CLIMA ED EFFICIENZA ENERGETICA: OBIETTIVI STRATEGICI DA NON MANCARE
CLIMA ED EFFICIENZA ENERGETICA: OBIETTIVI STRATEGICI DA NON MANCARE
di Monica Frassoni Co-Presidente del Partito Verde Europeo e Coordinatrice di Green Italia 30/06/2014
Nel dibattito italiano intorno al semestre europeo si parla poco o nulla di quella che sarà la decisione più importante che l’Italia dovrà gestire. Non solo, ma non è neppure chiara la posizione che il Governo italiano difenderà, e per ora sembra che coltivi solo l’ambizione di portare a casa un risultato, buono o cattivo che sia, per appuntarsi la medaglietta a fine Presidenza. Parliamo del Pacchetto Energia e Clima 2030: il successore del famoso pacchetto 20/20/20, che nel 2007 dette l’avvio a una straordinaria crescita di nuovi attori nel campo della produzione energetica e iniziò a dare concretezza al sogno di un mondo senza fossili (oltre a ridurre le emissioni e a produrre centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro e imprese). Progressivamente, i vecchi settori fossili hanno visto che rinnovabili ed efficienza cominciavano a diventare dei seri concorrenti e non solo dei simpatici giochetti per ricchi “radical-chic”: dopo lo scoppio della crisi, è partita la controffensiva, facilitata dal fatto che la “rivoluzione energetica” non è ancora irreversibile. In un primo tempo, è partita una dura campagna contro gli incentivi alle rinnovabili, approfittando degli eccessi che in alcuni paesi come Francia e Spagna si sono verificati; e più recentemente si è cercato di fare passare l’idea che per assicurare un approvvigionamento a buon prezzo contro tutti i Putin di questo mondo, fosse necessario tornare al fossile e lasciare perdere costose utopie fatte di sole e vento: costruire nuovi rigassificatori per importare il gas americano, investire miliardi in tecnologie dubbiose come il fracking (per estrarre gas di scisto), trivellare il Mediterraneo e fare resuscitare il CCS (separazione e confinamento della CO2), altra tecnologia costosissima e non ancora a punto che dovrebbe servire a rendere “pulito” il carbone. È questa la posta in gioco che si nasconde nei numeretti del Pacchetto Clima ed Energia 2030, presentati dalla Commissione nel gennaio scorso, una proposta profondamente emendata dal PE e
http://www.greens-efa.eu/eu-budget-2014-10889.html
che attende ora la decisione del Consiglio europeo di ottobre: la lotta per le risorse e gli investimenti pubblici e privati fra rinnovabili ed efficienza da un lato e nucleare, vecchi e nuovi fossili dall’altro. Sarà piuttosto semplice capire da che parte andrà l’Europa ad ottobre, al momento della decisione sul Pacchetto Clima ed Energia 2030: se ci sarà l’accordo su tre obiettivi vincolanti di riduzione delle emissioni di CO2 (almeno il 40%), di percentuali di consumo da rinnovabili (almeno il 40%) e di efficienza energetica (almeno il 40%), allora sapremo che l’UE è seriamente in pista per guidare da una posizione di avanguardia il negoziato sul Clima previsto alla COP di Parigi nel 2015; e soprattutto sapremo che avrà deciso di rispondere a Putin e al problema dell’alto costo dell’energia in Europa spingendo su una trasformazione energetica basata su rinnovabili ed efficienza, perfettamente possibile tecnologicamente ed economicamente e con un grande potenziale dal punto di vista della competitività e dell’occupazione. Se ad ottobre si punterà, invece, su un mero target di riduzione del 40% delle emissioni e dei numeri assolutamente insufficienti e/o non vincolanti per le rinnovabili e l’efficienza energetica, dovremo riprendere la battaglia per l’energia verde quando si aprirà il processo legislativo che dovrà applicare concretamente il Pacchetto Clima ed Energia 2030 e tornerà in gioco in Parlamento europeo; ma è indubbio che sarà davvero difficile trovare nel 2015 un successore al Protocollo di Kyoto con un Pacchetto Clima ed Energia debole e ambiguo. Il tempo stringe e il governo Renzi non può rimanere passivo rispetto a questa grande sfida, prima di tutto per la nostra stessa economia; deve “cambiare strada” anche rispetto alle proprie scelte energetiche, che per ora sono in perfetta continuità con tutti i vari governi da Berlusconi in poi (come dimostrano lo spalma o ammazza-incentivi per le
CLIMA ED EFFICIENZA ENERGETICA: OBIETTIVI STRATEGICI DA NON MANCARE
rinnovabili o il 1,2 miliardi per il carbone del Sulcis). Per l’economia italiana uscire dai fossili rappresenta una scelta strategica vincente; già oggi, in una situazione di sostanziale indifferenza, quando non ostilità rispetto ai settori interessati, si devono alla green economy italiana 100,7 miliardi di euro di valore aggiunto, pari al 10,6% del totale dell’economia nazionale, esclusa la componente imputabile al sommerso. La Presidenza italiana deve perciò scommettere non su un accordo qualsiasi ma, come fece la Merkel nel 2007, su un accordo di alto livello e davvero in grado di farci rimanere coerenti con la scelta di “de-carbonizzare” l’economia europea e rilanciarla verso nuove attività economiche sostenibili. L’Italia deve mettersi dalla parte di paesi come Germania, Belgio, Danimarca, Grecia, Irlanda, Lussemburgo e Portogallo che hanno scritto il 17 giugno una lettera indirizzata al presidente della Commissione europea Josè Manuel Barroso e ai Commissari per il Clima e l’Energia Connie Hedegaard e Günther Oettinger. Nella lettera, che l’Italia non ha voluto sottoscrivere, si chiede di affiancare all’obiettivo del taglio di “almeno” il 40% delle emissioni inquinanti entro il 2030 un target vincolante anche per l’efficienza energetica. Purtroppo, la Commissione Barroso non è un’alleata in questa partita e, come al solito, il Presidente uscente fa solo il minimo indispensabile per arrivare a un compromesso molliccio che non scontenti nessuno. Paradossalmente, in questa fase è il Presidente del
