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Horti Hesperidum Studi di storia del collezionismo e della storiografia artistica Rivista telematica semestrale

DISEGNARE A ROMA TRA L’ETÀ DEL MANIERISMO E IL NEOCLASSICISMO a cura di FRANCESCO GRISOLIA

Roma 2014, fascicolo I

UniversItalia


Il presente tomo riproduce il fascicolo I dell’anno 2014 della rivista telematica Horti Hesperidum. Studi di storia del collezionismo e della storiografia artistica. Cura redazionale: Michela Gentile, Marisa Iacopino, Marta Minotti, Giulia Morelli, Jessica Pamela Moi, Gaia Raccosta, Deborah Stefanelli, Laura Vinciguerra.

Direttore responsabile: CARMELO OCCHIPINTI Comitato scientifico: Barbara Agosti, Maria Beltramini, Claudio Castelletti, Valeria E. Genovese, Francesco Grisolia, Ingo Herklotz, Patrick Michel, Marco Mozzo, Simonetta Prosperi Valenti Rodinò, Ilaria Sforza Autorizzazione del tribunale di Roma n. 315/2010 del 14 luglio 2010 Sito internet: www.horti-hesperidum.com

La rivista è pubblicata sotto il patrocinio e con il contributo di

Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Dipartimento di Scienze storiche, filosofico-sociali, dei beni culturali e del territorio Serie monografica: ISSN 2239-4133 Rivista Telematica: ISSN 2239-4141 Prima della pubblicazione gli articoli presentati a Horti Hesperidum sono sottoposti in forma anonima alla valutazione dei membri del comitato scientifico e di referee selezionati in base alla competenza sui temi trattati. Gli autori restano a disposizione degli aventi diritto per le fonti iconografiche non individuate.

PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA © Copyright 2014 - UniversItalia – Roma ISBN 978-88-6507-740-5 A norma della legge sul diritto d’autore e del codice civile è vietata la riproduzione di questo libro o parte di esso con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilm, registrazioni o altro.

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INDICE

FRANCESCO GRISOLIA, Presentazione

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MARCELLA MARONGIU, «… perché egli imparassi a disegnare gli fece molte carte stupendissime…». I disegni di Michelangelo per Tommaso de’ Cavalieri

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ALESSIA ULISSE, Una proposta per Siciolante

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MARCO SIMONE BOLZONI, Qualche aggiunta a Nicolò Trometta disegnatore

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STEFAN ALBL, Tre nuovi disegni di Giovanni Andrea Podestà e proposte su Podestà pittore

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KIRA D’ALBURQUERQUE, Aggiunta alla serie dei Piatti di San Giovanni: il ruolo di Ciro Ferri e Pietro Lucatelli

121

LUCA PEZZUTO, Novità su alcuni “petits maîtres” del Seicento tra L’Aquila, Roma e Ascoli Piceno: Francesco Bedeschini, Cesare Fantetti, Ludovico Trasi

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URSULA VERENA FISCHER PACE, SIMONETTA PROSPERI VALENTI RODINÒ, Per Giacinto Brandi disegnatore

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GONZALO ZOLLE, La centralità del disegno nella ricostruzione dell’opera pittorica di Andrea Procaccini: tre casistiche e nuovi dipinti

223

PILAR DIEZ DEL CORRAL, «To breathe the ancient air». Il disegno ornamentale e architettonico spagnolo e l’Accademia di Francia a Roma nel Settecento

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STEFANIA VENTRA, Disegni di Tommaso Minardi in Accademia di San Luca. Il legato testamentario e altre acquisizioni

303

GIULIO ZAVATTA, Per Francesco Coghetti: nuovi documenti e un inedito disegno per il sipario del teatro di Rimini

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FRANCESCO GRISOLIA, Un disegnatore dalmata a Roma: su Francesco Salghetti-Drioli e un foglio firmato

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ABSTRACTS

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TO BREATHE THE ANCIENT AIR.

IL DISEGNO ORNAMENTALE E ARCHITETTONICO SPAGNOLO E L’ACCADEMIA DI FRANCIA A ROMA NEL SETTECENTO. PILAR DIEZ DEL CORRAL CORREDOIRA

Cesare de Seta ha sostenuto che la Spagna per la sua particolare natura non condivise lo stesso interesse di altre nazioni per il fenomeno del Grand Tour1. Questa particolarità ispanica si potrebbe spiegare in primo luogo con l’ampiezza dei territori europei appartenuti ai re spagnoli, tra cui parte della penisola italiana; in secondo luogo perché la vocazione d’oltremare, conseguenza delle possessioni americane, puntava sull’altro lato dell’oceano e, per ultimo, perché la complessa e ricca storia della penisola iberica dotava la Spagna degli elementi che tanti viaggiatori cercavano in Italia. L’interpretazione di de Seta è Questo articolo non sarebbe stato possibile senza il generoso aiuto di Francesco Grisolia, che mi ha invitato a scrivere e a cui devo tutto il lavoro di traduzione e sistemazione del mio ‘itagnolo’. Grazie mille. 1 SETA 1992.


