"il magazine di chi scrive con gli occhi"
Voce e Silenzio… due parole che sembrano contraddirsi, eppure, l’una non vive senza l’altra, come è per luce e tenebra.
Forse abbiamo perduto la capacità di ascoltare… proprio nell’epoca delle grandi comunicazioni. Il silenzio appare come uno spazio senza confini in cui ci si potrebbe perdere, eppure, è proprio il silenzio che permette di incontrarsi attraverso il dar voce all’altro. E l’”altro” può essere qualcuno altro da noi oppure proprio noi stessi: il silenzio ci dà la parola, è capace di farci sentire la nostra stessa voce tante volte azzittita. Con Premio SLAncio vogliamo dare e sentire la voce di tante persone inascoltate e che hanno tante cose da dire, vogliamo aprire piccole fessure da cui far trapelare valori, sogni, gioie e dolori, verità autentiche libere da mode stereotipate. Grazie a tutti i partecipanti alla 2° edizione di Premio SLAncio 2023 La Redazione di Scriveresistere il magazine di chi scrive con gli occhi, Luigi Picheca, Pippo Musso, Claudio Messa e Laura Tangorra.
Collana Premio SLAncio
Progetto editoriale La Meridiana Cooperativa Sociale di Monza. Edizione a cura di Luisa Sorrentino Prog. grafico Cristina Balestrini www.cb-studio.eu
Disegni a cura di Aldo Bottoli
Stampato 01/2024
© Tutti i diritti sono riservati
Insieme per la fragilità
Silenzio, parla il cuore!
E DELLE
CASA DELLO SPIRITO
ARTI
"il magazine di chi scrive con gli occhi"
Raccolta di poesia, racconti, podcast e canzoni
dal Concorso Letterario (e non solo)
"Premio SLAncio" 2023
seconda edizione
PREFAZIONE
La Redazione di Scriveresistere, il magazine di chi scrive con gli occhi
Luigi Picheca, Pippo Musso, Claudio Messa, Laura Tangorra
LA VOCE C’È ANCHE SE NON SI SENTE basta cercarla nel silenzio (anche delle fragilità)
La scrittura diventa suono e crea ponti che permettono di incontrarsi con gli altri senza restare isolati, al freddo di relazioni perdute.
Con il nostro giornale SCRIVERESISTERE abbiamo provato a noi stessi di avere la voce che credevamo perduta con la SLA e con Premio SLAncio forse vogliamo “provocare il mondo” e gridare l’importanza di avere uno spazio di parola.
E non pensiamo solo a chi è malato di SLA, ma a tante persone che non hanno ascolto e hanno tante cose da dire, il diritto di “esistere”!
Per questo abbiamo voluto coinvolgere anche diversi Enti che si occupano di sociale perché entrino in gioco insieme a noi coinvolgendo a loro volta i fragili di cui si occupano, per dar loro uno spazio di parola sia “entrando in gara”, sia esprimendo il proprio gradimento sulle opere in concorso.
Una vera e propria avventura senza rete che – noi immobili - per la seconda volta affrontiamo con coraggio e con tanta voglia di riuscire a MUOVERE l’attenzione su realtà silenziose e ascoltarne suoni e parole, premiare la vita.
Con queste poche battute vogliamo dare inizio alla Premiazione della seconda edizione di Premio SLAncio e ne proseguiamo la storia che, speriamo, si arricchisca e duri nel tempo.
Benvenuti a tutti e GRAZIE DI CUORE
Concorso 2023 - PREFAZIONE 5
LA VOCE DELLA GIURIA
Roberto Mauri Presidente della Cooperativa Sociale La Meridiana
Nato quasi per scommessa, Scriveresistere è un giornale dall’immagine eccezionalmente forte, che prima ha emotivamente colpito e poi è diventato un vero e proprio stimolo di riflessione, di cui vado orgoglioso. Molte persone che vengono a trovarci, spesso ci chiedono “che senso ha vivere con la SLA o in stato comatoso e con gravissime disabilità”. La nostra risposta è questa: ha senso dove c’è un amore, un luogo bello, una cura complessiva.
Ricordo una frase di Pippo Musso, malato di SLA e redattore di Scriveresistere: “Io finché stavo bene, non avevo capito nulla della vita! Oggi, in queste condizioni, dico quant’è bella e quanto vale la pena di viverla”. Ecco, quando pensiamo alla nostra vita e non siamo mai contenti, qui possiamo percepire chiaramente che la felicità è dentro di noi e la si può scoprire e vivere in qualsiasi condizione ci troviamo. Questo magazine con i suoi autori, “veri giganti”, fa provare un grande senso di gratitudine.
Arnoldo Mosca Mondadori Presidente della Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti
Prima di dare la parola alla giuria che ho l’onore di presenziare, voglio dire subito che questo è un Premio unico, molto più speciale del Premio Oscar e di altri premi “mondani”, perché in Premio SLAncio c’è qualcosa di più e di straordinario: c’è Amore!
Anche per questo, abbiamo voluto aprire l’evento di premiazione con un’esibizione musicale di uno strumento unico, il “violoncello del mare”.
Questo strumento, è stato costruito con il legno delle barche approdate a Lampedusa, usate dai migranti donne, uomini e bambini, persone disperate in cerca di luoghi di accoglienza e solidarietà, fuggiti da paesi che vivono in guerra e da privazioni disumane. Il sogno è di creare una “Orchestra del mare” che possa girare il mondo per portare e dare voce alle persone che non ci sono più, dare voce
Concorso 2023 - PREFAZIONE 6
all’indifferenza, facendo spazio alla cultura dell’attenzione e della coscienza.
Il tema di questa seconda edizione di Premio SLAncio – Voci dal silenzio - vuole proprio accendere più attenzione possibile attorno alla Persona, raggiungerla anche in luoghi sperduti per dare voce a chi non ha voce e soprattutto per offrire a tutti l’opportunità di arricchirsi, ascoltandola!
Ferruccio De Bortoli Giornalista e Presidente VIDAS
La forza del racconto che porta con sé la vita è un dono meraviglioso che, nel caso di donne e uomini fragili e prigionieri del proprio corpo, assume in significato ancora più straordinario: quello di creare relazione con un mondo “fuori” troppo spesso sordo e indifferente. Credo che questo sia il cammino da percorrere e iniziative di grande valore sociale come il Premio SLAncio ci restituiscono il significato vero della condivisione, del rispetto e della responsabilità di una comunità che deve essere capace di accogliere e saper ascoltare, anche il silenzio.
Mario Calabresi Giornalista e Scrittore
Da quando ho conosciuto il progetto Scriveresistere mi si è aperta una finestra sul mondo perché voi siete stati capaci di dare voce a chi voce non aveva, ma a persone che hanno tantissimo da comunicare e tantissimo da raccontare. Persone che hanno un mondo da mostrarci e da condividere. L’idea di questo premio è fondamentale ed è in linea con Scriveresistere, con SLAncio. Lo fate partendo proprio dal tema del silenzio e lo fate per dire diamo voce alla malattia e anche a chi non ha voce, alle periferie, agli emarginati, a tutti. Perciò è un’idea ancora più larga. Grazie!
Pietro Coletta Artista scultore e autore di “Indicibile” simbolo di Premio SLAncio
Come artista in questo luogo ho sentito la mia funzione vera e autentica. L’Arte nella vita è importante perché nella vita c’è anche la sofferenza. L’artista è un filosofo.
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Anche se la parola non è il mio linguaggio espressivo, attraverso lo sguardo, gli occhi, ho cercato di tradurre i valori, i dolori, le gioie della vita. Altri lo fanno con la musica, con i suoni. Anche la fisica è arte: nell’atomo dicono che c‘è l’infinito... e noi siamo fatti di atomi, mangiamo atomi e camminiamo su atomi e Dio è un immenso Artista.
Luca Crippa Scrittore e consulente editoriale
Grazie perché queste persone si sono esposte ed espresse, vincendo la tentazione di restare nel silenzio, un silenzio non contemplativo, profondo e bello che si lascia riempire di luce, ma un silenzio che rischia di essere di rinuncia, di resa, di morte e di sfiducia. Ogni opera d’arte è una porta aperta verso una prospettiva più grande che dà speranza e ci fa credere che qualcosa di bello e giusto ci aspetta ad ogni passo che facciamo in avanti.
Luca Streri Giornalista e editorialista, Fondatore di Movimento Mezzopieno
Ci sono momenti nella vita in cui ti rendi conto che fai parte di qualcosa di grande e di bello, di grandissimo e di infinito: Arnoldo lo chiama amore. Io oggi ho sentito proprio questo e lo sento anche quando entro nelle stanze dei nostri redattori. Ricordo che la prima volta che sono entrato nella stanza di Pippo mi disse “Ciao, io vivo in mezzo agli angeli”. Oggi ho capito che ognuno di noi può essere un angelo per gli altri.
Alfredo Repetti Mogol Paroliere e Pittore
Sto provando emozioni molto forti. La parte emotiva presente oggi è rilevante aldilà delle opere; mi sento un privilegiato ad avere la possibilità di essere qui oggi. Da sempre nell’arco della storia I poeti non hanno mai negato la loro creatività. L’arte aiuta tutti in ogni aspetto della vita. Per questo mi circondo di arte e bellezza, fa bene a tutte le anime sensibili. La bellezza si può trovare in un tramonto, in un
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quadro, in una canzone, in una persona o in un gesto. L’arte, la poesia rendono più difficile negare che ci sia qualcuno sopra di noi. Aiuta cioè ad avere fede, ad apprezzare.
Luisa (Lisetta) Sorrentino Psicologa, coordinatrice editoria di Scriveresistere
Premio SLAncio ha voluto anche quest’anno dare prova della forza della fragilità e dell’importanza di dare la parola ai silenzi! Vogliamo contribuire a creare una cultura del sentire da costruire piano piano, senza fretta. In un tempo in cui si fa tanto rumore, si cerca di scivolare sulla vita… Premio SLAncio può essere un luogo aperto al profondo che c’è in ciascun uomo. Che bello essere invitati a “sprofondare” dentro la propria vita senza paura e finalmente poterla gridare! Che bello sentirsi ascoltati e considerati un valore da divulgare, dove gioie e dolori si fondono e la verità è dicibile con orgoglio e si trasforma in dono.
Grazie a
Valentina Volpe Andreazza Mezzosoprano
È nel silenzio che nasce la voce, è dalle pause che nasce la musica. É in quel silenzio che si liberano i nostri pensieri e, se siamo bravi, ritroviamo la nostra voce interiore, la nostra anima che ci parla. É in quella solitudine che impariamo a rinascere, ecco per me che cosa significa la Voce del Silenzio. Da questo silenzio, non si può che rinascere con il sorriso, come dei bambini alla scoperta del mondo, sorridi, anche senza una precisa ragione, ama, come se fossi un bambino, sorridi, non interessa cosa pensino gli altri, non ascoltare le loro parole perché la vita è bella vissuta così! A fianco di Valentina, al pianoforte il maestro dell'Accademia Teatro alla Scala, Annibale Rebaudengo, e il violoncellista, Issei Watanabe che ha suonato, per l'occasione, il Violoncello del Mare.
e per aver condotto l'evento di Premiazione
Fabrizio Annaro Capo ufficio stampa di La Meridiana e direttore responsabile di Scriveresistere.
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IL MESSAGGIO DEGLI OSPITI DI PREMIO SLANCIO
Egidio Riva Assessore al Welfare del Comune di Monza
Come sempre, in queste manifestazioni sono emozionato perché vedo le due parti della medaglia: in una la sofferenza, la fatica, lo sforzo e nell’altra la bellezza. Questo lo sanno anche gli assistenti sociali con cui quotidianamente lavoro, lo sanno le professioni del sanitario che la cura è sofferenza e speranza, lascia una bellezza che resta nel tempo. Tutte le iniziative come questa sono davvero da apprezzare perché contengono l’arte, la poesia, la musica, la cultura e… fanno bene, diventano veri momenti di cura. Grazie per questa bellezza.
Roberto Natale Direttore RAI Segretariato Sociale
Dopo altri incontri con La Meridiana, di questo stesso valore, vi confermo che il servizio pubblico ha senso se riesce a dare una mano a iniziative belle e vitali come quelle che fate voi. C’è solidarietà concreta, rispetto e attenzione per la persona e Rai per il Sociale è al vostro fianco inevitabilmente anche per il futuro.
Alessandra Locatelli Ministro della disabilità
Questa giornata è speciale per ricordare le persone malate di SLA e le loro famiglie. La SLA è una malattia terribile, ma la persona che ne è affetta ha tutto il diritto di vivere una vita di qualità, in un contesto relazionale sereno. Insieme si può dare più slancio alle politiche e alle azioni positive per vivere un mondo più inclusivo e attento agli altri.
Un complimento agli autori e redattori di Scriveresistere perché ciò che pubblicate, sono storie di vita, aneddoti e riflessioni che interessano tutti, temi nei quali ci si può rispecchiare e le persone possono riscontrare aspetti importanti da cui prendere ispirazione. Giornata questa di impegni, valori e principi, spunto per continuare a lavorare tutti insieme.
Concorso 2023 - PREFAZIONE 10
Aldo Bottoli Designer, artista e drammaturgo del quotidiano
Parole, immagini e storie affiorano connettendo mondi legando vite. Restituiscono la bellezza negata a chi non possiede voce e donano a noi, sbadati parlanti senza merito, la consapevolezza di possederla e, spesso, di sprecarla. Grazie
Monsignor Silvano Provasi Arciprete del Duomo di Monza
Prima di venire qui stavo passando all’oratorio estivo e una ragazza mi dice: “Sa che compito ho io? Quello di portare pace quando due persone litigano”. Pensavo di avere sentito la cosa bella della giornata e invece sono venuto ad assistere a Premio SLAncio e la giornata mi si è arricchita: vedere il futuro così dà speranza e consolazione, nonostante i segni negativi che possiamo incontrare.
Don Sergio Didoné Sacerdote della Diocesi di Milano
Noi a Milano guardiamo con interesse La Meridiana e porto i saluti del nostro Arcivescovo. È stato un pomeriggio davvero stupendo, qui c’è taratura interiore!
Concorso 2023 - PREFAZIONE 11
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vociin armonia
Sezione dedicata alla poesia.
Concorso 2023 - VOCI IN ARMONIA 13
Concorso 2023 - VOCI IN ARMONIA 14
NON NASCONDERÒ LE MIE FERITE
di Maria Anna Martino Prima classificata
Non nasconderò le mie ferite come fai tu coi tuoi silenzi.
Le terrò bene in vista.
Le indosserò come il più elegante degli abiti da sera, coi suoi bottoni dorati a illuminarmi il viso, i suoi nastrini di raso a stringere i miei fianchi, le sue cuciture a tenermi insieme i pensieri, i suoi ricami a impreziosirmi l’anima e la sua scollatura a incastonarmi il cuore.
Non nasconderò le mie cicatrici.
Le indosserò come l’abito più straordinario, sensuale come il velluto a sfiorarmi la pelle increspata dai brividi, leggiadro come l’organza a velare i miei occhi bagnati di pianto, soffice come seta a lambire le mie labbra, morbido come cashmere in un caldo avvolgente abbraccio.
Sarà prezioso come ogni piega di attimo vissuto e raro
come ogni lembo di emozione che tu mi hai cucito addosso.
Concorso 2023 - VOCI IN ARMONIA 15
CHI SEI TU
di Carlo Gioia
Secondo classificato
Chi sei tu che mi asseti
Con la tua assenza
E ti fai incontrare
Nella totale fragilità
Mentre indifeso percorri il mondo
Concorso 2023 - VOCI IN ARMONIA 16
INSOMNIA
di Nicolina Lorenti
Terzo classificato
Quanto rumore fa il silenzio
Quando la notte ti è nemica
Urlano i pensieri
Che non vogliamo ascoltare
Sbattono le catene
Dei sogni dimenticati
Si odono le eco
Delle parole mai pronunciate
Quanto rumore fa il silenzio
Quando la notte ti è amica
Sussurrano i pensieri
Dolci parole d’amore
Volteggiano le ali
Dei sogni ritrovati
Si odono i baci
Degli innamorati
Che nel buio
Si amano l’anima
Mentre la notte
Ama la luna
E la voce ama il silenzio.
Concorso 2023 - VOCI IN ARMONIA 17
LA MUSICA DELLA SOLITUDINE
di Adriana Centi
Il prode borgo svetta temerario sulla maestosa e rigogliosa altura, immoto spicca sull’aureo manto come un eccelso e radioso solitario, sulla candida e tremula mano di una giovane e novella sposa. Meraviglie del creato, siamo soli, Io e Voi, cullati da un concerto di silenzi. Il vento reca l’odore del tiepido mattino, il rio ritempra la mia anima dolente con un cullante gorgoglio di acque. La solitudine non è malinconia. Beata solitudo!
Godo nella mia isola remota, meravigliosamente ricca di silenzi, lontana da assordanti suoni.
Concorso 2023 - VOCI IN ARMONIA 18
PREGHIERA DI UN SORDOMUTO
di Stefania Serpe Signore, canti spesso nel vento accarezzando le folti pinete: la Tua voce non lascia respirare per quanto bella ed incatena attimi di vita… Corda vibrante nel cuore assorbe <il mio silenzio> in un abbraccio senza fine ove amo smarrirmi…
Ma se
i muti suoni delle labbra non rimangono al buio poichè dai loro delicate ali di farfalla per giungere alla Tua dimora, donami così
il “canto” degli occhi, innamorati della sola Luce che scava nell’anima un’esistenza d’amore offerta a Te.
Concorso 2023 - VOCI IN ARMONIA 19
L’ECO DEL SILENZIO
di Pietro Lapiana
Allarmante fu il segnale delle sue dimenticanze, del caffè addolcito col sale, delle inusitate inosservanze.
Un comportamento strano, il senso delle cose dileguato, conoscenze sperse pian piano, il linguaggio senza significato.
Un precipitare progressivo nella voragine dell’oblio, solo un vivere vegetativo, di insolite parole un balbettio.
Gli occhi vacui e spenti come lucciole all’aurora, gli affetti e i sentimenti portati via dalla bora.
Concorso 2023 - VOCI IN ARMONIA 20
Lo sguardo perso nel vuoto, muto d’espressione e vagante, in cerca di un ricordo remoto, eco di un silenzio desolante.
In compagnia della solitudine, come pecorella smarrita, un’implacabile betudine disperde la memoria inaridita.
La sua mano accarezziamo, grande gioia balena sul viso, i suoi canuti capelli lisciamo, sulle labbra affiora un sorriso.
Scintilla un improvviso bagliore: la mente ha tutto dimenticato, ma per un attimo il suo cuore rimembra chi ha sempre amato.
Concorso 2023 - VOCI IN ARMONIA 21
FUTURO
di Carla Bordoni
L’itinerario della vita, non sempre asseconda i tuoi progetti, tante volte vengono corretti.
Una tempesta improvvisa squarcia il cielo, nell’aria un turbine avvolge, accartoccia, risucchia in un minuto il tuo vissuto.
In mezzo alle macerie, scossa dalle umane miserie, cerchi qualche frammento del passato, che possa essere aggiustato… ma niente è più come prima!
Così scavi nel tuo profondo qualcosa che ti riporti al mondo e con coraggio e audacia cerchi una nuova strada per un’altra scalata.
Concorso 2023 - VOCI IN ARMONIA 22
IL REGNO DEL SILENZIO
di Monia Pin
Non me ne voglia il silenzio se oso interrompere la sua pace, anch’io mi dilettavo ad afferrare piccoli segni nel suo sereno volteggiare nel pomeriggio. Mi perdoni il silenzio se ho pronunciato qualche parola, se ho unito sillabe
incrociando qualche intuizione, se con qualche carattere ho ritrovato parole che il cuore aveva dimenticato. Lo ringrazio il silenzio, io ospite del suo regno ho ricevuto ogni suo dono, sono divampati pensieri che son divenuti versi tanto era il fuoco che giaceva tra le sue braci, come fiamme di vita sono rinate strofe ravvivate da soffi d’amore. Mi consenta il silenzio di riposare tra le sue ali per compiere un viaggio che solca i cieli di un’accorata poesia. mi hai cucito addosso.
Concorso 2023 - VOCI IN ARMONIA 23
ASCOLTANDO I TUOI OCCHI
di Andrea Calvia
Pare sfiorare la tua mente quella musica che non c’è, ma che senti.
Lentamente ti accorgi della mia presenza, il tuo sguardo sorride.
Mi siedo accanto a te, scrutiamo da questa finestra, i fiori ondeggiano al vento, sembrano salutarci.
Ti prendo le mani, vibra in me la tua forza, ancor ti racconto di come va avanti la vita là fuori.
Intenta tu ascolti, non può risuonare il tuo eco, non può muoversi il tuo corpo, ma io capisco, ti sento.
Concorso 2023 - VOCI IN ARMONIA 24
Attraverso i tuoi occhi ho imparato ad ascoltare le voci nel silenzio, imparato che tutto può cambiare, imparato a non smettere mai d’amare.
Ti ritrovo nelle meraviglie dell’universo, dove altri non odono nulla, io, ascolto la tua canzone e danzo con te.
Non mi stancherò mai di guardarti, hai ancora tanto da dirmi, immensa, unica bellezza, voce d’amore del mio cuore.
Prezioso silenzio, pieno di parole, voglio ascoltarti, voglio cogliere ogni tua emozione.
Sei la luce che trapassa il mio essere ed il mio respiro.
Sei il regalo più bello di ogni mio singolo giorno.
Concorso 2023 - VOCI IN ARMONIA 25
LIBERA
di Stefania Ronzitti
Innaturale e ribelle, il ciuffo di capelli neri fuoriusciva dall’oblò della barca carica di morte in fondo al mare. Oscillavano lenti e morbidi nell’acqua risalendo su, come con braccia alzate, a cercare insieme a te la libertà.
Libertà dalla fame, dalla violenza, dalla guerra. Avvolta nel colorato vestito della festa, mentre salivi sul barcone affollato, cantavi sottovoce una canzone per farti coraggio.
Gli occhi ti riempivano il viso e la speranza cercava il suo spazio, soffocando la paura, nel timido sorriso della bocca. Rincorrevi un po’ di felicità, giusto desiderio dell’esistere.
Ti ha accolta il mare e ti ha tolto il respiro ed ora ascolti il suo strano silenzio. Altri ciuffi dispettosi solleticano il tuo corpo e lo cullano, ignari d’ogni tragedia: sono le alghe che delicate ti sfiorano con comprensive e amorevoli carezze. Sussurrano le onde sopra di te e affidano complici bisbigli ai segreti del mare. “Nel grande, misterioso e giusto mondo del tutto e del sempre ora sei davvero LIBERA”
continuano a mormorare…
Concorso 2023 - VOCI IN ARMONIA 26
SENZA VOCE
di Barbara Arioli
Urla la vita, tu che puoi. Tu che hai ancora voce.
Tu che riesci ancora a ridere.
Tu che hai negli occhi la gioia della gioventù.
Urla la vita.
Grida finché puoi.
Perché tutti ti possano sentire, perché tutti possano voltarsi a vedere, perché il mondo possa scuotersi in una danza eterna.
Arrabbiati, esaltati, sprigiona il tuo io. Abbraccia, sogna, ama. Lotta, piangi, fremi di passioni e desideri.
Affinché la tua vita sia piena, affinché i tuoi sogni si avverino, affinché la tua voce sia ascoltata.
Urla la vita, tu che puoi.
Concorso 2023 - VOCI IN ARMONIA 27
UN GIORNO UNA REGINA
di Rodolfo Vettorello
Il viaggio è l’avventura che comincia e parto un’altra volta per l’ignoto. Passo il mio tempo ad osservare il volto di chi mi sta seduto dirimpetto. In ogni ruga leggo panorami, vita vissuta, trame di una storia. La gente che mi intriga è così varia, molteplice per segni e per colore, povera gente che non ha memoria ma reca in viso il mondo dei ricordi. Portano al dito anelli colorati di pietre artificiali da due soldi le donne coi kaftani fino ai piedi e mostrano tatuaggi esagerati i giovani dai muscoli lucenti. Tutti hanno mani consumate e forti come di chi conosce la fatica. Guardo negli occhi chi mi sta davanti cercando di non essere invadente. Sorrido a chi ricambia il mio sorriso, gettando un ponte amico tra due sponde. Amo la gente che non ha pretese e si abbandona presto ad un abbraccio.
Concorso 2023 - VOCI IN ARMONIA 28
Amo gli oggetti che non hanno costo, gli anelli falsi, gli abiti dismessi. Inospitale questo mondo assurdo da sempre nelle mani dei potenti. Il nuovo mondo, quello che ci attende, tornerà un giorno nelle mani giuste. A governarci forse una regina che scende svelta dalla filovia vestita del suo abito più bello, due soldi al mercatino dell’usato, gioielli falsi e scarpe riciclate ed un sorriso largo di conquista.
Concorso 2023 - VOCI IN ARMONIA 29
SCORRE
di Giuli Pistilli
Un ruscello scorre. E case distrutte, traballanti, lese dalla Natura che si ri-bella, che si ri-desta, quella Natura che dipinge indicibili tramonti, affresca la Via Lattea, come una nube di lucenti diamanti, nella volta celeste, decorando con stelle e pianeti vette di quelle montagne imponenti e arrotondate.
Il ruscello scorre. Piccole sorgenti d’acqua sgorgano dalla roccia, giungono scroscianti in paese; bambini ed anziani abbracciano quel che resta di quel borgo, gemma della valle.
Eppure la paura dell’imprevedibile, il sentimento di quelle notti buie dormono con loro, rifugiati in casupole.
Concorso 2023 - VOCI IN ARMONIA 30
Il ruscello scorre. Anche di notte, anche quando le farfalle dormono, anche quando le pecore vanno al pascolo, anche quando un fiore sboccia, in uno di quei sentieri suggestivi, sembra
che qualcosa sia appisolato. Ebbene, quella ferita resta aperta, sanguina ancora; a curarla,
lo splendore di un sorriso nei loro volti solitari e silenziosi.
Concorso 2023 - VOCI IN ARMONIA 31
IL PROFUMO DEL SILENZIO
di Nunzio Buono
Ho mani colme di sorrisi il passo sul tramonto e un vento di parole. Il fiume, ha la luce di uno sguardo a completare il cerchio.
– Rumori di una vita
Eppure
c’è una calma che ristora tra i canneti: i rimanenti rami e i campi disseminati di pianura; si contano sperduti, abbandonati e spogli.
Eppure che ristora
c’è un suono, il canto della brina sui licheni: voci verticali, gocce di preghiera. Profumo di un silenzio che consola.
Concorso 2023 - VOCI IN ARMONIA 32
VITA CHE DALL’AMORE GENERA
di Pino Bernardoni
Ogni momento non vissuto con te è e sarà un frammento di vita irrimediabilmente perso. Non so quanti dei tuoi passi mi sarà concesso ancora di seguire ma, ora e per sempre, sarò con te che hai dato valore al mio vivere e una ragione a tutto ciò che non aveva senso…
anche alle scelte d’amore sbagliate fatte in passato perché, grazie a loro, tu sei arrivato a me.
Ti terrò in braccio, ogni volta che la vita getterà ombre su di te; ti guiderò, tenendoti per mano per le strade dell’Essere…
Sarò la terra fertile che ti aiuterà a far crescere ogni tuo sogno...
la fonte di acqua pura che placherà ogni tua sete di sapere…
sarò il fuoco che brucerà ogni tua paura...
il vento che spazzerà deciso lontano da te
ogni cosa negativa che incontrerai sul tuo cammino…
sarò il porto sicuro dove troverai sempre riparo dalle tempeste della tua vita. E anche quando non ci sarò più continuerò a vivere in te, nel tuo cuore e nei tuoi pensieri…
sarò sempre al tuo fianco oltre i miei limiti di essere umano…
Amore che dalla vita genera vita…
Vita che dall’Amore genera Amore.
Concorso 2023 - VOCI IN ARMONIA 33
PADRE PER SEMPRE
di Marcello Trapanese
… la mamma è sempre la mamma… e per i poveri papà poco rimane se non una cravatta il 19 marzo e due righe di una poesia…
Concorso 2023 - VOCI IN ARMONIA 34
Perché è il più difficile mestiere il padre lo fai fino in fondo il padre nessuno te lo può insegnare è l’unico amico che hai sul mondo.
Il padre è luce anche senza sole ha quasi sempre il tuo stesso viso e se una lacrima gli scorre in cuore l’asciuga sempre con un sorriso.
Il padre è fumo di una sigaretta che si dissolve come in un volo è scalatore di un’irta vetta se tu hai un padre, non sei mai solo.
Il padre per lui non tiene niente le scarpe buone per la festa quattro calzini quattro mutande mille pensieri per la testa.
Il padre è sudore d’estate rossa è una fatica che non passa mai è inverno freddo nelle sue ossa e una valigia piena di guai.
E quando stanco torna la sera e sembra fare pace con Dio, bestemmia e recita una preghiera e dice attento figlio mio.
Che dietro l’angolo c’è il temporale perché la vita ha un profumo acre e si fa presto a farsi male comunque sempre avrai tuo padre.
Concorso 2023 - VOCI IN ARMONIA 35
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vocinarranti
Sezione dedicata al racconto.
Concorso 2023 - VOCI NARRANTI 37
Concorso 2023 - VOCI NARRANTI 38
VI PRESENTO IL MONDO DI M.
di Camila Garcia Martinez e Matteo Geria
Primo classificato
Un racconto giovanile tra il serio ed il faceto, diversità e fantasia si intrecciano con l’amore della vita.
Mi chiamo Matteo ho 27 anni e vivo a Roma.
Ho i capelli castano scuro, gli occhi dicono che sono la mia parte più bella, perché sono lucenti e di un colore meraviglioso: alla luce sono verdi con delle gocce di miele che esprimono tutta la mia energia. Al chiuso invece sono color verde militare, ma sempre belli e attenti. Ho delle sopracciglia folte ereditate da mia madre, le ciglia sembrano due ventagli per quanto sono belle. Mi basta sbatterle per ammaliare chi mi guarda in quel momento.
Ho un baffetto rossiccio ciò che da alla mia persona l’aria di un principe di altra epoca.
Il mio sorriso è unico, quando sorrido ho il potere di rendere allegra anche la tristezza. Ho un orecchio fenomenale: è il mio strumento per connettermi con l’intero universo in quanto al posto dei timpani ho due radar che farebbero invidia alla GESTAPO.
Per fare un esempio del mio udito mentre la mia scrittrice personale racconta di me, io ascolto in contemporanea la riunione di mia madre che da quando c’è il covid è a casa.
L’ Infermiere mi suggerisce di parlare della mia enorme generosità infatti sono così generoso che offro caffè e succhi a chiunque entri in casa mia.
Sono molto paziente oltre ad essere il paziente preferito dei miei infermieri, loro mi conoscono cercando di farmi stare sempre bene: sono la mia ombra.
Le mie passioni e qualità: oltre ad essere un’abile ascoltatore sono anche un bravissimo cantante soprattutto di opera lirica, raggiungo delle note altissime che fanno vibrare tutta casa! Ho una memoria da elefante, ricordo tutto e non dimentico niente, infatti quando facciamo i quiz vinco sempre. Se si tratta di riconoscere una canzone sono il primo a indovinare. Questo mi ha consentito di essere ospite d’onore e critico ogni anno durante il festival di Sanremo. Sono un grande appassionato della Disney conosco a memoria ogni film e canzone. Il mio
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film preferito è Toy Story. Quale personaggio incarno al giorno d’oggi? Bé… naturalmente sono il principe Filippo, bello, romantico, intonato e che fa impazzire le donne!.
Il mio senso dell’umorismo è forte, infatti rido sia di me stesso ma soprattutto degli altri, quando si fanno male e io sono presente mi diverto molto!
Ora andiamo avanti, ci tengo (con un forte applauso e rullo di tamburi) a presentarvi i miei genitori:
La mamma: è una donna minuta ma non di animo con dei folti capelli mossi (che ho ereditato). La mia progenitrice e’ una forza della natura, non si ferma mai manco mentre dorme. Non si stanca mai e quando si arrabbia si salvi chi può! Tranne con me (ovviamente), lei non si arrabbia mai e se devo dirla tutta mi diverte quando la sento litigare perché diventa una leonessa!
