Invito alla Speleologia

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Invito alla

Speleologia

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Tutmose I è ricordato come un grande faraone: 3500 anni or sono si era spinto molto lontano, oltre la valle del Nilo, al di là del deserto, verso terre sconosciute. Aveva incontrato molti popoli, le cui usanze, riti e strutture sociali erano ben diverse da quelle del suo grande regno. Era un uomo colto, aperto dai casi della vita ad un’ampia visione del mondo, un guerriero ed un esploratore, giunto finalmente con il suo esercito sulle rive dell’Eufrate, nella verde Mesopotamia. Scese dal suo carro ed avanzò solo lungo la sponda, ove lo stupore dell’incredibile lo colpì: vide un fiume ampio ed impetuoso, le cui acque fluivano verso Sud. Lui, figlio del Nilo e di una concezione geografica e religiosa dell’universo, in cui la Forza e la Vita si esprimevano naturalmente in direzione del Nord, l’immutevole Stella polare, fu assalito dal dubbio che l’inesplicabile che aveva di fronte giungesse a minare le basi stesse della sua cultura. Parve vacillare la sua consapevolezza di essere un dio vivente, incrinarsi la struttura del potere e della civiltà, tutto ciò che lui stesso ed ogni abitante dell’Egitto dava per certo ed indiscutibile. Lasciò quindi una stele, nella quale volle esprimere tutta la sua profonda perplessità. Vi fece incidere: “Sono giunto ai confini del mondo, ove vidi l’acqua scendere risalendo”.


Io vorrei, noi vorremmo che ognuno di voi si avvicinasse alla Speleologia con lo stesso spirito, lo stesso innocente stupore di Tutmose, nei cui occhi paiono confondersi la curiosità di vedere e l’ansia di capire. Alle soglie del 3°Millennio sembra proprio che non vi sia luogo, sulla terra o nel cielo, in cui all’uomo sia impedito di posare il suo sguardo indagatore, attraverso macchine sofisticate ed intelligenti. Telescopi e satelliti artificiali scrutano ogni angolo del pianeta e delle galassie, sonde e batiscafi scendono negli abissi marini, microscopi elettronici e scanner penetrano nelle infinitesimali profondità delle strutture. Vi è invece un intero mondo ancora da scoprire, l’unico in cui la presenza dell’uomo è semplicemente indispensabile e che costituisce per questo l’ultima frontiera dell’esplorazione. Si tratta di un continente buio, senza tempo e senza stagioni, costruito dall’acqua e dall’aria nella pietra, nel corso di migliaia o di milioni di anni. Giovane è invece la scienza che studia il mondo sotterraneo: ha poco più di cent’anni la speleologia, termine che equivale letteralmente a “discorso sulle grotte”. Certo che per parlarne bisogna conoscerle a fondo, averle frequentate da vicino ed anche per molto tempo. All’inizio questo colloquio con la grotta si limita ad un monologo, un approccio timido ed affrettato, di cui si avverte il bisogno quasi per saggiare l’aggressività della nostra interlocutrice, valutarne le difficoltà dei percorsi o per ammirarne il pregio estetico, testare le nostre reazioni emotive. Per andare oltre, nelle sue e nelle nostre profondità, occorrono anni di assidua e tenace frequentazione, fino a che quelle vie oscure divengono parte costante dei nostri pensieri, materia dei nostri sogni. Vi è chi ha dedicato una vita intera ad una sola grotta, che si è mutata nella mente in una splendida ossessione, chi ne ha esplorate centinaia. Il rapporto fra uomo e grotta è infatti estremamente complesso, sì che non devi mai chiedere ad uno speleologo di spiegarti le motivazioni che ve l‘hanno condotto e che ancora ne alimentano la passione. Se non avrai una risposta, sarà solo perché chi fa speleologia non pensa nemmeno all’eventualità che lo si possa interrogare sui perché di una scelta così personale, così intima.

