TTIP: Non abbassate i nostri standard

Page 1

TTIP: NON ABBASSATE I NOSTRI STANDARD


TTIP: NON ABBASSATE I NOSTRI STANDARD

Monica Frassoni Co-Presidente del Partito Verde Europeo e Coordinatrice di Green Italia 18/06/2014

Sul tavolo del governo Renzi che si appresta ad assumere la Presidenza di turno della UE c’è un tema del quale si parla (ancora) poco nel dibattito pubblico italiano, ma che sta diventando urgente prendere in considerazione. Proseguono i negoziati del Partenariato Transatlantico per il commercio e gli investimenti tra UE e USA, in breve TTIP. Si è ormai concluso il 5° round negoziale del TTIP. Si tratta del più vasto e complesso accordo commerciale (e non solo) mai tentato e sicuramente ha ragione chi lo definisce “un trattato come mai ne sono esistiti prima”; anche perché mai prima un trattato fra due aree politiche ed economiche tanto importanti ha sancito una così chiara supremazia degli interessi di alcuni operatori economici «globali» rispetto alle scelte democratiche dei popoli. Detta così, pare una boutade da anti-global un po’ fuori moda e molto ideologica. Purtroppo, però, è proprio vero e sarà il caso che cominciamo anche in Italia a rendercene conto, anche perché le rare dichiarazioni su questo tema da parte di responsabili governativi non sono andate oltre un generico plauso e la ripetizione meccanica di dati sempre uguali e molto ottimistici. Gli accordi commerciali si basano di solito su intese che a certe condizioni permettono di evitare di gravare le merci con dazi e altri ostacoli. Le tariffe commerciali Usa-Ue, intorno al 3%, sono già molto basse, dunque in questo caso l’obiettivo reale sono le cosiddette barriere non tariffarie. Secondo i sostenitori del TTIP, l’eliminazione o la riduzione degli ostacoli al libero commercio rappresentate da leggi, cavilli e controlli di vario tipo che potrebbero essere eliminate, porterebbero ad un aumento fino allo 0,5-1% del PIL; oltre che a milioni di euro di risparmio per le imprese grazie all’eliminazione di lacci e lacciuoli amministrativi e regolamentari, centinaia di migliaia di posti di lavoro, un risparmio per le famiglie di 545 euro in media, con un aumento previsto del PIL rispettivamente di 120 miliardi di 1 http://ec.europa.eu/trade/policy/in-focus/ttip/about-ttip/

euro per l’UE , 90 miliardi per USA e 100 miliardi per il resto del mondo1. Peccato che nessuno precisi che si tratta di stime all’anno … 2027 e che non siano presi in considerazione i costi eventuali dell’allentamento di norme in materia di salute o ambiente. Sul breve termine, invece, si prevede un guadagno non superiore ai 40 euro all’anno per famiglia. Tom Jenkins, della Confederazione europea dei Sindacati, ha in più occasioni avvertito che non è chiaro da dove e come si creeranno le occasioni di occupazione di cui si parla. Insomma, allo stato attuale, i dati sembrano basati su previsioni più che su dati precisi e non tengono conto di tutte le altre conseguenze potenzialmente negative che vedremo di esplicitare più avanti. Nonostante la Commissione e l’amministrazione USA prevedessero la conclusione entro il 2014, è chiaro che si dovrà fare i conti, oltre che con l’estrema complessità, anche con la crescente preoccupazione rispetto ai contenuti dell’accordo, negoziato nel massimo riserbo e senza che i deputati europei o nazionali possano avere accesso ai termini concreti di ciò che la Commissione sta davvero discutendo con gli USA, su mandato (segreto) degli Stati membri e quindi di tutti noi. E questo, sia chiaro, non dipende solo dagli “yankees”: neppure con la riforma dei Trattati approvata a Lisbona si è ottenuta una sostanziale modifica delle regole per la politica commerciale, una delle competenze esclusive dell’UE. Secondo la procedura descritta dall’art. 218, la Commissione negozia sulla base di un mandato conferito dal Consiglio, organo che riunisce tutti i rappresentati degli Stati membri, senza sentire il PE. Questo mandato, e tutta la fase del negoziato concreto, è segreto, perché, si dice, non si può fare sapere alla controparte ciò che si vuole ottenere. Con questa scusa, però, non c’è alcun controllo. Neppure i deputati europei, che pure hanno il potere di approvare o respingere l’accordo alla fine del processo, sanno davvero i termini precisi di ciò che si discute; si procede per via d’indiscrezioni e sulla base dei rapporti periodici e un po’ generici che i negoziatori forniscono. Bene ha fatto, quindi, Sven Giegold, deputato europeo dei Verdi ed ex Presidente di Attac Germany, a pubblicare il 7 marzo scorso, alla vigilia della


