni adottavano i caratteri dei nativi americani, altri il simbolo della pace e l’icona dell’ecologia con “Green Peace” spezzato in due parole. Alcuni usavano il Times Roman, altri ancora qualsiasi tipo di carattere gli girasse quel giorno (spesso in relazione ai trasferibili a disposizione). Ogni volta che si parlava del logo, si finiva per riferirsi al gusto personale oppure per lasciar cadere la cosa a favore di attività più urgenti legate alle campagne. Remi Parmentier, uno dei fondatori di Greenpeace International, ricorda un giorno all’inizio degli anni Ottanta, quando a Parigi finirono i trasferibili e la cartoleria più vicina era chiusa. Una pubblicazione richiedeva il logo. Così, un ragazzo chiamato Jean-Marc Pias, che si stava occupando di adesivi e poster, uscì di corsa e chiese a un amico artista, Patrick Garude, di scrivere per lui “Greenpeace”. Garaude scarabocchiò il nome con un pennarello su di un sottobicchiere da birra, e così nacque il logo “graffiti”. Fu adottato da un ufficio dopo l’altro e da una nave dopo l’altra, fino a diventare uno dei simboli più noti al mondo. Remi afferma: ”Ovunque veda oggi quel logo, in particolare in luoghi remoti come l’Antartide o l’Amazzonia, ripenso a Garaude con il pennarello in una mano e la birra nell’altra”. Da Greenpeace - Guida alla comunicazione
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GREEN MARKET BRACCIALETTI TUTINE
GALANZINO SULLA VIA DELLA SETA
GP IN CINA. 10 ANNI DOPO
SULLE TRACCE DELLE BALENE
“LA VIA DELLA SETA? Un poetico inferno”. Francesco Galanzino sintetizza così l’esperienza appena conclusa con la prima e probabilmente unica edizione della Via della Seta. Un percorso dal nome magico ed evocativo, che richiama l’avventura di Marco Polo, i primi contatti tra oriente e occidente, Alessandro Magno e Gengis Khan; ma al tempo stesso una gara massacrante di 420 chilometri (per un viaggio complessivo di ben 4000 chilometri…) attraverso gli alti colli desertici del Pamir, passando per Samarcanda e Bukara, attraverso il deserto più caldo e sconosciuto al mondo, il Karakum, in Turkmenistan, fino all’Iran. Galanzino, testimonial per la campagna Energia e Clima, è giunto al secondo posto (un vero e proprio abbonamento alla piazza d’onore!), dietro un corridore francese, Dominique Bordet, percorrendo i 420 chilometri in 34 ore (con la media altissima di 12,4 km/h). Come al solito, Francesco ha tagliato il traguardo con lo striscione di Greenpeace recante lo slogan “Save the Planet – Salviamo il pianeta”. Ma soprattutto ha segnato un’altra impresa eccezionale. Prima di percorrere la Via della Seta, infatti, Galanzino era stato il primo uomo al mondo ad avere percorso, in meno di un anno, quattro gare di corsa a piedi e in autosufficienza per un totale di quasi mille chilometri (“Un milione di passi”) nei quattro deserti più estremi e diversi del pianeta (Cina, Cile, Egitto e Polo Nord). Eppure, rientrato in Italia, Galanzino sostiene che la Via della Seta è stata probabilmente la sua gara più dura: «La più difficile in assoluto perché più che una gara è stata una vera e propria spedizione d’altri tempi: tappe durissime, con sbalzi termici mai provati. Basti pensare che abbiamo concluso la prima tappa con la neve, per poi trovare 52 gradi nel deserto Karatim, con conseguenze pesanti dal punto di vista fisico. Ma anche i trasferimenti lunghi e tortuosi sono stati particolarmente impegnativi». Insomma, un’esperienza quasi al limite della sopravvivenza, con la quale Francesco cerca di comunicare al mondo il pericolo della desertificazione e del surriscaldamento a cui sta andando incontro il pianeta.
