Una foglia sbattuta dal vento

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Persone e pensieri Una foglia sbattuta dal vento Lettere dal fronte di Sandro Locatelli ai familiari (20 giugno 1917 - 19 settembre 1918) Secondo tomo

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Persone e pensieri

Una foglia sbattuta dal vento Lettere dal fronte di Sandro Locatelli ai familiari (20 giugno 1917 - 19 settembre 1918)

Secondo tomo

Centro Studi Valle Imagna 3


Persone e pensieri Collana di poesie, racconti e testimonianze locali Numero 28 Una foglia sbattuta dal vento Lettere dal fronte di Sandro Locatelli ai familiari (20 giugno 1917 - 19 settembre 1918) a cura di Antonio Carminati Direzione editoriale Alessandro Ubertazzi Giorgio Locatelli Antonio Carminati Coordinamento editoriale Antonio Carminati Trascrizione delle lettere Giorgio Locatelli Copyright Centro Studi Valle Imagna ISBN 978-88-6417-***** Stampa Grafica Monti, Bergamo 2015 In copertina: ********* 4


Questa ricerca nasce dal programma di sviluppo rurale denominato Social Service Cà Berizzi - Centro di animazione culturale e di promozione dell’accoglienza nello spazio rurale, attivato dal Centro Studi Valle Imagna grazie al sostegno di Fondazione Cariplo, Fondazione Banca Popolare di Bergamo, Fondazione Credito Bergamasco, Fondazione Istituti Educativi di Bergamo, Consorzio del Bacino Imbrifero Montano del Lago di Como e dei fiumi Brembo e Serio, Comunità Montana Valle Imagna.

COMUNE DI CORNA IMAGNA

PROVINCIA DI BERGAMO

Questo volume è stato pubblicato dal Centro Studi Valle Imagna nel centenario dell’inizio della Grande Guerra (1915-2015) in collaborazione con il Gruppo Alpini di Corna Imagna. Un sincero ringraziamento va a Maria Grazia e Giorgio Locatelli, figli di Sandro Locatelli, per avere autorizzato e sostenuto la pubblicazione del presente epistolario. Siamo altresì grati alla famiglia dell’ing. Giancarlo Pesenti per aver fornito una parte del materiale iconografico pubblicato in questo volume.

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Il mondo di ieri esiste solo quando qualcuno lo ricorda oggi Juan Villoro

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Sommario

A mio padre, che ho amato tantissimo Giorgio Locatelli La guerra di Sandro Antonio Carminati

Lettere dal fronte ai familiari (20 giugno 1917 - 19 settembre 1918) Sandro Locatelli

Elenco in ordine cronologico delle missive pubblicate nei due volumi Pubblicazioni del Centro Studi Valle Imagna sulla Grande Guerra 9


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A mio padre, che ho amato tantissimo

Avevo poco più di dodici anni quando mio padre morì per un aneorisma alla vena aorta. Mi mancò molto e feci di tutto, da ragazzo, per tenerlo in vita nella mia memoria. Qualsiasi cosa facessi di importante per me, immancabilmente pensavo e lui e ogni volta mi chiedevo se avesse approvato il mio operato. Questo modo di operare mi ha aiutato molto nel tempo. I primi anni sono stati davvero difficili. La sua passione per le motociclette e le automobili me la trasmise in modo totale. Era un uomo pratico, sincero, corretto e, se poteva, aiutava tutti. Il suo studio notarile si trovava a Porta Nuova, in un’ala dell’attuale banca Credito Bergamasco, che allora si chiamava “Piccolo Credito Bergamasco”, di cui il nonno Giuseppe era stato Presidente. Il papà era stato nonimato primo notaio in Bergamo e per la quantità e per la qualità del lavoro svolto. Da piccolo, a volte, andavo a trovarlo con la mamma nel suo ufficio, dove c’erano sempre persone e un gran movimento di gente. Il suo era uno dei primi studi associati in Bergamo. Ricordo che, dopo la morte del notaio Giuseppe Personeni, del notaio Volpi e del nonno Giuseppe, il papà si era dovuto accollare anche tutte le loro pratiche, per onorare gli impegni di parenti, amici, colleghi e clienti. Il giovedì, però, lo dedicava alla sua Valle Imagna. A Sant’Omobono era giorno di mercato e vi era sempre molta gente in quel suo studio, di proprietà della famiglia Frosio, dove, oltre a rogare atti, il papà dispensava consigli e, all’occorrenza, di fronte a situazioni di evidente necessità, non rimaneva insensibile e aiutava concretamente le persone. Ringrazio tutte le persone che hanno contribuito alla realizzazione di questo libro, in modo particolare Antonio Carminati, che l’ha fortemente voluto. Giorgio Locatelli 11


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La guerra di Sandro

La ricomposizione dell’epistolario di guerra di Sandro Locatelli Sono trascorsi circa sei anni da quando, nel mese di marzo 2009, abbiamo dato alle stampe la prima parte dell’epistolario del soldato portaordini nella Grande Guerra Sandro Locatelli (classe 1898): le ottantaquattro missive proposte (dal 28 marzo 1917 al 26 giugno 1918) erano state oggetto di studio e approfondimento in occasione della celebrazione del novantesimo anniversario della fine della Prima Guerra Mondiale e la relativa pubblicazione1 venne felicemente realizzata in collaborazione con il Museo di Caporetto, il Museo della Guerra Bianca in Adamello, il Parco della Guerra Bianca dallo Stelvio al Garda e il Gruppo Alpini di Corna Imagna, che nel lontano 1932 proprio il notaio Sandro Locatelli aveva contribuito a fondare.2 Il volume, oltre a riportare in ordine cronologico la corrispondenza del nostro soldato mobilitato, arricchita da copiose note di approfondimento, offriva alcuni importanti contributi utili, anzi necessari per cogliere la dimensione familiare e storica delle situazioni e degli eventi narrati. Mentre il curatore ha messo in luce la genesi dell’epistolario e i suoi caratteri intrinseci, in riferimento soprattutto alla relazione a distanza tra il giovane studente al fronte e i suoi genitori rimasti a Bergamo, il professore Gabriele Calvi ha collocato il nostro soldato dentro le vicende della Grande Guerra, agganciando quindi la sua vita quotidiana ai fatti salienti che hanno segnato le tappe principali del conflitto bellico; così pure Zelijco Cimpric (direttore del Museo di Caporetto) ha ricostruito alcuni spostamenti di Sandro e del suo reparto operativo nella zona di Caporetto, sulle montagne e nelle valli circostanti, al di qua e al di là dell’Isonzo; infine, non per ultimo, il professore Costantino Locatelli ha tracciato un profilo personale del giovane studente prestato alla guerra, ma appena diciottenne già assertore convinto dei valori patri.

1 Antonio Carminati (a cura di), Sandro Locatelli. Una foglia sbattuta dal vento, Edizioni Centro Studi Valle Imagna, Sant’Omobono Terme, 2009, pp. 242. 2 Lo Scarpone Orobico, anni V, n. 8 agosto 1933 e n. 12 dicembre 1933.

Sandro Locatelli nella Grande Guerra.

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Quel corpo principale di corrispondenza era stato ripartito in tre periodi principali: 1. Le quattordici lettere iniziali (la prima datata 28 marzo 1917 e l’ultima 13 giugno 1917) riferite alla fase di avviamento alla guerra: Sandro si trovava allora a Monza, nella caserma San Paolo, per seguire un periodo di addestramento militare. 2. Le quarantotto lettere centrali (XV-LXII, la prima datata 21 giugno 1917 e l’ultima 23 ottobre 1917) riguardano la sua prima esperienza di guerra sul fronte dell’Alto Isonzo, nel settore di Tolmino, Caporetto e Monte Nero, dove Sandro ha svolto il servizio di soldato portaordini motociclista in una Sezione di Sanità. Era giunto in territorio dichiarato in stato di guerra il 19 giugno 1917. 3. Le ventidue missive finali, invece, la prima datata 7 aprile 1918 e l’ultima 26 giugno 1918 documentano la ripresa dell’attività militare di Sandro nel 60° Raggruppamento Artiglieria d’Assedio sulla linea di fronte dallo Stelvio al Garda, e precisamente nelle zone di Ledro, Monte Tremalzo, Bezzecca, Storo, Rocca d’Anfo, nelle Giudicarie. Nella fase di studio di tale epistolario era stato subito rilevato il fatto che dal 23 ottobre 1917, la vigilia della cruenta battaglia di Caporetto, sino al 7 aprile 1918 si era creato un vuoto che, sebbene giustificato nelle prime settimane successive allo sfondamento delle truppe austriache sull’Isonzo, non si spiegava per i mesi successivi. Era evidente che un gruppo di lettere pareva irrimediabilmente perduto. Come del resto è avvenuto per una notevole mole di materiale documentario (fotografie, diari, lettere, cartoline, memoriali,…) andato perduto per sempre in questi successivi cento anni, oppure dimenticato in qualche cassetto di armadi, credenze o bauli impolverati sui solai delle vecchie case rimaste chiuse per decenni. Invece, nella fattispecie in esame, non è stato così e Giorgio Locatelli, figlio del nostro soldato portaordini, ha riportato alla luce e consegnato alla Storia un secondo ritrovamento epistolare, rimasto per così dire “sepolto” nel prezioso e ricco giacimento librario della biblioteca di famiglia. Si tratta di altre centoventotto tra lettere e cartoline di Sandro Locatelli dal fronte della Grande Guerra, le quali consentono di colmare almeno in parte alcune lacune emerse nella prima stesura dell’epistolario, soprattutto nei mesi successivi alla Disfatta di Caporetto. Le nuove missive, a loro volta, possono essere ordinate come di seguito: A. Le prime settantacinque lettere si riferiscono al periodo “ante Disfatta di Caporetto” e si sviluppano nell’arco di tempo dal 20 giugno al 6 ottobre 1917. Vanno lette integrandole con quelle già pubblicate nel primo libro e relative al medesimo periodo: esse raccontano la vita quotidiana del soldato in servizio nel territorio dichiarato in stato di guerra. B. La parte centrale dell’epistolario, composta da trentanove lettere (LXXVI – CXV), la prima datata 4 novembre 1917 e l’ultima 3 aprile 1918, va a colmare il periodo rimasto sprovvisto

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di documentazione nella prima stesura dell’epistolario e racconta in particolare la ritirata da Caporetto al Tagliamento, infine al Piave, oltre il quale il reparto dove Sandro Locatelli prestava servizio si era assestato a Marmirolo, impegnato nei servizi di retrovia. C. Le rimanenti dodici lettere (CXVI – CXXVIII), dal 12 aprile al 19 settembre 1918, richiamano alla luce le fasi terminali del servizio del nostro soldato, impegnato in prossimità del Monte Tremalzo, nel territorio dichiarato in stato di guerra sul fronte delle Giudicarie, e quindi alle prese con alcuni disturbi fisici, prima all’ospedale di Brescia e quindi a Martinengo. Anche queste vanno lette concatenandole in ordine cronologico con quelle già pubblicate nel precedente volume. La scelta di pubblicare anche questa seconda parte dell’epistolario, ritrovata successivamente, nasce dall’esigenza di dare un senso compiuto all’operazione editoriale, arricchendo quindi di nuove esperienze e di altre voci tutto il contesto narrativo e l’ambito di azione nella Grande Guerra del soldato portaordini e motociclista Sandro Locatelli. Sotto il profilo del suo contenuto, dunque, questo ulteriore volume restituisce unità alle due parti ritrovate in tempi distinti del medesimo giacimento epistolare, che viene così ricomposto e consente al lettore di percepire il senso compiuto e susseguente dei vari eventi che hanno caratterizzato la sua vita militare. Nella lettura di queste pagine, dunque, è necessario tener presente tutto ciò che è stato scritto nel volume precedente, nel quale ci si è dilungati anche nella descrizione del contesto sociale e familiare di Sandro Locatelli. Rimane la lacuna relativa al periodo terminale della guerra, non essendo state ritrovate le missive che vanno dal settembre al novembre 1918. In particolare non è stata reperita corrispondenza alcuna relativa alla battaglia di Vittorio Veneto, o Terza Battaglia del Piave, ossia l’ultimo scontro armato tra l’Italia e l’Impero Austro-ungarico combattuto tra il 24 ottobre e il 4 novembre 1918 nella zona tra il Piave, il massiccio del Grappa, il Trentino e il Friuli, pur sapendo, dalle informazioni risultanti sul foglio matricolare, che il nostro soldato il 19 dicembre 1918 è stato ricoverato all’ospedale Celio di Roma e che, di conseguenza, nei mesi precedenti era ancora in servizio attivo. È stato dichiarato mutilato di guerra per la rottura dei timpani a causa dello scoppio ravvicinato di una granata. Corrispondenza di guerra Pochi semplici dati servono per collocare la fitta corrispondenza di Sandro ai familiari nel contesto del servizio postale dell’epoca: soltanto in Italia, durante i tre anni di guerra, sono state movimentate oltre quattro miliardi tra lettere e cartoline, dieci miliardi in Francia e trenta in Germania. Una cifra sbalorditiva, un vero e proprio fiume di carta! La quantità eccezionale di posta militare, mai vista prima e concentrata in così poco tempo, è stata tale da travolgere i sistemi postali di tutti gli Stati belligeranti.3

3 Fabio Caffarena, Lettere dalla Grande Guerra. Scritture del quotidiano, monumenti della memoria, fonti per la storia. Il caso italiano. Edizioni Unicopoli, Milano, 2005, p. 40.