TTIP: NON ABBASSATE I NOSTRI STANDARD

campagna elettorale un testo confidenziale risalente al giugno 2013 sul mandato negoziale (segreto) per la Commissione da parte del Consiglio dei Ministri europei.2 Nel documento trapelato il linguaggio che viene usato è molto vago e pieno di buone intenzioni. Si dice per esempio che i Tribunali di arbitrato dovranno definire il trattamento “equo e giusto” per gli investitori. Ma, come vedremo, ci sono precedenti che ci dicono che è proprio questo linguaggio vago e apparentemente innocuo che può essere interpretato in modo molto negativo per le autorità pubbliche3. Sicuramente, i rappresentanti degli Stati membri e Commissione sono andati su tutte le furie. Ma si è trattato di un atto di “legittima difesa” degli interessi di cittadini europei e statunitensi, quindi di una violazione delle regole perfettamente giustificata, non ultimo perché le regole in questione sono, come vedremo, assolutamente incompatibili con i principi base della democrazia e della trasparenza. E quello di Sven è solo una delle azioni di una campagna che sta montando contro il TTIP, non solo in Europa, ma anche negli USA.4 Sia chiaro, noi siamo più che favorevoli a espandere la cooperazione transatlantica nei settori più diversi e d’interesse comune, come i cambiamenti climatici, la protezione ambientale, la qualità del cibo e dei prodotti, i diritti dei lavoratori e lavoratrici, le libertà digitali e non, la ricerca, la frode e l’evasione fiscale, e naturalmente il commercio. E ci pare molto importante che gli operatori economici siano i protagonisti della rivoluzione della transizione verso un nuovo modello di sviluppo, magari meno “intenso” in consumo di risorse e più attento ai cambiamenti climatici e ai diritti dei lavoratori, come peraltro molti di loro hanno già deciso di fare. Il mondo delle imprese non è tutto uguale, né assimilabile sistematicamente ai “cattivi”. Ma, resta il fatto che oggi il TTIP si sta costruendo come un attacco alla libertà e alle preferenze in molti settori espresse democraticamente dai cittadini, e, nonostante i disastri della crisi dal 2008, rimane ideologicamente orientato verso un’idea di economia

senza “qualità” sociale e ambientale, basato sulla convinzione che l’impresa multinazionale, in quanto sacra fornitrice di lavoro e luogo dell’attività, non possa essere ostacolata da quisquilie come regole su ambiente, finanza, salute. Come è stato in passato per la Direttiva Bolkestein, per l’ACTA, per il tentativo di cancellare il software libero, noi auspichiamo che adesso che le elezioni sono passate, il PE come istituzione e al di là delle divisioni ideologiche, faccia una vera battaglia di trasparenza prima di tutto perché non è più accettabile un totale black-out su temi cruciali per gli europei (e gli americani): ci vuole una mobilitazione di massa in modo da trovare le maggioranze per cambiare radicalmente l’approccio alle relazioni transatlantiche. Perché, oltre ai contenuti più che discutibili, con il TTIP si pone anche un problema di legittimità democratica. A quanto si sa del meccanismo che si sta costruendo, se regole, standards, leggi nazionali ed europee in materia di ambiente, salute, finanza, ecc. sono in contrasto con gli interessi e/o fanno perdere denari a imprese che hanno fatto investimenti, gli Stati possono essere portati di fronte a corti di arbitrato e obbligati a pagare multe salate. Si tratta dell’ISDS (investor-tostate dispute settlement) e consiste in un sistema di regolamento dei conflitti tra Stato e imprese che permette alle imprese di scavalcare le giurisdizioni nazionali, facendo riferimento direttamente a dei tribunali di arbitrato internazionali, spesso composti da avvocati provenienti dalle imprese stesse. È evidente che se si può obbligare uno stato a pagare una multa perché ha introdotto il salario minimo o regole ambientali che possono ridurre i profitti, la libertà di legiferare e scegliere da parte degli organismi democratici pubblici viene fortemente ridotta. Attenzione, queste corti, o “panels” sono già in azione! Gli accordi della UE con il Canada e Singapore li prevedono. E nove paesi membri della UE hanno ISDS nei loro accordi bilaterali con gli USA. Ci sono anche dei casi clamorosi recenti: in Australia, l’Alta Corte ha deciso nel 2012 a favore del governo in un caso

