Luoghi complementari, relazione tra identità architettonica e alterità

LUOGHI COMPLEMENTARI: RELAZIONE TRA IDENTITÀ ARCHITETTONICA E ALTERITÀ PROGETTO DI RECUPERO E RIFUNZIONALIZZAZIONE DELL’EX STABILIMENTO MILITARE GUIDO RENI PER UNA NUOVA CITTÀ DELLA SCIENZA NEL QUARTIERE FLAMINIO DI ROMA.

Laurea di Tesi Magistrale Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni

Corso di ARCHITETTURA - AMBIENTE COSTRUITO - INTERNI A.A. 2019/2020 studenti: Caizzi Edoardo, Tafel Greta relatore: Gasparini Christian

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ABSTRACT Ancora oggi spesso le città vengono pensate come sistemi unitari. Come però riconosciuto da Aldo Rossi ne L’architettura della città, è necessario ‘’avvicinarsi alla comprensione di questa totalità mediante lo studio delle sue diverse manifestazioni’’, per poter avere in essa un campo di azione. La visione totalizzante di una urbe conclusa in sé stessa appare messa in crisi dalla sua medesima complessità e contraddittorietà. Nel descrivere la città contemporanea si rintracciano spesso tentativi di riassumerla in modo univoco, seppur facciano riferimento a termini che esulano dal suo spazio fisico. Si parla quindi di città mediale (o Net City, G. Shane), riferendosi alla fitta rete di informazioniconnessioni rese possibili dalle nuove tecnologie. La città continua però ad essere un luogo. Anzi, molti luoghi. È un prodotto complesso, sovrapposto, stratificato, dovuto all’intersezione di casualità, vincoli pratici, esigenze sociali sommatesi nel corso della storia. Gli strumenti progettuali destinati ad interfacciarsi con queste realtà, allora, si trovano a dover interagire direttamente con un sistema aperto e irrisolto.

Ungers (La città dialettica, 1997) propone uno studio derivato dal riconoscimento della coincidentia oppositorum (simultaneità dei contrari). Secondo quella che Ungers definisce ‘strategia dei luoghi complementari’, la città è una struttura aperta composta da una raccolta eterogenea di frammenti, non riconducibile ad un sistema in sé concluso a causa delle sue molteplici e contraddittorie esigenze. Tesi e antitesi convivono simultaneamente: la città contemporanea è dialettica. Nella dissoluzione della città centrale giocano un ruolo fondamentale i singoli luoghi nominabili. La città strutturata secondo luoghi complementari sostituisce il concetto di urbe unitaria. Luoghi del tempo libero, del commercio, dell’abitare, della cultura, del lavoro, etc. formano una instabile costellazione di elementi significativi e diversificati, dotati di identità e completezza ‘in sé’, nei quali viene sviluppato un aspetto urbano particolare tenendo conto del tutto.

Ogni luogo esiste quindi per sé stesso, ma si esprime pienamente solo nella relazione con l’altro luogo. I singoli luoghi appaiono quindi come complessi microcosmi, monadi, inseriti nel contesto più grande della metropoli: una città nella città. Il progetto in questo scenario ha il compito di ripensare l’architettura a fronte di un paesaggio in continua mutazione e che esplicita sempre nuove necessità e finalità (F. Irace, Dimenticare Vitruvio) riordinando il caos urbano, sviscerando le identità e peculiarità proprie dei singoli luoghi. In questo Ungers definisce l’urbanistica un’arte della scoperta, non dell’invenzione. Sembra quindi inevitabile pensare al progetto come sistema che metta in relazione più componenti: spaziali, dal momento che si interfaccia con un contesto; funzionali, siccome è chiamato a rispondere ad un programma e relazionali, quando cerca di interfacciare le precedenti. La città dei luoghi complementari è quindi interpretabile, aperta, mista e adattabile, conservatrice quanto progressista.

Il progetto di tesi si confronta direttamente con questi temi, cogliendo l’occasione rappresentata dal bando di concorso “Progetto Flaminio”, per la progettazione della Città della Scienza nel quartiere Flaminio a Roma - attraverso interventi di recupero dell’Ex stabilimento militare Guido Reni, da anni mancante di integrazione e visione 2

urbana tra aspetti morfologici e programmatici. Il bando del 2015, prevede un mix funzionale con l’obiettivo di rendere eterogeneo il brano di città che ha come fulcro il polo museale. L’ambito urbano in cui si inserisce il disegno ha attraversato un percorso di riqualificazione di un quartiere costituito da frammenti di differenti piani urbanistici, che lo hanno portato a potenziarne sempre più il carattere culturale. Il progetto è chiamato ad entrare a sistema con gli elementi primari prossimi all’area, quali il museo MAXXI e l’Auditorium Parco della Musica, con il tessuto abitativo e con il paesaggio.

Il programma, complesso e diversificato, ci ha portati alla formulazione di un masterplan caratterizzato da un’evidente varietà di approcci. Le esigenze morfologico-funzionali hanno comportato talvolta la rottura della rigidità dell’impianto esistente, talvolta l’ideazione di nuclei che rispondessero a bisogni particolari, con conseguenti scelte formali. L’area si viene a configurare quindi come una sorta di ‘’città nella città’’, dotata di elementi ordinari ed eccezionali, percorsi e spazi di relazione che si interlacciano in un sistema aperto. La tesi ha preso in carico la riscrittura degli edifici esistenti secondo i loro caratteri morfologico-spaziali mentre le parti di nuova edificazione manifestano in modo evidente la propria alterità. L’approccio generale al progetto è stato condotto per stratificazione di elementi e significati, rimandante alla strategia dei luoghi complementari (O. M. Ungers), permettendo al sito di assumere una rinnovata identità, in linea con le esigenze dell’urbe contemporanea, ma affatto dimentica del suo passato.

Ogni gesto progettuale è guidato dall’idea di concepire la Città della Scienza come spazio dinamico di scoperta, sperimentazione e apprendimento. Il sistema finale ci ha aiutato a dare vita ad ambienti in grado di rispondere sia a situazioni estemporanee, sia ai mutamenti a cui l’area inevitabilmente sarà sottoposta nel corso del tempo. Il progetto prova a riflettere sul ruolo dello spazio fisico della città come campo di azione e relazione, grazie alla ri-conversione di un brano che pur funzionando come nucleo autonomo, dialoga con la rete di luoghi della quale entra a far parte. Il risultato auspicato si articola in un campus fatto di laboratori, spazi mostre, incubatori d’impresa, spazi per eventi e ricettivi, mettendo a sistema la più grande varietà di attori e utenze.

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I. STORIA

II. TEMA

1.1 INQUADRAMENTO Quartiere - Il Flaminio Città - Elementi urbani Paesaggio - Elementi naturali Luogo di progetto - Ex Stabilimento

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2.1 LUOGO

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Identità Memoria Figura

Dopo il Moderno O. M. Ungers

IV. TESI

11 15 20 23

1.2 CONCORSO FLAMINIO

2.2 CITTÀ

III. PROGETTO

8

41 44 48 52 55 59

2.3 RELAZIONI

68

Tessuto Fatti urbani Rete

71 77 83

3.1 STATO DI FATTO Morfologia urbana Tipologia edilizia

92 94 96

3.2 MASTERPLAN

104

Composizione Programma

107 113

3.3 ARCHITETTURE

116

4.1 SISTEMA URBANO

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4.2 LUOGHI COMPLEMENTARI

166

I.

6

STORIA

7

1.1 INQUADRAMENTO

8

La storia e la memoria del quartiere ha visto il succedersi di molti avvenimenti, i quali hanno segnato in maniera radicale non solo il suo aspetto formale, ma anche la sua vocazione funzionale. Flaminio è il primo quartiere di Roma, indicato con Q. I. Il toponimo indica anche la zona urbanistica 2C del Municipio di Roma II di Roma Capitale. Esso prende il nome dalla via Flaminia e si trova nell’area nord della città , tra il lato sinistro della via direttiva e la sponda sinistra del fiume Tevere. Il quartiere confina: a nord e a ovest con il quartiere Q. XV Della Vittoria - a est con i quartieri Q. II Parioli e Q. III Pinciano a sud con il rione R. IV Campo Marzio. La zona urbanistica si inserisce inoltre in un brano che vede la presenza a nord-ovest della zona del Foro Italico, a est il Villaggio Olimpico, Parioli e Villa Borgese, a sud il Centro Storico, infine a ovest Prati e Della Vittoria.

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Quartiere - Il Flaminio

Mappatura della stratigrafia storica del Q. Flaminio.

I Romani lo chiamavano Prata Flaminia e per millenni quest’area pianeggiante è stata regolarmente sommersa dalle acque del fiume Tevere, rendendola ottimale per la destinazione a suolo agricolo. La Via Flaminia, direttrice cardine dell’impianto urbano di tale brano, fu costruita dal censore C. Flaminius (223/220 a.C.), per collegare infatti Roma città all’ager Gallicus, attraverso la valle del Tevere, l’Umbria e arrivando fino a Rimini. La strada iniziava il suo itinerario dalle Mura Serviane assieme alla Via Cassia attraverso la Porta Fontinalis che si trovava nei pressi del Campidoglio e poi proseguiva verso Ponte Milvio. Questo attraversamento viene costruito sul fiume in asse con il tratto della via e collega il piazzale del quartiere Parioli, a piazza di Ponte Milvio nel quartiere Della Vittoria.

Dopo l’unità d’Italia, nonostante la bonifica del territorio, l’area rimase esclusa dalle trasformazioni di fine Ottocento che

interessarono le zone urbane all’interno delle Mura Aureliane e che portarono alla luce gli eleganti quartieri come il Ludovisi e il Coppedè o i quartieri operai come il Testaccio. Nel 1805-09 l’architetto G. Valadier propone la conversione della via Flaminia a Pubblico Passeggio, il piano non verrà però mai attuato. In questo stesso periodo Villa Massani sorge nell’area oggi occupata da Villa Flaminia.

Tra i primi interventi significativi si ha una intensa opera di urbanizzazione del 1870, legata all’istituzione di Roma Capitale, che vede diversi lavori per la realizzazione di nuovi edifici nel quartiere; proprio in questa occasione furono individuati tratti del basolato dell’antica via Flaminia fiancheggiata da numerosi sepolcri, ma la maggior parte delle strutture vennero in gran parte ricoperte o distrutte. Venti anni più tardi la SRTO (Società Romana Tramviaria Omnibus) sperimenta la prima linea tramviaria a trazione elettrica a Roma 11

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1870 - 90

1905

1914-19

1926-39

1960

1994-99

2010

2016-19

Istituzione Roma Capitale

Società Automobili Roma nell’ansa del Tevere

Primo conflitto mondiale

Foro Mussolini Stadio dei Marmi Palazzo della Farnesina

Villaggio Olimpico Palazzetto dello Sport Stadio Flaminio

Auditorium Parco della Musica, vocazione culturale

Riqualificazione ex caserma Montello a Nord di via Guido Reni

Guido Reni DIstrict

SRTO: prima tramvia su via Flaminia

Convertersione a caserme e officine

Ponte Duca D’Aosta

Interesse sul complesso di via Guido Reni

Linea del tempo.

proprio sulla via Flaminia.

Un passaggio importante e di nostro diretto interesse riguarda gli avvenimenti del 1905. La Società Automobili Roma individua infatti l’area dell’ansa del Tevere come luogo idoneo per la localizzazione dei suoi stabilimenti e impianti di produzione industriale, andando a configurarsi come il primo insediamento con questa funzione dell’area, prima a carattere principalmente residenziale o agricolo. Viene adottato così un linguaggio storicista per il corpo principale che sarebbe sorto sulla via cardine, mentre gli edificati retrostanti si distinguono per la classica copertura a shed dei corpi destinati alla produzione.

Successivamente il complesso viene ampliato occupando il lotto in fronte, oltre via G. Reni. Sull’affaccio con via Flaminia vengono realizzati edifici per le Officine Automobili(1906-1907), attualmente sede di abitazioni militari 12

e uffici del Ministero della Difesa. Con l’Esposizione internazionale del 1911 l’area definisce per la prima volta il suo carattere prevalente di polo culturale, per l’intrattenimento sportivo e il tempo libero: vengono realizzati nello stesso momento l’Ippodromo dei Parioli (inaugurato nel 1911, chiuso nel 1929), lo Stadio Nazionale, le diverse sedi espositive di Valle Giulia, la Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea e i padiglioni stranieri.

L’inizio del primo conflitto mondiale (1914-19) cambia il destino dell’area industriale, convertendola ad usi militari.

Il grande stabilimento Società Automobili Roma viene in tal modo trasformato nella Reale Fabbrica di Armi, per ospitare le caserme e le officine, edifici a tipologia di padiglioni lineari. I nuovi fabbricati (officine meccaniche dell’Esercito - tra cui la caserma Montello - e caserme e scuola di Polizia) furono allineati su viale

Guido Reni a saturare quasi tutto l’isolato triangolare tra la Flaminia stessa e i futuri viale del Vignola e viale Pinturicchio. Il Quartiere Flaminio (tra i primi 15 di Roma) viene ora ufficialmente istituito nell’anno 1921. Inizia in seguito la progettazione e realizzazione del Foro Mussolini in cui si concretizzano: l’Accademia di Educazione Fisica (1927 - ora Palazzo H - CONI), lo Stadio dei Marmi (1928), la Foresteria Sud (1929 - ora Ostello della Gioventù), i Magazzini di Casermaggio, la Colonia Elioterapica (1934), il Palazzo Littorio di Roma, poi Palazzo della Farnesina sede del Ministero degli Affari Esteri (1935/1943). 1936-39. Nel 1935 il Ministero dei Lavori Pubblici bandì un concorso-appalto per la progettazione e realizzazione del ponte Duca D’Aosta che avrebbe collegato il lungotevere Flaminio a piazza Lauro De Bosis, nei quartieri Flaminio e Della Vittoria. Furono presentati 18 progetti, vinse il concorso

il progetto di Vincenzo Fasolo ed il ponte entrò in funzione il 26 marzo 1939. Con i Giochi Olimpici del 1960 si apre una nuova fase di profonda trasformazione urbana dell’area. La costruzione del Villaggio Olimpico, gli impianti sportivi – Palazzetto dello Sport e Stadio Flaminio – e le sedi delle Federazioni riconfermano la vocazione sportiva che l’area aveva avuto fin dall’inizio del secolo. Il PRG (1962) emanato dal Comune di Roma per una Città che ospiti 5 milioni di abitanti prevede ora una forte espansione nell’area del quartiere Flaminio, con conseguente crescita urbana imponente, questo porta ad una rapida e talvolta incontrollata urbanizzazione.

Con l’avvio del concorso per il nuovo Auditorium Parco della Musica (1994) il Flaminio affronta una terza fase di riqualificazione urbana di grande respiro, che si svilupperà per quasi un decennio, quando la realizzazione del progetto di 13

Renzo Piano, con i suoi insoliti volumi zoomorfi, porterà nell’area nuove funzioni e qualità urbane. Nel 2004-2009 la porzione dell’ex caserma Montello posta a Nord di Via Guido Reni viene interessata da un’opera di riqualificazione fondamentale con l’edificazione del MAXXI, Museo nazionale delle Arti del XXI secolo, il cui ingresso è prospiciente all’area oggetto della nostra indagine. Il processo di trasformazione proseguito con l’inaugurazione del Museo nel 2010 e con l’inaugurazione nel 2011 del nuovo ponte della Musica la nuova identità culturale prende definitivamente forma.

Città - Elementi urbani

Ministero Farnesina

Foro Italico

Stadio Olimpico Palazzetto dello sport

Villaggio Olimpico

MAXXI

Auditorium

Stadio Flaminio

Monte Mario Fiume Tevere

Mappatura dei Luoghi notevoli e aree di interesse nel Q. Flaminio.

Gli elementi urbani di maggior rilevanza di questo ambito, in particolar modo riguardanti la vocazione ad ambito culturale del Flaminio. Oltre a istituzioni culturali storiche come il Teatro Olimpico, la Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea e il Museo Hendrik Christian Andersen, sono ora presenti hub culturali di realizzazione più recente, che hanno segnato profonde trasformazioni del ruolo del quartiere nella città di Roma.

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15

AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA Probabilmente la realizzazione che diede il via al nuovo corso del quartiere, l’Auditorium Parco della Musica è un complesso polifunzionale atto ad ospitare eventi musicali e culturali. Inaugurato nel 2002, sorge sulle rovine di una villa romana e si sviluppa su un’area di 55.000 mq. È stato progettato da Renzo Piano, vincitore del concorso a inviti del 1993. Il complesso si compone di tre volumi dalle forme organiche rivestiti in piombo, che ospitano le tre grandi sale concerto WWw(da 700, 1200 e 2700 posti), organizzati a raggiera attorno a un teatro all’aperto (cavea), capace di ospitare fino a 3000 spettatori. I volumi minori circostanti ospitano ambienti di servizio, studi di registrazione, sale prove, foyer, bar, ristorante e una grande libreria. Attraverso un sistema di percorsi e terrazze sopraelevate il tutto forma un importante centro per la divulgazione e la produzione culturale.

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MAXXI - CENTRO NAZIONALE PER LE ARTI CONTEMPORANEE Il Museo nazionale delle arti del XXI secolo (MAXXI), inaugurato nel 2010, è divenuto presto una delle principali mete romane dedicate all’arte contemporanea. È gestito dall’omonima fondazione del Ministero per i beni e le attività culturali e presenta un programma dedicato principalmente all’arte (MAXXI arte) e all’architettura (MAXXI architettura). La sede museale è realizzata nell’area dell’ex caserma Montello, prospicente all’area di progetto qui in esame. Esito di un concorso internazionale indetto nel 1998, il progetto vincitore di Zaha Hadid compone un campus multifunzionale che include: funzioni museali, laboratori di ricerca, spazi di accoglienza, funzioni commerciali, spazi per eventi, biblioteca, spazi aperti di carattere pubblico, il tutto intrecciato su più livelli secondo un riconoscibile principio compositivo fatto di corpi sinuosi continui.

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PONTE DELLA MUSICA Inaugurato nel 2011, rientra tra le operazioni architettonicourbanistiche che hanno interessato l’area in concomitanza alla realizzazione del MAXXI. Il ponte è destinato all’uso ciclo-pedonale e al trasporto pubblico e collega, sovrappassando il Tevere in continuità con Via Guido Reni, il Quartiere Flaminio e il Quartiere della Vittoria, connettendo così l’area oggetto del nostro studio al complesso sportivo del Foro Italico e al Monte Mario. Il ponte è realizzato in acciaio, calcestruzzo armato e legno. È caratterizzato da due grandi archi ribassati in acciaio (lunghi 190 metri) e lievemente inclinati verso l’esterno (la struttura è larga 22 metri al centro e 14 metri alle estremità). La parte centrale, con pavimentazioni in asfalto, è destinata alla circolazione dei mezzi pubblici, mentre le parti laterali, separate dai due grandi archi e ricoperte in doghe di legno, sono riservate ai pedoni.