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meno azzardata di quanto possa apparire, poiché, al di là delle osservazioni che si possono aggiungere, è vero che il percorso storico della Spagna è profondamente inconsueto. Comunque sia, durante il Settecento le circostanze storiche spagnole, dovute soprattutto alla Guerra di Successione e al devastante risultato del Trattato di Utrecht (1713), produssero dei cambiamenti non minori nella mentalità e, per quanto ci riguarda, nella praxis artistica. Con l’arrivo di Filippo V si produsse una rinnovazione completa delle arti. Il monarca, essendo nipote di Luigi XIV e sposo di Elisabetta Farnese, chiamò alla corte artisti francesi e italiani che dominarono gli ambienti cortigiani sino al secolo XVIII inoltrato. Una delle imprese più complesse fu la creazione e dotazione dell’Accademia di Belle Arti di San Fernando (1752), progetto compiuto dal figlio Fernando VI, ma che in un certo senso ebbe inizio con il bando reale del 1718, con il quale Filippo V faceva la prima mossa per creare la figura del pensionato reale a Roma. La lunga strada per riuscire ad avere un’Accademia di Belle Arti a Madrid passava per Roma, dove gli artisti spagnoli non solo avevano il compito di studiare l’antico, ma anche di capire il funzionamento dell’Accademia di San Luca e soprattutto della omologa francese, che senza dubbio fu, per ragioni evidenti, il modello voluto dal monarca2. Domingo Antonio Lois Monteagudo fu, insieme a Juan de Villanueva, uno dei pensionati d’architettura della prima generazione di borsisti della recentissima Accademia di Belle Arti di San Fernando a Madrid nel concorso del 17583. Egli era già un architetto affermato: aveva lavorato come assistente nel cantiere del Palazzo Reale di Madrid e in quel momento era allievo e collaboratore molto attivo di Ventura Rodríguez Sulla storia dell’Accademia spagnola si veda: BÉDAT 1989. Sui primi artisti spagnoli a Roma: DIEZ DEL CORRAL 2014A. 3 CEÁN BERMÚDEZ 1829; CERVERA VERA 1985; VIGO TRASANCOS 1989; GUILLÉN MARCOS 1989; MOLEÓN GAVILANES 2003; PENA BUJÁN 2003; VIGO TRASANCOS, PENA BUJÁN 2003; GARCÍA SÁNCHEZ 2011; MOLEÓN GAVILANES 2013 e DIEZ DEL CORRAL 2015. 2

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(1717-1785). S’immatricolò nell’Accademia nel 1752 e vinse successivi premi nel 1753, 1754 e 17564. È interessante notare che egli aveva già trentasei anni quando decise di partire per Roma, un’età perlopiù avanzata per un viaggio di studio, particolarità che a mio avviso potrebbe spiegare, come vedremo, le sue particolari scelte durante il soggiorno romano. Le circostanze riguardanti il viaggio e la sistemazione di Monteagudo e i suoi compagni pensionati sono state studiate altrove ed è sufficiente ricordare che i borsisti spagnoli arrivavano in una città dove non erano ammessi in una istituzione simile all’Accademia di Francia e neanche a quella che si lasciavano alle spalle5. É bene menzionare che, mentre pittori e scultori possedevano un programma di studio già sviluppato per i loro predecessori6, gli architetti arrivavano a Roma senza un piano di lavoro elaborato dall’Accademia spagnola. E malgrado la richiesta fatta dal direttore dei pensionati, il pittore Preciado de la Vega (1708-1789)7, non fu mai inviata nessuna istruzione.

RODRÍGUEZ RUIZ 1992. LÓPEZ DE MENESES 1933; LÓPEZ DE MENESES 1934; DIEZ DEL CORRAL 2014A E 2014B. 6 La Instrucción per i pittori e scultori fu creata (la scrisse Ignazio de Hermosilla) per lo scultore Felipe de Castro (1711?-1775), che studiò a Roma nel 1733-1746 nella bottega di Giuseppe Rusconi. Archivio de la Real Academia de Bellas Artes de San Fernando (ARABASF), Leg. 1-50-5, fols. 1-4. BÉDAT 1971; DIEZ DEL CORRAL 2014A. 7 Preciado de la Vega fu un pittore di Siviglia che partì per Roma in compagnia di Felipe de Castro nel 1733 e rimase a Roma sino alla morte. Fu il promotore dell’Accademia Reale di Spagna a Roma, malgrado non visse abbastanza per vederla in funzione. Si veda: GARCÍA SÁNCHEZ 2007 e 2009. Alla richiesta delle istruzioni per i pensionati d’architettura il consiglio di San Fernando rispose: «puede disponer que los Pensionados de esta facultad observen, midan y dibujen geométricamente el todo y las partes en grande y en pequeño de algunos edificios antiguos, de modo que se puedan remitir a la Academia para que se entere de la aplicación de cada uno» (Junta ordinaria del 25 de Febrero de 1759, ARABASF, Juntas particulares, ordinarias, generales y públicas, 1757-1769, sig. 3/82, p. 42-43). 4 5