2 http://www.ttip-leak.eu/; http://www.politics.co.uk/comment-analysis/2014/03/12/comment-the-leak-which-offers-a-rare-glimpse-into-secret-eu 3 Per esempio, l’Argentina ha firmato un accordo con gli USA che garantiva la “piena protezione e sicurezza degli investitori” e si è ritrovata a essere condannata a pagare 165 milioni di dollari a Azurix dopo la decisione di rendere di nuovo pubblica la gestione dell’acqua in una provincia di Buenos Aires. 4 il Gruppo dei Verdi al PE ha lanciato una vera e propria campagna di informazione su ciò che si nasconde dietro al TTIP: online su questo sito http://ttip2014.eu


TTIP: NON ABBASSATE I NOSTRI STANDARD

lanciato da Philip Morris, usando una clausola di un oscuro accordo del 1993 tra l’Australia e Hong Kong per evitare l’applicazione di una legge australiana che obbliga ad un pacchetto dall’aspetto uniforme e con la marca in piccolo (e con foto orribili), secondo le raccomandazione dell’OMS. È interessante notare che Philip Morris non ha potuto utilizzare il trattato tra l’Australia e gli USA perché al tempo della sua conclusione, la clausola ISDN era stata esclusa5. Il caso non è finito e rappresenta un campanello d’allarme potente. E non è il solo: in Canada, sono stati richiesti 250 milioni di dollari da Lone Pine Ressources per una moratoria sull’estrazione di gas di scisto, decisione definita “capricciosa” e in violazione del “diritto a estrarre risorse minerarie” (right to mine)6. I cittadini tedeschi potrebbero, invece, esser costretti a pagare 3,7mld di euro7, se il governo dovesse perdere la causa in corso con Vattenfall, in seguito alla decisione di uscire dal nucleare. Visto il diffuso discontento legato alla clausola ISDS, a marzo il Commissario per il Commercio Karel De Gucht ha lanciato una consultazione pubblica per tastare il polso dell’opinione pubblica o, per citare il loro sito, per capire “se l’approccio al TTIP proposto dall’Ue raggiunge il giusto equilibrio tra protezione degli investitori, difesa dei diritti dei cittaini europei e la capacità di regolamentare nell’interesse pubblico”. Per la maggior parte delle ONG e delle forze politiche che vi si erano opposte, questa consultazione si è trasformata in un referendum sul futuro del ISDS, non solo per quanto riguarda il TTIP ma anche per l’Accordo con il Canada (CETA) e per gli altri accordi di libero scambio in corso. Ora è il numero di contributi che conta, o, nello specifico, il numero di rifiuti. Ai primi di giugno erano già pervenute circa 400 risposte, non abbastanza per trasformare la consultazione in un vero referendum. Il motivo per cui il numero di contributi è ancora piuttosto basso, è probabilmente legato al tipo di formato altamente tecnico, delle domande. Il 6 luglio la consultazione pubblica volgerà al termine e ne conosceremo i risultati.

