Gli articoli di www.Egittologia.net Il museo Egizio di Torino (Itinerario)
Chantal Milani
IL MUSEO Il Museo Egizio di Torino è il primo al mondo per data di fondazione e secondo solo al Museo del Cairo per l'importanza delle raccolte. Fondato nel 1824 dal re Carlo Felice di Sardegna ha nella collezione di Bernardino Drovetti, Console Generale di Francia in Egitto, il proprio nucleo originario, costituita da diverse migliaia pezzi che illustrano arte e vita quotidiana dell’antico Egitto. La collezione Drovetti fu poi arricchita nel corso del tempo da acquisizioni e da reperti provenienti dagli scavi in loco avviati da Ernesto Schiaparelli, archeologo e direttore del Museo alla fine del secolo scorso e in seguito da Giulio Farina. I reperti comprendono un arco di tempo compreso tra il predinastico (4000 a.C.) e l'annessione all'Impero Romano (31 a.C.). Contesto geografico. Prima di partire con la spiegazione dei reperti presenti nel Museo ritengo opportuno fare una panoramica sulla terra che ha visto nascere, crescere, evolvere questo splendido Popolo. Tutta la storia della civiltà egizia è incentrata sul fiume Nilo (nome greco Neilos) lungo 6000 km costellato da 6 cateratte il cui corso termina nel Mediterraneo in cui sfocia aprendosi a ventaglio per formare il Delta. Da sempre fu considerato più di un semplice fiume: personificato, divinizzato, adorato. "Salute a te, o Nilo che sei uscito dalla terra che sei venuto per far vivere l' Egitto! [...] tu, ricco di alimenti, ci porti ogni nutrimento, creatore di ogni cosa buona, noi ti veneriamo, Nilo dal dolce odore, benigno quando viene; tu fai crescere le erbe per il bestiame, [...] rendi ricchi i magazzini, e ampi i granai, dai qualcosa ai poveri, [...] la tua acqua è bevuta da tutti [...] Sei abbondanza di ogni cosa buona: chi è triste diventa gioioso così tutti sono lieti [...]" - Inno al Nilo Il Nilo origina dall’ unione di due grandi fiumi, il Nilo Bianco che drena i grandi laghi africani (l.. Vittoria) a regime costante e il Nilo Azzurro che drena le montagne etiopiche sottoposte a monsoni e che quindi ne aumentano la portata al termine della primavera nella stagione delle inondazioni, quando il fertile limo, fango di colore nero, depositandosi sulla terra arida riusciva a renderla estremamente fertile. Infatti, gli antichi Egizi chiamavano il loro Paese kemet “terra nera”, per differenziarlo dal deserto deshret “terra rossa” che lo circondava, e indicavano se stessi remet-en-kemet “il popolo della terra nera”. Il sacro Nilo assicurava per tutto l’anno l’acqua scandendo i ritmi su cui gli egizi basavano le loro stagioni: alla metà di luglio Sothis tornava a brillare nel cielo mattutino e il dio Khnum dalla testa di ariete apriva le porte della sua caverna sul fondo della prima Il Presente documento è di proprietà dell’Autore. E’ permesso l’utilizzo per qualsiasi scopo di studio e di divulgazione senza fini di lucro e comunque citando sempre l’autore. Per informazioni contattare r.milani@iol.it o info@egittologia.ne t .
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cateratta lasciandone fuoriuscire le acque, generando la stagione dell’ Inondazione akhet che durava fino a fine Settembre. Le piene annuali del Nilo erano selvagge ma quando le acque si ritiravano, iniziava la stagione tanto attesa delle semine e della germinazione, peret (novembre-marzo) e infine la stagione della maturazione e del raccolto shemu. Gli egiziani riuscirono inoltre a progettare chiuse e canali per poter addomesticare le acque del fiume a loro piacimento. Ma il Nilo non era solo cibo e acqua, era anche spostarsi, navigare, perché lunghi spostamenti su terra-ferma erano disagevoli. Gli spostamenti avvenivano sia verso Nord, seguendo la corrente, sia verso Sud con la complicità dei venti che solitamente soffiano in quella direzione, tant’è che il geroglifico indicante il “viaggio” veniva diversificato stilizzando una feluca con vela spiegata (“viaggiare verso sud”) o feluca senza vela (“viaggiare verso nord”) . La visione del mondo era imperniata sui due assi dell’universo, quello terrestre nord-sud e quello celeste est-ovest, infatti ogni sera il sole spariva ad occidente, come inghiottito dal cielo, ma durante la notte si rigenerava riapparendo il giorno seguente all’ orizzonte orientale e questo è sempre stato alla base delle loro credenze religiose. Ad est del Nilo la terra dei vivi, ad ovest del Nilo la terra dei morti con le necropoli tra cui quelle che oggi chiamiamo la Valle dei Re e delle Regine.