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Monteagudo e il suo giovane collega Juan de Villanueva arrivarono a Roma il 15 gennaio del 1759 e molto presto cominciarono a lavorare copiando direttamente dall’antico: Villanueva presso il foro romano e Monteagudo scelse il tempietto di San Pietro in Montorio. Probabilmente la mancanza di un chiaro programma di lavoro permise loro di essere molto più liberi nelle scelte. Ad ogni modo, Monteagudo era già un architetto maturo e le sue esperienze accanto al maestro a Madrid ebbero sicuramente a che fare con le sue scelte a Roma. Infatti, Monteagudo cominciò a studiare il Bramante e soltanto dopo si rivolse alle antichità romane. Bisogna mettere in evidenza che Ventura Rodríguez, il maestro di Monteagudo, ebbe un percorso molto europeo, malgrado non avesse mai lasciato la penisola iberica8. Molto giovane cominciò come disegnatore lavorando con ingegneri francesi, Étienne Marchand e Léandre Brachelieu, chiamati da Filippo V per i numerosi progetti legati alle costruzioni militari e idrauliche. Ventura patì un mancato viaggio italiano, in parte compensato dal suo periodo accanto a Filippo Juvarra (16781736). Per via di questa collaborazione, Ventura studiò i trattati di architettura italiana, con speciale interesse per il Vignola oltre che per le opere di Bernini e Borromini, entrambe influenze perfettamente rintracciabili nella sua produzione. La via francese e quella italiana furono due riferimenti costanti nella sua concezione dell’architettura e la sua prolifica opera ne è la prova. Nel 1745 ebbe la soddisfazione di diventare accademico di grazia dell’Accademia di San Luca, accanto al torinese Giovanni Battista Sacchetti (1690-1764), allievo di Juvarra, con il quale lavorava nei cantieri del Palazzo Reale di Madrid. Per quanto ci siano poche notizie sull’attività di Monteagudo a Roma, è assai noto il cursus honorum solitamente condiviso tra i pensionati delle diverse nazionalità, che ci permette di ipotizzare il percorso dello spagnolo. Due erano i luoghi di formazione: da un lato la recentissima Scuola del Nudo, 8

GUTIÉRREZ PASTOR 1992.

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dipendente dall’Accademia di San Luca e inaugurata dal pontefice Benedetto XIV nel 1754 per favorire lo studio dal vivo9; e dall’altro la Académie de France, l’istituzione che serviva da centro della vita culturale per tutti gli artisti stranieri. Ovviamente anche l’Accademia di San Luca era un posto di riferimento, ma di certo più simbolico e istituzionale che un vero centro formativo. Si può affermare che San Luca aveva una enorme rilevanza per quanto riguarda la rappresentanza dentro e fuori la città e, di fatto, uno degli obiettivi di numerosi artisti che si recavano nell’Urbe era ottenere uno dei premi dell’Accademia ed eventualmente essere ammessi come accademici di merito. Monteagudo non fu un’eccezione e verso la fine del suo soggiorno decise di tentare la sorte, venendo finalmente ammesso come accademico di merito il 21 dicembre del 176410. Ancora si conservano presso l’Archivio Storico dell’Accademia i bei disegni che lasciò in dono: una magnifica chiesa a croce greca che ricorda la pianta bramantesca del Vaticano e che rivela i suoi modelli (figg. 1-2). Al di là dei disegni che Monteagudo inviò all’Accademia di Madrid, dei quali ancora oggi è ignota l’ubicazione, ci è pervenuto un taccuino (Biblioteca Nacional de España, Madrid, 250x195 mm) in inchiostro nero su matita nera e carta vergata, con rilegatura originale11. Il taccuino è composto da 104 fogli É plausibile che la Scuola, aperta soltanto due anni dopo la chiusura dell’accademia di Sebastiano Conca, dovuta alla sua partenza per Napoli, fosse stata creata per riempire il vuoto lasciato dal pittore di Gaeta. Gli artisti spagnoli compaiono negli elenchi dei partecipanti ai concorsi, che nei primi anni si facevano una volta al mese, per poi passare a due volte all’anno, a marzo e a settembre. Roma, Archivio storico dell’Accademia di San Luca (AASL), Nome e cognome di tutti i premiati alla Scuola del Nudo dall’Anno 1754 al 1848; coll’indicazione del professore direttore della scuola. Segue un elenco alfabetico degli alunni che hanno frequentato la scuola in un anno, sig. 33B 1. 10 AASL, Libro degli Accademici di Merito, fol. 16r. 11 CERVERA VERA 1985; lo studio finora più accurato su questo taccuino sono le poche pagine di GARCÍA SÁNCHEZ 2011, pp. 31-35. Un primo approccio sul taccuino nel contesto delle arti decorative è in DIEZ DEL CORRAL 2015. 9

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con un disegno nel verso e qualche iscrizione. La prima pagina (fig. 3) apre con un frontespizio dove si vede una ricca cornice copiata da San Lorenzo fuori le mura, con il titolo Libro de barios âdornos sacados de las mejores fabricas de Roma así antiguas como modernas de Dn. Domingo Antonio Lois Monteâgudo, en el tiempo de su residencia en Roma Pensionado por el Rey en aquella Ciudad, por la Arquitectura desde el año de 1759 hasta el de 1764 ynclusives. L’ultima pagina ci mostra un’urna fumante sopra un piedistallo, sul quale c’è scritto un indice di figure con il numero di vasi, are o lucerne che il libro contiene. Si verifica una chiara predominanza di vasi, fregi e altari, ma ci sono anche fontane, lucerne, capitelli o candelabri. La qualità dei disegni è abbastanza notevole e non sembra il solito taccuino di memorie prese di fretta. Moleón Gavilanes ritiene che si tratta della versione finale da mandare in stampa12, ma il libro una volta in Spagna non fu mai pubblicato. Ebbe la stessa sorte dell’Arquitectura Civil13 di José de Hermosilla, conterraneo di Monteagudo ed anch’egli pensionato a Roma tra il 1747 e il 1751. Il testo è rimasto manoscritto fino ad oggi. L’organizzazione interna del taccuino è coerente con un uso per tipologie, dato che, tranne alcune eccezioni, i disegni compaiono raggruppati per generi14. Nel frontespizio Monteagudo afferma che i modelli sono stati scelti tra le fabbriche antiche e moderne della città di Roma e quasi tutti sono accompagnati da una piccola legenda che ne chiarisce la provenienza o qualche particolare. Procedere all’identificazione di ognuna delle opere presenti nel taccuino oltrepassa gli obiettivi di questo studio, ma senza dubbio un approccio complessivo consentirebbe una comprensione più approfondita del percorso di Monteagudo. Sappiamo che egli visitò la MOLEÓN GAVILANES 2013, p. 87. MOLEÓN GAVILANES 2003, p. 92. 14 Va detto che ci sono due numerazioni diverse sull’orlo delle pagine, che sembrano corrispondere ad una organizzazione precedente alla rilegatura attuale. La grafia sembra la stessa e perciò credo che sia stato lo stesso Monteagudo a riassemblare i disegni in una seconda fase. 12 13