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FORO ITALICO E FARNESINA Piazzale della Farnesina e Viale del Ministero degli Esteri sono un progetto dell’arch. Umberto Riva. Il tema del concorso Nazionale ad inviti bandito nel 1998 consisteva nel ridisegno paesaggistico della Piazza e del Viale sino al Lungotevere. Per ridurre l’interruzione stradale che attraversa il sito e limitare l’impressione di dispersione, la ridistribuzione degli spazi viari e di sosta permette di razionalizzare la percezione e l’uso dello spazio, di migliorare l’accesso della Farnesina e di instaurare un rapporto nuovo tra il palazzo ed il fiume.

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Paesaggio - Elementi naturali

MONTE MARIO Sorpassando il fiume Tevere ad ovest si incontra la grande area paesaggistica di Monte Mario, che con i suoi 139 metri d’altezza rappresenta il rilievo più imponente di Roma e di conseguenza, insieme al Gianicolo e al Pincio, uno dei punti panoramici più amati della città. Monte Mario era già noto in epoca romana poiché sede delle più belle ville residenziali degli abitant dell’Urbe, soprattutto di nobili e poeti. Oggi la sua area è una Riserva Naturale istituta quasi vent’anni fa e rappresenta per le sue caratteristiche ambientali, un esempio di diversità biologica ormai raro in città. Nel suo punto più altro troviamo l’Osservatorio Astronomico (dove passa il meridiano di Roma).

Il Piano Urbano per la mobilità sostenibile di Roma ha inoltre avanzato una proposta di collegamento con un impianto a fune, per permettere il facile raggiungimento dall’area del Flaminio.

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FIUME TEVERE Il tratto di lungotevere Flaminio collega piazzale delle Belle Arti a piazza Mancini, va da ponte Risorgimento a ponte Duca d’Aosta e sul lato opposto al Tevere vi sono 3 passeggi: parte del lungotevere Guglielmo Oberdan, il lungotevere della Vittoria e il lungotevere Maresciallo Cadorna. Il lungotevere è un lungo viale caratterizzato da palazzi moderni, alcuni tra i quali di una certa rilavanza storica e pregio architettonico, mentre sul lato opposto del fiume vi sono edifici adibiti a circoli sportivi. Nonostante lo scenario naturale e il paesaggio siano certamente gradevoli, lo stato delle cose mostra una certa noncuranza nella manutenzione delle sponde del fiume e dei camminamenti ai suoi lati.

Il passeggio che costeggia l’acqua potrebbe rappresentare un punto di attrazione e un ambito naturale di rilevanza all’interno del quartiere.Il grande potenziale di questo elemento può essere oggi riscattato con una progettazione e un rinnovato interesse per i suoi spazi.

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In conclusione osserviamo come oggi questa zona, vera protagonista di molti eventi romani, diventa popolatissima durante la settimana della Festa del Cinema, trafficata la domenica pomeriggio per le chiassose partite di calcio e sotto i riflettori per le inaugurazioni di mostre di respiro internazionale. Qui in sintesi si concentrano le più grandi opere contemporanee già citate, sorte nel XX e nel XXI secolo: il primo complesso sportivo voluto da Mussolini, il centro della musica romana rappresentato dall’Auditorium di Renzo Piano, il Museo delle arti del ventunesimo secolo e il ponte della Musica, considerato il più moderno sul fiume Tevere. Il nostro intervento si andrà quindi ad interfacciare con la natura variegata di questi eventi urbani, con i quali entrare in rete.

Veduta tra Monte Mario, Ponte Milvio, Villa Glori e Porta del Popolo.

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Luogo di progetto Ex Stabilimento

L’area oggetto di concorso è nello specifico ubicata nell’isolato compreso tra Via Guido Reni a Nord e Via Flaminia ad Est, mentre a Sud confina con l’area occupata da Villa Flaminia e ad Ovest con gli edifici dell’Istituto Superiore di Polizia che affacciano su Via del Vignola. I primi interventi significativi, in questa parte della città, risalgono all’inizio del Novecento e ne determinano la configurazione.

Nel 1905 viene presentato un progetto della Società Automobili Roma per la costruzione di uffici e alloggi su via Flaminia e, all’interno, verso vicolo dei Casali (oggi via Guido Reni), officine, magazzini, depositi. Per la realizzazione dell’impianto furono previsti due anni. La tipologia della facciata a due piani, di cui l’inferiore viene segnato da una fascia di mattoni rilevati, con cornici e lesene, si ripete invariata sui tre corpi di cui il centrale, lievemente rientrante dal filo stradale, presenta una sopraelevazione

con sei finestroni ed una fascia con il nome della società. La disposizione funzionale prevedeva uffici nel corpo principale ed alloggi nei due laterali, con cortiletti e salette riservate di raccordo verso i magazzini separati da un viale coperto con vetri e struttura metallica.

Semplici pilastri conclusi da capitelli sagomati sorreggevano la copertura shed delle officine ove si trovavano sale di montaggio, riparazioni, collaudo motori, depositi vetture, gomme, chassis, sezioni per i capi reparto, i modellisti, forno per temperare, fonderie, fucine e magli.

All’inizio della I guerra mondiale, probabilmente per far fronte al problema dell’armamento dell’esercito e alla necessità di intensificare e potenziare la produzione industriale di materiali bellici, non essendo sufficienti gli impianti esistenti e quelli privati “ausiliari” presenti sul territorio, gli stabilimenti furono acquisiti e riconvertiti. Nel 1915 Amerigo 23

Variazioni murarie dei corpi dell’Ex Stabilimento (addizioni riportate con colorazione rossa).

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Allegretti riceve l’incarico di realizzare la ristrutturazione del complesso. I lavori rispettano la distribuzione degli spazi ed anche il prospetto principale rimarrà pressoché invariato al momento della trasformazione in Reale Fabbrica di Armi; coperta la scritta, vengono solo aggiunte delle protomi leonine con delle targhe e l’anno dell’inaugurazione, 1916.

Altre targhe sul fronte posteriore degli stabilimenti segnano la conclusione di questa fase di intervento.

Dall’altro lato di vicolo dei Casali, che veniva trasformato in via dei Settanta, nel 1907 sempre la Società Automobili Roma aveva iniziato a realizzare una carrozzeria, con un fabbricato per uffici e alloggi su strada, officine, depositi e laboratori all’interno. Gli edifici non sembrano presentare caratteristiche architettoniche degne di nota. Il blocco principale, formato da un corpo centrale a due piani con tetto a spiovente ed ali terrazzate ad un solo piano, era attraversato da due ampi ingressi laterali a sesto ribassato e cancellate metalliche.

Le officine, con pilastrini e copertura shed, erano strettamente funzionali. Il prospetto appariva scandito, nel piano inferiore, da marcapiani che raggiungevano l’architrave su cui poggiavano le finestre dell’ordine superiore. Al primo piano uffici, alloggio del direttore, alloggio del portiere, magazzini per le stoffe e le guarnizioni, i pellami, i colori. Al piano terreno due corridoi coperti verso il cortile, il deposito per le carrozze, la sala esposizione, la sala d’aspetto, una sala riservata, la portineria, la cassa paga per gli operai, i vani per i sellai, i verniciatori, i cassai, le stufe, le segherie, i depositi per il legname, il ferro e il carbone, i servizi, le sezioni fucine, riparazioni, motori e bagni per la galvanoplastica. Sul medesimo lato della strada, nello stesso anno, la Società per l’Acciaio aveva cominciato la costruzione

Veduta aerea della zona dell’ansa del Tevere.

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di uno stabilimento per la fabbricazione dell’omonima lega, costituito da un corpo principale per uffici ed alloggi e da officine, laboratori e magazzini destinati alla preparazione, condotta e finitura al crogiolo del metallo, come si evince dal progetto.

Anche la facciata di questa fabbrica appariva sostanzialmente semplice e funzionale, a due piani con coronamento orizzontale e piccolo frontone ad arcata su cui correva la scritta “Società per l’Acciaio”, con la parete scandita verticalmente da lesene giganti. Le officine presentavano la consueta tipologia con pilastrini e copertura shed e si sviluppano di fronte un ampio cortile. Nel 1916 Andrea Santini viene incaricato di sistemare ed ampliare i due stabilimenti denominati ex Carrozzeria Roma ed Acciaieria Santoni, da destinarsi a Spolettificio il primo e a reparti per la costruzione di macchinari vari l’altro. Pochi mesi dopo gli viene affidata la realizzazione di una caserma di servizio alla Reale Fabbrica di Armi, opere varie e quindi anche di una dozzina di altri fabbricati e recinzioni sui due lati di via dei Settanta, venendosi così a creare, in un paio d’anni, un importante stabilimento industriale di servizio alle forze armate. Il vasto presidio, che appare già totalmente edificato nella ripresa aerea del Nistri del 1919, resterà in gran parte conservato fino ai nostri giorni. L’architettura dell’insieme, strettamente funzionale, appare semplice e lineare, le facciate originarie non sembrano sostanzialmente modificate, salvo gli ingressi, mentre consistenti risultano le ristrutturazioni dei corpi interni, documentate dalle foto e dai numerosi contratti.

La tipologia edilizia presenta caratteri uniformi, su prescrizione del Genio Militare, in tutto l’insediamento e trova riscontri in una quantità di edifici analoghi della stessa epoca ancora conservati 26

Foto aerea della Reale Fabbrica di Armi e caserme di servizio.

ed in immagini relative a fabbriche oramai scomparse. La trasformazione durante la Prima Guerra Mondiale in fabbrica d’armi, le vicende delle caserme e officine delle strutture costruite dalla Società Romana Automobili, la definitiva dismissione del complesso (1994-99) inducono successivamente il formarsi di un interesse pubblico e privato verso il brano di città che ben si presta a una conversione per la creazione di un nuovo polo culturale di riferimento. Qui subentra il concorso Flaminio indetto nel 2014.

Un concorso di progettazione urbana per l’area che ospiterà la futura Città della Scienza, spazi pubblici e funzioni private prevalentemente residenziali. Il concorso richiede la progettazione urbana di un’area di 5,1 ettari con obiettivo di porre la premessa per la costruzione di

una parte di città capace di integrarsi con le sue funzioni nel contesto di Roma contemporanea. Al suo interno dovranno convivere, sia la Città della Scienza rivolta ad un pubblico molto vasto, che residenze, servizi commerciali, spazi ricettivi e pubblici da aprire alla città, per un insediamento stimato di alcune centinaia di abitanti.

In attesa della realizzazione del futuro complesso per la Città della Scienza, il processo di appropriazione degli spazi e di partecipazione della cittadinanza nella trasformazione del lotto, vede l’uso di alcuni edificati presenti sull’area adibiti a mostra, sale riunioni, aule per eventi e simili. Prende forma in tal modo l’ultimo passaggio che conferma l’identità culturale del polo e si sancisce il successo del Guido Reni District, un progetto di

valorizzazione immobiliare temporanea la propensione e l’apertura ad accogliere il nuovo programma di qualifica. Questa è stata articolata in due fasi: la prima di progettazione e ristrutturazione dell’area, resa così idonea a ospitare più eventi, e la seconda di gestione e promozione, finalizzata a valutare e gestire una serie di eventi selezionati, realizzati dai più importanti organizzatori nazionali e internazionali. L’area del Flaminio attraversa nuovamente una fase di rapido mutamento dopo un lungo periodo di sostanziale stasi. Per molto tempo il quartiere ha sofferto di abbandono e sotto utilizzazione: le aree adiacenti il Villaggio Olimpico, gli impianti militari di Via Guido Reni, Piazza Mancini, rappresentavano, e in parte ancora rappresentano, una grossa risorsa di proprietà pubblica a poche 27

centinaia di metri da Piazza del Popolo e che devono continuare ad assolvere un ruolo di funzione pubblica. Se ad esse si aggiungono il grande polmone verde di Monte Mario, Villa Glori e Villa Balestra con il loro grande impatto visivo, nonchÊ le vaste aree verdi del Villaggio Olimpico e delle sponde del Tevere, risulta chiaro che la disponibilità di risorse ambientali e urbane è ampia e diversificata. A giudicare dalle iniziative pubbliche in atto si evidenzia come il settore urbano si vada configurando con specifiche connotazioni culturali di rilevanza urbana e nazionale e sia pronto ad accogliere un nuovo piano per la futura Città della Scienza di Roma.

Foto aerea 1919, Piano Regolatore 1931, foto aerea 1998.

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1.2 CONCORSO FLAMINIO

L’ex caserma Guido Reni, situata nel Municipio II di Roma, quartiere Flaminio, diventerà la sede della Città della Scienza. È quanto ha deciso Roma Capitale che ha lavorato per realizzare questo importante progetto con l’obiettivo di cambiare il volto di un intero quartiere, offrire nuovi servizi ai cittadini e mettere a disposizione della città una struttura che vuole essere un contributo alla sua crescita economica, sociale e culturale. Lo “Stabilimento militare materiali elettronici e di precisione – Via Guido Reni” (SMMEP) riveste una grande rilevanza nel contesto urbano della parte nord della Città Storica e costituisce riferimento determinante ai fini della riqualificazione e dell’identità dei luoghi. Nel vigente PRG, l’area è collocata nell’Ambito di Programmazione strategica Flaminio-Fori-Eur, ove viene data una particolare rilevanza ad una serie di trasformazioni da definirsi con progetti mirati, identificati come “Ambiti di valorizzazione”. Tali progetti, per i contesti in cui sono collocati e per il loro valore posizionale, costituiscono rilevanti occasioni di riqualificazione a scala locale e urbana, sia attraverso un innalzamento della qualità morfologica, sia attraverso l’inserimento di funzioni 30

strategiche. L’intervento di trasformazione dell’ex SMMEP di Via Guido Reni è, quindi, finalizzato a generare spazio pubblico ed a consentire la realizzazione di funzioni a servizio della città e delle sue prospettive internazionali, facendosi carico delle esigenze di prossimità degli abitanti.

Pertanto, sulla base di quanto precede, è stata elaborata una specifica variante al PRG vigente con l’attribuzione della destinazione: “Ambito di Valorizzazione della Città Storica C/15 – Stabilimento militare materiali elettrici di precisione”.

Il progetto nasce dalla collaborazione fra due soggetti istituzionali: Roma Capitale e MEF-Agenzia del Demanio e coinvolge il Fondo immobiliare gestito dalla Cassa Depositi e Prestiti Investimenti SGR. La realizzazione della Città della Scienza e dei servizi pubblici annessi, sarà possibile grazie alla messa in valore dell’area, che consentirà di reperire le risorse necessarie per il completamento degli interventi previsti, senza costi aggiuntivi per l’Amministrazione Comunale. Roma Capitale ha avviato quindi il processo di partecipazione con la cittadinanza per definire le attrezzature pubbliche e rilanciare il Progetto Urbano Flaminio.

Di seguito riportiamo un estratto.

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1.2.1 SOGGETTO BANDITORE CDP Investimenti Sgr, società soggetta all’attività di direzione e coordinamento di Cassa Depositi e Prestiti SPA, gestisce alcuni fondi immobiliari di tipo chiuso riservati ad investitori istituzionali.

Nell’ambito di tali Fondo vi è il Fondo Investimenti per le Valorizzazioni (FIV), che detiene la proprietà dell’area oggetto del presente Concorso internazionale. Il FIV ha l’obiettivo di acquisire immobili già appartenenti a soggetti pubblici e di procedere al successivo sviluppo degli stessi in funzione della loro valorizzazione e dismissione, assicurando un rendimento ai sottoscrittori del Fondo.

1.2.2 OGGETTO DEL CONCORSO CDP Investimenti Sgr bandisce un concorso di progettazione urbana per l’area che ospiterà la futura Città della Scienza, spazi pubblici e funzioni private prevalentemente residenziali. Il progetto nasce dalla acquisizione da parte del Committente dell’ex Stabilimento Macchine Elettriche di Precisione dell’Agenzia del Demanio collocato tra via Guido Reni e Viale del Vignola a Roma. Con un accordo raggiunto con l’Amministrazione Comunale si è avviato un importante processo di trasformazione che ha come obiettivi una struttura urbana innovativa e una forte autosufficienza energetica, emersi dalla consultazione di cittadini e organizzazioni residenti. L’area si trova a un chilometro da Porta del Popolo e dal centro storico della città, ed è circondata da importanti strutture architettoniche del XX secolo: dal Foro Italico e dal Villaggio Olimpico del 1960, al Parco della Musica di Renzo Piano, fino al Museo MAXXI di Zaha Hadid che sorge sul fronte opposto della strada. Il concorso richiede la progettazione urbana di un’area di 5,1 ettari il cui incarico di dettaglio sarà affidato al vincitore. Obiettivo del concorso è porre la premessa per la costruzione di una parte di città capace di integrarsi con le sue funzioni nel contesto di Roma contemporanea. Al suo interno dovranno convivere, sia la Città della Scienza rivolta ad un pubblico molto vasto, che residenze, servizi commerciali, spazi ricettivi e pubblici da aprire alla città, per un insediamento stimato di alcune centinaia di abitanti. Il programma prevede di collocare residenze per 35.000 mq e strutture ricettive e commerciali per 10.000 mq, un insieme di spazi e strutture pubbliche distribuite su 14.000 mq e la Città della Scienza, su cui sarà bandito un successivo concorso, alla quale è riservata un’area di 10.000 mq.

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1.2.3 FUNZIONI E DIMENSIONI DEL PROGRAMMA L’area del Concorso ha un’estensione di 5,1 ettari su cui andranno insediati: a. Città della Scienza (mq. 27.000) b. Residenze (mq. 29.000) c. Residenze sociali (mq. 6.000) d. Strutture commerciali (mq. 5.000) e. Strutture ricettive (mq. 5.000) f. Spazi pubblici e a verde (mq. 14.000) 1.2.4 COSTI DI REALIZZAZIONE Il costo presunto di realizzazione del progetto è pari ad Euro 90.000.000, spese tecniche e IVA escluse, per le sole parti private (punti b, c, d, e dell’art. 2.2). Tale costo non comprende la realizzazione della Città della Scienza e la sistemazione dell’area di 10.000 mq ad essa destinati.

La valutazione presunta del costo è un punto di riferimento offerto ai partecipanti per la valutazione del progetto da parte del Soggetto Banditore, che non è vincolato ad esso negli sviluppi successivi.