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PIANO TERRA
PRIMA SALA Qui si trovano reperti della preistoria e delle prime dinastie: vasi d'argilla dal doppio colore, bicchieri per la tavola, oggetti per la cosmesi, pietre arrotondate usate come ornamento, piccole pietre affilate per la caccia e la difesa. Al centro della sala, deposto in posizione fetale e avvolto in una stuoia, il corpo di un uomo mummificato
naturalmente. Il clima del luogo favoriva questo tipo di conservazione, creando le basi per quella che è stata poi l’arte della mummificazione. Accanto al corpo dell'antico egizio, gli oggetti che dovevano accompagnarlo nell'eternità, tra loro spicca un paio di sandali. Questa mummia proveniente dal Sud dell’ Egitto risale al 3500 a. C. circa ed è la gemella di una esposta al British Museum. Poco più in là, la più antica delle statue conservate al Museo: quella della principessa Redi, risalente al 2800 a.C. (III dinastia). SECONDA SALA (sala piccola)
Qui vengono proposti documenti importantissimi per la ricostruzione della storia egizia e, in particolar modo, delle prime dinastie. Calco della pietra di Palermo : al Museo Archeologico di Palermoè conservato il più grande di tre frammenti facenti parte di un documento inciso sia sul fronte che sul retro di una tavola di diorite, probabilmente risalente alla V dinastia. Esso riporta i nomi dei faraoni delle prime dinastie dal Predinastico fino alla Vdinastia con i rispettivi i livelli delle piene del Nilo durante i loro regni. Calco della stele di Rosetta (l'originale è a Londra), studiato da Champollion , permise la comprensione dei geroglifici e della lingua egizia. Ritrovata nel 1799 a Rashid (nel Delta) da un ufficiale dell’esercito napoleonico, questa spessa lastra di basalto riporta un decreto di Tolomeo V risalente al 196 a.C. scritto in Geroglifico e riproposto sia in Demotico (scrittura corsiva sorta in tardo periodo), sia in Greco. Fu proprio la conoscenza di quest’ultima lingua ad aiutare Champollion a comprendere che i geroglifici non avevano solo un significato simbolico, ma anche fonetico, partendo dall’identificazione di alcuni cartigli reali presenti sul documento.
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Approfondimento: CENNI SUI GEROGLIFICI Geroglifico - E'la scrittura egiziana per eccellenza, quella che tutti conosciamo. Il suo nome, derivato dal greco significa ' sacri segni incisi' . I primi geroglifici risalgono all' era predinastica, mentre gli ultimi sono stati tracciati a File nel 394 d.C. in piena epoca cristiana. Questo tipo di scrittura era usata soprattutto per uso monumentale e quindi la troviamo diffusamente su templi e tombe. Ieratico - Questo tipo di scrittura è stato introdotto per semplificare il modo di scrivere dei geroglifici. Il termine, anche questo di origine greca, significa ' scrittura sacerdotale' . Si può considerare lo ieratico il corsivo della scrittura geroglifica. Non differisce dalla scrittura classica se non per il fatto che viene sacrificato l' aspetto pittografico alla velocità di scrittura. Ad ogni segno geroglifico corrisponde un segno ieratico e viceversa ed è quindi facile passare da un testo all' altro. Lo ieratico era quindi usato in tutti i testi, mentre la scrittura geroglifica era usata, come detto, per scopi epigrafici e monumentali. Lo ieratico, infine, era il tipo di scrittura che si imparava per prima nelle scuole degli scribi: i caratteri geroglifici veniva insegnati solo dopo che gli alunni si erano impadroniti dello ieratico. Demotico - Questo tipo di scrittura, che significa ' popolare' , fu introdotto da Psammetico I (26esima dinastia) per semplificare ulteriormente la scrittura ieratica: si tratta del corsivo del corsivo. A differenza dello ieratico, però, non ha un rapporto uno ad uno con i geroglifici: i singoli segni demotici corrispondono a più geroglifici legati insieme per essere scritti con un solo tratto di penna. Il Papiro Regio (o Canone di Torino), possiamo vedere l’originale o ciò che ne resta, è quasi illeggibile per frammentarietà, ma permette di compiere i primi passi della storiografia egizia: scritto in Ieratico riporta i nomi dei faraoni divisi per dinastie non discostandosi molto dalla datazione fornita da Manetone (sacerdote egizio contemporaneo dei primi due Tolomei). Ritrovato probabilmente quasi intatto nella Necropoli Tebana da Drovetti nel 1822, oggi ne restano solo 160 frammenti, sebbene sia Champollion sia Seyttarth abbiano lavorarono alla restaurazione delle numerose lacune. Probabilmente scritto durante il regno di Ramsete II (o in data posteriore) ora misura circa 1,7 m x 0.42 m e reca sul retro un elenco di nomi di persone e istruzioni : un probabile registro delle tassazioni. L'inizio e la fine del documento sono stati perduti, ma la parte frontale del papiro è comunque importantissima per conoscere la cronologia dell'Egitto tra la I e la XVII Dinastia: fornisce un elenco di dei, semi-dei, re mitici ed umani, Il Presente documento è di proprietà dell’Autore. E’ permesso l’utilizzo per qualsiasi scopo di studio e di divulgazione senza fini di lucro e comunque citando sempre l’autore. Per informazioni contattare r.milani@iol.it o info@egittologia.ne t .