Consiglio Van Rompuy che pare più ambizioso e con lui alcuni Stati membri, come dimostra la lettera dei 7 e come indicano perfino alcuni recenti positivi segnali del Regno Unito - finora fieramente opposto a qualsiasi “complicazione” rispetto all’obiettivo unico di riduzione delle emissioni - mentre la Francia rimane ambigua su questo punto. In questa situazione, il ruolo della Presidenza sarà fondamentale e, al di là delle chiacchiere su più o meno flessibilità rispetto ai vincoli di bilancio, sarà sul tema concreto della transizione energetica che si misurerà in gran parte il successo o il fallimento del semestre italiano dell’UE. Negli ultimi anni, e in particolare dopo la crisi del 2008, sempre più numerosi studiosi, analisti, operatori economici, istituzioni internazionali, esponenti della società civile e politici ritengono che solo puntando su formazione, ricerca e trasformazione ecologica dell’economia e della società sarà possibile uscire dalla crisi europea e globale, affrontando allo stesso tempo la scarsità delle risorse, i cambiamenti climatici e la persistente permanenza di miliardi di persone in situazione di estrema povertà o esclusione sociale. Tutto questo naturalmente non cade dal cielo: ha bisogno d’investimenti, di una ferma direzione politica, di un quadro normativo chiaro, anche e soprattutto a livello europeo, data l’importanza di agire in un contesto abbastanza ampio da potere avere un impatto sulla scena internazionale.
«« »»
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------* Questo articolo è una versione aggiornata del testo pubblicato nel volume Un’altra Europa Sostenibile, democratica, paritaria, solidale a cura di Silvia Zamboni, Edizioni Ambiente 2014
CLIMA ED EFFICIENZA ENERGETICA: OBIETTIVI STRATEGICI DA NON MANCARE
L’agenda verde anticrisi ostacolata dalla debolezza del progetto europeo In Europa, l’enorme potenziale di un “Nuovo corso verde” o “Green New deal” (espressione che preferiamo a quella di “green economy”) è ancora largamente sottovalutato, per ragioni più politiche, ideologiche e socio-economiche che per ragioni tecnologiche. Infatti, pur se sono largamente disponibili tecnologie e sistemi organizzativi “sostenibili” che hanno prodotto, laddove sono stati applicati, risultati positivi in termini di competitività, di nuova occupazione e di qualità della crescita, settori politici ed interessi economici e finanziari estremamente influenti e capaci di mettere in azione potenti gruppi di pressione continuano a frenare l’Unione europea (Ue) rispetto alla scelta di imboccare la strada del “Green New Deal”. 2009-2014: una legislatura europea da dimenticare Per la legislatura europea che si è appena conclusa, la valutazione delle decisioni più importanti prese dalla Ue non può che essere negativa: sia in materia economica e finanziaria, dal Fiscal Compact alla complicatissima e per ora largamente insoddisfacente discussione intorno all’Unione Bancaria, sia nel campo delle prospettive finanziarie per i prossimi sette anni , con l’approvazione per la prima volta nella storia di un bilancio più striminzito rispetto al periodo 2007-2013, sia nel campo dell’agricoltura, con l’approvazione di una riforma della Politica agricola comune (che ingoia circa il 40 per cento del bilancio Eu) molto deludente2. Né fa eccezione la Comunicazione della Commissione europea sul cosiddetto Pacchetto clima-energia 2030, prima tappa per la definizione della politica energetica europea dei prossimi anni, in vista della Conferenza delle Parti della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul clima (COP) di Parigi del 2015, appuntamento visto come l’ultima chance per un accordo vincolante che lasci ancora qualche speranza di contenere, con uno strumento multilaterale, l’aumento della temperatura del pianeta al di sotto
di 2 gradi. Infatti, come vedremo nelle pagine che seguono, la Comunicazione 2030 apre la strada a una rimessa in questione degli aspetti più rilevanti del Pacchetto Clima ed Energia 20-20-20, primo fra tutti l’aumento dell’impiego di RES (fonti di energia rinnovabili), e rimane molto debole sia sulla riduzione delle emissioni dio CO2, sia sul miglioramento dell’efficienza energetica del sistema. Negli ultimi cinque anni, insomma, al momento di decidere su normative chiare e precise, vantaggi a operatori “virtuosi”, e dunque svantaggi a interessi più tradizionali, sanzioni o semplicemente disincentivi ad attività inquinanti, non si sono trovate le maggioranze adatte a proporli ed adottarli, perché si è considerato che costassero troppo, che la crisi ne avrebbe impedito l’applicazione, che era preferibile non rischiare di perdere settori industriali anche obsoleti e costosi a vantaggio di nuovi operatori economici, spesso scollegati tra loro e di minore entità. Molti, infatti, ne sono ancora convinti o hanno interesse a contrapporre l’economia all’ecologia, e considerano che la competitività la si raggiunga sostanzialmente attraverso la riduzione del costo del lavoro, spesso sinonimo della riduzione di diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, la deregulation, la competizione fiscale tra gli stati, in particolare sulle imposte alle imprese, la riduzione del costo dell’energia. Per costoro, la crisi ha funzionato da potente alibi per evitare di mettere in questione il modello economico, sociale ed energetico vigente e per sottolineare i costi del cambiamento, piuttosto che quelli del “business as usual”. E tutto questo nonostante il fallimento evidente della strategia “austerity über Alles”, che vede nell’attuale commissario europeo per gli Affari Economici e Monetari Oli Rehn e nella Direzione generale dell’Economia e della Finanza della Commissione europea i suoi più imperturbabili esecutori. La lista delle misure “favorevoli” all’occupazione e allo sviluppo, e di quelle “sfavorevoli”, contenuta nei loro documenti, afferma infatti senza alcuna remora che per uscire dalla crisi bisogna tagliare i salari, ridurre i sussidi di disoccupazione, ridurre le pensioni, favorire i
2 http://www.arc2020.eu/front/2013/11/european-parliament-vote-a-poor-deal-for-nature-farming-and-rural-europe/; http://www.arc2020.eu/front/understandingthe-cap/
CLIMA ED EFFICIENZA ENERGETICA: OBIETTIVI STRATEGICI DA NON MANCARE
licenziamenti. Più o meno quello che la troika continua a fare ingoiare alla Grecia (nonostante le recenti prese di distanza del Fondo monetario internazionale). Una sorta di pensiero unico pericolosissimo, indifferente all’evidente fallimento delle sue ricette, e che porta gli europei a credere che l’austerità sia la sola politica che ci si possa aspettare da Bruxelles: non deve quindi sorprendere che se ne vogliano prendere le distanze! In sintesi, meno fiducia, meno capacità e volontà di azione autonoma, meno risorse, ritorno del metodo intergovernativo e del rapporto di forza fra stati come metodo di decisione normale a livello europeo: ecco il clima di disunione e diffidenza, nel quale vengono definite le regole e le leggi in materia di energia, ma anche di mercati finanziari, di politica economica, di ambiente.
energetica negli Usa del gas di scisto (shale gas) e alle sue ripercussioni sui mercati mondiali dell’energia. Si è trattato e si tratta tuttora di un sistematico sforzo di delegittimare, sminuire, smontare l’agenda stabilita nel 2008 con il Pacchetto clima- energia con argomenti che si ripetono continuamente e in ogni lingua, spesso scorretti o manipolati, ma che possono contare su orecchie attente negli establishment politici e mediatici delle istituzioni della Ue e della maggioranza degli Stati membri, sia che siano governati da governi di destra, sia da maggioranze più o meno progressiste, sia che siano guidati, come è il caso oggi dell’Italia, ma anche del Regno Unito, da generazioni di politici relativamente giovani e a parole sensibili alle sfide ecologiche e al tema dei cambiamenti climatici. La partita sul nuovo Pacchetto Energia e Clima 2030
Le lobby fossili all’attacco In questo contesto, la discussione sull’uscita dalla crisi, e in particolare sulle strade da percorrere per rendere l’industria e l’economia europee più competitive, è fortemente influenzata dalle lobby industriali e finanziarie più retrive, che nel corso degli anni, soprattutto dal 2009 in poi, sono riuscite a distogliere l’attenzione dei decisori e dei media dall’urgenza di affrontare il surriscaldamento del pianeta, di cambiare il nostro sistema produttivo in modo da “approfittare” della crisi per ridurre la nostra dipendenza energetica e creare nuove attività economiche. Vorrei sottolineare che non si tratta di una considerazione tranchant da “no global”. È la realtà che io ho visto crescere, che è documentata da molti elementi più o meno pubblici e che ha avuto ed ha un impatto reale nelle decisioni della Ue. Se oramai è dimostrato che dal 2000 al 2010 una quantità notevole di denaro è stata spesa per finanziare a livello globale gruppi di pressione negazionisti sul clima3, è ancor più evidente che la brusca caduta di popolarità dell’agenda energetica europea legata alle rinnovabili e all’efficienza energetica, a cui abbiamo assistito dal fallimento della Conferenza mondiale sul clima di Copenhagen in poi, non può essere solo dovuta alla crisi, alle sovvenzioni alle rinnovabili troppo generose o alla rivoluzione economica ed
L’esempio della politica energetica e climatica è assolutamente sintomatico a questo riguardo. Il 22 gennaio 2014 la Commissione europea, guidata da Josè Manuel Barroso, ha presentato la propria “Comunicazione sul Quadro per le politiche dell’energia e del clima per il periodo dal 2020 al 2030’’4 , che prevede (a) l’obiettivo vincolante della riduzione del 40 per cento delle emissioni di CO2, obiettivo che si dovrà poi tradurre in obblighi di riduzione nazionali, (b) l’obiettivo europeo del 27 per cento di uso delle rinnovabili sui consumi finali di energia che è vincolante a livello europeo ma non a livello nazionale, (c) ma nulla in materia di efficienza energetica, per la quale la Commissione ha deciso di aspettare l’esito della revisione della relativa direttiva, attesa nell’estate 2014, per proporre nuove misure. Su questa ultima questione, resa fortemente attuale dagli eventi intorno alla crisi Ucraina, si è sviluppata sia all’interno del Consiglio che della Commissione una difficile discussione, che vede (per una volta) la Commissione schierata su posizioni molto più conservatrici di alcuni Stati membri: al momento, essa sembra orientata a proporre un target vincolante a livello europeo del 27%, in un’analogia davvero bislacca con le disposizioni proposte per le energie rinnovabili e motivato dal timore di rendere ancora più debole il sistema dell’ETS e dal solito rinunciatario