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collezione del museo del Campidoglio, dove scelse numerose opere per il taccuino, ma anche il palazzo Massimo, villa Borghese, palazzo Mattei, villa Medici, palazzo Farnese, villa Aldobrandini, chiese come San Lorenzo fuori le mura o Santa Sabina, numerosi scavi e rovine, come il recinto di Nerone, di Sigea o delle Vestali, il Palatino o il tempio di Vespasiano, fino a siti archeologici oggi perduti come il recinto di Cerere sull’Aventino. Non è semplice spiegare il veloce inserimento nella cultura e nella società locale da parte di un artista per il quale non si conoscono né commissioni né mecenati. Preciado de la Vega fu senza dubbio una figura essenziale per assicurargli l’accesso alle collezioni di nobili e prelati romani, ma è anche vero che egli da solo non sembra affatto l’unica via. Studiando il taccuino troviamo una risposta parziale: la scelta della maggioranza delle opere rispondeva allo standard che veniva pian piano configurandosi con pubblicazioni che guidavano lo straniero e gli artisti all’interno del ricco patrimonio romano. Serva ad esempio il Segmenta nobilium signorum et statuarum, quae temporis dentem invidium evasere urbis aeternae ruinis erepta typis aeneis ab ce commissa, di François Perrier (Roma, 1638), dove compare una parte importante delle sculture scelte dall’Académie de France per essere copiate e studiate dai pensionati francesi15. La Raccolta di statue antiche e moderne (Roma, 1704) di Paolo Alessandro Maffei presenta, invece, anche delle statue moderne, in una organizzazione per collezioni che mostra l’importanza di avere contatti e conoscenze a Roma, perché la maggior parte delle opere importanti, tranne quelle del cortile del Belvedere, appartenevano alle famiglie papali: Borghese, Farnese, Ludovici, Medici ecc. Per ultima, la guida di Roma pubblicata dal protonotario apostolico Filippo Titi, Studio di Pittura scoltura et architettura nelle Chiese di Roma (Roma, 1674), molto diffusa grazie alle numerose edizioni. Il contesto nel quale si muoveva Monteagudo assicurava familiarità con questi testi, ma 15

Su questo soggetto si veda: LAVEISSIERE 2011.

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certamente l’idea e le scelte del taccuino, sia con lo scopo di stamparlo, sia per un uso privato come libro di memorie, si possono comprendere soltanto se inserite nel circolo internazionale dell’Académie de France, che garantiva un accesso più semplice, peraltro quasi impossibile per un artista sconosciuto, a quelle opere. Durante gli anni Quaranta si patì una progressiva siccità nel contesto pittorico parigino, che si concluse con l’annullamento del Salone del 1749 e la sua decadenza nel 1750 e 175116. Le conseguenze per il Prix de Rome sono immediate e l’afflusso e successo degli architetti francesi nella città pontificia scuoteranno la vita artistica romana. Si tratta della generazione composta da Jean-Laurent Legeay (1710 ca.-1786), LouisJoseph Lorrain (1715-1759), Charles Michel-Ange Challe (17181778), Nicholas-Henri Jardin (1720-1799), Gabriel-Pierre Martin Dumont (1720-1790), Ennemond-Alexandre Petitot (1727-1801) e Charles-Louis Clérisseau (1721-1820). Tutti quanti arrivano a Roma tra la fine del terzo decennio e gli anni Sessanta e sono proprio loro lo stimolo decisivo per un cambiamento nel gusto architettonico. Infatti durante gli anni Quaranta l’Urbe subì un periodo di scarsità di incarichi architettonici, in parte dovuto all’intensa attività degli ultimi anni, in parte all’intenzione di controllare le spese per i conti pubblici, che durante gli anni Trenta avevano portato a una importante crescita del deficit. Le timide politiche di riforma avviate da Benedetto XIV servirono a controllare le spese e durante gli anni Quaranta permisero di avere un piccolo superavit, ma il periodo delle grandi opere era finito17.

HENRY 2010, p. 142. GROSS 1990, pp. 119-127. Inoltre la continuità dei Concorsi Clementini era stata alterata: si organizzarono nel 1725, 1728, 1732 e infine nel 1739 e la regolarità non torna più sino al 1750. La festa della Chinea, che era annuale, non si celebra tra 1734 e 1737 per la guerra tra l’Impero e il principe spagnolo Don Carlos de Borbone. OECHSLIN 1978, p. 366, n. 11. 16 17

