LA STELE DELLA FIGLIA DI CHEOPE DI FEDERICA BATTAGLIA

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I Saggi di Harmakis 41

LA STELE della FIGLIA di CHEOPE FEDERICA BATTAGLIA


© Tutti i diritti riservati alla Harmakis Edizioni Divisione S.E.A. Servizi Editoriali Avanzati, Sede Legale in Via Volga, 44 - 52025 Montevarchi (AR) Sede Operativa, la medesima sopra citata. Direttore Editoriale Paola Agnolucci www.harmakisedizioni.org info@harmakisedizioni.org I fatti e le opinioni riportate in questo libro impegnano esclusivamente l’Autore. Possono essere pubblicati nell’Opera varie informazioni, comunque di pubblico dominio, salvo dove diversamente specificato. ISBN: 978-88-85519-17-6 Finito di stampare Settembre 2017 © Impaginazione ed elaborazione grafica: Sara Barbagli


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INTRODUZIONE La stele della figlia di Cheope, altrimenti nota come stele dell’inventario o Cairo JE2091, è un’epigrafe, apparentemente commemorativa, che ha sempre scatenato una certa curiosità ed interesse nel mondo dell’archeologia e non. Inizialmente, a suscitare tanto entusiasmo fu la lettura di parte della titolatura del sovrano Cheope, incisa in alto nella cornice dell’iscrizione. Attestazioni recanti il nominativo di questo celebre faraone della IV dinastia (2575 a.C. – 2450 a.C. circa) sono piuttosto rare, e quando i primi egittologi si trovarono di fronte a questa epigrafe, pensarono di avere tra le mani un reperto autentico dell’Antico Regno (2575 a.C. – 2125 a.C. circa). A ritrovarla fu il celebre egittologo francese Auguste Mariette, nel 1858. Si trovava nella piana di Giza per operare diversi lavori di scavo. Per la precisione, la stele fu rivenuta all’interno di una delle tre piramidi secondarie site a sud-est della Grande Piramide. Tuttavia, il reperto non faceva parte del corredo della piramide, ma bensì di un santuario edificato al suo interno, appartenente ad un’epoca ben posteriore. Questa struttura è ora nota come il tempio di Iside, ed è l’oggetto principale del testo dell’epigrafe. La denominazione stele dell’inventario deriva, infatti, da una lista di statue ed emblemi votivi che dovevano fare parte del corredo del tempio e che l’iscrizione ci riporta, con tanto di raffigurazioni e legende. La costruzione templare è stata presa in analisi e studiata, in modo da poter contestualizzare il luogo del ritrovamento della stele, ricerca preliminare utile, di conseguenza, anche per cercare di attribuirne una datazione.1 1. Reisner 1912, pp. 4-13


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Dopo aver analizzato con cura il contesto di ritrovamento della stele, si può analizzare il reperto in sé, dal punto di vista epigrafico, stilistico e formale. La stele è in pietra calcarea, di forma rettangolare, le sue dimensioni sono 70 cm di altezza e 42 cm di larghezza. Il testo è diviso in due parti principali, nella cornice vi è una sorta di iscrizione introduttiva, che riporta parte della titolatura di Cheope, mentre nel pannello centrale figura l’inventario vero e proprio. Il motivo principale della fama di questo manufatto è dovuto alla controversia che è scaturita sulla sua veridicità storica. Questo poiché nel testo vengono riportate varie iniziative evergetiche che Cheope avrebbe operato presso Giza, tra le quali figurerebbe il restauro parziale della Sfinge.2 All’interno dello stesso mondo dell’egittologia, tuttora non c’è chiarezza in merito, tanto è che non si è ancora giunti ad un accordo unanime sulla questione. Da una parte vi sono studiosi che dichiarano la stele un banale falso storico privo di importanza, dall’altra chi cerca di valutare con obiettività il valore del reperto, sostenendo che riporta in ogni caso molte informazioni interessanti sulla Sfinge stessa, sulla topografia della piana di Giza e sullo sviluppo dei culti di Iside e di Horon-Horemakhet. In fondo, il mestiere dell’archeologo consiste nell’interpretare le vestigia del passato per dare loro un significato e carpirne valore e funzionalità. Indagare, investigare e scoprire sono parole chiave in questa professione. Come fa notare Carandini3, l’archeologo si dimostra simile ad un investigatore sotto certi aspetti, facendo un parallelismo romanzesco con l’acuto protagonista delle opere di Doyle: “Il metodo analitico deduttivo di Sherlock Holmes somiglia molto a quello della ricerca archeologica. Anche l’archeologo insegue il ≪libro della vita≫ e cerca di raggiungere tassi sempre più 2. Hassan 1953, pp. 113-116 3. Carandini 2010, pp. 256-257