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Per la prima volta le masse popolari sono entrate nella storia, non solo come numeri o statistiche, ma hanno scritto in prima persona gli eventi a cui hanno partecipato direttamente, informando i propri cari lontani. Uno straordinario apparato di fonti di prima mano ha invaso le case di milioni di Italiani e, per la prima volta, la storia non è solo quella trasmessa dalle classi o dai governi, che stabiliscono le sorti delle Nazioni e influenzano il pensiero dominante, concentrata nelle grandi battaglie terminali o riassunta in chiave molte volte propagandistica nei cosiddetti “Bollettini Cadorna”, bensì quella più diretta narrata dal marito, dal figlio, dal padre, dal fidanzato in armi, anche se sottoposta a censura. La memoria degli eventi passa dunque attraverso la vita e l’esperienza concreta delle persone più care. La storia si declina nella vita quotidiana dei soldati e prende corpo soprattutto nelle azioni di tutti i giorni della truppa. Mentre la storia ufficiale sino ad allora non pareva interessata a fare memoria delle vicende umane dei singoli soldati, concentrando invero l’interesse storico-scientifico solamente attorno ai principali eventi bellici, le masse popolari, a loro insaputa, attraverso la corrispondenza postale, hanno costruito “dal basso” la propria storia, in modo spontaneo ed efficace. Dietro la frase di circostanza Niente di nuovo sul fronte occidentale, ricorrente nei bollettini di guerra degli alti comandi delle nazioni europee belligeranti, per l’assenza di fatti o battaglie eclatanti e tali da segnare fasi rilevanti del conflitto, si celava infatti una tragica realtà di miseria, perchè nel frattempo migliaia di soldati su tutti i fronti continuavano a morire negli assalti, nelle trincee, sotto i bombardamenti, per malattie ed epidemie, a causa del freddo in alta montagna, o ancora travolti dalle valanghe. Questa storia, diciamo così, “quotidiana” dei soldati pareva fosse di poco interesse per la grande Storia, ma così non era. Sandro Locatelli, espressione della nuova borghesia cittadina, figlio di un notaio, esponente di spicco del cattolicesimo sociale bergamasco del primo Novecento e del contesto politico cittadino, in seguito impegnato tra le fila del Partito Popolare, era licenziando presso il Liceo Classico Paolo Sarpi, a due passi dalla sua casa di Bergamo, in Città Alta; non possiamo però dimenticare che, ancora nei primi lustri del Novecento, esistevano in Italia ampie sacche di analfabetismo, per le quali la guerra ha rappresentato uno stimolo e una seppur tragica occasione di acculturazione.4 La fitta corrispondenza di guerra di Sandro Locatelli, come più in generale ci dicono i numeri sopra ricordati, mette in evidenza il bisogno del soldato di comunicare e mantenere i contatti con la famiglia, il paese o la città, lo studio, il lavoro, le attività sociali ed economiche in essere prima della guerra. Appena ultimato il servizio affidatogli, molte volte Sandro si mette subito a scrivere, in qualsiasi condizione, poichè la scrittura pare sia diventata per lui un’azione essenziale, di cui non può fare a meno, indispensabile come il rancio giornaliero. A volte egli si affretta persino nell’adempimento del dovere, perchè vuole correre a scrivere a casa, ossia sente come un bisogno irrefrenabile di comunicare. La lettera, dunque, il più delle volte agisce come una sorta di rifugio, di fuga dalla realtà della guerra, quale affermazione della popria identità (fortemente minacciata) a fronte della massificazione introdotta dalla divisa e dall’organizzazione militare, oppure come istanza di autoconservazione contro la precarietà dell’esistenza. 4 Fabio Caffarena, Lettere dalla Grande Guerra, op. cit. p. 44

Lettera scritta da Sandro Locatelli al papà il 28 luglio 1917.

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Con la carta e l’inchiostro Sandro coltiva l’affetto con i suoi cari, come pure tiene vivo il proprio sentimento patrio. È anche nella posta che egli avverte cosa sia la patria e cosa rappresenti in concreto, poichè attraverso la scrittura egli rielabora la sua esperienza nel momento in cui essa si verifica. La scrittura gli tiene compagnia e lo mantiene legato alla famiglia, che ha sempre rappresentato il suo centro di gravità. Nelle sue lettere, Sandro si spoglia spesso della divisa e assume ancora il ruolo del figlio, del fratello maggiore, dello studente, del giovane bergamasco ricco di virtù ed espressione di un’educazione borghese. In altre, invece, afferma con orgoglio il suo essere e sentirsi profondamente patriota, rilanciando e sostenendo apertamente le ragioni della guerra contro l’Austria per la Patria. Le sue lettere, dunque, assumono di volta in volta diversi significati, che variano anche in relazione all’umore delle truppe e all’andamento del conflitto bellico, per cui a periodi di scoramento seguono pagine di esaltante patriottismo. Si intuisce, dalla lettura in successione delle molte lettere, la funzione quasi psico-pedagogica delle stesse, dalle quali emergono, al di là delle parole, soprattutto le ansie, le preoccupazioni, le speranze, le paure, le virtù del soldato. Esse trasmettono in modo particolare emozioni e sentimenti, piuttosto che informazioni o nozioni. Affermano il bisogno di non essere dimenticati dai propri familiari. Quante volte Sandro si lamenta per non ricevere regolarmente le lettere attese con trepidazione da casa e si chiede il perchè. In alcune si percepisce persino come una sorta di soddisfazione di un bisogno fisico nel ricevere la posta: la corrispondenza, prima di essere aperta e letta, viene accarezzata e amata. Con le sue, invece, egli cerca sempre di trasmettere ai propri cari l’ottimo stato di salute e quindi le sue missive si prefiggono il compito di svolgere un effetto rassicurante, per tranquillizzare i genitori di fronte ai pericoli in un contesto difficile. La spedizione e l’attesa di una, dieci, cento lettere segnava le fasi della vita del nostro soldato e cadenzava il trascorrere delle settimane, dei mesi, del tempo. Tutta la corrispondenza, poi, una volta letta, veniva conservata gelosamente tra gli effetti personali. Fabio Caffarena, nell’opera più volte citata, paragona la lettera a una sorta di oggetto apotropaico carico di influssi protettivi e quindi in grado di scagionare e allontanare pericoli e influssi maligni. La quantità della scrittura assume una funzione esorcizzante e la corrispondenza del soldato viene investita di una nuova luce e va ben oltre il mero dato comunicativo, ossia è molto di più e diventa una necessità spirituale del combattente, una modalità per continuare a sentirsi vivi in una situzione difficile e incerta, precaria e pericolosa. Molti scritti, anche ravvicinati, ripetono le identiche cose e non introducono nulla di nuovo rispetto a quanto era già stato comunicato in precedenza, ma costituiscono comunque un’importante e insostituibile manifestazione di amore in più per i propri cari, preludio dell’atteso ricongiungimento in famiglia, per una licenza o al termine del conflitto. In diverse circostanze, invece, alcune lettere dicono e non dicono, lasciano intendere qualcosa, ma non possono rivelare dati sensibili riguardanti fatti bellici, posizioni occupate oppure giudizi o conclusioni circa l’andamento bellico: c’è la preoccupazione di non cadere nelle sanzioni della censura che condiziona la libertà di espressione. Quelle in cui si fanno nomi di località e percorsi probabilmente sono state spedite direttamente da Sandro durante i suoi spostamenti, utilizzando la posta ordinaria e non quella militare. A volte il Nostro escogita alcuni stratagemmi, come l’uso di espressioni in dialetto bergamasco, ma in genere le lettere tendono a non mettere in risalto la realtà più cruda della guerra, proprio per non preoccupare i propri cari. Questo epistolario contiene frammenti di cronaca di guerra, o meglio di cronaca della vita di un soldato mobilitato in un territorio dichiarato in stato di guerra, emerso a distanza di quasi cento anni, e va accolto e letto senza la pretesa di trovare indicazioni certe o informazioni

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importanti sul piano della strategia militare, ma con molto rispetto per una realtà ormai decisamente lontana da quella che stiamo vivendo, con l’invito a cogliere non solo ciò che nelle missive viene dichiarato in modo esplicito, per entrare fino in fondo nella vita quotidiana di un giovane studente comandato alla guerra per dovere di patria. La Grande Guerra ha separato molte famiglie, ha movimentato milioni di persone, insomma ha creato un grande sconvolgimento sociale. I valori e i sentimenti di famiglia e patria, quasi sempre coincidenti nelle lettere di Sandro, convivono nel dovere sentito di rispondere con onore ad antrambe le “chiamate”. In alcune, poi, il nostro portaordini avverte in modo esplicito la distanza tra la realtà della guerra, che lo coinvolge intensamente, e il mondo tutto sommato “tranquillo” che continua nella vita sociale di sempre a Bergamo. È difficile affermare con certezza che Sandro percepisse di trovarsi a vivere eventi memorabili per la storia d’Italia, tale da dare un ulteriore significato al valore della scrittura come testimonianza a futura memoria, ma certamente le questioni risorgimentali erano ben presenti e quindi egli era consapevole che la guerra era finalizzata alla redenzione delle “terre matte”. La guerra di Sandro Locatelli L’intento di questo paragrafo è quello di richiamare l’attenzione su alcuni temi connessi al vissuto del nostro soldato portaordini, per cogliere la sua dimensione umana e gli elementi spirituali, culturali e psicologici che hanno significato il suo essere combattente. Sul piano del coinvolgimento alle vicende belliche, emerge a più riprese la sua profonda partecipazione personale. Espressione del mondo studentesco bergamasco, il giovane appena diciottenne è spinto da sincero spirito patriottico e quindi esegue con entusiasmo e adesione attiva gli incarichi che gli vengono affidati, pur senza rinunciare al suo pensiero autonomo ed esercitando all’occorrenza azioni finalizzate ad ottenere una propria idonea collocazione all’interno del sistema militare: non ama guidare il sidecar, ad esempio, e, se per un verso vorrebbe fare il corso ufficiali, dall’altro è preoccupato di essere poi inviato in fanteria. Egli non nasconde i suoi desiderata e le preoccupazioni che lo investono. Come pure non nasconde la sua vena interventista: per lui la guerra non è uno strumento di affermazione personale, quanto invece una modalità necessaria per rendersi utile alla Patria e portare così a conclusione il processo risorgimentale. Sin dalle lettere iniziali, contenute anche nella prima parte dell’epistolario, Sandro parte “motivato” per la guerra, certamente non costretto, ma con l’intento dichiarato di liberare le terre irrendente. Soprattutto nel periodo iniziale, egli auspica costantemente di essere impiegato in settori operativi: ho già ... spedito una domanda al Comando perché fossi traslocato in un’altra unità ove avessi avuto maggior lavoro che qui, vergognandomi di non essere per niente utile alla Patria, specialmente in questi giorni che tanto richiede l’aiuto dei suoi figli, e supplica e invoca la loro costanza e il loro coraggio (11 luglio 1917, IX). Mi vergogno e mi ripugna veramente di condurre una vita così dissipata, comoda, in momenti tanto critici mentre la Patria fidente invoca l’aiuto dei suoi figli (12 luglio 1917, X). Anche dopo Caporetto l’anelito patrio non viene meno: Il cuore però mi dice che l’Italia avrà una rivincita, una rivincita che farà dimenticare questa nostra sconfitta e le procurerà pagine gloriose nella storia e più larghi confini. Tali sorti, però, dovrà volerle il soldato e per questo dovrà ben conoscere queste tre parole: “Volontà”, “Disciplina”, “Coraggio”. Tali doti però dovranno essere conosciute non soltanto dal soldato, ma da ogni Italiano che ama e che

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desidera la sua Patria più grande, più gloriosa e libera da ogni oppressione (18 novembre 1917, LXXXIII). Il pensiero corre ai suoi compagni di studi, con i quali certamente aveva condiviso i medesimi ideali: Dal Corriere di ieri o di ieri l’altro appresi la morte di altri due miei compagni già licenziati di liceo. E quando penso a questi e al povero Spechel, che per primo volle darci l’esempio di come e a qual costo si difende la Patria, mi si stringe il cuore e tremo per i rimanenti amici e compagni (XCVI). Sandro manifesta un senso molto alto del proprio dovere nei confronti della famiglia e della patria: Quassù sono due le uniche gioie che si provano: l’aver adempiuto il proprio dovere e il ricevere notizie di casa (29 luglio 1917, XXVIII). La Patria è un’entità concreta e presente da difendere, dotata di propri confini naturali e culturali, per i quali vale l’impegno di ciascun soldato, dovunque impegnato sul fronte bellico: Tutto per la Patria. Hai visto che suonata che han preso gli Austriaci? Siamo o non siamo Italiani! Sempre avanti Savoia! ... Termino col solito grido di… Viva l’Italia e Sursum corda! (25 agosto 1917, XL). La Patria simbolicamente è rappresentata innanzitutto dalla famiglia: Non ti puoi immaginare la mia gioia quando ricevo molte notizie dall’Italia, dai miei (28 agosto 1917, XLVI). La patria è l’Italia, dove vive la sua famiglia. Il patriottismo di Sandro non è un elemento retorico o un puro argomento ideologico, bensì nelle lettere appare quale elemento concreto dell’esistenza stessa della Nazione, che si traduce nell’affermazione della comunità locale, nell’esistenza della famiglia, nella professione della fede religiosa. La patria di Sandro sono gli altri suoi compagni di liceo che sono andati a combattere come lui, è la mamma alla quale scrive quasi quotidianamente, è l’universo delle sue relazioni personali, delle conoscenze e degli interessi. Molti vocaboli sono stati utilizzati per definire la Grande Guerra dal punto di vista del popolo: macello, strage, mietitura,... Tutto ciò è vero. Ma non si può dimenticare o sottacere il fatto che i soldati morivano magari contestando gli ordini ricevuti, mentre li eseguivano e non certo dandosi alla fuga (perchè, talvolta assurdi, provocavano vere e proprie carneficine), ma sempre con l’idea di Italia nel cuore e sulla bocca. Durante la sua prima esperienza militare, Sandro opera, quale soldato motociclista portaordini, ma anche meccanico di autoambulanze e autista, in una sezione di Sanità mobilitata in territorio dichiarato in stato di guerra, e ciò fino alla Battaglia di Caporetto e nei primi mesi successivi, durante la ritirata e la riorganizzazione dell’esercito: al di là del Piave, la sua Sezione si assesta a Marmirolo, impegnata per i servizi alle truppe che stanno ponendo un argine, dallo Stelvio allAdriatico, all’avanzata delle truppe austro-ungariche. La guerra non lo spaventa e la prima impressione è entusiasta. Per conto mio posso dire: che duri la guerra! Nessun pensiero né dispiacere se non quello di sentirmi lontano da voi (2 luglio 1917, II). E ancora: Vi posso garantire che la guerra non è poi tanto brutta come si vuol credere. A me piace (3 luglio 1917, III). Bastano però pochi mesi per comprendere tutto il carico di tragicità e di sofferenza che il conflitto comporta, soprattutto quando Sandro presta servizio sulle ambulanze della sua Sezione di Sanità sul Mrzli. La guerra non è fatta solo di luoghi ideali: la morte gli passa accanto e Sandro è costretto a fare i conti con morti e feriti, vede le condizioni di vita delle fanterie sepolte nelle trincee e rende onore al grande e incommensurabile sacrificio quotidiano Liceo-Ginnasio Paolo Sarpi di Bergamo, Anno scolastico 1915-16. Pagella di Sandro Locatelli.

