Horti Hesperidum Studi di storia del collezionismo e della storiografia artistica Rivista telematica semestrale
DISEGNARE A ROMA TRA L’ETÀ DEL MANIERISMO E IL NEOCLASSICISMO a cura di FRANCESCO GRISOLIA
Roma 2014, fascicolo I
UniversItalia
Il presente tomo riproduce il fascicolo I dell’anno 2014 della rivista telematica Horti Hesperidum. Studi di storia del collezionismo e della storiografia artistica. Cura redazionale: Michela Gentile, Marisa Iacopino, Marta Minotti, Giulia Morelli, Jessica Pamela Moi, Gaia Raccosta, Deborah Stefanelli, Laura Vinciguerra.
Direttore responsabile: CARMELO OCCHIPINTI Comitato scientifico: Barbara Agosti, Maria Beltramini, Claudio Castelletti, Valeria E. Genovese, Francesco Grisolia, Ingo Herklotz, Patrick Michel, Marco Mozzo, Simonetta Prosperi Valenti Rodinò, Ilaria Sforza Autorizzazione del tribunale di Roma n. 315/2010 del 14 luglio 2010 Sito internet: www.horti-hesperidum.com
La rivista è pubblicata sotto il patrocinio e con il contributo di
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Dipartimento di Scienze storiche, filosofico-sociali, dei beni culturali e del territorio Serie monografica: ISSN 2239-4133 Rivista Telematica: ISSN 2239-4141 Prima della pubblicazione gli articoli presentati a Horti Hesperidum sono sottoposti in forma anonima alla valutazione dei membri del comitato scientifico e di referee selezionati in base alla competenza sui temi trattati. Gli autori restano a disposizione degli aventi diritto per le fonti iconografiche non individuate.
PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA © Copyright 2014 - UniversItalia – Roma ISBN 978-88-6507-740-5 A norma della legge sul diritto d’autore e del codice civile è vietata la riproduzione di questo libro o parte di esso con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilm, registrazioni o altro.
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INDICE
FRANCESCO GRISOLIA, Presentazione
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MARCELLA MARONGIU, «… perché egli imparassi a disegnare gli fece molte carte stupendissime…». I disegni di Michelangelo per Tommaso de’ Cavalieri
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ALESSIA ULISSE, Una proposta per Siciolante
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MARCO SIMONE BOLZONI, Qualche aggiunta a Nicolò Trometta disegnatore
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STEFAN ALBL, Tre nuovi disegni di Giovanni Andrea Podestà e proposte su Podestà pittore
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KIRA D’ALBURQUERQUE, Aggiunta alla serie dei Piatti di San Giovanni: il ruolo di Ciro Ferri e Pietro Lucatelli
121
LUCA PEZZUTO, Novità su alcuni “petits maîtres” del Seicento tra L’Aquila, Roma e Ascoli Piceno: Francesco Bedeschini, Cesare Fantetti, Ludovico Trasi
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URSULA VERENA FISCHER PACE, SIMONETTA PROSPERI VALENTI RODINÒ, Per Giacinto Brandi disegnatore
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GONZALO ZOLLE, La centralità del disegno nella ricostruzione dell’opera pittorica di Andrea Procaccini: tre casistiche e nuovi dipinti
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PILAR DIEZ DEL CORRAL, «To breathe the ancient air». Il disegno ornamentale e architettonico spagnolo e l’Accademia di Francia a Roma nel Settecento
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STEFANIA VENTRA, Disegni di Tommaso Minardi in Accademia di San Luca. Il legato testamentario e altre acquisizioni
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GIULIO ZAVATTA, Per Francesco Coghetti: nuovi documenti e un inedito disegno per il sipario del teatro di Rimini
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FRANCESCO GRISOLIA, Un disegnatore dalmata a Roma: su Francesco Salghetti-Drioli e un foglio firmato
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ABSTRACTS
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NOVITÀ SU ALCUNI PETITS MAÎTRES DEL SEICENTO TRA L’AQUILA, ROMA E ASCOLI PICENO: FRANCESCO BEDESCHINI, CESARE FANTETTI, LUDOVICO TRASI LUCA PEZZUTO
Nella seconda metà del Seicento gli spettacolari quanto eterogenei esiti stilistici dell’arte ‘romana’, oltre a rappresentare un punto di riferimento imprescindibile per chiunque volesse accostarsi alle professioni artistiche, esercitarono, come di consueto, una grande influenza anche in alcuni centri periferici limitrofi quali L’Aquila e Ascoli Piceno. All’Aquila Giulio Cesare Bedeschini (1583 ca.-1625 ca.) aveva introdotto nella prima metà del secolo la pittura tardo manierista e controriformata di origine toscana seguendo gli orientamenti del cognato Bernardino Monaldi (notizie 1586 ca.-1620 ca.), attivo in città nell’ultimo lustro del Cinquecento1. Era questo uno stile già da tempo professato nell’Urbe da quel noto gruppo di artisti Su Giulio Cesare Bedeschini si veda principalmente: MONINI 2006A con relativa bibliografia di riferimento. A questo si aggiungano GIULIANI 2008; MONBEIG GOGUEL 2009; MONINI 2010; BATTISTELLA 2013; DIE ZEICHNUNGEN DES GIULIO CESARE BEDESCHINI 2013. 1
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toscani, tra i quali annoverare anche il probabile maestro – stando alla tradizione locale – di Giulio Cesare: Lodovico Cardi detto il Cigoli (1559-1613)2. Dopo la morte del padre, fu Francesco Bedeschini (1626-1695 ca.) a dominare incontrastato la scena aquilana per quasi un quarantennio, indirizzandosi verso la temperie culturale romana3. Di fianco a Bedeschini, in qualità di incisore e, assai più raramente, di pittore, compare una figura ancora oggi assai sfuggente dal punto di vista critico, quel «Cesare Fantitto» ricordato dalle antiche fonti locali come valente artista, ma ingiustamente relegato dagli studi più recenti al solo ruolo di locale comprimario bedeschiniano4. Dopo il terremoto del 1703 e la scomparsa di Bedeschini, la necessità di dover procedere alla sistematica ricostruzione di una città totalmente devastata dal sisma comportò l’arrivo di nuovi artisti e artigiani forestieri, spostando l’orientamento stilistico di riferimento, come di frequente è avvenuto nella storia della città abruzzese, da Roma a Napoli, cambio di rotta determinato anche dalle disposizioni legislative borboniche in materia di ricostruzione. Ad Ascoli Piceno, invece, a partire dal 1655, dopo un periodo di profonda depressione, si impose quale indiscusso protagonista della pittura cittadina Ludovico Trasi (1634-1694), artista marchigiano di formazione romana, che lavorò ininterrottamente per circa un trentennio nel territorio Il discepolato di Giulio Cesare Bedeschini presso la bottega del Cigoli è citato per la prima volta da LEOSINI 1848. Anche se Giulio Cesare non può essere annoverato tra i più stretti seguaci di Ludovico Cardi (MONBEIG GOGUEL 2009, p. 484) andrà maggiormente indagato tale rapporto per spiegare l’orientamento marcatamente toscano dell’artista. 3 Su Francesco Bedeschini si veda: MONINI 2006B con relativa bibliografia essenziale. A questo si aggiunga la voce nel Dizionario Biografico degli Italiani (= DBI) sull’intera famiglia di artisti Bedeschini: CHIERICI 1970 con ulteriori riferimenti bibliografici. Sul ruolo egemone di Francesco: COLAPIETRA 1979, p. 26. 4 Sull’improbabile «Cesare Fantitto» aquilano si veda la voce del DBI (ZACCAGNINI 1994) con bibliografia precedente. Per un ulteriore progresso degli studi sull'artista aquilano si veda M. Congeduti in OLTRE CARAVAGGIO 2014, pp. 137-141. 2
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aprutino contribuendo in maniera notevole alla diffusione del marattismo nelle Marche meridionali.5 Nel presente testo si vuole contribuire alla conoscenza dell’attività grafica di questi artisti attraverso la presentazione di alcuni disegni inediti o attribuiti in passato ad altre mani e che, invece, per stile e riferimenti documentari devono essere a loro restituiti. Nello specifico, da un lato ci si concentrerà su alcuni progetti bedeschiniani, tra cui uno mai portato a termine, ma attestato dalle carte d’archivio, per il Deposito barocco dedicato al santo Celestino V da edificarsi nella chiesa di Santa Maria di Collemaggio all’Aquila. Dall’altro lato, si renderanno noti due disegni allegati ad un contratto stipulato da Trasi per l’esecuzione di uno stendardo processionale per la Compagnia di sant’Erasmo di Ascoli Piceno. Verranno poi presentati altri fogli attribuibili a Francesco Bedeschini e una serie di documenti aquilani, fondamentali per precisare l’attività di questo maestro e chiarire definitivamente l’identità del «Cesare Fantitto» abruzzese con l’incisore Cesare Fantetti, operante insieme a Pietro Aquila nella famosa serie di incisioni tratte dalle Logge di Raffaello in Vaticano, edita per la prima volta da Giovanni Giacomo De Rossi nel 1674 con il titolo Imagines Veteris ac Novi Testamenti. Francesco Bedeschini Francesco Bedeschini divenne in poco tempo il massimo artista aquilano della seconda metà del Seicento, uno status sociale di grande rilievo che non trova riscontro nella pur significativa vicenda del padre Giulio Cesare, né tantomeno in quella dello zio monsignor Giovan Battista, la cui nebulosa figura è ancora lungi dall’essere definita. L'ascesa di Francesco non sembra esser stata adeguatamente considerata e non è bastato a tale scopo il generoso ricordo manoscritto lasciato a futura memoria da Anton Ludovico Antinori (1704-1778), vescovo aquilano ed Su Ludovico Trasi si veda principalmente ALUNNO 2008 con bibliografia di riferimento. A questo si aggiungano le aperture di PAPETTI 2011. 5
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erudito legato alla cerchia di Ludovico Muratori6, il quale nei suoi annali manoscritti, conservati nella biblioteca provinciale dell’Aquila, così ricordava il poliedrico artista: Nell’Aquila fioriva Francesco di Giulio Cesare Bedeschini uomo di molta fama ed insigne nelle professioni di pittura, e d’architettura, aveva date in esse più ramine ed altre opere alle stampe ed aveva co’ suoi disegni abbellito alla moderna maniera le principali chiese della città, le stanze del quarto del Palazzo del Magistrato e renduto più cospicuo e vago il teatro pubblico per nuove invenzioni7.