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Se finirà per dirtelo, non ne uscirà che una serie di preconfezionate, usurate ovvietà: quelle che ti aspettavi, ma quasi certamente si tratterà di inconsapevoli bugìe. Siccome andare in grotta non è obbligatorio, né ha mai fatto parte delle ricorrenti e variabili “mode” che caratterizzano i giorni moderni, nel nostro Paese, (ove questa disciplina di ricerca è molto sviluppata), vi è uno speleologo grossomodo ogni 10.000 persone. Una piccola, agguerrita comunità, frammentata sul territorio, che opera, si prepara, studia, si dà da fare per la salvaguardia dell’ambiente, provvede a far crescere gli speleologi di domani e che - in caso di necessità - dispone di un‘efficiente e rapida organizzazione di soccorso. Se non si tratta di una élite, è innegabile che siamo di fronte ad un’attività che - fortunatamente - non seduce e muove le masse. La speleologia è frutto di una libera scelta, che nasce da una curiosità piccola e che - nella maggior parte dei casi- resta insoddisfatta, in quanto i colpi di fulmine sono rari e ben difficilmente trovi sul tuo cammino chi possa mediare fra le tue indefinite e spesso inesprimibili attese, tipiche del primo incontro e l’immensità delle risposte che la grotta può dare e che lo speleologo stesso che hai accanto sembra gelosamente celarti. Ognuno di noi è spinto da impulsi diversi verso quell’ambiente e ne sente il bisogno in relazione ad esigenze, tempi, gradienti di passione assolutamente individuali. C’è chi preferisce la grotta piccola e asciutta, che pare ricordarsi a mala pena di come è nata, chi grande e battuta da torrenti e cascate, dove l’acqua ti entra fin dentro le ossa, chi orizzontale e labirintica o verticale e decisa a puntare ad un fondo, il più lontano possibile. Vi è inoltre chi non riuscirebbe a stabilire un suo contatto con la grotta senza uno o più compagni e chi prova le più intense sensazioni solo. C’è infine chi la vuole rigorosamente scavata nel calcare, mentre ad altri vanno bene anche il gesso, le anidriti, il sale, il basalto, purché si tratti di fenomeni naturali. Ma non manca -al contrario- chi predilige le cavità artificiali, spesso articolate ed estese, ma opera dell’uomo. La grotta comunque è così come è ed i nostri anni ben difficilmente basteranno a vederla cambiare, sì che una delle sue prime caratteristiche, in questo batter d’occhi, ti appare l’immutabilità. 5