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Tutta questa piccola legione di giovani architetti, chiamati da Oechslin «Piranesiens»18, doveva necessariamente essere impegnata in qualcosa, così si assiste a una grande attenzione per le macchine per fuochi di artificio e per tutta l’architettura effimera, che permise loro di sfidare i limiti della propria professione in un modo senz’altro meno restrittivo e soprattutto più economico19. Accanto a questo exploit festivo si sviluppa fortemente il rilievo dall’antico, una pratica ovviamente non nuova, ma che adesso è affrontata con un rinnovato furore. In questo campo la personalità carismatica di Piranesi ebbe un profondo impatto. Il veneziano nei primi anni Quaranta aveva lavorato nella bottega di Giuseppe Vasi, creando illustrazioni per le sue guide della città e già in quel tempo cominciarono i rapporti con i giovani francesi come Legay, Duffloss o Bellicard, i quali stampavano le sue creazioni20. Poco dopo decise di mettersi in proprio ed aprire un negozio nella stessa via del Corso, a pochi passi da palazzo Mancini, sede dell’Académie de France. Il rapporto con i pensionati francesi è ovviamente più stretto e durante quasi due decenni la mutua influenza ebbe un profondo effetto nella concezione di una nuova maniera di vedere l’architettura e il lavoro dell’architetto. L’uso della stampa, lo studio complessivo e approfondito degli scavi e la ferma convinzione del necessario uso della creatività, combinata alla conoscenza dei modelli antichi, ebbero come conseguenza un cambio di direzione nella produzione architettonica dell’epoca. Quando Monteagudo arrivò a Roma, la maggioranza di questi architetti era già partita, portando con sé idee innovatrici, e grazie alla loro dispersione geografica fu assicurato il successo delle idee nate nella città pontificia21. Comunque sia, essi avevano lasciato il segno e altri artisti come Charles-Louis OECHSLIN 1978, p. 366. CIPRIANI 1978, p. 148. 20 WILTON-ELY 1993, p. 4, n. 10. 21 Il primo che portò l’attenzione sull’importanza di questa generazione fu HARRIS 1967. Si veda anche: OECHSLIN 1978. 18 19

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Clérisseau, Giovanni Paolo Panini o Hubert Robert, altrettanto cruciali per capire la produzione dell’epoca e in un certo senso quella dello spagnolo, colmarono il loro vuoto. Monteagudo addirittura assistette allo scoppio del dibattito sul primato dell’architettura romana o della greca, avviato con l’opera di Marc-Antoine Laugier, Essai su l’Architecture, pubblicata nel 1753. Si diffuse velocemente la sua teoria della ‘capanna primitiva’ e l’idea dell’architettura greca come paradigma della disciplina. A ciò si aggiungerà la scoperta dell’architettura greca attraverso le immagini, avvenuta di recente nel seno della stessa Académie de France. Julien-David Le Roy ritornò dalla Grecia e pubblicò nel 1758 Ruines des plus beaux monuments de la Grèce, anticipando il lavoro più approfondito di Stuart e Revett (Antiquities of Athens, 1762). Questa nuova ondata si opponeva ai principi barocchi dell’invenzione e della fantasia, cioè la concezione propriamente piranesiana dell’atto creativo. Il veneziano inizia quindi la sua crociata in favore dell’architettura romana e nel 1761 pubblica Della Magnificenzia ed Architettura de’ Romani, dove si azzarda ad usare i disegni di Le Roy per dimostrare attraverso la stampa la superiore creatività romana. La controversia greco-romana non era che iniziata, soprattutto perché nel 1755 Winckelmann approdò a Roma come bibliotecario del cardinale Albani e la sua immediata pubblicazione Sull'imitazione delle opere greche in pittura e scultura non lasciò dubbi sul suo filoellenismo militante. La risposta di Piranesi con Della Magnificenzia fu completa con Il Campo Marzio dell’Antica Roma (1762), opera dedicata a Robert Adam dove difende con magniloquenza creativa l’originalità romana nel disegno urbanistico. Di sicuro Monteagudo ebbe accesso a quei libri e a delle stampe, soprattutto se frequentava l’Académie de France, e addirittura è plausibile che avesse incontrato Piranesi. Infatti nelle pagine del taccuino apprendiamo che conobbe scavi come quelli di Tivoli o le catacombe, perciò non è da escludere un rapporto con Piranesi o qualcuno dei suoi collaboratori. Fino adesso non ci è pervenuto nessun documento relativo al soggiorno dello spagnolo, al di fuori della corrispondenza 278


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ufficiale tra i membri dell’Accademia di San Fernando. Uno studio delle fonti documentarie romane potrebbe risultare in nuovi dati sui suoi rapporti professionali e sulle commissioni, ma nel frattempo il suo taccuino è ovviamente la fonte diretta più affidabile per cercare di ricostruire i suoi passi e per ipotizzare il suo percorso. Per quanto riguarda il dibattito sopra menzionato, la scelta dei suoi disegni non lascia dubbi sul suo schieramento a favore dell’architettura romana, il quale potrebbe servire anche per sostenere un rapporto con l’ambiente piranesiano. Come si è visto Monteagudo non soltanto visitò scavi e rovine, ma anche chiese e collezioni d’arte della nobiltà romana e il Museo Capitolino, al quale dedicò varie pagine. Gli architetti di solito lavoravano all’esterno, con il pennello in mano, direttamente negli scavi o sopra le impalcature, ma il museo del Campidoglio era un posto dove tutti gli artisti trovavano soggetti da studiare. Nel caso spagnolo c’era anche l’obbligo di frequentarlo, come scritto nella Intrucción redatta da Felipe de Castro, il quale fu sicuramente il primo conterraneo a visitarlo all’alba della sua apertura pubblica nel 1734. Egli è l’artefice della sua inclusione tra i posti di formazione imprescindibili nella Instrucción22. Il museo del Campidoglio fu un posto d’ispirazione per diverse generazioni di artisti, comparabile solo al cortile del Belvedere, ma più ricco di opere d’arte. Non soltanto ci sono numerosi disegni delle sue sculture sparsi per le collezioni di tutto il mondo, ma ci sono anche fogli che documentano l’atto stesso di disegnare nel museo. Monteagudo non fa eccezione e tra le pagine del suo taccuino troviamo numerose opere del Campidoglio. Tra le più famose, c’è il bellissimo tripode dei grifoni (fig. 4; fol. 19) o il cratere trovato nella tomba di Cecilia Metella (fol. 58), che potrebbe essere datato all’età augustea per via dei suoi intrecci decorativi. Scelse anche diversi altari che Felipe de Castro ebbe accesso al museo attraverso una lettera di presentazione inviata dal suo maestro Giuseppe Rusconi al marchese Capponi nel 1735. Cfr. DESMAS 2012, p. 50. 22