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delle truppe in prima linea. Egli sente la profonda radicale distanza tra chi la guerra la fa veramente e quanti invece, dal mondo già “redento”, la commentano da lontano attraverso le carte geografiche o le vignette pubblicate sulla Domenica del Corriere. Sandro arriva a invocare la fine di tanta barbarie, nonostante il suo acceso spirito di patriota interventista. Sono cinque giorni che ci troviamo qui. Ieri sono morti due miei compagni colpiti da granata mentre andavano a prendere i feriti. Se vedessi che roba! Da che ho cominciato a vederli non mi sento più bene; credo che mi sia venuta la febbre. Poveretti! Ce ne sono di quelli che sarebbe stato meglio che fossero morti sul campo. Mi sforzo di servirli meglio che mi sia possibile. A chi mi cerca regalo sigarette, biscotti, compro loro Marsala e caffè. Sarà sempre nulla al confronto dell’immenso sacrificio da essi compiuto! Ciò che mi meraviglia assai è ancora l’alto sentimento patriottico che li anima, sentimento assai più elevato e un entusiasmo assai più grande di quello che hanno certa gente che non ha neppure la minima idea di cosa sia il fronte, cosa sia un’azione, cosa sia una battaglia, e che si accontentano di giudicare e di criticare guardando la carta geografica o la vignetta della Domenica del Corriere. Per la prima volta dico: “Che la guerra termini presto!”. Non per me, che questa vita, sebbene pericolosa, faticosa, non mi dispiace poi tanto, e poi perché anche terminata la guerra avrò sempre un bel po’ di tempo da rimanere qui ancora, ma per quelle povere fanterie in trincea qui sul Mrzli, sul Monte Nero e sul Monte Rosso e sul Vodice, centomila volte più terribili del Carso (21 agosto 1917, XXXVIII). Sandro non nasconde la sua collocazione privilegiata in una Sezione di Sanità, soprattutto rispetto ai fanti che si confrontano tutti i giorni con gli assalti e la vita di trincea. Egli partecipa e vive in prima persona le vicende del suo tempo, si lascia coinvolgere e non rimane insensibile ai drammi umani con i quali viene a contatto, anzi percepisce emozionalmente la sofferenza altrui, provandone pena e facendo tutto ciò che è nelle sue possibilità per alleviarla. Di fronte al dramma umano, cui assiste ormai regolarmente, egli manifesta anche un bisogno di riscatto per tutti gli operatori di sanità, ma anche sotto il profilo personale, condannando il comportamento degli “imboscati”, ossia di coloro che si “nascondono” dentro sistemazioni agevoli, al riparo dagli effetti più duri della guerra. Del resto siamo in guerra, e tutti, chi più e chi meno, chi in un modo e chi nell’altro, devono sfidare minacce e pericoli. Che si dovrebbe mai dire allora della povera fanteria? Se vedessi, se sentissi! Essa arrischia la vita ed è quella che amplia i nostri confini e noi non dovremmo almeno sfidare un assai minor pericolo di quello che essa sfidò direttamente, per andare a soccorrerla nel bisogno e dopo che bagnò col suo sangue il conquistato terreno? Sarebbe la massima vigliaccheria soltanto l’esitarne! Ah! Se fossi qui a vedere un po’ cosa c’è di nuovo. Che casi, che episodi! Tutti i feriti che accolgo e che accompagno io cerco di servirli e di accomodarli meglio che mi sia possibile, e di accontentarli in ogni cosa possibile. Come si può rifiutare loro qualche cosa, come si può negar loro qualche favore, vedendoli in quello stato? Dico la verità che fin dove mi è possibile li accontento tutti ed uso loro straordinaria cortesia e premura, non solo perché questo me lo impone il mio cuore, ma anche per sentire e fare dimenticare loro l’idea che gli automobilisti sono tutti villani, che sono la maggior parte teppisti, che non hanno nessun riguardo né cura per loro, ecc. ecc. Il titolo di “imboscati” ora non ce lo danno più, specialmente a noi di Sanità, perché vedono come anche noi corriamo pericoli, quantunque assai minori dei loro, e come anche dei nostri ce ne restino, quantunque assai meno che dei loro (28 agosto 1917, XLV). In alcune lettere Sandro indugia nella descrizione di ambienti, paesaggi, immagini di montagne innevate, spettacoli di bombardamenti in corso. Il “teatro della guerra” lo affascina e sconvolge nello stesso tempo, per il suo forte carico di tragicità e di sconvolgimenti

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dirompenti sotto diversi punti di vista: egli osserva e descrive i profili dei versanti che si modificano di giorno in giorno a seguito dei continui bombardamenti, come pure alza gli occhi al cielo e rimane attratto dai primi duelli aerei, osserva con attenzione le linee delle trincee e i movimenti delle truppe,... Sandro è curioso, vuol vedere di persona quanto sta succedendo all’intorno e familiarizza con l’ambiente circostante, che contribuisce a “umanizzare”: il Monte Nero, il Monte Rosso e il Mrzli, sui cui versanti tanto sangue è stato versato, sono paragonati a tre amici... poco simpatici. Noi arriviamo fin dove ci è concesso di arrivare colle nostre auto-ambulanze, cioè fin dove sappiamo di poter trovare un riparo sicuro (ove di solito si trovano gli Ospedaletti da campo) per poter caricare con una certa calma e accomodare i feriti che dopo la prima medicazione all’Ospedaletto ci vengono consegnati per trasportarli più indietro, negli Ospedali di smistamento. La curiosità ci tenta e mentre si attende di caricare, si scappa carponi, carponi su qualche poggetto da dove si possa scorgere tutto quello spettacolo del teatro della guerra! Sempre più avanti! Poco che si caccino innanzi, torna che ci caccino in distaccamento in qualche trincea di retrolinea. La nostra Sezione ora è stata traslocata tutta da Potocki a Svina, paesetto completamente militare oltre Caporetto. Resta tra Caporetto e Azid. È un paesetto dominato dal Monte Nero, dal Monte Rosso e dal Mrzli. Sono tre amici tutt’altro che simpatici! (2 settembre 1917, XLIX). Soprattutto nel periodo ante Caporetto, il nostro soldato manifesta con entusiasmo il desiderio di rendersi fattivamente utile alla causa bellica, anzi non tollera di trascorrere periodi di riposo eccessivamente lunghi, quando cioè si protraggono oltre i due o tre giorni. Il ritmo veloce e l’incalzare degli impegni, invece, costituisce probabilmente anche una modalità per affrontare con successo la vita in divisa, che altrimenti rischia di portare all’ozio e alla noia. Il giovane studente prestato alla causa della guerra non cerca la vita comoda o “riparata” dell’imboscato, lontano dal pericolo, ma senza peraltro rinunciare alla propria incolumità personale chiede di essere impegnato fino in fondo nell’assolvimento del proprio dovere di soldato “risorgimentale”. La Patria invoca coraggio e costanza dai suoi figli e questa consapevolezza lo aiuta a indossare con onore la divisa e ad assolvere con cura e responsabilità gli incarichi affidategli. Visto poi che qui da qualche giorno si vive nel più abominevole ozio, ho già fatto e spedito una domanda al Comando perché fossi traslocato in un’altra unità ove avessi avuto maggior lavoro che qui, vergognandomi di non essere per niente utile alla Patria, specialmente in questi giorni che tanto richiede l’aiuto dei suoi figli, e supplica e invoca la loro costanza e il loro coraggio. Nei momenti che non ho nulla da fare lavoro a banco facendo degli oggettini ricordo con delle schegge di granata, con pallottole austriache, ed ora sto costruendo un accendi sigari con una cartuccia austriaca (11 luglio 1917, IX). Il servizio della Sezione Sanità dove Sandro si trova ad operare ha un andamento altalenante, ossia si passa da momenti di intenso lavoro, soprattutto quando incalza la battaglia, a periodi di calma, durante la tregua, oppure nelle settimane precedenti i nuovi attacchi. Ciò comporta per i soldati un continuo logoramento per il susseguirsi di ordini e contrordini, a distanza di breve tempo. Sandro è intenzionato a chiedere il trasferimento nell’Artiglieria da Montagna, dove è inserito anche lo zio Luigi e il servizio gli risulta essere più costante: Dopo un mese che mi troverò soldato semplice d’artiglieria intraprenderò il corso di allievo ufficiale di tale arma, certo di essere accettato e di rimanervi. Il lavoro qui è enorme. Abbiamo qui 54 ambulanze-automobili per trasportare dal Mrzli ai diversi Ospedali. Sono due notti che non riposo affatto e da che sono venuto a questo distaccamento ho ancora da spogliarmi una volta. Sono cinque giorni che ci troviamo qui (21 agosto 1917, XXXVIII).

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Il 25 agosto dello stesso mese (XL) Sandro scrive allo zio Luigi, allora Tenente presso il 62° Gruppo d’Assedio, nei confronti del quale manifesta atteggiamenti di prudente rispetto e attende continui utili consigli. Zio Luigi è un’importante figura di riferimento per Sandro e agisce come fosse un secondo padre. Nonostante la notevole differenza d’età (Luigi è del 1872, mentre Sandro è nato nel 1898), nipote e zio colloquiano alla pari e ciascuno di essi esprime in libertà il proprio pensiero, senza la pretesa di imporlo all’altro. Ora, come ripeto, lavoro tutto il giorno pel trasporto dei feriti ai diversi ospedali interni. Sono quasi tutti feriti del Mrzli che noi andiamo a prendere proprio lassù, quasi in prima linea. Ti garantisco che la vista di certi feriti mi ripugna e mi fa star male. Preferirei quasi essere ferito così io che loro. Mi farebbe meno male. Pochi giorni appresso, il 28 settembre (LXXII), Sandro, sempre attento a cogliere i nuovi scenari del “teatro della guerra”, scrive ancora allo zio: Se sei nei dintorni di Tolmino in questi momenti credo che il lavoro non ti mancherà. Sul Monte Nero e sul Monte Rosso si vede un’attività straordinaria e si ode un continuo concerto bombardiano che fa presumere nuovi avvenimenti. A questi aggiungi un’attività aerea continua e straordinaria. Dopo la Battaglia di Caporetto l’attività si fa ancora più intensa e caotica, soprattutto durante la ritirata, per la necessità di garantire comunque i principali servizi di supporto alla truppa in condizioni di estrema precarietà. Io sempre benone, ho del lavoro ma lo compio volentieri e con entusiasmo. Ieri ho visto a Mantova zio Luigi e anche con lui ho parlato di te. Sta bene e mi disse che ti ha scritto (17 dicembre 1917, XCII). Ecco quanto Sandro scrive dieci giorni appresso, sempre entusiasta di compiere il proprio dovere di soldato per la Patria: Il lavoro che devo compiere non accenna a diminuire, ma mi costa poco! (27 dicembre 1917, XCVI). Nonostante la batosta subìta a Caporetto, le lettere successive non denotano un comportamento rinunciatario o disfattista, bensì pare di cogliere un rinnovato orgoglio patrio, finalizzato anche a restituire al mittente la grave onta della disfatta, per riscattare con il senso patrio anche l’onore militare. Si era creato un fatto nuovo connesso all’invasione, poichè l’esercito austroungarico rischiava di dilagare in tutta la Pianura Padana e annullare così le antiche battaglie risorgimentali. La patria tornava ad essere minacciata al suo interno, minando l’ordine sociale e familiare di Veneto e Lombardia e questa consapevolezza determinò un nuovo slancio delle truppe italiane. Sandro non fa pesare sui propri cari gli incessanti ritmi di lavoro, che comunque lo aiutano ad affrontare la vita da soldato in guerra, ma in determinate situazioni denuncia le pessime condizioni in cui si trova ad operare, le quali contribuiscono ad aggravare ulteriormente il suo stato di salute che non sempre lo sostiene: Io lavoro tutto il santo giorno, ma vi dico, e non ve lo vorrei dire, che è una vitaccia con questa incessante pioggia e neve, con queste strade orribili piene di fango e di pericolo d’ogni sorta. Ogni volta che torno a casa, dopo un servizio, mi tocca cambiarmi da capo a piedi, tanto sono bagnato. Per fortuna ho biancheria in abbondanza e due divise di panno. Le divise sono in uno stato compassionevole, per quanto picchi e spazzoli son sempre piene di fango. Un disastro! Catarro e tosse fin che ne ho voglia, raffreddore e otite pure compresi (29 aprile 1918, CXVII). Otite, irritazioni intestinali ed emorroidi accompagnano il nostro soldato durante tutto il servizio in armi, sino al congedo. A periodi di relativo benessere seguono giorni e settimane di indisposizione fisica e le condizioni di servizio non favoriscono certo una pronta guarigione, anzi a volte si rende necessario persino il ricovero in ospedale. Qui ora mi si sono ridestate le emorroidi e un’irritazione intestinale con diarrea tremenda. Però oggi sto meglio (11 luglio 1917, IX). Dies nefas! Mi si è ridestata ancora più forte che mai la solita irritazione