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Carpaneto G. e altri, I quartieri di Roma, Newton Compton Editori, Roma, 1997.

Manodori A., Quartiere Flaminio, in I Rioni e i Quartieri di Roma, vol. 6, Newton Compton Editori, Roma, 1991.

Rendina C., I quartieri di Roma, vol. 1, Newton Compton Editori, Roma, 2006.

Vittorini A. (a cura di), Dalle armi alle arti.

Trasformazione e nuove funzioni urbane nel quartiere Flaminio, Gangemi Editore, Roma, 2004.

Bando ufficiale di concorso (progettoflaminio.it), Roma, 2015.

[IMG p. 16] © RPBW, PH. M. Maggi.

[IMG p. 17] © ZAHA HADID ARCHITECTS PH. F. Bascetta.

[IMG p. 18] © BURO HAPPOLD, PH. . Bascetta.

[IMG p. 19] © Consiglio nazionale degli Architetti, Roma.

[IMG p. 20] © INAF, PH. R. Cerisola.

[IMG p. 21] © Romaierioggi, www.romaierioggi.it [IMG p. 22] © LA SAPIENZA, Università di Roma.

[IMG p. 25] © Dalle armi alle arti, a cura di A. Vittorini, p.6.

[IMG p. 27] © Dalle armi alle arti, a cura di A. Vittorini, p.40.

[IMG p. 28, 29] © Dalle armi alle arti, a cura di A. Vittorini, p.69.

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II.

TEMA

2.1 LUOGO

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Un Luogo è uno spazio dotato di un carattere distintivo, un’identità ben riconoscibile e manifesta attraverso la storia, spesso definito da un limite più o meno fisico (1). Il luogo è innanzitutto uno spazio concreto e fisico, composto da elementi tangibili e dotati di sostanza materiale, forma, testura e colore.

L’insieme di tali elementi ne definisce il carattere (o identità) qualitativo e totale, non riducibile a nessuna delle sue singole caratteristiche. Il carattere è infatti definito soprattutto dal ‘come’ le cose sono, ed offre quindi l’occasione per un’indagine più qualitativa che quantitativa, prendendo in esame i fenomeni concreti e il loro rapporto con la psiche e con la memoria.

Disposizioni spaziali analoghe possono infatti avere caratteri completamente diversi.

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Identità

Santuario di Atena a Delfi.

Per meglio definire ed intendere il genius loci, Norberg-Schulz si riferisce ai concetti di ‘significato’ e ‘struttura’. Il primo identifica il rapporto che un oggetto intrattiene con gli altri, grazie alla sua capacità di ‘radunare’. La seconda è invece relativa alle proprietà formali di un sistema di rapporti. Il bisogno esistenziale dell’uomo di esperire le cose come fatti dotati di senso si compie quindi tramite il riconoscimento dei significati, il che favorisce un senso di appartenenza. Sia in ambienti artificiali che naturali, l’uomo ha infatti bisogno di riconoscersi ‘cosa tra le cose’, comprendendo l’ordine e le qualità dell’ambiente che abita e lo circonda.

Attraverso la simbolizzazione, ovvero la traduzione di un significato esperito mediante un altro strumento, è possibile radunare un insieme di tali significati e trasporli ad un altro luogo, che diviene quindi un centro esistenziale. Citando Heidegger, le rive di un fiume emergono

come tali solo quando congiunte da un ponte. L’atto dell’edificare ha perciò il compito di trasformare un sito in Luogo, disvelando i significati in esso già presenti in potenza. Fondamentale per un luogo è quindi la capacità di accogliere nuovi contenuti e strati di significato: un luogo adatto unicamente ad uno scopo diventa obsoleto una volta espletata la sua funzione, esattamente come un qualsiasi altro bene di consumo. (2) Per permettere questa familiarità è molto importante il carattere di leggibilità dello spazio, argomento ampiamente trattato da Kevin Lynch nel suo scritto L’immagine della città (3). La ricerca assume in questo caso caratteri fortemente psicologici, nel cercare di analizzare come la mappa mentale di una città rimanga impressa nei suoi abitanti e soprattutto quali elementi favoriscano tale ricostruzione. Il carattere di leggibilità ha quindi molto a che fare con la facilità con la quale le singole parti 41

di un paesaggio urbano possono essere riconosciute e possano venire organizzate in un sistema coerente e memorabile.

Questa immagine mentale è il prodotto sia di sensazioni immediate, sia della memoria di esperienze vissute in passato, costituendo un bagaglio che garantisce la capacità di orientamento e il sentimento di appartenenza ad un determinato luogo. Essa offre all’abitante sicurezza e soddisfazione emotiva, ampliando la profondità e l’intensità della sua esperienza. Al contrario, in individui che anche per lungo tempo hanno abitato un luogo dalla scarsa leggibilità e figurabilità, Lynch riscontra insoddisfazione, scarso orientamento e incapacità di descriverne o differenziarne le parti. All’interno della città ogni elemento, fisso o mobile, assume importanza e gli abitanti, con le loro attività, sono gli interpreti dello spazio. Affinché un’immagine risulti leggibile e quindi funzionale, è necessario riconoscere un oggetto, individuato come identità, che instauri una relazione particolare con chi osserva e con altri oggetti nel sistema; carattere fondamentale perché sia effettivamente utile per l’orientamento spaziale è che l’immagine sia aperta al cambiamento e adattabile nel tempo. La natura della città è di fatto una essenza permanente ed indipendente dalla sua trasformazione funzionale, che risponde a necessità momentanee, mentre il vero significato è dato dal rapporto che le parti instaurano via via tra loro durante tale evoluzione.

Sempre più infatti l’architettura diviene fatta di relazioni e connessioni dinamiche, piuttosto che di oggetti statici e conclusi in sé. (4) La perdita di identificazione con il luogo abitato causa inoltre la mancata capacità di ‘radunare’ significati, portando quindi allo stato di alienazione.

Le componenti fisiche che fanno parte 42

Münsterbrücke, Zurigo.

dell’ambiente che abitiamo, oggi sempre più pericolosamente vicine a essere meri beni di consumo, hanno quindi la funzione di svelare e concretizzare la vita nelle sue varie declinazioni. Heidegger spiega come la brocca, esempio di ‘cosa’, abbia chiaramente come scopo quello di versare del liquido. Essa potrebbe quindi essere vista da un punto di vista unicamente utilitaristico e accontentarsi della sua definizione funzionale, ma nell’acqua che versa permangono la sorgente, la pioggia, il cielo e la terra.

Tramite la simbologia si svolge quindi una doppia attività di astrazione e concretizzazione, accumulando segni che in fine costituiscono la cultura, fattore che permette all’uomo di radicarsi nella realtà che abita. L’insieme di questi simboli – significati radunati da un dato luogo costituiscono quindi il suo Genius Loci (1).

5 elements, Kevin Lynch, 1960.

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Memoria

Villa Adriana, Tivoli.

La questione relativa all’identità dei luoghi porta alla luce temi come costanza e mutamento. Sorge quindi la domanda su come sia possibile preservare l’identità sotto la forza motrice di cambiamento della storia. Nonostante pensiamo sia corretto mantenere aperta la possibilità al cambiamento e all’introduzione di innovazioni nell’ambiente urbano, non è possibile ignorare come la stabilitas loci sia una necessità comunque fondamentale all’uomo per identificarsi con l’ambiente che abita, come ricorda anche Norberg-Schulz (1). I rapidi cambiamenti a cui sono sottoposti l’ambiente urbano e la società contemporanea tendono spesso a destabilizzare le persona e il suo sviluppo individuale, in molti casi portando all’alienazione. L’architettura si trova quindi in un limbo, andando necessariamente a contraddire, con la sua presenza forte, statica, simbolica, la volontà di 44

San Benedetto, introduttore della stabilitas loci nella sua Regola.

flessibilità e perpetuo movimento della società contemporanea globale. Favorire la stabilitas loci oggi non significa quindi supportare una cieca attitudine conservatrice nei confronti dell’ambiente costruito, ma piuttosto si propone un’accurata selezione dei manufatti significativi e in generale un approccio consapevole alla progettazione, che rispetti le proprietà strutturali primarie del luogo. Questo esclude quindi l’imitazione o citazione di stili appartenenti al passato, ma suggerisce piuttosto l’ elaborazione di nuove modalità per interfacciarsi con il contesto e la storia con strumenti contemporanei.

L’architetto tedesco O. M. Ungers, piuttosto che citare sfacciatamente la storia cerca di ‘’progettare un edificio che sembra esserci sempre stato’’(5).

La preoccupazione non è quindi quella di riferirsi al passato quanto piuttosto di stringere forti relazioni con il contesto:

‘’una costruzione a scala urbana dove la comprensione della città costituisce la premessa o parte della progettazione’’ (2).

Il tema è per Ungers saldamente legato a quello della memoria collettiva di matrice junghiana, utilizzando ampiamente nella propria produzione archetipi dalla validità sovrapersonale.

Nel progetto per le residenze per studenti ad Enschede (1964) Ungers affronta esplicitamente il tema della memoria collettiva, da sempre oggetto di sue estensive ricerche (6). L’architetto rintraccia nella Villa Adriana un primo esempio di ricettacolo di tali memorie collettive in forma di progetto, condensando esempi architettonici provenienti da luoghi lontani, formando così un collage di episodi e frammenti eterogenei. Facilmente si rintracciano questi caratteri nel progetto di Enschede, nel quale Ungers prende in prestito il linguaggio e la sintassi della città nella sua 45

generale manifestazione, per comporre un complesso formato da edifici di varie tipologie, il giardino, la piazza, il viale ecc. Attraverso la combinazione e trasformazione di elementi predefiniti, il progetto si configura partendo da forme base che ‘’sono state trasformate grazie a differenti manipolazioni – quali la rottura, la piegatura, la ripetizione, la sovrapposizione, la suddivisione, la permutazione, il raddoppiamento, la specularità, la disposizione in serie, ecc.’’

(Oswald Mathias Ungers, Architettura come tema, in Quaderni di Lotus, n° 1, Electa, Milano, 1982, p. 24) Importante è notare come anche l’accostamento e in generale le relazioni reciproche costruitesi tra una forma e l’altra aiutino a formare scenari inediti. Questo diventa emblematico della vocazione sociale del progetto, modello sperimentale della questione dell’abitare nella sua duplice dimensione individuale e collettiva.

Alla memoria collettiva fa riferimento anche Rossi, affermando che è proprio questa a fare da filo conduttore dell’intera struttura urbana: essa è necessaria alla formazione di una immagine connettiva tra cittadini e locus. Per l’architetto italiano attraverso il testo della storia è possibile decifrare e conoscere la città.

Norberg-Schulz parla altresì di Stimmung (atmosfera generale) (1) come di un carattere identitario che è necessario preservare qualora si volesse garantire continuità alle qualità essenziali di un dato ambiente costruito, affrontando il compromesso necessario con gli inevitabili mutamenti pratici, sociali, culturali a cui le città sono costantemente sottoposte.

Di questa contraddizione parla Massimo Cacciari in La città (7), mettendo in luce le problematiche che emergono nel momento in cui si chiede alla città di essere sia un grembo accogliente 46

e identitario per le comunità che la vivono, sia una macchina performante e funzionale in grado di permettere agli abitanti di svolgere senza intralci le proprio occupazioni. Ingenuo sarebbe quindi cedere ad una richiesta piuttosto che all’altra, essendo entrambe auspicabili allo stesso modo e desiderate con uguale intensità. I tentativi di voler ricreare l’ambiente dell’agorà greca non possono che essere fallimentari, così come l’eccessiva devozione funzionale porta inevitabilmente al malessere degli abitanti e conseguente fuga dalla città.

Problematico è inoltre un atteggiamento eccessivamente conservatore nei confronti del tessuto storico, spesso oggetto di musealizzazione. In questo modo il centro storico diviene null’altro che una clinica custode di una memoria collettiva e non più teatro di vita. Attraverso la memoria è quindi possibile resistere alle sovraimpressioni mediatiche e cancellazioni culturali, come ricorda anche Sergio Crotti: ‘’La memoria sorveglia criticamente il giudizio dell’attualità confrontando le differenze tra ciò che precede e ciò che segue, entro un’esperienza nuova che forza la fissità dei riferimenti: i quali sembrano tutti farsi provvisori, poiché disseppellisce significati nascosti negli strati più profondi dei tessuti urbani e nel ricordo di chi li abita, l’individualità del luogo riafferma il suo primato.’’ (Sergio Crotti, Figure architettoniche: soglia, Edizioni Unicopli, Milano, 2000, p. 35)

Residenze per studenti ad Enschede, O. M. Ungers, 1962.

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Figura

Monteriggio, Toscana

Caratteristiche generali dei luoghi antropizzati sono la concentrazione e la recinzione (1). In questo modo essi rappresentano sempre degli interni definiti soprattutto attraverso il loro rapporto con l’esterno. La definizione di un interno sarebbe infatti impossibile se non attraverso la sua alterità con l’esterno, differenza che si manifesta appunto attraverso i varchi e le aperture che mettono in connessione i due. Questa dicotomia definisce lo spazio come entità dotata di estensione e chiusura stabilendo un chiaro rapporto tra figura e sfondo. Qualsiasi chiusura definisce infatti una figura all’interno dell’estensione del territorio (o paesaggio) e dalla stabilità di questo rapporto dipende la conservazione dell’identità di un luogo. Ognuno di questi luoghi stabilisce un rapporto di interdipendenza reciproca, fungendo allo stesso tempo da fulcro all’interno dell’ambito di appartenenza. Anche Kevin 48

Lynch (3) considera i ‘margini’ elementi fisici fondamentali nell’identificazione dell’abitato, ma nella città contemporanea la delimitazione fisica appare sempre meno evidente. Da qui può emergere un significato diverso al concetto di limite, più vicino al rapporto figura-sfondo.

Da questo rapporto emerge il concetto di soglia (8), ovvero figura liminare, spazio di transizione, luogo di discrimine. Secondo i greci non era infatti intesa come il punto in cui una cosa finisce, ma ciò a partire dal quale inizia la sua essenza. La soglia appare come un concetto fondamentale nel definire l’identità, in questo caso di un luogo. Essa è ‘contorno della forma tra sfondo e figura’, caratterizzandosi quindi come definizione di un topos nel contesto della sconfinata e informe espansione della post-metropoli contemporanea (o città territorio, metropoli diffusa). Viene così distinto il luogo riconoscibile dal suo intorno generico, dal suo contesto. Nell’

urbe contemporanea si assiste così ad un progressivo affievolirsi di ogni evidenza di confine o limite, favorendo un’espansione / densificazione spesso priva di una forma riconoscibile. In ambito architettonico e urbanistico si afferma allora l’esigenza di una ricerca finalizzata alla ricostituzione dei sistemi simbolici, in grado di gerarchizzare il ‘diffuso’ periurbano, nel contesto di una morfologia strutturante di luoghi e significati.

L’amplificazione e il potenziamento delle soglie permetterebbe di convalidare il principio differenziale all’interno dell’informe abitato, ridisegnando i “crinali risorgenti della metropoli diffusa” (8).

La città diviene così policentrica, teatro di molteplici luoghi notevoli ognuno interagente con un differente contesto locale. Anche in Genius Loci (1) gli spazi urbani vengono solitamente ordinati per ‘fulcri’, ovvero luoghi che si caratterizzano come contenitori di elementi che manifestino i significati radunati dal luogo.

Si delinea in tal modo la figura di quelli che Norberg-Schulz definisce ‘luoghi forti’, cioè luoghi densi di significati in cui tutte le componenti appaiono espressione essenziale dello spazio a cui appartengono. Questi poli dalla forte identità appaiono inoltre fondamentali per figurare il futuro di essi e della città tutta, facilitando il disvelare delle sue possibilità evolutive. Il compito del progetto appare essere quindi anche quello di predisporre trasformazioni future, nell’ottica dei processi che diverranno possibili proprio grazie alla sua capacità di emanare significato. Con il continuo moltiplicarsi delle soglie, avviene il problematico passaggio dall’unitario al frammentario, formando una figura labirintica molteplice e che rischia di risultare disorientante.

Nasce perciò una nuova dialettica tra locale e globale, aderente a quella tra persistenza e variabilità discussa in

precedenza, che rischia di annegare nel ‘mare urbano’ di elementi ripetuti senza senso. Sopravvive tuttavia nella città un potenziale correlativo e relazionale in grado di attribuire valori simbolici ai nodi della rete, sostituendo all’espansione centrifuga una densificazione centripeta.

L’esistente assume così nuove forme, intensificando il proprio apparato simbolico e di significati. ‘’Non discrimini lineari, ma punti discreti di una territorialità sorretta da una struttura relazionale che trapassa la dimensione, la continuità, la congruenza dei precedenti assetti.’’ (Sergio Crotti, Figure architettoniche: soglia, Edizioni Unicopli, Milano, 2000, p. 28).

Queste intensificazioni nodali di significati all’interno della città (quella storica così come quella contemporanea) formano una rete di luoghi complessi e autosufficienti, componendo una costellazione di vere e proprie ‘città nella città’.

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(1) Christian Norberg-Schulz, Genius Loci, Electa, Milano, 1992.

(2) Aldo Rossi, L’architettura della città, Quodlibet, Macerata, 2011.

(3) Kevin Lynch, L’immagine della città, Marsilio Editori, Venezia, 1964.

(4)

Christian Gasparini, Il progetto come connessione, Maggioli, Santarcangelo di Romagna, 2018.

[IMG p. 40] Santuario di Atena a Delfi © Wikimedia Commons [IMG p. 42] Christian Norberg-Schulz, Genius Loci, Electa, Milano, 1992.

[IMG p. 43] Kevin Lynch, L’immagine della città, Marsilio Editori, Venezia, 1964.

[IMG p. 44] San Benedetto © Wikimedia Commons [IMG p. 45] Villa Adriana © siviaggia.it [IMG p. 47] Enschede © hiddenarchitecture.tumblr.com [IMG p. 48] Monteriggio © visittuscany.com

(5) O. M. Ungers, Architettura come tema, in ‘’Quaderni di Lotus’’, n. 1,

Electa, Milano, 1982, p. 89.

(6) Oswald Mathias Ungers ,

L’architettura della memoria collettiva, Lotus International, n° 24, 1979

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(7)

Massimo Cacciari, La città, Pazzini Editore, Verrucchio, 2004.

(8)

Sergio Crotti, Figure architettoniche: soglia, Edizioni Unicopli, Milano, 2000.