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alti di scientificità.” Ed è proprio questo, a mio parere, il fascino dell’archeologia. Con l’avanzare del tempo si evolve, si sviluppa e amplia le proprie metodologie, collaborando con altre discipline, per aumentare e progredire il livello di conoscenza e cercare di divulgarla il più possibile.


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CAPITOLO I. STORIA E LUOGO DEL RITROVAMENTO DELLA STELE LA PIRAMIDE G1-C La stele in questione fu rinvenuta dall’egittologo francese Auguste Mariette nel 1858 all’interno della piramide G1-c nella piana di Giza. Si tratta di una delle tre piramidi secondarie che si trovano immediatamente a sud-est della Grande Piramide. Queste piramidi, catalogate da Reisner come G1-a, G1-b e G1-c (fig.1 pag. 95), vengono generalmente riconosciute come appartenenti alle regine. Sono molto simili tra lor per dimensioni e concezione. La piramide G1-a, la più a nord delle tre, viene attribuita alla regina Hetepheres I, moglie di Snefru e madre di Cheope. La piramide G1-b sarebbe invece dedicata a Meretites, probabilmente figlia di Snefru e una delle mogli più anziane di Cheope4. Il nucleo di questi complessi piramidali, originariamente a tre o forse a quattro gradoni, è costruito con pietra calcarea gialla-grigiastra. Sfortunatamente, si sono mantenuti solo pochi resti del rivestimento murario. L’ingresso è ubicato nella parete nord, poco sopra la base. Il corridoio discendente termina in una piccola camera funeraria, circa al centro della base delle piramidi. Non è stato rinvenuto nessun sarcofago. Dei templi funerari, originariamente ubicati nella parete est, non rimangono che pochi resti. A sud delle piramidi G1-a e G1-b sono state trovate delle fosse per il sotterramento di un’imbarcazione, delle quali però non si è conservata nessuna traccia. 4. Dodson e Hilton 2004, pp. 57-60


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La piramide G1-c (fig. 2 pag. 96) riscontra, invece, diverse differenze rispetto alle altre due. È attribuita, come vedremo in seguito, anche sulla base del testo della stele della figlia di Cheope, alla regina Henutsen. Secondo Reisner5, che vi scavò negli anni ’20 del XX secolo, il paramento di questa costruzione rimase incompiuto. L’architettura della piramide G1-c imita sotto molto aspetti quella delle due precedenti, tuttavia manca la fossa per l’imbarcazione ed essa non è perfettamente allineata con le altre. Ma le differenze più evidenti riguardano il tempio funerario. Questo pare sia stato costruito in fretta, con mattoni di argilla, in un lasso di tempo di poco posteriore rispetto alla G1-a e G1-b, il cui nucleo sembra essere stato costruito all’incirca nello stesso periodo, ovvero sotto il regno del faraone Cheope (2545 a.C. – 2525 a.C. circa). Parrebbe che la piramide G1-c, invece, non facesse parte del progetto originario del complesso di questo faraone: il suo lato sud non segue quello della Grande Piramide, come ci si aspetterebbe nel caso di una concezione unitaria, ma il lato meridionale della vicina doppia mastaba G 7130-71406. Questa mastaba apparterrebbe al principe Khafkhufu, nome con il quale era conosciuto Chefren prima di diventare re e chiamarsi in tal modo. Si dovrebbe dunque considerare quest’ultimo il costruttore della piramide, il quale l’avrebbe fatta erigere dopo la sua incoronazione, quando la regina Henutsen salì al rango di regina madre.7 Le ricerche archeologiche sembrerebbero dimostrare che il tempio funerario, già ridotto in rovine alla fine del Medio Regno (2010 a.C. – 1630 a.C. circa), fu ricostruito ed ampliato durante la XVIII dinastia. Esso subì un’ulteriore trasformazione tra la XXI e la XXVI dinastia, per svolgere la funzione di luogo di culto della 5. Reisner 1942, pag. 18 6. Janosi 1992, pp. 51-57 7. Stadelmann 1997, pp. 123-124