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oggi servono come base per l’esposizione di altre opere, come quello con bucrani e ghirlande (fol. 26). Nel cortile del museo c’erano due bassorilievi che formano parte dell’immaginario del Grand Tour: la Dacia Capta (fig. 5; fol. 15), presente in tanti ritratti dei milordi, e l’oscura personificazione di una provincia romana (fol. 24) proveniente dal tempio di Adriano. Gli interessi di Monteagudo non si limitano alle opere romane, anche lui si è lasciato affascinare dalle antichità egiziane presenti nella città e che comparivano dappertutto in dipinti e disegni dei colleghi pittori. Oltre ai classici leoni trasformati da Giacomo della Porta in fontane, che si trovano nelle scale del Campidoglio (fol. 62), copiò anche quelli dell’Acqua Felice (fol. 67) e una sfinge da Villa Medici (fol. 66). Tra le fontane che riporta, una sembra una composizione di pezzi romani ed egiziani (fig. 6; fol. 65): la vasca inferiore è chiaramente di disegno romano e rammenta quelle oggi a piazza Farnese, ma il corpo superiore all’egiziana potrebbe essere il risultato di un restauro creativo. Infatti il disegno ci rimanda a Ennemond A. Petitot, anch’egli pensionato nell’Académie de France tra il 1746 e il 1750. Egli è un chiaro esempio dell’eclatante creatività intorno all’istituzione francese e, pochi anni dopo aver abbandonato Roma, nel 1753 è chiamato dal duca di Parma, il quale gli consente di ritornare in Italia23. É probabile che i disegni di Petitot rimanessero in parte nell’Académie de France o almeno in circolazione24. La fontana che disegna Monteagudo ricorda immagini della nota Suite de Vases (1765) (fig. 7), ma all’opera del francese ci rimanda anche l’importanza data nel taccuino a numerosi vasi e urne funerarie. I vasi erano motivi ornamentali tipici, ma in questo periodo si produce un nuovo rilancio nel campo delle arti decorative, direttamente vincolato ai modelli romani ed anche con i cosiddetti vasi etruschi. La generazione dei piranésiens scelse i MICHEL 1997. Petitot aveva anche contribuitto al dibattito sul gusto alla greca con l’originalissimo Mascarade à la greque, pubblicato tardivamente nel 1771. MICHEL 1997. 23 24

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vasi come motivo di studio, basta rammentare i libri dedicati al soggetto per Legeay, Saly, Petitot o Le Lorrain, ma la spinta maggiore fu da parte di Edmé Bouchardon (1698-1762), uno dei pensionati più influenti, che arrivò a Roma nel 1723 e vi rimase per quasi dieci anni. Presso l’Académie de France egli lasciò una importante collezione di disegni, che servirono da base per lo studio delle generazioni successive, tanto che si può rintracciare la sua influenza attraverso i disegni dei pensionati francesi e addirittura sugli stranieri (per esempio su Felipe de Castro). Monteagudo scelse vasi e urne di marmo o pietre dure e metallo, alcune probabilmente moderne (fig. 8; fol. 48), e non poté fare a meno di includere i pezzi più famosi, come il già menzionato cratere di Cecilia Metella o il bellissimo e tante volte copiato cratere di villa Medici (fig. 9; fol. 56), che egli confonde e chiama di villa Borghese. Invece a villa Borghese appartiene un altro cratere con scena dionisiaca (fig. 10; fol. 59), che sembra la stessa che Hubert Robert scelse per un bel disegno a matita rossa oggi nel museo di Valence. Hubert Robert era già una figura nota a Roma quando Monteagudo approdò nell’Académie25. Era arrivato nel 1754 come parte del seguito del conte di Stainville, ambasciatore francese, e per via delle sue importanti amicizie era stato ammesso nell’Académie pochi mesi dopo l’aspra partenza di Clérisseau per i conflitti con Natoire, il direttore. Il suo soggiorno romano si svolse nell’arco di oltre dieci anni, coincidendo con il periodo di Monteagudo. La sua conoscenza dei migliori posti per disegnare gli valse il nome di «Robert delle rovine» e nella sua abbondante opera dipinta e disegnata si possono riconoscere dei luoghi dove anche lo spagnolo andò a lavorare. Si conservano i suoi disegni della galleria capitolina, che risultano particolarmente interessanti perché ci permettono di osservare la collocazione delle opere e di solito aspetti più pittoreschi, come altri colleghi artisti nell’atto di disegnare. Finora non abbiamo conferma documentale di un possibile 25

Si veda: CAYEUX 1989; REA RADISICH 1998; DUBIN 2010.