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iscritti in un cartiglio, che secondo la Tradizione hanno regnato sull'Egitto dall'inizio dei tempi presumibilmente fino alla composizione del papiro e accompagnati dal numero di anni del regno e, in alcuni casi anche il numero dei mesi e dei giorni… talvolta un numero talmente alto da sembare inverosimile. Tutti i sovrani sono stati raggruppati insieme logicamente basandosi anche sulle proprie città di residenza. Originariamente l'elenco fu diviso in una serie di colonne o fogli, delle quali oggi ne rimangono 11. Le righe nel documento aumentano progredendo verso le ultime colonne: tale incremento può indicare che lo scriba non avesse più spazio sufficiente per annotare tutti i nomi reali in sole 25 o 26 righe, come all’inizio del documento stesso. Nulla si sa sulle fonti utilizzate dallo scriba. TERZA SALA Vi troviamo la tomba di Iteti, scoperta a Giza nel 1903 da Schiapparelli e qui ricostruita egregiamente, con diverse parti originali. Possiamo vedere il serdab, una camera che ospitava la statua del defunto. In origine i serdab in cui la statua veniva riposta erano inaccessibili e privi di aperture. Vennero dotati in seguito di fessure o fori all'altezza degli occhi, per permettere al defunto che doveva animare la statua stessa di entrare in comunicazione con l'esterno, consentendole di assistere ai riti funebri che si svolgevano negli ambienti attigui e di accedere alle offerte a lui destinate. Dalle foto appese alle pareti della sala si può avere un’idea sulla originaria posizione e l' inquadramento storico e architettonico. Altri reperti risalenti alle prime dinastie completano la raccolta della sala e la panoramica sulla preistoria dell'Egitto.
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SOTTERRANEO
PRIMA SALA Abbiamo già visto che la conservazione del corpo, prima ancora della pratica dell’imbalsamazione, era favorita dal clima caldo e secco del deserto. La sepoltura avveniva in svariati modi, sia a seconda del periodo storico, sia a seconda delle possibilità economiche del defunto e della famiglia. In questa prima sala sono presenti alcuni sarcofagi, di fattura molto semplice, e alcuni vasi, adatti ad una sepoltura in posizione rannicchiata. Il defunto era solitamente accompagnato da una serie di oggetti di uso comune che ne costituivano il corredo.
SECONDA SALA (sala grande) E’ dedicato alle scoperte, ad opera per lo più di Schiapparelli e Farina, durante spedizioni nelle città di Gebelein, Assiut e Qau el-Kebir.
le
Vediamo diversi utensili e stampi per fabbricare mattoni, inoltre possiamo ammirare la ricostruzione di alcune delle tombe trovate nelle necropoli delle due città, con i sarcofaghi e, soprattutto, il corredo che accompagnava il defunto nel suo viaggio verso l'eternità: la barca che lo traghettava verso l'altra vita, il vasellame, i sandali, statuine di schiavi che preparavano la birra, facevano lievitare il pane e altri che dovevano servire il defunto assecondandone le necessità, scriba che amministravano e contavano, costruzioni in miniatura come mulino con sacchi di grano. Insomma ogni necessità terrena si rispecchiava nell’Aldilà. Troviamo anche alcuni sarcofagi finemente dipinti e decorati, con raffigurati gli occhi sul lato in cui veniva a trovarsi la testa del defunto. Spiccano fra tutto, il corredo della tomba di Iti ricomposto su una pelle di mucca nella posizione in cui fu trovato, un frammento di una statua lignea raffigurante il volto di una donna devastato dai tarli ma che lascia ancora intuire la Il Presente documento è di proprietà dell’Autore. E’ permesso l’utilizzo per qualsiasi scopo di studio e di divulgazione senza fini di lucro e comunque citando sempre l’autore. Per informazioni contattare r.milani@iol.it o info@egittologia.ne t .