È chiaro che siamo di fronte a una situazione molto pericolosa perché, se la clausola fosse introdotta nell’accordo USA/EU, la sua applicazione potenziale si allargherebbe in modo fenomenale: immaginate cosa accadrebbe se davvero 14.000 imprese americane avessero la possibilità di mettere in discussione le leggi nazionali dei paesi Ue tramite le loro 50.800 imprese con sede in Europa8. Non è detto che gli Stati perderebbero sempre, anzi, ma il dispendio di soldi, tempo ed energia e il vincolo sulle scelte democratiche (oltre che il business di avvocati e consulenti) sarebbe molto forte. Non c’è ragione di credere che questo non avverrà: basta ascoltare quello che dice pubblicamente Stuart Eizenstat, del Transatlantic Business Council “Molti standards europei sono ingiustificabilmente alti, e questo non ha basi scientifiche: se del cibo è buono per una famiglia americana, dovrebbe andar bene anche ad una famiglia europea” e un altro lobbista americano scrive senza tanti giri di parole che attraverso il TTIP si risolverà la questione degli ostacoli agli OGM in Europa9. Il 17 giugno il Segretario per l’agricoltura americano, Tom Vilsack ha dichiarato che “un accordo commerciale ben pianificato ha bisogno di spazzare via le “barriere non-scientifiche” che impediscono agli agricoltori statunitensi di vendere in Europa molte colture geneticamente modificate e alcune carni trattate chimicamente.” Così, mentre l’Unione europea ha già escluso l’importazione di carni provenienti da animali ai quali sono stati somministrati ormoni e ha detto chiaramente che con questo trattato non aprirà la porta a colture OGM, Vilsack ci avverte che gli USA hanno già richiesto l’armonizzazione della regolamentazione. Gli OGM non sono l’unico “ostacolo” che i sostenitori del TTIP si prefiggono di aggirare, anzi, c’è l’imbarazzo della scelta. Primo obiettivo è il famigerato “principio di precauzione”, da tempo considerato da molti esponenti del mondo del business come un vero e

5 http://inside.org.au/philip-morris-australia-and-the-fate-of-europes-trade-talks/ 6 http://www.huffingtonpost.ca/ilana-solomon/lone-pine-sues-canada-over-fracking_b_4032696.html 7 Vattenfall v. Germany I & II: Nel 2009, l’energia multinazionale svedese Vattenfall ha citato in giudizio il governo tedesco, chiedendo 1,4 miliardi di euro (US $ 1,9 miliardi) oltre interessi a titolo di risarcimento per i vincoli ambientali imposti su una delle sue centrali a carbone. Il caso è stato risolto fuori dalla procedura giudiziaria, dopo che la Germania ha accettato di annacquare le norme ambientali, esacerbando gli effetti che la centrale elettrica di Vattenfall avrà sul fiume Elba e la sua fauna. Nel 2012, Vattenfall ha lanciato una seconda causa cerca per 3,7 miliardi (US $ 4,6 billion5) per la perdita di profitti legati a due dei suoi impianti nucleari, dopo la decisione della Germania di uscire dal nucleare. Entrambe le azioni sono state adottate nel quadro del trattato sulla Carta dell’energia (Lisbona, 1994), che contiene disposizioni di tutela degli investimenti. (http://corporateeurope.org/2012/11/chapter-2-investment-treaty-disputes-big-business-arbitration-industry)


TTIP: NON ABBASSATE I NOSTRI STANDARD

proprio freno alla ricerca e allo sviluppo economico. Ogni settore ha il suo obiettivo: l’industria chimica vuole addolcire il REACH, il quadro normativo per la gestione delle sostanze chimiche; altri gruppi industriali vogliono interferire via-TTIP sulle decisioni riguardanti le norme su pesticidi e fracking, la tecnica per estrarre il gas di scisto; altri ancora vorrebbero reintrodurre ACTA10, il trattato sulla contraffazione e pirateria informatica, che aveva l’obiettivo di difendere la proprietà intellettuale delle industrie europee e che è stato respinto dal PE nel 2012 dopo un’intensa campagna pubblica: campagna, tra l’altro, che potrebbe fare da modello alla battaglia sul TTIP. L’industria della cosmetica vuole ammorbidire i controlli sui propri prodotti, quella agroalimentare evitare gli standard di protezione riguardanti per esempio la carne. Questa corsa al ribasso di standard non è comunque una prerogativa americana! Anche i gruppi di affari europei, ad esempio alcuni istituti finanziari, vedono come eccessivi gli standard imposti dalla legislazione Usa Dodd-Franks11 e non vedrebbero male un suo ulteriore indebolimento. Ma non basta: il Commissario europeo al commercio, il liberale belga Karel De Gucht, pensa di andare oltre la clausola ISDS, per agire “prima” che le norme siano approvate e quindi prevenire alla radice ogni attacco agli interessi degli investitori. La sua l’idea è di istituire un Regulatory Cooperation Council (RCC), ossia un consiglio bilaterale Usa-Ue, formato da “regolatori”, che opportunamente “informati” da operatori industriali, possano che possa “analizzare” determinati disegni di legge prima che vengano presentati e valutarne gli eventuali rischi per gli investimenti. Questo punto è molto importante, perché la Commissione ha il diritto esclusivo d’iniziativa legislativa nel sistema della UE. Questo è stato il metodo utilizzato da De Gucht in tutta la fase preparatoria all’inizio dei negoziati. Ha nominato un panel consultivo composto in grandissima parte da business e ha avuto più di 100 incontri con rappresentanti d’imprese multinazionali,