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2.2 CITTÀ

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Portavoce di un unico linguaggio internazionale e promotore di precetti di carattere assoluto, il Movimento Moderno mise in luce, mostrando le sue limitazioni, l’impossibilità di rappresentare il mondo in un unico linguaggio, rivelando come la realtà debba essere ricostruita attraverso molteplici prospettive. Prospettivismo multiplo e relativismo mettono quindi in luce l’epistemologia di una realtà considerata unitaria dal Moderno anche se complessa.

Gli elementi di “caducità, frammentazione, discontinuità, divengono espressione della condizione postmoderna”, elementi che Rafael Moneo rileva essere non solo aspetti metaforici ma soprattutto interpretativi della realtà, “di un rapporto che legherebbe la visione di un mondo frammentato ad una architettura biunivocamente frammentata, espressione dello zeitgeist contemporaneo, in cui tutto sembra configurarsi come eterogeneo e rotto e niente suggerisce unità.” (Rafael Moneo, Fragmentacion y compacidad en la arquitectura reciente, in El Croquis , n. 98, 1999)

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Dopo il Moderno

Ville Radieuse, Le Corbusier, 1930.

L’ideologia della Città come sistema unitario, di chiaro retaggio Moderno, che va dalle formulazioni di ispirazione marxista di Walter Gropius alle ambizioni lecorbusieriane della Ville Radieuse, si è rivelata foriera di grandiose utopie, passate alla storia come frammenti mutilati ed episodici. Invece che lavorare per integrazioni, stratificazioni, complementarità, il Moderno tendeva ideologicamente verso una città regolata, pulita, egualitaria, compiuta, producendo nei fatti il suo contrario.

“La città del Movimento Moderno non è stata ancora costruita. Nonostante tutte le buone intenzioni e la buona volontà dei suoi protagonisti, è sempre rimasta o un progetto o un fallimento.” (Colin Rowe, Fred Koetter, Collage city, MIT Press, 1978, p. 2).

Nel libro Collage City (1) così si apre una dura e spesso caustica critica alle istanze e alle metodologie del Moderno,

ritenuto responsabile di aver combinato utopicamente fantasie scientifiche e fantasie sulla libertà, costituendo una dottrina che poco aveva a che fare con la complessità della realtà. La città del XX secolo era infatti già troppo eterogenea e contraddittoria per poter essere riassunta in un unico pensiero, per quanto esso fosse ambizioso. La città d’oggi ancor di più non è un solo luogo, ma l’insieme di molti luoghi. Si configura come un prodotto complesso, sovrapposto, stratificato, dovuto all’intersezione di casualità, vincoli pratici, esigenze sociali sommatesi nel corso della storia.

Nello studio dell’evoluzione e delle trasformazioni dello spazio urbano nella storia, un apporto importante ci viene dallo scritto Espacements di Françoise Choay (2), che ha l’intenzione di mettere in evidenza la crisi dello spazio contemporaneo, presentato sullo sfondo di quello di epoche trascorse.

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Anziché frutto di un complesso studio collettivo sullo sviluppo urbano, lo spazio odierno si presenta piuttosto come un collage di elementi. Nel fallito tentativo di riplasmare la città contemporanea, i rappresentanti di spicco del Movimento Moderno hanno operato solamente a favore di sperimentazioni condotte in modo marginale da episodiche iniziative individuali. Ritroviamo infatti sobborghi preindustriali dominati da abitazioni individuali e strade con un forte ruolo preminente, i quartieri classici conservano il proprio spazio scenico, che diviene talvolta teatro di feste e sfilate, mentre la periferia appare invece come la degenerazione dello spazio lecorbusieriano. In questo confuso ed eterogeneo scenario, si presentano sporadici tentativi di restaurare tipi di spazi ormai senza significato o anacronistici.

Dalla presa di coscienza della grande complessità dello scenario urbano giunge la proposta di Rowe, il quale rifiuta il principio assoluto e totalizzante

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dell’utopia moderna, che ‘non può che essere buona’, individuando una teoria di poteri, volontà, intenzioni contrastanti che si contendono lo spazio della città.

Esempio costruito di questa teoria degli opposti è secondo l’autore la Roma del ‘700: collisione di palazzi, piazze, ville e inestricabile fusione di concessioni e imposizioni. Le parti che compongono la città diventano allora fortemente interdipendenti e indipendenti allo stesso tempo, oggetto di interpretazioni molteplici e spesso in forte collisione (1). Ecco che quindi le utopie possono, al massimo, essere utilizzate come linee guida capaci di direzionare realtà particolari all’interno della città e sfruttare quindi la loro poetica senza però soccombere ai loro pericolosi e indesiderati risvolti politici. L’ideologia può attuarsi qui in frammenti, piuttosto che in toto, stabilendo quindi un’immediata distanza da esse e favorendo piuttosto che la finalità immobilizzante del totalitarismo una dialettica urbana, possibilmente motore di innovazione e cambiamento.

Veduta di Roma da Villa Malta, John Newbolt, 1836

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O. M. Ungers

Autoritratto, Oswald Mathias Ungers, 1988.

Il tema viene esplorato con grande profondità da Oswald Mathias Ungers, che inizia la sua attività nel contesto del secondo dopoguerra, in cui urgeva cercare risposte all’impellente tema della ricostruzione, specie in un paese dilaniato come la Germania. Similmente ad Aldo Rossi in Italia, Ungers muove forti critiche al Movimento Moderno e al suo approccio funzionalista, considerando la tabula rasa una condizione non attuabile sentendo necessario mantenere viva l’identità e la cultura del popolo tedesco. L’architetto tedesco incarna quindi l’esigenza di conciliazione tra la lezione del Moderno e la rinnovata attenzione per la città da un punto di vista puramente architettonico e, si potrebbe dire, formale. Il rapporto con la storia, in particolare, va inteso non come revivalismo ma piuttosto come materia dalla quale estrarre idee, temi, immagini affatto estranei al presente in quanto senza tempo. In questo il progetto, per Ungers,

rappresenta più un momento conoscitivo, momento che include di per sé già un’azione progettuale in quanto scoperta, più che invenzione: ‘lo stupore vero è fatto di memoria, non di novità’ (Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, Einaudi, Torino, 2014, p. 220).

Come Roma per Rowe è manifestazione di complessità urbana, Berlino è l’esempio e campo di azione di O. M. Ungers. La storia di Berlino mostra lo sviluppo di una città costruita da molti luoghi diversi.

“Berlino è una città giovane, infelice, una città del futuro. La sua tradizione ha un carattere frammentario. Il suo sviluppo è stato spesso interrotto, […] è stata contemporaneamente frenata e avanzata, sia da inconsci errori che da tendenze consapevolmente maligne.

Invidia, ignoranza e interesse personale da parte dei suoi governanti, costruttori e progettisti ne hanno forgiato i piani. Questa città ha così tante e mutevoli fisionomie 59

che non si può parlare di un risultato raggiunto. Un esigente conglomerato di piazze, strade, caseggiati, chiese e palazzi, un pasticcio ordinato, un’arbitrarietà appunto secondo i piani, un’assenza di scopo apparentemente intenzionale.

Non c’è mai stato così tanto ordine sopra il disordine, così tanta deliberazione sull’incomprensione, così tanto metodo sull’assurdità.” (Joseph Roth, Das steinerne Berlin, 1930).

La differenza e la varietà che si manifestano nei suoi quartieri storici sono quindi ciò che costituisce l’identità e la sua qualità urbana. È una città in cui elementi opposti hanno sempre trovato chiara espressione e dove i tentativi di standardizzazione sotto l’egemonia di un unico principio sono sempre falliti. La situazione attuale presenta un quadro di eventi in cui le tracce della storia e le stratificazioni sono rimaste ben visibili.

La capitale tedesca non ha un’immagine unificata, ma si compone come un collage cadenzato, una raccolta di frammenti. Da un punto di vista storico, l’accostamento simultaneo di elementi contrastanti è l’espressione del processo dialettico in cui la città si è sempre trovata e si trova tuttora. Il concetto di tesi e antitesi critica e molteplicità divergenti è l’essenza stessa e il carattere unico di Berlino. (3) Così Ungers vede nello spazio urbano eterogeneo dell’urbe una coincidentia oppositorum, recuperando un concetto espresso da Nicola Cusano. Usa questa idea per giustificare non solo i concetti di giardino urbano e villa urbana e l’unione del territorio urbano e rurale in generale, ma anche il processo di progettazione morfologico stesso. Da questa lettura di Berlino come un conglomerato di frammenti di città divergenti, ha sviluppato la figura della città nella città, le cui singole unità urbane dovevano rendere visibili i vari strati della storia in forma pura. Questo 60

modello di pensiero non solo mette in luce la storia dell’architettura in tutta la sua molteplicità, permette anche a tutti di percepire la città come il risultato di un assemblaggio derivato da una storia complessa e talvolta molto dolorosa.

Ungers viene raggiunto a Berlino da Rem Koolhaas, già a Londra da quasi due anni come docente all’Architectural Association con Zenghelis. Qui i due esplorano i modi per provocare un risveglio dell’architettura metropolitana e Koolhaas espone gradualmente ai suoi studenti il manifesto che sta scrivendo.

Anche Krier, appartenente al medesimo gruppo di ricerca, lavora nel 1976 a un progetto di concorso per il quartiere La Villette a Parigi che nomina “Una città nella città” per mettere in luce la sua idea che una metropoli è soprattutto composta da quartieri relativamente autonomi, che devono essere progettati come quasicittà, in grado di soddisfare la maggior parte dei bisogni quotidiani dei loro abitanti e strutturati da gruppi organizzati gerarchicamente di spazi aperti ed edifici pubblici. Questa idea è per Koolhaas alla base della metropoli contemporanea: una congestione architettonica delle componenti in conflitto. Nel 1977 l’ anteprima del manifesto redatto da Ungers e Koolhaas configura la città come “un arcipelago in cui ogni blocco rappresenta una singola ‘isola’ mentre il traffico è in rapido movimento.” (3). Il manifesto non definiva i blocchi-isole per le loro qualità estetiche, ma per la misura in cui incarnavano, in una forma pura e leggibile, idee e concetti, in modo che la storia dell’architettura coincidesse con la storia delle idee.

Nel manifesto Archipelago City i modelli del periodo premoderno e il Modernismo classico sono trattati allo stesso modo e messi in discussione. Koolhaas e Ungers vogliono espandere in modo significativo

Berlin: a green archipelago, Manifesto, 1977

61

The city of the captive globe, Rem Koolhaas, 1972

le visioni possibili di città. Per fare ciò sviluppano un’indagine critica che metta a confronto, in modo dialettico, differenti tesi sulla pianificazione urbana. Fra queste e a nostro avviso molto interessante la tesi B, che definisce l’idea di città nella città come concetto base per un futuro modello urbanistico di Berlino.

Tesi B: L’idea di città nella città è il concetto di base per un futuro modello urbanistico di Berlino. È sostanziale nell’immagine di Berlino come cittàarcipelago. Le isole urbane hanno un’identità coerente con la loro storia, struttura sociale e caratteristiche ambientali. La città nel suo insieme è formata dall’unione di tutte queste entità urbane con strutture diverse, sviluppate in modo volutamente antitetico.

Si tratta essenzialmente di stabilire, in un 62

certo senso, la “fisionomia” della parte di città in questione: ogni parte della città presa in sé ha una propria identità che la differenzia fondamentalmente dalle altre.

Ogni isola è necessariamente inclusa nell’ambito della Città e singolarmente elemento complementare, con caratteristiche diverse, avente la capacità di aumentare l’offerta di spazi e quindi la libertà di scelta. Il concetto urbano di città nella città rappresenta un’antitesi della teoria urbana Moderna, che nasce da una definizione di città come un tutto unico.

La città è una struttura aperta composta da una raccolta eterogenea di frammenti, non riconducibile ad un sistema in sé concluso a causa delle sue molteplici e contraddittorie esigenze. Ungers propone quindi una strategia derivata del riconoscimento della ‘coincidentia

Berlin: The city in the city, Peter Riemann e O. M. Ungers, 1977

63

oppositorum’ (simultaneità dei contrari), formulato da Nicola Cusano nel suo Docta de ignorantia. Secondo quella che Ungers delinea come ‘strategia dei luoghi complementari’(4), La città così strutturata sostituisce il concetto di urbe unitaria.

Luoghi del tempo libero, del commercio, dell’abitare, della cultura, del lavoro, etc. formano una instabile costellazione di elementi significativi e diversificati, dotati di identità e completezza ‘in sé’, nei quali viene sviluppato un aspetto urbano particolare tenendo conto del tutto, una città nella città. Ogni luogo esiste quindi per sé stesso, ma si esprime pienamente solo nella relazione con l’altro luogo. I singoli luoghi appaiono quindi come monadi: complessi microcosmi inseriti nel contesto più grande della metropoli. ‘’La città, come ci mostra Ungers, vive nella tensione tra gli opposti, tra globale e locale, tra istanze di recupero e di innovazione tecnologica, tra ecologismo e sviluppo, isolamento e condivisione comunitaria dello spazio, una molteplicità che è essa stessa materia e occasione di progetto.’’ (F. Sorrentino, O.M. Ungers: l’uno e il molteplice, CLEAN, Napoli, 2017, p. 13).

La strategia degli arcipelaghi agisce attraverso entità incomplete in tensione continua, ricomposte in equilibrio. Pur trattandosi ancora di una strategia che opera per interventi puntuali questo meccanismo urbano non agisce più per frammenti, ma entità. L’arcipelago può essere descritto come una condizione ove le parti sono separate e al tempo stesso unite dal terreno comune della loro giustapposizione. La caratteristica principale che contraddistingue questa strategia può essere quindi individuata nello “scontro tra parti le cui forme sono finite eppure, in virtù della loro compiutezza, risultano in costante relazione reciproca e con il ‘mare’ che le 64

cinge e le delimita” (3) ovvero la Città.

Interessante è vedere come il tema venga declinato dall’architetto tedesco nel suo progetto per Roosvelt Island, New York City (1975). Qui la ricerca parte intendendo il tipo come strumento di matrice gestaltica, una base sulla quale formulare variazioni formali. Lo studio delle tipologie viene considerato quindi un processo conoscitivo, ma che non deve in alcun modo fossilizzarsi nello stereotipo, relegando una determinata tipologia a compiti e situazioni prestabilite.

Ecco quindi che elementi riconoscibili entrano a contatto (o si potrebbe dire in collisione) con intento di trasformazione e ricombinazione contraddittoria.

Emerge quindi un rapporto duale tra la rigidità della griglia di Manhattan e la molteplicità delle soluzioni adattate ricombinando tipologie elementari.

Viene qui ribadito il concetto di coincidentia oppositorum, trasformando l’apparentemente rigido sistema ordinatore in un’occasione per far coesistere elementi dai molteplici caratteri. La varietà formale appare essere per l’architetto una preoccupazione primaria all’interno del progetto, rifuggendo categoricamente la ripetizione e standardizzazione delle soluzioni. Il blocco urbano standard diviene allora occasione per presentare variazioni tipologiche dal palazzo, alla villa urbana, al loft, all’edificio a torre, a corte, terrazzato, ottenuti tramite ricombinazioni e variazioni formali.

Da questa analisi è chiaro come ogni tipo di assunzione venga fatta partendo dal presupposto che lo spazio contemporaneo non tornerà mai a una condizione anteurbana, ma proprio partendo dallo stato di fatto è possibile una evoluzione della città ridefinendone il suo significato in quanto luogo di confronto e coesistenza.

Roosvelt Island, New York City, O. M. Ungers, 1977.

65

(1) Colin Rowe, Fred Koetter, Collage city, MIT Press, 1978.

(2)

Francoise Choay, Espacements, Skira, Milano, 2004.

(3)

Oswald Mathias Ungers, Die Stadt In der Stadt, Lars Mueller, 1977.

(4) Oswald Mathias Ungers, La città dialettica, Skira, Milano, 2002.

[IMG p. 54] Ville Radieuse © thecharnelhouse.org [IMG p. 56] Veduta da Villa Malta © museodiroma.it [IMG p. 58] O. M. Ungers, autoritratto © architectsbyphotographers.wordpress.com [IMG p. 61] Manifesto © lars-mueller-publishers.com [IMG p. 62] The city of the captive globe, Rem Koolhaas © moma.org [IMG p. 63] Mappa di Berlino © researchgate.net [IMG p. 65] Roosvelt Island © socks-studio.com

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2.3 RELAZIONI

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Come evidenzia Michel Foucault, riconosciamo che le cose non sono altro che l’incontro delle loro relazioni e che “la conoscenza dipende dalla capacità di individuare il maggior numero di nessi e relazioni che intersecano un evento”.

(Michel Focault, Intervista a Gilles Deleuze, in L’Arc n°49, 1972). Tafuri d’altronde scrive: “Ciò che è specifico dell’architettura è il modo di porre in relazione le varie strutture che confluiscono in essa”.

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Tessuto

Roma Interrotta, Colin rowe, 1979.

O. M. Ungers ha dimostrato con la sua ricerca che la preoccupazione dell’architetto chiamato a confrontarsi con un nuovo progetto in ambito urbano non è quella di riferirsi al passato quanto piuttosto di stringere forti relazioni con il contesto e realizzare, citando Rossi, ‘’una costruzione a scala urbana dove la comprensione della città costituisce la premessa o parte della progettazione’’. (1) Il campo di azione degli scambi e delle connessioni è infatti per l’architettura contemporanea la Città, in quanto le nuove costruzioni sono sovente frutto di innesti in ambiti urbani ampiamente edificati. Così per Rossi la metropoli diventa assimilabile ad un organismo in continua crescita, assumendo nel tempo una coscienza ed evolvendosi, sempre tenendo in memoria le tracce del passato che ha attraversato.

La lettura della città per tessuti urbani, rappresenta una base metodologica particolarmente attenta all’evoluzione

dello spazio della Città.

“I tessuti urbani si configurano come porzioni di città all’interno delle quali i caratteri di omogeneità (funzionale, morfologica, ambientale) sono molto forti e prevalgono sulle differenze.

L’identificazione dei tessuti urbani consente in questo modo di leggere anche le condizioni strutturali degli insediamenti (da quelle più evidenti di tipo funzionale ad aspetti anche immobiliari e socioeconomici) oltre che la conseguente logica di occupazione del suolo (tipologica e morfologica)”. (P. B. Mezzapelle, Lezione tenuta all’università degli studi di Pavia).

Ogni tessuto si differenzia quindi per caratteri di formazione storica, per sistemi insediativi (rapporto fra tipi edilizi e struttura urbana) e per funzioni prevalenti.

