B. Palma Venetucci, Editoriale

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EDITORIALE BEATRICE PALMA VENETUCCI

Il progetto del Workshop, nato dall’esperienza acquisita durante i lavori del Convegno “Arqueología, Coleccionismo y Antigüedad. España e Italia en el siglo XIX”, tenutosi a Siviglia nel 2004, in collaborazione con l’Università di Roma Tor Vergata, si contraddistingue per il suo carattere innovativo indagando un aspetto del collezionismo meno noto, ovvero quello delle antichità orientali, di cui si analizzano le diverse manifestazioni: dalla “camera delle meraviglie” di epoca rinascimentale e barocca fino al collezionismo del primo Novecento. Il Workshop si è svolto nell’ambito dell’accordo di cooperazione interuniversitaria tra l’Università di Tor Vergata e quella di Siviglia, il 13 e 14 dicembre 2010 nel Museo delle Scuderie Aldobrandini di Frascati, in concomitanza con la Mostra “Il Fascino dell’Oriente nelle Collezioni e Musei d’Italia” allestita in occasione delle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia. All’incontro, importante momento di confronto scientifico, hanno partecipato numerosi studiosi italiani e spagnoli di


competenze scientifiche assai diverse: archeologi classici, storici, numismatici, topografi, orientalisti, storici dell’arte, islamisti. La prima giornata si è rivolta ad esaminare i vari aspetti del collezionismo, non solo il collezionismo romano, ma anche quello di altri centri italiani quali Bologna, Firenze, Cagliari, Torino, Como. Il Workshop ha messo tra l’altro in risalto le strette analogie nelle scelte tematiche di collezionisti italiani e spagnoli, dalle prime collezioni epigrafiche e numismatiche del Cinquecento fino all’interesse internazionale per i materiali fenicio-punici tra Ottocento e Novecento. Per quanto concerne il collezionismo spagnolo che si intreccia assai sovente, per analogie di materiali collezionati, con quello italiano P. Rodriguez Oliva ha offerto uno spaccato sui vari protagonisti della famiglia Torres-Lancellotti, vissuti tra Malaga e Roma, e messo in luce come il collezionismo nel corso dei secoli si rivolga anche ai materiali fenicio-punici; J. Beltran Fortes e J. R. Lopez Rodriguez hanno evidenziato come il Museo di Siviglia si sia formato nei secoli con materiali scavati a Italica, ma anche con materiali provenienti da collezioni cinquecentesche (del primo duca di Alcalà, vicere spagnolo a Napoli) di provenienza italiana; J. García Sanchez si è soffermato sull’interesse della Spagna per le nuove scoperte sulle rive dell’Eufrate, per i rilievi assiri, le tavolette cuneiformi, sul viaggio della fregata Arapiles che aveva lo scopo di procurare antichità per il Museo di Madrid appena costituito; l’eclettismo che caratterizza la fine dell’Ottocento è ben espresso dalla collezione dell’arabista Pascual de Gayangos che raccolse oltre ad oggetti arabi, un askos miceneo e vasi greci. Il ruolo del console italiano a Cipro, Colucci, nel procurare antichità cipriote, da Larnaca, per le collezioni medicee a Firenze (che acquisiscono anche vasi dipinti di fattura corinzia, donati dal console Salomon Fernandez e provenienti dalla Tessaglia, forse Farsalo), è messo bene in luce da M.G. Marzi. G. Pisano, che nell’ambito degli studi fenici e punici si è per prima occupata di collezionismo, ha presentato un breve excursus sulla formazione di alcune delle più importanti 6


collezioni di oggetti fenici e punici, provenienti dagli scavi condotti in Sardegna tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, confluite poi in vario modo nei Musei di Cagliari, Sassari, Torino, Como nonché al British Museum. Riguardo al patrimonio culturale della Sicilia fenicia e punica va ricordata la collezione di G. Whitaker, costituita da circa settemila pezzi tutti provenienti dagli scavi di Mozia, Lilibeo e Birgi, oggi esposti per la gran parte nel Museo di Mozia, ma anche nel Museo Archeologico Regionale Baglio Anselmi e nella Villa Malfitano a Palermo. Il nuovo interesse per i materiali che si venivano scoprendo in Spagna alla fine dell’Ottocento (la dama di Elche, le statuette da Cerro de los Santos), che posero la cultura europea a contatto con materiali “non classici”, preistorici, ma piuttosto strettamente legati all’Oriente, e che si stentarono a classificare come “iberici” è stato messo bene in risalto da R. Olmos e T. Tortosa i cui interventi fanno notare come queste scoperte si colleghino alle varie relazioni di viaggi su un Oriente misterioso e pieno di fascino. Il collezionismo borghese eclettico di fine dell’Ottocento a Madrid è ben espresso dalle collezioni di José Lazaro Galdiano, del marchese di Cerralbo, interessato anche ai materiali preistorici, di Antonio Vives y Escudero, importante intermediario e mercante, i quali acquisirono materiali provenienti non solo dalla Spagna, ma anche dal mercato antiquario di Parigi, Berlino, Londra, Roma; soffermandosi su ognuno di questi collezionisti G. Mora si è interessata anche alle numerose falsificazioni che allora circolavano. Il Workshop consente di seguire le vicende del collezionismo di “orientalia” in Italia dagli aegyptiaca negli studioli rinascimentali (sugli Este si è soffermata M. Mangiafesta che, grazie all’esame delle dispersioni delle collezioni estensi ha rintracciato una statuetta del Nilo, già a Villa d’Este, successivamente acquistata dal cardinale Alessandro Albani e da questo venduta a Parigi ed oggi al Museo del Louvre), barocchi (sui Verospi-Vitelleschi M.G. Picozzi), ottocenteschi (la collezione del pittore Pelagio Palagi formata da oltre tremila oggetti acquistati in Egitto Horti Hesperidum, II, 2012, 1