attività di per sé legittima, s’intende, ma sospetta, se si considera l’attenzione quasi nulla per ONG e sindacati e se si considera che il tenore esatto di quello la Commissione sta negoziato è del tutto segreto, almeno ai cittadini e ai loro rappresentanti12. La nomina di panel “consultivi” nella fase di elaborazione di importanti proposte legislative non è nuovo per la Commissione: anche nel caso del Pacchetto Energia e Clima 2020, i cosiddetti Working groups avevano una composizione stranamente squilibrata a favore di industrie energivore e grandi produttori di energia fossile13. Sappiamo quindi da tempo per chi batte il cuore della Commissione Barroso, insomma. Ovviamente la Commissione respinge al mittente le accuse di volere ridurre gli standards europei e sostiene che le consultazioni avvengono a tutto tondo, ma il punto è che se si accetta il principio del “riconoscimento mutuo” di standards molto diversi, il rischio è che attraverso le filiali nei vari paesi si possa approfittare delle differenze regolamentari e di fatto ridurne l’efficacia. Ci sono certamente standards che meriterebbero di essere armonizzati, ma resta il fatto che ogni “equivalenza” dovrebbe essere accordata a regole che non possono essere troppo discordi. È interessante notare, parlando della “qualità” degli scambi che sarebbe invece possibile spingere, che il TTIP non contempla la promozione di tecnologie che aiutano la trasformazione verso un’economia “low carbon” e nulla ci dice che si discuta sull’urgenza di eliminare la barriera agli scambi rappresentata dai sussidi alle fonti di energia fossili14. La possibilità di attribuire vantaggi a produzioni e tecnologie a minore impatto sull’ambiente e a maggiore intensità di lavoro di qualità non pare presa in considerazione, creando così un sicuro freno alla transizione ecologica; anche perché, con la scusa di eliminare barriere non tariffarie e di ridurre l’impatto del “principio di precauzione” il TTIP, potrebbe intervenire pesantemente sulle norme sull’eco-design, sull’etichette di origine, sugli OGM, sugli antibiotici nei mangimi, sulle moratorie anti-

8 http://europeangreens.eu/brussels2014/content/position-paper-ttip 9 http://thehill.com/blogs/congress-blog/economy-a-budget/329375-american-agriculture-gmos-and-europea 10 Il PE ha respinto a larga maggioranza l’ACTA, a causa degli ostacoli che avrebbe comportato per internet, e per le complicazioni che avrebbe potuto portare nel campo dell’innovazione e dell’accesso ai medicinali. 11 http://www.borsaitaliana.it/notizie/sotto-la-lente/dodd-frank-act-143.htm


