Comunità Autogestita della Nazionalità Italiana di Isola
Il Fondo del Mandracchio
A cura della Redazione de “Il Mandracchio”
Edizioni “Il Mandracchio” Isola, dicembre 2005
PREFAZIONE Questa raccolta di articoli vuole testimoniare dodici anni di vita del foglio informativo quindicinale in lingua italiana Il Mandracchio, che esce come inserto del Mandraè, settimanale di cronaca isolana in lingua slovena. Sono pagine che espongono fatti della vita civile e sociale della nostra Comunità, commenti e punti di vista su eventi che incidono sulla nostra condizione di minoranza. Il Mandracchio nasce per iniziativa di alcuni connazionali, quasi tutti giornalisti, come Silvano Sau, Gianfranco Siljan, Roberto Siljan, Andrea Šumenjak, Claudio Chicco, Marino Maurel e altri che collaborano o hanno collaborato occasionalmente. Quando ho accettato di scrivere l’introduzione alla raccolta non ero convinta del suo valore intrinseco, ma ritenevo comunque di estrema importanza il solo fatto che Il Mandracchio arrivasse a tutte le istituzioni pubbliche ed entrasse nelle case di tutti i cittadini di Isola interessati al Mandraè, e che dunque venisse sfogliato anche da coloro che non usano l’italiano nella comunicazione quotidiana. Ho apprezzato fin dall’inizio la strategia della redazione di inserire le poche pagine del Mandracchio in un foglio sloveno per far arrivare in ogni ambito del vivere civile la testimonianza della nostra presenza attiva, delle nostre idee, dei nostri atteggiamenti su fatti locali e globali, per esprimere amarezza o compiacimento, dissenso o approvazione, senza mai sfociare nell’accusa ma stimolando spesso il lettore a trarre le conclusioni più logiche agli argomenti proposti. Tuttavia, più mi inoltravo nella lettura degli articoli, anno dopo anno, e più forti diventavano il mio interesse e il mio coinvolgimento; mi accorgevo, infatti, di avere tra le mani del materiale apprezzabile non soltanto dal punto di vista informativo, ma anche storiografico e politico, che partiva dal nostro microcosmo minoritario per arrivare a contesti internazionali o viceversa, che da vicende internazionali approdava a riflessioni direttamente legate al nostro vivere quotidiano, veri frammenti di storia. Sfogliando questa pubblicazione ci si può rendere conto di quanto sia stato lungo, difficile e 1
sofferto il percorso per vedere completata la ristrutturazione di Casa Manzioli; di quanto impegno politico pluriennale sia stato speso per la costruzione della nuova scuola elementare Dante Alighieri; degli attacchi periodici mossi all’autonomia di TV Capodistria; delle nostre speranze e delle nostre delusioni ad ogni cambio di governo dello Stato di cui siamo cittadini; di tanti altri eventi che hanno segnato la nostra vita di minoranza e di popolazione di confine. Ritengo particolarmente interessanti gli articoli di Silvano Sau, scritti in occasione di giubilei, ricorrenze, anniversari (e ce ne sono stati tanti negli ultimi anni) per approfondire vicende storiche che ci hanno trasformato inesorabilmente in minoranza etnica ma anche per ragionare sulla nostra condizione attuale e sulle prospettive future della nostra Comunità. Leggendo questa raccolta si ripercorre oltre un decennio di vita della Comunità Italiana in Slovenia, e non soltanto di quella di Isola: poche però sono le occasioni di soddisfazione e tante, invece, quelle di preoccupazione e di amarezza. Concludo con l’auspicio di poter leggere il Mandracchio per tanti anni ancora, di vederlo crescere, arricchirsi di collaboratori e di pubblicare articoli che riportino soprattutto eventi lieti. Lilia Peterzol Presidente della Comunità Autogestita della nazionalità Italiana di Isola
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INTRODUZIONE Non è poco! “Il Mandracchio” è un giornale talmente piccolo che sembra addirittura un azzardo ritenerlo appartenente al mondo dell’informazione contemporanea. Più diffìcile, ancora, se indicato come “quindicinale”. È un foglio che, ospitato dal fratello maggiore in lingua slovena e settimanale isolano “Mandraè”, è riuscito a sopravvivere bene o male fino a questo suo 250.esimo numero. E non è poco! Anche la Redazione è una redazione per modo di dire, piccola, a volte nervosa, tuttofare, ma sempre puntuale nel portare avanti un discorso che - almeno fino ad oggi -non risulta essere ancora stancante o, peggio, noioso. E non è poco! E quante altre cose ha fatto questa redazione, oltre a pubblicare ogni due settimane quello che definisce essere “il foglio della Comunità Italiana di Isola”. Quasi a voler significare un ormai quasi impossibile tentativo di riunificazione dei diversi soggetti minori tari che sono presenti sulla scena isolana e che, giocando sulle miserie del ‘magari poco ma tutto mio’, credono di rappresentare chissà chi. E stata questa redazione ad inventare l’editoria minoritaria isolana. Ad inventare la ricerca della realtà locale, passata e recente. Ad organizzare serate. A pubblicare libri. A presentare autori. Ed a cercar di far conoscere i propri prodotti anche fuori dalle spesso ingombranti frontiere comunali e minoritarie. E anche questo non è poco! Il Mandracchio, tuttavia, ha cercato soprattutto di fare opinione sulle problematiche più importanti della nostra Comunità e della nostra cittadina. Spesso maldestramente. A volte sbagliando indirizzo. Anche ostentando poca obiettività, quando il tema trattato avrebbe potuto innescare una qualche polemica di carattere nazionalista. Sempre, però, e lo crediamo 3
fermamente, con molta onestà e professionalità. Anzi, è stato proprio sui temi più scabrosi, quelli che in qualche maniera avrebbero potuto ledere la nostra dignità civile e nazionale, che la risposta di chi ci leggeva è stata più chiara e inequivocabile. Quando, per esempio, la nostra Comunità minoritaria veniva strumentalmente portata in campo e inserita a forza nelle polemiche, storiche e non, con la vicina Italia. Oppure, quando il non volersi adeguare al conformismo ideologico di determinate strutture politiche, aprivano nuove brecce di ostilità nei sentimenti della popolazione con cui conviviamo. Noi amiamo illuderci che tutti coloro che acquistano o sono abbonati al Mandraè, ogni quindici giorni leggano anche il nostro inserto intitolato”Il Mandracchio”. Forse è davvero un’illusione che scaturisce dal presupposto per cui tutti gli Isolani dovrebbero conoscere anche la seconda lingua ufficiale della nostra città. Che per noi è la prima. Perché è la nostra e, poi, anche, per diritto d’anzianità. Tuttavia, se le nostre righe sono lette anche da solo una parte degli Isolani, lo scopo sarebbe raggiunto: per aiutarci ad uscire dall’isolamento forzato nel quale da decenni ormai si sta cercando di spingerci in tutti i settori. E non si tratta soltanto di un’impressione. Provate a vedere a quali risultati concreti ha portato, prima ed ora, la cosiddetta categoria dei “diritti particolari”. A ben ragionare, in fondo, la cosiddetta categoria costituzionale con la quale, attraverso l’art. 64 della Costituzione slovena, questo Stato cerca di contrabbandare la sua presunta democraticità e tolleranza nei confronti delle minoranze nazionali autoctone, non è altro che un ben congegnato sistema di emarginazione, di segregazione, di degenza assistita - anche se non sempre indolore e non sempre incosciente. Per un motivo molto semplice: l’applicazione e la realizzazione delle norme di tutela, quelle appunto che vanno sotto il nome di “diritti particolari”, sono esclusivamente a senso unico, a carico, cioè, dell’appartenente alla Comunità nazionale italiana. Una condizione frustrante e, spesso, anche penalizzante. A distanza di oltre un decennio, in effetti, il sistema di tutela delle comunità nazionali autoctone messo a regime dalla Slovenia, anche attraverso i contenuti dell’art. 64 della Costituzione, ha dimostrato la sua totale inefficienza. La miriade di norme che, secondo le argomentazioni pubbliche, dovrebbero assicurare alle comunità minoritarie una piena soggettività in campo culturale, politico, economico 4