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rapporto tra Robert e Monteagudo, ma sembra plausibile che le visite a posti come le catacombe oppure Tivoli fossero organizzate in gruppo, una pratica che ci risulta non soltanto dalla Correspondance des directeurs de l’Académie de France, ma anche delle lettere private di personaggi implicati come Gavin Hamilton o Legrand26. Ma non soltanto Robert parve essere una figura d’interesse nel circolo di Monteguado. Charles-Louis Clérisseau, che è all’origine della concezione delle rovine di Robert, è l’altra personalità che plausibilmente ebbe un rapporto o un’influenza sullo spagnolo. Clérisseau lavoró direttamente con Piranesi e fu anche molto influenzato da Giovanni Pannini (16921765/1768), che in quel momento era professore di prospettiva all’Académie. Egli apparteneva alla generazione successiva ai piranésiens e sappiamo che l’opera di Charles Michel-Ange Challe ebbe un forte peso nei suoi primi anni27. Nella sua lunga permanenza in Italia (1749-1767) fu un fertile disegnatore e alcune delle sue opere, come una bella raccolta di acquarelli e disegni oggi a San Pietroburgo28, riproducono gli stessi motivi di Monteagudo. Tra i disegni oggi in Russia si conserva una copia a gouache del Vaso Medici (fig. 11), che fa parte delle 219 immagini di vasi antichi raccolte a Roma. Da un punto di vista laterale, ma chiaramente riconoscibile, si vede anche la Dacia capta (fig. 12), che Monteagudo disegna secondo una prospettiva frontale (fig. 5; fol. 15). Tra i vasi di Monteagudo c’è anche un bel cratere a volute (fig. 13; fol. 54) con iscrizione «vaso de santa Sabina»; uno uguale si conserva nel cortile del Palazzo Mattei, dove trovò materiale di studio. Questo cratere, così come il vaso Borghese (fig. 10) o quello di Villa Medici (fig. 9), compaiono nella Raccolta dei vasi diversi formati da illustri artefici antichi e di varie targhe (Roma, 1713), opera di Francesco Aquila, che presentava un campionario dei PINTO 2012, p. XXX; EROUART, MOSSER 1978, p. 233. MCCORMICK 1978, p. 306 e MCCORMICK 1990. 28 Si veda: CHEVTCHENKO 1995. 26 27

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più begli esempi dall’Antichità all’epoca moderna. Una delle urne funerarie (fig. 14; fol. 35) sembra una reinterpretazione di uno dei vasi, (fol. 99), riprodotti dal libro di Pietro Santi Bartoli, Gli antichi Sepolcri, ovvero Mausolei romani, ed etruschi (Roma, 1704), vero manuale di antichistica per artisti e viaggiatori eruditi, che fino a Piranesi fu l’unica opera a consentire facile accesso a immagini del mondo antico. Il vaso secondo Bartoli era stato trovato nei dintorni di Porta San Lorenzo. Monteagudo potrebbe avere copiato dal disegno di Bartoli o dall’originale, essendo entrambe pratiche consuete. Nel fol. 37 di Monteagudo vediamo ancora una reinterpretazione più barocca dell’originale romano rispetto al fol. 103 nel libro di Bartoli, che compare come parte dei disegni di Pirro Ligorio nella Biblioteca Apostolica Vaticana, segnati da una grande fortuna iconografica29. Tra i taccuini che si prendono in considerazione quando si parla di quello di Monteagudo, c’è quello appartenente a Charles Heathcote Tatham (1772-1842), pubblicato tardivamente sotto il titolo Etchings representing the best Examples of Ancient Ornamental Architecture (1810). La critica lo ha ritenuto l’antecedente più prossimo a Monteagudo, ma a mio avviso non sono state approfondite le somiglianze. Heathcote era un agente del principe di Galles a Roma e aveva lavorato come decoratore del teatro di Drury Lane con il maestro Holland. Ottenne dal principe di Galles e Holland parte del supporto per continuare i propri studi a Roma, oltre ad un prestito che gli permise di soggiornare nella capitale pontificia tra il 1794 e 1797. Il suo lavoro lì fu perlopiù studiare le opere classiche e dei maestri moderni, ma preparò anche quello che diventerà il suo libro Ancient Ornamental Architecture at Rome and in Italy (1799), la base per l’edizione aggiornata del 1810. Heathcote prepara un elenco d’immagini, che in certo senso possono rimandare a OECHSLIN 1978, p. 382. É bene qui menzionare la riedizione del 1751 della pianta di Villa Adriana a Tivoli di Pirro Ligorio, Ichnographia villae tiburtinae Hadriani Caesaris olim a Pyrrho Ligorio celeberrimo architecto & antiquario delineata & descripta, che ebbe una profonda influenza nella riscoperta del sito. 29