Infatti, escludendo gli scritti di Raffaele Colapietra, storico aquilano al quale si deve il merito di aver recuperato dall’oblio la figura professionale di Francesco8, poco altro è stato scritto su Bedeschini il giovane, essendo l’attenzione degli storici dell’arte concentrata quasi univocamente sul padre Giulio Cesare. Occorre riepilogarne brevemente la vicenda critica e biografica. La prima opera nota di Bedeschini è un affresco raffigurante Sant’Antonio da Padova, commissionatogli nel 1643 da Ludovico De Nardis, patrizio aquilano nonché membro dell’Ordine dei Cavalieri di Malta, in una nicchia del suo palazzo in via San Marciano all’Aquila9. Luogo in cui pochi anni dopo sarebbe sorto a poca distanza dalla residenza signorile l’Oratorio Sant’Antonio De Nardis, edificio in cui fu implicato anche il giovane Ercole Ferrata. Il talentuoso artista lombardo di stanza a Napoli, inizialmente chiamato in Abruzzo dal mercante aquilano Fabrizio Colantonio per la realizzazione di un altare e di alcune sculture da allogare nella cappella gentilizia presso la chiesa di Santa Maria di Roio, fu impiegato dai De Nardis Per un primo approfondimento su Anton Ludovico Antinori si vedano ZICÀRI 1961 e BOFFI 2006 con relative indicazioni bibliografiche. 7 A.L. Antinori, Annali degli Abruzzi, L’Aquila, biblioteca provinciale Salvatore Tommasi (= BPA), c. 286. 8 Si vedano soprattutto COLAPIETRA 1978; COLAPIETRA 1984 e COLAPIETRA 2000. 9 COLAPIETRA 1984, p. 440. 6
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nell’esecuzione di una statua raffigurante Sant’Antonio da Padova10. Contingenza che interessa particolarmente in questa sede, dato che lo storiografo Filippo Baldinucci nel redigere la vita dello scultore e ricordando questo episodio («Fece poi di pietra dolce, ad istanza di un cavaliere gerosolimitano, una figura di santo Antonio da Padova, grande quanto il naturale»), menzionò anche il giovane Bedeschini: Avevane il cavaliere (che devotissimo era del santo) fatta rappresentare un’altra in pittura, per mano di un tale Francesco Bedeschino in una sua casa vicino al duomo, per la quale immagine non andò molto, che operò Iddio tanti e sì grandi miracoli, che parte della casa fu convertita in una chiesa, sopra la porta della quale fu poi dato luogo alla statua scolpita dal Ferrata11.
La particolare fortuna del Sant’Antonio da Padova di Bedeschini non rappresenta un caso isolato nella produzione di questo artista; credo, invece, sia indicativa della sua notorietà e del ruolo svolto dalle sue opere nella promozione del culto francescano e gesuitico all’Aquila. È sintomatico, ad esempio, che un nutrito numero di stampe ricavate da una sua incisione raffigurante la Madonna della Misericordia (fig. 1)12 abbia conosciuto una diffusione capillare nel territorio circostante dopo il terremoto del 1654 e la peste del 1656 – immagine riprodotta persino nei bollettini rilasciati alle donne dirette in campagna per lavorare lo zafferano13 –, nonché una cospicua serie di derivazioni pittoriche, la più famosa delle quali, posta sulla porta di ingresso della città conosciuta come Porta Bazzano, presentava la seguente iscrizione: «QUIQUIS ADES
Per l’esperienza abruzzese di Ferrata si veda FIASCHI 1999, pp. 43-53. BALDINUCCI 1681-1728, vol. V, pp. 379-380. 12 BPA, sezione incisioni e stampe, ABR st “A” D 58/1, Album 14670, Francesco Bedeschini, Madonna della Misericordia, 1657, Bulino, 268 x 204 mm. 13 COLAPIETRA 1984, p. 451. 10 11
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VIATOR INGREDERE TUTUS AQUILAM MARIAE SUB PENNIS PROTECTAM UBI IMMACOLATUS ADORATUR CONCEPTUS»14.
Tornando alla vicenda giovanile di Bedeschini, l’esecuzione di una statua dell’Oratorio Sant’Antonio De Nardis da parte di Ferrata, la presenza, seppur sporadica, di Francesco in quel cantiere, il congenito cambio di indirizzo formale nell’arte del periodo, dovettero sicuramente orientare il gusto dell’aquilano verso l’Urbe e gli esiti della cultura figurativa berniniana. E proprio in Bedeschini, infatti, si dovrà riconoscere il padre del Barocco aquilano, uno dei principali protagonisti del rinnovamento della città, avvenuto a partire dagli anni Sessanta del Seicento, dopo il sisma del 1654, ben prima, quindi, del terremoto del 1703, che in passato è stato spesso interpretato arbitrariamente come punto di partenza per l’inevitabile arrivo del nuovo stile in un territorio lacerato dalla calamità naturale15. In realtà, di Francesco Bedeschini furono importanti soprattutto i disegni. La sua attività, in qualità di architetto, scenografo, pittore e scultore, fu pressoché univocamente intellettuale, fu progettista e direttore dei lavori, colui che concepiva l’idea, ne controllava l’esecuzione, ma senza ad essa partecipare direttamente. In tal senso, consegnò schizzi per produzioni di ogni sorta, dagli apparati scenici per il teatro alle macchine effimere costruite in occasione delle festività religiose, dai progetti per le più importanti fontane pubbliche agli apparati in stucco che andavano modificando il volto delle A.L. Antinori, Annali, BPA, vol. XLVIII, 1, c. 34. Per un riepilogo della questione si veda ancora COLAPIETRA 1978, pp. 397-398, giustamente critico nei confronti dei lavori di ‘ripristino’ della chiesa di Santa Maria di Collemaggio da parte dell’allora soprintendente Mario Moretti, e BORSELLINO 1998, pp. 330-331, con precedente bibliografia. Tuttavia, andrà considerato che un rapporto di sorta tra gli effetti del sisma del 1654 (e non 1703, sic!) e la trasformazione barocca della città dovette necessariamente esistere, anche solo perché alcuni edifici ebbero bisogno di importanti interventi di ripristino. Detto questo, ci saranno state altrettante commissioni e trasformazioni (si veda la vicenda analizzata successivamente dell’altare maggiore della chiesa di San Bernardino) dovute solo ad un mutamento del gusto dei tempi. 14 15
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chiese aquilane, dai disegni per alcuni monumenti funebri alle incisioni e alle maioliche. Una pratica già riconosciutagli nel citato passo dell’Antinori: «aveva co’ suoi disegni alla moderna maniera le principali chiese della città, le stanze […] del palazzo del Magistrato, e renduto più cospicuo e vago il teatro pubblico per nuove invenzioni»16. Un patrimonio grafico davvero sconfinato, testimonianza di un’attività quarantennale e di un successo incontrastato in ambito locale, con fogli ormai dispersi nelle collezioni italiane e internazionali, ma della cui reale entità rende memoria il testamento stilato dall’artista infirmus corpore il 31 gennaio 1694, atto in cui dichiarava di havere uno Studio di Disegni, Inventioni, Architetture, Abellimenti, Quadri, Pitture, Gessi (…) ridotto et esistente in due stanzini della sua Casa dove al presente habita nella parte superiore di essa,
del quale fu nominato, in attesa che gli altri suoi eredi raggiungessero la maggiore età, «assoluto conservatore» il figlio primogenito, l’arciprete (anche egli artista) Carlantonio. Tra i beni custoditi nelle due stanze Francesco, «codicillando», ricordava orgogliosamente «li centoventuno Libretti di Disegni et Inventioni esistenti in detto Studio in una cascia serrata»17. Riepilogando, tra i progetti architettonici di Bedeschini sono da annoverare l’«ammodernamento» della cattedrale aquilana (1662 e 1673), due cappelle per la chiesa di San Biagio d’Amiterno (1660-1661), il progetto per la costruzione di una balaustrata e di una scala di accesso al Deposito di San Bernardino nella chiesa omonima (1669), gli stucchi dell’interno della chiesa di Santa Maria di Collemaggio (1673), il ripristino e ampliamento del teatro pubblico dell’ospedale di San Salvatore (1673) e la
Si veda nota 7. Archivio di Stato dell’Aquila (= ASAq), sez. Notai L’Aquila, notaio Tommaso Filippo Petruccio Celio, busta 934, Testamenti, 1694, cc. 24r-25r. 16 17
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ristrutturazione del convento degli agostiniani (1684)18. In qualità di inventor, degna di nota è la serie di incisioni raccolte in quello che, seppur rimaneggiato, dovette costituire uno dei suoi 121 (non 131) libretti di invenzioni e disegni, oggi conservato nella biblioteca provinciale Salvatore Tommasi dell’Aquila (figg. 2-7)19. Documenti, stampe e disegni inediti Uno dei lavori più importanti, comunque, fu l’incarico municipale del 1688 di rivestire di stucchi una stanza del Palazzo della Camera da adornarsi con i ritratti di due pontefici e otto cardinali di origine aquilana, commissione che diede avvio a un progetto di più ampia portata da parte della magistratura cittadina, la costituzione di una Galleria di Uomini Illustri della città che comprendesse personaggi noti da Sallustio fino ai contemporanei20. Nella realizzazione della prima stanza Bedeschini è esplicitamente menzionato dai documenti in qualità di inventore dei disegni per gli stucchi, ma fu coadiuvato nell’esecuzione del lavoro da Giuseppe Del Grande e dall’autore dei dipinti, Cesare Fantetti. In tal senso, come si evince dalla porzione di documento trascritto di seguito, il Bedeschini non fu, come supposto, l’artefice dei disegni preparatori dei quadri, opera esclusiva di Fantetti, bensì Per questi incarichi si vedano COLAPIETRA 1978; COLAPIETRA 1984; COLAPIETRA 2000, pp. 454-479; MONINI 2006B, pp. 265-270. 19 BPA, Rari 21, Bedeschini Francesco. Disegni sec. XVII. Si tratta di un album composto di 29 fogli con bulini raffiguranti progetti decorativi, lunette, medaglioni e intagli di carattere miscellaneo, le cui dimensioni medie oscillano dai 155 x 325 a 112 x 218 mm, con alcune incisioni di dimensioni minori (112 x 84 mm) raccolte a coppia nel singolo foglio. La datazione di tali bulini varia dagli anni Sessanta del Seicento al 1701; è ipotizzabile che in origine tale album, le cui dimensioni originali dovettero essere ben più cospicue, fosse uno dei manufatti citati nel testamento di Bedeschini, raccolti dentro «una cascia serrata». 20 ASAq, Archivio Civico Aquilano (= ACA), Liber Reformationis, T 35, cc. 353v-355v, per l’ampliamento della commissione si veda T 35, cc. 368v-379r; documenti citati parzialmente da Colapietra 1978, p. 215. 18
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l’ideatore del solo apparato decorativo, contenente, tra le altre cose, un medaglione barocco in cui dovettero trovar posto le iscrizioni riportate dal documento21: Havendo gli odierni Signori del Magistrato per lustro di questa città […] pensato d’adornare una delle camere dell’Appartamento del nostro Palazzo e propriamente la terza, con li ritratti di quelli che sono stati più cospicui nella dignità Ecclesiastica et […] di terminare la detta camera con l’affisione de Ritratti di due sommi pontefici et otto Cardinali della Sacra Romana Chiesa dipinti per mano di Cesare Fantitti nostro Cittadino, con l’adornamenti de stucchi, disegno fatto con molto intendimento da Francesco Bedeschini nostro cittadino, lavorati da Magistro Giuseppe del Grande stuccatore medesimamente nostro cittadino […] proponendosi anche essersi considerato che maggiore esplicazione del contenuto de li ritratti habbia a farnesi un iscrittione nel cartellone di stucco acciò destinato nel disegno, da restare sempre in detta stanza per detta memoria […] seguente: “Benemeritis Filijs Ad Primas Ecclesiae Dignitates Erectis in Perennem Memoriam in Posterorum Piam Emulationem […] Aquila Anno Domini 1688. Invictissimo Carlo Secundo Rege, Magistratis Fungentibus, Ill. D. Stephano Alferio Camerario, Ill. D. Joanne Mattheo Brancadori, Alessandro Cresio, Alessio Crescentio”. Et insieme per far riconoscere che l’opera di detta stanza sia stata fatta l’intiero tutta da nostri cittadini Aquilani; apponere li nomi delli tutti, cio è in ciascheduno, de quadri di detto Cesare Fantitti; et in piedi di detto cartellone di detto Francesco Bedeschini, come inventore di detto lavoro e di detto Maestro Giuseppe del Grande stuccatore22.