La descrizione degli elementi morfologici, funzionali, tipologici e ambientali legge la dinamica di costruzione della forma urbana e della forma dell’edilizia come 71

strettamente correlate alle pratiche progettuali e quindi alle pratiche sociali, con cui gli uomini in tempi differenti, hanno codificato differenti risposte alle esigenze dell’abitare e vivere la città.

“Descrivere la città per tessuti significa di conseguenza cercare di capire quali ricorrenze si riscontrano nei modi in cui essa si è venuta formando e tuttora funziona; individuare caratteristiche comuni, problemi, potenzialità; considerare la città come prodotto (a volte spontaneo, a volte progettato), di modi di occupazione del territorio, di modi di intendere la vita urbana, e ancora di pratiche sociali che si articolano tanto nel lungo periodo che nella vita quotidiana.” (P. B. Mezzapelle, Lezione tenuta all’università degli studi di Pavia).

Nel tessuto urbano odierno, in particolare nelle città consolidate dello scenario italiano, l’analisi e il confronto con il costruito sono elementi fondamentali nel processo di definizione dell’intervento nuovo: l’ambiente urbano è in potenza disseminato di luoghi significativi nell’attesa di attuarsi. Ogni progetto, in quanto reale, è necessariamente prodotto di una serie di decisioni che lo configurano in forma e programma. La forza del progetto sta nella sua autonomia e nella sua capacità di innescare l’idea di uno scenario alternativo per la città contemporanea. In questo senso l’architetto assume un ruolo attivo in quanto è chiamato a dare forma e prendere parte attiva nel processo di evoluzione della città. Dare forma allo spazio urbano significa adottare il progetto come “occasione di confronto serrato con le condizioni del luogo, con le sue dinamiche, le sue urgenze e le sue potenzialità”. (3)

Wiesbaden, Colin rowe and Fred Koetter, 1982.

72

73

Una grande attenzione per il tessuto della città consolidata viene dimostrata da Ungers nel suo progetto per la piazza del duomo di Magdeburgo (1993). L’area del Duomo si presenta in origine caratterizzata da preesistenze edilizie generalmente di alta qualità e varietà, la cui disposizione è però segnata dall’assenza di una vera e propria logica di impianto a livello urbano. Il tessuto si dissolve così in ampi spazi inarticolati, risultando incapace di produrre alcun tipo di effetto spaziale.

La strategia dei luoghi complementari viene qui applicata in modo esemplare, a dire dello stesso Ungers, identificando Tessuto 1

innanzitutto tre aree urbanistiche, rappresentanti ognuna un differente modo di città con la propria tipologia edilizia specifica e un proprio criterio di definizione dello spazio. Assecondando questi differenti tessuti, Ungers completa isolati irrisolti in un caso, progetta lotti nuovi rispettando le tipologie adiacenti in un altro, e infine introduce tipologie altre per racchiudere lo spazio attorno alla piazza esistente. Così facendo l’identità dei tre quartieri viene rafforzata, andando a risolvere sia i rapporti interni ad essi, che le loro connessioni e le relazioni intrattenute con l’esterno.

Tessuto 2

Tessuto 3

Progetto per la piazza del Duomo, Magdeburgo, O. M. Ungers, 1993.

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75

Fatti urbani

La città analoga, Aldo Rossi, 1976.

Centrale nella ricerca sulla forma e sulla struttura della città è il ruolo che i Monumenti rivestono in essa: si pongono come segni evidenti della città del passato, rendendoli elementi riconoscibili e statici all’interno del tessuto urbano. La loro rilevanza non è da ricercarsi unicamente nella loro natura intrinseca, ma risiede principalmente nella qualità relazionale nei confronti del contesto urbano col quale si interfacciano. La loro architettura gioca un ruolo fondamentale nella presa di coscienza e fruizione dello spazio urbano: partendo dalla dimensione sociale si proietta infatti nelle dinamiche di crescita e trasformazione della città intera.

Costruendo una rete di rimandi e significati, i fatti urbani abilitano il salto di scala tra locale e globale, mettendo in relazione l’abitante, l’architettura, la

città. Tale compito è piuttosto chiaro nel progetto per l’Euroforum di Colonia di Oswald Mathias Ungers del 1992. Nel caso specifico, secondo Ungers si assiste alla dissoluzione della città tradizionale in un contesto formato da grandi strutture urbane, ciascuna caratterizzata dalla sua identità e indipendenza dagli altri oggetti.

Il paesaggio appare così privo di relazioni e risulta in un patchwork di elementi slegati gli uni dagli altri. Il progetto si muove quindi nella direzione di dare al quartiere una sua identità specifica e condivisa, cercando di definire un luogo urbano ‘’in sé’’, una città nella città con il proprio ordine spaziale. Gli edifici esistenti vengono mantenuti, ma viene ad essi conferito un significato spaziale nuovo, nel modo in cui questi si relazionano tra loro. Viene ideata inoltre una grande 77

torre-porta che scavalca l’autostrada urbana, assegnando a questo manufatto il compito di fungere da dispositivo in grado di mettere in relazione il quartiere con un contesto territoriale più ampio, interfacciandosi direttamente con i luoghi centrali già esistenti e segnando in modo evidente l’ingresso alla città. Ecco che quindi il progetto urbano, grazie alla sua architettura specifica, è in grado di mettersi in stretta comunicazione con gli altri fatti della città, manifestando con la sua presenza sé stesso ed altri luoghi contemporaneamente.

L’architettura assume quindi per Ungers, in una città non più regolata da un piano, il compito di contribuire in autonomia alla formazione dell’identità di un dato luogo.

L’inserimento di un nuovo manufatto all’interno del tessuto costruito si sviluppa non secondo modalità lineari, deduttive e riappacificanti, ma attraverso un processo di assemblaggio di strati che tra loro si relazionano in termini dialettici, cioè che non si costituiscono come una nuova totalità organica. Il progetto di architettura pratica, agisce e parla di una pluralità di input che lo rendono prodotto di un processo strategico di occupazione della città. Per questo motivo questi fatti, ponendosi come landmark, provocano fenomeni di positivo disequilibrio e di attiva destabilizzazione (2). Tali corpi stranianti sono fondamentali nello scenario dinamico e metamorfico della metropoli contemporanea, che Purini definisce innovativa. In questo tipo di insediamento urbano le funzioni della città si stratificano creando un sistema complesso che assume nel tempo forme diverse e aperte. In questo quadro un elemento fondamentale è giocato da quello che Purini definisce fattore di perturbazione eterotopica. Lo spazio urbano viene così continuamente messo in discussione nel tempo, ogni esercizio di 78

progetto pone quindi l’interrogativo sugli aspetti strutturali del luogo e sulla loro possibile reinterpretazione o riscrittura, costituendone una nuova identità.

La città in conclusione risulta assimilabile ad una costruzione di vasta scala ed è continuamente sottoposta agli interventi di diversi attori che la modificano nel tempo e a sperimentazioni in relazioni al contesto, agli eventi e alla memoria, ai bisogni. Ogni area è per natura accompagnata dalla presenza di elementi urbani primari al suo interno, che funzionano come nuclei di aggregazione. L’elemento primario o fatto urbano ha valore disposizionale nella dinamica della città con il suo insistere in un luogo, svolgendo un’azione precisa nella sua individualità. Ognuno di questi elementi concorre alla formazione dell’immagine mentale della città e posti in continuità possono rafforzarsi vicendevolmente creando una rete coesa, promuovendo lo sviluppo dello spazio cittadino. Come riconosceva Lynch al fine di creare uno spazio urbano che risulti pregno di significato e leggibile, le qualità su cui è necessario concentrarsi sono allora: la singolarità o la chiarezza delle figure in rapporto allo sfondo (contorni definiti degli edifici, chiusura di una piazza, contrasti di superfici), la continuità (di margini o superfici, allineamenti, ripetizioni), la preminenza intesa come gerarchia sotto molteplici aspetti (dimensione, interesse), la chiarezza di connessione nei punti di congiunzione tra le parti, la differenziazione direzionale con asimmetrie, gradienti, direttrici, e un ambito di visione ben definito che accresca la penetrazione dello sguardo.

Nello sviluppo della città è chiaro come nel corso degli anni avvengano molteplici cambiamenti, anche massicci, i quali potrebbero potenzialmente turbare il cittadino, disorganizzandone l’immagine percettiva.

Progetto per l’Euroforum, Colonia, O. M. Ungers, 1993.

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“La città potrebbe essere trasformata in un museo animato dalla nostra società e dalle sue aspirazioni”.

(Kevin Lynch, L’immagine della città, Marsilio, Macerata, 1964, P. 128).

Monumento a Sandro Pertini, Aldo Rossi, 1990.

80

81

Rete

Cosmos, John Maeda, 2003.

82

Il legame tra architettura e città, allora, non è qualcosa che scaturisce dall’assunzione di uno specifico punto di vista interno alla disciplina, quanto piuttosto qualcosa che appartiene già da sempre alla relazione dialettica che connette tra loro le componenti che vi entrano in gioco.

Questo legame si esplicita nella forma della composizione delle differenze. In ciò consiste, in definitiva, la città: architetture conviventi nel loro radicale differire. E qui le differenze non vanno intese tanto in senso tipologico o funzionale bensì in senso formale, come oggettivazione di un limite. La città contemporanea può essere vista, nell’ottica della pratica architettonica, come un campo di possibilità da indagare attraverso il progetto, in quanto “i luoghi si riconoscono dalla loro architettura.”(4) Bisogna prestare attenzione però a non rendere il progetto all’interno del tessuto urbano un monumento privo di rapporto con il suo intorno. Questo è il rischio che

Privileggio (5) vede nel pensare l’oggetto architettonico come landmark autonomo collegato a una rete di punti noti, il quale però segna un inevitabile distacco con il contorno urbano, che rischia di divenire periferia esclusa dai flussi principali.

“Mi sembra questo un modo di impostare la questione che vede la disciplina architettonica come un sapere dai contorni aperti e il cui centro […] è costantemente attraversato e messo alla prova da condizioni limite, condizioni cioè che spingono verso un allargamento o una trasformazione del campo estetico e operativo dell’architettura e nelle quali si manifesta il carattere parzialmente eteronomo della ricerca architettonica.”

(Niccolò Privileggio, La città come testo critico, FrancoAngeli, Milano, p. 129).

Il problema del fatto urbano si risolve nel momento in cui all’autonomia del progetto viene affiancata la memoria del luogo in cui esso si inserisce e la stretta relazione 83

che si intesse con i brani di città limitrofi, oltre che quelli su scala territoriale più ampia. Una città innovativa non è infatti dimentica del passato, l’esistente è infatti un punto fondamentale nella formazione della sua identità. Il caso italiano in particolare vede la crescita delle metropoli dall’interno, la tendenza non è più verso una sfrenata espansione insediativa, bensì un tentativo di potenziare delle aree, spesso dismesse, per renderle nuovi centri attrattivi. Risulta importante misurare il progetto nel suo carattere di indipendenza, studiandone la forma e rapportandosi al paesaggio ravvicinato e esprimendo un principio di processo nei confronti di una potenziale crescita. Il progetto deve dare vita a quelle figure di senso che “riconducono la dispersione eterogenea dei materiali fisici ad una serie di immagini aggregate dello spazio urbano, in grado di far emergere dal magma della realtà un ordine intellegibile e dunque anche concretamente operabile. Al tempo stesso sulla città e sul territorio in quanto concreti dispositivi formali essi fondano la ricerca di strutture significanti entro le quali ordinare il linguaggio dell’architettura.” (Niccolò Privileggio, La città come testo critico, FrancoAngeli, Milano, p. 140).

Questi nodi urbani, destinati a diventare le nuove centralità, si presentano inevitabilmente come il prodotto di una stratificazione di funzioni metropolitane di tipo direzionale, ricettivo, commerciale, ricreativo e culturale, residenziale. Nel momento in cui questi punti vengono messi in rete, si realizza il disegno del sistema che rende la città palcoscenico della contemporanea network-society.

Della città organizzata secondo una rete tratta anche il teorico britannico D. G. Shane. (6) Una città governata da multipli attori in un groviglio di relazioni permette il controllo di più aspetti nello stesso momento, nonché la possibilità di agire 84

direttamente su un ambiente che viene continuamente modificato.

“The result is a scattering of semiautonomous cells across the landscape, each with its own logic and interested actors, who can use mobile modules (cars, phones, etc.) to move between patches of order while remaining in contact with each other.” (D.G. Shane, Recombinant urbanism, John Wiley & Sons, 2005, pag.

306).

La composizione per cellule (o isole dell’arcipelago) che si assemblano, come metodo costruttivo e condizione politica, riflette l’assenza di una figura dominante sulle altre, creando un contesto in cui ogni attore ha potere di azione sullo spazio. La forza di questo sistema sta nella sua flessibilità di usi, potenzialmente è possibile così unire lavoro e tempo libero come casa e lavoro. Questo è ciò che regola la complessità della NetCity, in cui risulta evidente l’approccio informatico e il suo dialogo con i bisogni fisici e psicologici dell’uomo, assieme ai suoi desideri. Shane compie una riflessione su quelle che sono le teorie dell’urbanesimo che hanno guidato la crescita delle città negli anni; non solo guarda al passato attraversando le fasi di sviluppo delle attuali ‘city’. Siamo di fronte a una situazione in cui: lo strumento del masterplan sta scomparendo, si nota un accorpamento della città irrazionale in quella post-moderna, la città si articola come una risposta caotica agli impulsi che derivano dalle persone e dalle energie. Il tessuto urbano è una sorta di collage composto da frammenti eterogenei, tra cui gli unici elementi che spiccano sono i monumenti, come soli opponenti del passare del tempo, mentre il resto della città si sviluppa dalle vite degli abitanti, in episodi effimeri, flussi e relazioni tra le parti. Oggi domina lo ‘’spazio di agganciamento’’, prodotto

dall’uso sempre maggiore di devices elettronici di comunicazione. Lo spazio di connessione aleggia e si muove su più livelli, connettendo ogni luogo a qualunque altro, costituendo di fatto un nuovo layer di informazioni che in un certo senso restituisce funzione informativa anche agli apparati di circolazione dai quali questa era quasi del tutto scomparsa. La natura di questi spazi di connessione o agganciamento non può però sostituire gli spazi fisici di cui l’uomo continua a necessitare (7). Fattore di vitale importanza alla costruzione di una salda rete urbana diviene quindi la presenza di reali connessioni fisiche. Attraverso quindi un’idea di territorio attraversabile e fruibile dai cittadini, la rete dei luoghi primari (verso e tra i quali la cittadinanza dirige i suoi flussi) si rafforza e si imprime maggiormente nell’immagine mentale che gli abitanti hanno della città (8).

Jane Jacobs (9) aveva parlato esplicitamente della città come sistema di “ordinata complessità”. L’equivoco delle teorie utopiche Moderne può essere quindi imputato al fraintendimento della città come sistema di “disordinata complessità” al quale si tentava di opporre un sistema di “semplicità”. Il progetto urbano non è più identificabile con un oggetto, ma diviene processo infinito di disegno della città. In ambito architettonico e urbanistico si afferma l’esigenza di una ricerca finalizzata alla ricostituzione dei sistemi simbolici, in grado di gerarchizzare il ‘diffuso’ periurbano, nel contesto di una morfologia strutturale di luoghi e significati. I Luoghi notevoli divengono parte di una complessa rete, composta da nodi strutturali che interagiscono con il proprio contesto locale dando forma ad una città che è possibile definire multipolare. Lontana ormai dai facilmente riconoscibili tracciati originari, la città si organizza e costruisce attraverso

frammentazioni eterogenee: “W(10) Così facendo, questi luoghi divengono supporti, riferimenti, agenti propulsori rispetto ai propri dintorni immediati e alla città intera, disvelando inoltre attraverso la molteplicità dei rapporti che intessono condizioni irrealizzate e ancora sospese tra possibilità e impossibilità. I Luoghi che operano nella città in modo complementare hanno infatti l’importante qualità di suggerire scenari e possibilità ancora immaginarie, contribuendo grazie solo al loro esistere alla costruzione dell’immagine della città che sarà. Come Ungers aveva già esplicitato con la sua teoria dei luoghi complementari, architettura e urbanistica divengono arti della scoperta dello spazio della Città.

85

Se non vi fossero differenze non vi sarebbero qualitĂ .

Se vi è differenza vi è una relazione.

Senza relazione la differenza non ha significato.

M. Bonfantini

Morphologie City metaphors, O. M. Ungers, apertura.

86

87

(1) Aldo Rossi, L’architettura della città, Quodlibet, Macerata, 2011.

(2) Franco Purini, La necessità del nuovo, in N. Privileggio

(a cura di),La città come testo

critico, FrancoAngeli, Milano, p. 60.

(3) Pier Vittorio Aureli, Martino Tattara,

Contro l’utopia, in N. Privileggio

(a cura di), La città come testo critico, FrancoAngeli, Milano, p. 60.

(4) Antonio Monestiroli,

Un’introduzione, in N. Privileggio

(a cura di), La città come testo critico, FrancoAngeli, Milano, p. 19.

88

(5)

Niccolò Privileggio, La città come testo critico, FrancoAngeli, Milano.

(6)

David Graham Shane, Recombinant urbanism, John Wiley & Sons, 2005.

(7)

Francoise Choay, Espacements, Skira, Milano, 2004.

(8)

Christian Gasparini, Il progetto come connessione, Maggioli, Santarcangelo di Romagna, 2018.

(9)

Jane Jacobs, Vita e morte delle grandi città, Einaudi, Torino, 2009.

(10)

Sergio Crotti, Figure architettoniche: soglia, Edizioni Unicopli, Milano, 2000, p. 22.

[IMG p. 70] Roma Interrotta © colinroweconference.wordpress.com [IMG p. 72] Collage City © miro.medium.com [IMG p. 74] Magdeburgo © Oswald Mathias Ungers, La città dialettica, Skira, Milano, 2002.

[IMG p. 76] Città Analoga © iicistanbul.esteri.it [IMG p. 79] Euroforum © O. M. Ungers, La città dialettica, Skira, Milano, 2002.

[IMG p. 81] Monumento a S. Pertini © Aldo Rossi, PH Valentina Solano [IMG p. 82] Cosmos © John Maeda [IMG p. 86, 87] Morphologie city metaphors © O. M. Ungers

89

III.

90

PROGETTO

91

3.1 STATO DI FATTO

L’analisi dettagliata del costruito ha costituito per noi parte integrante dell’azione progettuale. Dovendo operare su un’area già ampiamente edificata è stato fondamentale operare una selezione critica dei fabbricati da ritenere oggetto di conservazione, tenendo conto sia della loro rilevanza architettonica e storica, sia della loro compatibilità spaziale con il programma richiesto dal bando.

Foto di un interno in disuso dell’Ex Stabilimento di via Guido Reni.