La sua passione sono le piante infatti sono la sua terapia del bello, il nostro giardino è molto ben curato perché lei ci mette tanto amore. Ogni tanto so (non siate curiosi di capire come faccio) che si mette davanti la finestra e sorride, anche i fiori le sorridono. Poi c’è lo yoga che pratica da che ho memoria, sempre se non viene interrotta 5 volte mentre lo fa. Siamo io e lei a comandare dentro casa, prendiamo le migliori decisioni insieme, tranne quando si tratta di scegliere cosa vedere alla tele. Se mi succede qualcosa lei sa subito chi é stato, come è successo l’altro giorno, quando Mary Poppins è venuta a rompermi le scatole, lo ha capito al volo e l’ha mandata via di corsa. Vi svelo un segreto! Non lo dite a nessuno, mi trovo in un brodo di giuggiole quando entra in stanza e mette il suo viso nel mio collo facendo un versetto tenero… come si dice? Chi c’ha mamma non trema! Il suo prototipo di uomo è Roberto Bolle ma si è fatta andar bene anche il babbo di cui parleremo a seguito.
Il papà: conosciuto in tutti gli ambiti come il babbo, sarà un po’ per la pancia o per i capelli bianchi ma viene da pensare a Babbo Natale se non fosse perché invece di fare “OH OH OH” ogni volta fa “ECCIUUUUUUUUU” ripetutamente muovendo perfino le fondamenta dell’ex impero Romano. Sembra un tipo simpatico, che come tutti i genitori il suo scopo è quello di far arrabbiare il figlio contraddicendolo appena c’è occasione . Ma nella sua utilità possiamo dire che sa maneggiare i telecomandi della casa chiacchiera con “AleXa” e telefonare esclamando ogni tanto “ mmmmm, eh eh eh, innanzitutto dimmi come stai?” Si giustifica dicendo che deve lavorare e a me va bene perché mi diverto molto ad origliare le conversazioni con il mondo esterno. Inoltre il babbo ha degli scopi precisi dentro casa: apparecchiare la tavola,
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riempire e svuotare la lavastoviglie, preparare il caffè se H. non è nei paraggi. Controllare se io sono nella posizione giusta prima di andare a dormire, il che implica farmi ridere, rilassarmi e adularmi come il principe che sono.
Parlare parlare e parlare.
A proposito di quest’ultimo punto… Le telefonate del Babbo sono molto divertenti soprattutto quando parla con il suo responsabile X perché la cosa più dolce che gli abbiamo sentito dire è stato “mi sono rotto i broccoli!”. Ciò intrattiene le nostre serate…
Posso dire che in parte la pazienza l’ho ereditata da lui, è un tipo semplice perché in fondo gli bastano 3 pasti al di’ 5/6 caffè e il telefono per stare a posto.
Per fare un quadro più preciso di chi mi sta intorno, presenterò anche la nonna: una signora di una certa età, ma che dentro é rimasta giovane e arzilla, anche lei non si ferma mai.
Sembra un pilota della formula 1 quando guida e non omette un “imbecille” a chiunque gli blocchi la strada.
Nonna ha i capelli grigi e corti anche molto spessi come i miei, ha due occhi chiari molto belli.
Come ogni nonna cucina prelibatezze e fa delle torte che dicono siano squisite (soprattutto quella di mele che ogni volta viene diversa dalle precedenti). Io delle delizie di nonna ricordo lo spaghetto al pesto, mi zozzavo tutto, ma che felicita’!. E’ una lettrice accanita, leggiamo leggiamo e leggiamo la cosa più divertente sono le parole in altre lingue perché si intoppa o le fa diventare molto italiane. Ha un fiato lungo e largo può leggere per ore e ore senza freni e’ proprio instancabile. Non parlate a nonna di politica perché si altera e tira fuori le unghie se non ci credete chiedetelo al fisioterapista P.B. Nonna insieme all’infermiera O. “mi fanno il capello” e talvolta anche la barba, perché all’eleganza e l’ordine devono sempre avere la priorità. Su quando fare queste cose nonna si affida alla luna.
Mimma, la gatta quella che…dicono sia mia sorella quadrupede acquisita. Siccome non bastava tutto quello che in casa c’era e c’è da fare siccome i miei aprono le porte a tutti… qualche anno fa decisero di salvare quella disgraziata di Mimma, appunto la gatta.
Io e Mimma non abbiamo il migliore dei rapporti, siamo in bilico tra amore e gelosia. (Più la seconda).
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É una palla di pelo che ti guarda con occhioni supplichevoli e con il suo miagolio cerca di attirare tutta l’attenzione su di se, pensate che mi batte in egocentrismo!
Quando babbo e mamma ottengono la sua attenzione parte un botta e risposta degno di nota:
Mimma: miaooo!
Babbo o mamma: eh che c’è ?
Mimma : miaoooooooo!
Babbo o mamma: eh?
Mimma: miaooooooooo!
Genitore 1 o 2: eh?
Mimma: miaoooooooooo!
Per non parlare della notte! Immaginatevi uno scenario da pazzi:
La gatta si posiziona all’inizio del corridoio e inizia la cantilena notturna :”miaoooo”
Finché un’ombra spettrale trascinandosi su due piedi appare imprecando in un romano intraducibile qualcosa che finisce poi per diventare “ vieni ti faccio due coccole basta che mi lasci dormire”. Tutto questo trambusto mi sveglia e sveglia anche l’infermiere di turno che ogni tanto vorrebbero chiudere mezz’occhio ma la disgraziata lo sa e lo fa apposta, perché vedete caro lettore io e Mimma siamo in competizione per l’attenzione di tutti (ovviamente vinco io, la maggior parte delle volte).
Anche gli infermieri fanno parte della mia vita come ho scritto sopra, si dividono le notti e i giorni pur di starmi vicino.
L’infermiera A. é con me da quasi 20 anni, non passa una volta che non usi adulazioni nei miei confronti “ Mimmi, amore mio, coccolino, martufello, gioia bella “ e chi ne ha più ne metta! Dice di conoscermi meglio di chiunque, ma se così fosse avrebbe chiaro che mi fa rodere proprio quando mi lava i denti urlooo e urloooo. Insieme però ci divertiamo ed io le sue coccole alla fine le apprezzo molto, perché mi sento un po’ piccino. Insieme facciamo i quiz e quando giochiamo mi diverto a suggerire la risposta sbagliata, d’altronde la giornata deve passare tra uno scherzo ed una linguaccia, no?
L’Infermiere O. fu il secondo ad arrivare poco dopo, il suo “humor” mette allegria anche ai muri. Con lui mi diverto a sentire barzellette russe (bisogna avere un certo intelletto per comprenderle ed io ce l’ho!), per passare un tempo gradevole sentiamo il grande e mitico ed incredibile Baglioni. Si gente abbiamo questa passione che ci
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lega fortemente e non c’importa se ci dicono che abbiamo rotto!
L’Infermiera L. : partiamo dal presupposto che prima o poi o finirò davvero dentro il forno con la mela in bocca o mi manderà a studiare in Siberia perché lei dice che devo diventare ancora più educato e forte! Io per risposta le piazzo in faccia una super linguaccia e mentre farfuglia me la rido sotto i baffi. Con lei sentiamo commedie d’amore, perché anche se ha una visione alla Emil Cioran a lei il romanticismo piace e come! Faccio anche da consulente e do la mia chiara opinione su ciò che pensò riguardo ai suoi racconti .
In tutta onestà posso dire che la mia opinione conta molto dentro casa, non per niente vengo interpellato da tutti.
Successivamente arrivò l’infermiera O. con cui condivido la passione per i comici , sentirli sono il nostro passatempo preferito. Entrambi abbiamo in comune la simpatia per la Campania abbiamo un amico che viene da Napoli con cui ci divertiamo molto. L’infermiera O. mi rende partecipe delle sue vicissitudini famigliari ed io una volta ancora mi trovo a dare consiglio.
Un po’ (parecchi anni dopo) arrivò infermiera M. donna tipica del sud che nonostante viva a Roma da tanto non manca mai la sua cadenza pugliese. Con infermiera M. passo parecchie notti, abbiamo il nostro programmino tra canzoni e sorrisi, lei è sempre allegra, devo dire che mi piace molto la sua compagnia .
Infine da pochi anni è arrivato un tornado che ogni volta che arriva smuove pareti e fondamenta di questo signorile condominio: l’infermiera B., con la sua risata risveglia tutti è rumorosa e caotica, però mi diverte molto, anche quando ho le paturnie indubbiamente un sorriso me lo strappa.
Eccoci arrivati alla fine del nostro breve racconto, mi piace descrivere quello che sono e parlare di chi mi circonda perché sono persone oltre i miei genitori a cui sono molto legato, sicuramente se un giorno passaste sulla via di casa mia non penserete mai che superato il cancello ed il giardino dentro le mura del pian terreno c’è un mondo creato a mia misura dove succedono cose incredibili ed io nonostante tutto posso ritenermi fortunato perché amato.
Caro lettore, abbiamo dovuto cambiare qualche parola a fini rispettosi.
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ANNA
di Claudia Ruscitti
Secondo classificato
Sono Anna e avevo una vita che consideravo perfetta.
Avevo tutto quello che mi ero conquistata giorno dopo giorno. Ero salita gradino dopo gradino, non senza fatica, non senza qualche compromesso. Mi dicevo che era inevitabile. Ero soddisfatta e felice: il lavoro mi appagava, la famiglia era il mio rifugio e la mia pace. Una volta chiusa la porta dell’ufficio, ritornavo a gustare la mia vita, in cui non c’erano silenzi, ma nemmeno rumori. L’atmosfera era quella dei giorni di cui avevi piena consapevolezza. Sicuramente non mancavano le “sorprese”, le cadute, ma si trattava di cose passeggere e che davano tono all’esistenza. Erano solo dei temporali effimeri, una nuova scoperta in fondo. Cadevo nelle pozzanghere più fangose e ne uscivo più sicura, come quando Leonardo aveva cominciato a ricevere degli inequivocabili messaggi sul telefono, da parte di una certa Elvia, che poi scoprii essere una sua collega. Erano così ravvicinati e insistenti che quel giorno avevo preso in mano il suo cellulare per vedere chi lo seccava di sabato, mentre era sotto la doccia. Rabbrividii nel leggerli, ma poi mi dissi che quella donna non mi avrebbe portato via il mio uomo. Gliene parlai, come se gli stessi raccontando una cosa senza importanza, così, perché ne avevo voglia. Lui mi disse che non dovevo temere, era solo un’idea che si era fatta. Era appena arrivata e il suo capo gli aveva detto di seguirla per un po’, ma lei aveva confuso quella vicinanza per un suo interesse. Davanti a me ne bloccò il numero e mi sorrise, un arco di dolcezza nel suo viso, un’immagine che conoscevo bene e che mi rendeva fiduciosa. In questo modo, la mia vita perfetta, alla soglia dei quarant’anni, continuò senza ulteriori scosse. Quell’anno ci recammo in vacanza con le nostre bambine in un luogo splendido. Avevamo affittato un piccolo appartamento a due passi dal mare. Adoravo guardarne la superficie la mattina presto, appena increspata da una brezza leggera, scintillante di infiniti diamanti. Uscivo solitaria per arrivare alla spiaggia immergendomi in quel piccolo universo di luce, dove io ero un odore sconosciuto, un movimento lento lungo la battigia, orme che l’acqua marina cancellava in una manciata di istanti.
Ecco, quello sparire delle orme, quell’acqua che passava quieta e inesorabile era
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quel che mi rappresentai nei giorni a venire, quando iniziai ad avvertire una fastidiosa debolezza alle mani. A tavola avevo riempito il bicchiere per Chiara, la mia bambina più piccola, quando mi cadde inspiegabilmente dalla mano. L’acqua si riversò sulla tovaglia e parte sul viso di Chiara che scoppiò a piangere. Ero davvero imbarazzata, Leonardo disse alla piccola che non era nulla e mi aiutò ad asciugare. Provai a dare delle giustificazioni, ma lui mi disse che non era il caso di esagerare per una cosa da niente. Aprii e chiusi la mano più volte. Sì, una cosa da niente, capita. Mi alzai e inciampai, non so come, ma mi ritrovai a terra e quando feci per rialzarmi trovai la mano di Leonardo tesa verso di me, che mi dava della bambina e mi diceva di essere peggio della bimba piccola, quando mi accadeva qualcosa, ero completamente frastornata. Aveva ragione lui, non mi piaceva sbagliare, mi metteva in grande confusione davanti agli altri. Ero una foglia sbattuta dal vento, un granello di sabbia in quel posto meraviglioso a cui poteva accadere di tutto, in modo incontrollato. Dovevo riprendermi e pensare. Che sciocca io e la mia mania di perfezione. Forse era un retaggio di quando frequentavo la scuola. I miei volevano che fossi la prima in tutto e soffrivo maledettamente se qualcosa andava storto. Mi succedevano cose che un po’ mi rammentavano quelle recenti, come quando nel ritornare a posto, dopo aver preso un compito di matematica da quattro, finii lunga distesa sul pavimento. Le risate che si fecero i miei compagni! Una figura assurda, proprio a me che ero così orgogliosa. Non feci parola con nessuno di quella caduta, ma la vicenda sopravvisse per un lungo periodo in classe, rammentata, in special modo, da quelli che non sopportavano la mia dedizione e gioivano di quelle che ritenevano sconfitte. Della passione per lo studio mi era rimasta quella della scrittura, scrivevo rime, brevi racconti, diari. Ritornammo a casa dopo una settimana, ma la debolezza agli arti non accennava a passare, inoltre erano cominciati degli strani dolori a una gamba, una sorta di bruciore che mi fece andare dal medico. Nonostante i farmaci la gamba non rispondeva e dovevo trascinarla. Leonardo mi disse che dovevo affrontare una visita specialistica, indagare meglio. Cercai di non coinvolgere le bambine, inventai che mi ero fatta male e per un po’ avrei avuto quella gamba dolorante. Continuavo a credere che fosse solo qualcosa di passeggero, ma non era tale. La diagnosi di sclerosi laterale, dopo una lunga settimana di esami, arrivò assordante. Non parlai per alcuni giorni, poi una sera che Leonardo mi abbracciò nel più assoluto silenzio, iniziai a piangere, un pianto liberatorio e di sollievo. Mi disse che dovevo continuare a fare le cose che facevo prima, non dovevo abbandonarle, fin quando avrei potuto. Mi incoraggiò a scrivere, a raccontare quello che stavo vivendo. Immaginai la riva del mare, ricordai la splendida vacanza e l’acqua che cancellava le mie impronte, così la mia vita cambiava, così mutava la malattia. Da un semplice appoggio sono
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passata a due e poi al deambulatore. Sul lavoro mi attribuirono un posto con meno mansioni, quando ritornavo a casa non volevo più uscirne. Cercavo di fare tutto da sola, per quel che mi riguardava e giurai a me stessa che avrei continuato fino alla fine. Poi il mio medico mi chiamò: stavano sperimentando un nuovo farmaco e mi chiese se volevo provare, sembrava aver dato buoni risultati in altri pazienti. Provai, anche incoraggiata da Leonardo e dal pensiero delle bambine, che non riuscivo più a seguire come prima. La storia della gamba non poteva durare in eterno, ci pensò un compagno di scuola di Paola, la mia figlia più grande, a svelare il perché del mio cambiamento. Aveva sentito la madre raccontare di me a una sua amica, ne avevano parlato con un tono di commiserazione, dicendo che ormai ero finita. Spiegai a Paola che finché vivevo non era finito nulla e che sì, era tutto vero, ma io ero lì, con tanta voglia di vivere. Non avevo nessuna intenzione di lasciarle. Le lacrime di mia figlia mi parvero di piombo, tanto scorrevano lente, solcando quel viso innocente. Un solco profondo, profondo, terribile. Sembrava che incidessero anche me, lasciandomi senza fiato. Ben presto incenerì anche la speranza legata al farmaco che avrebbe dovuto rallentare la malattia, in quanto apportava più costi che benefici, secondo una più recente ricerca. Non volevo pensare alla mia vita futura, la vedevo grigia, inutile, dovevo reagire. Pensavo alle bambine, a come sarebbero cresciute con me al fianco, senza possibilità di sostenerle, sola presenza. Già da qualche tempo mi spostavo su una sedia a rotelle. All’inizio fu difficile per tutti accettare questa nuova condizione. Chiara mi ricordava la nostra ultima estate di vacanza, i nostri tuffi nelle acque cristalline, la medusa che riuscimmo a evitare, poi correva in camera, vinta dalla disperazione. Spingendo le mie nuove gambe a rotelle entravo nella sua stanza, cercando di consolarla, mentre lei piangeva ancora più forte. Non potevamo vivere così. Non era certo nascondendomi per timore della pietà degli altri che potevo continuare la mia esistenza.
Ora Leonardo sa che regredirò ancora e mi dedica ogni minuto del suo tempo. Insieme abbiamo compilato il mio testamento biologico, è la mia persona di fiducia per quando non sarò più capace di decidere da sola. Mi sento testardamente convinta di voler vivere la vita attiva che mi rimane, insieme a loro. Così quest’anno siamo ritornati nel nostro posto bellissimo in riva al mare. Abbiamo preso un appartamento a piano terra. Mi piace ancora osservare lo scintillio delle onde di prima mattina, ma adesso mi muovo con la mia sedia a rotelle. Procedo fin dove è possibile. Ammiro il volo dei gabbiani e lancio un grido in quella vastità desertica che sembra abbracciare me e solo me. Sono qui, ho la mia voce e voglio urlare. Questo è solo l’inizio mi ripeto. L’inizio di una nuova consapevolezza. Sono una
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persona con disabilità che può ancora dare e fare tanto. La mia vita non è perfetta, ma ho imparato, poco alla volta, ad amare l’imperfezione ed è cresciuto il coraggio, che prima, nella mia vita ricca di tutto, non possedevo. Tante cose ora mi accorgo che non riuscivo a vedere, in quella vita perfetta, che adesso non mi sfuggono più.
Ritorno a casa e le bimbe sono ancora addormentate, Leonardo no, mi sta aspettando sulla soglia di casa. Alto, bello, forte, innamorato. Sono una donna fortunata, penso, certo fortunata. Sembra proprio che mi abbia letto nei pensieri e mi accoglie col suo sorriso che ha lo stesso scintillio delle onde. L’aria di salsedine si arricchisce di decise sfumature di tostatura fresca.
«Ho fatto un sogno stanotte» gli dico io «che scrivevo bellissime storie. Aiutavo anche altre persone come me a scriverne, stando a letto, ma che dici se mi dai una mano?»
«Anche due!» esclamò lui «adesso entra, il caffè è pronto».
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LA PANCHINA
di Bruso Francesco
Terzo classificato
Oramai è un po’ di tempo che sei qui. Ogni giorno ti addormenti sopra di me. Hai preso questo posto come la tua casa. So che è bello stare in mezzo alla natura, avere come soffitto il cielo stellato con la luna e le stelle che riflettono la bellezza del mondo, io questo lo conosco bene.
Sono diversi anni che sto qui. Impiantata per terra. Ogni tanto venivano gli uccellini, magari a raccogliere le briciole lasciate da qualche passante che aveva scelto me per pranzare. Ma da quando sei arrivato tu nessuno si avvicina più a me.
Ma tu che hai fatto di me la tua casa, chi sei?
Anche ieri, seduto su di me sentivo un odore sgradevole che non mi sono tolta di dosso nemmeno dopo diverse ore che ti eri spostato per fare i tuoi bisogni nel bar qui vicino.
Hai addosso quei vestiti logori e non mangi molto. La barba è incolta, non so da quando non te la tagli più. Le persone che passano per questo bel parco mi evitano e soprattutto evitano di guardarti.
I pantaloni sembrano di almeno tre taglie più grandi del tuo corpo e se non avessi quello spago legato sui passanti resteresti nudo. Mi piacerebbe tantissimo conoscerti, capire chi sei.
Ogni tanto nella notte mormori parole a me incomprensibili. Penso che forse sei sotto l’effetto del vino che bevi in continuazione e che ti fa farfugliare oppure parli una lingua sconosciuta, forse straniera.
Qualche giorno fa, quando ti sei svegliato tra i cartoni e tra le coperte è caduta una foto di te. Ho osservato come in quella foto in una vita precedente eri proprio un bel ragazzo, capelli corti, occhi celesti come il cielo.
Eri abbracciato ad una donna e davanti, in bella mostra c’erano due bellissimi bambini. Ho scrutato meglio in cerca di particolari su quella foto. E’ stata scattata
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in un posto che non conosco. Le montagne che si vedevano dietro a te e a quella signora erano tutte innevate. Sembravate veramente felici. Ho pensato che fossero la tua famiglia e che da qualche parte del mondo ti stiano cercando.
Chissà cosa è successo e cosa ti ha portato a ridurti così. Ma almeno una volta non ti piacerebbe rivederli?
Ogni tanto vengono degli angeli custodi, dei signori che ti chiedono come stai, ti portano qualcosa da mangiare e vorrebbero che tu li seguissi. Tu non li guardi nemmeno, sei chiuso nel tuo mondo, un mondo fatto solo di te, di me e del cielo.
Non so e nemmeno immagino quanto potrai resistere ancora con questa tua vita, so per certo però che stai perdendo un sacco di tempo.
Tanti uomini che passano di qui li sento parlare del tempo in modo concitato e spesso dicono «Guarda oggi è proprio una bella giornata, ma non posso, il tempo è poco e devo correre al lavoro» oppure «Dai sbrigati che non ho tempo da perdere, dobbiamo tornare a casa!». È come se l’unica cosa importante per loro sia non perdere tempo e la loro vita sia fatta di una corsa infinita.
Le tue giornate invece sono lente, scandite solo dal ritmo del giorno e della notte.
Di solito non ti svegli presto e non senti i rumori del mattino. Io invece sono colpita da tutte quelle persone che si alzano presto e fanno la passeggiata in questo parco o che portano i loro bimbi a scuola. Raramente si fermano sono sempre di fretta. Solo nel pomeriggio al ritorno qualche volta vedo una mamma o una nonna fermarsi con il nipotino a guardare le foglie o i primi fiori di primavera. Tu, invece, stai qui disteso e dormi quasi tutta la mattina. Ormai sono sicura che così smaltisci i litri di vino che ogni sera ti fanno compagnia e forse dimenticare le pene del tuo mondo.
Poi quando il sole è già alto ti alzi, raccogli le tue cose, poche per la verità, metti in parte i cartoni per la notte che ti fanno da coperta e vai alla vicina fontana per almeno lavarti il viso. Ti allontani per qualche ora. Non so dove vai ma torni con la tua scorta da bere e a volte un panino che mangi seduto sopra di me.
Poi per tutto il resto della giornata stai qui, con i gomiti appoggiati alle gambe che sostengono il tuo viso. Sia che il tempo sia bello o brutto non ti muovi, sei fermo
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come se il tempo scorresse lontano da te.
Non riesco ancora a comprendere i tuoi pensieri ma mi piacerebbe tanto scoprire chi sei, almeno per poterti aiutare.
Sono convinta che in tutto quello che fai ci sia un motivo e anche una chiave per scardinare questa tua apatia alla vita o quel silenzio nascosto.
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DUE VIAGGIATORI
di Francesca Brancaccio
Magro ma non troppo, capelli corti ma non rasati, altezza media tendente al basso. Maglione chiaro a righe, jeans comodi, trolley rosso.
Era salito con calma, aveva scelto il posto, il primo di quattro liberi, lato finestrino, direzione di marcia. Aveva riposto con cura la giacca in alto, poi si era seduto. Soddisfatto. L’Eurostar Milano-Salerno non era per niente affollato, e la temperatura per ora era perfetta. La nuca appoggiata allo schienale, osservava i passanti sul binario, con la curiosità leggera di scoprire chi sarebbero stati i compagni di viaggio che il caso gli avrebbe regalato questa volta. Stava seguendo con lo sguardo una donna alta in completo nero, quando la porta dall’altra parte del vagone si aprì, con il solito rumore di strappo trascinato. Una ragazzina, viso ovale e antico anacronisticamente abbronzato, sulla fronte addirittura scorticato dal sole. Camminava stretta tra le spalle piccole, sbilanciata da un borsone beige e da uno zainetto nero che continuava a caderle sul braccio. Lei lo ritirava su, lasciando intravedere ogni volta, sopra ai pantaloni fuori misura, l’elastico delle mutande, verdi. Spostava indietro i capelli e si trascinava avanti ancora qualche passo, fin quando lo zaino non crollava di nuovo. Alla terza sosta lo aveva guardato negli occhi, solo un istante, senza sorridere, poi aveva spinto la valigia sulla cappelliera e gli si era seduta di fronte, lo zainetto sul tavolo.
Lui aveva ricominciato a fissare fuori dal finestrino, ostentatamente, sperando ancora che si aggiungesse a loro un passeggero più gradevole, mentre lei si era rannicchiata noncurante, la schiena contro il vetro e le gambe tirate su, con le scarpe sul sedile, come se nulla fosse, come se fosse giusto. Lui la vedeva, nell’angolo destro dello sguardo, e scuoteva la testa, giudicando sconcertato il suo menefreghismo. Lei non se ne accorgeva, o almeno così sembrava, intenta a mettersi le cuffie e srotolare il filo, piazzare il lettore cd in un angolo del tavolo, e finalmente premere play.
Lui aveva sbarrato gli occhi con un brivido. Volume altissimo, dalle cuffie gli arrivavano netti gli echi di chitarre distorte e batteria cardiopatica, insieme a note gridate e cori maschili. Il contrario di musicale. Orrendo, pensava, e glielo si leggeva
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chiaro in faccia, ma lei ancora sembrava non essersi accorta del disprezzo. Anzi, con un sospiro aveva chiuso gli occhi, ritirato le mani nelle maniche e abbandonato la testa su un lato. Lui si era guardato intorno, cercando tra i volti qualcuno con cui condividere lo sdegno verso quella ragazzina maleducata, ma nessuno gli aveva dato soddisfazione, così, ancora più irritato, si era messo a squadrarla. Studiò i vestiti stinti e sformati, le gambe graffiate, i braccialetti sporchi, non riusciva a smettere di scuotere la testa. Cercò di immaginarla vestita bene, niente di che, semplicemente abiti della sua taglia e perlomeno ordinati. Ecco, sì, ecco cosa lo infastidiva in lei: non c’era nessun segno di ordine. Il suo aspetto, il suo atteggiamento, quella maledetta musica, tutto era insopportabilmente disordinato.
Il treno aveva iniziato a sferragliare ed era partito, lasciandosi lentamente alle spalle la stazione, poi i palazzi, poi tutta Milano, prendendo velocità e cambiando rumore, poco a poco più forte e di qualche tono più alto.
L’altoparlante aveva gracchiato, e la voce del macchinista aveva salutato, ringraziato, elencato le stazioni e augurato buon viaggio a tutti, poi con un “dlin” tremendamente acuto si era chiusa la comunicazione.
L’uomo allungò le gambe, poi le riportò indietro, attento a non toccare il sedile della piccola sconosciuta.
Chiuse gli occhi e rilassò i muscoli, concentrandosi sul rassicurante tappeto sonoro in cui era immerso, tentando di ignorare le interferenze cacofoniche che arrivavano dal lettore cd. Intorno a lui c’erano almeno due voci che parlavano al telefono, due uomini. Una coppia chiacchierava piano, tre amiche ridevano spensierate. Ecco, un’altra voce al telefono, donna. Sotto a tutto, il motore, che dopo aver raggiunto una nota fissa ora si stava abbassando di nuovo, mentre il treno rallentava per entrare nella stazione di Rogoredo. Fracasso di porte, di piedi, di bagagli trascinati, vociare dal binario, poi le porte si erano chiuse (stesso fracasso) e il treno era ripartito, motore sempre più forte e sempre più alto, di nuovo, fino a stabilizzarsi.
L’uomo rallentò il respiro, abbandonandosi al piacere di cogliere frammenti di conversazioni per poi lasciarle andare. Ad occhi chiusi sentì avvicinarsi il tintinnio del carrello con gli snack, e la voce monocorde «patatine? caffè? cioccolata? panini? acqua?» che lasciò passare con un cenno molle della mano. Spiò sotto le palpebre se la ragazza avesse reagito, ma sembrava impassibile. Anzi, stava russando!
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Lui la guardò sdegnato.
Che razza di vita farà, pensò, magari si droga. No, questo no, sembra tranquilla. Si farà le canne. Marijuana e alcol, sì, sicuramente. Marijuana, alcol e musica inascoltabile.
Chiuse gli occhi ancora un attimo, ma quel cd gli stava rovinando definitivamente il suono del viaggio. Sbuffò e prese dal trolley un sacchetto di carta, e dal sacchetto un libro. Oceano Mare, Baricco. Lisciò la copertina, cercando di ignorare le note sbagliate che gli arrivavano alle orecchie. Lo aprì, godendosi lo scricchiolare delle pagine incontaminate, e iniziò la lettura.
Niente, quella musica era un inferno. Alla decima pagina aveva già perso il filo sei volte.
Puntò gli occhi irritati sul viso della ragazzina, e li distolse di scatto, perché lei aveva imprevedibilmente riaperto i suoi. Aveva guardato il soffitto, poi il paesaggio fuori, poi l’orologio, e aveva sorriso. Aveva allargato le braccia e le aveva tirate in alto, stiracchiandosi, aprendo la bocca in uno sguaiato, disordinatissimo sbadiglio.
Poi aveva sorriso ancora, frugando nello zainetto.
Lui la guardava da sotto le ciglia, fingendo di leggere.
Starà cercando un altro assordante cd, pensò. Vediamo se esiste qualcosa di peggio. Invece dallo zainetto uscì un libro, sulla costa consumata l’adesivo della biblioteca.
La ragazza passò la mano sulla copertina, trattenendo il fiato. La lisciò. E tra le dita di lei lui poté leggere chiaramente il titolo: Oceano Mare.
L’uomo abbassò di colpo la testa sulle pagine del suo, di libro, occhi sbarrati. Non l’aveva riconosciuto perché era una vecchia edizione, eppure era quello.
Quante possibilità c’erano che succedesse?
Un testo vecchio di quindici anni.
Non sapeva se essere più sconcertato dalla coincidenza o dall’avere gli stessi gusti letterari di quella quindicenne disordinata.
Per adesso però posso mantenere il vantaggio, pensò, tengo il libro aperto, non vedrà il titolo.
Controllò la ragazzina.
Stava voltando pagina, concentrata. Senza neanche alzare lo sguardo, aveva appoggiato la mano sul lettore cd, e aveva alzato il volume. Assorta.
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Lui non poteva crederci. Appoggiò la bottiglietta d’acqua sul libro perché non si chiudesse, poi si alzò, diretto al bagno, giusto per muoversi un po’.
Bologna, Firenze, Roma. La piccola viaggiatrice non aveva staccato gli occhi dai fogli, se non per bere, e recuperare dallo zaino una focaccia schiacciata, sempre con la musica nelle orecchie.
Lui invece aveva consumato rabbia, tra una pagina e l’altra, cercando di chiudere le orecchie al ruminare di note che arrivava dal tavolino, ed era riuscito a leggere ben poco.
Un quarto d’ora dopo Napoli lei era arrivata al titolo della terza e ultima parte, come aveva potuto constatare lui spiandola nervoso. A questo punto aveva sospirato soddisfatta, aveva chiuso il libro, l’aveva stretto al petto, poi l’aveva messo via. E aveva spento la musica.
Adesso è troppo tardi, aveva pensato lui, inutile silenzio. Mancheranno venti minuti.
Era sparita in bagno, era tornata, un po’ più truccata e un po’ meno disordinata, e si era seduta di nuovo, aspettando l’ultima fermata con visibile impazienza.
Il treno stava entrando in stazione, rallentando per l’ultima volta.
Lei se ne stava pronta, aggrappata al borsone, lanciando in giro sguardi eccitati.
Lui metteva via le ultime cose, controllava che non mancasse niente, e inavvertitamente, senza pensarci, aveva chiuso il libro. Lei lo vide, subito. Si bloccò. Tutta, proprio immobile, neanche respirava. Un attimo di stupore in tutto il corpo. Poi portò gli occhi di nuovo in quelli di lui, per la seconda volta dall’inizio del viaggio, e gli sorrise, apertamente, amichevole. Felice. Tirò fuori la sua copia, mostrandola come un tesoro.
«Incredibile. Proprio incredibile, no?»
«Già. Probabilità scarsissime», senza troppo entusiasmo, ma con gli angoli della bocca inconsciamente sorridenti.
Concorso 2023 - VOCI NARRANTI 54
«Dovevamo scoprirlo prima!»
«Eh…», abbassando lo sguardo, colpevole.
«Mi piace un sacco. Mi tengo la fine per stasera.»