Sulla questione si era espresso così Raffaele Colapietra, seguito pedissequamente dalla successiva critica. In realtà attraverso la paziente rilettura dei documenti è stato possibile chiarire meglio la vicenda, aggiungendo anche delle notazioni riguardanti i successivi incarichi. Per una rilettura degli originali si guardi ASAq, ACA, Liber Reformationis, T 35, da c. 368v a c. 379r. Per il fraintendimento critico, si vedano COLAPIETRA 1978, p. 215 e COLAPIETRA 1984, pp. 461-464. 22 Asaq, ACA, Liber Reformationis, T 35, cc. 369v. 21
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Nel giro di pochi mesi i Signori del Magistrato decisero di estendere i lavori ad altre due stanze del Palazzo, in cui inserire «li ritratti di Vescovi e Prelati più cospicui nostri cittadini» e «li quatri di Giesù Christo e de nostri santi antichi e moderni protettori». Gli apparati decorativi di tali sale furono eseguiti nuovamente da Giuseppe Del Grande, coadiuvato dai fratelli Franco e Antonio, ancora «secondo il disegno del nostro benemerito cittadino Francesco Bedeschini».23 E mi pare che all’interno di questo progetto debba essere necessariamente inclusa anche l’incisione dedicatoria conservata nell’Album della biblioteca provinciale, raffigurante un cartiglio che bene ci informa circa l’aspetto dei medaglioni effigiati in questi appartamenti (fig. 6). Il testo, in linea – per quel che riguarda mese, anno, stemma della città e personaggi interessati – con l’iscrizione precedentemente trascritta e con le altre presenti nei documenti, recita: Inclitae et Fidelissimae Urbis Aquila Sannitum Principi Gloriosa Nec non Illustrissimis D.D. IL. D. Stephano Alferio Camerario Il. D. Jo. Mattheo Brancadori, Alexandro Cresio et Alessio Crescentio Ad Magistratum electis. In sui Amoris Tributum et Signum ut suscipiant protegant foueant latore istas filiali devotione Franciscus Bedeschinus Aquilanus Con Dicat novembris 168824.
E che Bedeschini dovette godere di grande considerazione presso i suoi contemporanei è testimoniato anche da Claudio Crispomonti, la più autorevole fonte per il Seicento aquilano, il quale ricorda che l’artista fu persino nominato in tre occasioni membro del Governo cittadino25. In tal senso, deve essere Sull’ampliamento della commissione e sui quadri dei personaggi che il consiglio decise di far rappresentare, si consultino per esteso i documenti citati nelle precedenti note. 24 BPA, Rari 21, Bedeschini Francesco. Disegni sec. XVII, c. 27 (segnata come n. 1 dall’incisore), Cesare Fantetti (?) da Francesco Bedeschini, Medaglione con dedica alla città dell’Aquila, 1688, bulino, 112 x 218 mm. 25 Guglielmo de Giovanni attraverso la consultazione dei manoscritti dell’Istoria dell’origine e fondazione della città dell’Aquila di Claudio Crispomonti, 23
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interpretata in modo diverso anche la notazione archivistica sul teatro dell’ospedale di San Salvatore. Se è pur vero che nel 1673 Bedeschini fu impiegato per il ripristino dell’edificio pubblico, l’artista, secondo il Liber Reformationis della magistratura aquilana, il 26 febbraio di quell’anno si impegnò ad allestirne scene, macchinari e a ripararne lo stabile, ma non in qualità di mero esecutore del lavoro, bensì in quella ben diversa di direttore del teatro26. La trascrizione del documento chiarisce le idee in proposito: perché si è considerato che il lasciare più tempo in abandono e senza cura il nostro Teatro nell’ospedale sia per ridondare in perdita del medesimo e danno notabile di questa città atteso tanto le scene quanto le machine et altri ordegni per le continue pioggie polvere e mal custodia, e si facevano e si rovinano a segno che per tale effetto si so rese di gran spendio le comedie che ivi si so ripresentate che è stato causa che si vadano quelle dismettenno estimando noi conveniente il mantenimento e conservatione di detto teatro e machine habbiano risoluto stabilirsi e deputarsi persona fedele et habile per la custodia predetta Francesco Bedeschini nostro Cittadino omo sperimentato molto affettuoso a quel loco havendo con il suo ingegnio et habilita di pittura fatte molte machine e prospettive che con vaghe apparenze ha reso più cospicuo quel proscenio et accio che magiormente s’inanimi e si conformi nel peso predetto nel operatione et inventioni di machine e prospettive nelle future comedie che si rapresenterranno havemo pensato stabilirsi un annua provissione di ducati dodici», precisando, però, che il futuro direttore «non possa introdurre in alcun tempo in detto Teatro istrioni di sorte alcuna per ivi far comedie ne altre persone ne ogni altro impiego
ha ritenuto di poter identificare Francesco Bedeschini tra gli eletti alla carica di Cinque Nobile negli anni 1650, 1654 e 1660. Per un riepilogo della vicenda si veda DE GIOVANNI 1970, pp. 9-10. 26 Secondo COLAPIETRA (1978, p. 215), seguito dagli studiosi successivi (MONINI 2006B), Bedeschini dovette percepire il pagamento prestabilito esclusivamente per eseguire i lavori di riparazione del teatro.
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del Teatro predetto debba farlo senza participazione e concorso del Magistrato pro tempore27.
I ducati annui pattuiti, dunque, erano il compenso che l’artista dovette percepire anche per gestire lo stabile in qualità di impresario, come testimoniato da altri documenti da me consultati, ossia i pagamenti dei libri mastri dell’antico archivio civico aquilano, nei quali figura sempre la medesima dicitura: «A Francesco Bedeschini direttore del nostro teatro ducati 12 sono per sua provvisione stabilita». L’artista rivestì tale carica dal 1673 almeno fino al 1688, anni in cui riceverà un compenso totale di 190 ducati28. Sebbene già nella riforma sopracitata si percepisca l’interesse e la familiarità che Bedeschini dovette avere con il mondo teatrale, non sarà inutile ricordare brevemente altre commissioni che riguardano tale ambito. L’illustrazione del frontespizio della raccolta di drammi intitolata Melpomene Sacra, del canonico della Cattedrale aquilana, Teodoro Vangelista (1669) (fig. 8)29, l’incisione conservata nella raccolta della biblioteca provinciale, in cui è contenuto un sonetto volto ad elogiare la figura di Valeria nel Muzio Scevola rappresentato nello stabile aquilano (1701) (fig. 7)30, mi sembra ASAq, ACA, Liber Reformationis T 35, cc. 284v-285r. ASAq, ACA, Libro Mastro, W 56 (anni 1671-1688), cc. 26v, 50r, 64r, 77r, 83r, 97v, 102v, 103v, c. 122v, 150r, 212v, 219v, 239v, 243r, 258r, 273r, 292r. 29 BPA, Donazione Fabrizi 61, Teodoro Vangelista, Melpomene Sacra. Drami musicali di Don Teodoro Vangelista., L’Aquila, 1669. Incisore Ant. Pau. (?) da Francesco Bedeschini, Frontespizio, 1669, bulino, 125 x 65 mm. 30 BPA, Rari 21, Bedeschini Francesco. Disegni sec. XVII, c. 10, Anonimo da Francesco Bedeschini (?), Cartiglio con sonetto per Valeria, 1701, Bulino, 112 x 84 mm. Si trascrivono i versi del breve poema: «Sonetto in cui si celebra la singolare Bellezza di Valeria nell’Opera intitolata il Mutio Scevola, rappresentata su le scene Aquilane nel 1701. «Per formare o’ Valeria il tuo bel viso, Nel tuo viso stemprò l’Aurore il Cielo; Per ornarti entro agl’occhi un doppio telo, Nolli il Sol dentro agl’occhi esser diviso. Dentro il suo Labro in cui passeggia il Riso, Dell’Eritreo tutte le Gioie io suelo: Soride d’Or del Pattolo, i rai di Delo, Filaro il Crin, che di Fortuna avvisa. D’hebbe il Fato sul Crin più d’una stessa, Braman gl’astri il tuo crine a dar splendore Nel tuo Crin hanno i cuori aurea procella. Anzi uscendo a la luce il tuo candore, Per 27 28
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che possano essere indicative di un rapporto stringente e ancora tutto da approfondire tra Bedeschini e l’ambito delle rappresentazioni teatrali. Tra i numerosi impegni, l’artista dovette trovare anche il tempo per decorare i frontespizi e le pagine dei registri contabili della città. In questo senso, devono essere attribuiti a lui, o comunque alla sua bottega, i disegni presenti nei libri delle riforme del consiglio cittadino degli anni Ottanta e Novanta del Seicento. Nello specifico, mi sembra che il medaglione che celebra la nomina del Camerlengo Stefano Alferi e del suo governo non possa che essere frutto dell’invenzione di Bedeschini (fig. 9)31. L’Aquila incoronata e circondata dai due putti al limite tra il muscoloso e il paffuto, i quali agitano meccanicamente le rispettive palme per elogiare l’animale simbolo cittadino rientrano pienamente nel repertorio dell’artista aquilano, basti confrontare questi personaggi con alcuni putti delle sue incisioni (figg. 3, 4, 8). E ancora, sempre con i cartigli della biblioteca provinciale, ma più in generale con l’intero repertorio di disegni bedeschiniani, si raffronta bene il mascherone sottostante, nobilitato da un festone di frutta e da un sinuoso paramento decorativo. L’invenzione del cartiglio del libro delle riforme, in questa data e in tale contesto, non può che essere restituita a Francesco; l’esecutore, comunque, qualora non si tratti del maestro in persona, va ricercato tra i suoi collaboratori, dato che la finezza dei particolari, l’impostazione del disegno e l’uso dell’inchiostro (con alcune non mirar casa dise piu bella si chiuse gl’occhi, e resto’ cieco Amore». Se la paternità del disegno del cartiglio che cita il Muzio Scevola fosse davvero relazionabile a Francesco Bedeschini si dovrebbe posticipare la morte dell’artista dal 1695 (anno in cui redasse il suo testamento) ad un più generico terminus post quem 1701. 31 ASAq, ACA, Liber Reformationis, T 35, c. 328v. Si tratta di un disegno eseguito con inchiostro bruno su carta non preparata raffigurante un cartiglio con i nomi dei signori del Magistrato; il Camerlengo Alferi fu un personaggio di spicco nell’Aquila seicentesca, sia dal punto di vista politico, sia culturale, dato che ricevette anche la carica di presidente dell’Accademia dei Velati.