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intestinale con contorno di emorroidi. In 6 ore ho dovuto… ritirarmi dieci volte! Per questo domani marcherò visita (29 luglio 1917, XXV). “Marcare visita” non era una scelta semplice per un soldato, soprattutto nel contesto della guerra, e ciò avveniva solo quando non se ne poteva proprio fare a meno. Non bastava una semplice indisposizione fisica per essere esonerati dal servizio operativo. Da un lato il senso di responsabilità impediva a Sandro di utilizzare argomenti o escamotage per non svolgere il proprio dovere, mentre dall’altro “marcare visita” senza un giustificato e sufficiente motivo poteva essere interpretato dall’ufficiale in comando come un espediente per evitare un servizio, e come tale sanzionato con rigore. Nel pomeriggio del 29 mi misi a letto perché ero stanco e ancora la pancia non faceva giudizio. La notte seguente fu come la precedente. Allora questa mattina marcai visita. Non l’avessi mai fatto! Mi erano pronte tre once di olio di ricino! Ad ogni costo dovetti pigliarle. Il Capitano medico mi disse che sarebbero così guarite subito l’irritazione e le emorroidi. Non era neppure mezz’ora che avevo pigliato quella terribile purga, che avevo appena pigliato una chicchera di caffè, che mi giunge l’ordine di partire per Caporetto per portare un ordine. Mi venne in mente l’idea di dar fuoco alla moto e di darla guasta per non andare. Ma anche questa volta ubbidii e partii. Cosa vuoi! Sono rimasto l’unico motociclista. Inutile dirti che fu un viaggio pieno di tappe (29 luglio 1917, XXVII). Anche gli alloggi, solitamente di fortuna e provvisori, recuperati nella migliore delle soluzioni in fabbricati rurali abbandonati dalla popolazione civile che si era allontanata dalle zone del fronte, sostituivano l’attendamento o il riparo in grotta, soprattutto in montagna, ma non erano certo tali da assicurare comfort abitativi. Ci cacciammo tutti in una stalla che fino ad ieri servì da infermeria ai cavalli e ai muli. Diventeremo così tanti Gesù Bambino. Papà mi dice: Dio sa che emozione ho dovuto provare le prime volte che sentii ronzarmi in giro le palle austriache (7 luglio 1917, VI). Ora siamo qui, come vi ho già detto, in una sudicia stalla fino a pochi giorni fa infermeria di cavalli e muli. Ci si sta meno che sia possibile, ma a dormire bisogna per forza venirci, specialmente ora che i prati ed il terreno sono tutti bagnati. Pazienza! (9 luglio 1917, VIII). Anche in questo momento in cui scrivo e da questo luogo (il fienile della stalla) vedo la vetta di questo famoso monte coperto ancora di neve. (14 luglio 1917, XIII). Che mi importa ora di lavorare e correre a portare ordini a destra e sinistra e affrontare il freddo quando so che, terminato il mio compito, a casa mi aspetta un bel calduccio, una cena luculliana ed infine un soffice giaciglio di paglia in una calda stalla? Pensando a quei poveretti che là sul Piave tengono fronte al prepotente invasore ed oltre che a far scudo col loro petto soffrono freddo e fors’anche fame, mi sento stringere il cuore e quasi mi vergogno (17 dicembre 1917, XCI). Si intuisce la precarietà igienico-sanitaria di tali alloggiamenti, anche se nulla viene detto esplicitamente a tal proposito. La Sezione di Sanità si spostava in relazione all’avanzamento del fronte e alle diverse necessità logistiche, per meglio garantire i propri servizi di supporto, e ogni volta i soldati erano impegnati a trovare un’idonea stistemazione, recuperando tutte le risorse reperibili sul posto. Col pensiero Sandro si ricongiunge con quei soldati che vivono in condizioni peggiori della sua, più esposti ai pericoli della guerra, e questa riflessione lo aiuta ad accettare di buon grado anche le difficoltà presenti nel sistema alloggiativo della sua Sezione. Molto bella la descrizione contenuta nella lettera del 2 luglio 1917 (II), laddove mette in luce l’operosità del drappello di soldati intento a ricavare un ambiente idoneo dove vivere. Disgraziatamente tutte le camerate erano già piene! S’intende che qui le camerate sono: stalle, fienili, pollai e a volte qualche piccola stanza di queste case e baite requisite. Pochi uomini, dunque, riempivano già questi piccoli luoghi. Non essendoci posto allora, ed essendo non soltanto io senza tetto, ma in tre o quattro, si pensò di costruire una piccola baracca in

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legno poco distante da questo Comando. E con l’aiuto di un falegname fummo tutti all’opera. Il luogo scelto era magnifico: su una costa del monte in una grotta naturale. La vita del soldato, soprattutto in territorio dichiarato in stato di guerra, è segnata da privazioni, difficoltà, rinuncie e da una generale situazione di precarietà. Parrebbe che Sandro avesse già messo in conto questo stato di cose e le sue azioni non sono tanto dirette ad esplicitare una condanna circa le disfunzioni esistenti, quanto piuttosto a cercare, assieme alla sua famiglia e ai commilitoni, possibili soluzioni alterntive. Egli, poi, dà la colpa al cattivo rancio del soldato per i suoi continui disturbi intestinali: Grazie a Dio qui, sebbene cari e rari, trovo uova e latte ed evito così di mangiare quel maledetto drogato e piccante rancio che credo sia stata la causa del nuovo risveglio dei miei disturbi. Ti rammento, quando vieni, di portarmi i calzettoni, un po’ di cioccolato e se puoi un po’ di zucchero e qualche corpetto di lana (7 settembre 1917, LI). Dove era possibile, la Sezione di Sanità chiedeva l’autorizzazione di provvedere alla propria cucina, senza attendere l’arrivo del rancio militare, e ciò consentiva di organizzare sul posto un sistema efficace di reperimento dei beni alimentari. Non sempre, però, c’è la fortuna di poter disporre, tra i soldati della sezione, di un bravo cuoco. Nella vita del soldato emerge la forte componente della casualità e della buona sorte, cui il combattente, molte volte ignaro di ciò che lo attende, confida, sperando di raggiungere sempre traguardi migliori. Qui si fa rancio a parte, ossia la nostra Sezione fa una cucina sua propria. Pel miglioramento del rancio che ci viene passato, di tanto in tanto, ogni cinque o sei giorni, si versa una lira a testa. Ma quasi sempre è un rancio sciocco. Non c’è nessuno che sa fare da mangiare! Qui ora mi si sono ridestate le emorroidi e un’irritazione intestinale con diarrea tremenda (1 luglio 1917, IX). Qui ci tocca mangiare il rancio militare, perché non ci è più stata concessa la mensa a parte. Sarà un guaio (8 settembre 1917, LIII). Abbiamo ottenuto il permesso di fare la nostra mensa a parte del rancio. Abbiamo un bravissimo compagno cuoco (un po’ piccante!) che, del resto, ci prepara dei piatti che, senza dubbio, oggi in un albergo (parlo degli alberghi di Cividale e di Udine) non si odorano, non si gustano, neppure. La sala mangé è in un boschetto qui a due passi. È una baita s’intende, ma qui al fronte si può chiamarla sala (17 settembre 1917, LX). La questione dell’alimentazione è un tema che ricorre di frequente nelle lettere di Sandro, poichè il cibo cattivo del rancio militare, che di frequente giunge scotto e freddo, incide negativamente su uno stato di salute già in parte compromesso. Sandro si avvale volentieri della cucina della Sezione, che i soldati medesimi contribuiscono a sostenere mediante una contribuzione personale, in relazione alla natura e alla quantità di alimenti recuperati sul posto. Quando scrive a casa chiede ai genitori di mandargli, nei pacchi appositamente predisposti dal servizio postale, capi di abbigliamento e viveri. Quando può, Sandro si abbandona alle sue passioni di sempre, come la scrittura e la lettura, il viaggio (in alcune sue lettere egli indugia nel descrivere con entusiasmo gli ambienti esplorati con la sua motocicletta o con gli altri mezzi di trasporto: molto interessante, ad esempio, la descrizione della salita sul Monte Nero a mezzo della teleferica - XLVII - oppure del viaggio avventuroso a Gorizia XXXIII), il rapporto con gli animali. Abbiamo qui con noi un porcospino che va sempre più addomesticandosi, e quando ci vede ora s’arrotola un po’ meno che le prime volte. A poco a poco resterà disteso! Io l’ho pigliato in un buco di un albero, ove l’avevo visto rifugiarsi, un

Sandro Locatelli in zona di guerra. Isonzo, 1917.

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bellissimo ghiro, rosso di pelo. Poveretto! L’ho imprigionato con una catenella ad una trave sopra il mio letto. È sempre malinconico e dorme. Si fa però festoso e vispo quando gli porgo qualche mela acerba, o noce, o qualche pezzo di verdura di rifiuto. È quello che ci sveglia la mattina con quattro o cinque squittii quando comincia a vedere il sole. È assai carino e buffo nelle sue mosse! Poco distante e sopra di noi passa una teleferica che trasporta dalla vetta alla strada i feriti e gli ammalati (2 luglio 1917, II). In alcune lettere Sandro indugia nel descrivere le attività messe in atto per dare spazio a un’antica passione, la caccia. Trascorso un periodo di intenso servizio sul Mrzli e il Monte Nero, nei giorni di apparente calma egli si dedica a un’attività che gli risulterà proficua per la cattura di piccoli volatili, destinati ad integrare la dieta alimentare dell’esercito. Lo spiccato spirito di osservazione e la curiosità lo spingono ad esplorare e a conoscere sempre nuovi posti, mettendo in atto, laddove è possibile, le sue abilità venatorie. Da ieri ho cambiato vita! Tutto il contrario. Sono diventato… cacciatore! Cacciatore senza armi, senza richiami, senza uccellatore, senza uccellanda, e per di più, ciò che è più importante, senza spesa alcuna! È una cosa straordinaria! Da alcune sere, quando andavo a passeggio con i miei amici, notavo che quando arrivavo ad una certa distanza da un dato punto, da quel punto si alzava sempre un nugolo di uccelli: merli, fringuelli, piciai, gazze, ecc. ecc. Mi venne la voglia di fare una mangiata di polenta e uccelli, ed eccomi all’opera. Immaginatemi per i boschi con una scure in mano a tagliar bacchette, per le strade a strappar spago ove ne trovavo, per le stalle a sfidare i calci dei muli governativi per strappar loro i crini della coda! Immaginatemi su un mucchio di letame a far buchi, a scavare, a rastrellare, a conficcare, a spianare. Immaginatemi in camerata a forare, a intrecciare e ad annodare. Immaginatemi intorno ad una pentola d’olio di lino bollente a rimuginare, a soffiare, a rattizzare il fuoco e poi… eccomi cacciatore. Questi erano i preparativi! Il punto tanto abbondante di uccelli era… nientemeno che un letamaio! Pardon! Questi doveva essere la mia uccellanda! E infatti lo è ormai così: tutto in giro archetti, in mezzo una piccola siepe con i lacci per merli e le gazze; tra la siepe e gli archetti, trappole e panioni. Gli uccelli per venire qui a mangiare ci restano. Gli archetti li ho fatti io con tutta roba requisita (17 settembre 1917, LX). La caccia ai volatili, ma non solo, certamente meno rischiosa rispetto alla caccia all’uomo con armi da fuoco micidiali, assai diffusa in quel periodo, non era però meno impegnativa e richiedeva la messa a punto di strategie per il reperimento dei materiali occorrenti alla costruzione e posa di lacci e trappole, il reperimento delle esche; inoltre occorreva una disponibilità non indifferente di tempo, che Sandro definisce una sorta di moto perpetuo, senza requie. Egli improvvisa, nelle sue missive, una sorta di “registro delle prese”, come quello in uso nel roccolo di Corna, e tiene informati i suoi di casa di quanti pettirossi e merli finicono nelle trappole. la caccia costituisce probabilmente anch’essa una modalità per occupare il tempo non dedicato ai servizi militari quotidiani e non cadere così in ozio durante i periodi di tregua o di riposo prima della successiva offensiva. Il vischio: l’ho ricavato dall’olio di lino fatto bollire per otto ore continue e i lacci li ho costruiti con crini di coda di mulo. Oggi, primo giorno di caccia, ho preso: 3 merli (vivi) nei lacci, 10 piciai (2 negli archetti e due nei panioni), una gazza in una trappola e 2 fringuelli negli archetti. Sono contento. Ho impastellato i merli e la gazza! È un disastro! Bisogna che corra dietro a grilli e a salta martini per dar loro da mangiare! Ho dovuto comprare un chilo di farina e il formaggio sono andato a chiederlo al cuciniere militare. Ora ho qui un serraglio: merli, fringuelli, gazze, ghiri, scoiattoli e il capretto. Immaginati a dover dar loro da mangiare, sempre io ogni mattina. Finito di dare la farina e di grattugiare il formaggio per gli uccelli, bisogna che corra in cerca di insetti ancora per loro. Presi gli insetti, bisogna che cerchi

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frutti per lo scoiattolo e il ghiro; presi i frutti, bisogna che conduca in un prato a pascolare il capretto. È un moto perpetuo! (17 settembre 1917, LX). Sandro, nei due anni di guerra, vive situazioni drammatiche e altalenanti, da Caporetto al Piave, cariche di tensioni emotive e di importanti avvicendamenti militari. Egli conduce la sua esperienza al fronte come una missione, per non tirarsi indietro di fronte alle comuni necessità nazionali. A sostenere le sue azioni, oltre a un acceso e fervido sentimento patrio, di cui abbiamo già accennato, altri due elementi gli danno la forza per sostenere l’impegno assunto con convinzione: la fede e l’attaccamento alla famiglia. Per quanto concerne il primo aspetto, il nostro soldato ha ricevuto sin da fanciullo una solida formazione religiosa, in un famiglia, quella del notaio Giuseppe Locatelli, molto vicina al Vescovo di Bergamo e partecipe delle vicende del cattolicesimo sociale del primo Novecento di Giacomo Maria Radini Tedeschi. Sandro, anche al fronte, lontano da casa, mantiene il suo impianto morale, che dà solidità e vigore alle scelte di vita. Qui nella Compagnia ove mi trovo, vi si trova anche il Cappellano militare col quale ho già fatto conoscenza. Ogni domenica, come vedi, celebra la messa, qui sul monte, in mezzo a questi macigni e burroni e fra il verde di questi pascoli! Ieri, domenica, assistetti alla prima di queste messe da campo e vi confesso che ne rimasi veramente commosso. Il sacrificio che si compie diviene per me ancor più grande, più solenne, più commovente innanzi all’immensità e alla maestosità di questa natura (2 luglio 1917, II). Però ti faccio noto che ogni domenica anche qui, quando vado a sentire la messa, celebrata all’aperto su una roccia, il cappellano per venti minuti ci parla da padre (3 luglio 1917, III). Egli si commuove dinnanzi alla bellezza della natura, immerso nella quale, durante la celebrazione di una Messa da campo, anche il sacrificio dei soldati viene investito di nuovi significati e sentimenti. Sandro partecipa alle vicende che incontra sul suo cammino e non le respinge: osserva, riflette, commenta e descrive, ricavando dalle situazioni circostanti continue lezioni di vita e di storia, recuperando e rispettando gli elementi più intimi e propri delle esperienze avvicinate. Il 9 settembre 1917 Sandro assiste alla celebrazione di una messa in un villaggio sloveno e rimane meravigliato dalla manifesta devozione di quel popolo (LIV). Alle 9 di stamane ho assistito alla messa celebrata dal cappellano militare in mezzo alla pineta. Era una scena magnifica. Mentre si celebrava un aeroplano nemico volava proprio a gran cerchi sopra di noi e la nostra artiglieria antiaerea sparava a più non posso (23 settembre 1917, LXVI). Alla domenica se posso cerco sempre di sentire la messa, ma questa assai di rado qui vicino si celebra, o perché manca il cappellano che dovette recarsi altrove, o perché il tempo non permette o manca un decente locale […] o per altre cause la messa spesso manca. Si offre. Le messe da me udite da che sono in zona di guerra sono sei. Sono poche ma soltanto a queste potei assistere. L’ultima volta che mi confessai fu a Monza, ove anche mi comunicai la mattina prima di partire. Da allora non ebbi più alcuna occasione per accostarmi ai Santissimi Sacramenti. Faccio spesso un atto di dolore (27 settembre 1917, LXIX). La guerra - dicevamo prima - ha movimentato milioni di persone e, come un crogiuolo di esperienze di varia provenienza geografica e culturale, ha fatto incontrare e messo insieme persone di diversa estrazione sociale. Ciò ha creato molte volte veri e propri attriti tra i soldati, accomunati solo dalla disciplina imposta dalla vita militare e dalla guerra, incomprensioni e difficoltà di convivenza della truppa. Sandro, ad esempio, non può tollerare la bestemmia, come pure gli insulti e gli attacchi gratuiti e insensati alla Chiesa. Nel nostro soldato coesistono atteggiamenti patriottici e clericali nello stesso tempo, che durante il