e sociale, in realtà si sono dimostrate particolarmente adeguate nell’agevolare quel processo di costante e neanche tanto silenziosa assimilazione e di snazionalizzazione. Il ruolo delle due minoranze autoctone nell’ambito del sistema legislativo, di quello economico, di quello culturale, a livello statale ed a livello delle autonomie locali, è rimasto sostanzialmente e indiscutibilmente precario, in assenza di una qualsiasi precisa volontà politica del potere costituito di promuovere un possibile miglioramento della situazione. Anzi, giunge il sospetto, quando non addirittura la certezza, che il sistema sia stato ideato ad arte, proprio per conseguire i risultati che, ahimè, si stanno realizzando. E facendo in modo che fosse possibile colpevolizzare e indurre ad autocolpevolizzarsi la minoranza stessa. Il periodo preso in considerazione dai fondi pubblicati dal foglio della Comunità Italiana di Isola vanno praticamente dal 1993 alle ultime settimane di questo 2005. Sostanzialmente si tratta degli anni che in qualche maniera hanno caratterizzato il percorso della Slovenia nel suo cammino di consolidamento dell’ indipendenza e sovranità nazionale e, contemporaneamente, di avvicinamento e di adesione all’Unione Europea. Un cammino che ha, in molte occasioni, visto partecipi in prima persona anche noi e tutta la nostra Comunità. Dalle prime schermaglie con la vicina Repubblica Italiana, via via, attraverso tutti i meandri di formazione del nuovo sistema politico e giuridico nonchè della posizione che al suo interno sarebbe venuta ad occupare anche la minoranza italiana, in quanto Comunità Nazionale autoctona. Una comunità, tutto sommato, tutelata più da accordi internazionali prima ancora che da un suo diritto naturale di residenza e di appartenenza storica al territorio (pur se potrebbe sembrare logico ed ovvio). Un periodo, di conseguenza, che ha visto la comunità italiana attraversare, essendone coinvolta, tutto il processo di adeguamento alle regole della democrazia, del pluralismo politico, della libertà di pensiero e di fede, ma anche alle prepotenze, alle arroganze, alle supponenze di un potere intento a dimostrare a sé stesso e al mondo la propria presunta supremazia e le proprie capacità. Processi di liberazione, oltre che di liberalizzazione, che per noi non sono stati sempre forieri di buone novelle. Spesso hanno costretto la minoranza a reagire con forza, quando non addirittura a rinchiudersi a riccio, per non lasciarsi travolgere dai tentativi di trasformarla in spicciola moneta di scambio nelle controversie con i Paesi vicini, sia che si trattasse della Croazia o dell’Italia. 5
Ritengo che proprio i commenti delle singole situazioni che il Mandracchio ha formulato nel giro di dodici-tredici anni, rappresentino una specie di cartina tornasole, di scheda della verità per una generale valutazione della nostra posizione in tutti i settori. Da quello politico, a quello linguistico, a quello culturale, a quello più generalmente sociale e di reciproca tolleranza con il resto della cittadinanza e, soprattutto, con chi questa cittadinanza rappresenta politicamente e amministrativamente. L’unico risultato che veramente conta in questo decennio, o poco più, di esperienza minoritaria all’interno della sovranità statale del Paese di cui siamo cittadini, è quello che è venuto a galla - come una libecciata d’agosto - con le cifre del Censimento della popolazione del 2002. La presenza italiana si è ridotta di un terzo nel giro di un decennio. Un periodo che - grosso modo - coincide proprio con l’acquisizione della Slovenia della piena sovranità statale. Certo, probabilmente hanno ragione gli esperti del governo sloveno, quando ribadiscono che, secondo loro il numero degli Italiani (ed anche degli Ungheresi) non è affatto diminuito. Anzi, sulla base degli elenchi elettorali, sulle dichiarazioni inerenti l’uso della lingua madre, sarebbe addirittura aumentato. Vogliamo crederlo. In fondo, lo constatiamo anche noi. Il problema è un altro: ed è molto più insipido e pericoloso di quello che potrebbe essere identificato in un processo di lenta, inesorabile, costante, silenziosa assimilazione. Il problema va identificato soprattutto nella risposta che bisognerebbe dare alla domanda: perché in un regime di restaurate libertà democratiche, alcuni cittadini sloveni di diversa appartenenza nazionale, preferiscono optare per l’anonimato e non dichiararsi appartenenti ad una nazionalità diversa da quella in cui si identifica lo Stato-Nazione? Crediamo che i commenti che pubblichiamo in questo volumetto e che per dodici anni sono comparsi come fondo del “Mandracchio” possono dare una risposta abbastanza precisa e coerente. Così l’abbiamo capita noi. E se assieme a noi l’hanno compresa anche quelle decine o centinaia di concittadini che assieme al “Mandraè” acquistano anche il “Mandracchio” e - di tanto in tanto - ci telefonano per farci pervenire il 6
senso della loro solidarietà, allora vuoi dire che - nel nostro piccolo, come si suoi dire - abbiamo fatto un buon lavoro. Vuoi dire che, la volontà di separarci, di emarginarci, di tutelarci isolandoci non è ancora riuscita. Anche, forse, grazie al Fondo del Mandracchio! E anche in questo caso, non è poco! Dicembre 2005
Silvano Sau
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Terra amara Dopo l’ultimo avvertimento del Fondo per il demanio agricolo e forestale della Repubblica di Slovenia, che prorogava il termine utile per presentare domande di concessione in affitto dei terreni nel comune di Isola dal 15 settembre al 30 ottobre, la redazione del “Mandracchio” ha ritenuto opportuno informarsi sull’attuale stato di cose. Durante un colloquio telefonico con la responsabile di Lubiana per il nostro Comune, signora Marija Lukaèiè, abbiamo appreso che entro il primo termine erano pervenute 835 domande e un altro centinaio ne erano giunte entro il 30 ottobre. Tuttavia, come ha assicurato la signora Lukaèiè, vista la situazione particolare venutasi a creare a Isola, se vi sono dei ritardatari che per motivi giustificabili non hanno ancora presentato domanda (magari perché confidano nella validità del vecchio contratto) sono pregati di mettersi in contatto con la sede capodistriana del Fondo (Tel.: 38-280) entro e non oltre il mese di dicembre di quest’anno. Ogni domanda verrà trattata singolarmente e, se possibile, risolta positivamente. Va comunque sottolineato che tutti i contratti a suo tempo stipulati con il Comune di Isola, indipendentemente dalla loro durata, scadranno definitivamente con il 31 dicembre di quest’anno. Entro la stessa data, il Fondo si impegna a dar comunicazione scritta a tutti coloro che nei termini previsti dalla Legge e dal Concorso abbiano presentato regolare domanda di concessione in affitto dei terreni. Il nuovo contratto verrà definito, invece, nel 1994 con tre possibili scadenze di 10, 15 o 25 anni, a seconda del periodo valutato per l’ammortamento degli impianti e delle piantagioni esistenti. Con il prossimo anno prenderà il via anche la possibilità di acquisto dei singoli appezzamenti, naturalmente, valutati caso per caso. La redazione del “Mandracchio” invita i propri lettori interessati a ulteriori chiarimenti a far pervenire le loro richieste alla nostra testata, con domande precise e circostanziate. Sarà nostro dovere e impegno cercar di fornire tutte le informazioni che riusciremo ad avere presso gli organi competenti. 11 novembre 1993 Silvano Sau 9