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lievi velature per definire le ombre), difficilmente potrebbero ascriversi a qualcuno estraneo alle professioni artistiche. Discorso analogo deve essere fatto anche per le decorazioni dei frontespizi dei Libri Mastri della città (figg. 10-18), originariamente inventariati come libri B, C e D, in cui le complesse partiture decorative dei medaglioni, le aquile poste al di sopra della lettera B e del cartiglio dell’anno 1697, ma, soprattutto, i vari putti e i festoni barocchi non possono che appartenere nuovamente al repertorio dell’artista32. Considerato il cospicuo numero di medaglioni presenti nei libri comunali dell’ultimo quarto del secolo e la qualità altalenante di tali disegni, credo sia da considerare la possibilità che Bedeschini abbia curato le parti di maggior rilievo, relegato alla bottega (magari al figlio Carlantonio e all’anonimo incisore Ant. Pau.?) quelle secondarie e consegnato esclusivamente gli schizzi preparatori ai consiglieri comunali per le partiture decorative meno importanti33. Tuttavia, ciò che qui interessava sottolineare è il perpetrarsi di commissioni municipali al Bedeschini, che al pari (e forse anche al di sopra) degli artisti aquilani delle generazioni passate, da Silvestro dell’Aquila (1450 ca.-1504) a Saturnino Gatti (1463-1518) e Francesco da Montereale (1475 ca. -1549, documentato dal 1508), da Pompeo Cesura (1530 ca.ASAq, ACA, Libri mastri W 57 (anni 1672-1694), W 58 (anni 1689-1696), W 59 (1689-1696), W 60/1 (1697-1714) e W 60/2 (1697-1714). Disegni eseguiti nei frontespizi dei codici (con la lettera con cui il volume era originariamente inventariato) e nella prima pagina (medaglioni con i nomi dei Signori del Magistrato) a penna con inchiostro bruno su carta non preparata; in alcuni casi presentano anche aggiunta di stesure a pennello di inchiostro diluito di colore bruno, virato in marrone. 33 Tutti i libri comunali degli anni Ottanta del Seicento presentano, rispetto ai precedenti codici manoscritti, l’innovazione delle decorazioni di frontespizi, copertine e la presenza di medaglioni e cartigli fittamente decorati all’interno delle pagine. Nei disegni di minore qualità, tuttavia, risulta evidente un tratteggio dei contorni dei medaglioni avvenuto tramite incisione. Si tratta di un’altra indicazione che potrebbe avvalorare l’idea di un calco, da parte di mani inesperte, di un determinato modello di riferimento dell’artista. Nelle rappresentazioni di maggior qualità tali segni di incisione sono pressoché inesistenti e il tratto più sicuro e pittorico. 32
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1571) a Giovanni Paolo Cardone (attivo dal 1565 al 1590 ca.), ha ormai conquistato una egemonia incontrastata, sovrintendendo pressoché tutte le attività artistiche della città, dal ripristino delle chiese principali alle commissioni minori, al limite tra il disegno e la miniatura. Un altro inedito incarico della Camera Aquilana a Francesco, purtroppo, come la maggior parte dei suoi lavori, non più esistente, è quello stipulato nel 1677, riguardante la consegna dei disegni per la realizzazione delle fontane della Piazza del Mercato (oggi Piazza del Duomo). Le partite di pagamento sono molto indicative e vale la pena presentarne un sunto per comprendere l’organizzazione del lavoro e il ruolo progettuale dell’artista. I ducati stanziati per il restauro delle fontane di «capo piazza» e «piede piazza» furono all’incirca 284, di questi interessano particolarmente i cinque corrisposti a Francesco Bedeschini «per ricognizione de disegni e fatiche fatte per dette fontane», e gli altri pagati agli «Scarpellini del Poggio [Poggio Picenze (AQ)]» per la manifattura e lavorazione delle pietre da scolpire. La squadra al lavoro era capeggiata da mastro Francesco Contini e i suoi collaboratori, mastro Giuseppe (suo genero) e mastro Battista. Interessante, infine, il fatto che nel ripristino della fonte di «capo piazza» verranno inserite all’interno della nuova struttura architettonica «una colonna comprata dalla santissima Nunziata» e «l’altra di marmo mischia havuta in dono dal Capitolo di S. Massimo che sta vicino la porta del Vescovato», elementi di cui Bedeschini avrà dovuto sicuramente tener conto in fase progettuale34. Il Deposito di San Bernardino e la trasformazione barocca di Collemaggio Una delle prime importanti affermazioni pubbliche di Bedeschini è testimoniata dall’atto notarile rogato da Pietro Paolo Guerrieri il 14 settembre del 1665, in cui si afferma che lo Il riepilogo delle spese sostenute dalla Camera aquilana per i lavori alle fontane di piazza del Mercato è consultabile per esteso in ASAq, ACA, Libro Mastro W 56, cc. 114v-115r. 34
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«scarpellino» Giulio Bucchi da Massa Carrara dovrà costruire la scalinata e la balaustra della cappella di san Bernardino a somiglianza della già esistente nell’altare maggiore della chiesa omonima, ma basandosi sul disegno consegnato da Francesco. Sarà utile trascriverne parzialmente il testo per rendere nota la forma di questo perduto lavoro progettato dal Bedeschini: detto mastro scarpellino [Giulio Bucchi] debbia fare come ha promesso e cominciato la scalinata con balaustrata avanti la cappella di detto Deposito del del Glorioso S. Bernardino, cioè secondo il disegno del Magnifico Francesco Bedeschino e quello perfettionare e ponere in detto luogo per tutto il mese d’agosto dell’anno prossimo futuro 1666 del modo seguente, che detta balaustrata debbia essere dell’istesso lavoro manifattura et ornamento che è quella che sta fatta nel capo d’altare della medesima chiesa con li istessi piedistalli, colonnelli, e cimata seu cornice, e con il piano di sopra lavorato come la suddetta del capo altare tanto dentro, come fuori con questa differenzia, che dove quella del capo altare è vuota questa del deposito deve essere retta e repartita in tutti tre li vani, cioè in quello d’avanti più largo e negl’altri doi delli lati confare tre porte una d’avanti et una per ciascun lato et in detta porta d’avanti sia anco tenuto et obbligato fare due arme di rilievo della Religione, una per piedestallo di detta porta di mezzo e far le gradinate da tutte tre dette parti, cioè quattro davanti, quattro del lato verso il cap’altare e cinque del lato verso la porta grande della chiesa lavorati tutti di marmo dell’istesso modo che sono quelli della detta balaustrata del cap’altare35.
Una commissione che si inseriva, quindi, in un più ampio progetto di ripristino della chiesa, il cui esempio di riferimento era il già da tempo eseguito altare maggiore. L’anno successivo proseguirono i lavori di rinnovamento dell’edificio, per mano dello stuccatore Tommaso Amantini, il quale davanti al notaio:
ASAq, ACA, Notai Aquila, Notaio Guerrieri Pietro Paolo, Busta 859, vol. 5, cc. 44r-45v. 35
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promette e solennemente s’obbliga di stuccare tutta la cappella dove al presente sta depositato il Santissimo Corpo di S. Bernardino da Siena Protettore di questa città dal Tamburo ad alto sino a basso, cioè insino alli piedistalli di marmo che vi si trovano intendendo nel detto tamburo far tutte le cornici, menbretti che vi saranno necessarij e fra l’altro tutti gli intagli che vi saranno designati dal Signor Francesco Bedeschini, tanto nel vano che restarà fra l’uno ornato e l’altro, et in tutto il vano che resta l’arco principale della cappella che si trova fatto, quanto nelli pilastri di detto tamburo, e giudicando il medesimo esservi necessario farvi alcuno lavoro in mezzo s’obbliga anco di farlo e promette di più di fare il cornicione principale e capitelli de pilastri di ordine corinto, come farsi tutti quelli lavori che ricercano le mensole che si trovano in detto cornicione e farvi le sorelle tra l’una e l’altra mensola di detto cornicione con gli intagli necessarij che vi cerca detto ordine corinto di ogni prefettione e di più promette tra l’un capitello e l’altro di detti pilastri farvi o festoni o fogliami conforme il medesimo suddetto Francesco ordinerà, e farvi gli pilastri scannellati obligandosi di più sopra li dui archi piu piccioli di detta cappella nel vano che resta tra l’uno capitello e l’altro farvi gl’intagli proporzionati conforme al disegno fatto dal suddetto Francesco o di altra maniera conforme al medesimo giudicara piu a proporlo, con riempire gli angoli di detti archi con rosoni o cose simili di vaghezza e recingere li quadri grandi con cornice intorno intagliata, e promette anco di fare sotto il finestrone principale di detta cappella della meta qualche intaglio conforme si li darra il disegno, e si obliga anco di fare due statue di basso rilievo, overo naturali se il sito lo ricerca conforme dira’ il suddetto Francesco proporzionate sopra li due piedestalli di marmo in prospettiva per coprire il falso che vi si ritrova, et il tutto secondo li disegni che se li consegnano manualmente, e li dui archi lavorati stuccarli tanto dentro come fora, conficere l’arco principale si trova fatto promettendo di far tutto detto lavoro di ogni perfettione tanto negli intagli quanto nell’altre cose che si faranno36.