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dea Iside8. Su tale tempio, nel quale è stata rinvenuta la stele della figlia di Cheope, si è a lungo discusso. Fin dalla sua scoperta, che risale a metà del XIX secolo, vi sono state molteplici controversie sulla sua datazione. Archeologi ed egittologi di grossa fama hanno a lungo dibattuto sulla sua cronologia, riportando inizialmente posizioni molto diverse. Tali divergenze di opinione sono scaturite in seguito alla decifrazione della stele della figlia di Cheope. Vi viene infatti dichiarato che questo faraone, trovando il tempio di Iside in rovina, decise di restaurarlo e di costruire la sua piramide e quella di Henutsen nei pressi del tempio. Nella stele vengono elencate anche una serie di statue e monumenti che Cheope si sarebbe preoccupato di restaurare, tra i quali figurerebbe anche la Sfinge. Questo ha dato credito a non poche speculazioni da parte di profani della materia e diffuso considerazioni poco verosimili sulla datazione dell’intera necropoli di Giza. CONTROVERSIA SULLA DATAZIONE DEL TEMPIO DI ISIDE Partendo dal principio della sua scoperta nella prima metà dell’Ottocento fino ad arrivare ai giorni odierni, possiamo ora, dati alla mano, cercare di risalire ad una cronologia plausibile del tempio di Iside e della stele, chiarendo come mai vi siano state posizioni differenti al riguardo tra i più accreditati egittologi del XIX e XX secolo. I primi a svolgere delle operazioni di scavo archeologico nell’area della piramide di Henutsen, catalogata da loro come piramide No. 9, furono gli inglesi Howard-Vyse e Perring, negli anni 1837-1838. Riuscirono a trovare l’ingresso, celato sotto sabbia e macerie, che 8. Verner 2002, pp. 191-198


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si trovava poco sopra la base: “The entrance into the Ninth Pyramid was concealed under a heap of sand and of loose stones. It was about two feet six inches above the base, and five feet eastward of the centre in the northern front of the building, and descended at an angle of twenty-eight.9” L’entrata della Piramide 9 era nascosta sotto un cumulo di sabbia e pietre. Si trovava nella facciata nord dell’edificio, a circa 2 piedi e 6 pollici sopra la base e a 5 piedi a est dal centro, e si inclinava con un angolo di 28°. Riuscirono in seguito ad entrarvi e studiarne l’architettura: “I endeavoured to examine the interior of the Ninth Pyramid; but it was so full of sand and of rubbish that the candles would not burn. It was afterwards found, like the others, to contain an anteroom, connected by an inner passage with a sepulchral chamber, which had been lined and roofed with slabs one foot thick. The walling had been destroyed, and the place was full of rubbish, but no traces of a sarcophagus were discovered10”. Ho tentato di esaminare l’interno della Piramide 9; ma era così ricolma di sabbia e detriti che le candele non riuscivano a bruciare. In seguito è stato scoperto che, come le altre, conteneva un’anticamera, connessa da un passaggio interno alla camera funeraria, la quale era stata ricoperta e rivestita di un soffitto con lastre spesse un piede. I muri erano stati distrutti e il posto era pieno di detriti, ma non è stata rinvenuta alcuna traccia del sarcofago. Per ora dunque, il tempio di Iside propriamente detto resta ancora celato e non individuato. Vengono abbozzati i primi disegni della sua architettura e del suo contesto, purtroppo ancora grossolani e poco dettagliati. 9. Vyse e Perring 1840, pp. 69 10. Vyse e Perring 1840, pp. 69-70


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