Cerimonia per l’inaugurazione della Biblioteca Besenghi che dopo alcuni decenni è ritornata nella propria sede originaria: Palazzo Besenghi
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Vertenza TV Capodistria: Un gioco pesante Violentata ma non piegata. La redazione italiana di TV Capodistria ha risposto con lo sciopero ai potenti di turno che operano sistematicamente per staccare la spina dell’autonomia di programma. La decisione del Consiglio della RTV della Slovenia di affidare la preparazione del nuovo palinsesto per la testata italiana al redattore capo della televisione di Lubiana rappresenta un fatto di estrema gravità. Immediate le reazioni delle massime istituzioni della comunità nazionale, ovvero Unione italiana e Comunità autogestita costiera. Nei comunicati si sottolinea che tale delibera è palesemente contraria ai dettami costituzionali e alle disposizioni di legge slovene e che viola gli accordi internazionali sui diritti delle minoranze, nonché le attuali forme e procedure istituzionali per l’inclusione del gruppo nazionale nella gestione e nella programmazione dell’emittente istriana. Ma tutta l’orchestrazione della vicenda, che data già da parecchi mesi, riporta alla mente i metodi usati in un recente passato che si pensava superato. Invece ci troviamo di fronte ad una sconcertante mancanza dei più elementari codici di dialogo e civiltà. Sono segnali inquietanti che se confermati potrebbero far temere davvero per la crescita e l’esistenza della comunità italiana. Casi creati ad arte ma che finiscono per ripercuotersi come macigni sui valori della tolleranza e della convivenza. A questo punto gli sguardi si spostano chiaramente sul governo e sul parlamento statali. Mentre scriviamo non sappiamo ancora quale piega abbiano preso gli avvenimenti a Lubiana nei riguardi della vertenza di TV Capodistria e quali saranno le indicazioni dei vertici del Paese. Certo è che appare difficile credere che le forze che hanno provocato la giusta reazione dei dipendenti della testata italiana abbiano fatto un favore all’immagine internazionale della Slovenia. Il biglietto per l’Europa che conta si stacca anche da queste parti. Intanto alla redazione capodistriana sono arrivati attestati di solidarietà da diversi indirizzi e a questo coro si unisce anche la redazione del Mandracchio. 25 novembre 1993 Claudio Moscarda 11
Penelope story Abbiamo a più riprese dichiarato che Isola ama i parti lunghi. Ce lo confermano i progetti “Marina”, “Ospedale” e ultimamente pure “Casa Manzioli”. La cosa ci preoccupa. Perchè? Per il semplice fatto che la medicina c’insegna che nel parto lungo c’è anormalità. E ciò in barba a coloro che nella lunghezza vedevano la sicurezza, la garanzia delle cose fatte bene. Noi, sinceramente, avremmo anche sopportato qualche allontanamento nel tempo in favore del bel nascere. Ma il troppo, si sa, stroppia. E gli storpi fanno, si, tenerezza, ma non, sicuramente, piacere. A pensarci bene, lo “storpio” Casa Manzioli non fa neanche tenerezza. Anzi, fa ribrezzo, visto che è assurto a “ostello” per mammiferi di limitate dimensioni, però estremamente ripugnanti. Tenerezza, caso mai, fa chi ci crede ancora nel suo recupero, nella sua trasformazione in sede della Comunità degli italiani di Isola e, soprattutto, in Centro di restauro. Dopo dieci anni di “penelopiane” esperienze uno deve sentirsi sazio dei “fusse che fusse la volta bona”, tranne che non si tratti di un “Pozzo di San Patrizio”. Dell’ingenuità, naturalmente. 9 dicembre 1993 Gianfranco Siljan
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Didascalia: La prof.ssa Amalia Petronio, responsabile della sezione di storia patria della Biblioteca Centrale di Capodistria, che ha seguito l’opera di restauro dei tremila volumi della Biblioteca
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Una partenza lunga dieci anni 1983: La Comunità degli italiani di Isola inoltra formale richiesta all’UIIF e all’UPT per il sanamento della propria sede situata in Palazzo Besenghi. La richiesta entra nella lista di priorità della collaborazione, immediatamente dopo la conclusione del restauro di “Palazzo Milossa” di Rovigno e dopo “Casa Tartini” di Pirano. 1984: Le strutture comunali pongono alla Comunità degli italiani il dilemma: rinnovare Palazzo Besenghi o ristrutturare a sede della Comunità Palazzo Manzioli? Viene scelta la seconda. 1985: Assieme alle competenti autorità comunali e repubblicane in settembre viene costituito un Comitato di coordinamento per Palazzo Manzioli. 1986/7: Si lavora “intensamente” sulla progettazione e sulla elaborazione del piano di ristrutturazione di palazzo Manzioli. 1988: Finalmente il progetto di ristrutturazione è completato e viene presentato alla Comunità degli italiani che lo approva (il famoso “libro rosso”). 1989: Il progetto “Palazzo Manzioli”, ampliato con la prevista costituzione di un Centro di restauro per l’arte veneta, entra nelle liste del “Memorandum C” dell’Accordo Mikuliè-Goria. Per la realizzazione del progetto del governo italiano è previsto uno stanziamento di 3 miliardi di lire. Il progetto riceve il benestare di tutti gli organi competenti locali, repubblicani e (allora) federali. Viene nominato un gruppo di lavoro misto a livello governativo (Italia-Slovenia). 1990: Ha inizio la proceduta per il rilascio dei permessi necessari per l’avvio dei lavori. Viene preparato anche un dettagliato preventivo. Contemporaneamente vengono studiati i progetti per la costituzione del Centro di restauro assieme al Centro restauri di Lubiana. 1991: In base alle clausole del memorandum Mikuliè-Goria, la Comunità degli italiani chiede all’Assemblea comunale il passaggio di proprietà dello stabile alla Comunità. 14
1992: Con adeguata delibera il Comune di Isola stipula il contratto sul passaggio di proprietà di Palazzo Manzioli alla Comunità. Viene proposta la nomina di un comitato edile operativo. 1993: Il comitato edile viene confermato nelle persone di Bruno Orlando (presidente), Aleksander Lozej, Aleksander Golob, Roberto Battelli, Bo•idar Guštin e Franc Mikša. In base al concorso pubblico i lavori di ristrutturazione di Palazzo Manzioli vengono affidati all’Architecta di Pirano. Inoltre, Unione Italiana e CAN costiera esaminano la proposta inerente la creazione della Scuola di restauro di arte veneta abbinata al progetto e che dovrebbe coinvolgere direttamente la Scuola media professionale di Isola. Il 12 novembre dello stesso anno, il ministro plenipotenziario del MAE italiano, Ercole Pietro Ago, alla cerimonia di premiazione del concorsi “Istria Nobilissima” a Grisignana, annuncia che il progetto “Palazzo Manzioli” è prossimo alla linea di partenza. 1994: Il progetto “Manzioli”, in pista ormai da dieci anni, riuscirà finalmente a decollare? 9 dicembre 1993 Silvano Sau
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Casa Manzioli, ormai prossima al crollo, dopo anni di attesa, sembra finalmente pronta per l’opera di restauro. Tuttavia, quella che nel corso degli anni successivi è stata definita ‘la storia infinita’ , non era ancora pronta. Dopo qualche mese l’impalcatura venne nuovamente smantellata.