Lui aveva annuito. Sentiva delle domande in testa, mischiate, sul libro, su di lei, sui suoi gusti, su quell’odiosa musica, ma aveva deciso di non farle.
Lei sembrava in attesa. Aprì le labbra, le richiuse. Guardò con affetto il libro ancora sul tavolo, mise via il suo.
Il treno si era fermato. Erano entrambi in piedi, lui col trolley sul sedile, lei con lo zainetto in spalla, di nuovo verde in vista tra i pantaloni e la pelle abbronzata.
Guardava a terra, sorridendo ancora.
Poi si era girata verso di lui, lo sguardo sinceramente interrogativo da piccola donna che sta per affrontare una vita intera, là, subito fuori da un treno che mezza giornata prima era nella stazione di una città conosciuta e adesso era in un mondo nuovo, e candidamente gli aveva detto: «Non so come fai a leggere con tutto questo rumore. Come fai a concentrarti?»
Poi aveva riso, veloce, e mentre lui restava letteralmente a bocca aperta: «Senza cuffie, intendo. Non ti perdi? Io devo mettere la musica, più forte che posso, non per sentirla, ovvio, ma per non sentire i rumori. Loro restano fuori, e io dentro, ad ascoltare il mio silenzio.»
Concorso 2023 - VOCI NARRANTI 55
GRAZIA
di Carmelina Giancola
Sono nata in un paese di collina, mi chiamo Grazia e sono stata scolpita nel fragile cristallo. Porto addosso l’odore della terra, dei papaveri e spighe di grano che svettano tra i campi, dell’erba tagliata, dei fiori di biancospino e rose selvatiche. Ho addosso l’odore della frutta matura, delle amarene e dell’uva rosso rubino che pende tra i filari della vigna. Eppure io sono stata tra i campi poche volte. Ho negli occhi la luce aranciata dell’alba e il rosso infuocato del tramonto anche se porto gli occhiali con lenti spesse e scure. Ho lunghi capelli neri e lisci, la pelle bianca, le dita lunghe e magre, i piedi sempre gonfi, le gambe fasciate. Eppure sono sempre sorridente e quasi mai mi lamento. Amo la vita anche se è stata avara con me. Per la mia famiglia io ero la “perla bianca”, bianchi sono anche i miei denti, che sono ben allineati.
Vivo in una casa di pietre e mattoni al centro del piccolo paese, e non ho molte pretese, perché nel tempo che scorre le mie difficoltà si solidificano e chiudo le mie paure nel silenzio del cuore. Cerco dentro di me uno spazio per riconciliarmi con le mie ombre, con i miei limiti. Io sono un composto fragile nel vortice dell’esistenza affannosa e cerco disperatamente dentro di me il coraggio di vivere e negli altri un messaggio di comprensione. Non sento la vergogna degli scartati e l’ingiustizia della sorte verso chi possiede bellezza e salute, di chi ha troppo e di chi ha troppo poco. Quando rimango sola in casa, ammutolita giro lentamente per le stanze e nasce dentro di me un sentimento segreto, non rivelato a nessuno, come di prigioniera libera, libera di fare ciò che vuole ma che non lo può fare per la sua limitazione fisica. Prigioniera del destino avverso, ma grata alla mia famiglia che non mi ha fatto mancare nulla e dalla quale io dipendevo.
La casa, da piccola, la consideravo la mia tana, il mio rifugio, il mio nido, la mia conchiglia dove nascondermi per sognare il mare. Poi crescendo le mie idee sono cambiate, è nata dentro di me l’idea di viaggiare, un desiderio forte che mi creava stati d’ansia e inquietudine. Desideravo andare lontano, alla ventura, senza meta, senza fermarmi, non sapevo cosa cercare e cosa volere, e tuttavia volevo andare con un bagaglio all’aeroporto, prendere un aereo, e poi salire su un taxi.
Concorso 2023 - VOCI NARRANTI 56
Dormire in una stanza d’albergo ad un piano alto, osservare dalle vetrate la città immensa. Volevo andare lontano e lasciare alle mie deboli spalle il piccolo borgo, la mia casa di pietra e mattoni, dai balconi stretti, fabbricati per non disperdere d’inverno il calore del camino e della stufa a legna. Era un desiderio imperioso ed è rimasto tale, era un sogno non realizzabile, ed è rimasto chiuso nel baule e nei cassetti del comò. Le mie gambe, tutto il mio corpo, non avrebbero avuto la forza di camminare, le mie braccia non avrebbero avuto la forza di portare valige. Ho viaggiato tanto ma solo per andare nei vari ospedali, ed in quei luoghi ho conosciuto persone che mi hanno fatto sentire a casa, che mi hanno accolto come una persona speciale, una ragazza di famiglia alla quale dedicare cure e vicinanza.
Mi hanno regalato sorrisi e carezze sul viso delicato, dal colore del mandorlo in fiore. Ho visto tanti sguardi pietosi, labbra mute perché non trovavano parole coraggiose da pronunciare, ma io sapevo e so del loro affetto del loro grande amore.
A volte rimanevano impietrite di fronte alla mia fragilità e alla voglia di andare avanti nonostante le mie difficoltà quotidiane. I parenti, i vicini, le amiche li ho visti piangere di nascosto alla vista della mia debolezza fisica e nello stesso tempo si meravigliavano del mio coraggio, della mia determinazione a vivere nel modo più normale possibile nonostante la mia visibile disabilità fisica. La mia mancanza di forze metteva in risalto la mia capacità mentale di discernere le attività più giuste da portare a termine, del mio impegno quotidiano a risolvere problemi legati allo scorrere delle ore, che a volte sembravano interminabili.
Le mie amiche e le compagne di scuola, a volte si allontanavano da me, non per indifferenza, ma per una eccessiva sensibilità, non reggevano emotivamente la mia diversità. Pur amandomi, non riuscivano a sopportare la mia fragile persona, allontanandosi da me, inconsciamente desideravano cancellare quel che in me disturbava la loro coscienza, la loro voglia di divertirsi, di sognare, di vivere nella gioia piena la loro giovinezza. Io che avevo affinato i miei sensi, riuscivo a leggere nelle loro anime questi sentimenti contraddittori.
Negando la mia fisicità ferita, riuscivano a considerarmi normale, a non soffrire per la mia difformità rispetto a loro stesse, negando il mio dolore, riuscivano a vivere in maniera spensierata, gioiosa, divertendosi allegramente ovunque esse andassero, specialmente nei luoghi a me preclusi. Io le comprendevo e conoscendo la loro simpatia e dedizione nei miei riguardi, le giustificavo; forse anch’io mi sarei comportata allo stesso modo se i ruoli si fossero invertiti.
Concorso 2023 - VOCI NARRANTI 57
In passato, nelle giornate invernali, quando iniziava a scendere la neve e i fiocchi come batuffoli di ovatta bianca, svolazzavano leggeri nell’aria, io chiudevo gli occhi e immaginavo di danzare nello spazio, le mie gambe si muovevano senza nessun sforzo, senza bende e fasciature. Il busto diritto si fletteva al mio comando senza dolore e le mie braccia, non più scarne ma ben tornite, disegnavano coreografie armoniose che mi gratificavano, mi rendevano felice. Mi piaceva tanto la sera rimanere accanto al fuoco del camino vicino a mamma e papà. Le mie guance si riscaldavano e si coloravano per il riverbero rosso arancio della fiamma che si rifletteva negli occhi e illuminava i volti. La legna crepitava e lo scoppio improvviso di scintille mi spaventava e, di riflesso mi spostavo indietro con la sedia. Le scintille, guizzanti, salivano su per la cappa illuminando le pareti cariche di fuliggine. Come mi piaceva osservare le scintille che andavano in alto, verso il cielo. Mi divertivo tanto e seguivo fin che potevo il loro viaggio in quel cunicolo scuro. Ero contenta, scendeva dentro di me una pace strana che mi rendeva allegra e grata alla vita. Era come una fasciatura di leggerezza e armonia per il mio corpo rilassato, che poi si rifletteva anche nella mia mente, e dentro di me nascevano pensieri positivi.
Aspettavo con ansia la rappresentazione del presepe vivente per le strade del paese e quando il corteo passava per la nostra strada, io incollavo il viso ai vetri, per poter godere interamente tutta la scena, affinché nulla mi sfuggisse. Volevo registrare tutte le scene dentro la mia anima pulita. La mia mente era come una zolla fertile. Immaginavo di essere Maria, la tunica azzurra scendeva fino ai miei piedi, i capelli lisci e neri ornavano il mantello, sulla testa un leggero velo bianco. Il biancore della mia carnagione risaltava come in un quadro. E poi immaginavo di tenere il bambinello in braccio, per poco tempo, perché temevo di stancarmi presto, i pastori che portavano i doni avevano sempre le sembianze dei miei familiari. La mamma e il papà erano come due rocce per me, rocce che sostenevano il mio corpo ed io trovavo un posto tra loro per riposare e guardare il cielo. Io ero circondata dal loro amore.
Quando le mie condizioni fisiche peggioravano, per qualsiasi motivo, ed io non riuscivo a comunicare con esattezza ciò che provavo, sembrava che il loro cuore si fermasse, si sentivano impotenti e non trovavano parole di conforto e azioni corrette per tamponare momentaneamente il mio disturbo. Si sentivano scoraggiati dalla loro ignoranza, erano consapevoli della loro incapacità ad attuare manovre giuste per superare velocemente il mio impedimento, in modo che io potessi riprendermi subito. Leggevo nei loro occhi l’angoscia della loro inadeguatezza a risollevare il
Concorso 2023 - VOCI NARRANTI 58
mio spirito, per il fisico ci pensava il medico. Avevano paura di perdermi, i loro volti esprimevano il tormento, l’afflizione profonda, la sofferenza muta più di tante parole. Avrebbero voluto esserci loro al mio posto, avrebbero desiderato tanto non farmi più soffrire. Io, quando mi riprendevo, sorridevo felice e serena e li ringraziavo della loro dedizione e, con un filo di voce li consolavo: “Mi dispiace tanto avervi procurato questa forte agitazione e paura”. Poi i giorni continuavano a scorrere come sempre.
Mi dedicavo alla lettura delle riviste, al ricamo, all’ascolto della radio e quando le giornate erano tiepide, uscivo sempre a riposarmi sul balcone. A sera, dopo aver cenato e conversato sul lavoro dei campi, sul raccolto e sui problemi vari della famiglia, ci sedevamo sul divanetto per seguire i programmi televisivi.
Seguivamo tutti i programmi in onda fino a tarda ora, era un passatempo per tutti e tre. Era un momento di conoscenza e di evasione dai problemi quotidiani, quante risate, e quante lacrime di gioia abbiamo versato vedendo i programmi divertenti, e per giorni e giorni ripercorrevamo nella nostra mente e nelle nostre conversazioni quei momenti di svago. Poi il mio papà ha iniziato a non stare bene, c’erano periodi in cui sembrava che la sua salute migliorasse, poi aveva delle ricadute e i ricoveri ospedalieri diventarono sempre più frequenti.
Poi, quando il papà è venuto a mancare, anche una parte di me è andata via. Per giorni sono rimasta in camera, e dopo aver curato la mia persona, mi sedevo su una sedia a guardare la sua foto. Riuscivo a mangiare pochi bocconi del cibo che la mamma mi preparava con tanta passione, poi anch’essa si sedeva vicino a me fino a quando non si sentiva il battente del portone da parte dei vicini. Lo scorrere del tempo, la vicinanza delle persone amiche, hanno attutito il mio dolore, anche se era un sottofondo costante delle mie giornate.
Ogni giorno per me era un fioretto fatto con il sorriso, ed ero di conforto per le amiche che incontravo e spesso mi dicevano: “Che coraggio hai Grazia, che serenità danno le tue parole a chi ti ascolta”.
I miei gesti e le mie conversazioni erano per esse una benedizione. Con la mamma, in alcuni giorni c’erano degli scontri verbali, non filava tutto liscio nel nostro rapporto. Io ero una persona moderna, lei rimaneva ancorata alle vecchie tradizioni, per cui ogni tanto avveniva un litigio lieve, che nei giorni seguenti ci faceva sorridere, in realtà il battibecco avveniva per delle banalità, non per motivi seri. La sera poi, davanti alla tavola apparecchiata, la pace era fatta.
Concorso 2023 - VOCI NARRANTI 59
Dopo alcuni anni anche la mamma mi ha lasciata. Era una persona attiva, in casa faceva di tutto, era dinamica e mi coinvolgeva sempre nelle sue faccende, io partecipavo sempre ai lavori che lei mi affidava, a volte anche di malavoglia, per non scoraggiarla e rattristarla. Se n’è andata dopo un breve ricovero in ospedale, io però non ho avuto la forza di partecipare al corteo funebre e quando il corteo è passato nella nostra strada, io ero lì, davanti a casa nostra, sorreggendomi al portone, come un vecchio ulivo contorto della nostra terra. Tutto il mio corpo e tutti i miei pensieri erano impastati di dolore. Non riuscivo a comunicare la mia sofferenza, le parole rimanevano sospese tra le labbra.
Poi il buio senza confini, man mano ha lasciato spazio alla luce e nella mia anima è ritornata un poco di serenità. Al tramonto mi affaccio spesso al balcone. Vedo le nuvole chiare, non minacciose, sembrano delle coperte. Le osservo con piacere queste nuvole bianche, esse mi proiettano indietro nel tempo. Ritorna spesso nella mia mente adulta il ricordo della mamma, di quando premurosa mi rimboccava la copertina bianca, candida di bucato. Ero piccola e fragile, come una bambola di porcellana. La coperta aveva le frange che toccavano il pavimento, e quando il balcone era aperto, si muovevano leggere, come onde del mare. È un ricordo dolce che non mi abbandona, in questi giorni di solitudine mi conforta e mi dà forza.
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IL GABBIANO E IL RAGGIO DI SOLE
di Gaetano Aliberti
Vivevano un tempo sulle coste della Guliria il gabbiano Gaio, la sua compagna Sera e i loro figli Albis e Sintra.
Il mestiere di Gaio era quello di maestro presso la scuola di volo di Oriac dove insegnava l’arte del volo a piccoli gabbiani: gli raccontava la bellezza del volare, del lasciarsi trasportare dalle correnti ascensionali, del guardare tutto da lassù, delle acrobazie nel vento, delle discese in picchiata e dei tuffi nel mare per prendere i pesci.
La vita di Gaio e della sua famiglia scorreva felice e tranquilla.
Nel tempo libero Gaio progettava e costruiva aquiloni, un passatempo in cui metteva a frutto la conoscenza del vento e dei suoi segreti; li costruiva per i bambini degli esseri umani, una specie di abitanti della terra a cui era molto affezionato poiché in gioventù erano stati proprio alcuni esseri umani a salvarlo da una marea nera chiamata petrolio, scaricato nel mare da altri uomini malvagi.
Così, in segno di gratitudine, appena aveva finito di costruire un aquilone, lo lasciava di notte sulla spiaggia in modo che qualche piccolo uomo l’indomani lo trovasse e ci giocasse.
Albis era incuriosito dalla magia di quegli oggetti che coloravano il cielo e diceva a Gaio: «Quando sarò grande voglio costruirli anch’io, voglio fare come te papà!»
Gaio era felice quando guardava i bambini giocare col vento e pensava: «Loro non hanno le ali, non possono volare come noi gabbiani, però così possono giocare col vento anche loro, proprio come noi».
Un giorno Sera gli disse: «Sai che la compagnia delle civette del bosco di Centesimo ha organizzato per domani una escursione sul monte Ida? Partono a mezzanotte e poi si fermano lassù a guardare nascere il sole. Ci andiamo anche noi?»
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«Si, andiamo – rispose Gaio – e portiamo anche Albis e Sintra; lo sguardo luminoso delle civette ci guiderà e sarà bello scoprire insieme il vento della notte e della montagna e poi guardare insieme da lassù il sole che sorge».
L’aria era pungente, il fiato diventava fumetto, la stanchezza della notte insonne cominciava a sentirsi, superata solo dalla curiosità verso la meraviglia che stava per arrivare.
Civette e gabbiani orientarono ad est i loro sguardi, ansiosi di vedere il primo raggio di sole.
Il cielo cominciò ad assumere via via mille sfumature rosa, violette e azzurre, quasi come la tela di un pittore che decide in pochi secondi di cambiare il colore dell’orizzonte nella propria opera, un orizzonte fatto di montagne maestose e selvagge.
«Eccolo! Eccolo!», gridarono ad alta voce Albis e Sintra mentre una lama rosso fuoco cominciava ad apparire davanti a loro.
Ecco il sole venir fuori tanto delicato quanto potente: ora le montagne si vedevano in tutta la loro bellezza, il cielo continuava a cambiar colore e rischiararsi con mille sfumature.
I raggi nascevano tra le montagne, facendole diventare monumenti di bellezza, arrivavano fino alle piume, accarezzandole dolcemente.
Gabbiani e civette guardavano pieni di meraviglia, qualcuno esclamava «Che bello!», qualcun altro ammirava in silenzio.
Gaio pensò: «Come sarebbe bello essere come un raggio di sole … poter guardare l’alba in tutti i luoghi belli del mondo dove arriverà mentre la Terra gira …»
Non ebbe il tempo di terminare il pensiero che, all’improvviso, sentì la luce attorno a lui diventare accecante tanto da fargli chiudere gli occhi. Si sentì caldo e leggero. Quando aprì gli occhi non vide più il suo corpo, era diventato luminoso ed evanescente come un raggio di sole. E non era più sul monte Ida, viaggiava velocissimo sia nel tempo che nello spazio. Il suo desiderio era stato esaudito.
Esterrefatto in pochi secondi Gaio viaggiò in mezzo a tutte le albe del mondo.
Concorso 2023 - VOCI NARRANTI 62
Vide l’alba tra le piramidi d’Egitto, tra i vicoli di Lisbona, sulla Grande Muraglia cinese, tra i megaliti di Stonehenge, sulle Dolomiti, in un villaggio di pescatori in Norvegia, sulla sciara di fuoco di Stromboli, sui prati di erica della Bretagna, accanto al faro di una costa irlandese, alle isole Galàpagos, su una guglia di Notre Dame de Paris …
Gaio era come un raggio di sole, si sentiva inebriato di luce, libertà e felicità. Passò un attimo e tutto si fermò attorno a lui, si ritrovò sospeso nell’aria, fermo sopra il mare.
Si guardò intorno. Davanti a lui, non molto lontana nelle prime luci del mattino, vide una costa; dietro di lui, più in lontananza, vide delle isole. Guardò il mare, vide una piccola barca carica all’inverosimile di esseri umani, c’erano anche dei bambini.
Gaio aveva già sentito parlare, da alcuni fenicotteri africani di passaggio in Guliria, di questi esseri umani chiamati migranti che affrontavano viaggi pericolosissimi per cercare una vita migliore, per scappare da cose assurde ed orribili che esistono solo nella razza umana: miseria, dittatura, persecuzione e guerra. Sentì le loro voci, guardò i volti scavati dall’angoscia e i loro occhi brillanti di speranza.
Pensò: «Il raggio di sole mi ha portato fuori dal tempo e anche loro mi sembrano fuori dal tempo: adesso nella loro vita non c’è posto per il tempo, l’angoscia e la speranza riempiono tutto».
All’improvviso vide la barca rovesciarsi, sentì bambini, donne e uomini gridare e poi annaspare nell’acqua.
Gaio non sapeva cosa fare, era immobilizzato da quel mare di disperazione attorno a lui.
Poi trovò la forza di tuffarsi, si ritrovò nell’acqua con accanto un bambino piccolissimo che gridava, si muoveva, si agitava ma non riusciva a stare a galla.
Gaio aveva provato questa stessa paura quando da giovane si era trovato in mezzo alla marea nera e puzzolente che gli incollava le piume, gli soffocava il respiro e gli impediva di volar via.
Avrebbe voluto salvarlo proprio come era stato salvato lui.
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Cercò di afferrare il bambino con una zampa ma non riuscì a tirarlo su.
Vide il suo corpo muoversi sempre meno e andare giù. Impotente vide i suoi occhi chiudersi.
Riemerse atterrito e sconvolto. Attorno a lui vide la barca rovesciata e tanti corpi senza vita.
Poco dopo vide riemergere il corpo del bambino.
Gaio si staccò in volo dal mare e gridò verso il sole rabbioso e disperato: «Perché mi hai portato qui? Perché mi hai lasciato qui? Perché? Perché?»
Non ricevette risposta; quel raggio di sole che prima gli aveva regalato la più grande libertà ora era una prigione.
Passarono minuti o forse ore.
Con lo sguardo dall’alto accompagnò il bambino che la corrente portò e lasciò sulla spiaggia.
Gaio planò, si avvicinò al bambino, con le sue grandi ali accarezzò quelle piccole guance. E allora scoppiò a piangere a dirotto.
Con le piume delicatamente gli accarezzò ancora le guance e le orecchie, sfiorò i suoi capelli e le sue piccole e fredde mani.
«Posso fare solo questo per lui, niente altro che questo – pensò – posso solo tenere lontano il freddo…»
E mentre faceva questo sentì tanti altri pianti vicino a lui. Alzò lo sguardo verso il mare e vide un granchio, una tartaruga, un polipo, un delfino e tanti altri esseri marini piangere insieme a lui: «non si può non piangere quando muore un cucciolo di qualsiasi razza».
Si sentirono delle voci in lontananza: erano degli umani che si avvicinavano veloci. In quell’istante tutti gli esseri marini si immersero e scomparvero. Gaio diede un’ultima carezza a quel piccolo corpo e volò via.
«Raggio di sole portami via adesso – disse Gaio – Ora ho capito perché mi hai portato qui…»
Sentì di nuovo la luce aumentare e diventare accecante, come quando era partito.
In un attimo si trovò di nuovo sul monte Ida. Il suo viaggio dentro il raggio di sole gli
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era sembrato di molte ore ma, in realtà, erano passati solo pochi secondi. Restò per un po’ solo con i suoi pensieri; si chiese perché tra gli esseri umani accadessero tutte queste cose brutte e tante altre come quella marea nera che aveva visto da giovane.
La voce di Sera lo riportò alla realtà chiedendogli: «Sei sicuro di star bene? Sei bianco come una colomba».
Gaio abbracciò Sera, Albis e Sintra che, all’unisono, gli dissero «Ehi sei caldo come un raggio di sole!»
«Avete ragione – disse Gaio – come un raggio di sole. Come quel raggio di sole che oggi mi ha illuminato e mi ha fatto capire che su questa Terra la vita di molti esseri viventi è una prigione le cui sbarre possono essere aperte solo dalla Solidarietà. Gli Ideali fanno rinascere la Speranza».
Sintra lo guardò e gli disse impertinente: «Papà l’aria di montagna ti ha fatto venire la febbre, torniamo al mare dai».
E tutti quanti insieme si alzarono in volo per tornare a casa.
Gaio diede un ultimo sguardo al sole che ormai era salito oltre la linea dell’orizzonte e, in cuor suo, lo ringraziò.
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IL PIÙ BEL REGALO DI NATALE
di Rino Gobbi
Mio nipote Roberto era introverso, spesso insistevo con mia figlia perché lo portasse da uno psicologo, ma lei sempre mi diceva che era fatica sprecata perché suo marito era contrario, che secondo lui Roberto, che aveva 14 anni, sarebbe guarito da solo da quel disagio, ma in realtà, diceva sempre lei, era per lo stigma di avere un figlio diverso. A questo punto potevo io, nonostante fossi vedovo e in pensione, curare Roberto facendolo parlare, socializzare? Era un’idea che mi faceva ridere: non avevo nessuna competenza in materia, e seppur facessi parte di una associazione per anziani di Campolongo Maggiore, il mio paese, dove si interagiva piacevolmente, come potevo portare lui così giovane?
Abitavo poco lontano da mia figlia e spesso vedevo passare Roberto in bicicletta e dirigersi sul ponte del Brenta, l’avevo scoperto perché una volta lo avevo seguito, e mi rattristava vederlo così solo, senza un amico, seduto sull’argine a riflettere forse sulla sua situazione.
Un giorno mi trovavo alla edicola di Corte per comprare il giornale quando sopra il banco vidi dei volantini, erano di una psicologa di Piove di Sacco che parlava dell’auto-aiuto per persone con disagi psicologici. Era la terapia di gruppo che, per quel poco che sapevo, stando assieme agli altri per forza di cose si doveva interagire. Mostrai a Franca il pieghevole, lei lo lesse e scosse la testa: compresi che non era per la mia proposta, ma sempre per l’avversione di suo marito. La sua ritrosia, invece che scoraggiarmi mi fu di sprone, come fosse stata una sfida, e dato il mio ottimismo ero sicuro che quella dottoressa avrebbe guarito Roberto; le dissi che avrei telefonato io alla dottoressa, ma che suo marito non doveva sapere niente. Lei accettò.
Quando telefonai alla psicologa mi rispose lei in persona. Le parlai di Roberto e mi propose di portarlo al suo studio perché doveva rendersi conto del disagio del ragazzo. A quel punto non potei non riferirle che il padre era contrario a tale iniziativa e che forse il ragazzo non sarebbe venuto di sua spontanea volontà. Allora mi propose uno stratagemma: avrei portato Roberto al mercato di Piove di Sacco e
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“per caso” ci saremo incontrati al bar vicino al piazzale Serenissima.
Così feci, e il sabato seguente entrai con Roberto e sua madre in quel bar. Appena entrati vidi la psicologa seduta a un tavolo in fondo che leggeva il giornale. Le feci un cenno d’intesa e lei rispose sorridendomi. Aspettai che portassero le bevande e solo allora feci finta di accorgermi di lei. Dissi a Roberto che era un psicologa che conoscevo, e la invitai al nostro tavolo; ci furono i soliti convenevoli e poi lei si rivolse a Roberto più o meno con queste parole: «Come ti chiami?»
«Roberto» rispose lui.
«Sei un bel ragazzo, te l’ha detto nessuno che sei un bel ragazzo?»
Roberto non rispose.
La dottoressa continuò: «Dovresti avere sui tredici anni…»
«Quattordici» corresse lui.
Roberto aveva risposto subito, e questo mi piacque molto, anche perché pareva che la dottoressa gli piacesse.
Poi la psicologa gli rivolse altre domande, a cui lui rispose in modo conciso ma senza titubanza; quindi parlò della sua professione, dei gruppi di auto-aiuto per ragazzi “che volevano emergere”, e di come tutti fossero stati simpatici. Non si dilungò oltre, e dopo averci salutato tornò al suo tavolo.
Uscii con Franca e Roberto, ma con una scusa rientrai al bar e chiesi alla dottoressa se c’era qualche possibilità che Roberto potesse guarire. Roberto poteva benissimo guarire, bastava riuscire a portarlo agli incontri di autoaiuto, rispose.
Quando giungemmo a casa mi feci coraggio e con un po’ di titubanza gli chiesi: «Cosa dici, vuoi andare a trovare la dottoressa, al gruppo di auto-aiuto?»
«Sì» fu la sua immediata risposta.
«Con gli altri ragazzi?»
«Sì» rispose ancora lui. «So che parlo poco.»
Rimasi allibito, era una ammissione che non mi sarei mai aspettato: «Sei sicuro?» incalzai, ormai convinto della sua decisione.
«Sì» ripeté ancora lui.
Un venerdì, mentre suo padre era al lavoro, andai a prendere Roberto, e con sua madre lo portammo al primo incontro nello studio della dottoressa. Ci venne ad
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aprire proprio lei, ci accolse amichevolmente, accarezzò la testa di Roberto e se lo portò dentro. Le mamme che arrivavano con i loro figli si intrattenevano tra loro come amiche di lunga data, e questo mi fece piacere, anche se la loro confidenza si contrapponeva ai dubbi di cui ora ero pervaso.
Alla fine i ragazzi sgattaiolarono fuori, Roberto mi si avvicinò e stranamente prese la mia mano, dal suo sguardo pareva volesse riferirmi tante belle cose.
La volta successiva portai Roberto all’incontro dell’auto-aiuto da solo, e dopo la seduta mi parve di vedere in lui un miglioramento.
Roberto stava guarendo, questo era indubbio, lo si notava anche fuori dalla chiesa, dopo la messa, quando rispondeva a domande di qualche coetaneo o di qualche conoscente, e dall’esclamazione di un parente: “Non sembra più lui!”. Ne fui entusiasta perché quelle erano prove che avvaloravano sempre di più il mio convincimento su mio nipote.
Intanto suo padre, sempre ignaro di tutto, non si accorgeva dei miglioramenti del figlio, anche perché Roberto, su consiglio mio e della madre, non li dava a vedere.
In dicembre Roberto frequentò gli ultimi due incontri, e con questi concluse il ciclo che lo portò pressoché alla completa guarigione, merito della bella e brava psicologa.
Era la settimana che precedeva il Natale quando Roberto mi prese in disparte e mi ringraziò. In quel momento lo vidi maturo del tutto e il ricordarmi la parte che avevo avuto nella sua guarigione mi riempì d’orgoglio come mai mi era successo prima; gli risposi che il merito più grande era suo, che aveva accettato di frequentare gli incontri di auto-aiuto della dottoressa, che altri nella sua situazione avrebbero decisamente rifiutato. Per tutta risposta lui soggiunse: «E la letterina?… Sei sicuro che funzionerà?»
La letterina era un espediente consigliato da me da proporre il giorno di Natale.
«Certo» risposi.
Arrivò il Natale. Ero andato a messa con tutta la famiglia di Franca; gli altri parenti,
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cioè il fratello di Maurizio e sua moglie, sarebbero arrivati direttamente a casa di mia figlia per l’ora di pranzo. Fuori dalla chiesa i fedeli si scambiarono gli auguri, e anche noi ce li scambiammo, con Roberto che aveva imparato bene la parte e si mostrava sempre il ragazzino chiuso di una volta visto che suo padre era con noi, sapeva far bene lo gnorri!
Giunti a casa di Franca, ancora prima del pranzo si aprirono i regali, quindi Roberto si defilò un attimo in cucina, io lo raggiunsi e gli chiesi: «Allora, sei pronto?».
Lui mi osservò e sorrise. Era proprio un miracolo: non era più Roberto il timido, lo scontroso, ora dal suo volto traspariva una personalità che mi sgomentava. Erano bastati quei corsi di auto- aiuto a renderlo così.
«Sì, sono pronto» rispose.
Era arrivato dunque il momento, durante il pranzo feci in modo di introdurre l’argomento del Natale con queste parole: <<Il Natale è la festa della pace per eccellenza, che dovrebbe portare gioia, letizia in tutti i cuori: lo so che queste parole suonano di retorica, sta di fatto che dovrebbe essere proprio così.»
E poi: «Tu Roberto, hai niente da dire in proposito?»
Maurizio mi guardò esterrefatto, anche suo fratello e la cognata mi guardarono allibiti: avranno sicuramente pensato che fossi uscito di senno.
Fu allora che Roberto si liberò della sua finzione, e si mostrò addirittura vivace per quanto stava per fare. Si alzò in piedi ed estrasse di tasca una lettera, che cominciò a leggerla di fronte a tutti.
«Caro papà, cara mamma, auguri di Buon Natale! Lo so che ormai le letterine per questo santo giorno non si recitano più, ma questo Natale è diverso per me. Dovrebbe essere una festa anche per…» E qui successe qualcosa che mi sbalordì: pose la lettera sul tavolo e continuò a parlare a braccio, d’improvviso capii che quel birbante di mio nipote aveva voluto fare una sorpresa anche a me, dimostrandosi molto più perspicace di quel che pensavo.
«… quelli che sono senza uno stipendio, o per quelli che faticano ad arrivare a fine
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mese. Per quei popoli che sono in guerra e non sanno cos’è il Natale; affinché non ci siano più contrasti tra religioni perché il Dio è il Dio di tutti; e che questa ricorrenza porti a tutti la pace.»
«Incredibile! Incredibile!» riusciva solo a dire Maurizio, e si mise a piangere. «Ma cos’è successo?» si chiedeva insistentemente.
Anche Franca era commossa; mentre io e l’altra coppia avevamo gli occhi rossi dall’emozione. Era una scena commovente che mi riempì di autostima. Alla fine fui io a spiegare come Roberto avesse frequentato le sedute di auto-aiuto di nascosto dal padre, portandolo dalla psicologa che esercitava a Piove di Sacco. Allora Maurizio abbracciò il figlio stringendolo in una morsa che quasi lo soffocava; quindi, asciugandosi gli occhi e intuendo che fossi stato io l’artefice di tale miracolo si rivolse a me: «Veramente io non so come ringraziarti.»