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periodo risorgimentale erano agli antipodi. In questo senso, forse, la Grande Guerra, l’ultimo conflitto di natura risorgimentale, ha contribuito a “nazionalizzare” le forze cattoliche della società, avvicinandole definitivamente all’idea comune di Patria e ai valori in essa contenuti. La Chiesa aveva espresso una linea neutrale rispetto alla guerra, pur manifestando alcune simpatie per gli Imperi Centrali (anche nel tentativo di rilanciare la questione romana) e tutto sommato le masse cattoliche erano su posizioni pacifiste, al punto che nell’agosto 1917 il Papa, Benedetto XV, aveva denunciato apertamente l’inutile strage. Nel frattempo, però, si continuava a combattere. Sandro Locatelli, pur difendendo la posizione della Chiesa, sostiene le motivazioni del conflitto e si presenta sia come bravo patriota che come bravo cristiano. Mi fanno schifo le orrende bestemmie (bestemmie mai sentite) che come un diluvio continuamente escono dalle bocche di ogni militare, gl’insulti diretti a Dio, al Clero, al Papa, le eresie grossolane e ragionate che dovunque si sentono. Se fossi qui a vedere e a sentire! Io alle volte penso: che ne sarà dopo la guerra? A quanto sembra le persone veramente cristiane saranno poche, ma ben poche. Qui poi vi è una propaganda socialista, massonica, anticlericale… e peggio che spaventa! (27 settembre 1917, LXIX). Le sorti della famiglia, la salute fisica, sociale ed economica dei propri cari, la nostalgia della casa, la speranza della pace, ma con la Vittoria, sono alcuni degli argomenti presenti in questo epistolario. La mole di lettere indirizzate ai genitori (rispettivamente a papà o a mamma, in pochi casi insieme) e il pensiero ricorrente rivolto ai parenti prossimi e agli amici documenta il grande valore attribuito da Sandro alla famiglia e alla propria comunità di Bergamo e di Corna Imagna, che costituiscono valori fondanti la sua stessa identità. In ogni lettera si sente il forte senso di attaccamento di Sandro nei confronti di quell’universo di famiglia, relazioni sociali, parentela studio che ha dovuto a un certo punto abbandonare e che intende un giorno ritrovare. Sandro sopporta la lontananza con pazienza per adempiere con onore a un dovere superiore. Ci troviamo di fronte forse all’ultima generazione di giovani risorgimentali convinti. Egli è sostenuto da una grande forza d’animo, oltre che da una solida formazione cristiana, e la famiglia rappresenta, assieme alla fede, un’ancora di salvezza, un punto fermo cui aggrapparsi, ma con onore, cioè rispondendo con dovere alla “chiamata” della Patria. Nelle sue lettere Sandro colloquia con i familiari, confida loro le sue speranze, trasmette i dubbi, si diverte illustrando i pochi svaghi, come quello della caccia, sua viscerale passione. L’epistolario è rappresentativo, in modo particolare, più di altre cose, del grande bisogno che Sandro ha di mantenere i contatti con la sua vita precedente, con la casa, i genitori, la sorella, lo zio, i parenti e quindi chiedendo informazioni continue circa le varie attività sociali ed economiche di ciascuno. Sì, sì, papà, hai ragione, è proprio quassù, lontano dalla famiglia, fra i pericoli, che si sente tutto quanto grande sia l’amore per la propria famiglia (28 agosto 1917, XLVI). Il maggiore medico Deiana, comandante della Sezione di Sanità dove Sandro è mobilitato, scrive al notaio Giuseppe Locatelli, per comunicazioni concernenti il comportamento di suo figlio: La sua condotta mi è di piena soddisfazione, poiché mi rivela in lui un giovane rispettoso verso i Superiori, pronto all’obbedienza, volenteroso ed accurato nell’adempimento dei propri doveri, amato anche dai compagni; manifestazione sicura dell’ottima educazione avuta in famiglia (28 settembre 1917, LXX). Il 18 novembre 1917 (LXXXIII), durante la Ritirata di Caporetto, nonostante la grave situazione prodottasi, non viene meno la grande fede di Sandro e l’amore per la sua famiglia. In quella generale confusione i legami personali affiorano maggiormente e diventano pensieri felici cui aggrapparsi nelle situazioni di difficoltà, per la difesa dei quali biosgna continuare

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a combattere. Non c’è aria di disfatta nelle prime lettere post-Caporetto del novembre 1917: lo spirito patriottico di Sandro è uscito integro da quella tragedia, fors’anche rafforzato ulteriormente dal desiderio di restituire agli Austriaci l’affronto subito, per ricacciarli oltre i confini naturali dell’Italia e impedire loro di raggiungere Milano. Egli è fiducioso nelle forze e nelle energie dell’esercito italiano, che saprà riorganizzarsi per porre un argine all’avanzata dell’invasore. Ben dice mamma… molto più ora che constatiamo coi fatti che Dio ha una protezione speciale per la nostra famiglia! Infatti chi potè essere mai che mi suggerì in quel punto pericoloso di spegnere il rullante motore della moto e di proseguire per un sì bel tratto a piedi e mi fece capitare proprio nel luogo estremo ove trovasi la sentinella che mi chiede indicazioni? A Dio in questi giorni sento una gratitudine infinita, sento tutto e in tutto il suo aiuto e la sua bontà. Ogni sera non mi dimentico di rivolgergli una parola, un atto di ringraziamento. Non occorre vi allarmiate tanto per la sorte toccataci e per la minaccia che sovrasta la Lombardia. Mio parere è che gli Austriaci non riusciranno a oltrepassare il Mincio e l’Adige, allorchè vi siano giunti (e vi giungeranno). Intanto, mentre vi scrivo, qui corre voce di una stupenda vittoria nostra. Gli Austriaci sono stati costretti a rivaricare il Piave e a ritirarsi per oltre 15 o 20 chilometri, sulle rive del Livenza. Fosse il principio di una disfatta Austriaca! Il soldato che apporta tale notizia dice di averla udita da un fonogramma appena uscito. Deve essere vero perché infatti il cannone che tanto vicino prima si sentiva, ora lo si sente lontano, lontano! Ma sono due le lettere che, più di altre, mettono in luce il particolare rapporto di Sandro con la sua famiglia e il valore ad essa attribuito: la missiva scritta a Quinto (Treviso) da Sandro a suo papà il 4 novembre 1917, durante la tragica ritirata, e la lettera scritta dalla mamma a Sandro quando ha saputo che suo figlio era ancora vivo. Nella prima corrispondenza, dopo circa dieci giorni dai tragici eventi di Caporetto, Sandro riesce finalmente a scrivere a casa per rassicurare i suoi familiari circa la sua buona e fortunata sorte. Si intuisce la drammaticità di quel frangente e la precarietà di una situazione difficile e pericolosa ancora in evoluzione. Nessuno sapeva più dove si trovava il fronte. Giorni e settimane di scombussolamento generale. Saltarono anche le comunicazioni e paradossalmente, ancora dopo molte ore dalla rotta, alcuni reparti continuavano a tenere le difese di alcune zone nonostante il nemico si trovasse già ad alcune decine di chilometri dentro le nostre linee, provocando l’accerchiamento e l’isolamento di quelle truppe. La storia utilizza il termine “rotta” per definire quanto avvenne in quei frangenti. Preso atto dello sfondamento, si cercò di salvare il salvabile e di portare l’esercito dietro il Tagliamento prima, il Piave poi, dove ricostruire un efficace sistema difensivo. Tra l’altro in quei giorni piove in continuazione e le strade si trasformano in un gigantesco pantano, che rende ancora più difficoltoso il movimento di uomini, mezzi, animali, cannoni, camion, soldati e civili: anche questi ultimi, con i loro carri carichi di masserizie, fuggono verso occidente. Si calcola che, tra chi scappa e chi insegue, in poco più di due settimane si spostano dal Friuli verso il Piave una massa di quasi tre milioni di persone. Una vera e propria baraonda. L’esercito italiano perde la metà dei combattenti impegnati in quel settore, tra morti e prigionieri (questi ultimi circa trecentomila). Con la dodicesima Battaglia dell’Isonzo perdiamo anche tremilacentocinquantadue bocche da fuoco, millesettecentotrentadue bombarde, tremila mitragliatrici, duemila pistole mitragliatrici, trecentomila fucili e ventidue campi d’aviazione. Saprete già che cosa purtroppo è successo e avrete potuto immaginare le conseguenze: sballottamenti continui, lavoro eccessivo, traslocamenti d’uffici e di centri di comando, sospensione delle poste e delle ferrovie, dei tram, ecc. ecc. In ogni paese, in ogni città ove

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arrivavo, mio primo pensiero era di informarmi e di correre all’ufficio postale per telegrafarvi o almeno scrivervi una semplice cartolina, tanto almeno da farvi sapere che ero almeno vivo ancora. Da nessuna parte potei comunicare in qualsiasi modo con voi. [...] Ebbene spero che questa mia vi arrivi e vi assicuri che io sto bene, sono vivo, libero, sano e salvo, quantunque anch’io abbia passato brutti, ma assai brutti momenti, al punto, in un momento di supremo pericolo, di essere obbligato a prendere un moschetto. Grazie a Dio ora ogni pericolo è scongiurato e per il momento non abbiamo che a lamentarci di un gran scombussolamento che non ci lascia fermi né di notte. Si viaggia a piedi, in camion, in bicicletta, in moto… si dorme… non so quando; si mangia… quando ce n’è e quando si arriva: una volta al giorno (4 novembre 1917, LXXVI). Solamente la sera del 9 novembre 1917, dopo che l’ultima forza di retroguardia della Brigata Sassari (seicento uomini in tutto), ha attraversato il Piave, vengono fatti saltare tutti i ponti e da quel momento al di là del fiume è tutto austriaco, mentre al di qua è tutto italiano. Si stava strutturando la nuova linea difensiva. Commovente, sempre nella lettera citata, la descrizione dell’incontro casuale avvenuto a Sacile, durante la ritirata, con lo zio Luigi, che per Sandro rappresentava come una seconda figura paterna, per gli stretti rapporti di convivenza nell’unico gruppo familiare all’interno del grande Palazzo Locatelli a Bergamo, in Città Alta. Entrambi registrarono un forte improvviso nodo alla gola che impedì loro di proferire parole, lasciando così spazio alle lacrime, agli abbracci e all’intensa commozione contenuta in pochi sguardi: Nella ritirata ... a Sacile, fra quella confusione che regnava, ho scorto zio Luigi. Al momento credetti di venir meno alla gioia e non ebbi neppure la forza di muovermi, ma poi d’un salto balzai a terra, mi feci largo tra la moltitudine e gli giunsi vicino: “O zio”, gli gridai gettandogli le braccia al collo, baciandolo. Non si mosse, non cambiò cera, stette un minuto a fissarmi in faccia e mi parve non mi riconoscesse e poi: “Sandro” fece lui, gettandomi a sua volta le braccia al collo; rimanemmo così stretti un momento, ambedue con le lacrime agli occhi. La commozione ci impediva di proferire altre parole! Io temevo per lui, lui temeva per me, il nostro incontro rassicurò ambedue. Che momenti! Nessuna gioia ho provato mai così grande come quella che m’arrecò tale incontro. Il mio camion camminava lento, ma andava avanti, zio non volle che lo perdessi e con atto repentino ristesemi le braccia, mi serrò a sé, anch’io lo strinsi, lo baciai, ci guardammo ancora negli occhi umidi e poi scappai. Due parole ci scambiammo: “O zio” e “Sandro”. Nessun’altra. Quelle strette e quelle occhiate avevano invece detto e fatto capire moltissime cose! Quasi tutte le lettere e cartoline presentate in questo volume sono scritte da Sandro Locatelli e, dalle varie località dei territori in stato di guerra, dove Sandro si trovava ad operare, esse raggiungono quasi quotidianamente Bergamo, oppure Corna Imagna o Salsomaggiore Terme, in ragione delle vacanze estive dei suoi familiari. Tre lettere, però, sono dirette a Sandro o a suo padre: una scritta dal Comandante della Sezione di Sanità, già citata (28 settembre 1917, LXX), nella quale egli attesta il lodevole servizio del suo soldato; la seconda scritta a Marmirolo da un commilitone, con attestazioni di fraterna amicizia; la terza e ultima, invece, è vergata dalla mamma di Sandro, la signora Maria Carminati, la quale piange innanzitutto la sventura di Caporetto, ma nel contempo gioisce per il fatto che suo figlio si è miracolosamente salvato da quell’immane tragedia. La sua è un’invocazione di pace. Dio

Maria Carminati, mamma di Sandro Locatelli.