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Legge sulle Comunità nazionali autogestite: Competenze e diritti più precisi Qualche giorno fa il governo della Slovenia ha approvato il testo della Legge sulle comunità nazionali autogestite che ora, in seconda lettura, può intraprendere il normale iter per affrontare il dibattito alla Camera di Stato ed essere definitivamente approvato. Rispetto alle vecchie C.N.A., tuttora in vigore, la nuova legge stabilisce alcune importanti novità per le tutela degli interessi delle minoranze italiana e ungherese in Slovenia. Innanzitutto queste Comunità diventano automaticamente soggetto di diritto pubblico, quindi categoria costituzionale e sono chiamate ad esprimersi su tutta una serie di importanti competenze per il gruppo nazionale. Così, per esempio, il loro consenso sarà determinante nell’approvazione di quelle misure che riguardano direttamente i diritti particolari della minoranza a livello di autonomie locali. Esse collaboreranno con i rappresentanti della minoranza eletti negli organi delle autonomie locali e nella Camera di Stato(art. 5). Anche per le elezioni nel Consiglio della Comunità Nazionale sono previste alcune novità. Per esempio - contrariamente alle elezioni amministrative precedenti - soltanto gli appartenenti alla minoranza potranno dare il proprio voto ai candidati sulla base di elenchi elettorali comprendenti tutti i condizionali del territorio. Si presume, quindi, che anche i seggi elettorali verranno organizzati presso le nostre comunità, contemporaneamente e usando gli stessi criteri adottati per le elezioni amministrative della Slovenia. La Comunità costiera, ultimamente eletta a suffragio universale e diretto, rappresenterà invece un organo di coordinamento tra le singole comunità comunali e diventerà il rappresentante delegato della minoranza nei rapporti con la Regione e lo Stato. L’approvazione della Legge, prevista per il prossimo mese, naturalmente, non risolve ancora tutti i problemi. Però, non appena approvata, si potrà incominciare a lavorare sulle proposte di Statuto e sugli altri documenti necessari per farla funzionare. Un lavoro che riguarda 17
in primo luogo proprio i connazionali nelle nostre ComunitĂ . In attesa delle elezioni che, come abbiamo appreso ultimamente, da aprile sono state rinviate a fine novembre. 3 febbraio 1994 Silvano Sau
Il neoeletto Consiglio della ComunitĂ Autogestita della NazionalitĂ Italiana di Isola
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Isola a pezzi Con grande stupore abbiamo scoperto che Isola è una cittadina dispari. Tra le tante sue piazze che dovevano cambiare nome, è stata presa in considerazione soltanto la numero uno, cioè l’ex Piazza dell’APJ che è stata ribattezzata Piazza grande. Le colonnine e le relative palle in memoria al grande cartografo Pietro Coppo, per motivi ancora sconosciuti, da due si sono ridotte a una. In Via Lubiana gli edifici riportati all’antico splendore sono per la maggior parte nel filare dispari. Al pari, invece, e precisamente dal numero 34 al numero 38, c’è un grande pericolo pubblico. Enormi masse d’intonaco, infatti, pendono sulle teste degli ignari passanti. Almeno qualcuno si fosse ricordato di esporre l’avvertenza, come fatto dall’Ufficio parrocchiale in S. Mauro e in S. Maria di Alieto, “CADE L’INTÓNACO”. Ora la Via Lubiana verrà sottoposta a lavori di scavo, a vibrazioni di ogni intensità, che dovrebbero ridarle un selciato agibile. E con gli intonaci imputati? Apriti cielo! Perciò si faccia qualcosa se non si vuole “ch ‘l tacon risulti peso del buso”. 17 marzo 1994 Gianfranco Siljan
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La sindrome delle strade A intervalli di tempo più o meno regolari, quasi sempre alla vigilia del bel tempo primaverile e della stagione turistica c’è qualcuno che riporta in ballo il problema della strada costiera da Capodistria a Pirano e oltre. Quest’anno una indagine in tal senso si è svolta mentre eravamo intenti a discutere in non affollate assemblee sulle nostre future autonomie locali. Inchiesta portata avanti da un’affabile e gentile signora o signorina che, con tanto di carta e matita, girava per le nostre case chiedendo cosa ne pensavamo, se eravamo d’accordo che la futura strada passasse attraverso il nostro cortile, se eravamo eventualmente proprietari di terreni limitrofi e con quali argomenti contrastavamo un probabile progetto del genere. Il tutto una domenica pomeriggio del mese di marzo. Pare effettivamente che in Slovenia si viva con la sindrome delle strade a tutti i costi e dappertutto. Perché - dicono - le strade sono sinonimo di progresso e di civiltà. Rappresentano il lasciapassare per l’Europa. Costi quel che costi. Quindi un’autostrada anche per collegare Malio a Saletto e, dall’altra una strada super veloce per collegare Saletto a Costerlago. Quella che concretamente si vorrebbe progettare dovrebbe tagliare effettivamente in due il comune di Isola: da una parte la zona urbana, dall’altra il contado. Da parte nostra abbiamo esposto molto precisamente i motivi per i quali siamo decisamente contrari. - Perché riteniamo che la zona costiera non abbia bisogno di un’autostrada, visto che le sue necessità di collegamenti anche turistici possono essere benissimo espletate dalle strutture esistenti, naturalmente se opportunamente rimodernate e, dove necessario, ampliate. - Perché riteniamo un crimine eliminare l’unica zona ecologicamente ancora intatta che è rappresentata dalla Corgnoleda, cioè la valle che da Saletto-Lavorè finisce a Strugnano. - Perché significa infierire anche su quel poco di popolazione autoctona che nella zona è rimasta, devastando un’altra volta il rapporto tra popolazione e ambiente, tra zona urbana e zona rurale. Alla faccia dell’Europa e dei suoi valori. 31 marzo 1994 Silvano Sau 20
50.esimo UIIF: Ricordi scomodi Il prossimo mese la nostra comunità nazionale, che lo voglia o meno, dovrà pronunciarsi su un avvenimento che, comunque ha segnato la sua esistenza. Nella prima decade di luglio, infatti, ricorrono i cinquant’anni dalla fondazione a èamparovica dell’Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume. L’organizzazione che, bene o male, ha rappresentato fino a tre anni fa la nostra minoranza e di cui l’attuale Unione Italiana si è dichiarata legittima erede. Indipendentemente da come lo farà, rappresenterà comunque una presa di posizione: sia che celebri l’anniversario, sia che lo faccia passare in silenzio, sia che si serva del cinquantenario per la rivisitazione storica della sua nascita e della sua funzione nei decenni che seguirono. Anche in funzione di un dibattito di piena attualità, su fascismo e antifascismo. Personalmente ritengo auspicabile la terza variante: fare una analisi storico-politica-nazionale dell’UIIF che abbracci tutti i 47 anni della sua esistenza per poterla collocare tra le cose vissute e tra le cose che, comunque, ci hanno permesso di vivere. Sarebbe pure auspicabile un’analisi di quelle che erano storicamente le prerogative che hanno portato alla sua creazione. Senza false demagogie e senza ipocrite pedagogie. Alcune domande, alle quali a distanza di cinquant’anni, sarebbe opportuno saper e poter rispondere: - L’Unione degli Italiani è stata creata su basi ideologiche (fascismoantifascismo), oppure è stata creata come strumento ideologico in funzione della prevedibile spartizione territoriale postbellica? - È stata la volontà degli Italiani dell’Istria e di Fiume a volerla, oppure è stata la volontà del Partito Comunista croato? - Quanta parte della popolazione italiana si è riconosciuta in essa, almeno negli anni immediatamente successivi alla fine della guerra? - È stata sempre strumento imposto e controllato dal potere oppure, con il passare degli anni, è diventata anche unico elemento di coesione e di formazione nazionale? E anche di identificazione nazionale, non fosse altro perché era l’unico strumento che comunque era permesso e a disposizione. 21