3 http://ecowatch.com/2013/12/23/dark-money-feeding-climate-change-denial/ 4 http://europa.eu/rapid/press-release_IP-14-54_it.htm; http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:52014DC0015:EN:NOT
CLIMA ED EFFICIENZA ENERGETICA: OBIETTIVI STRATEGICI DA NON MANCARE
metodo Barroso, che preferisce non rischiare di fare proposte che non accolgano l’unanimità dei consensi fin dall’inizio e che potrebbe rivelarsi estremamente deludente. Ma cosa vogliono davvero dire questi numeri? Tre cose, tutte e tre molto negative. Innanzitutto, con questa proposta la Commissione Ue, ormai in scadenza, rinuncia ad un ruolo di guida nella lotta ai cambiamenti climatici, affidando la politica energetica europea alle scelte dei governi nazionali. Contrariamente a quanto avvenne nel 2007, non sceglie; anzi, per il presidente Barroso le energie rinnovabili non sono più un’opzione strategica da incentivare e promuovere, come appare chiaro dalle sue dichiarazioni secondo le quali le fonti di energia rinnovabile (RES) “non sono un obiettivo in sé”, né è necessario scegliere, a livello europeo, fra gas, petrolio, “carbone pulito”, nucleare: che lo facciano gli Stati membri, l’Ue smetterà perfino di “suggerire”. In secondo luogo, segnalano che non c’è alcuna fretta di realizzare l’impegno di contenere entro i due gradi l’aumento della temperatura sul pianeta e che si possono allungare i tempi, naturalmente a causa della “crisi”. Infatti, l’obiettivo di riduzione delle emissioni di CO2 del 40 per cento non presuppone alcuno sforzo particolare, dato che già oggi si prevede che al 2020 avremo raggiunto una riduzione pari al 27 per cento. Noi sappiamo, però, che per mantenere l’aumento della temperatura entro il tetto dei due gradi, come l’Ue si è impegnata a fare, dobbiamo ridurre le emissioni dell’80 - 90 per cento entro il 2050, il che comporta una riduzione del 55 per cento entro il 2030. La proposta della Commissione Barroso è quindi un pessimo segnale in vista della COP di Parigi nel 2015, perché è molto lontana dagli obiettivi che la scienza assegna all’Europa. Inoltre, se dal 2020 entrerà in vigore un nuovo schema di obiettivi Ue di uso delle energie rinnovabili non basato su una ripartizione obbligatoria per ogni paese, cambiando radicalmente il quadro di riferimento nel senso che non ci sono più target obbligatori a livello nazionale com’è il caso oggi, perché i numerosi Stati membri (come il Regno Unito) oggi in ritardo
dovrebbero affrettarsi, visto che non sarebbe più possibile prevedere sanzioni per i paesi inadempienti? In terzo luogo, le decisioni della Commissione Ue rivelano la sottomissione agli argomenti delle lobby energetiche e la totale disattenzione per le scelte dell’unico organo democraticamente eletto della Ue, il Parlamento europeo, che, al contrario, ha preso una posizione decisamente più ambiziosa e che ha un potere di decisione diretto sulle future normative5. Basta analizzare con un minimo di attenzione le proposte di BusinessEurope6 e confrontarle con la proposta finale per capire che i loro argomenti sono stati molto più convincenti dei numeri e delle conclusioni della stessa Commissione europea7 rispetto a temi importanti come i costi dell’energia e gli scenari più convenienti che l’Ue dovrebbe seguire per combattere i cambiamenti climatici, ridurre i prezzi dell’energia e rilanciare la sua economia. Ci sono a questo riguardo due esempi concreti emersi nel periodo preparatorio alla presentazione della proposta della Commissione che mi sembra interessante segnalare Presentando un’importante Comunicazione sul mercato elettrico poi pubblicata il 5 novembre 2013, il commissario europeo all’Energia Gunther Oettinger si è trovato a dover giustificare come mai da quel documento fossero stati eliminati i calcoli fatti dalla Commissione stessa sulla vera entità dei sussidi alle energie fossili rispetto alle rinnovabili8. Un’informazione davvero di grande interesse, visto che uno degli argomenti più importanti contro una conferma di obiettivi vincolanti per le energie rinnovabili nel Pacchetto Energia ed Clima proposto dalla Commissione è, guarda caso, il fatto che, secondo la lobby “fossile” ed il tam tam mediatico, gli incentivi alle fonti pulite sono eccessivamente elevati, introducono un inaccettabile vantaggio competitivo rispetto alle altre fonti di energia e rappresentano un costo eccessivo sulla bolletta energetica dei consumatori. Così, in una versione poi modificata del documento e opportunamente fatta uscire dalla Commissione da qualche funzionario coscienzioso, si dice che i sussidi pubblici totali per la produzione energetica nella Ue nel 2011 ammontavano a 26 miliardi
5 http://www.snam.it/it/media/energy-morning/news-upload731.html 6 http://corporateeurope.org/climate-and-energy/2013/12/f-gas-lobby-saga-how-industry-lobby-got-way-climate-policy 7 http://ec.europa.eu/energy/2030_en.htm 8 http://www.euractiv.com/energy/oettinger-scared-fossil-fuel-sub-analysis-531291; http://ec.europa.eu/energy/gas_electricity/internal_market_en.htm;
CLIMA ED EFFICIENZA ENERGETICA: OBIETTIVI STRATEGICI DA NON MANCARE