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un’idea simile a quella di Monteagudo, ovvero avere un repertorio pronto all’uso al suo ritorno dall’Italia. Tuttavia l’inglese compone una raccolta più ampia, senza escludere opere coeve, mentre Monteagudo realizza un vero e proprio piccolo ‘trattato’ di ornamenti romani e delle opere classiche moderne, con alcune eccezioni. A titolo di esempio si può vedere il disegno di Heathcote (fig. 15) del trono di Bacco (1792), il cui originale una volta era in Vaticano e adesso si conserva nel Museo del Louvre. Il trono è un’opera dello scultore carrarese Francesco Antonio Franzoni (1734-1818), famoso all’epoca per i suoi lavori come restauratore; è infatti il risultato di una ricostruzione libera con frammenti romani, probabilmente acquisiti da Vicenzo Pacetti (1746-1820)30. Simile è il caso di un tavolo con monopodi e teste di Ercole (Musei Vaticani, 1782), anche questo inserito tra le stampe del libro di Heathcote. L’apparizione in taccuini di queste opere di restauro creativo è assai comune, giacché c’era un importante mercato destinato soprattutto agli stranieri. La bottega-negozio di Piranesi, che traslocò a via Felice (attuale via Sistina) nel 1761 è un buon esempio di specializzazione per il mercato del Grand Tour, ma non era l’unico; anche il già menzionato Franzoni, Cavaceppi o Pacetti facevano parte della stessa attività. Nel taccuino di Monteagudo sono presenti anche alcune opere che sembrano il risultato di un restauro all’antica, ad esempio il bel tripode di Asclepio (fig. 16; fol. 60) o un altro che rammenta fin troppo le creazioni di Piranesi (fol. 61). Comunque sia, soltanto uno studio più approfondito delle fonti di questo interessante taccuino potrebbe gettare luce sulla provenienza e sulla storia dei suoi pezzi. Fino ad ora la presenza sicura di opere di restauro creativo nel taccuino di Monteagudo mi risulta quasi un’eccezione, come la citata fontana all’egiziana (fig. 6), ma non si esclude la possibilità di altri esempi. Come si è visto fino a qui, l’elenco di artisti e di opere coeve ci ha permesso di comparare i disegni dello spagnolo nel contesto 30

GONZÁLEZ-PALACIOS 2004, pp. 243-259.

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internazionale dell’Académie de France e in un certo senso ha dato un nuovo slancio a questa raccolta d’immagini, ma rimane ancora molto da fare. Per cogliere appieno la coerenza dell’opera di Monteagudo è stato essenziale fornire un inquadramento accurato. Lo studio isolato del taccuino è di scarsa utilità e soltanto l’analisi delle possibili conoscenze e relazioni dell’architetto ci ha permesso di capire l’interesse del suo lavoro e del periodo in cui visse. Il rapporto con gli artisti francesi e con Piranesi fu senza dubbio un punto di svolta nel percorso vitale di Monteagudo e in questa ottica, a mio avviso, si dovrebbe cominciare a riscrivere la storia dei primi pensionati spagnoli nella corte pontificia.

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Didascalie Fig. 1. Domingo A.L. Monteagudo, Pianta di chiesa, 1763 circa. Roma, Accademia Nazionale di San Luca, inv. 2151. © Courtesy of Archivio Storico dell’ANSL (Roma). Fig. 2. Domingo A.L. Monteagudo, Alzato di chiesa, 1763 circa. Roma, Accademia Nazionale di San Luca, inv. 2152. © Courtesy of dell’Archivio Storico dell’ANSL (Roma). Fig. 3. Domingo A.L. Monteagudo, Frontespizio (Libro de Barios adornos). Madrid, Biblioteca Nacional, DIB/18/1/9225, fol. 1. © CERVERA VERA 1985, p. 83. Fig. 4. Domingo A.L. Monteagudo, Tripode (Libro de Barios adornos). Madrid, Biblioteca Nacional, DIB/18/1/9225, fol. 18. © CERVERA VERA 1985, p. 117. Fig. 5. Domingo A.L. Monteagudo, Dacia Capta (Libro de Barios adornos). Madrid, Biblioteca Nacional, DIB/18/1/9225, fol. 15. © CERVERA VERA 1985, p. 111. Fig. 6. Domingo A.L. Monteagudo, Fontana (Libro de Barios adornos), Madrid, Biblioteca Nacional, DIB/18/1/9225, fol. 65. © CERVERA VERA 1985, p. 211. Fig. 7 Ennemond A. Petitot, Vaso (Suite de Vases), 1764. Londra, Victoria and Albert Museum, inv. 136359. © Courtesy of V&A Museum. Fig. 8. Domingo A.L. Monteagudo, Vaso con Leda (Libro de Barios adornos). Madrid, Biblioteca Nacional, DIB/18/1/9225, fol. 48. © CERVERA VERA 1985, p. 177. Fig. 9. Domingo A.L. Monteagudo, Vaso Medici (Libro de Barios adornos). Madrid, Biblioteca Nacional, DIB/18/1/9225, fol. 56. © CERVERA VERA 1985, p. 193. Fig. 10. Domingo A.L. Monteagudo, Vaso Borghese (Libro de Barios adornos). Madrid, Biblioteca Nacional, DIB/18/1/9225, fol. 59. © CERVERA VERA 1985, p. 199. Fig. 11. Charles-Louis Clérisseau, Vaso Medici. San Pietroburgo, Museo dell’ Hermitage, inv. 1975, s.d. © CHEVTCHENKO 1995, p. 93. Fig. 12 Charles-Louis Clérisseau, Dacia capta. San Pietroburgo, Museo dell’ Hermitage, inv. 2296, s.d. © CHEVTCHENKO 1995, p. 95. Fig. 13. Domingo A.L. Monteagudo, Cratere a volute (Libro de Barios adornos). Madrid, Biblioteca Nacional, DIB/18/1/9225, fol. 54. © CERVERA VERA 1985, p. 189. Fig. 14. Domingo A.L. Monteagudo, Urna (Libro de Barios adornos). Madrid, Biblioteca Nacional, DIB/18/1/9225, fol. 35. 290


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© CERVERA VERA 1985, p. 151. Fig. 15. Charles Heathcote Tatham, Trono di Bacco. Londra, Victoria and Albert Museum, inv. E.131035-2001, s.d. © Courtesy of V&A Museum. Fig. 16. Domingo A.L. Monteagudo, Tripode di Asclepio (Libro de Barios adornos). Madrid, Biblioteca Nacional, DIB/18/1/9225, fol. 60. © CERVERA VERA 1985, p. 201.

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