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mediante il console Nizzoli è stata analizzata da S. Capocasa) fino alle scelte di orientalia diversi (vasi greci, oggetti ciprioti, assiri, fenicio-punici) nel tardo Ottocento, ed all’ampliamento degli orizzonti verso la Cina e il Giappone (ben documentato dalle vendite delle case d’asta in tutta Europa e in America e dalle collezioni del barone Michele Lazzaroni, dell’antiquario Costantino Corvisieri e dell’americano George Wurts); per non dire degli interessi nei confronti dell’oggetto ispano–moresco (di cui vengono fatte numerose imitazioni ad opera di Guglielmo Castellani) e islamico tra fine Ottocento e i primi del Novecento (hanno affrontato queste problematiche C. Benocci, V. Colonna). J.Clemente Rodriguez Estevez ha esaminato il problema del reimpiego di alcuni elementi architettonici dell’Andalusia: colonne, capitelli, bacini, iniziando dal califfato di Cordoba. Esposizioni Universali, letteratura di viaggio, descrizioni e rilievi di scenari lontani: questi, come è noto, sono, soprattutto a partire dal XVIII secolo, i veicoli di diffusione della conoscenza delle culture “altre” in Occidente. Essi sono altresì il canale privilegiato per la trasmissione dei modelli ornamentali islamici all’interno del contesto produttivo artistico occidentale. La trasposizione concreta dell’interesse per l’oggetto islamico si realizzerà attraverso le scuole d’arte applicata, volte allo studio e alla rielaborazione dei manufatti e dei motivi decorativi. Connessi a queste scuole, o istituti, nascono in Europa e in Italia i musei cosiddetti d’arte industriale o di arti decorative. In tale contesto il contributo di V. Colonna si concentra sulla realtà romana e sull’esperienza, ancora non studiata in modo sistematico, del Museo Artistico Industriale attraverso la presentazione di alcuni manufatti d’arte islamica lì presenti. Al tema del viaggio in Oriente nelle varie epoche sono rivolte varie relazioni (J. Garcia Sanchez, R. Olmos), mentre il contributo di V. Sagaria Rossi è incentrato sulla figura di Leone Caetani di Sermoneta, storico del primo Islam e viaggiatore d’eccezione. Attraverso le sue diverse ‘tappe’ di esploratore in Medio Oriente – Egitto, Sahara algerino, Persia, India – i suoi diari e le fotografie di viaggio, sono esaminate le modalità di vivere l’Oriente a fine ‘800 da parte di un aristocratico ‘con gli 8


stivali nel fango’, desideroso di formarsi sul campo. Nella veste inedita di collezionista di viaggi, in senso antropologico e etnografico, il giovane Caetani seppe coniugare i suoi viaggi in chiave di missione personale, scrigni dal valore incomparabile alla stregua dei suoi libri, ai quali attinse per i suoi studi futuri e dai quali rimase per sempre trasformato. Gli studi archivistici condotti da R. Carloni, oltre che mettere in risalto le scelte di orientalia per i Musei Vaticani tra Settecento e Ottocento (aegyptiaca, divinità leontocefala mitraica, Cibele, Diana efesia) hanno evidenziato l’importanza dei restauri e delle scelte di marmi miranti a restaurare pezzi in marmi pregiati e colorati. Utile il saggio anche per quanto attiene alle provenienze degli oggetti: sono emersi, oltre che l’Oriente vero e proprio, siti scavati a Roma (Foro Romano, orto del Sancta Sanctorum al Laterano, Villa Montalto Negroni, Piazza Venezia) e nel Lazio che consentono di allargare le provenienze a Tor Colombaro, Acqua Traversa, Otricoli. La seconda giornata si è rivolta a presentare singoli monumenti o contesti di provenienza. Le indagini topografiche di M.P. Muzzioli e I. Della Giovampaola, avvalendosi della documentazione archivistica e cartografica, rivelano importanti novità sul luogo di rinvenimento nell’agro lanuvino della stele probabilmente sepolcrale del Gallus, oggi conservata alla Centrale di Monte Martini e su Nomentum, ove nuovi spunti di ricerca sono forniti dai ritrovamenti relativi ai culti di Iside e Serapide (nel corso dell’Ottocento in scavi nelle tenute del Principe Borghese a Casali di Mentana – località Romitorio fu rinvenuta un’ara dedicata ad Iside e Serapide che dopo vari passaggi di proprietà si trova oggi a Roma all’Accademia Americana, Villino Chiaraviglo), della Magna Mater Cibele (un’ara rinvenuta nello stesso territorio di Mentana, forse nella Vigna Santucci è confluita nei Musei Vaticani) e infine di Mitra. Gli interventi hanno avuto lo scopo di associare i manufatti “orientali” collezionati e quindi oggetto di restauro e sovente dispersi sul mercato antiquario, alle diverse strutture sociali e culturali recuperando i diversi contesti di provenienza (ville e domus, santuari, edifici funerari, vie): i materiali provengono oltre che da Roma, anche da località del Lazio, importante Horti Hesperidum, II, 2012, 1