di euro per i combustibili fossili (a cui vanno aggiunti 40 miliardi di euro per le spese sanitarie correlate), a 35 miliardi di euro per l’energia nucleare, e a 30 miliardi di euro per le energie rinnovabili. Questo significa che su un totale di 131 miliardi di euro le energie rinnovabili, che hanno ancora bisogno d’incentivi per consolidarsi sul mercato, nel 2011 hanno ricevuto una quota di sussidi del 23 per cento, mentre le energie mature, fossili e insicure hanno avuto la fetta più grande della “torta”, pari al 77 per cento. Il secondo esempio denota una persistente divisione anche tra coloro che sono convinti che l’Ue debba rimanere alla testa dell’impegno di combattere i cambiamenti climatici, in particolare tra coloro che pensano che il modo migliore di assicurare la trasformazione del modello energetico a favore di un’economia a bassa emissione di carbonio sia lavorare sul complesso, e per ora fallimentare, sistema dello scambio di emissioni (ETS) e coloro che, pur credendo che l’ETS sia importante, pensano che l’esperienza di questi anni abbia dimostrato che il modello scelto fa acqua da tutte le parti e che obiettivi vincolanti di riduzione delle emissioni, di aumento di uso delle rinnovabili e dell’efficienza energetica siano stati infinitamente più efficaci per assicurare passi in avanti verso la riduzione della dipendenza dai fossili. Divisione deleteria, questa, che ha fortemente rafforzato il fronte eco-scettico dentro e fuori la Commissione. Sempre grazie a fonti interne, siamo così venuti a sapere che i calcoli economici alla base della scelta della Commissione di cambiare lo schema del 2008 e proporre solo il target vincolante della riduzione della CO2 del 40 per cento, invece di tre target distinti (per la riduzione delle emissioni, l’efficienza energetica e l’impiego delle energie rinnovabili) sono fondate su numeri manipolati, tendenti a dimostrare che dal punto di vista della redditività degli investimenti e dei costi reali uno schema con un target unico è più conveniente di tre target, e, in particolare, che è più conveniente di una spinta decisa verso una maggiore efficienza energetica del sistema industriale, ma anche rispetto ai consumi in senso ampio del comparto civile e del terziario9.
Infine, è uscito per canali non ufficiali il testo della valutazione di impatto sulla Comunicazione sull’Efficienza energetica, praticamente pronta dopo l’incontro il 18 di giugno fra i Commissari competenti e Barroso, ma la cui presentazione pare rinviata al 23 luglio. Ebbene, in questo testo, che serve da base alla proposta ufficiale, si dice nero su bianco che un target vincolante del 40% di EE per il 2030 porterebbe a una riduzione del 40% delle nostre importazioni di gas. Eppure, la Commissione si sta avviando come menzionato più sopra verso una proposta estremamente modesta e incoerente con le conclusioni della sua stessa valutazione di impatto. Questa convinzione è ancora dominante nella discussione tra gli Stati membri, non solo in materia energetica, ma anche in materia di competitività e necessaria “rinascita” dell’industria europea. A questo proposito è evidente il ruolo decisivo che giocano le grandi imprese energivore e i loro interessi rispetto alle PMI o al green business: le Conclusioni del Consiglio europeo del 20/21 marzo scorso10 – dedicato, oltre che alla crisi Ucraina, anche a competitività, clima ed energia - sono da questo punto di vista piuttosto illuminanti, anche se è bene notare che proprio la crisi ucraina sta spingendo la discussione intorno a un target per l’efficienza energetica in una direzione più positiva rispetto a ciò che avremmo potuto immaginare anche solo qualche mese fa. Si veda a questo proposito il documento sulla sicurezza energetica della Commissione europea11 e la lettera indirizzata alla Commissione europea12 del 17 giugno, dove sette governi europei tra i quali la Germania hanno richiesto esplicitamente un target vincolante. Il problema, però, è che la Commissione non sembra assolutamente intenzionata a spingere per ottenere un risultato in linea con le loro richieste e quelle del PE. Anzi, sembra invece che Barroso e Oettinger, con l’accordo di Connie Hedegaard, vogliano limitare il target per l’EE ad un misero 27%, non è chiaro se vincolante o no (in analogia con il target europeo per le rinnovabili). Questa posizione contraddice tra l’altro totalmente la valutazione di impatto fatta dalla stessa Commissione, non ancora pubblica, ma uscita in rete
9 http://www.eceee.org/all-news/columnists/Brook-Riley/commission-fixes-data; 10 http://www.consilium.europa.eu/homepage.aspx?lang=it; 11 http://ec.europa.eu/news/energy/140604_it.htm 12 http://uk.reuters.com/article/2014/06/17/eu-energy-efficiency-idUKL5N0OY4KQ20140617
CLIMA ED EFFICIENZA ENERGETICA: OBIETTIVI STRATEGICI DA NON MANCARE