Presto ne coglierai altre, come l’assenza di odori e l’impossibilità di avere riferimenti, sia nei confronti del tempo che passa, sia del punto in cui ti trovi all’interno della montagna. Poi le forme: lunghissime gallerie, da cui occhieggiano alti camini, altre invitanti prosecuzioni, grandi o piccole, fino alle strettoie, che continuerai a credere un inganno, messo lì per nascondere incommensurabili vuoti. Si succederanno teorie di vani ingombri di massi che sfidano l’equilibrio, specchi d’acque limpide, o vasti pantani. Imparerai ben presto a vedere il fango come una roccia allo stato semiliquido, che ti potrà farà impressione al primo incontro, ma solo perché siamo fin troppo abituati all’asfalto. Scoprirai che a volte il fango può esserti amico, quando esso ti trattiene e non ti fa scivolare. Certo, é innegabile: ognuno di noi desidererebbe imbattersi improvvisamente in grandi sale, ornate da concrezioni bianche o policrome, eccentriche e pisoliti, in vasche colme di acque verdissime, ma nei gessi tutto questo è assai raro, quasi impossibile e delle nostre grotte siamo soliti decantare quel che si dice delle donne bruttine: vale a dire che esse possano essere molto, molto interessanti. Ed è così. Non importa quanto sia distante l’ingresso della grotta, che si apra sul fondo di una valle o sul fianco della montagna; raggiungerlo ha il sapore di un appuntamento: ogni passo ed ogni istante avvicinano un incontro e abbreviano un’attesa. Non importa nemmeno se ti accoglie con un ampio, malizioso portale di roccia o uno stretto pertugio, né pensi a quel tanto o a quel poco che verrà dopo: ti prepari come sempre, per lei, vestendoti come si conviene alle circostanze ed al rispetto, lentamente, assaporando uno ad uno quei momenti e quei gesti che fanno ormai parte di un rito, senza sacralità né boria. Quieto. Senti sul viso il suo respiro fresco, un alito profondo, a mezza via fra il saluto e la promessa. Entri finalmente: presto la luce stanca sbiadisce e viene sconfitta dal buio. Ora tocca a te. Gallerie spoglie, geometrie inconsuete, spazi piccoli o giganteschi, ma tutti finiti, raggiungibili, se mai a fatica, ma sempre a misura d’uomo. Ti sorprenderà la considerazione del fatto che in ogni caso non potrai mai abbracciare con uno sguardo questo edificio, talvolta immenso, ma solo percorrerlo -passo a passo- e per farlo dovrai camminare, arrampicarti, scendere, strisciare nel fango, nell’acqua, fin dove vorrai o ne sarai capace. La grotta non ti consente panoramiche: il suo sviluppo e la sua profondità potrai ricostruirli con l’immaginazione o leggerli sul rilievo topografico, ma potrai viverla unicamente a piccoli tranci, al di là di ogni svolta, di ogni pozzo, al termine di ogni cunicolo, centimetro dopo centimetro. La tua illuminazione diffusa rischiara un settore di qualche metro: ciò che serve e basta a muoverti in sicurezza, mentre quella concentrata può sciabolare nell’oscurità, ma solo per sondare quanta ce n’è, come un riflettore nella notte. Tutto si svolge ad un ritmo rallentato, senza l’angoscia della fretta: qui solo l’acqua può farlo, se vuole, ma qui lei è padrona. Non c’è niente da conquistare, nulla da dimostrare, né nella vertiginosa vastità di un pozzo, in cui ti immergi scorrendo lentamente lungo la corda, né all’interno della più micidiale delle strettoie, ove procedi con cautela, adattando il corpo alla sua struttura, udendo solo il rumore dei tonfi cadenzati del tuo cuore. Nessuno può descriverti compiutamente cosa proverai quando, risalendo a nuoto un grande fiume sotterraneo, vedrai le pareti allontanarsi, fino a non scorgerle più e ti troverai circondato solo dalla tenebra e vedrai sull’acqua il riflesso della luce del tuo compagno, che avanza verso di te. Tutto questo sarà unicamente tuo, un dono all’anima, per tutta la vita. Così come sarai tu solo a comprendere il significato di un pentolino pieno di the, dinnanzi al quale ti aspettano gli amici, alla base di un pozzo, mentre le tute fradice esalano colonne di vapore, si governano i caschi e ci si riscalda al calore di una battuta e di un sorriso. 6