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bellezza dei colori originali e la pregevole fattura e un bacile votivo in bronzo, ornato con il volto di Hator.
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PRIMA SALA Restaurato e ricomposto nelle sue fattezze originali, possiamo vedere il tempietto di Ellesija, il piu' antico santuario rupestre della Nubia. Situato originariamente sulla riva occidentale del Nilo, quasi al confine dell'Egitto col Sudan, fu fatto scavare da Thutmosi III nel 1430 a.C. a Ellesjia, orientato verso est con le pareti dipinte e decorate a rilievo con scene di riti e offerte. Originariamente era dedicato a Horus, poi successivamente anche ad Amon-Ra e Satet (dea di Elefantina e sposa di Khnum), in epoca cristiana fu in parte distrutto per adibirlo a chiesa. Fu regalato nel 1966 dal Cairo al museo torinese come ringraziamento per la collaborazione durante la costruzione della diga di Asusan. Infatti con la costruzione della diga che diede origine al lago Nasser moltissimi reperti sarebbero stati sommersi dalle acque e distrutti (tra di essi i templi di Abu Simbel). L’Unesco, avvalendosi di una collaborazione internazionale, patrocinò l’opera di salvataggio smontando e ricostruendo in altre sedi diversi monumenti. STATUARIO Le magnifiche statue esposte in queste due sale rappresentano per lo più divinità e il faraone stesso, nello stile tipico dell’arte egizia: la posizione molto statica e rigida, lo sguardo sempre fisso, perso nell’eternità. La figura veniva solitamente rappresentata con una gamba in avanti se la persona cui era dedicata la statua era ancora in vita, invece con entrambe le gambe parallele quando si trattava di un defunto. La maggior parte delle sculture era collocata in templi nei locali accessibili agli addetti al culto o in tombe come le mastabe nel cui serdab, vano privo di aperture, veniva collocata la statua del defunto. Il sovrano, con la sua essenza divina, appariva spesso raffigurato al fianco di altre divinità e con esse adorato, il nome inciso nel cartiglio rendeva viva ed eterna la sua immagine. Il nome aveva un’importanza fondamentale per gli Egizi, più volte i sovrani fecero scalpellare via da statue e monumenti i nomi di altri sovrani per sostituirli coi propri usurpando la proprietà di tali opere e condannando i predecessori all’oblio, quindi alla morte totale (“damnatio memoriae”). I materiali impiegati nelle scultura erano pietre tenere e facilmente lavorabili come i calcari , le arenarie , l'alabastro o pietre dure e pregiate come il granito rosa , la basanite , la quarzite, il porfido rosso. Ecco alcune delle opere esposte: Amenofi II – XVIII dinastia, figlio e successore di Thutmosi III. Il faraone è raffigurato in ginocchio nell'atto di offrire due vasi sferici rituali colmi di vino; spesso statue in questa posizione erano poste nelle tombe allo scopo di perpetuare le preghiere e le offerte alle altre divinità. La statua ha un copricapo detto nemes (nella reltà di lino rigido ) , un serpente sulla fronte , simbolo di potere , detto ureo , una barba Il Presente documento è di proprietà dell’Autore. E’ permesso l’utilizzo per qualsiasi scopo di studio e di divulgazione senza fini di lucro e comunque citando sempre l’autore. Per informazioni contattare r.milani@iol.it o info@egittologia.ne t .