«Guarda che io ho fatto gran poco, è stato Roberto che ha accettato di partecipare a quegli incontri.» Ma Maurizio mi osservava convinto che tutto il merito fosse stato mio. Poi guardava Roberto, quindi ancora me: proprio non riusciva a raccapezzarsi. Si staccò quindi dall’abbraccio del figlio e in tono pomposo esclamò: «Sapete cosa vi devo dire?…»
«Cosa?» chiesi io.
Non riusciva a continuare.
«Cosa?…» lo incitai.
«Che la guarigione di Roberto…»
«Che la guarigione di Roberto?…»
«È veramente il più bel regalo di Natale che abbia ricevuto.»
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LA VOCE DEGLI ANGELI
di Pippo Musso
Mi chiamo Pippo e da sempre sono un Angelo del Signore. Ho sempre compiuto missioni sia in terra che in altri luoghi, seguendo sempre la Sua volontà. Questa volta, aprendo con le sue mani un varco nel cielo, si è soffermato su una casa di campagna e mi ha affidato una missione con queste parole:
“Angelo Pippo, in quella casa c’è una famiglia disastrata perché i figli, nulla facenti e litigiosi tra di loro e con tutti, hanno preso prepotentemente il posto dei loro poveri genitori che non hanno più la forza di fermare la loro violenza e purtroppo li stanno subendo. Queste povere persone, per tirare avanti, stanno ore e ore in campagna sotto un sole rovente con pala e piccone, vivendo giornate di fuoco nei campi. Violare il mio comandamento -Onora il padre e la madre - è un peccato molto, molto grave perché l’amore per la famiglia è sacro e chi non la rispetta dovrà subire molte pene, a meno che non ottenga il perdono con la santa confessione.
Vedi quella signora al nono mese di gravidanza riversa sul fieno mentre lo taglia con la falce in mano? Bene, quella sarà tua madre.
Ma Signore Dio, così facendo quella povera signora rischia di abortire…
Lo so, lo so, Angelo Pippo ed è per questo che tu entrerai nel suo grembo prima che accada, mentre il padre Salvatore e quei figli prepotenti e maleducati rimarranno la tua famiglia. Il tuo compito sarà quello di risanarla e tu solo, senza l’aiuto di Dio, potrai farla tornare nell’ovile dove il suo pastore l’aspetta a braccia aperte. Solo dopo potrai tornare.
Detto questo, il Signore come un lampo nella tempesta sparì dalla mia visione.
Molte volte i compiti che nostro Signore ci assegna non sono semplici, soprattutto quando ci si presentano i casi di suicidio, per cui bisogna riunire molti Angeli e dare ad ognuno un compito diverso per poter preparare un’altra vita futura, ripartendo da dove era stata interrotta.
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Mi preparo per partire ed ecco che, come un soffio di vento, mi ritrovo nel grembo di mia madre. Sento uscire dai suoi polmoni un affannato fiatone e poi delle contrazioni come se da un momento all’altro dovesse partorire, mentre da lontano sentivo i fratelli giudei pretendere da mangiare.
Ma come faccio? Come faccio? - Lei gridava arrabbiata - se sono ancora qui nei campi a lavorare?
Salvatore, li senti questi tuoi figli capaci solo di pretendere e di litigare?
Li sento! Li sento, moglie mia, e se è vero che esiste un Dio, un giorno tutto questo lo dovranno pagare.
Che tenerezza sentivo emergere dai loro cuori amareggiati per quei figli ingrati e maleducati verso Dio e verso i genitori offesi per il loro dolore...
Così, arrivando il tramonto, papà e mamma fanno ritorno a casa stanchi morti e non vedendo nulla di pronto la mamma si arrabbia e rimprovera i figli, gridando al Signore di far loro sposare una donna che quando torneranno affamati dal lavoro non gli farà trovare nulla di pronto sul tavolo, così rimpiangeranno i loro genitori!
Che pena mi ha fatto quella povera mamma mia che in quel momento di rabbia se l’è presa anche con Dio!
Ma cosa succede, Maria? Maria cosa c’è, che cos’hai? Oh per carità di Dio, ti prego parlami! Ti senti male? Ma perché non parli, perché?
Perché, Salvatore, sto per svenire.
Presto, presto, mettiamola sul letto che sta per partorire! E tu, Bettina, presto, presto, vai di corsa a chiamare la signora Concetta e dille che tua madre sta per partorire. Ma corri, corri!
Signora Concetta, signora Concetta! Ma che cavolo non ci sente? Oh, era ora che si affacciasse al balcone!
Ma che diamine hai da gridare in questa maniera? Grazie a Dio, non sono ancora
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diventata sorda. E poi che c’è da gridare?
Presto, presto! Venga di corsa a casa mia che mia madre sta male, sta per partorire!
Accidenti e non me lo potevi dire prima? Corri, corri a casa a preparare una bacinella d’acqua calda, che sto per arrivare.
Toc toc toc… è permesso?
Entra, entra signora Concetta!
Ma hai già perso le acque, Maria! Presto, passami quella bacinella d’acqua calda che forse ci siamo!
Spingi, spingi, dai dai che forse ci siamo, dai forza, forza, che ci siamo!
Ecco il pianto!
È nato! è nato! è nato! Brava, brava, Maria! E chiaramente anche tu, Salvatore…
Ma guardate che bellezza incredibile è questo bambino, così bello biondo e con questi meravigliosi occhi color del mare. E voi, lazzaroni, siete contenti dell’arrivo del vostro fratellino? E mi raccomando, non voglio più sentirvi litigare con i vostri genitori, soprattutto adesso che vi hanno regalato questa splendida creatura di fratellino. È la cosa più bella che i nostri genitori, vi potevano regalare! E quale nome gli volete dare?
Lo chiameremo Yesùs, in onore del nostro Signore…
Così da quel giorno, attaccandosi a quel meraviglioso e tenero fratellino Yesùs, come per incanto, spari di colpo quel comportamento malefico dei fratelli giudei che, pentiti e convertiti al Signore, cominciarono a fare del bene trasformando la loro famiglia nella più amorevole del paese.
Ma il loro attaccamento d’amore al fratellino Yesùs durò poco, perché dopo aver terminato il suo percorso terreno riportando in quella famiglia Pace e serenità, l’Angelo Pippo risalì in cielo, pronto per compiere un’altra missione.
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LA VOCE DEL RICORDO
di Patrizia Gatta
Non poche sono le piccole virtù di quel terzo tempo della vita che è l’età matura, tra queste la curiosità.
E la curiosità è sempre stata compagna inseparabile di Laura, fin da bambina.
La scoperta di un gioco, cose nuove da imparare a scuola con la sua brava maestra, che le voleva bene e che, quando la sfiorava con la mano o il suo sguardo severo, posato su di lei, diventava dolce e sorridente, la rendeva felice e non se lo dimenticava per lungo tempo.
E poi ragazza, l’incontro con quel mondo che vive nella strada, nel treno per l’Università, nel lavoro.
Laura è convinta che lo scorrere del tempo sia stato una fortuna, gli anni trascorsi, che sono segnati tutti sul suo viso, le hanno ogni volta donato qualcosa e mai sottratto nulla.
Si guarda allo specchio e quello che vede, ora, è l’immagine di una donna dallo sguardo smarrito.
La vita la vivi se la racconti, la puoi raccontare se la ricordi, ma se la mente è inesorabilmente vuota, cosa ti resta?
Laura questo non lo sa, vive nel suo mondo fatto di domande senza risposte e di strana solitudine.
La mente vaga smarrita come quello sguardo nello specchio, priva di ricordi e di passato.
I suoi ricordi ormai non sono altro che semplici rituali quotidiani: la cura delle orchidee sul davanzale della finestra, la tazza di latte caldo al profumo di cannella, la lettura di un libro, che le tiene compagnia.
Spesso le capita di aggirarsi per casa alla ricerca di qualcosa: una foto, una cartolina, una dedica, all’interno di un libro, un vecchio quaderno.
Insomma un legame con un passato che fa fatica a ritornare alla mente. Una mattina, dopo aver sistemato un bastoncino all’interno del vaso di orchidee, per reggere il lungo stelo erbosa, carico di tre fiori bellissimi appena spuntati, si dirige verso lo studio e lì nel cassetto dello scrittoio, scorge, tra le carte riposte ordinatamente, un libriccino dalla copertina di pelle marrone.
Lo sguardo corre dalle mani a quel libriccino, che dopo pochi istanti è aperto sotto
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i suoi occhi che sembrano animarsi, ma solo di curiosità. Benefica curiosità, che non è mai andata via, ma come un fiume carsico, che ha trovato finalmente lo sbocco, irrompe e trascina l’agire.
Abbiamo terminato la visita al Castello. Era la nostra prima destinazione. Il freddo non ha mai allentato il suo abbraccio.
Tutto qui mi inviluppa. Il grigiore dell’atmosfera, quel non so che di indeterminato, quasi fiabesco, che subito mi avvolge e mi coinvolge. Quasi un salto nei luoghi incantati, nel tempo della scrittura di quella famosa Metamorfosi. Ecco, ora possiamo vedere la città.
La scorgiamo dalla piccola terrazza, affollata di turisti anche in questa stagione, è un incanto.
Il fiume, i ponti, i numerosi tetti, cupole appuntite e torri come quelle dei castelli delle fiabe, guglie che si stagliano nella nebbia grigia, nel cielo freddo e plumbeo. Ma ancora una volta tutto mi avvolge, tutto mi prende per trasportarmi in un’atmosfera incantata…..anzi, mi accorgo che già ci sono.
Il mio sogno a occhi aperti si sta svolgendo, qui, ora nella città magica, Praga!
Il freddo è intorno ai nostri soprabiti imbottiti, cappello di lana, sciarpa intorno al collo, tirata su fin sotto al naso.
Apriamo un piccolo uscio, un delicato tepore ci accoglie, siamo dentro a uno dei caffè praghesi, ce ne sono tanti. Anche qui, al caldo, davanti a una tazza di latte bollente al profumo di cannella, la magia continua. La mia mente è in subbuglio, tutto mi colpisce profondamente.
Anch’io, come questa città, vorrei abbracciare dolcemente mio marito, per assicurarmi che anche lui sia in pace con questo mondo, come lo sono io ora.
Rivedo, nel tepore familiare di questo piccolo caffè, con le tazze di tè profumato, lasciate alla rinfusa sui tavolini, lo scorcio del Castello e del ponte Carlo.
Ora sappiamo cosa bisognerà fare.
Dobbiamo ritornare sul ponte, salutarlo prima di partire, rivederlo ancora una volta, rapirlo con i nostri occhi, perché avvenga quella metamorfosi che lo tramuti in sensazione di tutti i sensi.
Non esitiamo un solo istante, la decisione è presa.
Lasciamo l’albergo di buon’ora e dopo aver percorso a piedi la strada verso il centro, siamo finalmente sul ponte.
C’è solo un giovane netturbino che spazza qualche foglia secca, caduta chi sa da dove, qualche passante indifferente e ci siamo noi.
L’atmosfera è ancora più magica, le sacre pietre ci appaiono più luminose, distinguiamo ora i visi, le espressioni, le mani, i particolari di quei martiri, scolpiti
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nella scura pietra.
Uno sguardo al fiume, alla porta che dà l’accesso al quartiere vecchio, ora è il momento di voltarsi.
Io e mio marito, tenendoci per mano, alziamo lo sguardo ed è lì, splendido e superbo il Castello.
Ancora un’emozione, un ricordo che mi accompagnerà e vorrei che fosse per sempre.
Anch’io, come quei santi di pietra, imploro che lo scrigno delle perle della mia memoria non venga scalfito dal tempo.
Mio marito, ancora una volta, è stato il compagno del mio viaggio.
E io sono già quell’emozione di un freddo e magico mattino praghese che mi riscalderà per lungo tempo.
Laura ripone il libriccino nel cassetto e pensa che potrebbe leggere ancora altre pagine, magari l’indomani.
La mattina seguente, infatti, con impazienza, dopo la cura delle orchidee, riprende la lettura.
E così ogni giorno, come un altro dei suoi rituali, si portava nello studio e, comodamente seduta nella poltrona a fianco alla finestra, leggeva.
Forse una voglia inspiegabile di trovare tra quelle parole visibili un mondo estraneo, che le riempisse le lunghe giornate di silenzio e di vuoto.
Forse immaginarsi nei panni di quella donna così fortunata, che aveva vissuto l’amore e la bellezza con tanta leggerezza.
Sbirciare tra quelle pagine era, per lei, come aprire la finestra e guardare fuori sul mondo. Un mondo, certo, che non era il suo, ma che ogni giorno imparava a sentire sempre più familiare.
Laura, a volte, si ritrovava a pensare che avrebbe potuto essere quella donna con il suo passato e sentirsi meno sola.
L’idea di diventare alla sua età una ladra di ricordi la faceva sorridere e se questo le dava l’opportunità di riempire quella ostinata mente vuota, che male c’era.
In quelle pagine, trovava le emozioni, le esperienze indimenticabili, la vita di una donna, che aveva lasciato una traccia di sé.
Le tracce del suo passato, invece, erano come orme lasciate sulla battigia dal passo lieve di un corpo senza peso.
Leggere quel libriccino fu inizialmente quasi un gioco: il gioco del furto dei ricordi, ma poi quei ricordi divennero il passato adottivo di Laura, visto che il suo era sparito chi sa dove.
Ancora una volta il tempo, che le aveva sottratto qualcosa, le faceva un inaspettato
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regalo che la sua curiosità era andata a scavare sul fondo di un cassetto. Quando non ci rimane veramente più nulla di quello che avevamo, di quello che siamo stati? Si domandava.
Mai, se camminiamo sotto braccio alla curiosità e continuiamo a meravigliarci. Meravigliarsi è il modo più sicuro per non invecchiare troppo in fretta.
Laura, ora, si guarda allo specchio e scopre una donna che tiene tra le mani una tazza di latte caldo al profumo di cannella, e si immagina seduta al tavolo di un caffè con accanto un uomo innamorato.
Da un passato lontano, fatto per Laura di estraneità e silenzi, al quale non sa di appartenere, le giunge una voce amica che non la farà sentire più così sola.
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LA VOCE DEL TUO SILENZIO
di Claudio Lamponi
Qualche giorno fa sono stato ospite di un amico. Classiche conversazioni di chi dopo un po’ esaurisce gli argomenti e alla fine un po’ annoiato Luca mi domanda “cosa hai mangiato ieri?”. Alzo gli occhi al cielo e immediatamente porto la mano al capo rispondendo con un sincero “non ricordo”.
Qualche volta sarà capitato anche a voi?
Sembrano esserci gesti che invadono la nostra quotidianità, mentre altri condizionano per sempre chi siamo. Come se alcune azioni o immagini si possano cristallizzare con le nostre cellule formando minuscoli frammenti di diamante che fluttuano in noi, illuminando il nostro passato e condizionano il presente e il futuro.
Immaginate se dentro di noi si creasse un universo di pietre preziose ricche di colori e dimensioni diverse con lo scopo di creare un archivio di luci e ombre, da consultare ogni volta che dobbiamo ricordarci chi siamo.
Uno di questi diamanti si è creato nei primissimi anni della mia infanzia, un’esplosione che ha portato la fusione di cellule con l’immagine di una anziana signora. Solo qualche anno dopo ho scoperto essere mia nonna Carmela.
Carmela, una piccola donna fragile dai denti ai piedi, capelli bianchi, labbra con intorno profonde rughe che creavano un’onda sulla faccia ogni volta che tentava un sorriso.
Anche io non ero in condizioni migliori, fragilissimo, un batuffolo dagli occhi enormi. Ed è stato proprio quell’attimo quando i nostri sguardi si sono incrociati per la prima volta che si è creato il mio primo ricordo, il mio primo diamante, il primo segno di speranza, l’attimo che scalfisce il passaggio di consegna tra l’anziana signora e il bimbo, tra la vita e la morte.
Carmela è morta poco dopo, mai una carezza tanto meno una parola, solo
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quell’incrocio di sguardi che ha condizionato la formazione del mio universo interiore, il mio primo diamante che ancora ora illumina il presente e il futuro.
Oggi dopo tanto tempo vorrei rompere quel silenzio con semplici parole, riempiendo con un suono quell’immagine.
Umili attimi sfiorano l’istante
Pensieri gelidi posano il momento
Il suono di docili memorie
Riscaldano vecchie immagini
Effluvi di colori mi trapassano
Un istante infinito
Uno sguardo intrusivo
La voce del tuo silenzio…
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LE VOCI DENTRO
di Bruno Bianco
Oggi ho compiuto ottant’anni e questa mattina mi sono alzato prima del solito. Al paese quando uno compie ottant’anni se ne ricordano tutti e ti fermano per strada ogni volta che ti incontrano.
Però adesso io non sto più al paese; non ci sto dal novembre dell’anno scorso, da quando mia figlia mi ha “obbligato” a venire a Torino. Certo è stata gentile, così come mio genero, e mi hanno trovato un alloggetto proprio di fronte al loro; io ho ancora la mia indipendenza, ma mia figlia è tranquilla che se ho bisogno di qualcosa posso avere subito l’aiuto che serve.
Qui mi chiamano signor Rodolfo, mentre in paese per tutti sono sempre stato Dulfu senza nessun signore davanti e mi manca di sentirmi chiamare con il nome in dialetto. Un po’ per questo, un po’ perché è il mio compleanno, ma soprattutto perché oggi, come ogni ultima domenica di settembre, al paese c’è la festa delle associazioni di volontariato, ne avevo parlato per tempo con mia figlia; avevo chiesto se potevamo fare tutti una gita al paese per vedere la festa, andare a pranzo sotto il tendone e fare anche un giro nella vecchia casa prima che arrivi l’inverno. Mia figlia era davvero dispiaciuta perché nello stesso giorno il mio nipote più piccolo aveva un torneo di scherma fuori provincia e non poteva proprio mancare. Che poi devo ancora capire qual è il senso di portarlo a fare scherma; io mi adeguo anche a queste nuove mode, ma la festa delle associazioni non la perdo per niente al mondo. Una settimana fa, con la scusa di farmi insegnare dal nipote grande come funziona questo internet che usano tutti, mi sono fatto guardare gli orari dei treni verso Asti e per il paese; il giorno dopo sono subito andato a prendere un biglietto di andata e ritorno per la domenica. Così questa mattina mia figlia, mio genero e i miei due nipoti sono partiti presto per la gara di scherma e io ho potuto arrivare alla stazione di Porta Nuova con tranquillo anticipo. Il treno è arrivato in perfetto orario ad Asti e ho preso subito la coincidenza con l’ accelerato che partiva per il paese; e mentre annuso l’aria che entra dal finestrino, mi torna alla mente il treno che tornava dalla Russia, insieme a quei pochi fortunati che come me ce l’avevano fatta a tornare. Mi ricordo ancora la promessa che avevo fatto a me stesso; la chiamata alle armi sarebbe stata l’ultimo
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gesto obbligatorio per la mia terra. Da lì in avanti non avrei più accettato in silenzio le decisioni degli altri, ma avrei sempre fatto sentire forte la mia voce per decidere io cosa fare della mia vita. E ho sempre mantenuto la promessa. L’ho mantenuta quando pochi mesi dopo ho scelto di andare con i partigiani delle Langhe; o ancora quando dopo la liberazione insieme agli amici di una vita ho messo il vigore della giovinezza a servizio della mia gente. Negli anni ho fatto sempre sentire la mia voce; abbiamo rimesso a posto la scuola elementare e la chiesa con il campanile; abbiamo fatto la cantina sociale e il consorzio agrario per i contadini, l’acquedotto per portare l’acqua nelle nostre case e il foro boario per il mercato delle vacche. E poi ho scelto di fare il consigliere comunale perché i tempi stavano cambiando e avevo capito che per far sentire la propria voce bisognava saper districarsi nella burocrazia se si voleva fare qualcosa; adesso il paese ha la Casa di Riposo per gli anziani, il campo di calcio per i ragazzi, la bocciofila per i grandi e addirittura la sezione della Croce Rossa dove per più di trent’anni ho fatto il volontario a guidare le ambulanze.
Il megafono della stazione spezza il filo dei miei ricordi; il programma ce l’ho ben scritto in mente. Esco dalla stazione e salgo la strada verso il paese alto; la prima tappa sarà nella casa dove sono nato, cresciuto e vissuto per una vita. Aprirò il portoncino in legno e accenderò la luce per superare il primo impatto; poi uscirò ad aprire le persiane per far entrare i raggi del sole. Ritornerò in casa e andrò al piano di sopra; aprirò le finestre e respirerò forte per sentire da dentro casa il profumo della mia terra. Quando sarò entrato in tutte le stanze mi sposterò al vicino cimitero; voglio farlo per incontrare quella testona di mia moglie che, come in vita, anche in morte ha sempre fatto ogni cosa prima che la facessi io. Dopo ricomincerò a salire la strada per arrivare nella piazza del paese alto dove ci sarà la messa al campo con tutte le associazioni del paese; ascolterò il discorso del sindaco, la banda suonerà qualche pezzo allegro e la Pro Loco offrirà l’aperitivo a tutti i presenti. Ci sarà giusto il tempo di mangiare due salatini, prima di andare sotto il tendone per il pranzo dell’amicizia, con la carne cruda, gli agnolotti al plin e l’arrosto della vena.
Prima di arrivare al pranzo sotto al tendone devo ancora finire la salita verso casa e fa proprio un gran caldo per essere a fine settembre; però mentre mi godo il ricordo nostalgico dei miei anni migliori, devo essere sincero con me stesso. Ero convinto che la mia attività, la mia presenza e addirittura la mia persona fossero indispensabili per tutto quello che è stato fatto; invece mi ritrovo a ottant’anni senza poter più dare un contributo e con la coscienza che tutto va avanti anche senza di
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me e magari va anche meglio. Ricordo bene quando a trent’anni pensavo che con la mia giovinezza potevo occupare un mio spazio senza che nessuno potesse mai togliermelo. Adesso che sono arrivato agli ottanta, nessuno si accorge che non ho più né il mio spazio né la mia forza e per ricordare quello che ero devo cercare con fatica il profumo della mia terra; come un cane da tartufi malato che ha perso quel fiuto che lo aveva fatto diventare così importante per tutti quelli che gli erano vicini.
Sono davvero un vecchio rimbambito se con i miei ragionamenti stupidi sono riuscito a rovinarmi l’umore in un giorno come questo; per fortuna sono arrivato nel mio cortile e la sola vista della vecchia casa scaccia qualunque pensiero. Faccio fatica a infilare la chiave nel portoncino; c’è un po’ di ruggine nella serratura, ma la verità è che la mano mi trema come una foglia. Finalmente riesco a entrare e accendere la luce con l’interruttore che sta sulla destra subito dopo la porta della cucina.
«Tanti auguri, nonno!»
Se non mi è venuto l’infarto adesso, vuol dire che non mi verrà mai più. Sulla parete opposta di fianco al caminetto ci sono mia figlia, mio genero e i miei nipoti che mi sono corsi incontro come solo i ragazzini sanno fare.
«Io non avevo mica tanta voglia di andare a fare la gara di scherma!» urla il nipote più piccolo.
«Quando abbiamo guardato su internet gli orari dei treni io gli ho subito detto alla mamma.» mi prende in giro il nipote più grande.
«Spero che mia moglie non diventi testarda come suo padre, altrimenti sarà dura tenerla a bada quando sarà avanti negli anni!» mi dice mio genero.
«Guarda che non sei mai riuscito a fregarmi quando eri giovane e non pensare di poterlo fare adesso.» borbotta mia figlia mentre mi abbraccia.
Mentre mi sforzo di tenere dentro agli occhi quelle due lacrime che sono lì lì per uscire, mi rendo conto che non mi interessa più rimpiangere il passato, ma solo godermi la festa delle associazioni con la mia famiglia al completo; ci prendiamo la messa, ci gustiamo l’aperitivo e poi andiamo al pranzo sotto il tendone. Staremo insieme a tutti quelli che negli anni passati si sono impegnati con me e a chi si sta
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impegnando adesso con la stessa passione che avevo io; e non mi rattristerà più pensare che un tempo sono stato come loro, mentre adesso sono solo un uomo ai margini che non riesce più a far sentire la propria voce, un attempato signore rassegnato al silenzio che ha dovuto scappare dal proprio paesino per garantirsi una vecchiaia assistita. Perché oggi ho capito che non sta scritto da nessuna parte che devi crescere dove sei nato e morire dove sei cresciuto; la vita può farti restare ottant’anni nello stesso posto o spostarti ottanta volte in tutta la tua esistenza. Questo però non cambia niente perché il profumo della terra, se mai esiste, non è nell’aria che ti circonda, ma è dentro le narici del tuo naso; lo puoi sentire usando il tuo silenzio per apprezzare la presenza delle persone care che ti stanno intorno, per guardare indietro a quello che hai fatto per gli altri e per pensare a quello che gli altri continueranno a fare senza di te.
Oggi ho compiuto ottant’anni e questa mattina mi sono alzato prima del solito; credo che quando rientreremo a casa andrò a dormire presto. Prima di coricarmi aprirò la finestra e resterò in silenzio e prenderò un lungo respiro; non vedrò le mie colline di campagna, ma un trafficato corso di città. Però so che nel naso c’è il profumo della mia terra e niente potrà farlo sparire; anche se adesso ho ottant’anni e la Pro Loco, la Croce Rossa e la bocciofila vanno avanti senza di me. Ma ora lo so bene qual è il profumo della terra; è sapere che c’è qualcuno che porta avanti l’opera di chi lo ha preceduto. Magari con mezzi, modi e soluzioni diverse, ma con la stesso cuore e passione che hai avuto tu e quelli che c’erano prima di te; è come passarsi un’ eredità che attraversa le generazioni senza mai consumarsi, diventando più intensa e vivace ad ogni passaggio.
Sono queste le voci che sento dentro. Sono queste le voci del mio silenzio.
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MARGHERITA
di Fabrizia Bort
Mi chiamavo Margherita! Margherita come i fiori di campo che sbocciano in primavera e riempiono i prati come sconfinati tappeti bianchi e gialli. Margherita come il fiore che sfogliano gli amanti per sapere se sono corrisposti. Margherita come la canzone di Cocciante: «Io non posso stare fermo con le mani nelle mani, tante cose devo fare prima che venga domani… perché questa notte non sia nera più del nero fatti grande dolce luna e riempi il cielo intero…»
Era la canzone preferita della nonna! Diceva che era poesia. L’ascoltava tenendo gli occhi chiusi e poi ne ripeteva le parole, ancora e poi ancora.
Non avrei potuto che chiamarmi così. A mia madre poco è importato, se ne andò troppo presto anche solo per sentirmi balbettare le prime parole. Schiava dei suoi demoni e delle sue dipendenze ci abbandonò senza esitazione e senza pietà. Mio padre, sicuramente, non era tipo da cantarla e se avesse potuto scegliere sono certa che avrebbe intonato volentieri un inno al dio Bacco. Non l’ho conosciuto! Forse nemmeno sapeva di aver concepito una figlia, probabilmente frutto di due sbornie che si erano incontrate per caso ma che, in quel momento, perfettamente affini.
Mi chiamavo Margherita ma ora sono solo un nome e un numero nelle cartelle cliniche di uno dei tanti psichiatri che mi ascoltavano controllando l’orologio in continuazione senza, nemmeno, preoccuparsi di nascondere la loro noia e la loro fretta. Uno dei tanti nomi negli archivi degli uffici giudiziari e negli schedari dell’assistenza sociale. Sono una morta che cammina. Non so dove si sia spezzata la mia vita né quando, non so quando ho smesso di ascoltare la canzone di Cocciante.
Ho amato profondamente la nonna, come fosse una madre, ho amato e ammirato con riconoscenza la sua capacità di essere, per me, anche un padre senza mai farmi sentire sola e abbandonata. Ho vissuto con lei in campagna, ho corso per quei prati che ogni anno, a primavera, si riempivano di Margherite e mi facevano sentire un fiore tra i fiori. Nei momenti di lucidità rovisto disperatamente nei ricordi e nel mio cervello cercando di dare risposte ai miei perché. Sento il profumo del caffè
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che riempiva la cucina quando la nonna mi svegliava e mi preparava per andare a scuola. Intanto che facevo colazione si sedeva accanto a me e sorbiva lentamente, per gustarsela meglio, la sua bevanda con aria beata e smorfie di vero piacere. Quando ero pronta versava una goccia di caffè nella sua tazzina aggiungendoci un po’ di vino. Me la passava dicendo: “Tieni, fuori è freddo, questo ti scalderà fino a che non sarai arrivata a scuola”! Poi metteva un dito sulle labbra e mi faceva cenno di tacere. Il sorriso le riempiva le rughe e le illuminava gli occhi. Sugellavamo un patto in cui esistevamo solo noi. Quel segreto è stato per molto tempo il mio orgoglio, ciò che mi ha fatta sentire grande tra i grandi e importante tra i miei piccoli amici. Ero allegra, spiritosa, piena di forza. Non avevo mai paura e affrontavo le sfide della vita a muso duro.
Come un mantra Cocciante cantava: « …Corriamo per le strade e mettiamoci a ballare perché lei vuole la gioia perché lei odia il rancore »!
Abbandonata su una panchina cerco di capire. Quando? Ma poi che importanza può avere ormai? Non mi reggo in piedi ed ho bisogno assoluto di bere. Mi basterebbe un sorso, un sorso solo. Ma ho promesso a quel babbeo dello psichiatra che avrei provato, per un giorno almeno, a non toccare alcool. Ridacchio tra me e me, mi passo una mano sulle labbra secche e screpolate, infilo la mano nel giaccone logoro e afferro la fiaschetta. Un goccio solo, solo un goccio! Sento il liquido che scivola nella gola trasformandosi in un balsamo rigenerante, lo sento scorrermi velocemente nelle vene, invadermi il cervello placando i mostri che lo abitano trasportandomi in quel limbo dove trovo pace e dove, finalmente, riesco a perdonarmi tutto. Perché mai dovrei smettere di bere? Ormai non m’importa più di nulla. Ho distrutto il mio corpo e la mia anima con chirurgica perizia, come un suicidio lento che prima di sferrare il colpo mortale ti toglie tutto, ti riduce in minuscoli pezzi e ti annienta. Come un puzzle che una volta distrutto non si può più ricomporre.
“Margherita l’ubriacona” mi chiamano, ma non è sempre stato così. Mi sforzo di ricordare. A chi posso dare la colpa per il mio fallimento? A mia madre che se n’è andata senza voltarsi? A mio padre che nemmeno sa che esisto? Alla società che non mi vuole? Alla mia adorata nonna che, al mattino, mi metteva il vino nel caffè per proteggermi dal freddo senza immaginare che, prima o poi, avrei dovuto farci i conti? E senza comprendere che la sua Margherita non era lo spirito forte che appariva, non era la Margherita della canzone di Cocciante e nemmeno la Margherita dei prati che resiste ai temporali, alla siccità e alle intemperie.
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La nonna mi lasciò quando avevo quindici anni. In silenzio come quando si metteva il dito sulle labbra dopo avermi passato la tazza del caffè. Non volevo provare dolore, avevo paura del dolore. Rimasi annichilita, impietrita ma non permisi ai miei occhi e al mio cuore di versare nemmeno una lacrima. Cristallizzai quel dolore dentro di me e lo feci diventare il mio fedele amico. Lo nutrivo di alcool solo così si placava e mi dava un po’ di tregua.
Passai da una famiglia affidataria all’altra. Gente di ogni tipo, anche di buona volontà ma che quando scoprivano la mia dipendenza mi rispedivano, in men che non si dica, ai servizi sociali perché, per loro, non potevo nemmeno più rappresentare il mezzo per guadagnarsi il paradiso considerato che non sapevano da dove cominciare per farmi smettere di bere. Passavo le giornate ad ubriacarmi e non lo nascondevo nemmeno più. Mi espulsero dalla scuola. Non avevo più amici e amiche, venivo guardata e scansata con aria di sufficienza mista a ripugnanza e questo mi spingeva ad esibire provocatoriamente ancora di più la mia dipendenza. Molesta e fuori controllo, provocavo risse e prendevo di mira i difetti dei più deboli, poveracci come me, ma che, al contrario, cercavano di farcela e di essere migliori. A diciotto anni la legge mi permise di tornare nella mia casa. Appena varcai la soglia fui investita dai ricordi felici della mia infanzia e dalla mancanza della mia adorata nonna. Quel giorno bevvi così tanto da non riuscire nemmeno a trascinarmi al letto. Mi svegliai distesa per terra coperta del mio vomito e delle mie deiezioni e con l’odore rancido del vino che aveva invaso la casa. Quella fu, forse, la prima volta che seriamente mi posi delle domande. In realtà non volevo risposte perché se le avessi trovate avrei dovuto assumermene la responsabilità ed io non ero ancora pronta. Mi piaceva troppo bere, quella sensazione di onnipotenza dove tutto diventava possibile, era per me, irrinunciabile. Poco importava se, spesso, cadevo e mi ferivo, poco importava se il mio aspetto sembrava quello di una vecchia, poco importava se la mia salute vacillava. Solo danni collaterali, piccoli tributi da pagare alla mia dipendenza. Non avevo un lavoro, non avevo uno scopo, non avevo un obiettivo. Ero un essere inutile di cui il mondo poteva fare a meno, non avevo e non davo amore e nessuno poteva fidarsi di me.