ASAq, ACA, Notai Aquila, Notaio Magnante Filippo, Busta 935, vol. V, cc. 34v-35v. 36
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Mi pare che tali interventi, in cui il ruolo di direttore dei lavori del Bedeschini risulta evidente, possano rappresentare l’esempio più esplicito della volontà di generale ‘ammodernamento’ della città nei confronti della temperie romana, se persino un monumento imponente come il Mausoleo Rinascimentale di Silvestro dell’Aquila dovette essere incluso all’interno di un’apoteosi barocca al passo con i tempi. Significativa è la presenza nella Kunstbibliothek di Berlino di otto disegni superstiti che dovrebbero aver costituito una parte di quelli che «se li consegnano manualmente» a Tommaso Amantini per le decorazioni in stucco della cappella (fig. 19)37. Si tratta di pannelli rettangolari che presentano al centro degli ovali, sostenuti da putti e nobilitati da un ricca decorazione di festoni, fogliami e mascheroni, in cui verosimilmente dovettero essere inseriti episodi relativi alla vita del santo. La corretta attribuzione dei fogli a Bedeschini da parte di Sabine Jacob si deve alla presenza dell’iscrizione «Disegni fatti per la Cappella di S. Bernardino dell’Aquila numero 14» e potrebbe essere riconfermata anche solo da un rapido confronto di alcuni dei mascheroni berlinesi con la serie di piccole stampe della biblioteca tommasiana (figg. 3-11), ma più in generale con l’intera produzione grafica del maestro aquilano. Analizzando le carte d’archivio risulta che Francesco fu coinvolto anche nella basilica di Collemaggio, nei lavori di rinnovamento della tribuna dell’altare maggiore «insino all’arco della cupola» – ma dovette sovrintendere l’intero intervento di trasformazione degli interni della chiesa già dal 1670 – stucchi da lui progettati, ma la cui paternità va restituita agli «scarpellini» Ercole Ferrandini e Bernardino Benigni, come indica l’atto notarile di affidamento dei lavori, datato 17 gennaio 167338. In merito alle altre porzioni decorative dell’edificio, il riconoscimento da parte di Enzo Borsellino di un disegno relativo alla decorazione parietale degli archi della navata JACOB 1975, pp. 113-114. ASAq, ACA, Notai Aquila, Notaio Magnante Filippo, Busta 935, vol. X, cc. 14v-15r; COLAPIETRA 1984, pp. 461-464. 37 38
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centrale, può confermare anche per esse la paternità bedeschiniana (fig. 20)39. Il foglio, infatti, presenta una iscrizione illuminante: il simile di detto disegno è stato mandato in Roma al Reverendissimo priore Don Mattheo da Napoli Generale de’ Celestini a 14 marzo 1670, e dal mese di maggio di detto anno nella chiesa di Collemaggio fu principiato detto lavoro e nell’anno 1671 fu stuccato da Mastro Ercole Ferrandini e Bernardino Benigno Romano ai quali li fu pagato ducati 25 per ciaschedun arco,
dunque, gli stessi stuccatori che lavorarono nel presbiterio della chiesa nel 1673. Ercole, inoltre, fu impiegato sotto la supervisione bedeschiniana anche al di fuori del cantiere celestino, nel 1662, quando ricevette insieme a tale Francesco Pozzi, l’incarico per l’intervento di stuccatura della cappella della Madonna del Carmine da parte del Capitolo della cattedrale aquilana. Nonostante l’importanza del foglio individuato da Borsellino, non sembra che la scoperta sia stata finora recepita dalla critica locale, non essendo in alcun modo citata negli studi più recenti sull’artista40. In tal senso, un altro disegno di Bedeschini pubblicato dalla Jacob nel 1975 può costituire una ulteriore testimonianza della produzione grafica dell’artista per il cantiere di Collemaggio. Si tratta di un foglio preparatorio per una incisione raffigurante al centro, all’interno di un tipico cartiglio ricurvo, Celestino V in gloria al di sopra di un’Aquila, simbolo della città, la quale a sua volta poggia saldamente gli artigli su di uno stemma episcopale, forse proprio quello del Generale dei Celestini Matteo da BORSELLINO 1998, pp. 324-337. Il disegno (penna e inchiostro bruno, con acquerellature ad inchiostro diluito, su carta non preparata, 192 x 265 mm), prima della notazione di Borsellino con la giusta attribuzione a Bedeschini, figurava nel catalogo di vendita della Galleria Arco Farnese (DEL BORGO, NEERMAN 1978, scheda n. 45) con la generica indicazione «anonimo maestro dell’Italia centrale, seconda metà del XVII secolo». 40 COLAPIETRA 2000; ANTONINI 2004; MONINI 2006B. 39
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Napoli a cui furono inviati i disegni per ottenerne l’approvazione (fig. 21). A complicare la scena un’apoteosi di putti, tralci, festoni disposti simmetricamente ai lati del cartiglio, ormai facilmente identificabili come invenzione bedeschiniana. È stato suggerito un paragone diretto tra l’apparato barocco della controfacciata di Collemaggio e il foglio berlinese, che mi sembra possa risultare piuttosto stringente e utile per ricollegare l’incisione al cantiere aquilano dei Celestini e alla committenza implicata41. Nei lavori di rinnovamento della chiesa Bedeschini aveva previsto anche di spostare il mausoleo di S. Celestino in una cripta, pertanto ingombrando il transetto con la consueta fastosa ‘confessionne’ a scalinate e balaustre, e distruggendo, così, ogni altra eventuale residua traccia di antichissime strutture sottostanti42.
Un intervento che non venne mai realizzato, ma di cui esiste ancora un disegno progettuale conservato nella biblioteca berlinese, sfuggito, tuttavia, come opera bedeschiniana anche alle pur attente ricerche della Jacob (fig. 22)43. Sul margine superiore del foglio, con la medesima grafia degli altri progetti del maestro aquilano, compare l’iscrizione «Disegno del Deposito per il Corpo di S. Pietro Celestino nella Chiesa di Santa Maria di Collemaggio dell’Aquila 1688»44. Si tratta di una composizione fortemente influenzata dagli esiti romani del periodo, si guardi agli angeli che inginocchiati ai lati del monumento sorreggono le candele inserite nelle pregiate cornucopie, o ancora, ai solidi e un po’ ingenui putti semidistesi sulla balaustra orizzontale sopra la quale si staglia il deposito del MONINI 2006B, p. 267. COLAPIETRA 1978, p. 484; ANTONINI 2004, p. 182. 43 JACOB 1975, pp. 166-167. 44 La Jacob (1975, pp. 166-167) attribuiva per motivi stilistici questo foglio (penna e inchiostro bruno con acquerello bruno, su carta non preparata, 258 x 416 mm) a Giuseppe Silvestri, andrà invece riconsiderato come opera certa di Francesco Bedeschini. 41 42
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Santo. In questo senso, bisognerebbe riflettere anche sull’eventualità che un altro progetto, raffigurante un altare sormontato da tabernacolo con al centro un ostensorio d’argento (fig. 23) – attribuito dalla Jacob ad un ignoto artista operante a Roma – possa rientrare nel catalogo bedeschiniano, magari per un’altra chiesa aquilana45. Al di sotto dello schizzo, come di consueto, l’autore inserisce l’iscrizione illustrativa: A. Tabernaculo da esporsi sopra l’Altare in occasione di esporre il Venerabile = B. Ostensorio di argento alto palmi 4 ¼ come si dimostra nelle lettere C D = E. Scalini attorno il Tabernacolo da porsi sopra delli candelieri [testo abraso] F. Grandeza delli candelieri di Argento = G. Baldacchino alto dal [testo abraso] H. palmi 3 [testo abraso].