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posticcia (nella realtà di cuoio) legata con due strisce , un corto gonnellino pieghettato. La statua è di granito rosa e proviene da Tebe . Tutankhamon – faraone della XVIII dinastia, reso celebre dalla scoperta della sua tomba da parte di Carter nel 1922: il corredo funerario era pressoché intatto. Qui è raffigurato alla sinistra di Amon , in piedi , raffigurato con una gamba innanzi all'altra ( segno che al momento della realizzazione della scultura il personaggio era in vita) . La divinità, di dimensioni maggiori , è seduta sul trono . Successivamente la scultura venne "usurpata" dal successore Horemheb, che sostitui il cartiglio di Tutankhamon col proprio. Sethi II – faraone della XIX dinastia, figlio di Merenptah, regnò circa 5-6 anni. Il colosso porta sul capo le due corone dell'alto e basso Egitto. In mano ha un sigillo simbolo del potere. Vicino alla spalla presenta una statuina di un faraone rotta. Un piede della statua è in avanti, ciò indica che la statua è stata fatta quando il Faraone era ancora in vita. La statua gemella si trova al museo Louvre di Parigi. Ramesse II – Ramesse il Grande, faraone della XIX dinastia, figlio di Seti I e Tuya… ce ne sarebbe da parlare per ore. In questa magnifica statua, di superba fattura, in basalto o basante nera, indossa un copricapo, probabilmente un elmo da guerra. In mano ha una frusta, simbolo di potere e un flagello. I suoi vestiti, come i sandali, sono molto raffinati ed eseguiti con una tecnica chiamata plissettato. Sotto i suoi piedi sono scolpiti i suoi nemici segno di vittoria e sottomissione. Ai lati della statua, molto più piccoli di Ramesse II (ai suoi lati) troviamo la statuetta della regina Nefertari e di suo figlio (riconoscibile dalla particolare acconciatura intrecciata da un lato, tipica dell’età giovanile), probabilmente il successore Merenptah. Ramesse II è rappresentato in un'altra scultura, dove siede affiancato dalle divinità Amon e Mut. Tuthmosi III – Faraone dell XVIII dinastia. Salito al trono dopo la morte di Tuthmosi II, ma troppo giovane per governare, gli fu correggente la Grande Sposa Reale Hatshepsut che ben presto si appropriò totalmente del trono mettendolo Tuthmosi IIIin disparte. Egli si riappropriò del trono solo alla morte della regina-faraone odiandola a tal punto da attuarne una “damnatio-memoriae” e cancellando il nome di lei da ogni monumento.
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Seckhmet – la “Potente”, divinità guerriera, simbolo di forza e distruzione, raffigurata come donna dalla testa leonina con in capo il disco solare, era ritenuta la responsabile delle epidemie e come tale era anche in grado di proteggere da esse o di combatterle, pertanto i suoi sacerdoti potevano essere assimilati ai nostri medici. Alcune di queste statue erano sistemate nei cortili dei templi , spesso in grande numero, eseguite per il pubblico . Altre erano invece quelle dedicate al culto , nascoste ai fedeli e visibili solo al sommo sacerdote. Una di queste statue è di granito grigio e proviene dal tempio di Mut a Karnak.
Ptah - Compagno della dea Sekhmet, divinità creatrice venerata a Menfi. E'raffigurato in modo stilizzato, a forma di mummia, ha un copricapo aderente , una barba posticcia, una ricca collana, due bracciali e, in mano, uno scettro con due croci "ansate" simbolo della vita . E' in piedi sopra un supporto a forma di stele . Questa statua fu fatta costruire in basante per ordine di Amenofi III.
Sarcofago di Nefertari – Ne resta il coperchio in granito rosa, ricomposto grazie ai frammenti ritrovati. Su di esso si intravede la dea celeste Nut pronta ad accogliere la Regina che così pregava la Dea: <<Scendi madre mia, Nut distenditi su di me, cosicché tu possa accogliermi tra le stelle imperiture che sono in te, cosicché io non muoia>>
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PRIMO PIANO
PRIMA SALA La morte, secondo gli Egizi determinava la separazione degli elementi che costituivano l'individuo, la condizione per conservare uno di questi, il Ka, o forza vitale, era che il corpo rimanesse intatto. Inizialmente, ottennero questo risultato seppellendo i defunti nella sabbia, poi, i cambiamenti nei costumi funerari spinsero gli Egizi a trovare un nuovo metodo per preservare il corpo dalla decompostone. Le notizie sulle tecniche di mummificazione le abbiamo già da Erodoto che descrisse le tre diverse tecniche utilizzate: dai processi più sommari consistenti in semplici lavaggi con liquidi corrosivi fino ad una mummificazione completa e ben fatta, ma costosa che quindi solo persone abbienti potevano permettersi.