- Da non dimenticare, poi, che in origine l’UIIF non comprendeva gli italiani del mai realizzato T.L.T., i quali fino al 1954 sul territorio non erano minoranza, ma maggioranza. 2 giugno 1994 Silvano Sau
Isola “Stiamo attraversando un brutto momento. Il clima che si respira a Isola è di rassegnazione, non certo di entusiasmo. Il Comune, infatti, sta subendo un progressivo processo di emarginazione.” Un tanto ce l’ha detto un consigliere comunale che non vediamo da tempo partecipare ai lavori dell’Assemblea comunale. L’emarginazione, però, è anche frutto dell’assenteismo suo e di quello degli altri. Siamo consapevoli che Isola è una cittadina senza “attributi tosti”, perciò fin troppo arrendevole nei confronti di Lubiana; che nella nostra cittadina i parti sono quasi sempre troppo lunghi e dolorosi; che certe cose che la caratterizzavano - come la pesca - sono ormai finite nel libro dei ricordi; che c’è diffidenza per il nuovo; che si vive nella più assoluta confusione partitica, nella quale uno dalla mattina alla sera dimentica qual’è il suo partito di appartenenza. Però è altrettanto vero che Isola “gode” di un invidiabile potenziale intellettuale e che di questo nemmeno se ne accorge; che Isola è una cittadina baciata dalla fortuna per quanto riguarda la sua collocazione geografica; che Isola vanta tradizioni non indifferenti in più di qualche settore dell’economia. In altre parole, Isola è come una bella donna che tutti vorrebbero conquistare. Spetta però a noi evitare gelosamente che ce la conquistino, perciò dobbiamo abbandonare, se ci riesce, l’arma del pianto, della rassegnazione, dell’attendismo e l’ormai fin troppo diffusa “arte” del discreditare, dell’etichettare, del “se tutto va bene siamo rovinati”. Aiutiamoci che Dio ci aiuta. 6 ottobre 1994 Gianfranco Siljan
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La sede della Polizia in una delle più belle ville di Isola: forse il segnale in bella mostra sta ad indicare il divieto della lingua italiana?
In tema di toponimi: Un gioco kafkiano Giorni fa sono stato amichevolmente redarguito da un amico perché secondo lui mi ero trasferito da Isola senza prima informarlo e senza comunicargli - almeno - il mio nuovo numero di telefono. Gli risposi subito, che le ultime modifiche all’elenco telefonico, per quanto mi riguardavano, erano state effettuate circa un anno fa e che da allora niente era mutato. Comunque, sarebbe bastato prendere in mano un qualsiasi elenco o, eventualmente, verificare presso il servizio informazioni. L’amico mi guardò come dire: “Ma chi vuoi prendere in giro?” e sostenne che effettivamente aveva guardato anche l’elenco, ma del sottoscritto nessuna traccia. Preso dal panico pensai che si stesse avverando a mia insaputa un processo di lenta ma inesorabile cancellazione del mio nome dalla vita civile. Del tipo “Il processo” di Kafka: è vivo, ma non esiste perché agli atti non risulta.
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Invece, era successo l’inverso. Sull’elenco telefonico è una parte di Isola che non esiste più, perché rinata sotto altro nome. Chi vive sopra la vecchia strada Capodistria - Pirano non è più un isolano, ma è un abitante di Jagodje. Quindi un jagodjano. E chi sta cercando il mio numero di telefono deve cercarlo sotto la voce “Jagodje”. Anche sui documenti personali, come la carta d’identità, è riportata la stessa dicitura. Improvvisamente non sono più un isolano - vanto e orgoglio - ma un jagodjano. E per di più, nel pieno rispetto delle norme che regolano anche il bilinguismo nel Comune. Infatti, accanto al termine JAGODJE (versione slovena del nuovo centro abitato) sta scritto anche il termine nella versione italiana che è, appunto, JAGODJE. Andando avanti nella ricerca di nuovi eventuali toponimi e di nuovi centri abitati, scoprii che esisteva anche DOBRAVA (versione slovena) e DOBRAVA PRESSO ISOLA (versione italiana). Mentre mantengono soltanto la versione slovena KORTE e MALIJA. Non per cercare il pelo nell’uovo, ma ricordo che già dieci o vent’anni fa si discuteva se era il caso di mantenere i toponimi di Jagodje e Dobrava, visto che non avevano il corrispettivo nella lingua della minoranza italiana. Ma si sa, allora i tempi erano diversi e si viveva all’ombra del Grande Fratello che tutto sapeva e di tutto disponeva. Oggi le cose sono molto più semplici: si fa e non si discute. Nemmeno in sede di quarta camera che, per chi non lo sapesse, era lo strumento, per fortuna defunto anch’esso, inventato dal regime per ‘tutelare’ gli interessi della comunità nazionale italiana. 20 ottobre 1994 Silvano Sau
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Costituita la CNA: Siljan, “doppio” presidente “Elaborazione dei documenti interni e contributo alla stesura degli Statuti comunale e della CNA costiera, nonché modifiche alla bozza di quello dell’Unione italiana. Avvio di tutto il necessario per la realizzazione della tanto agognata sede a Casa Manzioli o revisione di tutti i progetti riguardanti gli attuali vani di Palazzo Besenghi. Massimo impegno per la concretizzazione del nuovo edificio dell’elementare e dell’asilo italiani e per il completamento della scuola media. Ed ancora analisi della posizione sociale dei nostri connazionali e garanzia di un’assistenza legale anche in virtù delle nuove leggi in materia di denazionalizzazione.” Sono questi gli impegni immediati prospettati dal neo presidente della Comunità autogestita della nazionalità, Gianfranco Siljan. Eletto alla riunione costitutiva dell’organismo con sette voti a favore su otto presenti, Siljan ricoprirà ora la doppia veste di presidente del direttivo della C.I. “Besenghi” e della CNA. Una soluzione, come rilevato nell’occasione, che “eviterà dualismi e rivalità tra le due realtà istituzionali anche per quanto concernono le competenze, guadagnando in razionalità”. A tale proposito è stato nominata una commissione che dovrà proporre regole e contenuti da inserire nel nuovo Statuto della CNA. Fari puntati anche su Casa Manzioli, progetto che secondo alcune voci potrebbe partire il prossimo anno, nonché sulla sistematizzazione della struttura professionale comunitaria. Argomenti questi che verranno trattati in modo più completo ad un prossimo incontro. 22 dicembre 1994 C.M.