L’attribuzione di tali disegni a Bedeschini può aggiungere un ulteriore tassello alla vicenda critica dell’artista, del quale, nonostante queste rapide e insufficienti spigolature, tanto ancora deve essere scritto e approfondito. Oltre i già indagati rapporti con la famiglia Grue e le maioliche di Castelli46, si pensi anche alla dedica della sua serie di incisioni raffiguranti studi di medaglioni e cartigli al vescovo aquilano Carlo De Angelis (1672) (fig. 2)47, oppure a quella ancora più interessante del 20
JACOB 1975, p. 144, n. 747. Disegno a penna e inchiostro bruno con acquerello bruno su carta non preparata, 351 x 275 mm. 46 CUTTS 1987; CUTTS 1991; BATTISTELLA 2006. 47 BPA, ABR st. “A” D 58/7, Album 14670, Incisore Ant. Pau. da Francesco Bedeschini, Medaglione con dedica a Carlo de Angelis Vescovo dell’Aquila, bulino, 124 x 184 mm: Si riporta per esteso il testo del cartiglio: «All’Illustrissimo e Reverendissimo Sig., e Pron. Mio Colend.mo | D. Carlo de Angelis Vescovo dell’Aquila. | Havendo risoluto dare all’intaglio questi primi abbozzi di cartelle per assicurarle dal taglio | delle censure ardisco armarle con il Nome di VS. Ill.ma assicurato, che piu con i splendori di questo, | che dalla nerezza dell’inchiostri si faranno, se non illustri, almeno visibili a gli occhi de Virtuosi. | Scusi intanto se con questo poco ardisco di esprimere un infinita’ d’obbligationi, che conservo | a VS. Ill.ma a cui fo’ profondissima riverenza, Aquila il primo Gennaio 1672 | Di VS. Ill.ma, e 45
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maggio 1685 al principe di Palestrina Maffeo Barberini (fig. 5) (proprietario di vasti possedimenti in Abruzzo) di cui l’artista si dichiara «Humilimun servuum»48. Si tratta di aperture che potrebbero condurre verso una pista romana per Francesco Bedeschini, come romano è indubbiamente il suo stile. Cesare Fantetti Stando alle fonti, collaboratore e amico di Francesco Bedeschini fu «Cesare Fantitto», incisore che a partire dagli anni Ottanta del Seicento tradusse in stampa molte delle invenzioni del maestro aquilano e fu impiegato in qualità di pittore nella commissione dei ritratti degli Uomini Illustri del 168849. Di questo incarico all’Aquila rimane l'opera firmata «Caes. Fant. Aquil. f.», ossia uno dei due ritratti di pontefici che dovettero trovar posto nell’appartamento della magistratura, il papa Paolo IV Carafa (fig. 24)50. D’altro canto, qualche anno prima era attivo a Roma, in qualità di incisore di traduzione nella cerchia di artisti e artigiani al Reverendis.ma Devotiss.mo, et obligatiss.mo Servo Francesco Bedeschini | Ant. Pau. Sc.». 48 BPA, Rari 21, Bedeschini Francesco. Disegni sec. XVII, c. 1, Cesare Fantetti (?) da Francesco Bedeschini, Medaglione con Dedica a Maffeo Barberini Principe di Palestrina, 1685, Bulino, 155 x 325: Il cartiglio recita: «Illustrissimo et Eccellentissimo Domino | Don Maffeo Barberino Praenestinorum Principi | Statim ac nidificarunt in Vaticano Barberina Apes bonor Artium nidificarunt Asseclis | configiant igitus ad ti lucubrationes ista scientes habituras et | mel quo vivant et aculeos quibus perean Adversarij eas soue Princeps Eccellentissime in | Eccellentia tua | Aquila 20 Maij 1685 | Humilimum Servuum |Franciscum Bedeschinum». 49 Sul «Fantitto» aquilano si veda nota 4. Si consulti anche BENEZIT 1999, 5, pp. 296-297 con relative indicazioni bibliografiche. 50 Sul dipinto si veda MORETTI 1968. Mentre il presente contributo era ancora in bozze è stata pubblicata una nuova scheda di catalogo sulla tela in OLTRE CARAVAGGIO 2014, pp. 137-141, in cui si affronta la questione «Cesare Fantitto» aquilano con delle aggiunte al suo corpus pittorico e incisorio, senza tuttavia toccare, se non marginalmente, gli argomenti qui presentati.
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soldo del noto editore Giovanni Giacomo De Rossi – sicuramente uno dei maggiori calcografi dell’Urbe nel Seicento – un maestro di vocazione classicista identificato dagli studiosi come di origine fiorentina, tale Cesare Fantetti, autore di numerose incisioni tratte dalle opere dei Carracci, di Andrea Sacchi, di Ciro Ferri e anche di Carlo Maratti51. L’attività romana di Fantetti è documentata principalmente nel triennio 1673-1674, anni in cui produsse circa 45 incisioni di traduzione. Il suo lavoro maggiormente conosciuto, tuttavia, resta la serie tratta dalle Logge di Raffaello in Vaticano dal titolo Imagines Veteris ac Novi Testamenti pubblicata nel 1674 allo scopo di sostituire sul mercato tutte le precedenti edizioni52. L’impresa fu condotta in collaborazione dal Fantetti, autore di 37 fogli – in uno dei quali, peraltro raffigurante il Profeta Isaia53 della chiesa di Sant’Agostino, l’incisore si firma e dichiara «romanus» –, e da Pietro Aquila, alla cui mano spettano solamente i restanti 1854. Nello stesso arco temporale Cesare è attivo in un’altra pubblicazione di De Rossi, l’opera in più volumi intitolata Le fontane di Roma nelle piazze e luoghi pubblici della città, nel cui Libro I incise l’Allegoria della città di Roma55. Su Cesare Fantetti si vedano la voce MISITI 1994 nel DBI e BENEZIT 1999, vol. V, p. 293 con relative indicazioni bibliografiche. 52 Imagines Ac Novi Testamenti a Raphaele Sanctio Urbinate In Vaticani Palatii Xystis Mira Picturae Elegantia Expressae, Jo. Jacobi de Rubeis cura, ac sumptibus, delineatae incisae editae Romae, 1675. Sull’impresa editoriale si veda MUSSINI 1979. 53 British Museum, Cesare Fantetti da Raffaello, Il profeta Isaia, 1675, bulino, 308 x 225 mm, inv. 1867, 1012.411. Il foglio presenta la seguente iscrizione: «Raphael Vrbin, pinxit Romae in Aede vivi Augustini | Caesar Fantettus Romanus delin. Et sculp. | Io. Iacobus de Rubeis Formis Romae ad Templum Pacis cum Priv. S. Pontif.». 54 MUSSINI 1979. Per un primo approfondimento su Pietro Aquila, si veda la voce di PETRUCCI 1961 nel DBI e VASTA 2008, con relative indicazioni bibliografiche. 55 Le fontane di Roma nelle piazze e luoghi publici della città con li loro prospetti come sono al presente, disegnate, et intagliate da Gio. Battista Falda. Data in luce con direttione, e cura di Gio. Giacomo de Rossi, Roma 1691. Sulla stamperia De Rossi si veda soprattutto GRELLE IUSCO 1996. 51
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A partire dai dati sopraesposti si è giunti ad una situazione insostenibile dal punto di vista critico. Da un lato si registra l’assenza di una biografia sul «Cesare Fantitto» aquilano all’interno della pur approfondita edizione del Dizionario della Gente d’Abruzzo56, laddove mi pare figurino anche personaggi meno rilevanti; dall’altro lato, ben più problematica è l’esistenza di due biografie, dedicate evidentemente alla stessa persona, all’interno del Dizionario Biografico degli Italiani, una riguardante il Cesare Fantetti fiorentino, l’altra il «Cesare Fantitto» aquilano57. A me già da tempo pareva improbabile che potesse trattarsi di un semplice caso di omonimia: stessa età, stesso nome di battesimo e cognome – se non identico – molto simile, persino medesimo ambito specifico di lavoro, l’incisione. Peraltro, avrebbe dovuto essere rivelatore il fatto che nel momento in cui il Fantetti romano non risulta più attivo nell’Urbe, compare nei documenti il «Fantitto» aquilano. Del resto, come giustamente notato da Arianna Petraccia, già un manoscritto miscellaneo appartenente al Fondo Dragonetti De Torres intitolato Memorie di belle arti (1769-1831) e conservato nell’Archivio di Stato dell’Aquila identificava il «Fantitto» aquilano «virtuoso di bolino di pregevole nome» con il socio romano di Pietro Aquila: «Fantitti o Fantuzi (scolare di Cesura o di Zuccheri) (…) incisore in rame incise le Logge di Raffaello»58. A parte una recente apertura59, la critica locale si è sempre dimostrata restia ad accogliere tale identità, o peggio, a rifiutarla. Invece, il ritrovamento di alcuni documenti da parte di chi scrive ha permesso di riconoscere definitivamente nei due personaggi il medesimo artista: Cesare Fantetti, probabilmente nato all’Aquila, formatosi a Roma e poi tornato in maturità nella sua città natale. E che il «Fantitto» aquilano non fosse altro che una storpiatura del suo effettivo nome è inequivocabilmente GENTE D’ABRUZZO. DIZIONARIO BIOGRAFICO 2006. Si vedano note 49 e 51. 58 ASAq, fondo Dragonetti De Torres, sezione 2, serie 4, busta 29, fasc. 9; PETRACCIA 2006A, pp. 85-86. 59 M. Congeduti in OLTRE CARAVAGGIO 2014, pp. 137-141. 56 57
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testimoniato dalle tasse pagate dall’artista per il possesso della sua casa nel Quarto di Santa Maria di Paganica (non solo amico e collaboratore, ma anche vicino di casa di Francesco Bedeschini), dato che nei libri mastri l’incisore, residente in città a partire dal 1683, è sempre correttamente appellato come «Cesare Fantetti»60. La Petraccia nella sua tesi di dottorato, parlando di «Cesare Fantitto», riteneva di aver anche ritrovato l’atto di battesimo (anno 1589) nell’archivio diocesano della città61, ma dato che il «Fantitto» aquilano per documenti e opere risulta attivo sia come artista, sia come cittadino, nel periodo compreso tra il 1683 e il 1689, mi pare che tale atto non possa essere avvicinato al nostro incisore, ma, più verosimilmente, a suo nonno62. Più convincente potrebbe essere, invece, l’ipotesi della studiosa – basata nuovamente su una notizia riportata nel sopracitato manoscritto miscellaneo –, secondo la quale Fantetti fu anche l’esecutore dei restauri della facciata del Palazzo Farinosi Branconio63. Il ritratto di Paolo IV Carafa (fig. 24) è l’unica testimonianza pittorica nota dalla quale provare ad interpretare lo stile di Fantetti. Si tratta, tuttavia, anche in questo caso di un compito molto difficile perché nella sua attività incisoria l’artista lavora esclusivamente in qualità di traduttore, non potendo così dimostrare i propri orientamenti figurativi, se non attraverso una blanda vena classicista di fondo. La ricerca di naturalismo che lo contraddistingue è evidente, comunque, anche nel dipinto (a dire il vero non eccezionale) del Museo Nazionale d’Abruzzo, permeato da una luce avvolgente, che caratterizza i