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sia ringraziato, che nella immane sventura che colpì la nostra Patria diletta, in questi giorni tu non fosti compreso tra i sacrificati ed i prigionieri. Sandro mio, Sandro mio, quante ansie, quante lagrime si sparsero e si spargono in questi giorni! Che Dio le numeri e ne abbia pietà, rendendoci la pace (senza data, LXXVII). Da queste sue prime parole si intuisce l’elevato amor patrio della signora Carminati, che certamente ha saputo trasmettere al figlio, educandolo ai valori nazionali e religiosi. La lettera, pur carica di amore filiale, non cade nella retorica o nel sentimentalismo, ma costituisce innanzitutto un invito al figlio Sandro affinchè rinnovi la sua fede nel Cuore Santissimo di Gesù e nella Patria, raccomandandogli “coraggio, fede e fermezza”. È un incoraggiamento esplicito affinchè Sandro continui a compiere il suo dovere di soldato risorgimentale, auspicando più in generale che le truppe italiane si possano rianimare e riorganizzare, per opporre ferma resistenza al nemico invasore, ricacciandolo definitivamente oltre i confini nazionali. Con avidità si lessero le notizie tue, ci commosse l’incontro descrittoci da te così bene con lo zio e al fine soddisfatti, dopo tanto aspettare, subentrò un po’ di calma negli animi nostri. Certo che questa dura poco, sapendoti di continuo in codesti infelici luoghi, dove l’ira umana si scatena in questi dì, più che mai funesta. Noi, però, abbiamo sempre gran fiducia in Dio per la tua salvezza, molto più ora che constatiamo coi fatti la sua protezione speciale per la nostra famiglia. Abbi fede anche tu, caro mio, invoca sia pur col solo pensiero ed affetto del cuore il Cuore Santissimo di Gesù, nascondi l’animo tuo in quella fornace divina e poi coraggio, fede e fermezza. Non sarà poi eterna neppur la guerra, a questo mondo. Ora che le cose volgono male per la Patria nostra, il Governo stesso si rivolge agli Arcivescovi e Vescovi perché abbiano ad incoraggiare ed animare i soldati a sostenere ed adempiere il loro dovere. Questi si danno con quanto zelo è loro possibile per ottenere lo scopo, ma il guaio è che da tempo si volle togliere Dio e la religione dalla società e dalle scuole, ed ora in che terreno cade la semente gettata dalla Chiesa? Ringraziamo Dio, che dalla nostra famiglia non si dipartì mai la fede, ed ora vediamo i nostri soldati animosi e pronti ad adempiere sempre il loro dovere. Coraggio, Sandro, lo so che non c’è bisogno di dirtelo, piuttosto ti dirò “fede e confidenza in Dio” (LXXVII). Nell’epistolario di Sandro questa è l’unica lettera recuperata scritta dalla mamma e spedita al figlio soldato. Come pure non sono state rintracciate le lettere scritte dal papà Giuseppe, che sarebbero certamente state utili per riflettere sulla relazione filiale e soprattutto circa la posizione del notaio Giuseppe Locatelli nei confronti della guerra e rispetto alle scelte e ai convincimenti del figlio, considerando, in modo particolare, il ruolo di primo piano del notaio Giuseppe Locatelli nel contesto del mondo cattolico bergamasco. La mamma, mentre per un verso sostiene l’impegno dell’esercito nella guerra contro l’Austria, dall’altro condanna lo stato laico e liberale, che in precedenza aveva assunto alcune posizioni anticlericali. Eredità e memoria della guerra di Sandro I due anni di guerra hanno lasciato in Sandro uno strascico di conseguenze non solo fisiche, ma soprattutto di ordine emotivo e psicologico, che non dimenticherà mai più. La sua salute, seppure in un corpo non mutilato, era in parte compromessa. Di frequente - racconta il figlio Giorgio - negli anni successivi egli continua a manifestare dolore, a causa soprattutto delle numerose ferite provocate dalle cadute accidentali con la moto. Ogni tanto lo si scorgeva mentre massaggiava le gambe, ma non ne parlava volentieri. Sandro era stato riconosciuto invalido di guerra e percepiva pure una piccola pensione, dal momento in cui lo scoppio ravvicinato di

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una granata gli aveva provocato la rottura di entrambi i timpani. Ma gli rimasero soprattutto impresse le carneficine, la distruzione di vite umane, lo sconvolgimento degli Stati, la nuova geografia politica a seguito della Conferenza di Versailles. Conserverà gelosamente negli anni successivi alcuni oggetti “portati a casa” dal fronte, come la mantellina, un elmetto e una pistola austriaci, il suo cappello da alpino, che in seguito continuò a portare con orgoglio durante cerimonie e manifestazioni ufficiali,... Infatti parteciperà con il medesimo entusiasmo patrio alle celebrazioni della Grande Guerra, secondo i rituali delle istituzioni e delle varie associazioni combattentistiche, volte a rinnovare la memoria e l’onore di quanti hanno combattuto o sono periti sui campi di battaglia. Si recherà più volte sui luoghi del conflitto, ritornando sui suoi passi e rielaborando così nel tempo la propria esperienza personale. Da uno di quei viaggi postumi sui luoghi della memoria, portò a casa una baionetta ritrovata in una trincea austriaca. In famiglia, però, raccontava poco di quel periodo, accantonato nell’angolo dei suoi ricordi più intimi e personali. Partecipò, con la sua famiglia, all’edificazione del Monumento ai Caduti di Corna Imagna: il papà, notaio Giuseppe Locatelli, e lo zio, avvocato Luigi Locatelli, contribuirono ciascuno con cento lire e i loro nomi figurano tra i primi nella sottoscrizione popolare indetta per lo scopo.5 Sandro, col papà e lo zio, intervenivano nelle diverse manifestazioni pubbliche, tenendo orazioni e discorsi per sottolineare il sacrificio del combattenti italiani durante la Grande Guerra. Nonostante la propria condizione sociale privilegiata e l’esercizio della professione notarile, sulle orme del padre, Sandro non dimenticò mai la sua esperienza di combattente, di cui anzi andava fiero, rimanendo sempre attaccato alla memoria dei morti (alcuni dei quali suoi amici di scuola, come Speckel e Manenti, pure essi espressioni del mondo studentesco bergamasco6) e dei fatti nazionali che hanno caratterizzato quella stagione. Non conosciamo le posizioni assunte dal notaio Sandro Locatelli nei confronti dei grandi fatti che caratterizzarono l’immediato primo dopoguerra del secolo scorso, a partire dalla “Vittoria Mutilata” (come ebbe a definirla D’Annunzio), per la mancata annessione di Fiume, e dalle azioni pre-rivoluzionarie del movimento operaio durante il Biennio Rosso (1919-1920), sino alla costituzione nel 1919 del Partito Popolare di Don Sturzo, quindi alla formazione del Partito Comunista a seguito della scissione del partito Socialista avvenuta durante il Congresso di Livorno del 1921, e, infine, alla presa del potere da parte del Partito Fascista nel 1922. Anni densi di cambiamenti sociali, con la memoria della Grande Guerra ancora vicinissima. I Fasci di Combattimento, costituiti nel 1919, sostenevano un acceso nazionalismo e raccolsero molte adesioni tra i reduci della guerra, ma il carattere eccessivamente aggressivo degli stessi aveva messo subito in guardia il movimento cattolico. Sandro Locatelli si laureò a soli ventiquattro anni, dopo la Grande Guerra, e seguì la via maestra tracciata dal papà Giuseppe e dallo zio Luigi e, nonostante il suo elevato sentimento patriottico nazionale, mai aderì al Partito Fascista, ma continuò ad abbracciare le istanze dei moderati bergamaschi, sulla sorta dei valori trasmessi dalla grande stagione del cattolicesimo sociale del vescovo Giacomo Maria Radini Tedeschi. Ci si chiede che senso abbia oggi riproporre alla pubblica lettura epistolari, come pure memoriali, diari e documenti di altra natura connessi alla Grande Guerra. Dentro questo 5 Antonio Carminati e Costantino Locatelli, Genti, contrade e soprannomi di Valle Imagna. Castignì de Sansimù, Provincia di Bergamo, 1998, p. 517. 6 Virtù contra furore. A ricordo degli studenti bergamaschi morti per la Patria. 1915-1918, presentazione di Bortolo Belotti, Istituto Italiano d’Arti Grafiche, Bergamo, s.d.

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epistolario si cela la storia in una duplice prospettiva, sia quella specifica e concreta del soldato Sandro Locatelli, sia quella della Nazione intera. L’accentuazione della dimensione popolare, di massa, con forti caratteri risorgimentali, della Prima Guerra Mondiale, mette in luce l’importanza delle tante micro-storie, solo apparentemente “minori”, che compongono la grande Storia, per la molteplicità di componenti umane che l’hanno caratterizzata. Da documenti come questi, che restituiamo a un pubblico più ampio, emerge la guerra dei soldati semplici, dei sottufficiali e della truppa, degli ufficiali inferiori, che ci permette di sottolineare, accanto agli aspetti bellici veri e propri, soprattutto la vita normale delle persone comandate o corse alla guerra, alle prese con i problemi di tutti i giorni: chi in trincea e chi nelle retrovie, chi sui monti e chi assestati sugli altipiani carsici, chi nella veste di assaltatori o arditi e chi, invece, quali semplici portaordini o addetti ai servizi sanitari. Ciascuno di essi è protagonista della propria storia personale, unica e irripetibile. Ma c’è anche un altro motivo che ci spinge a promuovere iniziative editoriali come questa. Se fino a pochi decenni fa il lutto collettivo che si celebrava regolarmente, ad esempio, davanti ai vari Monumenti dei Caduti, presenti in tutti i villaggi rappresentava ancora una memoria viva e concreta (sia per la presenza degli ultimi reduci, sia alla luce di una coscienza sociale ancora sensibile all’eredità spirituale, culturale e nazionale della Grande Guerra), attualmente le nuove generazioni si sentono ormai lontane anni luce da quegli eventi drammatici, i quali hanno invece caratterizzato la nostra storia recente. Si sta perdendo la percezione storica e morale di quei fatti, percepiti come distanti e relegati alla preistoria della contemporaneità. La Grande Guerra non è più un fatto narrato e trasmesso di padre in figlio, con partecipazione emotiva diretta e personale, bensì oggi si presenta quale concatenazione di eventi oggetto di studio per gli addetti ai lavori. Col rischio di dimenticare la grande lezione storica e umana di popolo di quell’ultima stagione risorgimentale. Così pure nelle famiglie i documenti (epistolari, memoriali, fotografie, medaglie, croci,...) riguardanti i propri cari che hanno combattuto al fronte, col venir meno della memoria concreta e di una specifica coscienza collettiva, incominciano a costituire un peso e c’è la preoccupazione degli ultimi depositari che le nuove e future generazioni non li conservino. E se ciò si verificasse - come già ha iniziato a succedere - sarebbe una perdita per tutta la comunità locale e nazionale, per il venir meno di una comune sensibilità ai valori nazionali. Consideriamo questa pubblicazione e le altre che ci accingiamo a proporre, sempre riportando alla luce fonti e testimonianze dirette e inedite, il nostro “debito” morale nei confronti di quella generazione di soldati, studenti, operai e contadini combattenti, che poi, in fin dei conti, non è così lontana, ma è quella dei nostri nonni o bisnonni. Essi, come Sandro Locatelli, hanno creduto nell’Italia, hanno combattuto con onore e si sono sacrificati per il futuro di una Nazione che oggi, a cento anni di distanza dalla fine di quel grande conflitto, pare che a volte stenti a riconoscersi come tale. Due pellegrinaggi sui luoghi della memoria Nel mese di marzo 2009 è stata data alle stampe la prima parte dell’epistolario di guerra di Sandro Locatelli, che confluì nel volume Una foglia sbattuta dal vento, e, pochi mesi appresso, il Centro Studi Valle Imagna e il Gruppo Alpini di Corna Imagna organizzarono un primo viaggio sui luoghi della memoria, per ripercorrere ambienti, villaggi e sentieri del Il giovane studente Sandro Locatelli in vacanza a Salsomaggiore il 12 luglio 1916.

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medio e alto Isonzo vissuti dal nostro soldato nel 1917, sino alla Battaglia di Caporetto. Dopo aver visitato il Museo di Caporetto, straordinariamente ricco di resti, reperti, testimonianze, plastici e ricostruzioni interattive, siamo stati ospiti due giorni in un rifugio ai piedi del Monte Nero, con l’intenzione di “riconquistare” quella gloriosa e tragica vetta, ma le avverse condizioni metereologiche ce lo impedirono; soprattutto ci sconsigliò l’ascesa l’amico Zeliko Cimpric, direttore del Museo, nostra preziosa e valida guida, appassionato ricercatore delle vicende belliche che in quei luoghi segnarono una tragica pagina della Grande Guerra. Il tempo si presentava incerto e l’ascesa sul Krn doveva essere affrontata con molta prudenza poichè il pericolo dei fulmini è grande sui sentieri, oltre che su vette, creste, percorsi ferrati e canaloni. Dal rifugio, situato a 991 metri di altitudine al margine inferiore dell’alpe Kuhinja, una delle cinque aree ai piedi dei ripidi pendii meridionali del Krn, sopra il piccolo villaggio montano di case sparse, si gode un bellissimo panorama: a Est si estendono le alpi Kuhinja e Leskovica; a Sud-est, vicino al villaggio di Krn, con una chiesetta in cima al colle, si vedono sullo sfondo i monti in direzione di Tolmino con il Mrzli, gli altipiani Šentviška planota e la Šebreljska planota, la Selva di Tarnova e le Banjšice; a Sud lo sguardo si sofferma sul vicino crinale del Kolovrat, sulla riva destra dell’Isonzo, con la cima piu alta, il Kuk, sul passo di Livek nonché sul crinale orientale e sulla cima del Matajur. Per raggiungere il rufugio, da Caporetto si percorrono circa undici chilometri di strada asfaltata, quindi un chilometro e mezzo di strada forestale bianca, che termina in un ampio parcheggio, dal quale il rifugio dista altri circa cinque minuti a piedi. Messo da parte, seppure a malincuore, l’obiettivo di raggiungere la cima del Monte Nero (metri 2245), il gruppo ha optato per una visita sul Mrzli (una montagna alta 1359 metri), sulla quale venne scatenato l’inizio dell’offensiva il 24 ottobre 1917 e le truppe austroungariche sfondarono le linee difensive italiane, dilagando in breve su tutta la Valle dell’Isonzo. Il Mrzli si presenta tutt’oggi come un vero e proprio museo all’aperto, dove sono ven visibili i manufatti, i luoghi e molti resti ancora (frammenti di bombe, reticolati, pezzi di armamenti,...: la pietosa consuetudine vuole che chiunque trovi del materiale debba riporlo in evidenza sulle rocce) di quell’immane tragedia. Le descrizioni più crude della guerra Sandro, il nostro soldato portaordini, le riporta proprio a seguito dello svolgimento dei servizi di autoambulanza per il trasporto dei soldati feriti in combattimento, o dallo scoppio di granate, sul monte Mrzli nei mesi di luglio e agosto 1917. Lassù è ancora oggi ben visibile il trincerone italiano, da dove partivano gli assalti, e le infrastrutture difensive austroungariche assestate sulla cima del monte, dilaniato da continui e massicci combattimenti. In prossimità della cima il nostro gruppo ha partecipato spontaneamente ad una cerimonia commemorativa organizzata per ricordare i soldati austroungarici deceduti su quella montagna: presenti le autorità civili e religiose slovene e alcuni reparti militari in divisa dell’epoca. Gli organizzatori hanno subito rilevato la presenza del gruppo di Alpini italiani, ben riconoscibili dal cappello con la penna e la celebrazione della Messa, nella chiesetta austroungarica dedicata alla Vergine Maria, costruita al riparo di una caverna, è risultata un momento, pur casuale, di comune riflessione sulla tragedia che si è consumata su quelle montagne da entrambe le parti. Don Gianfranco Capoferri, componente del Consiglio Direttivo del Centro Studi Valle Imagna celebra la Messa sul Monte Nero (fotografia superiore). Giorgio Locatelli (il terzo da sinistra), figlio di Sandro Locatelli, in pellegrinaggio sul Monte Nero (fotografia inferiore) con una delegazione del Centro Studi Valle Imagna. Luglio 2010 (fotografia inferiore).