Quando gli assistenti sociali bussavano insistentemente alla porta non aprivo nemmeno più. Ridacchiavo tra me e me e mi portavo il dito alle labbra in segno di silenzio. Un giorno bussò anche il babbeo dello psichiatra ma lui si arrese in fretta. In fondo, ci aveva provato, aveva fatto il suo dovere. Avrà certamente pensato che, lui, il suo dovere lo aveva fatto. Stavo sdraiata sul divano per la maggior parte della
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giornata bevendo e fissando il soffitto. Anche il tempo aveva smesso di esistere, notte e giorno si confondevano nella mia mente senza distinguo… Quando ne avevo la forza facevo partire il vecchio registratore della nonna e ascoltavo Cocciante:” … Saliamo su nel cielo e prendiamole una stella perché Margherita è buona perché Margherita è bella…”
Lo sentii una mattina, un miagolio disperato ed insistente attraverso i fumi dell’ennesima sbornia. Ascoltai meglio. Era proprio un miagolio. Mi alzai faticosamente e mi trascinai fino alla porta. Un esserino magro ed emaciato da far paura schizzò tra le mie gambe entrando come se fosse casa sua. Ci fissammo, ci studiammo, due poveracci traditi dalla vita che il destino aveva fatto incontrare. I suoi lamenti mi arrivarono diritti al cuore. La mente tornò a quando, bambina, insieme alla nonna accudivamo le galline e sfamavamo i gatti randagi della zona. Trilly, Pallino, Saretta. Taddeo e tanti altri. Nel disordine della cucina trovai una ciotola che riempii di latte. Lasciai che sorbisse fino all’ultima goccia il suo pasto poi, con delicatezza, lo presi tra le braccia e me lo strinsi addosso. Le sue fusa, in quel momento, divennero una canzone d’amore. Note leggere che avevo dimenticato ed ignorato annegandole nell’alcool per troppo tempo. Paura di amare, paura di essere amata perché l’amore ferisce e ti abbandona. Troppe volte ero stata ferita, troppe volte i miei amori mi hanno abbandonata! Lasciai che le lacrime sgorgassero copiose dai miei occhi. Ascoltai, senza oppormi, tutto il dolore accumulato in una vita, guardai in faccia i miei demoni e li sfidai stringendo ancora più forte a me quel mucchietto di ossa e pelo. Avrei dovuto occuparmi di lui, avrei dovuto amarlo e curarlo. Forse, ora, avrei potuto farcela! Il suo nome? LIFE (vita).
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MI HANNO DETTO DI STARE ZITTA
di Silvia Favaretto
Mi stupisco che dal silenzio emergano quelle parole, quella voce così necessaria, che per fortuna riesce a rompere qualsiasi barriera imposta, qualsiasi remora. Era arrivata in Italia vari anni dopo l’aggressione. Aisha sedeva di fronte a me, col suo capo velato che le lasciava scoperti solo gli occhi: iridi di un nero talmente intenso che quasi non si riconosceva la pupilla, sottolineati dal Kajal. Mi stava raccontando cose alle quali non riuscivo nemmeno a credere.
«Mio padre non voleva dare al mio futuro suocero la dote pattuita. L’altro gli disse che non se ne faceva più niente, che oltretutto suo figlio diceva che ero troppo grassa e che avevo atteggiamenti da prostituta. I due uomini discussero finché arrivarono ad un accordo, ma io appena rimasi da sola con mio padre piansi e gli dissi che non volevo sposarmi con un ragazzo che mi trovava brutta e per giunta dubitava del mio onore. S’intromise anche mia sorella a perorare la mia causa e mio padre cedette, annullando le nozze. Dall’altro capo del telefono, qualcuno era profondamente offeso e gridava all’apparecchio che avrebbe avuto la sua vendetta. Due settimane dopo ero al mercato con mia sorella e mia nipote, vicino al banco colorato delle spezie, quando fummo circondate da una donna velata e tre uomini. Lei mi tolse dal capo il velo e uno di loro mi lanciò un liquido sulla faccia. Bruciava come cento soli sulla mia pelle, urlavo mentre loro scappavano dopo avermi detto stai zitta, brutta cagna, sei sfigurata per sempre e mia sorella cercava di aiutarmi, la bambina piangeva. Anche mia sorella si è rovinata le mani con l’acido mentre cercava di pulirmi la faccia col suo velo: la signora della bancarella non ha voluto darle acqua o tessuti, ho sentito che diceva chissà cosa avrà combinato perché siano venuti a farle questo…»
Deglutisco mentre vedo che si scioglie il velo attorno a capo e bocca e resta a faccia scoperta. Il suo volto è deformato e macchiato, sembra la superstite di un incendio. Del naso sono rimasti solo due buchini e la bocca non ha più il suo contorno. Le chiedo con un filo di voce cos’era il liquido che le hanno lanciato addosso.
«Mi hanno detto all’ospedale che era acido solforico abbinato ad acido nitrico e
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acido cloridrico. Mi hanno sciolto la pelle in pochi secondi, mia sorella non è riuscita a trovare nessuno che le desse acqua. Si è sciolto persino l’osso dello zigomo. Mi chiede ancora perdono, quando la sento per telefono, ma io le ripeto sempre che non è stata colpa sua, che lei ha fatto quello che ha potuto».
Le chiedo, sapendo già la risposta:
«E di chi è stata la colpa?»
Muove quella ferita aperta che è oggi la sua bocca, per dire con rabbia:
«Non ha accettato che lo lasciassi, non ha accettato che mi opponessi alla sua decisione. Hanno inoltre voluto colpire anche mio padre, trattarlo da pezzente e lasciargli una figlia che nessuno volesse mai più come sposa».
Non riesco ad immaginare come devono essere stati i primi giorni. Le dico che non è necessario che mi spieghi i dettagli e che se vuole può rimettersi il velo, ho già visto fin troppo bene. Lei mi chiede:
«Ti dà fastidio guardarmi?»
Mento: «No, no, lo dico per te».
«Io ora dopo 8 anni riesco a guardarmi. Riesco a guardarmi da quando sono qui, da quando ho deciso di denunciare».
Le sorrido e aggiungo: «Siamo qui per questo. Resta pure senza velo, come preferisci. Riesco a guardarti».
Era vero. Dopo quella frase in cui lei decretava di aver passato la prima fase dell’aggressione e ricominciava a riconoscersi, anche io cominciavo a guardarla oltre il nodo allo stomaco dell’orrore. Dopo il mio sorriso, le erano brillati gli occhi, la guancia destra le si era alzata in un’espressione più distesa. Aveva capelli lunghi e lucidi, le mani affusolate con unghie curate, anche lì dove la pigmentazione tradiva che con le sue stesse dita aveva cercato di togliersi l’acido dalla faccia. Segue il mio sguardo e puntualizza:
«Mi si sono cancellate persino alcune impronte digitali, sai? L’acido ha rimosso la mia identità persino lì. All’inizio volevo solo morire. Ho tentato di uccidermi tre volte, ma mi hanno sempre salvato in tempo. Mia sorella si ostinava a volermi viva. Ha cominciato a dormire con me come quando eravamo piccole, per assicurarsi
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che io non facessi sciocchezze. Poi suo marito ha detto che doveva tornare a casa e abbiamo cominciato ad avere paura. Mi ha convinto a venire qui e ora sto cercando di portare in Italia lei e anche la bambina che ormai è una ragazza. Sta cominciando a fare un corso di italiano per imparare almeno la lingua. Io ci ho messo un po’, ma ormai me la cavo. So parlare abbastanza per testimoniare in una denuncia, non credi?»
Annuisco: «Certo, parli benissimo, e poi in caso abbiamo le interpreti. Ma devo sapere cosa ti aspetti di ottenere. Vuoi un risarcimento economico per fare degli interventi di chirurgia plastica, vuoi che vadano in prigione il mandante e gli esecutori? A che cosa puntiamo?»
Disse con fermezza: «Voglio che si sappia cosa si fa nel mio paese e in tanti altri, come anche l’Italia, per distruggere la vita di una donna. Voglio che si riconosca che gettare acido su una ragazza equivale ad annientarla ed umiliarla tutta la vita, perché non troverà un fidanzato, non troverà un lavoro, non troverà nemmeno chi voglia parlare con lei perché è fastidiosa da guardare. Buttare acido su una donna equivale ad ucciderla, perché vorrà morire ogni volta che si specchia. Io avevo coperto tutti gli specchi della casa, ma mi specchiavo nello sguardo degli altri». Per la prima volta le trema la voce. Allungo la mano per prendere la sua:
«Hai ragione. Bisogna farlo perché si sappia». Stringe la mia mano, con voce di nuovo più sicura:
«E poi lo faccio per me, me lo devo. Perché quando mi hanno buttato l’acido mi hanno detto di stare zitta. Sarò anche sfigurata, ma non starò zitta. La battaglia che anche altre donne a cui hanno rovinato il volto stanno portando avanti, è di non permettere che questi acidi si vendano così facilmente e a buon mercato. Grazie al fatto che queste donne hanno parlato, si stanno facendo dei passi avanti. In questo, dobbiamo impegnarci, per guardarci allo specchio con più soddisfazione e vederci più belle, senza paura.»
Prendo dal cassetto uno dei formulari da riempire. Inspiro profondamente, alzo lo sguardo su di lei vedendo una luce speciale in quegli occhi nero carbone e penso che da oggi Aisha si vedrà in quello specchio ogni giorno più volentieri e con ragione, perché la sua forza la rende vividamente bella come le donne che riemergono dalle loro ceneri e si ricostruiscono, intatte, nonostante gli sfregi della vita.
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NESSUNO CI VEDE
di Gaia Parenti
Nessuno mi vede in questa vita che chiamo “terra di confine”. Al confine con me stessa, delle mie paura, ansie, incertezze che riesco, distrattamente, a celare dietro ad una maschera. Una donna che non esiste, con il volto sfigurato dalle cicatrici della propria anima che si diramano dappertutto. Sono senza pelle, ho freddo e nonostante possa coprirmi, l’umido della mia sofferenza mi è entrato sotto lo strato più profondo dell’epidermide.
Il mio disturbo borderline mi rende molto vulnerabile, ipersensibile, incapace di gestire forti emozioni e stress. Sono preda di forti impulsi emotivi, che mi fanno fare quasi sempre la scelta sbagliata. Tutto ciò, spaventa gli altri e me stessa. Le persone che dicono di volermi più bene, sono le più brave a farmi sentire sbagliata, un peso, un’incapace, una donna non meritevole di amore, perché non ne conosco il limite e il giusto slancio. Un giorno posso amare alla follia e venerare un uomo e il giorno posso odiarlo a morte e vederlo cadere all’inferno.
Questo è destabilizzante anche per me. Non mi riconosco più, quando un attimo primo so chi sono, dove sono e cosa voglio raggiungere. Non trovo pace in questa vita che rende il mio umore una sala da ballo di tip tap. Scende e sale continuamente ed io non ne ho il minimo controllo. Per questo, sono stata rinchiusa in una casa di cura e da lì ho coltivato la passione più dolorosa e felice per la scrittura. Pochissimi i familiari che mi sono venuti a trovare. Tanto c’era qualcuno che si occupava di me. Troppo spaventanti, codardi per venire a contatto con ciò che non hanno mai conosciuto: la pazzia? Assolutamente No. Dentro a quel posto, c’erano solo persone con un grande malessere socio-economico che le ha portate alla disperazione, alla depressione, alla dipendenza e, quindi, a disturbi psicologici, non il contrario.
Tutto questo per sentirsi ancora vivi, protetti e per non sentirsi fuori posto, fuori dalla portata dei non pazzi. Ma i veri pazzi sono fuori, con vestiti costosi, scarpe eleganti, capelli mai fuori posto e macchine importanti. I veri pazzi sono quelli che non sanno di saperlo o se lo sanno, lo vogliono camuffare a tutti i costi. I veri pazzi, sono persone cattive che compiono azioni cattive e godono nel far del male al prossimo. Per me questo è un pazzo fottuto!
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Solo grazie ai farmaci riesco a tamponare il mio disturbo che mi rende troppo fragile e piccola in questa società di mangia uomini. La cura che faccio, fa cadere il mio corpo in uno stato di torpore inquietante, per questo motivo odio prendere le pillole. Quel briciolo di vita e di felicità che mi sono concesse, si appannano subito dopo che le inghiotto. E non mi fanno assaporare nessuna emozione. Non mi sento sola nella paura ma questo non significa sentirsi meglio.
L’essere umano oggi è spaventato, destrutturato, deformato nel suo essere intimo più profondo. C’è una precarietà dilagante e assordante, dove tutte le certezze sono andate in frantumi. La velocità ha preso sempre più campo. La rincorsa al potere è sempre più ambita e rapida. Ma per quale motivo se poi, il nostro spirito si ammala? La caducità del desiderio e del piacere, l’annullamento della propria identità, l’inconsistenza e la superficialità nei rapporti umani ha reso l’individuo non più umano, senza nemmeno rendersene conto. Lo leggo nei loro occhi, quando giro per la mia città. C’è un silenzio assordante. Le persone si sentono sole, non ascoltate, non viste. Mancano sorrisi, abbracci, parole di conforto e da brava borderline so riconoscere il profondo malessere che si legge nei loro occhi spenti e vitrei. Chi è forte, in realtà non sa che significato dare a questa parola, chi è debole lo ha sempre saputo: ci sono altri a ricordarglielo, altri deboli e fragili, che si arrogano il diritto di puntare il dito, come questa società che ci ha privato di tutto e ci sta facendo precipitare nel vuoto, nel niente, che è peggio del tutto. Un tutto che ci ha tolto la voglia di vita. Il proprio sogno da compiere...
Debole non significa fragile. Perché la fragilità può essere una risorsa nella misura in cui siamo coerenti con il nostro sogno personale, portandolo avanti costi quel che costi, senza perdonare sé stessi per volerlo fare. Se non abbiamo il timore di temere, il timore dei nostri desideri e passioni, anche l’essere fragile diventa una scoperta meravigliosa, che porta l’essere umano a comprendere che non è una brutta parola, anzi, il fidarsi di sé stessi nonostante i propri limiti e le proprie ferite, dimostra che la nostra fragilità diventa un potere sensibile fortissimo, in grado di spezzare qualsiasi catena di dolore.
Io credo di aver perso il mio sogno personale o almeno non lo trovo più. E come me, purtroppo, in tanti hanno smesso di crederci. Mi sento debole nei confronti della vita. Più volte mi è stato detto “poverina, non combinerai niente di buono nella vita”. Una presunzione, un’arroganza capace di trafiggermi e farmi morire. Le parole vanno dosate bene e con cautela. Possono uccidere. Dove finisce il mio carattere
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e dove inizia il mio disturbo? In tanti me lo chiedono per capire quando possono sentirsi in diritto di violentarmi psicologicamente e quando, invece, compatirmi e accogliermi. Non c’è una linea netta da tirare su un foglio bianco. Io sono io, il mio disturbo è altro da me. Talvolta si mescolano insieme, talvolta sono completamente scissi. Quando lui parla, io sto in silenzio. Il mio disturbo non fa sconti. Non ci sono saldi per questo tipo di patologie e non vanno neppure in ferie. Quando sento, invece, di avere le redini in mano di ciò che è giusto o non è giusto per me, allora sono io che parlo. Anche se ci hanno addomesticato fin da piccoli a dire “questo non si fa, questo si fa”, “questo non si dice, questo si dice”, “questo è buono, quest’altro è cattivo”. Così, siamo cresciuti tutti, disturbo o non disturbo, rimanendo fedeli a questi dogmi morali, etici, diventando marionette, facendo parlare solo la nostra parte razionale, logica, fredda che non è fedele nel fare ciò che si ama veramente. Siamo diventati animali da circo, rinchiusi in una gabbia chiamata società industrializzata. Io la definirei piuttosto, società non civilizzata perché ci ha reso disumani, tutti uguali, omogenei, con “un giusto e uno sbagliato” universale, senza tener conto della diversità, questa parola così ancora sconosciuta. E i valori di ciascuno? La nostra verità dov’è andata a finire? Tutto si è perduto, anzi non è mai esistito, e l’essere umano si è perso, brancolando nel buio per cercare di trovare una qualsiasi soluzione di salvezza: annaspando e rimanendo a galla, cercando il proprio sogno personale.
Il sapore della mia vita, come quella di molti, ha un retrogusto molto amaro e per questo non voglio che nessuno si avvicini a me. Lo spazio per l'amore rimane un piccolo contenitore dove il cuore si deve allenare per riprendere a battere regolarmente. E se fosse troppo sciupato per tornare a funzionare come prima?
Tutto sembra fermarsi in un sussulto che ha le sembianze di una non vita. Forse a tutto questo c'è un senso. Il senso di una vita castrata alla quale se ne aggiunge un'altra e un’altra ancora. Allora, forse si può sperare nella rinascita e nel trionfo dell'amore, in mezzo a questo oceano di ossa rotte e ferite sanguinanti. Tutto ciò che si chiede a vite stremate dalla stanchezza di un'esistenza che non trova più il suo significato, è fiducia, speranza e coraggio di potercela fare nonostante tutto. Ma non basta! Potercela fare? Ce la possiamo fare! Portando avanti la sottile arte di essere fragili, senza vergogna, anzi con orgoglio, perché se realizziamo il nostro sogno, avremo vinto sui nostri “perché, ma, non ce la faccio, non so, forse, non saprei, ho paura…” e di conseguenza su chi non ha mai creduto in noi, neppure la nostra stessa vita. Non facciamoci annientare. Facciamo albeggiare il sole ogni
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giorno. Avanziamo sempre! E quando cadiamo, chiediamo scusa a noi stessi, senza essere troppo indulgenti. Abbiamo bisogno di una riappacificazione con noi stessi e con il nostro sogno.
Tutto è diventato fuori controllo, ma ci hanno insegnato anche questo. La mania del controllo porta, paradossalmente alla perdita del controllo. E forse non è una brutta cosa. Chi soffre di questa sindrome, desidera organizzare la vita in ogni minimo dettaglio, sua e altrui. Ma questo oggi è impossibile. Abbiamo appena scoperto un lato positivo. L’incertezza porta a frustrazione, ma se grazie ad essa riusciamo a non essere maniacali e ad accettare l’imprevedibilità, possiamo dire di essere più liberi da ulteriori pressioni, senza sentirsi dei falliti! Con questo nuovo e piccolo slancio ripartiamo ogni giorno da noi stessi, cercando di essere persone migliori e più affettuose nei nostri confronti.
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SILENZIO
di Laura Tangorra
Amo il silenzio dei libri, un silenzio pieno di parole, pieno di storie, e amo quello delle montagne imponenti, innevate, rugose, che il sole le ricama di ombre.
Mi piace il silenzio di due mani abbracciate, perché a volte le parole non servono. Mi piace il silenzio dell'aquila in volo, che con le ali taglia l'azzurro, regale.
Mi dava pace il silenzio di quando la casa si spegneva nel buio della notte, quando anch'io potevo smettere di parlare. Era la mia prima vita. Non potevo immaginare che avrei rimpianto la mia voce, che avrei odiato il mio silenzio.
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UNA MAMMA COSÌ
di Chantal Mazzacco
Lo indico, da fuori, alzando lo sguardo e l’indice con il braccio verso l’alto, si, è lì l’appartamento a sinistra con la veranda più pulita, è quello dove un panno è ancora steso. Casa mia. Quasi sessant’anni da raccontare.
Quello che si può ricordare a undici – dodici anni, catapultati da un altro stato dove sono nata, dalla Francia, figlia di genitori friulani. Un distacco doloroso dalla terra dei primi anni di scuola, di colpo arrivati in una città del Friuli che non era il mio paese dove avevo coltivato le mie amicizie.
Si nasce, si nasce, si nasce come con gli occhi azzurri o neri, con i capelli chiari o scuri, con il carattere introverso o estroverso, con l’intelligenza o senza. Si nasce, per quel gene zoppo, di cui nessuno ha potuto mai fermare la corsa, si nasce con la malattia mentale.
Dopo tanti anni a contatto con il mio familiare più caro, quello che mi ha messo al mondo e mi ha permesso adesso di scrivere, con angoscia e fatica scrivo di mia madre. Quando si è piccoli, la mamma è sempre la più bella, quella che ha sempre ragione, anche se ti sgrida e ti dà qualche ceffone. La mamma ha sempre ragione e le scosse della sua mente erano verità per me. Difficile capire il perché a pochi anni, ti puoi solo spaventare delle sue lacrime perché e per cosa restano nel mistero della sua mente. Con gli anni e l’adolescenza si fa più chiaro il disturbo e un po’ la paura di perderla, quando si erano resi necessari i ricoveri, per la sua e la nostra incapacità di frenare quegli atti incontrollati della mente. Pensavo che tutte le mamme fossero come la mia e piangessero a casa quando nessuno le vedeva e indossassero occhiali scuri per non incontrare gli occhi della gente che temeva.
Prima della legge Basaglia, negli anni ‘70 erano pochi i mezzi per combattere depressioni e malattie mentali e si ricorreva all’elettroshock, selvaggia pratica, ma che aveva sortito effetti positivi, anche se il suo solo ricordo faceva rabbrividire. Poi si tornava a fare la mamma, a tempo pieno, perché aveva solo quarant’anni e due adolescenti da crescere. I ricordi che hanno segnato la mia adolescenza e che ho
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voluto dimenticare a favore dei suoi momenti di benessere, perché non era facile viverle vicino senza soffrire con lei e per lei. Confesso che a volte mi vergognavo di avere una mamma così “diversa” dalle altre mamme e non portavo mai a casa le mie compagne di scuola perché non la vedessero piangere e non capissero il perché (il perché che non esisteva ed era solo nella sua mente).
E poi gli psicofarmaci, una vita intera di psicofarmaci.
Sono sola ad ascoltare queste pareti, ogni oggetto parla, racconta ed io ascolto, lacrime agli occhi. Si nasce con quel tarlo che rode dentro, correre con i lupi che ti inseguono digrignando i denti, pronti ad afferrarti. Ogni tanto inciampava e cadeva e i lupi la divoravano partendo dalla testa. Difficile rialzarsi e coprire le ferite. Mi stupivo come il mondo andasse avanti come sempre, senza lupi ad inseguirla ed invece per lei non era in questa la realtà.
Difficile anche scrivere di questo, rivivere i suoi occhi dilatati con immense pupille nere e i suoi quotidiani pensieri di morte. Io che le dicevo angosciata: “non dire così mamma, non parlare di morte!” Avevo dodici anni e lei rispondeva “Si fa per dire”, ma non cercava di tranquillizzarmi. Eppure è rimasta a questo mondo fino a quasi ottantotto anni, alternando periodi in cui le cure facevano effetto ed era contenta e presente alle sue figlie, attenta a cucire vestiti e stirare camice per il marito. Scappava qualche bacio in quella minuscola cucina che ci accoglieva tutti insieme alla sera per la cena. Ma molte cene erano silenziose a testa bassa come la morte, mentre le sue gambe dondolavano in un movimento irrazionale e involontario. Le gambe inquiete erano sempre un segnale per noi , stava per arrivare la crisi. Dopo l’euforia provocata dai farmaci, ripiombava nel buio dei suoi pensieri, annegandoci dentro insieme ai lupi.
Un giorno l’hanno portato via e lei guardandosi indietro piangendo diceva: “non tornerò più a casa”. Che condanna, che prigione tutto questo star male! Invece è sempre tornata a casa, a guardare le sue figlie crescere, a pulire i vetri e lavare ad ogni primavera le tende., pulire in modo quasi ossessivo e maniacale ad ogni grammo di polvere. Pulito, tutto pulito, come per fare pulizia nella mente, di quella polvere che non è mai andata via del tutto. Latente, insinuante, devastante.
Chissà cosa avrei voluto io da lei, adolescente inquieta, figlia degli anni ‘70? Delle piazze, delle rivolte del ’68, del primo lavoro con le tutte blu in sciopero per gli
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aumenti di stipendio, diritti da rivendicare con presidi fuori nelle piazze. All’aria, fuori lotte per il lavoro e poi tornare a casa con il silenzio totale, lotte già perse nell’incomprensione e nell’impotenza.
Bisogna aiutare le persone giovani, i figli adolescenti ad affrontare certe situazioni.
Io SO. Io so di un sabato pomeriggio con le sue crisi terribili, da ricovero, io so dei miei diciassette anni a piedi verso un ufficio a chiedere aiuto a medici della INAM.
Io SO del mio coraggio o della mia disperazione, di quando non c’era il telefono in casa e correvo in un Bar in una nebbia di fumo a fare una telefonata al medico. Io SO di quanto ho scritto in diari scomparsi, ogni sera, come aiuto alla mia incapacità di gestire la situazione.
Come si fa? Diventare genitori dei propri genitori a diciassette anni! La depressione che devasta, che non fa dormire. Un giorno al ritorno da scuola ho trovato tutte le luci spente e lei distesa a letto che non rispondeva: “mamma, mamma”! La scuotevo incredula, cosa hai fatto? Per fortuna aprì gli occhi e mi disse che aveva preso tante gocce, ma che voleva solo dormire! Sono corsa al Bar per telefonare al medico che mi disse di farla camminare, di farle bere caffè, che ormai era tardi per portarla in ospedale a fare una lavanda gastrica. Così tornai di corsa al 4° piano di quell’appartamento maledetto per farla camminare avanti e indietro nel corridoio e poi a farle bere caffè mentre lei ripeteva “volevo solo dormire, volevo solo dormire,”. Era un mese che non dormiva, un mese in cui il cervello andava a mille e i lupi le divoravano la mente.
Mi sono sposata a venticinque anni e ho lasciato la casa dei miei genitori, in quel periodo mia madre stava bene, ma io avevo sempre paura che la malattia prendesse di nuovo il sopravvento e così fu per molte altre volte, con successivi ricoveri, anche molto lontano da casa, nel Veneto. Mio padre in pensione anche lui reduce da un infarto, faticava enormemente a capire e la tensione in casa era sempre alta. Mio padre mancò all’improvviso per un nuovo infarto a soli sessantaquattro anni e mia madre venne a casa mia, ma le sue crisi sempre più frequenti ci costrinsero a nuovi ricoveri, che molte volte lei non accettava e diceva che volevamo liberarci di lei, io e mia sorella e che lei sarebbe morta e sarebbe stata colpa nostra. In auto nel tragitto non apriva bocca per tutta la strada e ci siamo sentite molte volte in colpa (e se veramente succede qualcosa?), ma poi dopo venti giorni si vedevano i risultati, i miglioramenti ed allora abbiamo sempre pensato di aver fatto la scelta giusta per lei.
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Negli ultimi anni, aveva dato disposizioni accurate per la sua morte, aveva comperato un loculo in cimitero vicino a mio padre, ci diceva che fiori avrebbe voluto, quelle margherite bianche, semplici come non era stata la sua vita. Ci stringeva il cuore questo suo parlare, ma lei non aveva mai amato la vita.
Adesso che mia madre non c’è più, se n’è andata all’improvviso una mattina di settembre, prigioniera ancora della sua mente, in modo angosciante malgrado l’età, io vorrei poter ancora occuparmi di lei, delle sue crisi che temevo e odiavo per la mia impotenza, vorrei ancora vedere nei suoi occhi il mostro che la dilaniava pur di averla ancora con me…lei e il suo gene maledetto!
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VOCI DAL SILENZIO
di Lodovica Vecchi
Dalla terza alla quinta elementare ogni giorno la maestra ci faceva scrivere un pensierino. Erano gli anni 70, quelli della lotta armata. Il pensierino era un modo di raccontarsi, l’ho capito dopo, oltre che un compito per allenare la scrittura, che barba!
Un giorno la maestra Luisa ci assegnò il titolo: La mia famiglia a tavola. Quello fu l’inizio. Io non lo sapevo ancora.
La mia famiglia a tavola non era una famiglia standard. In realtà non lo era quasi mai, soprattutto se c’era mia madre
Chi vuole leggere il suo pensierino oggi?
Io, no io, io no ti prego …
Arianna, leggi tu.
Mi alzai e lessi scandendo bene le sillabe attenta a non inciampare nelle parole. Svolgimento: Mio papà cucina e poi frulla per la mamma. A me piace imboccare la mamma ma papà spesso dice che la sporco e un po’ è vero ma non lo faccio apposta. Quando sparecchiamo la mamma ci guarda. A tavola raccontiamo cose e la mamma è la più curiosa. A volte giochiamo a indovinare quello che la mamma vuole dire ma secondo me spesso lei ci fa vincere apposta per fare contento mio fratellino piccolo e credo che anche lei è stanca anche se non esce mai.
Fine.
Presi fiato.
Ma perché cucina tuo papà? Perché imbocchi tua mamma? Perché, perché…?
Fui travolta, e ne rimasi interdetta. Credo sia stato lì che inconsciamente sentii, prima ancora di capire, che nella vita avrei scelto di dare voce al silenzio che non si vede, di svelare l’inimmaginabile così scomodo per chi ha avuto la fortuna di rientrare nell’intorno della media e così reale e quotidiano per chi la vita ha precipitato nella coda della gaussiana.
Maestra, ma non è normale!
Concorso 2023 - VOCI NARRANTI 100
Bimbi, la normalità è questione di numeri e statistica, non di valore! La Luisa fu eccezionale, lo capii nella pancia. Non conoscevo la parola statistica ma compresi che la Luisa stava dalla parte della verità e che la verità aveva molto a che fare con mia madre e la sua malattia, non solo con la rivendicazione femminista post 68 che voleva annodare il grembiule da cucina anche ai fianchi dei mariti.
Con il passare degli anni l’autonomia sottile di mia madre si è rintanata nel mondo dei suoi pensieri nascosti, delle sue idee, dei suoi ricordi e fantasie, delle sue parole scritte con il puntatore oculare, delle sue mute sensazioni al tocco del lenzuolo pulito o del cuscino di velluto blu del divano. Sotto quel cuscino nascondevo il viso per piangere non vista quando tornavo da recite di fine anno dove tutte le mie amichette erano applaudite dalla loro mamma. Io no, io avevo una zia o un’amica di famiglia, raramente mio padre. Non volevo che mamma mi vedesse piangere. Non era il caso, ne avrebbe sofferto molto e lei non aveva alcuna colpa. Il mio non era pianto di bambina abbandonata ma rabbia informe che bagnava il velluto blu del cuscino. Quella rabbia aveva ancora a che fare con la questione della statistica e del valore, e sentivo che c’era un meccanismo inceppato in cui ero finita dentro per la storia di mia madre. Che lei non mi accompagnasse mai non voleva dire che non ci fosse, e invece sentivo che alcune altre mamme cercavano di non farla esistere. Erano gentili ma la mia mamma non la nominavano mai e se per disattenzione scappava loro di farlo, abbassavano la voce insieme allo sguardo, manco fossi scema a non capire che mia madre aveva seri problemi. E soprattutto stavano ben attente a non parlarne in presenza dei loro figli, manco fossero scemi anche loro. Insomma, percepivo che mia madre per loro era scomoda e pericolosa. Ma che assurdità! Mai sentita fesseria più grande! Ora so che non ce l’avevano con lei, il problema era che la riducevano alla sua malattia e la sua malattia rappresentava il tonfo dell’illusione di essere immuni da certe disgrazie. SLA: quanta paura in una parola! e poiché mia madre aveva il volto della SLA, e un po’ anche io in quanto sua figlia, allora eccoci entrambe trascinate e avvolte da quell’ambivalenza tra il riluttante e il compassionevole che stendeva una pellicola di imbarazzo e invischiava le relazioni in una distanza di sicurezza superficiale.
Ma io sentivo che non volevo starci a quel gioco e crescendo decisi di dedicarmi a cambiarne le regole. Allora ero un’adolescente affacciata alle prime visioni di futuro: sapevo che avrei cambiato le regole di quel silenzio, ma non sapevo ancora come.