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crocevia di culture per l’importazione o rielaborazione delle antichità orientali in edifici di culto, domus, villae. Per il suburbio alcune novità sono emerse dall’analisi dei ritrovamenti della Vigna Bonelli-Crescenzi Mangani nel corso dei secoli da parte di C. Manetta e M.C. Vincenti che hanno messo in risalto una pluralità di culti: oltre alle divinità palmirene, alla dea Syria-Atargatis-Afrodite (C. Manetta formula una interessante ipotesi che il rilievo del sacerdote della dea Atargatis pervenuto ai Musei Capitolini tramite Commercio antiquario possa provenire dalla medesima area), dee egizie, dell’Asia Minore: Afrodite di Afrodisia, la fenicia Astarte; per Aricia M. C. Vincenti offre una nuova lettura del rilievo isiaco di Palazzo Altemps, e, causa la sua connessione con la sepoltura di Arignotus, seguace di Iside, propone che forse il santuario raffigurato sul rilievo non sia l’Iseo del Campo Marzio, ma un santuario locale aricino. Anche i siti di Nemi, Genzano, Lanuvio, Tusculum, Colonna (Labici), Marino, Praeneste, Grottaferrata, Ostia, Porto, TiburVilla Adriana, consentono di ricostruire contesti irrimediabilmente smembrati dagli scavi “non scientifici” e dispersi tramite il commercio antiquario nei vari Musei d’Europa. Il proseguire delle indagini sulle tematiche orientali a villa Adriana condotte da B. Cacciotti ha svelato nuovi interessanti aspetti della politica religiosa di Adriano dove le statuette egizie della collezione Massimo del Carpio sono forse da ricondurre a cerimonie isiache e iniziatiche. Alcune novità sono emerse dall’analisi dei restauri delle altre statue del Marchese del Carpio di diversa provenienza, ma restaurate con marmi provenienti da Villa Adriana. Lo sguardo agli orientalia è a tutto tondo, rivolto alle varie divinità dell’Egitto. L’analisi di una statua di Bes della collezione Verospi, rintracciata da M.G. Picozzi al Fitzwilliam Museum di Cambridge, pone interessanti interrogativi sulla sua provenienza rivelando strette analogie con la statua del Bes Barracco, rinvenuta in una villa di Colonna. Altrettanto interesse per le divinità dell’Asia Minore: Artemis efesia, Afrodite di Afrodisia. 10


Tra le novità più significative: la recente scoperta della testa di Artemide di Efeso a Via Marmorata presentata per la prima volta da A. Capodiferro, consente di riesaminare alcune peculiarità della testa definita un unicum: le rosette, le Nikai sul nimbo, trovando puntuali confronti nelle repliche dell’Afrodite di Afrodisia, note da disegni di Pirro Ligorio e da un esemplare rinvenuto nel Foro Romano, pongono inquietanti interrogativi sulla pertinenza della testa al tipo di Artemide efesia (dall’Aventino provengono la statuetta di Diana efesia in alabastro, ma anche una tabula isiaca, una dedica a Cibele). Così pure per quelle della Persia. Un inedito gruppo frammentario di Mitra tauroctono oggi conservato nella chiesa di San Saba è oggetto del contributo di M. Bonanno Aravantinos, che ne ripercorre la storia dal momento del ritrovamento a fine Ottocento (costruzione dell’Albergo Costanzi) consentendo di ricondurlo ad uno dei Mitrei della Regio VI. Oggetto di studio gli strumenti di culto provenienti dalle varie aree santuariali: l’area di Nemi presa in esame da G. Ghini e A. Palladino ha condotto ad un riesame delle celebri Navi indagate alla luce di modelli orientali alessandrini. Dall’area tra Bovillae e Castrimoenium, analizzata da G. Rocco, provengono numerosi orientalia anche fittili e statuette di piccole dimensioni forse votive provenienti da santuari o larari: con Iside, Cibele, Mitra (di particolare importanza oltre alle Lastre Campana con motivi esotici dalla Villa di Voconio Pollione anche la testina di fanciullo con pettinatura isiaca dalla Villa di Gallieno). I vari saggi presentati in questa sede dimostrano l’importanza degli studi interdisciplinari, aprendo nuove interessanti prospettive di ricerca.

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