92

93

Morfologia urbana L’ex Stabilimento Militare Materiali Elettrici e di Precisione di via Guido Reni, oggetto della presente analisi, è composto da molteplici corpi di fabbrica, che si sviluppano su più livelli.

Il complesso si presenta come un luogo dalla morfologia fortemente caratterizzata.

Gli edifici principali esistenti (il corpo a piastra con copertura a shed e i capannoni longitudinali) sono disposti simmetricamente rispetto un asse centrale, il che rende facilmente leggibile e interpretabile la struttura del luogo e l’orientamento all’interno di esso.

Il sito presenta principalmente edifici in muratura con tetto spiovente in laterizio ed edifici con tetto piano, scelta stilistica di comune utilizzo per gli edifici a destinazione industriale o produttiva.

I fabbricati risultano prevalentemente costituiti da elementi strutturali quali capriate in ferro, nascoste da controsoffitto ove ancora presente, travi in calcestruzzo prefabbricato e solai in latero-cemento.

Colonne in calcestruzzo armato o tamponature in laterizio sono gli elementi strutturali verticali nella maggior parte degli edifici. Internamente si trova, quasi sempre, una pavimentazione industriale a massetto grezzo e infissi in ferro o in legno, mentre i muri interni si presentano intonacati e tinteggiati. Le facciate intonacate e decorate da cornici denunciano una certa qualità estetica e importanza storica delle realizzazioni, mentre il carattere industriale appare particolarmente evidente dalle grandi aperture e dall’ampiezza degli spazi interni, caratterizzati da grandi luci ed elementi strutturali puntuali. La natura utilitaristica del sito è inoltre mostrata dagli evidenti interventi successivi alla prima realizzazione: aperture, sostituzioni, 94

espansioni, addizioni e superfetazioni costellano il lotto, in parte contraddicendo l’assetto fortemente regolare originario.

Le porzioni date in locazione presentano una discreta o sufficiente condizione manutentiva, fatta eccezione per le coperture che necessitano di interventi programmati. Le restanti porzioni dismesse, sia esternamente che internamente assieme al suolo di pertinenza, presentano mediocri o pessime condizioni di manutenzione.

Permangono in stato di abbandono e di degrado, gli unici tentativi o segni di intervento corrispondono alle ormai fatiscenti transenne metalliche poste perimetralmente a ciascun edificio, in un tentativo di messi in sicurezza e/o interdetti all’accesso. Esternamente l’area

tra gli edifici realizzati presenta passaggi carrabili in asfalto in condizioni di dissesto e in generale un alto grado di sviluppo di vegetazione spontanea, che talvolta invade anche spazi interni agli edifici, qualora la copertura originale sia assente.

I fabbricati, ricadenti nell’area oggetto di analisi, hanno accesso pedonale e carrabile da Via Guido Reni, ai numeri civici 7-15-19. Il lotto si affaccia inoltre su Via del Vignola, ma non sono attualmente praticabili accessi carrabili. Quest’area è attualmente separata dalla strada da una recinzione e viene utilizzata come parcheggio dai veicoli che accedono da Via Guido Reni 19.

Il Fondo Investimenti Per le Valorizzazioni (FIV) detiene la proprietà dell’area in esame. Il FIV ha l’obiettivo di acquisire

immobili già appartenenti a soggetti pubblici e di procedere al successivo sviluppo degli stessi in funzione della loro valorizzazione e dismissione, assicurando un rendimento ai sottoscrittori del Fondo.

Gran parte del complesso è attualmente locata temporaneamente dal 03 giugno 2019 alla società Videocittà per eventi aperti al pubblico, mostre, esercizi commerciali connessi agli eventi nell’ambito del progetto temporaneo per il Guido Reni District, con termine della locazione al 31 gennaio 2020.

Una porzione, con accesso dal civico n.

19 di via Guido Reni, è utilizzata come parcheggio autovetture da parte della caserma limitrofa della Polizia dello Stato (Scuola Superiore e Nucleo Volanti).

Foto dello stato di fatto degli edificati, dal corpo su via Flaminia.

95

Tipologia edilizia

8 9 10

2a 11

3

2b

12

5

2c 2d 16

96

15

14

13

7

4 6

1a

1b 1c

1d

1e

1f

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Foto di un interno del corpo 1a.

EDIFICATI DEL 1905-07 Il grande corpo di fabbrica (110m x 115m) è formato da due grandi capannoni (110m x 54m ciascuno), un tempo adibiti alle produzioni meccaniche dell’esercito, collegati da un passaggio centrale (1b; 110m x 13m) con copertura in parte a capriata metallica e in parte a travi in cemento. Il fabbricato è delimitato da murature perimetrali portanti, composte in blocchi di tufo e laterizi e rivestite in intonaco, nelle quali si intervallano grandi aperture ad arco a sesto ribassato con cornice in intonaco e serramenti in ferro-finestra. La copertura originale, costituita da arcarecci in metallo e sostenuta da pilastri anch’essi metallici (modulo 8m x 7m), sopravvive soltanto in due porzioni del corpo a sud (1c, 1e), a loro volta separate da un passaggio di servizio (1d) perpendicolare a quello principale. Queste parti di copertura presentano aperture a shed e sono esternamente rivestite in tegole. In altre porzioni dell’edificio (1a, 1f) la copertura originale è stata sostituita in tempi più recenti da una struttura in calcestruzzo armato composta da pilastri e tegoloni, permettendo anche in questo caso l’ingresso di luce diffusa zenitale. Queste caratteristiche riguardano l’intero blocco nord (1a), suddiviso in cinque campate larghe circa 20m, e le due campate terminali del blocco sud (1f) delle medesime dimensioni.

Foto del corpo 1b.

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Sono presenti diversi fenomeni di degrado, principalmente imputabili al cattivo smaltimento delle acque meteoriche: - Distacchi e lacune dell’intonaco - Presenza diffusa di patine biologiche e vegetazione infestante - Strutture metalliche in evidente stato di ossidazione

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Foto di un interno del corpo 2a.

EDIFICATI DEL 1914-19 Capannoni longitudinali su un unico livello (altezza al colmo 9m ca.), con accesso al piano terra e copertura a falda. Presentano generalmente una doppia capriata metallica con schema Howe (di larghezza 13m ciascuna) sostenuta lateralmente dalle pareti perimetrali portanti in muratura (composte da blocchi di tufo e laterizi) e al centro da una fila di colonne in ghisa disposte longitudinalmente (intervallo di 5m). Il secondo capannone da nord (2b) presenta l’unica eccezione a questo sistema strutturale, essendo le capriate sostenute da una muratura di spina centrale invece che dalla fila di colonne (essa separava in origine funzioni di spogliatoio e refettorio). Ciò modifica fortemente anche le proprietà dello spazio interno, in questo caso caratterizzato da un affaccio singolo verso l’esterno. Le aperture risultano essere rastremate verso l’interno e presentano anche in questo caso archi a sesto ribassato e serramenti a filo esterno in vetro-finestra. Il capannone più a sud (2d) presenta inoltre la collocazione di una struttura metallica supplementare atta all’aggancio di un carroponte, data la sua passata funzione di officina.

Foto di dettaglio delle aperture del corpo 2a.

I fabbricati sono generalmente in buone condizioni, specialmente il volume 2a, affacciato su via Guido Reni, che ha recentemente ospitato mostre temporanee ed eventi ed è già stato oggetto di restauro.

Caratteristiche analoghe a quelle appena descritte si possono ritrovare nel corpo minore originariamente destinato a scuderie e in seguito a garage (8), che si affaccia su via Guido Reni in maniera analoga al capannone 2a, presentando però una campata unica.

100

101

Oltre agli edifici principali appena enumerati, più rilevanti sia per disposizione sul lotto sia per superficie occupata, sono presenti numerosi corpi minori risalenti a momenti storici differenti.

Le palazzine (3, 4, 6, 7) occupano principalmente l’area che costituisce al momento l’ingresso principale al sito (3), nonché lo spazio aperto di dimensioni più considerevoli. Si tratta di piccoli edifici di due piani (altezza 7m ca.), generalmente in buone condizioni. Il fabbricato 3, un tempo alloggio militare, si situa su via Guido Reni e attualmente ospita una ONLUS e un’associazione di volontariato.

Il fabbricato 4 (ex uffici) è stato di recente riutilizzato per mostre, mentre l’adiacente corpo 5 costituiva un tempo la centrale idrica del complesso, oggi completamente dismessa. Il corpo 7 era adibito al piano terra ad ufficio logistico, mentre presentava alloggi al piano superiore.

Adiacente si trova la centrale termica (6), anch’essa dismessa ma tutt’ora accessibile.

Mappatura degli edificati di scarso valore architettonico.

Sul resto della superficie della proprietà troviamo diverse superfetazioni e addizioni che elencheremo in breve: - Una tettoia di recente realizzazione (9), adiacente al già menzionato edificio storico delle scuderie.

- Una serie di magazzini (10, 11, 14, 16) la cui copertura è stata rimossa in quanto realizzata in eternit. Rimangono le strutture dell’impalcato, in pessime condizioni. Vegetazione spontanea invade completamente i locali.

- Ex-uffici (12), attualmente utilizzati come deposito per campioni di indagini geodiagnostiche. Necessitano di ristrutturazione.

- Il fabbricato 13, a pianta triangolare, ex-laboratorio. In buono stato di conservazione.

- Un ulteriore spazio adibito a magazzino (17), di recente costruzione in cemento prefabbricato. La struttura è in buone condizioni ma dallo scarso valore architettonico.

I fabbricati del complesso risultano quindi, perlomeno per quanto riguarda quelli dal maggior valore storico e architettonico, in condizioni accettabili, e pertanto particolarmente indicati al riuso. I caratteri evidenziati accomunano gran parte dell’edificato storico, formando un sistema coerente e dalla notevole rilevanza nella memoria collettiva, certamente meritevole di valorizzazione e recupero.

Foto di insieme del complesso visto da sud-ovest.

102

103

3.2 MASTERPLAN

104

L’azione progettuale vera e propria muove i primi passi nella definizione della compatibilità dell’assetto morfologico esistente con il nuovo ruolo che il sito assumerà all’interno della città, tentando il più possibile di aprire la Città della Scienza al suo intorno urbano. L’intenzione è quella di conservare e potenziare il carattere identitario e la memoria del luogo, facendo collaborare i volumi esistenti e le nuove realizzazioni.

105

Composizione

Planivolumetrico

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Grado di compatibilità

MIN

MAX

Controllo ambientale

MIN

MAX

L’ex Stabilimento Militare Materiali Elettrici e di Precisione di via Guido Reni appare come un luogo dal forte carattere identitario. Gli edifici principali esistenti (il corpo a piastra con copertura a shed e i capannoni longitudinali) sono disposti simmetricamente rispetto un asse centrale, il che rende facilmente leggibile e interpretabile la morfologia del luogo e l’orientamento all’interno di esso. Le facciate intonacate e decorate da cornici denunciano una certa qualità estetica e importanza storica delle realizzazioni, mentre il carattere industriale appare particolarmente evidente dalle grandi aperture e dall’ampiezza degli spazi interni, caratterizzati da grandi luci ed elementi strutturali puntuali. La natura utilitaristica del sito è inoltre mostrata dagli evidenti interventi successivi alla prima realizzazione: aperture, sostituzioni, espansioni, addizioni e superfetazioni costellano il lotto, in parte contraddicendo 107

Tracciati e relazioni - Assialità

Bordi e soglie - Permeabilità

l’assetto fortemente regolare originario.

La morfologia del sito appare quindi evidentemente distinta dall’intorno urbano.

Il complesso risulta infatti allineato in direzione perpendicolare alla Via Flaminia, che rappresentava l’unico collegamento col centro città al momento della realizzazione del primo insediamento.

Il resto del tessuto urbano, che prende forma successivamente, non sembra però aver tenuto conto di questa prima regola insediativa, caratterizzata da un orientamento molto ben riconoscibile e dalla grande modularità e regolarità delle costruzioni. Questa fondamentale differenza morfologica porta quindi oggi l’ex stabilimento militare a risultare quasi estraneo all’intorno cittadino e sembra rispondere a regole completamente diverse. Ciò è particolarmente evidente, e problematico, osservando la parte più a sud del lotto, in cui la sua forma irregolare male si adatta alla regola compositiva del complesso composto da corpi paralleli.

Questa parte del lotto rimase dunque vuota e solo successivamente occupata da superfetazioni (divenute nel progetto oggetto di demolizione). Ciò dona senza dubbio un carattere identitario particolare al luogo, ma crea anche una netta cesura spaziale con l’intorno urbano. Appare problematico, per un luogo dalla tale importanza civica, il fatto di presentare un solo vero e proprio ingresso, separato da un corpo di fabbrica longitudinale dalla parte del lotto affacciata su via del Vignola.

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Pieni e vuoti - Centralità

Il progetto propone quindi di mantenere la logica compositiva generale del complesso, conservando così il suo carattere morfologico identitario, ma comunque di adattarlo all’assetto urbano attuale, attraverso la parziale demolizione di uno dei capannoni longitudinali. Viene così rotta la simmetria che in precedenza regolava il sito, in favore della creazione di un’asse diagonale di collegamento tra via Guido Reni (e il MAXXI) e via del Vignola sul lato opposto. Rafforzare una connessione attraversabile ci sembra fondamentale non solo per rendere la Città della Scienza più facilmente accessibile, ma anche per rendere coerente l’assetto originale alla conformazione urbana odierna, aprendo così il sito al suo intorno.

Solo rendendo un luogo completamente attraversabile e fruibile dalla cittadinanza è infatti possibile creare una vera e propria identità, facendo sedimentare la memoria di esso in chi lo vive. I confini appaiono generalmente ben delineati, il sito è delimitato su via Guido Reni dalle facciate esistenti, dalle quali emerge il volume nuovo dell’auditorium, e su via del Vignola dall’edificio destinato a residenze sociali, che allineandosi alla strada ricostruisce un fronte in precedenza irrisolto. In questo modo il rapporto con l’assetto viario è reso di facile lettura e fornisce al luogo una chiara delimitazione aumentandone la permeabilità. L’edificio delle residenze e dell’hotel assumono un ruolo fortemente urbano e seguono perciò gli allineamenti

Pieni e vuoti - Sequenza

Pieni e vuoti - Modularità

e gli intervalli suggeriti dagli edifici appartenenti al tessuto edilizio limitrofo, in particolare del lotto antistante a quello di progetto su via del Vignola. Analogamente vengono presi in considerazione gli intervalli modulari che regolano l’edificato dell’ex stabilimento militare, che guidano sia le demolizioni che la collocazione e le dimensioni dei corpi di nuova realizzazione.

In vista del nuovo ruolo civico e pubblico della Città della Scienza, alcuni corpi minori vengono per nostra scelta demoliti, liberando così ampi spazi aperti che assumono il ruolo di piazze e luoghi di raccolta all’interno del sito. Analogamente alla stratificazione di interventi passati, il progetto opera da un punto di vista volumetrico tramite addizioni il meno possibile invasive rispetto all’esistente. La direzione scelta per interagire direttamente con questi manufatti è stata quella di assumere un linguaggio tecnologico contemporaneo, principalmente dominato dall’utilizzo di materiali come acciaio, policarbonato, vetro. In questo modo è possibile creare un’evidente distacco tra il vecchio e il nuovo in termini di linguaggio e materialità, pur mantenendo la continuità con l’impronta industriale del sito. Le altezze delle nuove realizzazioni sono perlopiù discrete. Esse si compongono di: - I due capannoni centrali, ospitanti laboratori, spazi per la didattica e coworking vengono collegati da due corpi bassi destinati ad ospitare servizi e spazi

Pieni e vuoti - Influenze

comuni. In questo modo si rafforza la connessione e la collaborazione tra gli ambiti di incubazione di impresa e ricerca scientifica.

- Sul fondo del canale passante tra i due capannoni più a nord viene realizzata una serra che, utilizzando come modulo le campate esistenti, affianca due corpi minori ritenuti di valore architettonico.

L’edificio funge così da fondale e direziona il visitatore nel percorso di visita.

- Un grande corpo quadrangolare contenente lo spazio conferenze emerge dalla copertura dell’edificio a piastra in corrispondenza dell’ingresso principale alla Città della Scienza, denunciando in modo evidente la nuova identità civica del luogo e dialogando con il MAXXI dall’altro lato della strada.

Gli edifici di nuova realizzazione occupano la parte più a sud del lotto, dialogando maggiormente con il tessuto residenziale circostante sia in termini di allineamenti, sia in termini materici e di linguaggio.

Residenza e hotel presentano caratteri analoghi, contraddistinti dalla comparsa in facciata degli elementi strutturali, mantenuti il più esili possibili di modo da comporre griglie ordinate e regolari.

Gli spazi delimitati dalla griglia sono occupati da pannelli in materiale lapideo artificiale (che riveste anche gli elementi strutturali) disposti parallelamente o diagonalmente rispetto al piano della struttura, permettendo dinamicità ad un sistema altrimenti eccessivamente severo.

109

L’edificio residenziale è separato in due corpi di rispettivamente 24 e 40 metri, coerentemente con l’edilizia residenziale presente nel quartiere. L’hotel invece raggiunge quota 59.5 m, stabilendo rapporti con la scala più ampia del paesaggio e del territorio.

Gli edifici principali di nuova realizzazione sono due: - Affacciandosi direttamente su via del Vignola, l’edificio longitudinale ospitante le residenze sociali risolve il rapporto con la strada, allineandosi ad essa e ricostituendo il fronte urbano del lotto. Al piano terra vengono creati spazi per attività commerciali con doppio affaccio su strada e sulla piazza interna, che insieme al mercato situato all’interno del capannone più a sud formano una di piazza commerciale.

- Al centro di questo grande spazio interno sorge la struttura ricettiva a torre, elemento di grande scala che permette al progetto di interfacciarsi con la dimensione paesaggistica e territoriale, dialogando sia con l’intorno urbano costellato da luoghi notevoli, sia con il Tevere e Monte Mario.

Viene inoltre inserito un nuovo corpo destinato ad ospitare il ristorante, che si affaccia sulla piazza principale e sul canale diagonale costituito grazie alla demolizione parziale di uno dei capannoni esistenti. In questo modo esso costituisce un perno che regola il rapporto tra queste due aree principali, ora unite dal nuovo sistema di percorrenze.