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Costituito il Consiglio comunale di Isola: 1995, un anno di speranze e di lavoro “La speranza, ha detto il Foscolo nei Sepolcri, è l’ultima Dea ad abbandonare l’uomo”, ed è proprio armati di questa che affrontiamo le avventure del 1995. Sappiamo che non sarà un anno facile, che molti dei problemi che gravano sulla nostra comunità e sul nostro comune in generale non potranno essere risolti in tempi brevi. Però i risultati dello scorso San Nicolò ci rendono un tantino più ottimisti che nel passato. Le ultime elezioni, ossia le prime elezioni amministrative nello Stato sloveno, hanno decretato la fine delle Assemblee comunali, di quell’apparato legislativo mastodontico e proporzionalmente caotico, e hanno aperto la strada a forme organizzative più consone alle esigenze dei giorni nostri. Spetterà a noi farne tesoro. Per quanto concerne la nostra comunità nazionale i risultati delle stesse elezioni possono essere ritenuti particolarmente lusinghieri. Il Sindaco, infatti, è un nostro connazionale e quattro dei 23 seggi in Consiglio comunale sono stati occupati pure da nostri connazionali. Questi dati alimentano in noi la speranza di vedere immediatamente avviati i progetti edilizi riguardanti la nuova sede della Comunità italiana di Isola nella vetusta Casa Manzioli, della nuova Scuola elementare di lingua italiana, nonché dell’ampliamento del Centro scuole medie “Pietro Coppo”. E che Dio ce la mandi buona. 12 gennaio 1995 Gianfranco Siljan
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Lavori in corso per il restauro parziale del Duomo di Isola
Chiaroscuri delle autonomie locali Poche leggi approvate in Slovenia hanno destato tanti dubbi e malumori quanto quella sulle autonomie locali. Nella lettera di dimissioni dalla carica di presidente della Commissione della Camera di Stato per le autonomie locali il deputato della Lista Unita Ciril Ribièiè rileva che “la legge non può certamente fare onore alla Camera di Stato perché non ha rispettato la volontà espressa dai cittadini nei referendum”. Così sono nati anche numerosi piccoli comuni che normalmente non potrebbero e non dovrebbero avere questo status, mentre in altri casi si volevano frantumare comuni esistenti chissà da quando. La legge inoltre è poco o per niente chiara in alcune questioni essenziali. E come un boomerang subito dopo le elezioni amministrative, già all’atto stesso della costituzione degli organismi comunali, si sono confermati i timori di chi diceva che sarebbe stato meglio aspettare ancora qualche 27
mese e mettere il documento a punto. Il neoeletto sindaco di Isola dott. Mario Gasparini nel suo primo intervento al Consiglio comunale è stato costretto ad esprimere rammarico per il fatto della non chiarezza della legge, in particolar modo per quanto riguarda il rapporto fra sindaco e consiglio comunale che vengono eletti, il primo in modo diretto, i secondi sulle liste dei partiti. Un dualismo questo che ha già destato non soltanto perplessità, ma anche notevole insoddisfazione pure nel recente incontro di Lubiana fra i neoeletti sindaci e il ministro per le autonomie locali Boštjan Kovaèiè. Secondo Gasparini, il sindaco dovrebbe condurre anche le riunioni del consiglio, in caso contrario la sua sarebbe soltanto una funzione di capo dell’amministrazione comunale, funzione che nessuno dei neoeletti sindaci sarebbe disposto ad assumere. Gasparini ha aggiunto che presenterà il proprio programma dopo che da Lubiana giungeranno i debiti chiarimenti sui vari punti della legge. Dal canto suo il ministro Kovaèiè, che prima di assumere l’incarico era presidente del consiglio esecutivo del comune di Novo Mesto, ammette che la legge contiene dei “buchi” e che bisognerà risolvere i dilemmi. La legge dovrebbe così venir modificata in due fasi. La prima, entro il prossimo giugno, dovrebbe chiarire lo status e i rapporti non solo fra sindaco e consiglio ma anche fra amministrazione comunale e unità amministrativa dello stato, visto che ai comuni è stata tolta la stragrande maggioranza delle funzioni statali trasferite, appunto, alle unità amministrative. C’è poi la questione del finanziamento dei comuni che rischiano di dipendere esclusivamente dallo stato (ovviamente centralizzato). Le questioni meno urgenti dovrebbero venir risolte entro la fine dell’anno in corso o al più tardi l’anno prossimo. La Commissione della Camera di Stato per le autonomie locali, che dovrà preparare gli emendamenti da presentare ai deputati alla Camera e che ora è presieduta dalla nostra concittadina Breda Peèan, è in attesa delle proposte da parte del ministero che, a detta dello stesso Kovaèiè, ne ha già diverse. Nel frattempo, come rilevato dal sindaco di Capodistria Aurelio Juri, ognuno cerca di risolvere i problemi a modo suo. 26 gennaio 1995 Andrea Šumenjak
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Cinquanta anni dopo: Jalta 1945 – 1995 Dovremo abituarci, in questo 1995, a seguire quasi ogni settimana sui giornali il resoconto di avvenimenti di 30, 40 o cinquanta anni fa. Che hanno fatto la storia del mondo in quest’ultimo mezzo secolo e, nel nostro piccolo, hanno condizionato anche la nostra vita. E continuano a condizionarla. Uno dei primi che abbiamo rivangato, la Conferenza di Jalta, tanto lontana nel tempo e geograficamente, eppure – almeno per noi – ancora presente nella perfida logica che proprio allora aveva introdotto, e della quale – nonostante i cambiamenti degli ultimi anni – la politica internazionale non è ancora riuscita a liberarsi. Come sottolinea, nella sua concisione, un dizionario storico, alla Conferenza di Jalta Churchill, Roosvelt e Stalin fissarono a grandi linee l’assetto postbellico dell’Europa. Un incontro che si protrasse per una settimana e iniziò il 4 febbraio 1945. Fu in quell’occasione, come rilevano i cronisti del tempo, che con un tratto di matita su un semplice pezzo di carta, che i tre grandi crearono le premesse per buona parte della storia accaduta in Europa nei successivi 50 anni. Il muro di Berlino, sinonimo di cortina di ferro, la divisione loccarla del mondo in ben delimitate sfere d’influenza, la guerra fredda e la corsa agli armamenti. E, nel nostro piccolo, come dicevamo, il problema dei confini tra Italia e l’allora Jugoslavia. Le Zone A e B, il Territorio Libero di Trieste, il Memorandum di Londra, gli Accordi di Osimo e, via, fino ai giorni nostri. Una pace durata mezzo secolo, ma basata su delicati equilibri di forza e, più ancora, su delicati equilibri di paura. Equilibri che, noi gente di confine, abbiamo sofferto anche in prima persona. Le nostre genti – di qua e di là della frontiera, che demagogicamente veniva definita la più aperta d’Europa – spesso usate come merce di scambio o come agnello sacrificale tra opposte ideologie e tra non compatibili sistemi giuridici ed economici. Una specie di cerniera tra est ed ovest che soltanto il buonsenso o la paura avevano impedito di chiudere come in altre zone d’Europa. Una situazione che – ancora a distanza di mezzo secolo – non vede risolti alcuni problemi, come quello dei rapporti tra Italia e Slovenia, o come quello delle due minoranze, italiana in Istria e slovena nel Friuli-Venezia Giulia. E 29