TTIP: NON ABBASSATE I NOSTRI STANDARD

fracking sul gas di scisto, sui brevetti su esseri viventi, sullo scambio di sementi, eccetera. Non dobbiamo dimenticare che gli USA non hanno ratificato sei delle otto normative base i materia di diritti dei lavoratori approvate nell’ambito dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), inclusi la Convenzione sulla libertà di associazione e la contrattazione collettiva. E sui servizi pubblici, il TTIP potrebbe facilitare la spinta già presente in Europa alla privatizzazione senza troppa qualità. Inoltre, la necessità di proteggere la nostra industria culturale rimane una questione aperta, che non può semplicemente essere cancellata con un tratto di penna. Infine, lo scandalo NSA scoperto dalle rivelazioni di Richard Snowden ci dice che il tema della protezione dei dati rimane un nervo scoperto nelle relazioni transatlantiche (e non solo). In questo senso, sarebbe auspicabile, come l’ha proposto Il Transatlantic Consumers Dialogue (TACD)15 lasciare fuori dai negoziati del TTIP la questione dei dati personali e delle regole sulla privacy, perché in presenza di una tale differenza di norme, il risultato rischia di tradursi in una diminuzione degli standards attuali dai due lati dell’Atlantico. È evidente, invece, che è necessario discutere delle regole nazionali e internazionali di protezione dei dati (che secondo le regole accordate nel WTO non possono essere considerate come ostacoli non tariffari al commercio) e sarebbe auspicabile che questo venisse fatto prima della conclusione di TTIP, nell’ambito di un accordo quadro con pochi elementi e di un negoziato a livello internazionale. Ma c’è un altro modo di costruire un’auspicabile alleanza transatlantica? Certo! L’agenda

transatlantica che ci pare interessante promuovere non è quella che entrerebbe sistematicamente in rotta di collisione con standard e leggi europee (e in alcuni casi americane) in materia di ambiente o salute. Ci interessa invece un accordo transatlantico che sia parte integrante di un accordo globale multilaterale coerente con il “Green new deal”, e con misure che favoriscano la transizione verso un’economia non più dipendente dai fossili e sostenibile, che implichi anche politiche contro i cambiamenti climatici e il consumo eccessivo di risorse, promuovano la giustizia sociale e i diritti di chi lavora. Un sogno? L’esempio della sconfitta di ACTA dimostra che è possibile, con una mobilitazione e una coalizione fra le diverse forze in campo che già stanno lavorando contro questo TTIP, organizzazioni della società civile, sindacati, gruppi di consumatori, difensori delle libertà civili e digitali, ma anche partiti come i Verdi europei, costruire un fronte in grado di allargarsi e puntare a portare nei parlamenti nazionali e soprattutto europeo, (che ha la possibilità di respingere il risultato dei negoziati), l’opposizione a questo accordo, ma anche la promozione di una vera e propria Agenda alternativa per le relazioni transatlantiche. Recentemente, più di 200 gruppi europei e statunitensi hanno protestato contro il TTIP. E anche nel Congresso americano ci sono voci contrarie a questo accordo. In questa fase, ciò che conta è che ci sia una maggiore consapevolezza e informazione sui rischi di ciò che si negozia segretamente a Bruxelles e a Washington; e naturalmente l’organizzazione di una vera e propria larga campagna di trasparenza. In particolare per l’Italia, che si prepara a presiedere la UE in un periodo importante per i negoziati con gli USA, è bene sapere che si può ancora cambiare strada.

12 http://corporateeurope.org/trade/2014/02/what-are-you-hiding-opacity-eu-us-trade-talks; http://www.tax-news.com/news/De_Gucht_Keen_To_Solve_TTIP_ Regulatory_Issues____62353.html 13 http://ec.europa.eu/clima/policies/eccp/second/stakeholder/index_en.htm 14 « Pagate con soldi pubblici per mandare in tilt il clima, le fonti fossili ricevono 100 $ per ogni tonnellata di CO2 che rilasciano. Aiuti di Stato per 523 miliardi di dollari contro gli 88 andati alle rinnovabili. E solo il 20% per aiutare i ceti deboli. Fatih Birol, capo economista della IEA, torna a denunciare i sussidi pubblici alle fossili. In Italia sono oltre 9 miliardi di euro all’anno. » http://www.qualenergia.it/articoli/20130206-troppi-sussidi-alle-fonti-fossili-il-messaggio-di-fatih-birol 15 The Transatlantic Consumer Dialogue (TACD) strongly urges the Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) negotiators to leave data flows out of the trade negotiations. It is impossible to address the issue of data flows when the data protection regimes in the US and EU are starkly different and unbalanced. Without adequate oversight and transparency, any attempts to include data protections in the transatlantic trade negotiations could easily result in a significant weakening of consumer protections with little or no public input. http://tacd.org/ttip-policy-statements/ Cover photo credit: Photo Credit: <a href=”https://www.flickr.com/photos/45086087@N00/4703667485/”>alexbrn</a> via <a href=”http://compfight.com”>Compfight</a> <a href=”https://creativecommons.org/licenses/by/2.0/”>cc</a>


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.