, secondo la quale un obiettivo vincolante di efficienza energetica del 40% permetterebbe, per esempio, di ottenere dei risultati molto più convincenti in materia di sicurezza energetica (-40% di importazioni di gas entro il 2030) e avrebbe dei vantaggi notevoli dal punto di vista dell’occupazione (fino a un 3,5% in più, rispetto a una situazione di business as usual) e dell’aumento del GDP (aumento fino al 4% entro il 2030) La ragione ufficiale di questa modesta proposta è che non è possibile arrivare ad un accordo unanime intorno all’efficienza energetica, quindi inutile perdere tempo (“dopotutto - ha detto in un incontro pubblico Oettiger - se solo 7 stati hanno firmato la lettera, vuole dire che gli altri 21 non erano d’accordo…”). Questo è un punto interessante: perché mai Oettinger parla di necessità di accordo unanime tra i 28? Perché nel 2007 i Capi di Stato e di governo hanno stabilito di decidere all’unanimità per la definizione degli accordi quadro sull’energia. Vincolo questo del tutto autoimposto, visto che i Trattati non lo richiedono: la politica energetica e quella sul clima sono infatti soggette alla procedura legislativa ordinaria, che prevede che Parlamento e Consiglio decidano a maggioranza su proposta della Commissione. Purtroppo, come accade per tutti i grandi temi europei oggetto di decisione strategica, anche sul clima bisognerà cercare di superare gli ostacoli posti dai paesi più recalcitranti e operare per ottenere un punto di sintesi positivo, sfruttando il lavoro delle “lobby” del business verde e della società civile, oltre naturalmente a possibili maggioranze politiche che si riorganizzeranno nei mesi successivi alle elezioni europee. L’Italia, all’inizio della sua Presidenza, non ha ancora detto da che parte sta, e si è espressa solo a favore della proposta della Commissione di gennaio; ha peraltro manifestato – pur se in modo soft - il proprio sostegno al progetto “South Stream” messo in quarantena dalla Commissione europea a causa di gravi problemi di violazione di norme comunitarie nei rapporti con Gazprom, ma ancora nulla di preciso è definito sull’agenda “sostenibile”, rinnovabili ed efficienza. Il Presidente del Consiglio appare in generale “ecodistratto” e comunque sul governo premono e 13
trovano spazio per farsi sentire Confindustria ed ENI, paventando i rischi epocali di un’ambiziosa politica sul clima14; anche se il settore della green economy e molte ONG stanno lavorando per coordinarsi e presentare i vantaggi di una posizione più positiva, che però rimane confinata agli addetti ai lavori15. Va segnalato, inoltre, che la ministra allo Sviluppo economico, Federica Guidi, ed il sottosegretario De Vincenti hanno manifestato posizioni molto più vicine a quelle di Confindustria16. Ma il punto vero è che il premier Matteo Renzi non ha ancora deciso se per la Presidenza sarebbe positivo, oltre che sul Patto di Stabilità e sul Fiscal Compact, profilarsi anche su un risultato ambizioso in materia di energia e clima17. Vedremo se il mondo verde – operatori economici in testa - saprà convincerlo che (gli) conviene farlo prima di ottobre. Insomma, la battaglia è ancora tutta da giocare e non è escluso che, anche sull’onda dell’attualità internazionale tra Ucraina e Irak, sarà possibile un cambio di rotta più deciso nei prossimi mesi. Infatti, se è vero che si è deciso di rinviare ogni decisione ad ottobre 2014, o al più tardi a inizio 2015, è anche vero che la crisi in Ucraina e l’evidente e crescente dipendenza della Ue in materia energetica rendono chiara anche al Consiglio europeo la necessità di migliorare l’azione comune della Ue, in particolare sul fronte del risparmio energetico e in generale su quello della dipendenza dalle importazioni, priorità che emergono entrambe con forza dalle Conclusioni del vertice del 27 giugno. Ma è anche evidente che nulla cadrà dal cielo e sarà necessaria una seria e costante mobilitazione per dimostrare che per l’Italia dirigere la flessibilità, apparentemente conquistata in sede europea rispetto agli obblighi di rientro dal debito verso seri investimenti in energie pulite, efficienza energetica e green economy in generale, rappresenta una chance imperdibile di uscita dalla crisi. La risposta alle “convenient unthruts” della lobby fossile Non dobbiamo dimenticare che i numeri e i fatti stanno dalla parte di chi sostiene la decarbonizzazione del sistema energetico, e che puntare su un’agenda
13 http://bit.ly/1lLgZmS 14 http://www.eunews.it/2014/01/16/obiettivi-clima-2030-squinzi-scrive-a-letta-italia-si-opponga-a-taglio-40-di-co2/11907 15 http://www.qualenergia.it/articoli/20140318-appello-renzi-un-obiettivo-vincolante-al-2030-sull-efficienza-energetica 16 https://www.gov.uk/government/news/green-growth-group-ministers-statement-on-climate-and-energy-framework-for-2030; http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-03-19/guidi-emissioni-no-nuovi-oneri-ue-064101.shtml?uuid=ABRic23; 17 http://monicafrassoni.it/renzi-e-leuropa-molte-parole-e-qualche-ambiguita-di-troppo/
CLIMA ED EFFICIENZA ENERGETICA: OBIETTIVI STRATEGICI DA NON MANCARE
basata su rinnovabili ed efficienza è davvero un’opzione vincente per l’Italia e l’Europa intera. Vorrei perciò offrire degli spunti per contrastare alcuni degli argomenti della lobby fossile e, anche alla luce dei dati della Commissione europea e di altre istituzioni internazionali, dare un’idea dell’opportunità positiva che potrebbe rappresentare, per superare la crisi, un ambizioso piano europeo sull’efficienza energetica, nell’ambito di un quadro normativo sull’energia che deve preparare e non ostacolare la Ue nel suo cammino verso il Green New Deal. I tre argomenti che vengono ripetuti come un mantra dal fronte dell’industria “tradizionale” sono: - I prezzi dell’energia in Europa sono eccessivi e dipendono in buona parte dagli obblighi “verdi” posti a industrie e cittadini e dagli incentivi alle energie rinnovabili. Abbiamo già visto che in realtà, come dimostrano gli stessi documenti (censurati) della Commissione, se uno squilibrio esiste è sicuramente a favore di nucleare, gas e petrolio. Peraltro, sia l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) sia la stessa Commissione europea sottolineano come la