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Il viaggio, compiuto per interesse storico e umano nei luoghi della tragedia di Caporetto e del Mrzli, considerati sacri per il sacrificio di sangue versato da migliaia di soldati contadini, ci ha consentito di cogliere meglio le emozioni descritte da Sandro Locatelli nel suo epistolario e di comprendere in concreto gli ambiti operativi del soldato mobilitato in quel settore. Il gruppo è rientrato con l’impegno di ritornare a Caporetto l’anno successivo per salire sul Monte Nero e commemorare, oltre a Sandro Locatelli, tutti i soldati della Valle Imagna che hanno combattuto e sono periti nei settori del Medio e Alto Isonzo durante la Grande Guerra. Infatti nel luglio 2010 siamo ritornati a Caporetto, ospiti tre giorni nello stesso rifugio ai piedi del Monte Nero, ma l’iniziativa è stata organizzata in una prospettiva più ampia. Al Centro Studi e al Gruppo Alpini, infatti, si è aggiunto anche il Gruppo Tedofori della Valle Imagna per un’azione singolare. Il gruppo, composto da venti corridori, è partito dal Santuario della Madonna della Cornabusa la mattina di buonora, dopo l’accensione della torcia e la cerimonia di benedizione nella Grotta presieduta da Don Gianfranco Capoferri, già parroco di Ponte Giurino e componente del Consiglio Direttivo del Centro Studi Valle Imagna. I tedofori hanno percorso a piedi la distanza dal Santuario della Cornabusa sino a Caporetto. La delegazione del Centro Studi Valle Imagna e del Gruppo Alpini di Corna Imagna, con oltre venti partecipanti, ha raggiunto i podisti al rifugio ai piedi del Monte Nero. All’impresa hanno partecipato pure i figli di Sandro Locatelli, Maria Grazia e Giorgio. La mattina seguente, sabato, di buonora, podisti, Alpini e amici del Centro Studi, accompagnati dall’amizo Zeliko Cimpric, si sono incamminati lungo il sentiero dell’ascesa sul Monte Nero. Ci siamo divisi in due gruppi, per non limitare i camminatori, i quali in poco più di due ore hanno raggiunto la cima e quindi hanno proseguito verso il Monte Rosso, solcando pure quella montagna tutta scavata nella roccia dalle postazioni difensive austroaungariche. Il secondo gruppo, invece, ha proceduto più lentamente nella salita: a chiudere la colonna in marcia, in fila indiana, oltre allo scrivente, anche altri amici, tra cui il presidente del Centro Studi, Giorgio Locatelli, figlio del soldato portaordini Sandro, e Don Gianfranco Capoferri. L’amico sacerdote non si era attrezzato con abbigliamento idoneo e calzava “comodi” mocassini dalla suola in cuoio, non proprio adatti sui ripidi e ghiaiosi sentieri di montagna. Siamo convinti che egli abbia vissuto in preghiera, con raccoglimento e sacrificio, tale ascesa, rievocando la memoria di suo padre, reduce della Campagna di Russia durante il secondo terribile conflitto del secolo scorso, e di suo nonno, combattente proprio sul Monte Nero. Fortunatamente entrambi tornarono a casa. La salita si è rivelata subito faticosa, ma ancor di più si sarebbe presentata ardua e impegnativa la discesa. Don Gianfranco salì in silenzio quella montagna, con un fazzoletto bianco annodato ai quattro angoli sul capo, alla maniera di una volta, per ripararsi dal sole cocente. La sua sensibilità lo portava a sentire ancora l’eco delle voci dei soldati che avevano vissuto e combattuto in quei luoghi, a distanza di quasi un secolo, e ricordava tutti i Caduti di quell’immane tragedia che si è consumata sulle sponde dell’Isonzo e sui versanti delle Alpi Giulie. Ogni piccolo, ma incantevole fiore lungo il sentiero è per me un soldato che continua a vivere tra le rocce… Il nostro è un pellegrinaggio nella memoria per riaffermare il desiderio di pace in cui dobbiamo credere ancora…, diceva. E, mentre sfiorava la flora spontanea che colorava il sentiero in ascesa, tra cui spiccavano molti nontiscordardime, osservava: “Sono come i tanti soldati, Italiani e Austriaci, che hanno combattuto da queste parti: ci chiedono di non essere dimenticati e invocano una preghiera… Parole semplici che invitano a pensare. Come una poesia, un quadro, una melodia o una rappresentazione teatrale, tutte espressioni liriche che egli apprezzava profondamente. Giunti in vetta, Don Gianfranco ha celebrato la Messa, sfidando il vento d’alta quota e le

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nuvole minacciose, cui i presenti hanno partecipato con intensità di sentimenti, di memoria, di fede, dedicata a tutti i soldati che hanno combattuto e che sono periti su quella difficile montagna, la quale durante il nostro avvicinamento a Caporetto ci si era presentata sul versante occidentale con l’aspetto di un enorme inespugnabile dente roccioso. Il versante orientale, invece, soprattutto nella parte leggermente orientata verso Sud, in direzione del Mrzli e di Tolmino, da noi calpestata e durante la Grande Guerra teatro di scontri arditi, è più simile a un enorme “panettone”, senza protezioni, nemmeno dalla vegetazione. Molte volte, in quelle condizioni ambientali, la guerra diventava un “tiro al bersaglio” e quindi vinceva chi meglio riusciva a mimetizzarsi, ossia a nascondersi sotto terra, in grotte e trincee scavate dai soldati medesimi. Uno scenario davvero drammatico, soprattutto se vissuto e interpretato col senno e gli eventi accaduti cento anni fa. Per ricordare tutti i soldati della valle che hanno combattuto nel settore dell’Alto Isonzo, avevamo portato appresso due statuette della Madonna Addolorata della Cornabusa, benedette durante la cerimonia mattiniera della partenza dei tedofori, una grande e l’altra più piccola (poco meno di venti centimetri) da deporre sui luoghi della memoria. Una di esse, infatti, la più piccola, è stata lasciata all’interno di una cavità sulla cima del Monte Nero, quale “presidio” delle antiche memorie e degli affetti più cari. La seconda statua, invece, è stata depositata presso la bella chiesetta all’interno del Sacrario di Caporetto, dove la mattina seguente, domenica, Don Gianfranco ha celebrato la Messa a suffragio di tutti i Caduti, al termine della quale è stata depositata una corona d’alloro davanti al monumento principale del Sacrario, alla presenza anche di un rappresentante del Consolato d’Italia di Capodistria, intervenuto per la circostanza, dietro invito formale del Sindaco di Corna Imagna. I due pellegrinaggi sul Monte Nero hanno riempito di contenuti concreti e di immagini vive l’epistolario di Sandro Locartelli, per la parte riguardante i servizi militari espletati nella zona di Caporetto. Non nascondiamo il fatto che ci siamo sentiti molto “a casa nostra”, poichè quei luoghi, tanto cari e sacri nella memoria popolare, fanno ormai parte della coscienza collettiva di tutti gli Italiani, per ciò che hanno rappresentato nella nostra storia, per il sangue versato e i molti inimmaginabili sacrifici compiuti. Anche grazie all’epistolario di Sandro Locatelli, gli ambienti visitati ci sono sembrati subito familiari, hanno evocato sentimenti sinceri, quali luoghi identitari di riferimento per le nosre comunità locali e la Nazione intera. Antonio Carminati Direttore del Centro Studi Valle Imagna

A pagina successiva: carta geografica della Venezia Giulia degli anni Venti del Novecento.

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Lettere di Sandro Locatelli dal fronte ai familiari (20.06.1917 - 19.09.1918)

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I Una confusione dell’altro mondo! Alla Famiglia del Notaio Locatelli Via San Salvatore 12 - Bergamo 20-6-1917 Carissimi, dopo 27 non poco pesanti ore di viaggio continui in tradotta1, eccomi giunto a Udine. Una confusione dell’altro mondo! Io sono già stato destinato. Entro un’ora ripartiremo. Ci avvicineremo a Gorizia. Mi si è detto che entrerò immediatamente in esercizio. Sto benone e sempre allegro.2 Scriverò ancora presto. State bene e state quieti. Un bel bacio da Sandro. II Abbiamo qui con noi un porcospino che va sempre più addomesticandosi 2-7-1917 Ed eccomi finalmente per un momento, anzi per un po’ di tempo, libero. Da cinque giorni ho avuto un lavoro enorme ed incredibile. Immaginatevi che

1 La tradotta militare è un convoglio ferroviario composto di carri merci chiusi, arredati con semplici panche e lanterne a petrolio, destinati a trasportare le truppe. Il treno consentiva di trasportare velocemente grandi quantità di truppe e rifornimenti. Per Sandro aveva inizio la sua esperienza militare, quale soldato mobilitato nel settore dell’alto Isonzo, territorio dichiarato in stato di guerra. Si è già al terzo anno di guerra e proprio in questo periodo si sta combattendo la battaglia dell’Ortigara (10 - 25 giugno 1917), che vide impiegati 400.000 soldati per il possesso del Monte Ortigara, sull’Altopiano di Asiago. 2 Sandro è andato a combattere con entusiasmo e con un solido fondamento patriottico che derivava dalla sua formazione, che lo portava a vedere della guerra un momento di gloria e di riscatto della Patria. Il nostro giovane intellettuale si trova a combattere nell’Alto Isonzo non perché costretto, non per una passiva obbedienza e nemmeno per ignoranza. Sandro credeva in ciò che faceva, condivideva le idee per cui si combatteva e, pur provenendo da una famiglia benestante della nuova borghesia cittadina, non disdegnava il suo impegno diretto per la causa della nazione. Ma è stato soltanto un legittimo sentimento nazionale a suscitare tanto entusiasmo e ad esaltare un’azione bellica che si stava rivelando una vera carneficina? Non conosciamo l’influsso esercitato dai movimenti culturali del periodo, come quello dei futuristi di Marinetti, sulla personalità di Sandro, quando anche la Chiesa benediva i soldati in partenza per le battaglie e li rendeva preziosi agli occhi delle comunità di appartenenza. Il notaio Giuseppe Locatelli, papà di Sandro.

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il giorno 27 e 28 compii un disbrigo di ordini di servizio ed autocolonne per quaranta ore di marcia in motocicletta. Ripeto: quaranta ore! Non è esagerazione! Quando finalmente potei constatare che la mia marcia, che per un dato tempo credetti fosse il moto perpetuo, era cessata, mi chiesi se io esistevo realmente o sognavo e se tutto il lavoro compiuto fosse stato sogno o realtà. Ero tutto contento di essermi fermato, quand’eccoti un ordine improvviso che mi obbliga a traslocare dalla mia sezione per un luogo che io non avevo mai neppure sentito nominare, ma di cui il nome mi fece credere che si trovasse in Arabia o in Tripolitania. Partii immediatamente con tutti i miei sacchi, armi e bagagli (valigetta, telo-branda, tascapane, borraccia, coperta, elmetto, pastrano, tre paia di scarpe, anzi quattro, e un pacco contenente tre divise di panno) come feci a trasportare tutto da me, non ve lo so spiegare, vi dirò soltanto che una carretta di venditore ambulante non poteva portare tanta roba. Ovunque passavo, facevo ridere. Quando Dio volle trovai un camion che gentilmente mi accolse con tutta la mia guardaroba e il mio mobilio. Cominciai allora una salita su per un monte e di mano in mano che io mi alzavo il panorama di sotto si faceva sempre più ammirevole e quasi direi soprannaturale. Ai piedi del monte scorre l’Isonzo. Dopo due orette di simile, quasi comodo viaggio, arrivai quassù, non in vetta al monte però. Mi presentai subito al Comando a cui ero destinato come motociclista e subito mi fu assegnata la mia brava (non lo so, però) motocicletta! Ma, ohimè! Era mezza sfasciata! Una terribile caduta e un terribile colpo ricevuto l’avevano ridotta in quello stato il giorno innanzi. I medici di questa sezione di sanità si dichiararono incapaci di guarirla e ristabilirla, e perciò si premurarono bene di mandarla a Udine. Ed ecco perché ora mi trovo qui a riposo; e a riposo anche la motocicletta. Intanto cercai bene di scegliermi un buon posto per deporre le mie ossa indolenzite da tante scosse, e quel che mi premeva di più, per deporre i miei voluminosi e numerosi bagagli, che al mio arrivo mi fecero credere a beffana! Disgraziatamente tutte le camerate erano già piene! S’intende qui le camerate sono: stalle, fienili, pollai e a volte qualche piccola stanza di queste case e baite requisite. Pochi uomini, dunque, riempivano già questi piccoli luoghi. Non essendoci posto allora, ed essendo non soltanto io senza tetto, ma in tre o quattro, si pensò di costruire una piccola baracca in legno poco distante da questo Comando. E con l’aiuto di un falegname fummo tutti all’opera. Il luogo scelto era magnifico: su una costa del monte in una grotta naturale. Seghe, martelli, pialle e altri simili insetti furono messi in funzione immediatamente e in poco tempo sorse un meraviglioso palazzo di legno che in cinque passi si attraversava in lungo e