Ben che la rigidità muscolare costringesse mamma a passare la maggior parte
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del tempo distesa a letto come un palo, tuttavia la percepivo rattrappita sotto il plaid a scacchi beige e bianchi, un grumo accartocciato dalle sue limitazioni di movimento, di espressione e comunicazione che la portavano di mese in mese a un progressivo ritiro. Segnali mi indicavano che lei stessa aveva iniziato a farsi carico della fragilità esistenziale degli altri rinunciando a mostrarsi per rispetto della loro paura e tranquillità e adattandosi passivamente alle decisioni altrui sulla sua vita per non recar disturbo. Si era chiusa in un bozzolo, il filo della sua esistenza si stava avvoltolando in un gomitolo privatissimo di pensieri ed emozioni tagliando ogni cucitura con il mondo fuori.
Noi famiglia cercavamo di farle toccare tutto il nostro amore, ma sentivo di dover intraprendere strade inedite per aiutarla ad accendere nuova vitalità.
Nel 1987 ottenni il diploma di maturità linguistica. Poco dopo a tavola annunciai alla mia famiglia la decisione di iscrivermi alla Scuola di Teatro del “Piccolo” che Giorgio Strehler aveva fondato a Milano l’anno prima. Avevamo apparecchiato in salotto, la mamma partecipava sdraiata sul divano.
Nel 1968 mia madre mi battezzò Arianna, inusuale per quella generazione di Laure, Claudie e Paole. Oggi sono attrice di teatro. Recito nelle piazze, nei circoli, nelle scuole. Porto in giro la verità di mia mamma.
Mamma ora scrive di sé, scrive le sue paure, i sensi di colpa, dubbi e interrogativi, il cammino di accettazione, pensieri, idee sugli eventi del mondo visti dal punto di osservazione del suo letto, desideri e progetti. Scrive di macigni e di affetti che la aiutano a sollevarli, delle sue morti in vita, di scoperte e di vittorie dopo le perdite. Scrive della Morte che sa può arrivare ogni giorno e della vita da quando la Morte è lì, scrive delle piccole cose che le danno grandi gioie, di una caccia al tesoro: il senso di un’esistenza, la sua. Scrive parole che danno voce al silenzio, il suo e quello degli altri malati di SLA.
“Voci dal silenzio” è l’ultimo monologo che sto portando in giro. Ovunque mi presento così: sono la voce di mia madre, le sue braccia e i suoi piedi, le espressioni del suo volto che ho imparato a riprodurre nella smorfia della malattia.
Che gioia! Mamma ha srotolato il gomitolo, ora acchiappa il filo della sua preziosa esistenza e come un gattino quasi giocherellone lo porta in giro per le stanze
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facendo agguati curioso e vitale, a modo suo.
Spettacolo intenso. Complimenti! Mi piacerebbe conoscere sua madre. Pensa sia possibile?
Le chiedo e ti faccio sapere.
Grazie mille. Mi chiamo Lodovica e questa è la mia mail.
Lodovica è studentessa di medicina in Bicocca a Monza e l’ho conosciuta così: si è avvicinata gentile al termine di “Voci dal silenzio”. Ho recitato in aula magna invitata dal prof Ralf Mantega nel corso di Bioetica dell’anno scorso. Lo spettacolo ha stimolato riflessioni su temi quali libertà, autodeterminazione, dignità e molto altro confluito in un confronto acceso tra giovani aspiranti medici.
Mamma ne era entusiasta e ha accettato subito di incontrare anche Lodovica in privato. Tra sguardi, silenzi e parole, ciascuna a modo suo, è nata un’amicizia, e non solo: dopo meno di un anno abbiamo partorito un progetto. Super al cubo, dice Lodovica, la potenza di tre generazioni insieme! Il corso di bioetica dell’annualità 2023/24 includerà un collegamento in diretta tra studenti in aula e mamma a casa. Un dialogo in cui mamma vuole metterci anche la faccia. Io sarò in aula e leggerò sul mio pc ciò che lei scriverà con il puntatore oculare dal suo letto. Sarò la sua voce tra gli studenti. Lodovica sarà collegata in video a fianco di mamma da casa. Ci stiamo lavorando, siamo molto cariche!
Il grumo sotto il plaid è esploso, è esploso con il botto, sghignazza Lodovica in posa da supereroe lanciato in missione nel cielo. Sarai il nostro raggio traente! strizza l’occhio a mamma. Stupida! traduce il puntatore oculare. Eppure è vero: mia madre ha dei superpoteri! Lei che ha accesso limitato alle esperienze ordinarie della vita, lei ha chiara consapevolezza e percezione del vero valore delle cose, di quelle che ha perso, di quelle a cui si è aggrappata, di quelle che ha scoperto. Mamma è esploratrice di dimensioni sconosciute ai più. Ho imparato a conoscerla guardandole i segreti galleggiare negli occhi, stringendole il silenzio di carta velina nella mano. È per me un distillato di saggezza incarnata. Esiste oltre la frenesia della vita, si batte per non sprecare nulla di ciò che ha, neanche il pianto, nè la paura, tanto meno la gioia.
La normalità è questione di statistica, il valore è questione di umanità. Quanto
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valore nel viaggio di chi si cerca ogni giorno nella devastazione della SLA. Quanto rispetto per chi non ce la fa a ritrovarsi!
Una mattina presto uscii per andare in montagna. Ancora buio. Una presenza tangibile alle mie spalle mi chiamò potente, mi voltai senza altra possibilità. Eccolo!
Un pezzo di luna. Luminosa. Silenziosa. Mamma come la luna. La sua presenza è la sua voce che senza parole smuove emozioni, capii. Una voce afona che commuove e interpella, così è successo con quelle mamme in infanzia.
Ora so che il silenzio vero è quello che fa male perché non trova ascolto, è l’assenza del desiderio che guarda avanti.
Mamma ora desidera e ha rotto il silenzio. Io le presto la mia voce nel mondo! Che gioia!
Questo è il racconto di una storia vera e non normale, come non normale è la vita di mia madre: il racconto esiste già, ed è quello che avete appena letto, ma i fatti raccontati aspettano di diventare reali. Datevi da fare!
Dimenticavo…io non sono Arianna!
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VOCI DAL SILENZIO
di Giuseppe Alberti
Quasi diciotto anni di galera…seimilacinquecentosettanta giorni trascorsi tutti in una cella dalle pareti in pietra, scrostate in più punti e con un pertugio, che sarebbe eufemistico chiamare finestra, ad oltre due metri di altezza da dove filtrava un po’ di luce che mi permetteva a malapena di accorgermi dell’alternanza del giorno e della notte e di avere un minimo ricambio d’aria…già l’aria: era ammorbata da un odore di muffa che, rivoltante nei primi mesi di detenzione, si era poi impadronito di tutto il mio fisico, al punto che, ormai, ero arrivato a non avvertirlo più. Quel pertugio era, per me, l’unico legame con il mondo esterno, da quando la polizia mi aveva arrestato per avermi colto in fragrante ad attaccare volantini contro quel regime dispotico che aveva come obiettivo quello di spegnere le coscienze e di cancellare ogni pensiero che fosse contrario a quello della classe dirigente. Non avevo ucciso nessuno, anche perché detestavo il sangue e la violenza, ma questo non mi aveva salvato dal finire in carcere con la pesante accusa di aver cospirato contro lo stato. Si può dire che di quella stanza conoscevo ogni scalfittura, ogni pietra, ogni piccolo particolare e si può anche dire che amavo quella stanza. Sì, perché, soprattutto nei primi tempi, ma anche dopo, saltuariamente, senza plausibili ragioni, venivo trascinato fuori e portato in un’altra stanza dove subivo percosse ed ogni sorta di umiliazioni e da dove venivo trascinato fuori con lividi in ogni parte del corpo e letteralmente gettato sul mio giaciglio, fatto di pochi stracci, su cui restavo immobile quasi esanime. A pesarmi, però, era soprattutto la solitudine, visto che le uniche persone che mi rivolgevano la parola, sarebbe stato meglio che non lo avessero fatto, dato che erano i miei aguzzini che si rivolgevano a me solo per offendermi, minacciarmi e ridere sguaiatamente delle mie urla.
La mia vita, quello che avrebbe dovuto essere il periodo più bello della mia vita, la giovinezza, io la stavo trascorrendo nel modo più orribile, cosi che più volte avevo pensato che sarebbe stato meglio morire, piuttosto che trascinare i miei giorni in quel modo. Paradossalmente giorno e notte erano diventati ormai concetti astratti, in quanto la luce che entrava in quell’antro era pochissima, al punto che avevo imparato a scandire il tempo dai silenzi e dai suoni. E che suoni! Immaginavo che, quando attorno a me non sentivo urla, gemiti, colpi secchi inframezzati da
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raccapriccianti risate fosse notte, perché, mi dicevo, anche quei carnefici dovevano dormire. Dormire…come facevano a dormire dopo essersi macchiati di azioni così orribili! Quando toccava a me, mi sembrava che godessero nel vedermi soffrire, nel sentirmi supplicarli di por fine a quelle mie sofferenze! Come facevano ad amare qualcuno che aveva lo stesso aspetto di chi si divertivano a tormentare nei modi più squallidi ed orribili!
Le mie giornate trascorrevano sulle note acute, aspre, spaventose che, stando nella mia cella, quando non ero io stesso costretto ad emettere, sentivo distintamente provenire da quella stanza in fondo al corridoio. Allora cercavo di tapparmi le orecchie, avrei voluto esser sordo, anche perché a quei toni acuti, a quella sinfonia di dolore facevano da contraltare i gemiti più sordi provenienti da altre celle dove altri detenuti, torturati di recente, si lamentavano piano. Sì, perché quegli aguzzini non volevano sentire alcun rumore.
Mi ricordo che una volta, nella cella accanto alla mia, un ragazzo, almeno così penso, si era messo a canticchiare sottovoce, forse per farsi coraggio o forse soltanto per vincere la solitudine. Dopo solo qualche attimo sentii dei passi pesanti. Rabbrividii… chi sarebbe stato questa volta il predestinato? Con sollievo compresi che avevano passato la porta della mia cella, ma con terrore sentii la solita litania di risate, bestemmie, percosse ed urla provenire da quella stanza attigua, fino a che all’improvviso non calò un silenzio spettrale. Quella musica diabolica, fatta di note sgraziate, abbinate da un compositore impazzito si spensero all’improvviso e sentii o, meglio, mi parve di sentire, il rumore di un corpo trascinato e quegli orrendi musicisti dire ridendo che adesso l’albergo aveva una stanza libera per un altro gradito ospite.
Ecco, le mie giornate trascorrevano su quelle note. Ogni giorno andava in onda il terribile concerto della disperazione durante il quale quegli infami musicisti traevano le note più stridule e laceranti dai loro strumenti, da quegli esseri indifesi che a loro non avevano fatto alcun male, ma che la crudeltà del regime voleva che tutti sentissero. Ma chi li sentiva? Non certo le orecchie dei carnefici che dovevano essere sicuramente tappate, se quegli uomini osavano infierire più e più volte su quei corpi già martoriati. Solo le orecchie degli altri detenuti che al levarsi di quelle note di dolore soffrivano empaticamente assieme a chi le stava emettendo e rabbrividivano al solo pensiero che un giorno, forse solo dopo qualche ora, ne sarebbero stati loro stessi gli esecutori.
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Per fortuna c’era anche la notte…la notte…cominciava allora un’altra musica, fatta di note soffocate, di gemiti trattenuti per non disturbare il sonno dei carcerieri che sicuramente avrebbero presentato un conto salato a chi non li avesse fatti dormire con i suoi lamenti. A volte, anche se raramente, succedeva che quella prigione sprofondasse in un silenzio paradossalmente irreale. Sì, perché le notti dovrebbero essere il regno del silenzio per i comuni mortali che si abbandonano al sonno.
Lì, in quel luogo di detenzione, erano vissute come una parentesi tra fasi di tormento. Regnava sì il silenzio, ma raramente il sonno riusciva ad avvolgere nel suo manto d’oblio me e tutti i miei sfortunati compagni.
Fu proprio in una notte così che le mie orecchie avvertirono una nuova musica. Ci misi del tempo a decifrarla, confondendola inizialmente con altri suoni: erano note basse, cadenzate che si ripetevano ad intervalli regolari, mentre a volte erano più vivaci; sembravano provenire dalle gote o dalle mani di un musicista ora stanco ora più allegro. Sembrava il respiro di un gigante lontano in certe notti leggero, in altre agitato. Pensai inizialmente ai suoni propri di una stazione ferroviaria, ma non si sentiva alcun fischio caratteristico di une treno in partenza o in arrivo e, inoltre, non era possibile che una stazione avesse convogli in transito costante. Feci altre ipotesi, ma le scartai tutte
Ma una notte finalmente compresi…o pensai di aver compreso. In quella prigione non sapevo come ero arrivato. Dopo il primo interrogatorio ero stato spogliato e preso a bastonate e calci con una violenza tale che ero caduto in uno stato di incoscienza. Mi ero risvegliato non so dopo quanto tempo in quella cella che sarebbe diventata per anni la mia casa. Non avevo la ben che minima idea di quanto fosse durato il viaggio di trasferimento dalla stazione di polizia a quell’inferno. Chi mai poteva essere l’artefice di quelle note che parevano, almeno così mi sembrava, dare consolazione a me e, forse, a quei disgraziati che stavano affrontando lo stesso mio calvario? Il pertugio della cella era situato troppo in alto per potermi permettere di verificare. Quella notte, però, quelle note si fecero avvertire più distintamente, forse portate da un vento benevolo che voleva in qualche modo tenermi compagnia e consolarmi. Quelle note, quella musica calma, quel suono emesso ritmicamente era quello del mare! Il mare! Silenziosamente piansi al pensiero che fuori in lontananza c’era il mare. La mia mente cercava di riprodurne la bellezza, la serenità e l’armonia.
Il mare era il simbolo della libertà per antonomasia: rivedevo davanti a me quell’azzurro senza confini, in quanto cielo e terra si mescolavano in quell’infinito
Concorso 2023 - VOCI NARRANTI 107
sulle note leggere del lento, incessante e sereno sciabordare delle onde. Tante volte quelle note mi fecero compagnia nelle mie notti insonni, dandomi la forza per andare avanti. Sì, perché volevo rivedere quello spettacolo, volevo risentire quella musica, volevo essere ascoltatore privilegiato in prima fila. Nel silenzio avvertivo anche quando quella musica cambiava diventando vivace e a tratti disarmonica…erano le note del mare agitato o addirittura in tempesta, come potevo immaginare sentendo il rimbombo dei tuoni che, come tamburi, finivano per coprire tutte le altre note.
Sembra incredibile, ma il mare fu il mio compagno di cella: quando mi sentivo solo o ero in preda alla disperazione dialogavo con lui, gli promettevo che sarei andato prima o poi a trovarlo e immaginavo che mi sarei addormentato sulla riva sulle note calme e malinconiche delle onde. E finalmente arrivò quel giorno: il regime era finalmente caduto ed io uscii alla luce. E lo vidi: era il tramonto, quando anche la brezza sembra spegnersi per lasciare spazio a quella quiete che per la gente libera era normale, mentre per me era uno splendido premio. E piansi.
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Concorso 2023 - VOCI NARRANTI
Sezione dedicata ai podcast e canzoni.
Concorso 2023 - VOCI DA ASCOLTARE 109
Concorso 2023 - VOCI NARRANTI 110 podcast
IL MONDO DI UN’ANIMA
di Gioele Garino
Primo classificato
Ciao. Mi presento, sono Gioele e ho 20 anni e abito a Settimo Torinese. Voglio condividere con voi delle riflessioni che sto racchiudendo nel mio libro che sto scrivendo.
Che cos'è il passato?
Il passato comprende tutti quei momenti che abbiamo vissuto e che restano incisi nella nostra memoria. I nostri ricordi sono il nostro passato. Ci sono ricordi piacevoli, altri meno; altri ancora vorremmo cancellarli dalla mente, ma fanno parte di noi e rimangono lì a ricordarci chi siamo e cosa abbiamo attraversato. Il passato non può essere "aggiustato" o "corretto", può solo essere quello che è stato.
A volte capita di ripensare ai bei momenti trascorsi e sentirsi soddisfatti dei propri ricordi piacevoli. Fare cose belle nella vita e creare bei ricordi ci aiuta anche mentalmente ed emotivamente a stare meglio e a crescere.
A volte invece viviamo momenti negativi, tristi, pieni di rabbia, magari dopo che abbiamo litigato con qualcuno. In questi casi parlare di cosa sentiamo e confrontarci con gli altri può esserci d'aiuto. Capita anche di soffrire per qualcosa che abbiamo fatto nel passato e per questo motivo ci giudichiamo negativamente. Vorremmo poter tornare indietro per cambiare le cose ma questo non è possibile. L'unica cosa che possiamo fare è stare nel presente, agire nel presente, affrontando le nuove sfide che la vita ci mette di fronte. Quando nasciamo abbiamo tutta la vita davanti; nell'attimo in cui veniamo al mondo esistono solo presente e futuro, poi momento dopo momento si crea il passato alle nostre spalle e si costruisce la nostra storia.
Gli esseri umani sono portati a pensare tanto e questo non è un problema di per sè, ma se diamo troppa attenzione al contenuto del pensiero allora potrebbe diventarlo, e questo ci porta inevitabilmente a stressarci. Infatti quando un pensiero occupa troppo la nostra mente può accadere che esso influisca anche sulla nostra vita presente.
Concorso 2023 - VOCI DA ASCOLTARE 111
Questo accade per esempio con i pensieri negativi. Avere pensieri negativi ogni giorno può portare a vivere con difficoltà il presente, influenzando le nostre emozioni. Cosa fare allora? Si può provare a staccare la spina da questo flusso distruttivo e riattaccarla alla realtà. Provare ad aprire la mente verso una maggiore accettazione di noi stessi può essere una buona strada da seguire per rafforzarsi e successivamente stare meglio.
Quando i pensieri ci creano ansia, questa diventa il centro di tutto e va a turbare anche i nuovi pensieri. Dunque connettersi con la realtà aiuta a superare quella fase di smarrimento in cui non ci riconosciamo più.
Concretamente per sfogare i pensieri negativi e poi in un secondo momento rifletterci su, può essere utile scriverli, metterli nero su bianco per prendere da essi una certa distanza. E poi trovare qualcosa che ci distragga, come uscire, leggere, incontrare amici, praticare sport... Insomma impiegare il tempo in maniera utile e costruttiva per ridurre il tempo in cui stiamo lì a far nulla se non "pensare". Ovviamente è un processo che avviene poco per volta, passo dopo passo. L'importante è cominciare. Con calma dando il tempo alle nostre emozioni e alla nostra mente di iniziare a funzionare in modo diverso, più rilassato, si accrescerà la fiducia in noi stessi e i pensieri negativi troveranno sempre meno spazio in cui insinuarsi.
Grazie di avermi ascoltato. Spero di avervi allietato un pò con le mie riflessioni.
Concorso 2023 - VOCI DA ASCOLTARE 112
UN DESTINO DETTATO DALLA FACILITÀ, COMODITÀ E INCONSAPEVOLEZZA
di Erika Iveth Cedillo-González e Paolo Oliani
Secondo classificato
Quando aprii gli occhi per la prima volta, il colore che vidi fu il giallo. Col tempo capii che era il colore del sole che filtrava dalla finestra. Ricordo che i primi suoni che sentii furono le voci e le risate di una famiglia radunata intorno a una tavola imbandita che profumava di buono.
Col passare del tempo, capii il motivo della mia esistenza, svolgevo una missione ben precisa: proteggere la salute di quella famiglia, la mia famiglia, per la quale contenevo il sapone che lavava via i batteri e quegli orribili virus di cui una volta avevo sentito parlare. Ero un dispensatore di benessere per gli esseri umani.
Per tanto tempo continuai a essere un membro importante della famiglia, proteggendoli e permettendogli di vivere lontani dalla paura. Il mio sapone evitava che quegli organismi invisibili li facessero ammalare.
Poi un giorno, di punto in bianco, arrivarono il silenzio e l’oscurità: ero stata buttata nella spazzatura! Pur essendo ancora utile e avendo ancora la forza e la voglia di svolgere la mia nobile missione, qualcuno aveva deciso che, dal momento che il mio sapone era finito, era una buona idea rimpiazzarmi con qualcosa di nuovo. Non capii il perché.
Avrebbero potuto riempirmi nuovamente dello stesso sapone che tanto pazientemente avevo contenuto con cura. O avrebbero potuto riempirmi di un altro sapone, con un aroma diverso, un colore diverso, una missione diversa. Invece no! Scelsero la via più facile. Il mio destino in questo mondo fu dettato dalla facilità, dalla comodità e dall’inconsapevolezza.
Prima l’oscurità e il silenzio poi, qualche giorno dopo, la luce e il rumore. Il mio cuore fece un salto di gioia pensando che ero tornata alla mia finestra, ma si spezzò quando capii la triste realtà. Ero stata abbandonata sulla strada, vicino a un cassonetto stracolmo di rifiuti. Non potendo nè parlare nè muovermi, non mi rimase
Concorso 2023 - VOCI DA ASCOLTARE 113
altro che ascoltare. Sentii la vita della strada, le biciclette sfrecciare vicino a me, i bambini ridere e giocare e le auto correre tanto veloci da spostarmi. Anche se ero lì, alla vista di tutti, era come se fossi diventata invisibile. Mi sentivo proprio invisibile. Io, che prima ero stata apprezzata perché utile alla società, da un giorno all’altro ero diventata qualcosa da ignorare, un rifiuto per la società che mi aveva messa al mondo, mi aveva usata e infine mi aveva gettata via.
E non c’era niente che avessi potuto fare per cambiare la mia disperata situazione. Avrei voluto rompere il silenzio della mia voce, ma le mie parole erano intrappolate e non potevano uscire. Avrei voluto gridare al mondo le lacrime della mia anima, ma non avevo voce per farlo. Ora capivo, nella mia disperazione, come potevano sentirsi tutti i miei simili, amici, fratelli, sorelle, con voci che non venivano ascoltate, che venivano ignorate.
Una sequenza di eventi climatici mi portò a chiamare casa quella grande distesa blu dal nome oceano. Vidi avvicinarsi un pesciolino: “Vai via, allontanati da me, vai via subito. Per favore non entrare dentro me, se entrerai non potrai mai più uscire e morirai di fame. Ti prego non avvicinarti a me”.
Le mie suppliche furono inutili. Quel povero pesciolino non potè sentire una sola parola di quello che la mia anima gridava!
Passai così tanto tempo in mare che neanche mi accorsi dello scorrere del tempo, così riflettei sulla mia silenziosa vita, un silenzio che non decisi io ma che mi fu imposto dagli esseri umani.
Fui fatta tacere tante volte, che della mia voce non era rimasto altro che silenzio.
Fui fatta tacere quando, finito il mio lavoro come dispensatrice di salute, fui gettata con indifferenza dalla famiglia che avevo tanto amato.
Fui fatta tacere mentre quella stessa famiglia mi gettava nella mia nuova prigione accanto al cassonetto senza neanche disturbarsi ad aprirlo.
Fui fatta tacere quando i passanti mi guardarono con disgusto e disprezzo, girando il loro sguardo dall’altra parte, lontano da me.
E così alla fine compresi che il silenzio è l’unica e sola compagnia per noi bottiglie di plastica dimenticate dall’uomo.
Concorso 2023 - VOCI DA ASCOLTARE 114
LA VOCE DAL SILENZIO GRIDA IO ESISTO
di Sara Colonnelli
Terzo classificato
La voglia di vivere quando è veramente forte riesce ad andare contro ogni cosa. Spesso tra alti e bassi ci sfiora il pensiero di non farcela, perché sta volta è più difficile delle altre, poi d’improvviso qualcosa un cenno anche un semplice raggio di sole che entra leggero nella stanza ci fa ricredere e capire quanta fortuna abbiamo nel fatto stesso di esistere. Quella stessa vita così importante a volte cambia improvvisamente può essere a causa di disastri ambientali, a causa di problemi familiari o di salute. In tutte queste opzioni la forza di continuare ad esserci nonostante tutto pure se diversamente da prima prende il sopravvento. Gridare a gran voce io esisto, ci sono pure se non posso muovermi come prima, se non parlo, se non posso dare agli altri quello che si aspettano perché l’ho sempre fatto per loro. Adesso ho bisogno io di loro, per continuare, tramite la potenza dello sguardo, a dimostrare quanto tutti abbiano diritto di esistere e di continuare a vivere esprimendo in un modo o nell’altro tutto quello che si ha dentro. È come se nel buio si accendesse una luce fioca e una voce lontana dal silenzio vi chiamasse e piano piano diventassero sempre più forte sempre più forte fino a farci vedere chiaramente cosa c’è oltre il buio, amate tutto, pure l’attimo più semplice, amate i vostri occhi quando piangono perché vuol dire che ancora provate emozioni. Amate e abbiate coraggio di farlo pure se le facoltà fisiche sono cambiate. Amate e state accanto a chi non può più abbracciarvi come prima perché l’amore è potente tanto quanto la vita stessa. Consapevolezza. Siate consapevoli del fatto che nessuno è immune dal dolore e non sempre si può guarire del tutto ma quando lo SLANCIO arriva da sostegno e forza allora quel percorso difficile e tortuoso sembra meno impossibile da percorrere. Gli occhi sono lo specchio dell’anima e in alcuni casi hanno il potere di dire centinaia di cose quando il corpo non può fare altro ma da uno sguardo e grazie alla potenza d’esso si può dire “IO RESISTO, CI SONO, ESISTO”.
Concorso 2023 - VOCI DA ASCOLTARE 115
LE-PAROLE-CHE-NON-TI-HO-DETTO
di Monica Savino
Le parole che non ti ho detto profumano di bucato steso al sole mentre la brezza li fa ondeggiare, sono gocce di rugiada brillanti su petali di fiori baciati dal sole, briciole dei tuoi biscotti preferiti quando mangi di nascosto.
Le parole che non ti ho detto sono il morso ad una pesca succosa: anche se ti sporchi non ne puoi fare a meno. Sono le risate per argomenti stupidi di quelle che non sai perché, ma non riesci a smettere.
Le parole che non ti ho detto sono sospiri dietro le ombre pregando che sia lui o meglio di no, ma poi abbassi lo sguardo triste cerchi le chiavi dell’auto nella borsa e alzi il volume della radio per silenziare la delusione.
Le parole che non ti ho detto sono un concerto che ti emoziona anche se non conosci le note, sono un quadro che ti incanta anche se non sai disegnare.
Concorso 2023 - VOCI DA ASCOLTARE 116
Concorso 2023 - VOCI DA ASCOLTARE 117 canzoni
GIOVANNA
di Ivano Conti
Primo classificato
Giovanna è una donna malata di SLA
E da due anni è sdraiata in un letto
Ama la vita. È tutto quello che sa
Ringrazia Dio che batte il cuore nel petto
Non so se è felice, forse è arrabbiata
Ma so per certo che non è disperata
È inchiodata a quel letto come a una croce
E senza parole fa sentire la sua voce! Vedi…
Lei non può muoversi. Non può camminare.
Non può lavorare, nè aprire le sue mani.
Non può parlare. Non può gridare.
Non può far niente ma crede nel domani.
E tu che puoi muoverti che puoi camminare
Che puoi lavorare e ti puoi anche lamentare
Tu che puoi scrivere, che puoi parlare.
Tu che puoi tutto e non sai che cosa fare
Giovanna è più forte di noi anche se è inchiodata nel letto
Perché riesce a dire “sì”!
Giovanna è una donna che nella sua vita
Ne ha vissute tante, e qualcuna la racconto
Ha cresciuto 6 figli, e non senza fatica
Per ciascuno ha pregato perché diventasse santo
Un giorno dei ladri le hanno ucciso il marito
Per quattro cose che teneva nel suo ufficio
A 40 anni si è data da fare
Si è privata di tutto per i figli da allevare. Ed ora…
Lei non può muoversi….
Concorso 2023 - VOCI DA ASCOLTARE 118
Per lei posso fare poco
Non posso toglierle il dolore
Nè fare finta che sia un gioco
Solo starle più vicino
Vorrei avere il suo sguardo
Sulle persone e sul mondo
Lei non può muoversi. Non può camminare.
Non può lavorare. Aprire le sue mani.
Non può parlare. Non può gridare.
Non può far niente ma crede nel domani.
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Concorso 2023 - VOCI DA ASCOLTARE 119
UN UNIVERSO DENTRO TE
testo e musica di Giuliano Longo Secondo classificato
Ti ho visto nasconderti dietro ad un muro messo in catene dalle tue strane paure. Dov’è il tuo coraggio, dov’è la speranza?
E quella tua forza e la tua noncuranza?
Non riesci nemmeno a sollevar la tua testa quando mi parli e hai il cuore in tempesta. Attraversare la vita, lo so, non è certo facile quando si ha l’animo sensibile e gracile. Perché hai appeso a un chiodo là sul muro, resilienza e volontà?
Sei preda di ricordi e tanti rimpianti che il tuo inconscio custodirà.
Lo scoramento e il vuoto che ti assale, accoglilo e d’incanto svanirà.
A tanti, troppi sogni, hai già rinunciato ma la tua anima non ti ha mai abbandonato, se vieni a trovarla con me stasera portale un pò di sogni e una carezza leggera.
L’anima contiene tanti enigmi: è un universo dentro te! Non assentarti dalla vita, sii te stesso, credi a me!
https://www.premioslancio.it/wp-content/uploads/2023/04/UnUniverso-dentro-Te.mp3
Concorso 2023 - VOCI DA ASCOLTARE 120
COSA FARÒ
di Maurizio Fumagalli
Terzo classificato
Cosa farò della giacca che mi aspetta appesa all'ingresso cosa farò del cappello che non trovo anche se ce l'ho addosso cosa farò delle scarpe se non posso venire da te ma io non so soprattutto, cosa farò di te cade una foglia nel prato del rosso più rosso che c'è e quando la guardo stupito è come se guardassi me e anche io ho il mio colore anche se non so più qual'è ma io non so soprattutto, ciò che non so soprattutto è
cosa farò cosa farò è cosa farò di te
cosa farò di questi anni cosa farò dei miei sogni li cercherò nel cassetto ammesso che sappia dov’è cosa farò della rabbia e della mia malinconia
cosa farò dell’amore cosa farò di te
Cosa farò di te
Ho scritto stanotte un biglietto e so ch’era molto importante E mentre mi alzo dal letto sorrido e non so perché
Ma cosa farò dei miei sogni se non posso venire da te
Ma io non so soprattutto il mio sogno qual‘è
E mi guarda un vecchio allo specchio non capisco perché guarda me
Ma chissà se la notte lui sogna e se sogna se sogna di me cosa farò di questi anni cosa farò dei miei sogni li cercherò nel cassetto ammesso che sappia dov‘è cosa farò della rabbia e della mia malinconia cosa farò dell’amore cosa farò di te perché io non so soprattutto, ciò che non so soprattutto è Cosa farò cosa farò è cosa farò di te Cosa farò di te cosa farò di te … e di me
https://www.premioslancio.it/wp-content/uploads/2023/04/Cosafaro.mp3
Concorso 2023 - VOCI DA ASCOLTARE 121
LELA E IL VENTO
di Donato D’Alessandro
Lela è sola con i suoi pensieri, sempre in lotta con i suoi problemi, e le pesa oramai fare i conti coi suoi guai. Giorni interi chiusa in casa, a sognare un mondo che non ha. Nella vita che fa non c’è niente che le va.
Lela è sempre sola col suo cuore, mangia pane, lacrime e dolore. Non capisce perché non ha pace dentro sé.
Si nasconde dietro la finestra e si chiede quando finirà la sua triste realtà e l’amaro che le dà.
Lela parla con il vento, ma l’aria muta non le dà il calore umano che non ha. È un amico senza volto che non risponde mai ai suoi “perché?” Forse è il male di vivere quel profondo senso di confusione che aggredisce la sua mente, quando lotta con sé stessa e si chiede perché ogni scelta che fa non le porta mai cosa vuole, mai cosa vuole.
https://www.premioslancio.it/wp-content/uploads/2023/04/Lela-eil-vento-Donato-DAlessandro.mp3
Concorso 2023 - VOCI DA ASCOLTARE 122
ICARO
di Luciano Urietti
É ora di riaprire il campo dietro casa mia, non dirmi che non si può fare, che è solo una follia; lo sai è stato chiuso unicamente per irregolarità formali e fu sepolto il nostro cuore sotto pile di verbali.