ASAq, ACA, Libro Mastro, W 56 (anni 1671-1688), cc. 207v, 228v, 231v, 249v, 264r, 278v, 298r. 61 PETRACCIA 2006A, p. 46. 62 In tal senso, si cita il ritrovamento da parte di M. Congeduti dell'atto di morte del pittore, datato 29 settembre 1695 (in OLTRE CARAVAGGIO 2014, p. 141) 63 Sulla questione PETRACCIA 2006A, p. 85. Per un ulteriore approfondimento su palazzo Farinosi Branconio si veda PETRACCIA 2006B con bibliografia precedente. 60
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particolari fisionomici del pontefice64. Confrontabili, invece, sono altre inedite incisioni tratte da Fantetti su disegni di Francesco Bedeschini con quelle della sua attività romana, laddove, a parte le differenze dovute dalla diversa qualità dei modelli, possono individuarsi caratteristiche comuni dal punto di vista tecnico, come il tratteggio prodotto dal bulino per rendere le ombre e le luci, o, ancora, il trattamento stereotipato delle chiome di alcuni personaggi. Si vedano, nonostante il netto divario qualitativo tra i due prototipi di riferimento, la Morte di san Giuseppe del Maratti (fig. 25)65 e il San Girolamo di Bedeschini (fig. 26)66, entrambe tradotte dall’incisore aquilano. In esse la descrizione delle muscolature e dei pieni, così come la definizione di alcuni particolari, sembrano molto simili e a conferma dell’identità di mano rimane, nei due fogli, la firma fantettesca. Anche in questo caso le ricerche andrebbero estese ben oltre lo spazio a diposizione nel presente testo, ma l’intenzione di chi scrive era solo quella di fare alcune precisazioni critiche per dare nuovi spunti utili al proseguimento degli studi. C’è da chiedersi, ad esempio, se il Fantetti citato in una lettera di Annibale Ranucci a Leopoldo de’ Medici come presente a Roma nel biennio 1673-1674 in qualità di intermediario e commerciante d’arte insieme a Cattani (Pietro o Ippolito?) sia proprio il nostro incisore67. L’essere all’interno della cerchia dell’editore Gian Giacomo De Rossi, le importanti Sull’opera si veda nota 50. British Museum, Cesare Fantetti da Carlo Maratti, Morte di san Giuseppe, bulino, 494 x 292 mm, inv. 1874, 0808.1715. Sul foglio è presente la seguente iscrizione: «Carolus Marattus Inv. et Pinx. | Cesare Fantetti sculp Sup. Licentiae | Arnoldo van Westerhout formis Romae». È probabile che il riferimento di Westerhout sia stato aggiunto successivamente. 66 BPA, ABR st. “A”, D 58/10, Album 14670, Cesare Fantetti da Francesco Bedeschini, San Girolamo con stemma di Carlo II d’Asburgo, Re di Spagna, 1685, Bulino, 288 x 212 mm: Il cartiglio recita: «Stemmate Regali volucrum Regina superbit: Doctrine Regnum dum notat illa tuum. Nec minus die sacro Leo murice purpurat; omne Quo Tibi Virtutum vendicet Imperium». L’incisione è firmata «Franciscus Bedeschinus Aquilanus | Invenit Caesar Fantittus sculptor 1685». 67 BALDINUCCI 1681-1728, VI, p. 234; MISITI 1994. 64 65
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commissioni ricevute e il ruolo che ebbe in quegli anni farebbero pensare ad una risposta positiva. Ludovico Trasi Sebbene in passato nessuno vi abbia fatto riferimento, ancora oggi si conservano nell’Archivio di Stato di Ascoli Piceno due disegni seicenteschi raffiguranti rispettivamente il Martirio di sant’Erasmo (fig. 27) e una Madonna con il Bambino tra due santi (fig. 28) opera di Ludovico Trasi (1634-1694), un petit maître marchigiano che, stando alle fonti successive, dovette frequentare per un breve periodo la bottega di Andrea Sacchi (1599-1661)68. Si tratta di modelli da ricollegare alla commissione di un perduto Gonfalone per la Compagnia di sant’Erasmo, che in origine costituivano parte integrante di un atto notarile rogato nel 1690 da Filippo Rigoni, ma che per ragioni conservative furono separati dal volume originale per essere raccolti in una apposita cartella69. Tale sfortunata congiuntura ha involontariamente determinato l’ignoranza circa la loro esistenza tra gli addetti ai lavori e la conseguente assenza di riferimenti critici nelle pur approfondite pubblicazioni sull’artista, nonostante le attente aperture di una di queste, che ne ha ripercorso dettagliatamente la produzione grafica70. In questa sede si intende fare chiarezza sulle dinamiche inerenti la commissione e la realizzazione dello stendardo ascolano, ma, soprattutto, si vuole ricollegare per struttura e stile il Martirio di sant’Erasmo di Trasi (fig. 27) con un dipinto di analogo soggetto eseguito a Roma da Giacinto Gimignani per la chiesa di Santa Per un riesame della vicenda critica e biografica di Ludovico Trasi si veda ALUNNO 2008, con bibliografia precedente. A questo si aggiunga PAPETTI 2011, pp. 158-170. Sul discepolato del pittore ascolano nella bottega di Sacchi, si vedano GABRIELLI 1935 e ALUNNO 2008, p. 140. 69 Archivio di Stato di Ascoli Piceno (= ACAs) fondo notarile, Notaio Rigoni Filippo, vol. 3236, cc. 126-127, fogli conservati in una cartella a parte. 70 PAPETTI 1995, pp. 16-19. Il testo di Stefano Papetti, più che uno specifico contributo, è una sezione dedicata alla collezione grafica della Pinacoteca di Ascoli Piceno, in cui sono conservati nove disegni di Ludovico Trasi. 68
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Maria della Pietà in Campo Teutonico, oggi non più esistente, ma di cui, si conoscono una serie di disegni preparatori – il più noto dei quali presso la Royal Collection di Windsor Castle (fig. 29) – che potrebbero costituire un valido trait d’union con il progetto per il gonfalone ascolano71. Ludovico Trasi, dopo un probabile viaggio di formazione a Roma, rientrato in patria intorno al 1655, rivestì il ruolo di principale interprete della pittura del secondo Seicento ascolano, lavorando ininterrottamente per le nobili famiglie locali, per le compagnie, le confraternite e per gli ordini religiosi attivi in città. Posizione che gli consentì anche di fondare la prima Accademia di pittura di Ascoli Piceno, scuola in cui si educò la successiva generazione di artisti72. Dal punto di vista stilistico, Trasi rientra nel novero dei seguaci della lezione classicista di Carlo Maratti, senza tuttavia rimanere del tutto estraneo – seppure si tratti di adesioni superficiali e spesso occasionali – alla diffusione del cortonismo, o alla citazione puntuale di alcune opere famose di Guido Reni e Luca Giordano. Tuttavia, la qualità altalenante della sua pittura, il fatto che dopo l’esperienza romana abbia operato esclusivamente in provincia, probabilmente utilizzando come tramite per la ricezione delle opere dei grandi maestri le stampe di traduzione, non lo resero un maestro di primo piano all’interno del panorama barocco nelle Marche. Alcuni spunti di rinnovamento dovette averli anche grazie agli sporadici arrivi nella città aprutina di dipinti autografi dei grandi artisti del tempo – dall’Annunciazione di Guido Reni per la chiesa di Santa Maria della Carità alla Morte di san Giuseppe di Luca Giordano per la famiglia Ferretti, fino alla Morte di san Francesco Saverio del Baciccio per la chiesa gesuitica di Ascoli – ma nel complesso dimostrò di restare saldamente ancorato alla lezione marattesca, Per un approfondimento su Giacinto Gimignani, si vedano FISCHER PACE 1974; FISCHER PACE 1996; NEGRO 1997; FISCHER PACE 2004; BENASSAI 2012. Nello specifico, sulla commissione del Martirio di sant’Erasmo e sul disegno di Windsor si veda FISCHER PACE 1996, pp. 137-151. 72 PAPETTI 2011, p. 158. 71
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se non per una blanda accettazione delle citazioni archeologiche degli allievi di Pietro da Cortona. In qualità di copista, a parte il ricordo forse non troppo attendibile dell’artista ed erudito settecentesco Baldassarre Orsini, secondo il quale il pittore portò a Carlo Maratti una copia della sopracitata Annunciazione reniana73, Trasi riprese proprio alcune opere del cameranese: la Madonna che allatta il Bambino, oggi conservata nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze e l’Adorazione dei pastori della chiesa romana di San Giuseppe dei Falegnami. Le fonti, in realtà, ricordano anche una copia tratta dalla tela di Andrea Sacchi raffigurante Dedalo e Icaro e una copia dalla Madonna con il Bambino e sant’Anna realizzata dal Gaulli per la chiesa romana di San Francesco a Ripa, la prima perduta, la seconda conservata nella Pinacoteca di Ascoli Piceno74. Grazie alle ricerche di Stefano Papetti, infine, sono stati restituiti a Trasi anche nove fogli della collezione grafica della Pinacoteca Comunale di Ascoli Piceno, disegni in cui l’ascendente marattesco risulta essere ancora il tratto predominante75. Secondo l’inedito atto notarile, nell’aprile del 1690 i sindaci della Compagnia di sant’Erasmo di Ascoli Piceno stipularono un accordo con Trasi per l’esecuzione di un gonfalone raffigurante da un lato una Madonna con il Bambino tra due santi, di difficile identificazione (fig. 28), dall’altro il Martirio di sant’Erasmo (fig. 27). Il manufatto doveva essere caratterizzato anche da: otto medaglie per parte e che non siano meno di figure due per ciascheduna medaglia, da una parte che rappresenti il Martirio e miracoli di S. Emiddio Protettore di questa Città, e dall’altra il martirio, e miracoli di S. Erasmo» e, inoltre, «i rabeschi da farsi d’intorno a’ detto confalone tanto dall’una quanto dall’altra parte siano tutti messi ad oro, e siano dell’istesso disegnio forma, e modo che stà, et è il Confalone della Venerandissima Confraternita del Santissimo Rosario di questa città dalla parte che stanno l’immaggini de SS. Rocco e Bastiano, e con obbligo ancora ORSINI 1790, p. 233. ALUNNO 2008, pp. 139-141. 75 PAPETTI 1995, pp. 16-19. 73 74
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di fare e dipignere i pennoni di sotto detto Confalone cogl’abbellimenti d’intorno, come quelli di detta Reverendissima confraternita del Santissimo Rosario76.