responsabilità degli alti costi dell’energia in Europa dipenda in gran parte dall’aumento del prezzo delle materie prime e dalle imposte fissate dagli Stati18. Inoltre, se si considera che in Europa l’effetto combinato della diffusione delle energie rinnovabili e delle misure di efficienza energetica ha comportato un risparmio di 30 miliardi di euro di importazioni di fonti di energia primaria, è chiaro che siamo di fronte a una vera e propria menzogna. - Le imprese europee, e in particolare quelle italiane, hanno un gap di competitività grave rispetto in particolare agli Usa che in buona parte dipende dagli alti costi dell’energia. Quindi, ogni nuovo vincolo che comporti costi aggiuntivi per le imprese, ma anche per lo Stato, deve essere respinto. Anche in questo caso i fatti smentiscono in pieno questa affermazione, almeno per due motivi. Primo, come emerge dai documenti qui citati, se è vero che negli Usa il prezzo dell’energia è in parte più basso,
è anche vero che il sistema europeo è molto più efficiente e quindi l’impatto è ridotto sul piano della competitività. Insomma, non abbiamo alcun bisogno di importare il modello americano del “gas di scisto”, come invece auspicano in molti, perché in pratica a loro l’energia costa (per ora) di meno, ma ne usano molta di più! Anzi, questa realtà ci indica la strada da percorrere: la Ue non potrà mai competere sulla base dei prezzi bassi dell’energia, sono altri i veri fattori della competitività europea, e quindi è necessario andare oltre un dibattito esclusivamente, anzi ossessivamente, concentrato sui costi del lavoro e dell’energia come elementi prioritari. Perché si tratta di un approccio che mette in secondo piano aspetti che sono molto più determinanti, come la qualità del prodotto, l’innovazione, la capacità di rispondere a bisogni concreti e di adattarsi alle esigenze dei consumatori e alla realtà del mondo che cambia19. Come nota un rapporto illuminante di “Climate Strategies”20, il World Economic Forum non indica il costo dell’energia fra gli aspetti più rilevanti della competitività21. Inoltre, la discussione europea e italiana sui costi dell’agenda climatica per l’industria è ideologicamente orientata: perché mai gli incentivi e le regole a favore di rinnovabili o efficienza energetica devono essere considerati “costi” per la società e l’impresa, mentre costruire con il contributo di denaro pubblico rigassificatori o centrali nucleari o a carbone, permettere di estrarre gas di scisto o addirittura concedere sgravi fiscali milionari ai concessionari di opere autostradali finanziariamente non sostenibili senza l’intervento dello Stato – come deciso dal Governo Monti e confermato dal governo Letta - sono da considerarsi “investimenti”22? Infine, è bene non dimenticare un altro aspetto che si omette sempre: l’impatto del costo dell’energia sul sistema produttivo in Europa è davvero ridotto. Tanto per fare un esempio a noi vicino, “in Italia, soltanto per il 3,8 per cento delle nostre imprese il costo dell’energia elettrica supera il 3 per cento del fatturato aziendale; per il 19,2 per cento incide per meno dello 0,1 per cento e per un altro 50 per cento non arriva allo 0,5 per cento dei ricavi”.23
18 http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:52014DC0015:EN:NOT 19 E’ molto interessante a questo proposito cio’ che ha dichiarato Herman Van Rompuy – sicuramente non un ecologista notorio, nel maggio 2013, in occasione del Consiglio europeo sull’Energia : “Europe will soon be the only continent dependent on imported energy. (…)The emphasis on competitiveness and prices is an indication that environmental and climate concerns are falling down the EU’s list of priorities, however.” 20 http://www.climatestrategies.org/research/our-reports/category/73/382.html 21 http://www3.weforum.org/docs/GCR2013-14/GCI_MethodologyInfographic_2013-2014.jpg 22 http://www.ediliziaeterritorio.ilsole24ore.com/art/infrastrutture24/2014-03-10/pedemontana-lombarda-arrivo-sconti-212539.php?uuid=Abb3ZITJ 23 http://www.lavoce.info/caro-energia-bluff/
CLIMA ED EFFICIENZA ENERGETICA: OBIETTIVI STRATEGICI DA NON MANCARE
- Perché mai la Ue e il suo sistema produttivo dovrebbero sobbarcarsi il peso e il costo di ridurre le emissioni climalteranti se nessun altro lo fa? Alcune rapide considerazioni su questo punto: innanzitutto, non è affatto vero che fuori dall’Europa non si stia investendo in energie pulite ed efficienza energetica. Al contrario, la Ue sta perdendo terreno come luogo “attrattivo” per la green economy, soprattutto in materia di energia: come scrive Bloomberg, a causa della brusca frenata alla politica degli incentivi alle rinnovabili, e soprattutto dell’incertezza della direzione che verrà presa dopo il 2020, in Europa siamo passati da 97 miliardi di dollari di investimenti in energie pulite nel 2012 a 57 nel 2013, con una riduzione del 41 per cento. In Italia siamo scesi a 4 miliardi di investimenti contro i 15 nel 2012. Anche considerando che una parte di questa fuga sia dovuta alla fine d’incentivi eccessivamente generosi, non possiamo non notare che nello stesso periodo in Cina sono stati investiti 61 miliardi di dollari nelle rinnovabili, cifra stabile rispetto al 2012 e 48 miliardi in USA. Il Giappone, dopo l’incidente di Fukushima, ha aumentato del 55 per cento nel 2013, e sta a quota 35 miliardi di dollari. Quanto all’efficienza energetica, le misure prese in 11 stati membri della Agenzia Internazionale per l’Energia hanno fatto risparmiare ben 420 miliardi di dollari dal 2005 al 2011, e il totale degli investimenti in efficienza energetica nel mondo sono stati di 300 miliardi di dollari nel 2011.24 Insomma non solo non siamo soli, ma rischiamo di rimanere indietro! Sta accadendo, cioè, che gli investimenti in tecnologie verdi stanno andando verso Usa e Asia. Questa tendenza a spostarsi dalla Ue la si ritrova anche nel settore europeo delle tecnologie per l’efficientamento energetico. Le lampade LED costano oggi il 2 per cento in meno di quanto costavano nel 2001, ma la crescita del business di Philips è maggiore in Asia che in Europa. 