per il quale alle responsabilitĂ dei rispettivi governi, molte causali vanno ricondotte proprio alle ormai mitiche giornate della Conferenza di Jalta del febbraio 1945. 9 febbraio 1995 Silvano Sau
Anche i Pastori del Signore sembrano preferire una lingua soltanto
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Unione Italiana: Struttura da rivedere Posizione della comunità nazionale italiana in Slovenia, in base al dettame della Legge sulle Comunità autogestite della nazionalità, e unitarietà della minoranza su tutto il territorio del suo insediamento storico. Questo il tema di fondo affrontato la settimana scorsa presso la nostra Comunità con il presidente del gruppo di lavoro incaricato di stendere il nuovo Statuto dell’Unione Italiana, Valerio Zappia. Creare una forte organizzazione minoritaria nel rispetto delle singole realtà territoriali, politiche e statali non significa rompere la più volte auspicata unitarietà del nostro corpo nazionale. Anzi, soltanto legittimando e rafforzando il proprio potere contrattuale a livello locale è possibile garantire anche una maggiore incisività e operatività dell’organismo comune rappresentato dall’Unione Italiana. Questo il messaggio di fondo scaturito dalla consultazione che ha trovato in Valerio Zappia un interlocutore disponibile e aperto alle soluzioni più logiche e realistiche. Ma è proprio per questo che lo Statuto dell’Unione Italiana deve essere sottoposto ad ulteriori verifiche prima di approdare all’approvazione dell’Assemblea. Va rivista, in particolare, la struttura organizzativa dell’Unione che dovrà adeguarsi a quella che è una tendenza ormai generale della democratizzazione interna ed esterna della nostra realtà comunitaria. Occorre, cioè, garantirel’unitarietà con l’introduzione di elementi di decentramento e di rafforzamento della nostra capacità d’azione e rappresentativa nelle singole realtà territoriali, politiche ed economiche, oltre che di appartenenza statale. Una sfida, quindi, che spetta agli Stati, ma che riguarda anche la nostra comunità, se saprà accoglierla e affrontarla senza esclusivismi e senza inutili spargimenti di energie. Ed è proprio per questo - è stato sottolineato nel corso della consultazione - che i preparativi per la proposta di Statuto dell’Unione Italiana vanno portati avanti in parallelo e contemporaneamente ai preparativi per la proposta di Statuto delle Comunità autogestite che, per legge, hanno ben precise competenze a livello comunale e statale. Auspicabile, quindi, che questa realtà venga recepita anche dalle altre Comunità degli Italiani per portare ad una definizione dell’organismo comune 31
quanto più aderente alle necessità e alle possibilità concrete che l’appartenenza a due legislazioni statali comportano. Senza dimenticare che l’unitarietà può essere garantita dalla volontà delle persone e non da come sarà, in base allo statuto, la sua organizzazione, per massima che sia. E senza dimenticare i messaggi che ci vengono da antichi detti popolari, secondo cui la politica è certamente figlia di buona donna, ma anche - più saggiamente - che è l’arte del possibile. 23 febbraio 1995 Silvano Sau
L’inquieto cantore isolano Perché le inquietudini di Pasquale Besenghi degli Ughi? Oltre ai momenti storici determinati dal Trattato di Campoformio, influirono su di lui le tradizioni legate al suo casato, che lo sappiamo nobiliare, e, soprattutto, la figura di suo padre, Giovanni Pietro Besenghi. Questi era una persona rozza, per niente amabile al suo prossimo. Una gobba lo rendeva quasi deforme. Però era una persona dotata di una intelligenza superiore, la qual cosa lo aveva portato a diversi incarichi pubblici pure di alto prestigio. In casa era un despota dal cuore peloso, una persona che non conosceva la gentilezza e l’indulgenza. Il figlio Pasquale, però, era di tutt’altra pasta, una persona sensibile e così porterà tutta la vita in giro e in patria e per il mondo, quella inquietudine derivante da profonde carenze affettive. “Non di servi protervia e di cavalli Ma virtù vera e amor di sacri ingegni, e nelle liberali arti eccellenza Eterno fanno e glorioso un nome. Numero gli altri sono, pecore o zebe: Chi è peso inutil della terra, è plebe”. Pur vivendo una vita convulsa, repentinamente pellegrina, il nostro poeta non trascura mai di studiare, di leggere gli storici, di frequentare 32
biblioteche, di scrivere poesie e brani di prosa. Così di lui Oscarre de Hassek - il miglior biografo di Pasquale Besenghi degli Ughi - che parlando delle sue letture le enumera: “...di storia antica, greca e romana, di storia del basso impero, di storia veneta e friulana, di archeologia, di giurisprudenza, di linguistica e di filosofia, a tacere degli estratti fatti da molte opere così italiane come straniere, di filosofia e di letteratura amena. Chi ebbe una sol volta in mano quei manoscritti non sa capire dove quell’uomo trovasse il tempo per fare degli studi così ampi e severi”. 23.marzo.95 Gianfranco Siljan
Nuovi spazi per la scuola Il nuovo edificio scolastico per il giardino d’infanzia e la scuola di base in lingua italiana, secondo le ultime delibere del Consiglio comunale dovrebbe sorgere nella zona tra il viale Primo Maggio e la via Rivoluzione d’Ottobre. L’intera area destinata alla Scuola elementare Dante Alighieri comprende una superficie di 4300 metri quadrati. La superficie assegnata all’edificio dovrebbe essere di circa 400 mq² destinati alle sezioni del giardino d’infanzia, mentre 2300 metri quadrati dovrebbero soddisfare le esigenze della scuola elementare, in previsione anche dei cambiamenti previsti dalle nuove riforme scolastiche in Slovenia. Oltre alle aule, che dovrebbero ospitare 28 alunni, è prevista la costruzione di una palestra, che secondo le esigenze degli operatori ha da essere di media grandezza, di una cucina per la preparazione di pasti completi con annessa mensa e sala polifunzionale e spazi sufficienti per le esigenze della cooperativa scolastica. L’edificio dovrebbe svilupparsi su due piani e avere le entrate separate per le due istituzioni della comunità nazionale. Le aree comuni interne (corridoi, spogliatoi, guardaroba) sono giudicate sufficienti e confacenti alla normative vigenti. Le aree esterne a disposizione verranno adibite alla ricreazione e allo svago separati dei bambini prescolari e scolari. Non è stato possibile arricchire le vicinanze della scuola con qualche campo sportivo in più, mentre i parcheggi per le esigenze degli operatori e dei fruitori saranno condivisi con il resto della cittadinanza. 33