Vedrai…, Vedrai …
Sarà più facile che stare ad aspettare seduti accanto ai nostri sogni che nessuno sa scordare. Così trascineremo ICARO dal buio hangar sul prato sarà contento come un bimbo, felice d’esser liberato insisteremo col motore che tossisce, non vuol più girare sino a che, lo giuro, tornerà a cantare.
Vedrai…, Vedrai …
Sarà più facile che stare ad aspettare seduti accanto ai nostri sogni che nessuno sa scordare. E poco importa se sul campo mancano le luci si tratta di partire all’alba, per mai più tornare ci perderemo ad ovest, dove corre il giorno saremo un punto come tanti, fra il cielo ed il mare Raggiungeremo il punto del nostro non ritorno…
https://www.premioslancio.it/wp-content/uploads/2023/02/Icaro-1. mp3
Concorso 2023 - VOCI DA ASCOLTARE 123
124
giovani voci
La classe dei poeti
Classe II B del Liceo Scientifico di Broni PV.
Concorso 2023 - GIOVANI VOCI 125
Concorso 2023 - GIOVANI VOCI 126
ALTERNI SUSSURRI
di Samuele Balduzzi
Le voci mi suggeriscono sempre nel bene o male quello da fare quando nelle vicinanze il silenzio giace.
Ma nella mente manca la pace che il cervello cerca di catturare ma corrono come una terrorizzata lepre.
Concorso 2023 - GIOVANI VOCI 127
L’URLO DEL SILENZIO
di Giulia Begotti
Tutto tace
ma riesco a percepire quel tacito tumulto che mi circonda e mi pervade allo stesso tempo.
Sta diventando sempre più forte, assillante, inarrestabile. E continua a incombere un po’ come il senso di vuoto.
È colui che attende di poter parlare solo quando gli si dà voce, il silenzio.
Concorso 2023 - GIOVANI VOCI 128
LA NUBE DEL SILENZIO
di Noemi Carbonini
Il silenzio: ecco ciò che amo nella vita. Quella nube ovattata che mi avvolge come un caldo maglione, mi porta a riflessioni.
Attimi di vita passata che affiorano, mi sussurrano, mi stimolano.
I loro bisbigli mi fanno viaggiare in quel mondo che vorrei avere, che vorrei migliorare, che vorrei realizzare.
Che pace nella mia nube. Nulla mi turba. Nulla mi infastidisce.
Nulla mi corrompe.
Sono sola nel silenzio con i miei dubbi, i miei pensieri, i miei sogni.
Concorso 2023 - GIOVANI VOCI 129
IL VARIOPINTO SILENZIO
di Alessandro Carloni
Dal silenzio giungono irrequiete come un mare in tempesta turbano la mia quiete ma di ciò che dicono cosa mi resta?
Quell’intoccabile tutto di pensieri ed emozioni, sentendole più e più volte cambiano ogni volta i toni
ora serene, ora preoccupate, ora felici, ora stressate, ma nonostante ciò non capisco di ciò che dicono cosa mi resta?
Concorso 2023 - GIOVANI VOCI 130
SOLO NEL SILENZIO
di Iacopo Defilippi
Nella quiete risiede una voce inascoltata, un suono che parla oltre la parola pronunciata i sussurri di un silenzio profondo
perché in questo mondo di quiete il cuore può ascoltare la verità che si nasconde nel rumore e nella paura
le voci che sibilano nel silenzio parlano di una potenza al di fuori del suono stesso
una forza che si muove nell’eco qui si trovano pace e gioia viviamo urlando in silenzio
Concorso 2023 - GIOVANI VOCI 131
FUORI E DENTRO
di Tommaso del Gobbo
Voci, presenti in ogni luogo alcune dolci altre frastuono
silenzi: suoni bui alcuni colmi di dubbio alcuni di calma
voci con pareri silenzi con giudizi e questo non mi dà pace
Concorso 2023 - GIOVANI VOCI 132
SUSSURRI DAL SILENZIO
di Francesco Frattoni
Le voci dal silenzio sono come sussurri, che giungono al nostro orecchio con dolcezza, ci fanno compagnia quando siamo soli, e riempiono il vuoto della nostra tristezza. Sono le voci che parlano al cuore, che lo fanno battere con forza e ardore, che ci raccontano storie d'altri tempi, e ci guidano lungo il sentiero della vita. Le voci dal silenzio sono come luci, che illuminano la notte oscura della nostra anima, ci mostrano la via quando ci sentiamo persi, e ci danno la forza di affrontare ogni problema. Sono le voci che ci parlano di amore, che ci fanno sentire meno soli nel dolore, che ci ricordano che siamo tutti uniti, e che insieme possiamo affrontare ogni difficoltà.
Concorso 2023 - GIOVANI VOCI 133
ORA SOLO SILENZIO
di Francesca Ghelfi
Poche onde a dividere vita e morte il rumore del mare in tempesta confonde le grida e i pianti l’illusione di una vita migliore rende il destino più atroce.
Le speranze si infrangono a riva dove giacciono solo vite spezzate come rami secchi vite appena cominciate che non conosceranno il futuro.
Ora, su questa spiaggia non odo grida disperate non vedo i resti che emergono dal mare non percepisco gli sforzi dei soccorritori mi giunge solo il rumore fragoroso di un interminabile silenzio.
Concorso 2023 - GIOVANI VOCI 134
IL SILENZIO DELLA NOTTE
di Carla Giorgi
Dolce silenzio della notte illuminato dal candore della luna rasserena i miei pensieri perché solo da sola in compagnia delle stelle trovo pace.
Concorso 2023 - GIOVANI VOCI 135
ODI VOCI LONTANE
di Elizabeth Halangescu
Odi voci lontane nel cuore della notte, per strade desolate.
Ma non odi le vere voci con le orecchie: provengono dal cuore.
Ascolta nel silenzio le parole del cuore. Parlano. Sussurrano.
Celano i tesori dell’animo umano risvegliando la luce.
Concorso 2023 - GIOVANI VOCI 136
I SILENZI NON SONO VUOTI
di Andrea Marangon
Quel rumore magari è un suono il quale disperato prova a farsi notare tra tutta la sventura viene bloccato con un tuono da parte di chi la bocca la usa solo per gridare. Quel rumore magari è logico di una mente da anni intrappolata che con il tempo ha imparato a stare in bilico nell’avidità di una corda già strappata. Quel rumore magari è musica oltre un posto sperduto da noi comuni mortali seconda stella a destra senza l’astrofisica in un silenzio non capibile ai normali. Quel rumore potrebbero essere delle voci voci silenziate da atti troppo violenti formate da parole che non devono essere dette veloci con il fiato al collo per gesti cruenti.
Concorso 2023 - GIOVANI VOCI 137
PAROLE AL VUOTO
di Amalia Rusnac
Se tutti si fermassero un istante dal proseguir per il proprio cammino in quel silenzio assordante s’udirebbe un grido molto vicino:
Il lamento di chi tacendo sa urlare e con un sorriso agli altri mente perché tutti riescono ad ascoltare ma la realtà nessuno la sente.
E in quelle mute urla
son celate verità non dette il “sto bene” è solo una burla di chi la sofferenza non ammette.
E in mezzo a questo bianco rumore una richiesta d’aiuto è emersa e accoglierla bisogna col cuore perché nessuna voce va più andata persa.
Concorso 2023 - GIOVANI VOCI 138
VOCI NEL SILENZIO
di Matilde Saulnier
Dissi a me stessa: “Oggi non voglio pensieri” e andai a passeggiare nel bosco. Il vento arpeggiava tra le fronde dove vi si nascondevano i raggi del sole. Ma io non potei nascondermi al vento che mi trasmise il suono di una voce.
Intanto la natura taceva, il mondo taceva.
lo sono Martina di Roma nella periferia degradata di parole e di vita.
Ascolta la mia disperazione!
Con dolore ho abbandonato la scuola, perseguitata dai bulli.
Un'altra voce si aggiunse: “Te la senti di ignorarmi?”
Sono Angelo escluso da tutti, giudicato per come mi vesto: vorrei essere Angela, ma mi considero solo una nullità.
Ecco un’altra voce dolente ed incerta: sono Ada un'anziana sola e malata, faccio la fame e più non mi curo.
Sconvolta, dissi: "Non posso ignorarti, ingiusto è sfuggirvi. Vi aiuterò con il contatto umano ed un attento ascolto pieno di cura e di cuore”.
Concorso 2023 - GIOVANI VOCI 139
IL SILENZIO ASSORDANTE
di Sofia Spada
È notte.
Il silenzio è assordante e rimbomba nella mia mente. Ascolto i suoni della natura che piombano su di me nella notte oscura. Sento il vento che si mescola alla pioggia intonando una melodia che allontana l’allegria. Nella notte provo malinconia e spero che la mattina la porti via.
Concorso 2023 - GIOVANI VOCI 140
fragilivoci
Fra i numerosi scritti pervenuti attraverso Opera Cardinal Ferrari di Milano.
Concorso 2023 - FRAGILI VOCI 141
Concorso 2023 - VOCI NARRANTI 142
ALLA TERRA
di Bartolomeo Silvio Carpitella
Terra mia nativa, perduta per sempre, paradiso in cui vissi felice, senza peccato ed ebbi amiche un tempo le bisce fienaiole più che gli uomini. Poi, nelle notti d’insonnia, quando il mio cuore è più angosciato, e grida, e non si vuole dare pace, tu mi appari ed in te mi rifugio, ed oblio, e dopo tanto errare godo in te ritrovarmi, terra mia di cui porto l’immortal febbre nel sangue. Sempre più persuaso che tu sola non mi abbia mai tradito E che lasciarti fu grande follia, così lontana, così lontana per di raggiungerti e annullarmi in te, anche la morte mi sarebbe cara.
Concorso 2023 - FRAGILI VOCI 143
CITTÀ DI MARE
di Luigi Covini
Giornata azzurra di rondini nella brezza che sale dal mare, qui sotto la Fontana Aretusa. C’è sempre gente in piazza Duomo, ma questa è ora di quiete, oggi è bello ascoltare il silenzio.
Mi accompagna il giallo dei limoni nel filare di alberi lungo il muro di cinta, al termine la discesa alla Fontana. All’inizio ecco la chiesa meravigliosa.
Il frontale alto più del fabbricato che lo sostiene, la porzione elevata sovrasta come vela, immobile, non inutile, messa lì per farsi guardare. Tutto bianco nel candore della pietra scolpita, toccato di striscio dal sole. Ora nella luminosità tenue di tramonto si risvegliano le ombre del marmo ricco di lavoro antico, di arte, di fantasia, anche là in alto dove la “vela culmina con due buchi quadri: sono le finestre del cielo della chiesa di Santa Lucia alle Quaglie: mute e insondabili impongono il loro bisogno di esistere, lontane, silenziose, abitate da ciò che non si vede racchiudono soltanto azzurro. Guardo il cielo così vasto sopra la piazza del Duomo e il cielo nelle finestre, uguale il colore ma torno a quei varchi…lì il cielo è più profondo sino a non finire. Quelle finestre così in alto te le porti nel cuore…non si chiudono mai, soltanto azzurro.
Faticoso andarmene, mi muovo, rallento il passo. Mi volto.
Ciao Siracusa, grazie. Domani il ritorno.
Sul muro della stanza che ci ospita, pennello fine, bella grafia in colore ocra: “sentii lu cantu di lu rusignolo
Ca duci spandia di pratu in pratu”
Concorso 2023 - FRAGILI VOCI 144
IL SILENZIO
di Giuseppe Ventura
Attanagliati dai rumori costanti delle grandi città... Il silenzio è un toccasana per il nostro io. Spesso ci si rintana nella natura in cerca di silenzio... Per far sì che accrescano i nostri pensieri... Ricordi. Il silenzio della montagna sprigiona quel silenzio di pace interiore che ogni essere umano... Almeno una volta nella vita dovrebbe provare. Quella volta, in tempo di guerra... Strisciando in silenzio per non farsi scorgere dal nemico... Quella volta... In silenzio... per la vergogna di non essere capita... e perlopiù sbeffeggiata... dall'esser stata oltraggiata da quattro barbari chiamati tutt'oggi esseri umani. Il continuo e imperterrito silenzio... dettato dal fratello maggiore... divenuto padre padrone... Che detta legge in maniera egoista... Pensando solo al proprio tornaconto. Il continuo silenzio per non irritare i propri genitori... Che vivono un'era precedente o primitiva... Che obbligano i figli a credere in ciò che a egli è stato inculcato. Il silenzio di dolore dai figli abbandonati dai propri genitori. Il silenzio... per la morte di un nostro caro. Il silenzio della sofferenza che patisce ognuno di noi nella vita... Passata e presente. Il silenzio... racchiude molteplici sentimenti.. Vuoi di tristezza... Vuoi di pace interiore... Vuoi di incamerare insegnamenti altrui. Il silenzio!
Concorso 2023 - FRAGILI VOCI 145
MANOSCRITTO
di Paolo Salghini
Buongiorno amici...mi presento.
Mi chiamo Paolo Salghini, sono un senza fissa dimora, non mi piace il termine senzatetto, suona meglio, no? Mi sono appena svegliato...devo dire che non mi sono organizzato male...ho la mia panchina dove ho fatto mettere una targhetta, con scritto il mio nome, 4 bagni chimici, di cui per portatori di handicap, in modo che organizzandosi con delle bottiglie, si può fare una doccia, ovviamente nella stagione estiva!!!...
Ricordo ancora quando è iniziata la mia avventura, ma dobbiamo fare un passo indietro...
Abitavo a San Benedetto del Tronto, convivevo con Fiorella, una donna ceca dalla nascita. L’ho conosciuta a Torino, anzi per la precisione abitava a Torino, ma ci siamo scritti su una chat per un paio di mesi, fino al grande incontro!!
Ma torniamo a noi...Fatto il viaggio pagato dal comune arrivo a Milano, mi guardo intorno e mi dico “bravo Paolo, e adesso?” Io ovviamente non conoscevo nulla di Milano tranne l’Opera San Francesco, una fondazione di frati che offre mensa, docce, guardaroba, e un ambulatorio per i senza fissa dimora... frenai le lacrime, tirai su il bavero della giacca (era l’8 gennaio)visto che ormai era ora di pranzo, mi dirigo verso la mensa...ma la tristezza non voleva abbandonarmi...pazienza!
Mi fate ancora un po' di compagnia? Bene!!
Mi viene in mente la spiacevole avventura carceraria...ero appena entrato in casa Jannacci, mi stavo preparando per la serata, dopo aver fatto la doccia sento il classico cicalino della radio della Polizia e vedo che il direttore dei volontari accompagna una pattuglia di poliziotti “ecco Salghini Paolo è lui” dentro di me dicevo “ma cosa vogliono da me???” Sig Salghini prepari le valigie e venga con noi” “per cosa?” “dobbiamo fare delle foto” “ Ma perdonatemi, per fare delle foto devo
Concorso 2023 - FRAGILI VOCI 146
fare le valigie?” “si” “ok, datemi due minuti” . Erano le 21,40, alle 2 di notte entravo in San Vittore, il carcere di Milano!!
Vi giuro, quando ho sentito chiudersi il portone di ingresso mi è caduto il mondo addosso...Me ne sono fatto una ragione, anche perché se ci pensi diventi pazzo.
Devo dire che sono stato fortunato, ho trovato dei compagni disponibili, nonostante l’ora mi hanno salutato tutti e due, quello che sembrava il capo mi ha addirittura preparato il te, vista l’ora!
Una settimana dopo vengo trasferito al primo piano, una sorta di promozione, dove le celle sono aperte durante la giornata, al piano terra sono chiuse 24 ore su 24, sette giorni su sette!! Mi sembrava di impazzire!! La cosa positiva di questa esperienza, ho imparato ad avere rispetto, ed anche a ottenerlo.. il carcere ha le sue regole, guai a non rispettarle!! Oppure di quando in pieno covid, sentivamo gli annunci “vietato uscire di casa, vietato uscire da Milano...e chi la casa non ce l’ha? Come si deve comportare? Così per non essere fermato e portato in questura, passavo le giornate su autobus, tram-filovia, leggendo o ascoltando musica...oppure quando si era nel periodo in cui si poteva viaggiare all’interno della regione, non pensando che Peschiera del Garda è in provincia di Verona, vengo fermato dalla Polizia Ferroviaria....”da dove arriva?” “da Milano” lei lo sa che qui siamo in Veneto?” “No, non lo sapevo” (bugia) “Venga con noi in ufficio che facciamo un controllo” Ed è così che scopro che c’è qualcuno che ha in mano i miei documenti, ovviamente con un’altra foto, che acquista autovetture che vengono intestate a me!! Pagandole con un assegno falso. Mi sento uno ricco, proprietario di 14 veicoli...evvai!!!
Assurdo, semplicemente assurdo!!
Sono indagato in 7 procure: Brescia, Forlì, Ravenna, Bologna, Catania, Roma. Provate un po' ad immaginare! Solitamente fanno il cumulo, nel senso che ogni procura emette la sua sentenza, si somma...noooo non ci voglio pensare! Parrebbe oltre sessant’anni di carcere, che nel mio caso sarebbe paragonabile alla pena capitale. Ci avessi guadagnato qualcosa! Solo rotture di scatole! Il bello di questa faccenda è che in Italia dopo 3 anni e 4 mesi siamo all’inizio, in Svizzera, dove una di queste autovetture è stata multata per eccesso di velocità e visto che le multe amministrative vengono gestite dalle varie procure essendo dei veri e propri procedimenti penali, il magistrato titolare mi ha scritto e gli ho spiegato in 10/15 minuti quello che è successo. Davvero, consentitemi questo sfogo, siamo veramente
Concorso 2023 - FRAGILI VOCI 147
il paese dei balocchi!
“Paolo, questo è l’evento che ti ha colpito di più?” - mi chiede Serena - “Si, non lo auguro a nessuno!”. “Ne hai un altro?” - “Si!”
Festività dell’Epifania, i City Angels, nota onlus che si occupa di dare conforto ai senza fissa dimora, invita una rappresentanza di Carissimi (così vengono chiamati i senza fissa dimora) al pranzo sociale allestito nell’hotel Savoia, hotel di categoria superior (6 stelle). Il colmo dello spettacolo e della politica: da Pier Francesco Maiorino ad Attilio Fontana, da Letizia Moratti alla Vicepresidente Europea, italianissima nonostante il nome. Da Susanna a Ivana Spagna, Alberto Lamerini... è veramente lunghissima la lista degli invitati!
Dopo l’antipasto, il primo break musicale! Repertorio anni 70/90, concentrati in un meedley remixato in chiave moderna. Poca gente a ballare, arrivano Attilio Fontana, Pier Francesco Majorino, Letizia Moratti, Susanna Messaggio, Ivana Spagna... morale è bastata un’intesa per far sì che Letizia Moratti salisse sul palco a ballare seguita a ruota da Susanna e Ivana ...tutti sul palco a ballare! Ero al settimo cielo, io, un cittadino qualsiasi, guarda dove mi trovo!!
Finito il servizio in cucina, ci ha raggiunto chi ha preparato il menù, vale a dire cuoco, personale dell’hotel, 2 stelle michelin...ciumbia!!
Mi sentivo un vip, testa alta e fieri dell’operato svolto!!
Concorso 2023 - FRAGILI VOCI 148
QUANDO UN ANGELO MI PRENDEVA LA MANO
di Domenico Colombo
Mi sto addormentando guardando il cielo, vedo la luna, la fantasia mi porta aldilà delle stelle.
Sogno quando avevo 7 anni, quando mia mamma mi lavava in un catino riscaldando l’acqua nel camino; era dolcissima mia mamma, mi metteva il vestito pulito e il farfallino per portarmi a scuola e io lungo il percorso saltellavo qua e là.
Alla sera mia mamma mi rimboccava le coperte, sognavo sempre un angelo che mi portava con lui a giocare con le farfalle in mezzo ai fiori; sognavo di essere un aviatore, viaggiando tra le stelle in tutto il mondo. Poi c’era una ragazzina bionda carina che mi prendeva la mano e andavamo a prendere l’acqua alla fontanella.
Nel pomeriggio andavamo all’oratorio, con tanti bambini facevamo teatro, c’era anche una giostra. Mi divertivo molto e sorridevo sempre.
Sto sognando di prendere per mano mia mamma e mio papà e di portarli via, per fargli fare una vita più dignitosa. Sogno il mio gatto bellissimo, sto giocando con lui in mezzo ai girasoli e le spighe di grano.
Ma ora non sogno più, sono vecchio ma i ricordi restano nel mio cuore. Mi sveglio all’improvviso e il sogno finisce, sento dei passi, sono dei bambini che vanno a scuola e mi salutano. Dormo in tenda ma il “ciao” dei bambini mi ricorda quando mia mamma mi prendeva per mano per portarmi a scuola.
Quando un angelo mi prenderà la mano e mi porterà in cielo, non sarà più un sogno.
Concorso 2023 - FRAGILI VOCI 149
URLA DAL SILENZIO
di Luca Botti
Il SILENZIO E' DORO, recita un'antica massima, ma troppo spesso questa condizione ci fa paura, in quanto evoca quei momenti bui della vita che pensavamo aver nascosto sotto il tappeto attraverso le rimozioni teorizzate da Freud, ovvero quegli episodi che ci hanno causato dolore, e che non vorremmo mai più rivivere. Ma l'inconscio, quel contenitore informe e quasi del tutto sconosciuto dove riversiamo questi pensieri che non vorremmo più rivivere, non solo non è stagno ma al contrario lascia fuoriuscire quello che meno vorremmo rammentare, inoltre agisce indirettamente sulla stragrande maggioranza delle nostre scelte, è bene quindi fare emergere queste rimozioni prima che ci distruggano.
Il silenzio e le rimozioni mi evoca in particolare un film, Il silenzio degli innocenti magnificamente interpretato da Anthony Hopkins e Jodie Foster, rispettivamente nel ruolo di Hannibal Lecter lo psichiatra geniale cannibale che si era degustato alcuni dei suoi pazienti, e Jodie Foster nel ruolo di Clarys Starling, l'investigatrice che sta indagando su una serie di omicidi apparentemente opera della stessa mano, ovvero un serial Killer.
La scena chiave del film è quella in cui Hannibal, desideroso di far emergere le rimozioni di Clarys, le pone la domanda che dà il titolo al film: quando ti svegli di soprassalto Clarys, senti ancora il pianto di quegli agnelli innocenti, che stavano per essere macellati nella fattoria dalla quale scappasti nottetempo? avresti voluto salvarli ma il tuo desiderio di scappare era prevalente sul salvataggio delle loro vite. Vorresti fare qualcosa per loro ma è troppo tardi, ormai sono morti, è per questo che stai cercando di salvare questa innocente che è stata rapita?
Il problema principale del silenzio moderno, è riuscire materialmente a ricrearlo. Per poter riuscire in quella che considero una vera e propria impresa (che mi è costata almeno 30 anni di vita), ci sono 3 livelli di rumore che dobbiamo riuscire ad eliminare
• quello ambientale, ovvero tutti i più disparati suoni nei quali siamo immersi quotidianamente, e che persino di notte facciamo fatica a
Concorso 2023 - FRAGILI VOCI 150
dissipare, a meno
che non viviamo in ambiti lontani da qualsiasi fonte di inquinamento acustico delle quali facciamo fatica a renderci conto
• una volta eliminato il rumore ambientale, dovremmo riuscire a distinguere i singoli suoni, che tuttavia sono inquinati dal rumore di sottofondo della nostra mente, nella quale si annidano tutte quelle voci inutili, ma soprattutto quei pensieri frutto dei più disparati messaggi troppo spesso fuorvianti, che non ci consentono di capire chi siamo, dove siamo e dove vogliamo andare
• senza questo ronzio di sottofondo della nostra mente, rimaniamo finalmente con il suono della nostra anima e della nostra coscienza, ma è già impresa titanica, in quanto temiamo questa condizione più della peste e della morte. Perché è proprio in questo frangente che sentiamo il pianto di quegli innocenti, che non siamo riusciti a salvare dalla morte perché avevamo come priorità la nostra salvezza, vorremmo fare qualcosa per loro ma è troppo tardi, ora possiamo riuscire a salvare a malapena noi stessi
A questo punto della pulizia interiore, probabilmente per molti subentra un senso di smarrimento di panico, per alcuni di autentico terrore, perché assieme al rumore di sottofondo si sono dissipati i nostri punti di riferimento, tutti fasulli in un mondo fasullo, altrimenti non basterebbe eliminare il rumore per farle svanire. Tuttavia ora possiamo iniziare a vivere in quanto ci siamo liberati di un fardello di cui non ci accorgevamo, ma che ci legava mani e piedi, e che soprattutto distorce la realtà che percepiamo.
Ma soprattutto interviene la più grande qualità di cui l'essere umano è dotato, che purtroppo viene spesso relegata ad orpello, un ammennicolo di cui servirci esclusivamente durante il cazzeggio, tanto meglio se poco frequente: l'immaginazione: ogni sorta di scoperta, di creazione, di invenzione è avvenuta immaginandoci qualcosa che non esisteva in quel momento, non di certo leggendo libri di testo o trattati scientifici, forse qualche opera letteraria può fare da spunto, ma alla fine è la nostra mente a dover vedere la lampadina che si accende con quello che stiamo cercando ma ancora non riusciamo a intravedere.
Concorso 2023 - FRAGILI VOCI 151
Grazie alla parola magica immaginazione mi sovviene il più soave componimento del più grande poeta italiano
Sempre caro mi fu quest'ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo, ove per poco il cor non si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovvien l'eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Così tra questa immensità s'annega il pensier mio: e il naufragar m'è dolce in questo mare.
Mi auguro che tutti abbiano riconosciuto L'INFINITO, magnifico e immaginifico sonetto di Giacomo Leopardi, nel quale il grande poeta marchigiano si immagina tutto il bello che a quei tempi si poteva immaginare, c'è solo quell'infelice frase finale a rovinare tutto
Così tra questa immensità s'annega il pensier mio: e il naufragar m'è dolce in questo mare
Ovviamente l'opera deve essere contestualizzata con la condizione personale, un nobile membro di una famiglia molto tradizionalista in una piccola provincia dello Stato Pontificio in un'epoca ancora piuttosto oscurantista per quanto riguarda i costumi sociali, e fisica ovvero affetto da una grave patologia che lo vedrà venir meno a soli 39 anni, senza aver mai conosciuto l'amore, il che non gli poteva consentire di tradurre l'immaginazione in azione, se non appunto attraverso questa e altre magnifiche opere letterarie.
Quello che invece dovrebbe riguardare ogni essere umano in questo nuovo e del
Concorso 2023 - FRAGILI VOCI 152
tutto inaspettato periodo più che mai oscurantista, sotto la finta egida della parola mai come oggi usurpata per fini biechi e manipolatori SCIENZA.
Dal silenzio della nostra mente, accorgendosi di essere stati fatti ostaggio di uno stato di prigionia mentale, attraverso menzogne indicibili e propaganda mediatica frutto di una manipolazione senza precedenti, dovremmo sentire il grido di quegli innocenti appartenenti alle nuove generazioni che non si possono ancora difendere in quanto cresciuti immersi in questo schifo, liberando loro assieme a noi.
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grazieallepopolarigiurie
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Premio SLAncio vuole dare voce anche a chi non partecipa come concorrente in gara, ma è dietro le quinte e vuole esprimere il proprio gradimento sulle opere. Ringraziamo di cuore gli Enti sociali, sanitari e culturali che ci hanno affiancato esprimendo il loro gradimento sulle opere in gara.
L’UNIONE FA LA FORZA DELLA FRAGILITA’
Il centro diurno Stellapolare
Struttura specializzata nella riabilitazione sociale di persone con una storia di disagio psichico, finalizzata al raggiungimento del reinserimento sociale attraverso la lotta allo stigma interno ed esterno. Nasce dalle riflessioni sul tema della salute mentale, condotte dalla Caritas Ambrosiana, dall’Unità Operativa di Psichiatria di Monza e da ASVAP, associazione di familiari e volontari per persone con disagio psichico. Risponde alla normativa nazionale DPR 07/04/94 ed è accreditato presso il sistema Sanitario Nazionale dalla Regione Lombardia con delibera n. VII/5121 del 06/2001. Partecipa al protocollo formativo tra Casa della Carità, Caritas Ambrosiana e Consorzio Farsi Prossimo ed è, inoltre, inserita nel coordinamento delle strutture psichiatriche che operano all’interno del “Consorzio Farsi Prossimo” di Milano.
Coesa Cooperativa Sociale
COESA è una cooperativa sociale che opera sul territorio del Pinerolese, dell’Orbassanese, delle Valli di Lanzo, del Chierese e delle Valli di Susa e Sangone e della provincia sud-ovest di Torino.
La cooperativa COESA aderisce a Federsolidarietà e ne adotta il codice Etico, i cui punti fondamentali sono: la Piccola Dimensione, elemento strutturale di qualità che consente alle imprese di sviluppare tra i soci relazioni di conoscenza, confronto e collaborazione; la Territorialità, il legame organico con la comunità locale, volto a valorizzarne in chiave solidaristica ed imprenditoriale le potenzialità di sviluppo; la Specializzazione, la capacità di operare in modo efficace ed efficiente nel proprio settore, mantenendo un ruolo attivo nei confronti delle politiche sociali e del lavoro; la Gestione Democratica e Partecipata, la possibilità per i dirigenti, così come per i singoli soci, di governare questo piccolo sistema economico, imprenditoriale e sociale; la Trasparenza Gestionale, Le cooperative sono tenute ad adottare forme di rendiconto sociale e di controllo di gestione; la Collaborazione e Integrazione,
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attraverso processi di cooperazione consortile e di moltiplicazione cooperativa si risponde alla naturale esigenza di sviluppo, mantenendo la piccola dimensione delle singole consorziate senza perdere tenuta sul mercato.
Il Centro Diurno La Gabbianella
Il centro ospita persone disabili medio lievi sia intellettivi che fisici ed è autorizzato ad accogliere 30 utenti al giorno. La struttura accoglie utenti provenienti dai Comuni che fanno parte del Consorzio C.I.di.S. (Orbassano, Beinasco, Piossasco, Bruino, Volvera, Rivalta). Il Progetto Educativo Individuale, condiviso con Servizi Sociali e Famiglie, viene realizzato proponendo quotidianamente ai ragazzi attività sia interne che esterne.
Centro Tau
Il CENTRO TAU nasce nel 1988 grazie alla libera iniziativa di volontari e all’impegno di alcuni giovani francescani della Parrocchia S. Maria della Pace di Palermo. L’obiettivo è quello di migliorare la vita dei ragazzi del territorio Cipressi, Ingastone e Danisinni grazie ad attività di accoglienza e di sostegno per le famiglie.
Nel 2014 il Centro Tau diventa Punto Luce di Save The Children per combattere la povertà educativa nelle zone svantaggiate della città.
Grazie al progetto ‘Openspace’ finanziato dal FESR Sicilia sono stati infrastrutturati anche gli spazi multimediali del Centro Tau: il laboratorio musicale ‘Zisoundlab’ e il laboratorio per la produzione di video e filmati che fa riferimento al laboratorio Iammonline.
Gli spazi del Centro Tau sono stati acquistati da Inventare Insieme (onlus) grazie al contributo degli enti che lo supportano: Fondazione con il Sud, Enel Cuore Onlus, Save the Children Italia Onlus e Fondazione Peppino Vismara. che ha a disposizione spazi per lo studio e le prove e dotato di tutto il necessario per la registrazione professionale di brani musicali, aperto gratuitamente ai giovani iscritti al Centro e il laboratorio per la produzione di video e filmati che fa riferimento al laboratorio Iammonline.
Il Centro Tau è una “casa di tutti”, nessuno è ospite, tutto è fruibile rispettandolo. È pensato e strutturato per essere un luogo di aggregazione, convivialità, socialità e interculturalità.
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L'Associazione Pro Retinopatici e Ipovedenti (A.P.R.I. onlus)
L’A.P.R.I. è un'organizzazione di volontariato, fondata a Torino nel 1990, ed attualmente presente anche in altre regioni italiane. Si occupa della promozione della ricerca scientifica contro le malattie degenerative della retina ma, nel corso degli anni, ha notevolmente ampliato il suo raggio d'azione in vari ambiti legati comunque alla disabilità visiva: tutela e rappresentanza, educativa specialistica, inserimento lavorativo, assistenza, riabilitazione, tecnologia, cultura, sensibilizzazione e tempo libero.