Approfondimento: LA MUMMIFICAZIONE La procedura faceva parte di un importante rituale operato dei sacerdoti di Ut. La salma, dopo un breve periodo di lutto (forse 1-2 giorni), veniva trasportata nel locale adibito alla mummificazione, Con un uncino ricurvo introdotto nel naso venivano sfondate alcune lamine ossee e membranose fino a giungere in comunicazione con la cavità cranica. Così il cervello macerato veniva estratto. Veniva poi tracciata con un pennello una linea sul fianco sinistro del corpo, e con una pietra tagliente, probabilmente Ossidiana veniva praticata un’incisione tramite cui venivano estratti i visceri viscere (non toglievano il cuore, che doveva accompagnare il corpo nell' aldilà, e i reni, ai quali probabilmente era difficile accedere). Questi venivano con sostanze aromatiche e deposti nei vasi canopo, vasi raffiguranti i 4 figli di Horus: il fegato per Hamset, i polmoni in Hapi, lo stomaco dento Duamutef e il resto in Khebesenuef. Dopodichè lasciavano il corpo nel natron, miscela di solfato e di carbonato di sodio, per 36 giorni, che disidrata i tessuti ed elimina i grassi, facendo perdere così al corpo l' ottanta per cento del suo peso. Dopo essere rimasto immerso o coperto da questa sostanza (poiché probabilmente era un trattamento a “secco”), del corpo rimanevano soltanto le ossa e la pelle, il corpo veniva così riempito di stoffa, segatura, e spezie varie. Lavavano poi il corpo e lo massaggiavano con profumi e olii e lo cospargevano di incenso, per restituire alla pelle la sua elasticità e la sua lucentezza, ogni olio era conservato in un recipiente di alabastro con indicato il tipo di contenuto, poichè ogni parte del corpo richiedeva l' impiego di un unguento specifico. essere bendato con strisce di il lino (il migliore era quello di Sais), mentre venivano recitate preghiere.
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Il bendaggio poteva essere anche molto ricercato con intrecci atti a comporre disegni geometrici o poliedri e tra i vari strati venivano posti oggetto e amuleti a protezione del defunto. Il più noto forse è lo scarabeo del cuore. Si cominciava col bendare ciascun dito singolarmente, poi gli arti, la testa e, infine tutto il corpo. Le braccia erano poste ai lati del corpo, con gli avambracci incrociati sul petto o sull' addome. Terminata l' operazione, il sacerdote versava resina sulle bende e poneva una maschera sulla testa del defunto. La salma veniva deposta in un sarcofago e consegnata ai parenti. Ponevano infine due sfere nei globi oculari, a simulazione degli occhi, e chiudevano l'incisione praticata sul fianco con una placca di metallo (solitamente d’oro). Ogni orifizio veniva chiuso con dei tamponi di lino e resina. A questo punto il corpo era pronto per Nella vetrina centrale si vedono i corpi mummificati di tre sorelle, i cui nomi sono Topina, Gattina e Buon Anno, dentro ai loro sarcofagi interamente decorati con pitture e disegni; il corpo centrale ha il viso scoperto e si possono vedere il volto e i capelli di questa fanciulla. Gli scienziati inizialmente sbendavano le mummie per studiarle e per accedere agli oggetti interposti tra le bende, oggi per mantenerle intatte e impedire il deterioramento utilizzano radiografie e tac. All'interno delle tombe delle persone più facoltose, venivano spesso deposte delle statuine raffiguranti dei lavoratori (ushabti), solitamente 360 come i giorni dell'anno egiziano: ogni statuina doveva lavorare un giorno all'anno, al posto del defunto. Era solitamente presente anche qualche papiro con dei capitoli del "Libri dei morti" contenente inni o preghiere; la più rappresentata rappresentate è la cosiddetta “psicostasia”, la "pesatura dell’anima": il defunto, accompagnato al cospetto di Osiride pronuncia una confessione negativa “Non ho detto detto il falso, Non ho commesso razzie Non ho commesso furti Non ho ucciso uomini Non ho commesso ingiustizie Non ho sottratto offerte al dio Non ho detto menzogne […]”
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e sottopone al giudizio del tribunale celeste il proprio cuore che viene pesato e comparato con la piuma di Maat: se il cuore pesava di più della statuetta il defunto veniva divorato dalla “Divoratrice” subendo una seconda morte, se il cuore sulla bilancia era in equilibrio con la piuma di Maat allora il defunto, giudicato “giusto di voce” poteva passare nella vita dell'aldilà. Il dio Thot trascriveva il giudizio. SECONDA SALA Questa sala lunga e stretta è dedicata a Deir el-Medina, località il cui nome odierno significa “Il convento della città” per la presenza in epoca copta di un convento. Il villaggio cinto da mura fu fondato da Thutmosi I e fu abitato fino a quando l’ultimo faraone, Ramesse XI fu sepolto nella Valle dei Re. La necropoli ad esso annessa ospitava artisti, scultori, pittori, scribi e operai impegnati nella costruzione e decorazione le tombe della Valle dei Re e delle Regine. L’importanza di questo sito archeologico è legata al fatto che