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Caos di immani blocchi di roccia, che hanno riempito i vacui preesistenti, costruiti dalle acque. Se è vero -come è vero- che il disordine richiede più spazio dell’ordine, è stupefacente ipotizzare le dimensioni originali di questi vani, prima che venissero sconvolti dai crolli. Frammenti di gallerie e di canali, apparentemente intatti, restano sospesi là dove il distacco degli strati non ha potuto raggiungerli. Il tempo ha nascosto la polvere, l’acqua ha dissolto le rocce e il fragore della frana è lontano: ogni cosa è immersa nel silenzio, quasi un elemento portante sul quale si regge l’equilibrio delle altissime volte. In altri luoghi ampie, eleganti curve modellano le pareti e il cielo dei condotti, intatti e mostrano le vie, i vortici, i morsi, gli indugi dei torrenti, le forze antiche che si sono aperta la strada attraverso fessure un tempo impenetrabili, ampliandole fino alla dimensioni attuali. Sinuosi meandri, che si fingono incisi dall’arte di giganteschi bulini, si inoltrano fieramente nei più compatti tessuti della terra, creando ad ogni ansa insospettati movimenti ed armonie. Le piene hanno strappato dal mondo esterno e depositato nelle grotte sassi enormi, terra, le ossa degli animali ed i resti delle piante ed essi sono lì, protetti all’interno di colossali ammassi di sedimenti, come nel più grande archivio naturale esistente. Tuttavia anche qui, a decine o centinaia di metri dal mondo di fuori, dal sole, dal verde dell’erba e da tutto ciò che riempie i nostri giorni, riconosciamo i segni inconfondibili ma dimenticati della vita. Ogni cosa però si mostra nel suo stato originale: l’uomo non vi ha messo mano per imporre le sue modifiche e le sonorità della sua presenza. Un vento spesso inavvertibile, talvolta impetuoso scivola silenzioso lungo le pareti o soffia forte nelle strettoie, puoi sentire il mormorio allegro di un ruscello, che corre libero ove vuole, senza argini, la musica cadenzata di un lento stillicidio, il rombo di una cascata ed il vibrare incerto di un pipistrello, che batte le sue ali in questa notte senza stelle. Qui minutissime, impercettibili, diafane creature nascono, vivono, muoiono senza aver mai visto la luce, quasi a testimoniare l’incredibile ostinazione della vita sul nostro pianeta. Forse in questo buio, ancor più che in cima ad una montagna o nei deserti di sabbia o di ghiaccio, puoi lasciarti andare e provare l’emozione di confonderti con la natura stessa, fino a riconoscerti elemento fondamentale e ad un tempo insignificante di un disegno o di un meccanismo tremendamente complicato e comunque inesplicabile. Ti fermerai, prima o poi, di fronte ad un muro di pietra od a un cunicolo che ti impediscono di proseguire. Dovrai decidere se insistere, forzare la mano per andare oltre, se varrà la pena di scavare, spostare sabbia e sassi, inseguire quel refolo d’aria che si insinua facilmente ove tu non puoi. La grotta -è chiaro- non si è plasmata a tua misura, per te, e sai bene che -da ciò che farai e da come lo farai- potrai accertare se sei adatto a lei o se conviene che tu torni fuori, con tanti altri, a deturpare e a distruggere. Costituisce davvero un piccolo privilegio essere speleologo: puoi ancora esplorare, provare l’emozione che oggi la maggior parte degli uomini ha deciso di vivere passivamente di fronte ad uno schermo, opporre la volontà di avanzare alla riluttanza, al rifiuto di fronte alla fatica, al freddo, alla stanchezza, in qualche caso alla paura. Tutto questo volontariamente, ma senza un’ombra di sfida, nessuna intenzione eroica od epica e solo perché la cosa ti tenta, sei preparato e vuoi conoscere e comprendere.

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Con questo spirito scenderai il tuo primo pozzo enorme, filando lungo una corda tanto affidabile quanto sottile, che scompare inghiottita dal nulla, alla scoperta del continente buio, non più estraneo ospite, ma parte di esso. Il tuo sguardo a quel punto smetterà di posarsi solo a terra, sulla volta o sulle pareti, alla ricerca di rassicuranti appigli: cesserai insomma di guardare e comincerai a vedere e ad interrogare la grotta; finalmente potrai percorrerla con la serena determinazione e l’umiltà di una goccia d’acqua.