DIECI ANNI FA NASCEVA Greenpeace Cina. E oggi col suo lavoro mostra di sapere influenzare le politiche ambientali della nazione più popolosa al mondo. Non è un risultato da poco. L’economia globale, infatti, gode di una notevole spinta data dalla sorprendente crescita cinese, ma questo ha naturalmente generato nuovi e maggiori pericoli ambientali, spesso non calcolati. La Cina è ormai il maggior consumatore mondiale di legno e acciaio, e da poco ha superato gli Stati Uniti nelle emissioni di gas serra. Sono molti i "successi" di Greenpeace a Honk Kong e Pechino (sedi dei due principali uffici), tanto che la nostra organizzazione nel 2005 è stata nominata “ONG dell’anno”. Nel 2004, per esempio, le denunce sulla distruzione delle foreste hanno costretto Asia Pulp & Paper, la principale produttrice nazionale di carta, a impegnarsi “per operare legalmente, secondo la legislazione e le policy cinesi”. Nel 2006, poi, in risposta alla scoperta che il riso trasgenico aveva contaminato anche quello tradizionale ed era finito nel cibo per bambini, il ministero dell’Agricoltura cinese ha distrutto riso e semi OGM. Per la campagna inquinamento, le pressioni di Greenpeace hanno spinto HO, Dell, Acer e Lenovo – che rappresentano il 40 per cento del mercato globale dei computer – a impegnarsi per eliminare le sostanze tossiche dai loro prodotti, che in buona percentuale arrivano nel territorio cinese per lo smaltimento. Molto evidenti sono anche le conseguenze dei cambiamenti climatici. Per sottolineare l'allarme, Greenpeace ha promosso due spedizioni: nel 2005 lungo il Fiume Giallo e nel 2007 sul Monte Everest. E, dopo una campagna nei confronti della principale azienda elettrica nazionale, il Parlamento cinese ha approvato una legge che fissa un obiettivo vincolante per le fonti rinnovabili, accogliendo in parte le nostre richieste. Importanti anche i progetti per le prossime Olimpiadi del 2008: è di poche settimane fa l'accordo con la Coca-Cola per l'adozione in tutti i punti vendita dell'Ems, il frigorifero sviluppato in colaborazione con Greenpeace che elimina gli Hfc e riduce i consumi energetici del 35 per cento rispetto allo standard.
SEGUIRE LA MIGRAZIONE delle balene in un click. Da oggi è possibile, grazie al sito web di Greenpeace “ The Great Whale Trail” che, utilizzando la localizzazione via satellite, permette di scoprire le rotte migratorie delle megattere dai siti di riproduzione nel Pacifico Meridionale fino al Santuario della Balene nell’Oceano Antartico, dove gli esemplari si nutrono. Greenpeace ha una lunga storia nella difesa delle balene. Innumerevoli spedizioni di attivisti che, a bordo dei gommoni, si lanciano tra gli arpioni delle baleniere e le balene, proteggendone la fuga. Il nuovo sito presenta un programma di ricerca non letale per dimostrare che i grandi cetacei non devono morire per la scienza. Questo progetto fornirà dati sulle rotte, l’uso dell’habitat e la struttura delle popolazioni. Negli ultimi mesi, il monitoraggio delle balene nel Pacifico meridionale ha prodotto risultati interessanti. Al contrario, negli ultimi vent’anni, i giapponesi hanno ucciso migliaia di esemplari, con risultati scientifici praticamente nulli. Purtroppo anche quest'anno la “caccia baleniera scientifica” del Giappone ha in programma di uccidere in Antartide 935 balenottere minori, 50 megattere e 50 balenottere maggiori. Queste ultime due specie sono considerate in pericolo: quattro volte più grosse delle balenottere minori, sono commercialmente più appetibili. Vittime della caccia baleniera giapponese in Antartide potrebbero essere anche le megattere di piccole popolazioni minacciate del Pacifico Meridionale, dove molti Paesi hanno fiorenti attività di osservazione delle balene. Sono tanti i turisti che vogliono osservare le balene da vive e non certo assistere al loro massacro. In Giappone la carne di balena resta invenduta, mentre molti Stati insulari del Pacifico hanno sviluppato un’industria turistica dell’osservazione delle balene che vale milioni di dollari. Uccidendo i cetacei, il Giappone mette a rischio anche l’economia di questi Paesi in via di sviluppo. Visita il sito: www.greenpeace.it/thegreatwhaletrail
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