Oltre al sopracitato canale diagonale, i movimenti all’interno del lotto sono principalmente regolati dall’alternarsi di ampi spazi aperti e viali dalla scala di carattere urbano. Sono presenti infatti tre piazze principali: - Il grande spiazzo che si affaccia su via Guido Reni rappresenta l’ingresso principale alla Città della Scienza. Su 110

Vista assonometrica S-O

Vista assonometrica N-E

di essa si affacciano un’ampia varietà di funzioni di carattere pubblico, rappresentando così il principale spazio di raccolta all’interno dell’intero progetto. Nei suoi pressi troviamo infatti gli spazi espositivi, lo spazio conferenze, la biblioteca, gli spazi di co-working, laboratori, didattica e infine il ristorante.

- All’estremità opposta del viale principale troviamo una piazza commerciale, distribuita attorno all’edificio dell’hotel e delimitata dai due corpi convergenti delle residenze sociali, che ospitano al piano terra attività commerciali, e del capannone riadattato a mercato. Lo spazio costituisce inoltre l’ingresso al sito su via del Vignola.

- In quello che può considerarsi a tutti gli effetti il fondale del lotto, adiacente alla serra di nuova edificazione, troviamo un ulteriore spazio aperto che ospita un giardino botanico. Questo spazio si trova al termine del percorso museale e rappresenta un momento di sosta durante il quale il visitatore può indirizzarsi verso gli spazi commerciali o decidere di tornare verso la piazza principale / ingresso.

Questi spazi aperti rappresentano quindi non solo i principali varchi verso l’esterno del complesso, ma costituiscono anche i principali poli del sistema di percorrenze. Oltre al nuovo canale di collegamento, derivato dalla parziale demolizione di un capannone, il sito presenta originariamente una serie di viali paralleli, che separano i diversi elementi longitudinali e collegano le due estremità del lotto. Il canale centrale viene però in fase di progetto ostruito da due corpi di nuova realizzazione, che mettono in diretto collegamento le funzioni di laboratori scientifici e coworking, creando spazi comuni e una corte condivisa di carattere più privato. Bloccando il passaggio dei visitatori attraverso questo attraversamento, il percorso dei 111

visitatori viene guidato da un sistema di percorrenze circolare.

Gli utenti sono idealmente spinti in primis all’interno dell’edificio a piastra, attirati dal grande corpo emergente dell’auditorium.

Qui si trova la biglietteria principale dell’impianto museale, segue la visita degli spazi espositivi all’interno dell’edificio.

La visita prosegue poi lungo il viale più a nord, su cui si affacciano il capannone delle mostre temporanee e gli spazi per la didattica. Sul fondale si scorge la serra, ultimo ambiente visitabile del percorso.

Il giardino botanico offre infine un’ultima sosta prima di percorrere il viale su cui si affacciano gli spazi commerciali, riconducendo alla piazza principale di ingresso in cui viene situato il ristoro. In questo modo viene stabilito un percorso chiaro e lineare, che ruota attorno al nucleo centrale di carattere più privato e destinato all’incubazione di impresa e ai laboratori destinati ai professionisti.

Il masterplan tenta quindi di rafforzare il carattere identitario del luogo, senza contraddirne la morfologia ma anche senza timore di compiere azioni radicali per rendere il sito più accessibile e connesso al quartiere e in generale alla città di Roma.

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Programma

Il progetto per la nuova Città della Scienza nel quartiere Flaminio a Roma prende forma fisica a partire da una richiesta espressa da Roma Capitale, insieme al processo partecipativo e al coinvolgimento della cittadinanza. Oltre a rispondere alle esigenze quantitative esplicitate nel bando di concorso, esso cerca infatti di avviare un processo di territorializzazione dell’ambito urbano attraverso una rivalutazione dei contesti, ponendo un forte accento sull’identità, le qualità estetiche e complessità sociale, economica e culturale del luogo. La progettazione della Città della Scienza viene articolata nella parte di lotto che vanta la presenza degli edificati di maggior valore conservati in seguito alla valutazione sullo stato dell’esistente con cui ci siamo venuti a confrontare. Essa comprende nello specifico la porzione e i corpi sviluppati longitudinalmente del 1914-19.

Il programma di messa a valore previsto

per lo Stabilimento Militare Materiali Elettrici e di Precisione si configura come un intervento di trasformazione in grado di realizzare un nuovo disegno urbano, inserito nel contesto di riferimento e verificato da un punto di vista della fattibilità urbanistica attuativa, delle funzioni e delle caratteristiche economico-finanziarie. In particolare l’intervento di trasformazione genera spazio pubblico, consente la realizzazione di funzioni a servizio della città e delle sue prospettive internazionali e si fa carico delle esigenze di prossimità degli abitanti e contemporaneamente rafforza la dotazione di servizi rari a fruizione pubblica. Come accennato nelle sezioni precedenti l’area destinata alle nuove realizzazioni risulta divisibile in quattro porzioni: due sono quelle di massima concentrazione edilizia destinate ad ospitare nuove edificazioni, mentre le altre accoglieranno gli spazi della Città della 113

Scienza e alle attrezzature pubbliche ed essa legata. Le superfici sono circa così distinte: 1. Aree per attrezzature pubbliche: minimo 14.000 mq di superficie fondiaria; 2. Area per la Città della Scienza: massimo 10.000 mq di superficie fondiaria; 3. Area per Residenze e altre funzioni: minimo 27.000 mq di superficie fondiaria.

La Città della Scienza è stata da noi pensata per rappresentare in senso lato gli aspetti multidimensionali della scienza, questo include vari campi: logico, filosofico e metodologico, sperimentale, applicativo, storico e sociale. Avendo come obiettivo lo sviluppo di una strategia di sviluppo rivolta al futuro, le considerazioni e le azioni dedicate alla persistenza architettonica e alla modificazione contestuale sono quindi risultate una a sostegno dell’altra in mutuo scambio, in quanto solo in una modalità altamente ‘attiva’ le eventuali azioni di tutela possono trovare affermazione. Lo spazio è stato concepito e strutturato di conseguenza per adempiere a molteplici compiti, in modo tale che le strutture collaborassero tra di loro e dialogassero con il circondato più prossimo. Sono quindi previsti spazi aggregativi vari a fruizione della comunità scientifica in primis, offrendo luoghi di confronto e condivisione, spazi di co-working e laboratori transitori, co-progettazione, incubazione d’impresa e assistenza.

Il Museo della Scienza, nella sua articolazione multifunzionale, riesce inoltre ad essere al servizio dei cittadini, diventando anche luogo per la formazioneeducazione e per l’apprendimento permanente. Gli spazi hanno quindi aree associative e ricreative per anticipare/ rinforzare i messaggi con esposizioni esterne, strutture con strumenti e spazi di riflessione scientifici e laboratoriali.

La struttura ipotizzata costituirà in definitiva un insieme di esposizione, 114

educazione e ricerca. Tutta la ulteriore superficie, potenzialmente realizzabile, sarà destinata a integrare il museo con strutture laboratoriali, scientifiche, culturali e di intrattenimento che potranno essere costruite o gestite da altri enti, ma in un progetto unitario.

115

3.3 ARCHITETTURE

116

Concepire un progetto di architettura significa prima di tutto comprendere le esigenze degli insediamenti e delle comunità, e orientare le loro decisioni verso la fruizione di uno spazio locale da intendere come dispositivo urbano. I fattori sociali, economici e demografici influenzano il nostro ambiente fisico, che di conseguenza diventa l’indice di un equilibrio tra tali forze nello spazio e nel tempo. In questo contesto, l’architettura è chiamata ad affrontare attivamente le trasformazioni urbane attraverso approcci sostenibili sia a livello economico che sociale.

L’architettura è una visione strategica della realtà e come tale diventa una strategia urbana, in quanto supporto alla vita e a tutte le sue componenti; essa consente una trasformazione di ciò che è reale.

L’architettura, in questo senso, consente di operare in modo articolato all’interno del continuo sviluppo della città intervenendo sulla forma e sui contenuti urbani.

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Modalità di intervento

Nello sviluppo del progetto per la nuova Città della Scienza abbiamo cercato di dimostrare come modificare, intervenire, trasformare corrispondano a tre passaggi scalari di approfondimento e di risultato architettonico, vitali per la progettazione contemporanea in un contesto come quello della capitale italiana.

Riprendendo le riflessioni di Coenen (1), l’atto di ‘modificare’ comprende le procedure del recupero architettonico, dalla conservazione della materia all’adeguamento funzionale del singolo edificio; ‘intervenire’ significa operare dalla ri-funzionalizzazione dell’edificio al rinnovamento delle sue relazioni figurative con il contesto; ‘trasformare’ implica infine il rapportarsi dal contesto al paesaggio urbano, ad esempio inserendo nuova architettura in dialogo con le preesistenze, «in quanto tutto è soggetto al cambiamento e la conservazione stessa appartiene alle acquisizioni della trasformazione» (J. C. Coenen, De kunst van der vermelting, VSSD, 2006, pp. 164167).

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Spaccato assonometrico S-O

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1

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5

3

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6

9 10

Pianta piano terra

2

Sezione urbana

1. Auditorium Nella campata nord più prossima all’affaccio verso il MAXXI si è deciso di collocare in modo strategico un corpo uscente dalla copertura che fungesse da ingresso, accoglienza per gli utenti e auditorium nel piano superiore. L’unico volume a svettare evidentemente rispetto all’esistente è il blocco auditorium, ricoperto in pannelli d’acciaio e alto 17 metri. Viene utilizzato in prossimità dell’ingresso al sito per dichiararne il ruolo civico, segnando così

Foto degli interni del corpo 1.

122

una forte differenziazione dall’esistente e denunciandone la rinnovata identità.

La sua posizione permette inoltre un dialogo con l’edificio del MAXXI, situato dall’altro lato di via Guido Reni. Gli spazi interni comprendono un ampio vuoto in corrispondenza della biglietteria, la grande sala dell’auditorium e un affaccio panoramico verso nord al piano superiore.

I servizi vengono invece collocati al di sotto della parte rialzata della sala conferenze.

2. Esposizione (Permanente / temporanea) Nel caso dello stabilimento risalente al 1905-07 (ex officine) ci siamo confrontati con una costruzione in generale buono stato, che dota una struttura portante perimetrale in muratura, che lascia libero un grande open space, all’interno del quale si intervallano in alcune porzioni (area sud) dei pilastri in cemento o in metallo. La suddivisione dell’edificio in campate e la presenza della copertura a shed ci ha spinto in seguito ad una attenta analisi delle compatibilità funzionali a destinare questa grande piastra al programma dedicato all’esibizione temporanea. Per questo il nostro

intervento si è limitato a dotare il grande vuoto di “contenitori” che potessero raccogliere eventi specifici (per motivi di illuminazione o comfort termico) i quali prendono la forma di volumistanza dal carattere sostanzialmente neutro. Queste tre scatole racchiuse nell’involucro esistente si innestano a quota zero e rimangono al di sotto della copertura esistente. La volontà di inserire spazi inediti e che dessero possibilità di svolgimento a diverse tipologie di eventi e modalità di esposizione ha visto necessario l’inserimento di una agorà centrale che collega e mette in comunicazione su un livello sopraelevato i volumi. Due di essi inoltre si differenziano in quanto corpi semi trasparenti (white box), permettendo un passaggio di luce e un gioco di sguardi tra interno ed esterno, reso possibile dal rivestimento in pannelli di policarbonato. L’ultima invece si configura come una black box, adatta ad ospitare eventi con specifiche necessità di controllo luminoso e ambientale.

3. Biblioteca Nella porzione sud dell’edificio a piastra, in corrispondenza dell’ingresso, si situa la

biblioteca. Essa si struttura come grande open space, al centro del quale sorge una grande piattaforma rialzata retta da setti posizionati in corrispondenza della struttura originale e nascosti dalle scaffalature per i libri. Questo spazio rialzato ospita aule dal carattere più raccolto e un’area di svago, mentre permette di posizionare sotto di essa i servizi igienici. Il piano a quota zero presenta una grande sala lettura ed è connesso alla piattaforma mediante una gradonata.

Foto degli interni del corpo 3.

123

Sezione urbana

4. Esposizione (temporanea) Nel caso dei corpi più recenti delle ex officine, in affaccio su via Guido Reni, si è optato per un alto grado di conservazione, che ha visto in questo caso ridursi al minimo l’intervento progettuale, in ottica di puro adeguamento di comfort e standard funzionali richiesti da uno spazio di mostra permanente. Qui si è proceduto alla semplice ristrutturazione e ripulitura del grande spazio ad aula longitudinale, in modo da renderlo ottimale per un allestimento permanente, studiato secondo le peculiarità del manufatto che dota una buona illuminazione e una grande altezza degli spazi interni.

Viene inoltre inserito, in corrispondenza dell’ingresso, un blocco servizi contenente biglietteria, servizi igienici e guardaroba.

Questo viene inserito in posizione centrale, di modo da non intaccare le pareti perimetrali e il sistema delle aperture.

5. Didattica – Laboratori – Incubatori d’impresa Per quanto riguarda infine i corpi centrali a pianta longitudinale, una volta spogliatoio e refettorio e ulteriore officina, abbiamo agito in duplice modo. Oltre ad un 124

adeguamento derivato dall’inserimento di doppi serramenti e coibentazione della copertura, si è deciso di demolire parzialmente il corpo più a sud per consentire l’apertura del passaggio che colleghi via G. Reni a via del Vignola.

Questo permette un collegamento diretto tra il brano urbano posto a sud dell’area ed una più immediata fruizione degli spazi aperti e attraversamenti della Città della Scienza. Allo stesso tempo per rendere questo blocco unitario abbiamo inserito due volumi che collegassero gli spazi interni delle stecche che ospitano al loro interno le aule per la didattica, i laboratori, gli uffici; In questo modo è stato possibile creare spazi comuni che favorissero l’interazione tra le diverse funzioni. Le addizioni che vanno a collegare il secondo e terzo capannone presentano un linguaggio in netto distacco dagli edifici esistenti con i quali si interfacciano. Le due parti si configurano come volumi puri a copertura piana, senza superare in altezza l’attacco della copertura a falda delle ex officine. Si pongono come bracci di chiusura semi-trasparenti, lasciando intravedere ai passanti il cortile interno di pertinenza della funzioni qui allocate.

Gli spazi interni del capannone più a nord, diviso in due da una parete portante centrale, ospita verso lo spazio pubblico una serie di aule per la didattica disposte longitudinalmente. Dal lato opposto si sviluppano allo stesso modo i laboratori scientifici con i necessari adeguamenti e inserimenti di spogliatoi, locali tecnici ed impianti in attraversamento nei vuoti lasciati dalle campate metalliche. Nel capannone parzialmente demolito si stabiliscono gli spazi per incubatori di impresa in affaccio sulla piazza e il

Foto degli interni e assonometria del corpo 5.

ristorante. Contemporaneamente si interviene con un inserimento a doppia altezza soppalcato per dare aule, potenzialmente isolabili e controllate, agli uffici.

Pertanto la proposta progettuale per la parte che riguarda l’inserimento della Città della Scienza restituisce una articolazione complessiva dell’area secondo almeno tre componenti principali: l’edificio espositivo, gli altri edifici con funzioni specifiche (che collaborano anche alla gestione del Museo), le connessioni al suolo e agli spazi pubblici di queste componenti.

6. Commercio Anche in questo caso ci siamo confrontati con una struttura ben conservata, corrispondente all’ultimo corpo longitudinale (di minor lunghezza) verso via del Vignola. Dato il buono stato e la presenza di alcuni elementi caratteristici all’interno di questo spazio (es. carroponte metallico che corre fino a toccare l’innesto delle campate) abbiamo ridotto gli interventi ad un adeguamento per garantire il comfort ambientale e l’inserimento di servizi base con la medesima modalità.

125

7. Serra A collegare il corpo adibito a garage e scuderie, sempre in affaccio su via G. Reni, e un altro corpo minore, si erige la struttura dedicata alla serra, collocata trasversalmente rispetto al canale di percorrenza principale e fungendo così da fondale. La serra è dotata di una serie di campate modulari basate su quelle presenti nei capannoni ai quali si allineano, imitandole in forma e altezza, ma variando completamente la propria composizione materica per ovvie ragioni funzionali.

Gli spazi delle ex scuderie fungono da ingresso-biglietteria, mentre la serra vera e propria presenta un percorso a passerella che sfocia nell’altro corpo esistente, concludendo così il percorso del visitatore.

8. Ristorante Il blocco isolato che funge da area ristoro e caffè mantiene l’altezza della parete perimetrale dei capannoni ad esso adiacenti, raggiungendone l’altezza del colmo tramite la terrazza. L’edificio è delimitato da una parete vetrata e presenta un linguaggio minimalista e tecnologico, prevalentemente utilizzando vetro e acciaio, del quale è composta anche la struttura.

Foto degli spazi esterni.

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9. Struttura ricettiva Nel caso della struttura ricettiva ci è sembrato opportuno ragionare su una struttura di carattere unitario, questo desiderio era inoltre emerso già a partire dalle richieste della committenza. Ciò comporta un posizionamento strategico di tale manufatto e, date le dimensioni ridotte dell’area considerando le preesistenze, esso coincide con l’impronta di un edificio multipiano di base ridotta.

Nelle relazioni con l’intorno, la struttura ricettiva ha l’opportunità di rivolgersi come attrattore sia alla Città della Scienza che alle strutture esistenti del MAXXI e dell’Auditorium Parco della Musica.

In tale senso esso si pone, grazie alla forte presenza, da catalizzatore dello sguardo, intrattenendo un rapporto a scala urbana e rendendosi tramite del salto di scala necessario a connettere il brano di città con il tessuto romano per intero e il paesaggio. L’hotel prende forma nell’area sud del lotto che viene liberata da quelle superfetazioni di scarso valore architettonico presenti. In tal modo si aprono nuove possibilità di ricomposizione di quel tassello che collega l’ambito della Città della Scienza vera e propria con il tessuto residenziale limitrofo. Seguendo infatti gli allineamenti e mantenendo libero il nuovo canale di collegamento tra via G. Reni e via del Vignola, il corpo isolato si erige a partire da una base trapezoidale, sviluppandosi in altezza fino a raggiungere la quota di 60m circa. Divenendo il perno tra le costruzioni a pianta allungata delle ex officine e la nuova edificazione della residenza, genera uno spazio pubblico fruibile e a destinazione principalmente commerciale a livello strada. La facciata tridimensionale è composta da elementi strutturali a pilastro rivestiti da pannelli in cemento prefabbricati che creano un gioco di nicchie a inclinazione variabile, caratterizzando fortemente il progetto.

La sequenza verticale degli spazi alterna piani dedicati alle camere (modulo singolo nei piani più bassi, doppi in quelli più alti) e altri dedicati a funzioni comuni, come palestra e ristorante (quest’ultimo crea inoltre un’evidente separazione in alzato, presentando una facciata completamente vetrata). La chiusura orizzontale dell’edificio ospita infine una terrazza panoramica con servizio di bar annesso.