1E, una piccola impresa d’informatica inglese che ha inventato e commercializzato un sistema di ottimizzazione del consumo energetico del materiale informatico di grosse aziende e istituzioni, ha l’80 per cento dei suoi clienti fuori
dalla Ue. Schneider Electric, impresa multinazionale francese leader nel campo dell’automazione e delle tecnologie di ottimizzazione del consumo energetico, conduce importanti esperienze pilota di riduzione e controllo dei consumi energetici avanzatissimi nei cementifici e nelle acciaierie cinesi. E Knauf Insulation, un’importante impresa tedesca nel settore dell’isolamento termico degli edifici, ha prospettato in una dura lettera al presidente Barroso la chiusura della sua filiale italiana e la sua contemporanea espansione sul mercato asiatico, vista l’inconcludenza europea nello sviluppo delle politiche a supporto dell’efficienza energetica25. In altre parole, dopo avere aperto la strada della trasformazione ecologica dell’economia e dell’adattamento ai cambiamenti climatici, la Ue sembra oggi esitare; e questa esitazione potrebbe rappresentare una grave ipoteca sulla sua capacità di vincere la sfida della crisi, creando nuove attività economiche, nuove professioni e, alla fine, nuovo benessere. Il potenziale di un piano ambizioso sull’efficienza energetica per la Ue La Direttrice della Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA), Marie Van der Hoven, sostiene nel World Energy Outlook del 2013 che “l’efficienza energetica è chiamata a ‘fornire’ entro il 2035 più energia aggiuntiva del petrolio. L’efficienza energetica è l’unico combustibile che incontra simultaneamente gli obiettivi economici, di sicurezza energetica e di protezione dell’ambiente”.26 D’altra parte, la stessa IEA e il già citato studio di Climate Strategies notano che il potenziale in termini di riduzione della dipendenza energetica, di creazione di nuove attività e posti di lavoro è largamente sottoutilizzato e che la situazione non cambierà senza un deciso sostegno regolamentare e finanziario da parte delle autorità pubbliche. In effetti, la Ue è oggi in ritardo sugli obiettivi del pacchetto Clima 2020, e come abbiamo visto non è assolutamente detto che la situazione migliori nell’ambito del pacchetto per il 2030.
24 http://www.iea.org/newsroomandevents/pressreleases/2013/october/name,43788,en.html 25 http://article.wn.com/view/2014/01/16/Climate_policy_must_include_efficiency_Letter_from_Tony_Robs/ 26 http://www.iea.org/newsroomandevents/pressreleases/2013/october/name,43788,en.html
CLIMA ED EFFICIENZA ENERGETICA: OBIETTIVI STRATEGICI DA NON MANCARE
Eppure i numeri di questa potenziale rivoluzione parlano chiaro27. Con un target vincolante molto modesto (30 per cento al 2030) capace di orientare politiche e investimenti nei settori dell’edilizia, dei trasporti, delle politiche urbane e dell’industria, si possono (a) risparmiare fino a 50 miliardi di euro all’anno, somma equivalente alla vendita di energia elettrica dell’intera Francia nel 2011; (b) creare ogni anno 1.500.000 posti di lavoro e (c) ridurre del 40 per cento la spesa per le importazioni di risorse energetiche, che nel 2011 ammontavano a 573 miliardi di euro; (d) si possono ridurre di circa un terzo le emissioni totali della Ue; (e) circa 30 miliardi di euro all’anno possono essere risparmiati evitando di costruire nuove infrastrutture. Esistono anche notevoli risorse che si potrebbero sfruttare meglio: i programmi europei e le risorse a disposizione di politiche efficienti sono ormai notevoli: da Smart Cities al Convenant of Majors, da Horizon 2020, ai nuovi fondi strutturali, agli schemi promossi
dalla Banca europea degli investimenti (BEI) ci sarebbe uno spazio importante per realizzare politiche coerenti. Ma, anche a causa dell’assenza di una chiara direzione strategica europea, questi strumenti restano frammentari, poco accessibili e slegati fra loro. Anche quella contro lo spreco e la “malaspesa” europea sarà dunque una sfida importante da portare avanti nei prossimi anni e da collegare direttamente con quella per la definizione di un quadro strategico e legislativo coerente. In conclusione, la Ue, e l’Italia, hanno ancora tutte le carte in regola per riprendere il cammino della trasformazione di un sistema economico, che pare oggi rimasta a metà strada nella realizzazione della sua rivoluzione ecologica. Sarà anche con la mobilitazione delle forze vive della politica e della società che sarà possibile vincere questa partita e cambiare il nostro futuro.
27 http://www.ecofys.com/en/publication/saving-energy/ ------------------------Front cover photo credit: <a href=”https://www.flickr.com/photos/88786104@N08/8800589580/”>mattwalker69</a> via <a href=”http://compfight.com”>Compfight</a> <a href=”https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0/”>cc</a>