IL GRUPPO SPELEOLOGICO BOLOGNESE e L’UNIONE SPELEOLOGICA BOLOGNESE Il Gruppo Speleologico Bolognese, fondato da Luigi Fantini nel 1932 e l’Unione Speleologica Bolognese, costituitasi nel 1957, sono Libere Associazioni senza scopo di lucro che si occupano di speleologia nelle sue molteplici forme: esplorazione di cavità naturali ed artificiali, documentazione, ricerca scientifica, salvaguardia dell’ambiente ipogeo, delle aree e dei bacini acquiferi carsici e loro valorizzazione, didattica e divulgazione di tutto ciò che attiene il mondo sotterraneo. I due Gruppi Bolognesi fanno parte della Federazione Speleologica Regionale dell’Emilia-Romagna, che cura il Catasto delle cavità naturali ed artificiali della Regione e della Società Speleologica Italiana, che riunisce tutte le Associazioni Speleologiche del nostro Paese e che a sua volta rappresenta l’Italia in seno all’UIS (Union International de Spéléologie). Da molti anni GSB ed USB collaborano con il Parco Regionale dei Gessi Bolognesi e dei calanchi dell’Abbadessa, specialmente nel settore della protezione dell’ambiente carsico epigeo, delle grotte e per la loro gestione speleologica. Anche con il Parco Regionale Storico di Monte Sole esistono consolidati rapporti di collaborazione, per il rilevamento topografico dei campi trincerati e dei rifugi militari e civili compresi nel suo vasto ambito territoriale. Il più importante settore dell’attività speleologica è costituito dalla ricerca e dall’esplorazione di nuove cavità, non ancora conosciute, o di prosecuzioni all’interno di grotte già parzialmente note. Le abituali aree di ricerca del GSB-USB sono, oltre quelle dei Gessi Emiliano-Romagnoli, i massicci calcarei delle Alpi Apuane in Toscana e le grandi aree carsiche della Sardegna, dove i Gruppi hanno scoperto, esplorato e studiato innumerevoli grotte e sistemi ipogei. Nell’ultimo decennio, le campagne esplorative si sono spinte più volte anche all’estero (Messico, Honduras, Uzbekistan, Spagna, Bosnia, ecc.) Ogni fine settimana i Gruppi operano con più squadre, nel Bolognese o sulle Apuane. Le campagne di ricerca e le spedizioni all’estero hanno evidentemente una durata ben più lunga. Per raggiungere i loro obiettivi, gli speleologi devono documentarsi a lungo e studiare attentamente la zona carsica in cui si trovano, conoscerne le caratteristiche geologiche e raccogliere sul luogo molti dati, attraverso rilievi topografici, raccolta di campioni e di immagini fotografiche.

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Anche a tal fine è nata una Biblioteca specialistica, che contiene più di 10.000 volumi, tra monografie e periodici, custodita presso la sede dei Gruppi e consultabile -su richiesta- anche da parte del pubblico. GSB ed USB hanno allestito presso la loro Sede, fin dal 1994, il “Museo Speleologico Luigi Fantini” nel quale sono esposti minerali, rocce e cristallizzazioni provenienti da molte parti del mondo (ma con particolare attenzione ai nostri territori e alle nostre grotte), nonché il noto “Fondo Fantini”, una raccolta di fotografie e di manoscritti del poliedrico studioso bolognese. Tale “Fondo” costituisce un patrimonio di grande interesse culturale, storico e bibliografico, censito dall’Istituto dei Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia Romagna. Le relazioni delle esplorazioni e delle ricerche vengono pubblicate sulla Rivista speleologica semestrale “Sottoterra”, èdita ininterrottamente dal GSB-USB dal 1962 e sono oggetto di note presentate in occasione dei Congressi e sulla stampa specializzata nazionale. I Gruppi si occupano inoltre attivamente di didattica, presso le Scuole e le Associazioni che ne fanno richiesta, organizzano eventi divulgativi sulla speleologia, come cicli di conferenze e proiezioni sulle grotte e sull’ambiente carsico in generale (gli “Appuntamenti al buio”) e conducono iniziative di protezione ambientale, quali ad esempio “Puliamo il buio”, collegata alla nota campagna “Puliamo il mondo”, coordinata su scala nazionale da Legambiente e dalla Società Speleologica Italiana. Ogni anno, fra ottobre e novembre, la Scuola di Speleologia di Bologna del GSB-USB cura un Corso di speleologia di primo livello, rivolto a chi ha intenzione di intraprendere questa affascinante attività.

Per informazioni : GSB-USB : Sede: Cassero di Porta Lame Piazza VII Novembre 1944, n. 7 - 40122 Bologna ITALY Tel. 051-521133 333-8501785 E-mail: info@gsb-usb.it mailto:info@gsb-usb.it La sede è aperta al pubblico il Giovedì, dalle ore 21:00 alle ore 23:00. Testi: “Invito alla Speleologia”: P. G. (GSB-USB); Prologo: da A. Gobetti (Labirinto Oscuro, 1983), modif. “Il GSB e L’USB”: N. L. (GSB-USB). Foto: Archivio GSB-USB – Biblioteca e Museo di Speleologia “Luigi Fantini” Progetto grafico: Grafiche A&B Bologna 10


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