10. Residenze sociali Come anticipato nel paragrafo precedente, a chiudere la figura del complesso per la nuova Città della Scienza del quartiere Flaminio è il blocco della residenza. La scelta strategica della sua collocazione e allineamento lungo via del Vignola è derivata dalla volontà di inclusione e ri-allaccio verso la strada. Per alloggio sociale si può prendere a riferimento quello definito dall’art. 2 del DM infrastrutture del 22/04/2008, si tratta quindi di appartamenti da concedere in affitto o in vendita in un regime di costi controllati, affidati a una entità impegnata alla conservazione del valore della proprietà nel tempo. Con l’obiettivo di mantenere permeabilità visiva e di attraversamento pedonale dell’area destinata alle residenze, si è deciso di integrare degli spazi commerciali alla base. L’esito formale riprende in questo caso il linguaggio utilizzato per la finitura della struttura ricettiva, discostandosi solamente per la colorazione dei pannelli, che assumono toni più neutri e concilianti.

La divisione degli appartamenti segue con grande regolarità la scansione della struttura, alternando monolocali, bilocali, trilocali e spazi comuni, mentre gli elementi distributivi si collocano in posizione centrale rispetto la pianta dell’edificio.

Spazi pubblici e verde Da un’immediata analisi si denota come l’accessibilità dell’area è legata alle strade di via Guido Reni e via del Vignola, da queste infatti sarà concentrato l’afflusso dei visitatori. Un primo intervento, già menzionato in precedenza, ci ha quindi spinto alla creazione di un canale che collegasse queste due direttive. Gli spazi aperti hanno il compito di strutturare l’insediamento ed esplicitare i gradi di fruibilità e le pertinenze rispetto al costruito. Per questo vi si rivolgono gli accessi principali alla Città della Scienza e delle strutture private comprese nel programma (albergo, commercio e residenza). L’insieme degli spazi pubblici si caratterizza per la proposta qualitativa del disegno e per la caratterizzazione delle parti edificate e scoperte, compreso il trattamento della componente vegetale.

La quantità del verde viene equilibrata dalla chiara delimitazione dei percorsi che permettono di accedere alle funzioni. Il sistema degli spazi pubblici e verdi forma una componente essenziale del progetto, non solo perché garantisce un’equilibrata connessione degli usi, ma perché potrebbe essere realizzato unitariamente come prima forma di occupazione del sito, legato allo sviluppo e al tema della Città della Scienza.

127

Focus ESPOSIZIONE TEMPORANEA

128

129

Vista internaa, stanze.

130

Pianta piano terra, edificato 1905-07.

Sezione AA’, edificato 1905-07.

Diagrammi concettuali, stanze.

Prospetto su via Guido Reni, edificato 1905-07.

131

Pianta piano primo, edificato 1905-07.

Sezione BB’, edificato 1905-07.

132

Prospetto sul piazzale interno, edificato 1905-07.

Nodo di dettaglio, black box - piattaforma.

133

Focus STRUTTURA RICETTIVA

134

135

136

137

00

67 78 89 9

DETTAGLIO IN PIANTA DETTAGLIO IN PIANTA 5

4 3

A´

2 1

3.5

3.5

3.5

6 5

68

7

4

6

3.5

3.53

3

25

3.5

2

3.5

3.5

1

14

3.5

6.2

3.5

A

B

6.2

A

7.5

C

7.5

B

2

6.2

D

04.a

1

6.2

C

D

PROSPETTO SUD

Anno Accademico 2019-2020 - II semestre

PROSPETTO SUD Anno Accademico 2019-2020 - II semestre

6.2 m

Politecnico di Milano

D

prof. Pierfranco Galliani

camere S - M 03.b

06.a

04.b

04.a

Progettazione architettonica

Tutors

Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni Politecnico di Milano Corso di Studi AACI | Architettura - Ambiente Costruito - Interni Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni

prof. Francesca Albani prof. Pierfranco Galliani prof. Christian Gasparini prof. Francesca Albani

Restauro Progettazione architettonica Architettura degli interni Restauro

arch. M. Scaglia Tutors arch. A. Cavallo arch. M. Scaglia arch. A. Migliarese arch. A. Cavallo

Corso di Studi AACI | Architettura - Ambiente Costruito - Interni

prof. Christian Gasparini

Architettura degli interni

arch. A. Migliarese

67

05.a

05.b

716

24

16 17

+ 66.2 m

17 18 18

06.a

07.a

23

06.b

03.b

06.b

07.b

1. GRATA 2. SCARICO ACQUE 1. GRATA

04.b

PROSPETTO EST

LABORATORIO FINALE DI TESI LABORATORIO FINALE DI TESI

B´

1.0

03.a

3

3.5

0.6

03.a

5

3.5

3.54

1.0

5

6 CHIUSURA TERRAZZA

camere S - M

3.5

0.6

79

05.b

camere S - M

5

8

3.5

7

05.a

camere S - M

6

9

3.5

8

02

camere L - XL

7

D

camere L - XL

8

C

02

01

camere L - XL

9

9

B

D

piani comuni

A

01

C

camere L - XL

B

B

piani comuni

A

CHIUSURA TERRAZZA

MODULI FACCIATA

07.a

07.b

camere S - M

MODULI FACCIATA

camere S - M

SCHEMA STRUTTURALE

SCHEMA STRUTTURALE

7. ISOLANTE LANA DI ROCCIA

19. TRAVE IPE140

13. GETTO IN CLS 15cm

8. TAMPONAMENTO 12cm 7. ISOLANTE LANA DI ROCCIA

14. RETE ELETTROSALDATA 13. GETTO IN CLS 15cm

20. TRAVE IPE300 19. TRAVE IPE140

3. PAVIMENTATO 2. SCARICO ACQUE

9. SABBIA 8. TAMPONAMENTO 12cm

15. LAMIERA GRECATA 7.5cm 14. RETE ELETTROSALDATA

21. CONTROSOFFITTO 20. TRAVE IPE300

4. GHIAIA 3. PAVIMENTATO

10. PANNELLI IN 9. SABBIA CEMENTO 100x100cm

16. PANNELLI IN CEMENTO 2cm 15. LAMIERA GRECATA 7.5cm CON ANCORAGGIO

CARTONGESSO 2cm 4.5.GHIAIA

11.PANNELLI MASSETTO 10.

IN DI ALLETTAMENTO CEMENTO 100x100cm

6. GUAINA 11. MASSETTO DI 5. CARTONGESSO 2cm 12. ISOLANTE ACUSTICO 4cm IMPERMEABILIZZANTE ALLETTAMENTO 6. GUAINA IMPERMEABILIZZANTE 12. ISOLANTE ACUSTICO 4cm

PREFABBRICATO (ivanka) 16. PANNELLI IN CEMENTO 2cm ANCORAGGIO 17.CON TELAIO IN PVC 8cm PREFABBRICATO (ivanka) 18. VETRO TRIPLO 17. TELAIO IN PVC 8cm 18. VETRO TRIPLO

22. PILASTRO IPE300 21. CONTROSOFFITTO 23. SCOSSALINA METALLICA 22. PILASTRO IPE300 24. CANALE DI 23. SCOSSALINA METALLICA GRONDA 12cm 24. CANALE DI GRONDA 12cm

+ 62.8 m

Progettazione per il rinnovo urbano e il recupero architettonico Progettazione per il rinnovo urbano e il recupero architettonico

PROGETTO Albergo PROGETTO Albergo

Studenti

PROSPETTO EST Area ex Stabilimento Militare Macchine Elettriche e di Precisione Area Stabilimento Militare Macchine Elettriche e di Precisione Romaex«Città della Scienza» VISTA ASSONOMETRICA Roma «Città della Scienza» SUD - EST

Studenti Caizzi Edoardo Tafel Greta Caizzi Edoardo Tafel Greta

scala 1:200 - 1:20 scala 1:200 - 1:20

PIANI INTERMEDI

+ 44.8 m B

19 20

PIANI INTERMEDI 21 22

A´

+ 41.4 m B´ 6.2 m

D

ATTACCO A TERRA

PROSPETTO SUD

138

Prospetto sud e vista di scorcio (a destra).

PROSPETTO EST

Vista da via del Vignola e assonometria.

139

1

SCHEMA STRUTTURALE

1

piani comuni

1.0

6

3.5

03.a

5

3.5

4

3.5

3 SCHEMA STRUTTURALE

3.5

2

3.5

1 A 7.5

6.2

A

B

B

03.b

C

MODULI FACCIATA 01

D

6.2

C

D

9 8 7 6 5 4 3 2 1

9

3.5

8

3.5

7

3.5

6

3.5

5

3.5

4

3.5

04.a

0.6

2

3.5

1

PROSPETTO SUD

02

04.b

3

3.5

06.a

CHIUSURA TERRAZZA 05.a

07.a 1.0

06.b

03.a

03.b

04.a

04.b

05.b

+ 66.2 m

23

camere S - M

2

0.6

+ 66.2 m

24

24

07.b

06.a

06.b

07.a

07.b

camere S - M

3

23

camere S - M

4

05.b

7

3.5

camere S - M

5

8

3.5

piani comuni

6

9

3.5

05.a

camere L - XL

7

D

camere L - XL

8

C

camere L - XL

9

B

02 camere S - M

01 A

CHIUSURA TERRAZZA

MODULI FACCIATA

PROSPETTO EST 6.2

B

6.2

C

D

PROSPETTO SUD

+ 62.8 m

camere S - M

camere L - XL

A

7.5

PROSPETTO EST

+ 62.8 m

VISTA ASSONOMETRICA SUD - EST

PIANI INTERMEDI

+ 44.8 m

PIANI INTERMEDI

19 20 21

+ 44.8 m

22

19 20 21 22

+ 41.4 m

+ 41.4 m

140

PROSPETTO EST

Prospetto est e vista di scorcio (in alto).

Sezione BB’.

ATTACCO A TERRA

Nodo di dettaglio in facciata e chiusura superiore.

ATTACCO A TERRA

141

142

Vista da via Guido Reni.

143

TAVOLE DI PROGETTO

144

145

157

IV.

158

TESI

159

4.1 SISTEMA URBANO

160

Nello sviluppo della proposta finale di progetto, una serie di ambiti sono stati messi a sistema: oltre gli aspetti operativi legati alla disciplina, anche le relazioni tra sistemi culturali e sociali, tra operatori e utenti, tra ambito pubblico e privato.

L’emergere di relazioni tra le cose, piuttosto che le cose stesse, produce sempre nuovi significati all’interno del tessuto urbano della città contemporanea, stabilendo una rete intricata di legami su molteplici scale.

161

L’aspetto più importante della linea di lavoro da noi adottata non riguarda solo lo spazio visibile, ma anche il sistema di relazioni nascoste che lo attraversano.

L’architettura è forma definita in relazione al contesto in cui è inserita. Forma e contesto definiscono il campo di azione e il loro incontro produce spazio.

L’architettura è assimilabile in questo dialogo ad una micro-infrastruttura, il che sposta l’attenzione dall’oggetto al suo campo di influenza, creando così una texture capace di favorire la rigenerazione di parti di città. Il progetto per la nuova Città della Scienza a Roma è un chiaro esempio di questa idea di architettura: l’edificio si radica nel territorio, diventando parte integrante di questo brano di città.

Esso definisce una strategia di intervento, installando un sistema di relazioni tra gli utenti, l’oggetto architettonico e l’ambito urbano. Il complesso ha un programma specifico, ma allo stesso tempo, grazie alla flessibilità delle sue componenti, si configura come un luogo capace di accogliere cambiamento e ulteriori trasformazioni.

Per quest’area della città si recupera un’articolazione funzionale e produttiva indispensabile per innescare relazioni e ‘reazioni’ tra le diverse componenti del territorio. Ricoprendo il ruolo di hub rispetto alle altre presenze cittadine di eccellenza, esso rappresenterà il centro virtuale della realtà scientifica di Roma, diventandone punto di riferimento sia interno alla comunità scientifica che per il grande pubblico. La città della scienza si presenta destinata a crescere nel tempo, possibilmente espandendo il proprio raggio di interesse a livelli di sempre più ampio respiro. Governare le operazioni di rigenerazione urbana di una parte di città significa infatti gestire processi sul lungo termine che coinvolgono molti livelli decisionali.

162

Di centrale importanza è stato inoltre mettere in relazione evidente il progetto con una dimensione urbana e territoriale.

Nel nostro caso è l’elemento verticale della struttura ricettiva a fungere da catalizzatore degli sguardi e diventare simbolo del progetto e della sua ambizione urbana. Questo edificio non intrattiene solamente rapporti fisici con il suo intorno e col contesto in cui si inserisce, ma anche e soprattutto a livello paesaggistico. Esso infatti si rivolge da un lato verso il Monte Mario e le sponde del Tevere, diventando contraltare di presenze morfologiche naturali che caratterizzano profondamente l’area. D’altro canto si aggiunge ai diversi luoghi notevoli di carattere culturale già presenti nel quartiere, coi quali dialoga in quanto oggetto distinto e riconoscibile.

In particolare ci riferiamo agli ambiti del MAXXI, l’Auditorium Parco della Musica, le Università, il Foro e gli edifici amministrativi oltre il fiume Tevere. Con questi la Città della scienza entra a sistema, rafforzando una rete di carattere culturale che costituisce in modo evidente la nuova identità del Quartiere Flaminio.

Fondamentale è stato inoltre rendere il sito facilmente attraversabile, seppur modificandone sostanzialmente la morfologia, in quanto «L’architettura urbana, così come il paesaggio, è intesa come spazio di percezione e di esperienza sensoriale compiuta, come dinamica fisica del movimento e del percorso» (3). Solo in questo modo il paesaggio urbano diviene non più solo oggetto di contemplazione, ma viene attraversato, esperito, vissuto, (4) entrando a far parte della memoria collettiva degli abitanti.

In questo contesto ricco di figure diverse, il masterplan configura in definitiva una proposta che si colloca tra la dimensione urbanistica, architettonica e paesaggistica.

Gli esiti spaziali, la loro qualità morfologica o estetica devono essere attuabili per arrivare a una concreta e fattibile qualità urbana. Allo stesso tempo devono essere in grado di farsi scenario per le attività dei suoi utenti e, non ultimo, dovranno essere capaci di interfacciarsi con l’ambito urbano del Flaminio e con le sue recenti caratterizzazioni funzionali e architettoniche.

Mappa di Berlino: città nella città - isole - luoghi complementari.

163

Incontro (Begegnung).

164

165

4.2 LUOGHI COMPLEMENTARI

Il sistema urbano del caso specifico di Roma, è stato quindi da noi analizzato e interpretato in maniera dinamica e policentrica. La possibilità di intervento in un’area a carattere così forte e dal grande valore spaziale e collettivo, ci ha spinto allo sviluppo di un luogo aperto a possibili trasformazioni. Viene quindi ridefinito un brano di città, fissando nuove coordinate che restituiscano un principio di riconoscimento dell’ambiente urbano e li rendano luoghi complementari (5).

Struttura cellulare.

166

167

La trasformazione progettuale non può quindi operare per un disegno generale uniformante, soprattutto nel momento in cui si confronta con delle presenze storiche importanti, ma per luoghi discreti.

La strategia di intervento è stata basata e verificata da scale relazionali e non solamente dimensionali e formali, (6) mettendo a sistema le soluzioni progettuali che in miglior modo potessero rispondere a una richiesta programmatica e alle esigenze, compatibilmente allo stato di fatto. In tal modo abbiamo cercato di operare in modo conforme alla scala locale, dando forma a una città nella città che si distinguesse per carattere e identità, senza mancare delle connessioni con il suo intorno.

I luoghi relazionali così formati definiscono nuove polarizzazioni, ponendosi non solo in quanto elementi auto-riferiti, isole autonome galleggianti nel mare della diffusione territoriale, enclaves, ma sistemi di agglomerazione, densificazione, identificazione. I luoghi complementari si radicano alla geografia e alla specificità formali dei contesti, alla morfologia dei suoli, risignificando intorni estesi, rideterminando le condizioni attraverso un processo che attivi successive possibilità di intervento. Di fronte allo scenario insediativo e culturale con cui ci siamo confrontati, il lavoro sulle nuove polarità ha determinato la costituzione di sistemi morfo-tipologici che possano coagulare flussi, spazi costruiti, spazi aperti, costituendo punti di orientamento, ricostitutivi di identità, trasformando i luoghi potenziali della trasformazione in complessi luoghi relazionali del sistema della Città.

Attraverso il progetto per la nuova Città della Scienza del quartiere Flaminio di Roma, si viene a definire un processo di ritrovamento e ricucitura, di ri-conformazione delle condizioni 168

contestuali accelerando il processo di rinnovamento e ri-funzionalizzazione dell’esistente, determinando talvolta effetti non prevedibili e perturbanti mediante l’inserimento di veri e propri fatti urbani.

Di fronte ad una dinamica trasformativa dove tutto scorre, si trasforma nel tempo, non vogliamo fossilizzate questo processo, ma costruire ‘scogli’, ‘ancoramenti’, ‘isole emergenti’, sistemi aperti che rendano caratterizzati, riconoscibili e funzionali gli spazi.

Sostiene M. Augè: «Diverse estetiche possano affiancarsi senza distruggersi creando nel loro accostarsi un nuovo luogo definendo un ideale di innovazione e apertura» (7).

R. Magritte, Bambola dentro la bambola.

O. M. Ungers, Deutschemuseum Francoforte..

169

(1) J. C. Coenen, De kunst van der vermelting, VSSD, 2006.

(2) Citato da A. Rossi, I quaderni azzurri, Electa, Milano, 1999.

(3)

Christian Gasparini, Il progetto come connessione, Maggioli, Santarcangelo di Romagna, 2017.

(4)

Renato Bocchi, Progettare lo spazio e il movimento, Gangemi, Roma, 2010.

[IMG p. 92, 95, 98, 103, 122, 123, 125, 126] © ProgettoFlaminio.

[IMG p. 96] © Google Earth [IMG p. 100] © GuidoReni District.

[IMG p. 162, 163] © O. M. UNGERS, Berlin a green archipelago [IMG p. 164, 153, 167, 168, 169] © O. M. UNGERS, Morphologie city metaphors

(5) Oswald Mathias Ungers, La città dialettica, Skira, Milano, 2002.

(6) S. Crotti, Figure architettoniche: soglia, Unicopli, Milano, 2000.

(7)

170

M. Augè, Parigi, contenuto in Finzioni di fine secolo, Bollati Boringhieri, Torino, 2001.

171

BIBLIOGRAFIA

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