fornisce molte informazioni relative alla vita della gente comune, i loro usi e costumi, il loro modo di vivere. La casa-tipo era costruita in mattoni crudi e paglia ed era costituita da 4 stanze una in fila all’altra. L’ultima stanza era la cucina, e, interrata, una dispensa. Sul lato sinistro della stanza c’è l’ingresso a stanze accessorie quali la “tomba di Ignoti” la nicchia contenente la stele di Maya con la riproduzione del contesto in cui originariamente era inserita. Approfondimento: TECNICHE DELL’AFFRESCO Una volta scavata la stanza, prima di eseguire i dipinti venivano preparate le pareti con un intonaco a base di paglia e fango oppure roccia sminuzzata e gesso. Asciutto il medesimo veniva effettuato un primo schizzo dell'immagine con inchiostro rosso, solitamente si trattava di divinità, di famigliari, o scene di vita vissuta; successivamente interveniva il maestro per apportare correzioni e modifiche e definire le immagini con il colore nero. Si passava poi al colore, generalmente di origine vegetale misto ad una gomma anch’essa vegetale solubile in acqua che fungeva da legante. Se il substrato di roccia lo permetteva talvolta gli scultori sbalzavano le immagini. Le caratteristiche generali erano le medesime: Proporzioni legate all' importanza del soggetto. Colore della pelle legato alla posizione sociale del soggetto. Ad esempio i maschi, gli schiavi e le schiave, cioè quelli che andavano in guerra e che si "sporcavano", avevano la pelle scura; mentre le donne che stavano in casa erano rappresentate con la pelle più chiara. I geroglifici che si riferiscono ad un determinato personaggio sono raffigurati nello stesso verso del personaggio
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Ogni immagine riporta quasi come se fosse una didascalia in geroglifici la spiegazione delle scene dipinte e le varie scene sono separate tra loro con una riga che indica lo stacco dei piani di rappresentazione. Questi affreschi, per essere fisicamente spostati sono stati staccati dalla loro base originaria con una tecnica chiamata "a filo", che consiste nel posizionare un filo tagliente dietro gli affreschi e asportare gli stessi assieme ad alcuni centimetri del supporto originale in muratura.
TOMBA DI KHA La tomba di Kha, architetto e “capo dei lavori” della necropoli al servizio del faraone Amnofi III, e di sua moglie Merit fu ritrovata a nord di Deir el-Medina, nel 1906 da Schiapparelli. La camera funeraria scavata nella roccia racchiudeva i sarcofagi e il corredo intatti. Qui sono esposti, per volere di Schiapparelli stesso, rispettando la loro collocazione originale. Oltre al sarcofago di Kha ornato di decorazioni d'oro e fatto di legno di cedro e a quello più semplice di Merit, vediamo molti oggetti d'uso quotidiano come: letti, poggiatesta, sgabelli, i vasi canopi, tuniche e vesti di lino, contenitori con biancheria, e addirittura del cibo fossilizzato: varie specie di pane, olive, aglio… inoltre una elegante sedia decorata con una statuetta raffigurante Kha appoggiata sopra. Da notare anche gli oggetti del mestiere appartenuti a Kha, in particolare due cubiti (unità di misura pari a cm. 52,5) il primo in legno di acacia e ripiegabile fu trovato in un astuccio di pelle rossa con una piccola cinghia per poterlo appendere alla cintura, il secondo, ricoperto in lamina d’oro e recanre alcune iscrizioni, fu un dono del sovrano.
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Gli articoli di www.Egittologia.net Il museo Egizio di Torino (Itinerario)
Chantal Milani
Prima di Kha nella stessa tomba fu sepolta sua moglie Merit di cui troviamo gioielli, oggetti per il trucco, vestiti e la sua parrucca: tutti i suoi oggetti d'uso quotidiano che potevano servire nella vita ultraterrena. Caratteristica è una piccola scacchiera del Senet : un gioco per due giocatori. Il numero dei pezzi ritrovati per ogni gioco varia solitamente da 5 a 10 per giocatore con 5 bastoncini il cui lancio stabiliva i movimenti possibili dei pezzi. Sulla parete della stanza, in alto, conservato con il Libro dei Morti.
possiamo vedere un lungo papiro perfettamente
TERZA SALA E’ dedicata agli scribi a alla collezione dei papiri. Si parte dall’insieme degli oggetti da scriba come gli astucci e le tavolozze, ai bozzetti su tavolette di calcare fino ai papiri di cui il Museo ne custodisce diversi tra cui: •
il papiro dello sciopero: scritto in ieratico dallo scriba Amonnakht parla dello sciopero da parte dei lavoratori di Deir el-Medina all’epoca di RamesseIII. <<Anno 29, secondo mese del’inverno, giorno 10. In questo giorno la squadra è passata per i cinque posti di controllo della necropoli dicendo “Abbiamo fame!”. Di questo mese sono già trascorsi 18 giorni e gli uomini andarono a sedersi sul retro del tempio funerario di Menkheperra” […]>> Pare che i granai dello stato fossero vuoti e, nonostante l’intervento del visir To che riuscì a dare agli operai metà delle razioni dovute, la situazione, e quindi le proteste, non migliorò.