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per largo. Colla nostra erculea forza lo si spinse, sì da incastrarlo nella grotta naturale, rendendolo così ancora più sicuro ai colpi di vento, che alle volte avrebbe potuto tramutarlo in aeroplano e innalzare noi dal semplice grado di motociclisti ad aviatori, e in secondo luogo rendendolo anche più sicuro da certi altri colpi solidi, quantunque qui sia ben difficile che ci raggiungano. In questa badia ci troviamo in tre giovanotti, due del ’97 ed io del ’98, tutti motociclisti. Una volta costruita la parte più importante dell’edificio, si pensò noi a racconciarlo e a procurarci le maggiori comodità che ci fossero state possibili. Ad altro foglio tale descrizione. Dunque la nostra reggia ha la forma di una bella scatola rettangolare, è cinque metri di lunghezza e tre e settanta di larghezza ed è alta metri tre. Come vi ho già detto, si è incassata in una grotta del monte, schivando così anche il tetto. Nel centro della facciata ci sta una porta e ai lati di questa due piccole finestre, s’intende senza vetri. Sopra il soffitto di questa specie di scatola vi abbiamo costruito una bella terrazzina coperta dalla volta della grotta. In mezzo vi abbiamo messo un tavolino e lì si va sempre a mangiare. Si arriva al terrazzino per una scaletta a pioli costruita da me. Un metro sotto il soffitto, nell’interno della baracca, appesi ai travi, con solide corde stanno i nostri balì.3 Bisogna essere un po’ acrobati tanto la sera nel montare, quanto al mattino nel discendere. Quando poi sei a letto li senti dondolare mollemente, come se fossi in cuna4 e ancor prima che cessi quel dondolio sei belle che addormentato. Sotto a queste altalene vengono la cucina, il salotto, il guardaroba, la sala di toilette e lo studio. Nell’angolo di destra, in fondo, trovasi il fornello di mattoni a due buchi, uno per la padella e uno per la pignatta. Di fronte a questo trovasi il gabinetto di toilette con acqua corrente e fresca di sorgente da far concorrenza a quella della Brusada.5 Ve l’abbiamo fatta arrivare accompagnandola, per un trecento metri da un fontanino che stava sopra, con tante scorze d’albero. Un foro col trapano nella parete e la conduttura è fatta entrare. Innanzi alla finestra di destra sta un tavolino col lusso di un tappeto requisito in una casa mezza rovinata. Vi sta sopra uno shrapnel esploso, facente funzione di vaso portafiori. Quattro grossi ceppi in legno formano i sedili. Innanzi alla finestra di sinistra sta un altro tavolino

3 Cuccette sospese. 4 In dialetto cüna, ossia culla. 5 Nota sorgente di acqua di monte, da cui il nome a tutto il canale che si incontra e supera salendo dalla contrada Cà Gavaggio di Corna Imagna sino alla località Calvi.

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fisso alla parete di legno, che fa da scrivania e per ciò porta carta, inchiostro, penne, ecc. ecc. Cosa si può desiderare di meglio? Ora alla sinistra della baracca si sta costruendo una tettoia per le motociclette e per impiantare un po’ di officina. Siamo collegati col Comando che dista circa 700 od 800 metri con un campanello che ha i suoi segnali, a seconda chi vuol chiamare.6 Dove ci troviamo imbrogliati è nel far da mangiare. Dobbiamo arrangiarci a turno e nessuno sa far niente. Tutti allo stesso livello. Però colla fame che viene, se anche la minestra non è troppo condita, o non è salata o è salata troppo, o se la carne non è cotta o se le costolette sono abbruciate o crude, niente va alla malora e tutto va giù. E come è buono! Abbiamo qui con noi un porcospino che va sempre più addomesticandosi, e quando ci vede ora s’arrotola un po’ meno che le prime volte. A poco a poco resterà disteso! Io ho pigliato in un buco di un albero, ove l’avevo visto rifugiarsi, un bellissimo ghiro, rosso di pelo. Poveretto! L’ho imprigionato con una catenella ad una trave sopra il mio letto. È sempre malinconico e dorme. Si fa però festoso e vispo quando gli porgo qualche mela acerba, o noce, o qualche pezzo di verdura di rifiuto. È quello che i sveglia la mattina con quattro o cinque squittii quando comincia a vedere il sole. È assai carino e buffo nelle sue mosse! Poco distante e sopra di noi passa una teleferica che trasporta dalla vetta alla strada i feriti e gli ammalati. Io non so proprio di che devo lamentarmi! Per conto mio posso dire: che duri la guerra! Nessun pensiero né dispiacere se non quello di sentirmi lontano da voi; a voi penso sempre, al mattino alla sveglia, alla sera andando a riposo, in motocicletta, mentre lavoro al banco, sempre insomma. Al mattino e alla sera nelle mie brevi orazioni non dimentico mai un’Ave Maria per voi, perché la Madonna mi faccia la grazia di restituirmi ancora al vostro affetto e perché vi mantenga sempre sani e allegri. Qui nella Compagnia ove mi trovo, vi si trova anche il Cappellano militare col quale ho già fatto conoscenza. Ogni domenica, come vedi, celebra la messa, qui sul monte, in mezzo a questi macigni e burroni e fra il verde di questi pascoli! Ieri, domenica, assistetti alla prima di queste messe da campo e vi confesso che ne rimasi veramente commosso. Il sacrificio che si compie diviene per me ancor più grande, più solenne, più

6 Bella la descrizione delle operazioni connesse alla nuova sistemazione e alla costruzione di un soddisfacente riparo pur provvisorio e di fortuna dentro una grotta. Si coglie la caparbietà, la volontà e l’ingegno dei soldati finalizzati all’ottenimento di un dignitoso e confortevole alloggio.

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commovente innanzi all’immensità e alla maestosità di questa natura.7 Vorrei continuare ancora fino a questa sera, che niente mi è più gradito che l’intrattenermi a parlare così familiarmente con voi, ma già da un pezzo i miei due colleghi stanno lavorando di lena nel costruire la tettoia e li sento che segano e picchiano da far rintronare la valle. Se la censura lo permette, vi dirò dove mi trovo: sono a Potoki8, sul Monte Stol9, che si trova di faccia al Rombon10. Termino col pregarvi di stare allegri e di non pensare mai male per me, anche se steste qualche tempo senza mia notizie, alle volte causa la posta e alle volte il gran lavoro che ho da compiere. Scrivetemi spesso che questo sarà il miglior rinfrescante in mezzo a tutto questo caldo. Un bel bacio dal vostro Sandro. III La guerra non è poi tanto brutta come si vuol credere 3-7-1917 Caro papà, per vera combinazione ho ricevuto oggi la tua corrispondenza. Tre lettere: una da Bergamo alla vigilia di partire e due da Salso. Un mio che per combinazione si recò a Cividale per riparare la sua automobile me le ha recate con una cartolina dello zio e una di Nino Marini11. Ti puoi immaginare con quale avidità e quanta impazienza strappo la busta, bramoso di conoscere le vostre notizie. Dunque, un dispiacere immenso ho provato nel sentire come e da quanto tempo siete privi delle mie notizie. Non credere, caro papà, che la colpa sia mia. Quella stupida posta militare e quella maledetta censura che vuol mettere

7 Sandro ama la montagna e avvicina gli animali del bosco: li osserva, li avvicina, li studia e pare entrare in sintonia con loro; rimane pure incantato di fronte alla maestosità e all’immensità della natura in alta quota, ma in questi sentimenti si sublima ulteriormente quando essi diventano un tutt’uno con lo spirito patriottico che anima le sue azioni. 8 Potoki, nucleo abitato ai piedi del Monte Stol, sulla sponda sinistra del Natisone, lungo la strada che da Borjana raggiunge Staro Selo e quindi Caporetto. 9 Il Monte Stol, una montagna di oltre 1600 metri di altitudine delle Prealpi Giulie a Ovest di Caporetto, durante la Grande Guerra fu uno dei teatri della battaglia di Caporetto e il 25 ottobre 1917 venne conquistato dai reparti austro-ungarici della 22ª Divisione Schützen. 10 Il Monte Rombon (2.207 metri di altitudine), situato nelle Alpi Giulie, sovrasta il comune di Plezzo ed stato al centro di molteplici azioni militari durante la Prima Guerra Mondiale. 11 Stefano Marini, cugino di Sandro, ossia figlio di Marianna Locatelli (sorella di Giuseppe).

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il naso su ogni cartolina e dentro ogni lettera, ne sono la causa, e producono così ritardi enormi e fanno stare in pensiero soldati e parenti. Per conto mio ti assicuro che da qui ogni giorno parte, diretta a voi, o lettera o cartolina. Un giorno solo non potei, essendo giunto a tarda notte ed essendo partito al mattino di buonora. Come arrivò a me tutta in un fascio, vedrete che anche a voi la mia corrispondenza arriverà tutta in un fascio. Del resto, ve l’ho già detto, se steste anche una settimana senza mie notizie, non vi allarmate per carità, sapete com’è la vita del motociclista: parte ma non sa quando ritorna, è continuamente a disposizione dei comandi ove arriva e perciò potrebbe stare anche una settimana senza tornare alla sua base di partenza. Per carità, papà, non lasciarti pigliare dalla melanconia, perché questo per me è il pensiero più doloroso che mi scoraggia, più di qualunque altra cosa. Il pensiero che voi state lì a crucciarvi per me, che sto benone, non manco di nulla e sono qui tutto allegro, mi rende triste e mi scoraggia. Goditi in santa pace e quiete quei giorni lì di cura e fa far loro eco due buoni mesetti di Corna e non sta a pensare mai male di me che sai come mi trovo. Goditi anche l’orchestrina del caffè e mentre odi pensa che anch’io qui sto a udire un’orchestrona italiana a base di grancassa e di bombardini che… suona deliziosamente.12 Sai, mi è sempre piaciuta la musica rumorosa! Scrivimi, scrivimi anche prediche (come le chiami tu) che tutto mi giunge caro in un modo straordinario13. Però ti faccio noto che ogni domenica anche qui, quando vado a sentire la messa, celebrata all’aperto su una roccia, il cappellano per venti minuti ci parla da padre. Tieni allegra e svagata anche mamma, a cui scrivo subito, e appena giunto a Bergamo porta lei e Nunzia in montagna a Corna, loro soggiorno preferito. Mi prometti? Da qualche giorno di motociclista va man mano diminuendo in questa Sezione. Intanto m’han fatto magazziniere del deposito benzine, lubrificanti, gomme e pezzi di ricambio. C’è da lavorare anche qui. Aggiungi che faccio anche l’at-

12 L’ironia, quasi sempre presente nelle missive di Sandro, probabilmente una componente del suo carattere gioviale, gli consente di sdrammatizzare anche quelle situazioni che paiono più complicate, lo aiuta a mantenere sempre il buon umore e ad essere positivo nelle sue azioni. 13 Il nostro giovane soldato manifesta un bisogno quasi viscerale di comunicare con i propri cari utilizzando l’unico strumento allora disponibile, ossia la posta tradizionale (cartoline e lettere). Nel corso della Grande Guerra milioni di uomini e di donne furono spinti a prendere la penna in mano con una frequenza e un’intensità che non aveva precedenti. Sandro cerca di scrivere a casa con frequenza quasi giornaliera per testimoniare la sua esistenza in vita e riallacciare i contatti affettivi con il contesto d’origine. I suoi cari rimasti a casa, soprattutto papà e mamma, dovettero a loro volta trasmettere incoraggiamenti, rassicurazioni e notizie sull’andamento delle cose domestiche.

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tendente al mio Sergente e vedi che non ci ho tanto da divertirmi! Stando alle cose come sono, credo però che presto sarò di nuovo traslocato. Credo che ora l’indirizzo giusto l’avrai, tuttavia te lo ripeto: 54 Sezione Sanità – IV Corpo d’Armata. Allora siamo intesi. Allegro io, ma anche voi. Del resto vi posso garantire che la guerra non è poi tanto brutta come si vuol credere. A me piace.14 Per me è un gioco di sveltezza! Scrivimi ancora. Un bacio da Sandro.15 IV Da alcuni giorni imperversa un tempo orribile Al Sig.[nor] Dottor Notaio Giuseppe Locatelli Casa Sorelle Bussandri – Salsomaggiore16 5-7-1917 Carissimo papà, io non capisco cosa succede con la posta che mi spedite. Sono già sedici giorni che mi trovo al fronte e non ho ancora da ricevere direttamente per posta neppure una cartolina. Se per caso un mio compagno non si fosse recato a Cividale, oggi sarei ancora completamente digiuno di vostre notizie! Neppure oggi, 5-7-2014, non ricevetti nulla. Da parte vostra sono certo che mi scrivete ogni giorno, poiché me lo accerti tu stesso in una tua lettera. Anch’io ogni giorno vi scrivo! Dal giorno 8 luglio la corrispondenza che vi spedirò l’indirizzerò a Bergamo, poiché ho fatto il calcolo che in quattro giorni non vi possa arrivare costì. Vuol dire che a Bergamo troverete diverse cartoline o lettere che sono certo leggerete volentieri e vi soddisfaceranno. Da alcuni giorni imperversa

14 Nelle missive non sempre è chiara la linea di demarcazione tra i veri convincimenti personali e ciò che invece il soldato vuol far credere, soprattutto in vista di tranquillizzare i propri cari lontani. Certamente spicca l’energia propositiva del ventenne alle prime armi, cui non mancano il coraggio e la voglia di fare, come pure la ricerca dell’ironia e il piacere della compagnia e dell’avventura. 15 La lettera è un continuo incoraggiamento di Sandro nei confronti dei suoi genitori, li incoraggia ad affrontare la nuova situazione, li invita a non stare in pensiero per lui e tende quindi a sdrammatizzare l’evento bellico, dichiarandolo non poi così cruento e pericoloso. 16 Negli anni a cavallo tra il 1800 e i primi lustri del 1900, Salsomaggiore si affermava come uno dei maggiori centri di vita termale. Lungo il corso principale di Viale Romagnosi sorgevano i più grandi alberghi, un grande teatro, il Ferrario, lo stabilimento Dalla Rosa (poi trasformato in Ufficio Propaganda) e il Magnaghi.

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