L'associazione pubblica la rivista trimestrale "Occhi Aperti" ed una newsletter settimanale distribuita via email. Per rendere ancor più accessibile la rivista, sul canale Youtube "Apri Torino", sarà caricato anche l'audio-registrazione dei principali articoli pubblicati.
L'Altra Napoli
Siamo un’associazione fondata nel 2005 da un gruppo di amici napoletani, molti dei quali residenti altrove, accomunati dalla voglia di impegnarsi per contribuire al rilancio della nostra città. Da allora Altra Napoli ha percorso tanta strada, realizzando oltre 20 progetti nel Rione Sanità e nel quartiere Forcella, quartieri caratterizzati da gravi situazioni di fragilità economica e sociale, ma dove difficoltà e degrado convivono con straordinarie risorse artistiche ed umane da valorizzare. Il nostro impegno da volontari, supportato da un team di professionisti, ci porta a donare con passione parte del nostro tempo e delle nostre competenze alle giovani generazioni, con la prospettiva di dare loro un futuro migliore. In questi anni abbiamo investito oltre 10 milioni di euro, raccolti da aziende, fondazioni private e tante persone che hanno creduto in noi e nei progetti che realizziamo. Un nuovo grande progetto nel quartiere di Forcella è il recupero della Chiesa della Disciplina della Santa Croce, da destinare a luogo di aggregazione e di crescita per i bambini ed i giovani del quartiere, perché solo valorizzando il loro talento e creando opportunità di lavoro sarà possibile dare a tutta la comunità un futuro migliore.
Opera Cardinal Ferrari
L’Opera Cardinal Ferrari è un Centro Diurno (8.30-17.00/365 gg) che offre servizi alle persone in grave marginalità adulta perlopiù senza dimora attraverso: servizi di supporto ai bisogni primari (mensa, distribuzione pacchi-viveri, distribuzione indumenti, distribuzione farmaci, docce e igiene personale); servizi
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di segretariato sociale (sportello di orientamento e informazione, espletamento pratiche, accompagnamento ai servizi del territorio); laboratori creativi per il sostegno educativo e psicologico; servizi di accoglienza notturna gratuita per donne fragili (micro comunità: Micro comunità “Cielo Stellato”).
Inoltre Opera Cardinal Ferrari propone formule di residenzialità sociale a prezzi calmierati attraverso la Residenza Trezzi e la Domus Hospitalis per studenti e lavoratori fuori-sede e persone in cura presso gli ospedali di Milano con la possibilità di ospitare minori e bambini.
In un anno ha assistito oltre 1.000 persone ed in particolare 159 senza dimora over 60 anni che frequentano 365 giorni all’anno il Centro Diurno e 273 famiglie (835 assistiti di cui 346 minori) in condizioni di grave povertà che ricevono i pacchi-viveri. Il fulcro delle attività è realizzato dal volontariato: 200 volontari consentono ad Opera di portare avanti la propria missione a favore delle persone più fragili e deboli.
Unitre
L’associazione UNITRE è palestra di Cultura e Accademia di Umanità, finalizzata in particolare ad offrire momenti formativi ed aggreganti ad una fascia di popolazione che ha raggiunto la piena maturità e che ha smesso, se mai l’ha avuto, il quotidiano impegno professionale. La sezione di Lodi è affiliata all’UNITRE Nazionale con sede a Torino.
UNITRE è un’associazione indipendente, apartitica e aconfessionale, aperta a tutti a partire dalla maggiore età.
L’UNITRE di Lodi è associata alla UNITRE Nazionale ed è stata riconosciuta «Associazione di Promozione Sociale» con decreto del 7/4/2009 dal Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali.
Associazione Realmonte Onlus
Dal 2009, l'Associazione Realmonte Onlus, nata in memoria del Professore Francesco Realmonte, docente di Diritto civile presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, lavora a fianco degli operatori e delle operatrici sociali, formandoli a diventare tutori di resilienza.
Mission. Mettendo al primo posto le persone e le loro storie di vita, vogliamo essere catalizzatori di un cambiamento positivo, facendoci carico della responsabilità che sentiamo nostra di supportare come possiamo chi viene da situazioni di conflitto
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e vulnerabilità cronica. Insieme alla ricostruzione fisica e al soddisfacimento dei bisogni primari, riteniamo sia fondamentale lavorare sulla ricostruzione del tessuto sociale e della vita delle persone dall'interno delle comunità stesse, al fine di consolidare situazioni di benessere psicologico ed emotivo.
Vision. Crediamo in una società che sappia fare tesoro delle differenze che la popolano, e in cui ad ogni persona sia garantito l'accesso agli strumenti necessari per rafforzare le proprie competenze e i propri interessi, nel consolidamento della miglior prospettiva di vita possibile.
Tramite corsi di formazione e laboratori studiati dal RIRES, Centro di Ricerca sulla Resilienza dell'Università Cattolica, agiamo affinché le persone sappiano fare appello alla propria capacità di resilienza, per trasformare il dolore in un nuovo punto di partenza.
Il Margine
Oggi la nostra cooperativa è una importante Onlus, tra le più presenti e attive in Piemonte.
Gestiamo decine di servizi alla persona in tantissimi ambiti: disabilità, psichiatria, minori, inserimenti scolastici, politiche attive del lavoro, comunità mamma-bambino, anziani. Lo facciamo con la stessa visione passionale e romantica degli inizi, senza mai rinunciare ai valori di una storia profondamente umana, fatta delle storie di tanti. Da quaranta anni.
Il Paese Ritrovato
Un luogo nato per fare la differenza.
Un piccolo borgo nel quale le persone, in tutta sicurezza, vivono in appartamenti protetti ma possono muoversi in modo autonomo nella piazza, al caffè, nei negozi ed al cinema, così da condurre una vita normale, compatibilmente con la malattia, sentirsi a casa e ricevere nello stesso tempo le necessarie attenzioni. Un luogo dove le persone con demenza sono libere di scegliere cosa fare del proprio tempo e ritrovano una dimensione di socialità che restituisce valore alla loro vita.
Oasi San Gerardo
Gli Alloggi Protetti Oasi San Gerardo di Monza sono stati inaugurati nel giugno 2004. Il Centro si propone di accompagnare gli anziani nelle loro necessità in modo
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graduale e proporzionato, aiutandoli a rimanere nella propria comunità e vicini alla famiglia e ai propri affetti.
Gli Alloggi Protetti si rivolgono a persone in condizione di fragilità non in grado di vivere in autonomia senza un’articolata protezione sociale e/o sanitaria. Tale intervento ha lo scopo di evitare o ritardare il ricorso al ricovero in RSA o di offrire una opportunità a persone già ricoverate e in grado di vivere in situazione di autonomia abitativa.
RSA San Pietro
L’RSA San Pietro è una struttura residenziale che si colloca all’interno della rete dei servizi per anziani presente nella città di Monza.
La RSA San Pietro si è da sempre caratterizzata per gli obiettivi del suo intervento e lo stile di gestione dell’anziano e dei suoi bisogni. Da un lato, infatti, si opera cercando di dare benessere all’anziano e di mantenere le capacità residue e l’autonomia; dall’altro si lavora attraverso l’ascolto, il rispetto della persona nella sua interezza, l’attenzione a sostenere rapporti nuovi positivi e stimolanti, l’analisi dei bisogni, il rapporto con la rete di sostegno intorno alla persona anziana.
L’RSA San Pietro rappresenta oggi un laboratorio in divenire, dove ogni soluzione viene condivisa, proposta a familiari ed operatori, verificata sul campo e, se necessario, rimessa in discussione.
Il risultato è una crescita comune condivisa con ospiti, familiari, operatori e istituzioni cittadine.
Grazie a
Sofia Rosso volontaria di La Meridiana
Per la vicinanza e il supporto concreto offerto a questo progetto e per l'amore autentico con cui si dedica alla fragilità.
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TESTIMONIANZE
ANTEAS
Associazione Nazionale Tutte le Età Attive per la Solidarietà È un piacere per me testimoniare la mia appartenenza al gruppo delle “Antenne Sociali” del quartiere di Collevario a Macerata e le esperienze vissute con loro in questi ultimi anni. Risalgono al 2018 i primi incontri del nostro gruppo, nato nell’ambito dell’Associazione Anteas, su iniziativa dei coniugi Rachele e Piergiorgio. Ci incontravamo al Centro Sociale di aggregazione del nostro quartiere, in raccordo con la Parrocchia e con il personale dei Servizi Sociali del Comune di Macerata.
Le idee erano tante ed era vivo il desiderio di impegnarsi in favore degli anziani, alleviando solitudine ed emarginazione. Grazie al nostro parroco Don Egidio, abbiamo trovato con facilità una sede idonea in cui ritrovarci, un salone annesso alla chiesa, ed è nata così “La bottega della fiducia”.
Dall’ottobre 2019 in poi, si sono susseguite varie iniziative, sospese solo per il Covid. Ma, anche in quel triste periodo, la nostra chat di gruppo ci è stata di grande aiuto e conforto, consentendoci di rimanere in contatto fra noi. Lo scambio di messaggi, video di arte, musica e poesie era quotidiano e non ci siamo sentiti mai soli.
Don Egidio accompagnava la nostra quotidianità con riflessioni di Fede e Francesco, il nostro maestro di Taij, ci spronava a compiere piccoli esercizi di ginnastica dolce.
Al più presto, anche con le mascherine, abbiamo ripreso i nostri incontri e le nostre attività: il laboratorio artistico, per la realizzazione di oggetti di artigianato; il gruppo “Lettura”, per un confronto su opere letterarie di comune interesse; il corso di Taij Benessere; gli incontri conviviali, in occasione di feste e ricorrenze; gli incontri culturali con l’Esperto di musica, il Sig. Andrea Petrozzi e le conferenze tenute da esperti di psicologia, per il miglioramento delle nostre capacità relazionali.
Tante foto ricordano i momenti più importanti del nostro percorso ed è bello riguardarle ogni tanto:
• le bancarelle natalizie, con i nostri manufatti: ghirlande e coroncine, lavori all’uncinetto e a maglia (presine, babbucce, plaid e copertine) e poi grembiuli, tovagliette, borse in stoffa e pelle stampata…
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• la miriade di fiori colorati per la festa della nostra Parrocchia: rose in stoffa di raso, maggio 2021; calle, anch’esse in raso o in pizzo, maggio 2022 … ed ora i tulipani, per la prossima festa
• le lezioni di Taij Benessere, così benefiche nel donare elasticità ed armonia al nostro corpo e alla nostra mente
• le tavolate apparecchiate nel salone del retro parrocchia: pranzi, merende e cene a Capodanno e la Befana (con la” Tombolata” e la “Pesca”), Carnevale (che belle mascherine!), la festa della donna
• le conferenze nell’Auditorium della Parrocchia, sempre interessanti e molto seguite.
Nel gruppo delle “Antenne Sociali” mi sento circondata da amicizie sincere, che arricchiscono la mia vita, e mi sento utile agli altri. Questi sono i sentimenti che animano noi tutti. Siamo un gruppo solidale, che ogni tanto registra nuove iscrizioni.
Continueremo il nostro impegno in favore della socialità e della partecipazione.
Loretta Mecocci
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ALLEATI ISTITUZIONALI
SLANCIO: da Progetto a Premio
Si chiama Progetto SLAncio ed è un centro per la cura di persone in stato neurovegetativo e malate di SLA, quello inaugurato il 18 gennaio 2014 a Monza. La struttura accoglie 71 persone malate di SLA, in Stato Vegetativo e persone giunte a fine vita ed è gestito dalla società Cooperativa Sociale La Meridiana. Si tratta di un progetto realizzato con la massima cura, nei minimi dettagli, con uno studio scientifico anche sui colori e sull’arredamento delle stanze e negli spazi vicini, al fine di creare un clima di accoglienza e serenità per i pazienti e i loro familiari. Sono state adottate le migliori soluzioni nel settore della domotica affinché i pazienti, in grado di farlo, possano soddisfare alcune esigenze grazie ad un telecomando o un particolare computer.
Siamo di fronte ad un luogo di ascolto, di attenzioni, di premure, d’accoglienza, tutte cose che si coniugano con amore e grande professionalità alle cure mediche e infermieristiche svolte con competenza e specifica preparazione: un’iniziativa sociale d’eccellenza a livello nazionale.
L’attenzione alla persona avviene anche offrendo opportunità di espressione e comunicazione capaci di alimentare la relazione con il mondo interno ed esterno, capaci di dare senso all’esistenza a cominciare dalla qualità della vita quotidiana: la scrittura è tra le attività più efficaci.
In questo senso, la RSD San Pietro SLAncio ha messo in moto un lungo percorso di lavoro espressivo individuale, fino a creare un gruppo, una vera e propria redazione che realizza un periodico mensile scritto con gli occhi che si chiama Scriveresistere. A tre anni dalla sua nascita ufficiale, “Scriveresistere” ha voluto promuovere il primo PREMIO SLAncio: un’opportunità di condivisione di esperienze dal profondo valore umano, ma anche di riconoscimento dell’importanza del diritto alla comunicazione, che può allargare la via al “giornalismo sociale”.
LA MERIDIANA Cooperativa Sociale
La storia della cooperativa La Meridiana, nata nel 1976, è ispirata dal desiderio di rendere le persone anziane protagoniste della loro storia, parte attiva e valore aggiunto alla vita di comunità. La sua attività è da sempre orientata al benessere della persona-accolta, prima che alla cura della malattia e della disabilità. Ecco i pilastri su cui si appoggia.
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La persona al centro
Per La Meridiana “attenzione alla persona” vuol dire rendere le persone protagoniste della loro storia, essere in grado di accompagnare i bisogni della persona anziana in tutto il suo percorso di vita, senza trascurare i valori che ciascuno porta con sé. In questi anni, per rispondere a questo intento, ha costruito una vera e propria linea di servizi per essere in grado di rispondere tempestivamente, giorno dopo giorno, alle modifiche prodotte dalla perdita di autonomia della persona anziana. Laddove, all’interno della rete non era presente un servizio specifico, si è progettata, realizzata e sperimentata una nuova risposta, per poi condividerla, mettendola a disposizione di tutti.
Una rete di servizi che si snoda a partire da quando l’anziano è ancora in possesso di tutte le proprie autonomie, attraverso percorsi di stimolazione e prevenzione (tra i quali il volontariato e il recente progetto Generazione Senior) in modo da favorire una vita attiva. Da qui partono i diversi gradini d’intervento: attività in ambulatorio, a domicilio, presso centri di aggregazione per anziani, centri diurni integrati, alloggi protetti, villaggio Alzheimer, RSA, Hospice; tutto il percorso di cura attraverso cui accompagnare l’anziano, il familiare e il caregiver.
Oggi più che mai è necessario essere disponibili e in grado di rispondere alle diverse modifiche dello stato di autonomia, dato che il sistema di welfare presenta ancora limiti significativi.
Per questo, La Meridiana vuole costituirsi come punto di riferimento unico, un centralino a cui il familiare possa rivolgersi e avere subito una risposta, possibilmente all’interno della sua rete e, laddove ci fossero problemi di attesa, ottenere comunque un’indicazione concreta - anche se temporanea - capace di colmare i tempi di attesa.
L’attenzione ai bisogni di chi lavora
La Meridiana, mettendo al centro la persona, chiede al proprio personale di rivolgere agli ospiti la massima attenzione e nello stesso tempo è attenta e rispettosa dei bisogni di chi vi lavora.
Tutte le risorse economiche non spese nella gestione vengono messe a disposizione degli operatori. Inoltre, è stato creato un sistema di aiuto reciproco per sostenere chi si trova in un momento di difficoltà, per cui La Meridiana coinvolge e mette a disposizione diversi professionisti, dall’ortopedico al fisiatra, dal fiscalista all’avvocato. Seppure a costo di grande fatica, uno dei segreti della qualità dei servizi offerti da La Meridiana sta proprio in questa relazione di vicinanza e attenzione che, nel limite del possibile, si realizza nei confronti delle quattrocento persone che lavorano nella cooperativa.
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Il percorso della ricerca
Negli anni ’80 il sistema di welfare prevedeva un’unica risposta ai bisogni dell’anziano: la casa di riposo. Consapevoli di questo limite, nel 1983 La Meridiana ha progettato il primo Centro diurno in Italia, che ancora oggi si chiama Costa Bassa. E oggi, soltanto in Lombardia, esistono oltre 320 centri diurni: una vera moltiplicazione nata proprio dal progetto pilota di Meridiana.
Analogo procedimento di progettazione, realizzazione e sperimentazione è stato ripetuto per gli alloggi protetti, il Villaggio Alzheimer e la RSD che, con il Progetto SLAncio, è una risposta specifica alla disabilità.
Innovativa è anche l’offerta di un supporto domiciliare tecnologico - il progetto ISIDORA - in cui la cooperativa è molto impegnata. Attenta al mutare dei bisogni, La Meridiana identifica, dunque, i vuoti del sistema e se ne fa carico. Senza perdere tempo cerca e trova finanziatori per costruire e realizzare i progetti di cui, dopo qualche anno di sperimentazione, ne dimostra la validità permettendo alla Regione di inserirli e modellizzarli nella rete dei servizi pubblici sociosanitari.
La forza della territorialità
Una cooperativa non deve fare di tutto e di più, come spesso accade dalla fine degli anni ’90, perché le risposte da dare sono complesse e mirate. Bisogna lavorare infatti su problemi e temi specifici - nel caso di Meridiana quello dell’anziano - e anche su un territorio specifico al quale si appartiene, di cui si conoscono tutti i vari soggetti della rete, con i quali ci si può interfacciare, aiutandosi reciprocamente e rispondendo così alle esigenze del territorio stesso.
Da un punto di vista imprenditoriale questa metodologia non può essere che... fallimentare, ma lo scopo di una cooperativa sociale non deve essere diventare grande e potente, quanto rispondere ai bisogni di un territorio e degli operatori coinvolti. Questo è il connubio che produce credibilità e mette in grado anche di procurare i finanziamenti necessari. Creare una “multinazionale dei vecchi” garantirebbe forse bilanci positivi ma, di certo, non il coinvolgimento di tutta la comunità in ricerca, sperimentazione e nuovi progetti.
Un esempio lo offre il villaggio Alzheimer denominato “Il Paese Ritrovato”: nel periodo pre-pandemia La Meridiana ha gestito più di trecento visite da parte di enti diversi interessati a conoscerne il modello, uno sforzo importante e necessario in una logica di condivisione e moltiplicazione dei servizi.
L’Alleanza dunque si costruisce oltre che con tutti coloro che lavorano nel settore sociosanitario, con l’intera comunità, con qualsiasi Ente, Istituzione o Impresa che
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possa contribuire a realizzare il bene comune. Il futuro dell’anziano è il futuro della società tutta e si sa fin d’ora che bisognerà trovare e dare risposta a importanti, specifiche e crescenti richieste.
La Meridiana nasce e lotta per fare in modo che, nonostante la fragilità, il tempo della vecchiaia sia un tempo di vita portatore di ricchezza.
Roberto Mauri Presidente La Meridiana
La Fondazione CASA DELLO SPIRITO E DELLE ARTI
La Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti, ente culturale laico no profit al servizio della Chiesa, nasce nel 2012 per iniziativa di Arnoldo Mosca Mondadori e Marisa Baldoni, come esito di un lungo cammino dedicato alle fasce più deboli delle comunità internazionali.
Al centro pone la dignità delle persone più svantaggiate, al di là di qualsiasi provenienza religiosa, etnica e sociale. Propone, dunque, una cultura dell’umanità e dello sviluppo dei talenti attraverso l’espressione artistica e la possibilità di un lavoro in contesti di marginalità.
Progetti di respiro internazionale percorrono da anni i cinque continenti, dando vita a un vero e proprio “network” di individui, enti, istituzioni laiche e religiose, dietro il quale si intravvede un orizzonte in espansione che si muove sulle linee del Concilio Vaticano II.
Tra i suoi progetti:
Il senso del Pane - Laboratorio di produzione di ostie, da donare alle Chiese. Il progetto ha preso vita nel carcere di Milano Opera nel 2016 e nello stesso anno le ostie prodotte sono state consacrate da Papa Francesco, in occasione del Giubileo dei Migranti. Oggi i laboratori si sono moltiplicati in Italia e all’estero e le stesse persone detenute – che hanno fatto un percorso di conversione interiore e pentimento - hanno insegnato agli altri questo speciale lavoro artigianale, attraverso video lezioni. Dal primo laboratorio ne sono gemmati altri diciassette: a Pompei, a Milano (nel reparto femminile del carcere di San Vittore e nella Casa Famiglia di Fondazione Archè), a Itauna in Brasile, a Barcellona e Alcoy in Spagna, a Maputo in Mozambico, in Etiopia, in Turchia, in Olanda, a Betlemme, in Sri Lanka, nella Striscia di Gaza, a Buenos Aires in Argentina.
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La Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti si impegna a costruire insieme ad ogni persona che lavora nei laboratori eucaristici un progetto di vita e di dignità per il suo futuro.
Ventisette - Dal carcere all’altare attraverso la vigna. Persone detenute della Casa Circondariale di Alba producono il vino per le celebrazioni eucaristiche. Vino, la cui etichetta si ispira all’articolo 27 della Costituzione e porta, appunto, il nome “VENTISETTE”. Il vino prodotto viene donato a sacerdoti italiani e stranieri che operano in contesti di marginalità sociale.
Il laboratorio di Liuteria e di Falegnameria in carcere Il laboratorio di Liuteria è un progetto che ha preso vita nel 2012 nel carcere di Milano Opera. Qui i famosi maestri liutai di Cremona insegnano alle persone detenute l’arte di costruire i violini. Alla liuteria si è aggiunta la falegnameria che costruisce oggetti sacri. Altri laboratori sono nati nella Casa Circondariale di Monza, in quella di Napoli Secondigliano, di Roma Rebibbia e di Genova.
Metamorfosi si chiama il progetto culturale che si propone di trasformare il dolore in nuova speranza. Un progetto che si concretizza attraverso la trasformazione del legno delle barche approdate a Lampedusa in strumenti musicali e oggetti di testimonianza di carattere sacro, affinché le persone e soprattutto i giovani possano conoscere una realtà, quella dei migranti. Violini pregiati per il legno, dunque, e violini pregiati per il loro valore umano. E proprio i barconi approdati a Lampedusa vengono trasportati in diverse carceri per essere trasformati in presepi, rosari e “Violini del mare”, viole e violoncelli che il 12 febbraio 2024 andranno in scena al Teatro alla Scala di Milano in concerto.
Le Croci di Lampedusa - In pellegrinaggio nei cinque continenti Il Santo Padre, in occasione dell’udienza del 4 febbraio 2022 nella quale ha accolto la Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti, ha benedetto 5 croci che andranno in pellegrinaggio nei 5 Continenti. Proprio come nel 2014, quando aveva benedetto la prima Croce di Lampedusa, il Papa ha benedetto queste croci che percorreranno, con l’aiuto di sacerdoti, laici e volontari, il loro pellegrinaggio attraverso le terre dei diversi continenti, e saranno testimonianza della tragedia quotidiana di tanti migranti. Attraverso queste croci, potranno essere organizzate preghiere interreligiose, momenti di raccoglimento e di condivisione nelle scuole e nelle parrocchie, momenti di riflessione anche laica.
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La Piccola Orchestra dei Popoli
È un laboratorio artistico che riunisce musicisti di diverse nazionalità. È un’esperienza di convivenza possibile fra persone appartenenti a culture e religioni diverse, nata all’interno della Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti. La Piccola Orchestra dei Popoli si inserisce tra i progetti della Fondazione come esempio di testimonianza concreta della bellezza dell’incontro con l’altro, attraverso l’armonia musicale.
www.casaspiritoarti.it casaspiritoarti@gmail.com
Movimento MEZZOPIENO
Mezzopieno è un movimento che si riconosce nei valori dell’azione costruttiva e della pratica collaborativa. Una rete che condivide l’impegno attivo per contribuire alla diffusione della cultura della positività e per la riduzione della conflittualità e della rivalità nella società.
Il movimento riunisce e coordina una rete internazionale di persone ed enti impegnati attivamente in programmi ed iniziative di natura eterogenea, accomunati dal desiderio di contribuire alla diffusione di pratiche virtuose di benessere e che armonizzino la società e i rapporti tra le persone.
Il movimento Mezzopieno comprende scuole, università, associazioni, enti pubblici, aziende, redazioni, comunità e persone comuni attivi con programmi condivisi e coordinati a livello nazionale da gruppi territoriali.
Mezzopieno è il fondatore della prima free-press nazionale di buone notizie Mezzopieno News, del format del TG delle buone notizie, della Giornata Nazionale dell’Informazione Costruttiva, della campagna nazionale per la Parità di Informazione Positiva, della Rete Nazionale degli Assessori alla Gentilezza e del gruppo di ricerca Valori, Etica ed Economia presso l’Università di Torino.
I membri del movimento si riconoscono nel Manifesto della pratica costruttiva Mezzopieno.
Genesi
Il movimento Mezzopieno è nato nel sud dell’India nel 2005 grazie al mistico e padre del dialogo interculturale Raimon Panikkar, per ricostruire la fiducia in un contesto di forte vulnerabilità sociale ed economica, come iniziativa popolare ed alleanza di comunità rurali impegnate in un vasto processo di riorganizzazione su base indigena.
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La comunità che si è formata negli anni in India attorno al pensiero Mezzopieno è oggi una rete non-profit internazionale composta da persone, associazioni ed enti che credono nell’importanza di promuovere e interpretare un approccio costruttivo ed armonioso nei confronti della vita e dei problemi, nel rapporto con gli altri e nella gestione delle sfide e delle difficoltà.
Ispirato dalle popolazioni tribali e dall’amore per il mondo e per gli esseri umani, Mezzopieno è una risposta dal basso al bisogno di re-interpretare il mondo e la società in maniera più positiva, costruttiva e meno polemica, per aumentare la collaborazione ridurre la conflittualità.
Tutti programmi e le attività Mezzopieno sono realizzati secondo il principio dell’Economia del dono.
www.mezzopieno.org
info@mezzopieno.org
Manifesto MEZZOPIENO
1. Mezzopieno è innanzitutto un modo di pensare, un approccio alla vita ed una maniera di essere.
2. Il pensiero Mezzopieno è sempre pro, mai contro.
3. Mezzopieno si pone come alternativa costruttiva al vittimismo, alla polemica e al disfattismo. Il modo di essere Mezzopieno collabora con tutti per offrire delle alternative costruttive e positive all’atteggiamento pessimista, a quello conflittuale e alla ricerca di capri espiatori. Vivere Mezzopieno significa non avere timore di caricarsi delle responsabilità e dell’impegno di individuare stimoli creativi e fecondativi alternativi alle dinamiche distruttive e colpevolizzanti. Il cambiamento è responsabilità di chi costruisce con umiltà e condivisione, coinvolgendo il maggior numero di elementi in relazioni collaborative.
4. Piuttosto di cercare di demolire ciò che è ritenuto sbagliato, Mezzopieno propone alternative costruttive, buone pratiche e comportamenti che perseguono l’armonia e che non indirizzano energia per contrastare ma per creare. La scelta buona scaccia quella cattiva.
5. Chi si identifica nel Mezzopieno non esalta il buonismo ma ha un approccio positivo ed aperto al diverso e al nuovo.
6. Il cambiamento positivo va condiviso nella molteplicità e richiede di avvenire lentamente, con una presa di coscienza e la partecipazione costruttiva e allargata.
7. L’alternativa alla rivoluzione è l’evoluzione, la vera forza che manda avanti il mondo da sempre e che lo ordina attraverso la crescita e la collaborazione di tutti.
8. Mezzopieno non ha paura di perseguire una nuova innocenza, un disarmo che si fa seme di pace e di armonia.
9. Non è obiettivo di Mezzopieno produrre utili o generare profitto.
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IL DIALOGO di Monza
Quando siamo stati informati del concorso letterario Premio SLAncio, non abbiamo avuto alcun dubbio nell’aderire a questa bella, originale ed avvincente iniziativa. Soprattutto perché il promotore del concorso è Scriveresistere, il primo magazine al mondo scritto con gli occhi.
Il Dialogo di Monza – La provocazione del bene, è un giornale in profonda sintonia con tutte le iniziative che danno voce alla fragilità, a quel mondo “sommerso”, ma ricco di valori e di pensieri che rappresentano per le comunità potenti risorse mentali e culturali.
Antipatici luoghi comuni e arcaici pregiudizi morali considerano le persone, avvolte da quello che comunemente definiamo sfortuna, figli di un dio minore. Ma non è così. Il Dialogo di Monza, in rete da ottobre 2013, ha deciso di favorire la nascita di “speciali” redazioni come quella realizzata in collaborazione con la Fondazione Sacra Famiglia nel suo Centro di Inzago Simone Sorge, dove persone con gravi disabilità hanno potuto raccontare le loro esperienze, il loro modo di intendere la vita e di offrire coraggio. Lo stesso è accaduto nel Centro Diurno Stellapolare di Monza, centro di promozione della salute mentale.
Un’altra avventura è stata quella vissuta con Luigi Picheca che ha accettato di scrivere per il Dialogo di Monza e di firmare articoli per una rubrica - Scritti con SLAncioapprezzata e seguita da numerosi lettori. Luigi è diventato giornalista malgrado la SLA ed ora firma articoli per Scriveresistere un periodico che incuriosisce e stupisce le nostre coscienze.
È una grande cosa che persone che abitano nei luoghi della fragilità desiderino comunicare al mondo il loro modo di intendere la vita: i dolori, gli scoraggiamenti, il buio, l’oscurità ma anche la luce che illumina l’anima e la coscienza. Oggi più che mai abbiamo l’esigenza di un’informazione più completa, più equilibrata, più approfondita, più vera. Il male con la sua morbosa curiosità monopolizza le prime pagine mentre il bene fatica a conquistare un ruolo attrattivo per media e giornalisti. Promuovere e raccontare il bene è una sfida da accettare e far propria: come Davide che non si tirò indietro di fronte al gigante Golia, oggi più che nel passato il “sistema dominante” appare sempre più un gigante con le gambe di argilla.
172 Concorso 2023 - ALLEATI ISTITUZIONALI
www.ildialogodimonza.it
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indice
PREFAZIONE
Redazione SLAncio pag. 5
VOCI IN ARMONIA
Sezione dedicata alla poesia pag. 13
VOCI NARRANTI
Sezione dedicata al racconto pag. 37
VOCI DA ASCOLTARE
Sezione dedicata al podcast pag. 110
Sezione dedicata alla canzone pag. 117
GIOVANI VOCI
Classe Il B Liceo scientifico di Broni PV pag. 125
FRAGILI VOCI
Da Opera Cardinal Ferrari di Milano pag. 141
GRAZIE ALLE GIURIE POPOLARI SPECIALI pag. 155
APPENDICE
Alleati Istituzionali pag. 165
Ho preso il fuoco e ho bruciato il legno, ho preso un pezzo di ferro e l’ho sagomato con la fiamma ossidrica e poi l’ho spezzato, che è simbolo della forza.
L’energia della vita l’ho messa sul piano e poi ho voluto esaltare la luce dell’anima… in questo caso la luce del ferro.
Grazie a cosa? Alla tenebra: grazie al dolore c’è la gioia, grazie alla tenebra si esalta la luce.
La luce dice alla tenebra: “Ti ringrazio di esistere perché mi esalti” e la tenebra dice: “Anch’io ti devo ringraziare perché mi fai esistere.”
Pietro Coletta
“Premio SLAncio”
Pietro Coletta 2012 titolo: INDICIBILE tecnica: fuoco - ferro - legno
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un corovocidida ascoltare
Il tema di questa seconda edizione è VOCI dal silenzio, perché conosciamo l’importanza di poter comunicare, di uscire dall’indifferenza e dai pregiudizi, dal silenzio delle periferie, dell’esclusione, della fragilità.
Vogliamo dare voce a chi non ha voce, vogliamo sentirne il pensiero, il talento, la bellezza e la vitalità e farne modelli da imitare, tesori da scoprire, messaggi di vita da ascoltare. Voci per dire cosa?
Per raccontare ciò che si desidera far sapere, per lasciar parlare le proprie emozioni e il proprio mondo, per far riflettere, sorridere, sognare, scoprire realtà, dare prova della propria esistenza, per liberare il cuore!
Premio SLAncio è un concorso coraggioso, provocatorio, pieno di vita e capace di creare un coro di voci che dal silenzio riescono a toccare e stupire un mondo distratto e selettivo. www.scriveresistere.it