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il papiro della divinazione: appartenente un manuale che descriveva la lecanomanzia, l’arte di leggere il futuro attraverso le forme ottenute, in questo caso, da dall’olio versato nell’acqua. Come in un altro famoso papiro sull’interpretazione dei sogni, conservato al British Museum, anche qui il responso fausto veniva contrassegnato dal segno nfr
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Chantal Milani
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gli insegnamenti di Ptahhotep: pochi frammenti che permettono di ricostruire il prologo dell’insegnamento di Ptahhotep, visir sotto il regno di Isesi, penultimo faraone della V dinastia.
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il papiro satirico-erotico: illustra in modo divertente animali in atteggiamento umano e alcune scene erotiche.
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il papiro giudiziario: in esso troviamo gli atti del processo a carico dei congiunti del faraone Ramesse III colpevoli di averlo assassinato.
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il papiro della Tomba di Ramesse IV: è la planimetria della tomba del faraone Ramesse IV scavara nella Valle dei Re.
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il pairo delle cave: è una mappa delle miniere d’oro dello Wadi hammamat.
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lettera tra scribi: questo piccolo papiro che ci è giunto quasi completo è una lettera tra due scribi. E’rapporto dell’incontro con un superiore.
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la canzone del sicomoro: papiro contenente una lirica d’amore. Approfondimento: OSTRAKON DELLA DANZATRICE
Calcare dipinto risalente alle XIX dinastia e contesto sconosciuto, originariamente apparteneva alla collezione Dovretti. Non si sa molto di questo semplice oggetto, ma la sua delicata bellezza parla da sé. Così ricco di dettagli forse non era solo un bozzetto come la maggior parte degli ostraka presenti qui. La posa flessuosa, l’incarnato, le ciocche dei lunghi capelli rese una ad una, il tessuto decorato che le cinge la vita, la semplicità dell’insieme, a mio parere fanno della “danzatrice”, uno dei personaggi (perché così io la vedo, non solo un “oggetto”) più affascinanti del Museo.
QUARTA SALA Questa sala è dedicata in gran parte a Nefertari, sposa di Ramesse II. La sua tomba fu scoperta, purtroppo devastata e saccheggiata dai ladri, nella Valle delle Regine dalla Missione Archeologica Italiana diretta da Schiapparelli nel 1904. Le pareti magnificamente dipinte nei toni del giallo, del rosso, dell’ azzurro e del verde oltre che del bianco e del nero offrono uno spettacolo incantevole anche solo se ammirate in una piccola ma fedele riproduzione fatta eseguire da Schiapparelli stesso.
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Chantal Milani
Oltre al coperchio del sarcofago ricomposto nello Statuario al piano terra, resta molto poco del corredo funerario della Regina: tra gli oggetti ritrovati spiccano alcuni Ushabti in legno di sicomoro e un finissimo amuleto in legno dorato e faience azzurra a forma di pilastro Djed, simbolo di stabilità e durata. Quest’ultimo amuleto, originariamente occultato in una nicchia nella sala dove originariamente era collocato il sarcofago, faceva parte, assieme ad altri tre amuleti scomparsi, di un rituale citato anche nel Libro dei Morti. Posti ognuno in corrispondenza di un punto cardinale sevivano ad allontanare i “nemici di Osiride”.
BIBLIOGRAFIA, FONTI E RINGRAZIAMENTI “Gli artisti del Faraone” – catalogo curato da Guillemette Andreu e Anna Maria Donadoni Roveri. – Electa “Nefertari, luce d’Egitto” – guida alla mostra – Viviani Editore “Guida ai geroglifici” – Alberto Elli – Avallardi “Egitto. Tempi, uomini e dei” – Alberto Siliotti – White Star “L’Egitto dei Faraoni” di Emilio Mariani - www.pegacity.it/utopia/egitto/default.html “Antico Egitto di Iside” di Sabrina Bologni - www.anticoegitto.net Egittologia.net - www.egittologia.net Ringrazio per l’aiuto, le correzioni e i consigli: Gilberto S., Marcello G., Paolo B., Augusto D., Luisa Ferrero, Rolando e Grazia M. … e Dimitri per la pazienza. Autore: Chantal Milani
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