Il modello a cui i sindaci facevano riferimento era un gonfalone eseguito dallo stesso artista un ventennio prima per la Confraternita del SS. Rosario della chiesa di San Rocco, manufatto tessile di cui serba memoria un documento ritrovato da Fabiani nelle sue indagini archivistiche77. Lo stendardo raffigurava nel recto l’immagine della Vergine circondata dai quindici misteri del Rosario, mentre sull’altro lato erano rappresentati i santi Rocco e Sebastiano. Un vessillo che ebbe grande fortuna a livello locale – oltre che un frequente utilizzo a scopo devozionale – se i confratelli di Sant’Erasmo dovettero ancora far riferimento ad esso 17 anni dopo, per richiedere a Trasi di replicarne in modo pedissequo le decorazioni dorate e i pennoni. Non è da escludere che nella progettazione della scena del martirio l’artista marchigiano possa aver preso a modello il dipinto di analogo soggetto di Giacinto Gimignani, oggi perduto. Si trattava del quadro posto sull’altare della cappella omonima nella chiesa di Santa Maria della Pietà in Campo Teutonico. Il Martirio di sant’Erasmo del pittore lucchese già nel 1722 risultava in pessime condizioni conservative, nel 1756 fu affidato all’«aggiustamento» da parte di un garzone di bottega e, impietosamente, tra il 1871 e il 1873, venne definitivamente buttato per fare posto ad una nuova opera che ornasse la cappella, non più consacrata ad Erasmo, ma alla Madonna78. Come detto, nonostante tale fine ingloriosa, dell’opera si conservano ancora oggi i disegni superstiti, dei quali il più rifinito e conosciuto è il foglio di Windsor Castle (fig. 29), attribuito prima a Pietro da Cortona e poi, più correttamente, a ACAs, fondo notarile, notaio Rigoni Filippo, vol. 3236, cc. 128v-129r. FABIANI 2009, p. 298. 78 Sulla decorazione della cappella di sant’Erasmo nella chiesa di Santa Maria della Pietà in Campo Teutonico si veda FISCHER PACE 1996, pp. 137-151, con relativa bibliografia di riferimento. 76 77
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Giacinto Gimignani79. In tale disegno, peraltro non molto distante dagli altri tre studi di composizione del pittore, è evidente la vicinanza con il dipinto di analogo soggetto di Nicolas Poussin, soprattutto per l’aspetto giovanile del martire e per la descrizione del sacerdote, anche se l’artista, a partire dall’elaborazione dell’idea del pittore francese, giunse ad esiti compositivi e iconografici molto diversi. Inoltre, come evidenziato da Ursula Fischer Pace, Gimignani nella realizzazione dell’opera «deve aver introdotto alcune varianti che evidentemente oggi ci sfuggono»80. E che Ludovico Trasi abbia visto la perduta tela di Gimignani e che se ne sia ricordato nella redazione dei disegni per il gonfalone di sant’Erasmo mi pare cosa probabile. Non può essere casuale la notevole vicinanza tra il disegno del pittore marchigiano e il foglio di Windsor (figg. 27, 29). Pressoché identica è l’impostazione della figura del santo (solo più anziano), molto simile il sacerdote, se non per una variatio nella gestualità, e la statua di Ercole posta sul fondo; raffigurato in controparte, invece, l’angelo con in mano la corona del martirio. C’è da chiedersi se queste modifiche furono il risultato di una rielaborazione personale del Trasi, oppure se debbano legarsi alle variazioni apportate da Gimignani nella versione pittorica del soggetto. Per alcune di esse, quali lo sfondo privo dell’architettura retrostante e la semplificazione della scena, dovette avere un certo peso la destinazione della rappresentazione, su tessuto, in uno stendardo processionale già pieno di dettagli, sia decorativi, sia iconografici. Ciò che in questa sede preme sottolineare è la fortuna iconografica di un dipinto ubicato in un luogo non di primo piano della Roma del tempo – la chiesa di Santa Maria della pietà in Campo Teutonico –, il legame tra Giacinto Windsor Castle, Royal Collection, inv. 11991, penna, tracce di matita rossa, acquerello marrone, biacca, 320 x 200 mm. Per un riepilogo della vicenda attributiva del foglio si veda FISCHER PACE 1974. Sugli altri disegni legati alla commissione dell’altare di sant’Erasmo si veda FISCHER PACE 1996, pp. 142-144. 80 FISCHER PACE 1996, p. 142. 79
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Gimignani e le Marche, regione in cui il pittore toscano invierà molti lavori, ma soprattutto la capacità di ricezione delle novità
seicentesche da parte di Trasi, già copista e interprete della temperie marattesca, che nelle sue opere mature dimostra di non essere insensibile ai cortoneschi, come comprovato anche dal disegno in oggetto.
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Didascalie Fig. 1. Francesco Bedeschini, Madonna della Misericordia, 1657, bulino, mm 268 x 204. L’Aquila, Biblioteca provinciale “Salvatore Tommasi”, inv. 14670, ABR st “A” D 58/1. Fig. 2. Incisore Ant. Pau., da Francesco Bedeschini, Medaglione con dedica a Carlo de Angelis Vescovo dell’Aquila, 1672, bulino, mm 124 x 184. L’Aquila, Biblioteca provinciale “Salvatore Tommasi”, inv. 14670, ABR st “A” D 58/7. Fig. 3. Cesare Fantetti (?) da Francesco Bedeschini, Studio di Lunetta con decorazioni e putti, bulino, mm 112 x 218. L’Aquila, Biblioteca provinciale “Salvatore Tommasi”, Rari 21, Album miscellaneo, c. 14. Fig. 4. Cesare Fantetti (?) da Francesco Bedeschini, Studio di Lunetta con decorazioni e putti, bulino, mm 112 x 218. L’Aquila, Biblioteca provinciale “Salvatore Tommasi”, Rari 21, Album miscellaneo, c. 16. Fig. 5. Cesare Fantetti da Francesco Bedeschini, Medaglione con dedica a Maffeo Barberini principe di Palestrina, 1685, bulino, mm 155 x 325. L’Aquila, Biblioteca provinciale “Salvatore Tommasi”, Rari 21, Album miscellaneo, c. 1. Fig. 6. Cesare Fantetti da Francesco Bedeschini, Medaglione con dedica alla città di Aquila, 1688, bulino, mm 112 x 218. L’Aquila, Biblioteca provinciale “Salvatore Tommasi”, Rari 21, Album miscellaneo, c. 25. Fig. 7. Anonimo da Francesco Bedeschini (?), Cartiglio con Sonetto per Valeria, 1701, bulino, mm 112 x 84. L’Aquila, Biblioteca provinciale “Salvatore Tommasi”, Rari 21, Album miscellaneo, c 10. Fig. 8. Incisore Ant. Pau. (?) da Francesco Bedeschini, Frontespizio Melpomene sacra, 1669, bulino, mm 125 x 65. L’Aquila, Biblioteca provinciale “Salvatore Tommasi”, donazione Fabrizi 65, c. 1. Fig. 9. Francesco Bedeschini, Medaglione con nomina Signori del Magistrato, penna e inchiostro bruno, mm 415 x 280. L’Aquila, Archivio di Stato, Liber Reformationis T 35. Fig. 10. Francesco Bedeschini, Frontespizio Libro Mastro B, penna e inchiostro bruno, mm 415 x 280. L’Aquila, Archivio di Stato, Libro Mastro W 57. Fig. 11. Francesco Bedeschini, Frontespizio Libro Mastro C, 1672, penna e inchiostro bruno, acquerello bruno, mm 415 x 280. L’Aquila, Archivio di Stato, Libro Mastro W 58. Horti Hesperidum, IV, 2014, 1
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Fig. 12. Francesco Bedeschini, Medaglione con i Signori del Magistrato anno 1689, penna e inchiostro bruno, acquerello bruno, mm 415 x 280. L’Aquila, Archivio di Stato, Libro Mastro W 58. Fig. 13. Francesco Bedeschini, Frontespizio Libro Mastro C, 1689, penna e inchiostro bruno, acquerello bruno, mm 415 x 280. L’Aquila, Archivio di Stato, Libro Mastro W 59. Fig. 14. Francesco Bedeschini, Medaglione con i Signori del Magistrato anno 1689, penna e inchiostro bruno, acquerello bruno, mm 415 x 280. L’Aquila, Archivio di Stato, Libro Mastro W 59. Fig. 15. Francesco Bedeschini, Frontespizio Libro Mastro D, 1697, penna e inchiostro bruno, acquerello bruno, mm 422 x 275. L’Aquila, Archivio di Stato, Libro Mastro W 60/1. Fig. 16. Francesco Bedeschini, Medaglione con i Signori del Magistrato anno 1697, penna e inchiostro bruno, acquerello bruno, mm 422 x 275. L’Aquila, Archivio di Stato, Libro Mastro W 60/1. Fig. 17. Francesco Bedeschini, Frontespizio Libro Mastro D, 1697, penna e inchiostro bruno, acquerello bruno, mm 422 x 275. L’Aquila, Archivio di Stato, Libro Mastro W 60/2. Fig. 18. Francesco Bedeschini, Medaglione con i Signori del Magistrato anno 1697, penna e inchiostro bruno, acquerello bruno, mm 422 x 275. L’Aquila, Archivio di Stato, Libro Mastro W 60/2. Fig. 19. Francesco Bedeschini, Studio per decorazione cappella di S. Bernardino, 1670, penna e inchiostro bruno, acquerello bruno, mm 351 x 275. Berlino, Kunstbibliothek, inv. Hdz 6410o. Fig. 20. Francesco Bedeschini, Progetto per la decorazione della navata centrale di Santa Maria di Collemaggio, 1670, penna e inchiostro bruno, acquerello bruno, mm 192 x 265. Collezione privata. Fig. 21. Francesco Bedeschini, Studio per incisione con Celestino V, teoria di putti e stemma episcopale, penna e inchiostro bruno, mm 216 x 299. Berlino, Kunstbibliothek, inv. Hdz 727. Fig. 22. Francesco Bedeschini, Progetto per il Deposito di san Pietro Celestino, 1688, penna e inchiostro bruno, acquerello bruno, mm 258 x 416. Berlino, Kunstbibliothek, inv. Hdz 565. Fig. 23. Francesco Bedeschini (?), Progetto per altare con tabernacolo e ostensorio, penna e inchiostro bruno, acquerello bruno, mm 351 x 275. Berlino, Kunstbibliothek, inv. Hdz 564. Fig. 24. Cesare Fantetti, Paolo IV Carafa, 1688, olio su tela. L’Aquila, Museo Nazionale d’Abruzzo. Fig. 25. Cesare Fantetti da Carlo Maratti, Morte di san Giuseppe, bulino, mm 494 x 292. Londra, British Museum, inv. 1874, 0808.1715. 184
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Fig. 26. Cesare Fantetti da Francesco Bedeschini, San Girolamo con stemma di Carlo II d’Asburgo Re di Spagna, 1685, bulino, mm 288 x 212. L’Aquila, Biblioteca provinciale “Salvatore Tommasi”, inv. ABR st. “A”, D 58/10. Fig. 27. Ludovico Trasi, Martirio di sant’Erasmo, 1690, matita rossa con tracce di biacca, mm 289 x 210. Ascoli Piceno, Archivio di Stato. Fig. 28. Ludovico Trasi, Madonna con Bambino e santi, 1690, penna e inchiostro bruno, mm 290 x 215. Ascoli Piceno, Archivio di Stato. Fig. 29. Giacinto Gimignani, Martirio di sant’Erasmo, penna, tracce di matita rossa, acquerello marrone, biacca, mm 320 x 200. Windsor Castle, Royal Collection, inv. 11991.
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