A detta delle autorità scolastiche, le esigenze dell’Istituto non sono in contrasto con le normative previste per una scuola come la nostra elementare, anche se saranno ancora necessari patteggiamenti per singoli aspetti della nuova costruzione. Il 28 marzo è stato nominato il Comitato edile che come primo compito dovrà valutare e scegliere le proposte di progetto presentate al bando di concorso, il cui termine scade il 10 april. Poi la strada per la costruzione della nuova scuola dovrebbe diventare più comoda e agevole. 6 aprile 1995 Marino Maurel
Cittadinanza amara Morte civile. È la drammatica situazione nella quale sono costretti a vivere alcuni nostri connazionali. Quelli più anziani che non hanno presentato la richiesta di cittadinanza slovena nei termini prescritti dalla legge. Poco importa ai funzionari di Lubiana se ormai risiedono nella regione costiera da trenta e più anni. Dovevano inoltrare domanda ai tempi del referendum sull’ indipendenza, ovvero entro dicembre ’90. Poco importa ora i motivi per i quali non l’hanno fatto. Ma perché umiliare questa gente? Nei luoghi di residenza non figurano più, anche volendo ottenere, ad esempio, la cittadinanza croata ciò non è possibile perché data l’età e i tanti decenni di lontananza dal luogo natio non sono più compresi nei registri. Ecco che in mancanza di una risposta in termini accettabili da parte slovena si ritrovano ad essere apolidi. Senza passaporto o altro documento ad esempio per viaggiare da Isola, Capodistria o Pirano fino a Muggia o Trieste. E per fortuna che al momento dispongono della carta d’identità rilasciata a vita. Ma mettiamo il caso che occorra sostituirla - come del resto annunciato - cosa succedera? Meglio non pensarci. Ma questo è soltanto un esempio. Ci sono altri connazionali più giovani che hanno il consorte sloveno e loro invece figurano quali stranieri. Anche in tali casi le domande di cittadinanza sono ferme da qualche parte con conseguenze immaginabili. Soprattutto nel campo lavorativo dove ci si arrangia - i più fortunati - con contratti a termine, ma di posto fisso non è il caso di parlare. Insomma 34
disagi a non finire. “Lei è in lista - così più o meno la risposta che si sentono dare a Lubiana - ma bisogna attendere.” E intanto i mesi, gli anni passano. 20 aprile 1995 Claudio Moscarda
50º della Vittoria: Apprendistato di Democrazia Gli anniversari che stiamo celebrando in questi giorni, o che ci apprestiamo a celebrare nei prossimi, almeno per noi, gente che viviamo e siamo vissuti in queste zone, devono rappresentare momento di riflessione. Perché se è vero che date come il 25 o il 27 aprile hanno rappresentato un momento storico nella lotta contro l’imperante fascismo, e se è vero che il 9 maggio rappresentò la fine del secondo conflitto mondiale, è altrettanto vero che, per noi, le conseguenze e le tensioni non sono terminate nemmeno ai giorni nostri. Nella nostra visione della memoria storica, però, forse in maniera un po’ ingenua e dilettantesca, vogliamo continuar a credere che proprio anniversari come questi significhino un’occasione per riprendere conoscenza e coscienza dei valori e degli ideali di mezzo secolo fa, che la realtà delle cose accadute nel frattempo ha contribuito ad annebbiare o a far trasbordare verso l’una o l’altra della ideologie. Falsando, nella loro stessa essenza, i valori stessi della Resistenza e dell’antifascismo, quasi fossero un’ingombrante remora che ostacola il passo dei tempi. Concetti che, una volta per uno, sono stati rapinati dalla politica di turno per trasformarli da memoria della collettività in strumento del potere. E se anche è vero, come ha ribadito un importante statista europeo in questi giorni, che nessuno ha il diritto di stabilire che cosa un uomo deve o non deve pensare ricordando i fatti di mezzo secolo fa, va comunque posto in risalto che da quei fatti nacque l’Europa odierna, e su quei principi venne costruita quella che oggi definiamo “la democrazia del Duemila”. E - per dirla con un nostro importante collega - se la Resistenza e l’antifascismo sono stati l’apprendistato della democrazia, allora è un apprendistato il cui ricordo ha ancora un senso. 5 maggio 1995 Silvano Sau 35
Finché la barca va... Sembra che a qualcuno non piaccia l’idea di darsi uno Statuto, il che - in democrazia - significa stabilire delle regole di comportamento e di contenuti, preferendo una situazione fluida, tanto... finché la barca va, lasciamola andare. E questo può valere per gli statuti comunali, ma anche per alcuni statuti delle nostre organizzazioni minoritarie. Indipendentemente dal fatto, incontestabile, che la mancanza di questi documenti ci rende indubbiamente più deboli ed inefficaci nella nostra azione e nel coordinamento delle nostre attività. Come interpretare diversamente le sorti del documento fondamentale della Comunità autogestita costiera che, a distanza di mesi, non riesce ad approdare ad una soluzione positiva? E si, che di problemi da affrontare ce ne sono, a tutti i livelli: di coordinamento tra le singole Comunità anche in vista dell’approvazione degli Statuti comunali, ma soprattutto di azione congiunta nei confronti del potere che cerca di predicare bene, ma si vede lontano che razzola molto male. A partire dai finanziamenti alle nostre istituzioni, per arrivare alla garanzia di quei diritti che riteniamo non solo legittimi, ma necessari per la nostra sopravvivenza. Siamo ormai a metà maggio. In base alla legge, l’ultimo termine per dar vita a questo nostro organismo costiero è la fine di maggio. Allora cesserà di essere valida anche la Delibera statutaria provvisoria adottata dalle tre comunità proprio per darsi tempo e arrivare allo Statuto costiero. E allora? Ciascuno per conto proprio? Lasciando che, impunemente, a parlare per noi sia chi ha più voglia di gridare? Tanto, almeno per qualcuno, fin che la barca va... 18 maggio 1995 Silvano Sau
Nessuna sorpresa Le dimissioni di Silvano Sau dagli organi dell’Unione italiana certamente non possono essere considerate un fulmine a ciel sereno. Erano nell’aria, e da tempo. Il suo mandato, infatti, era vincolato al riordinamento dell’UI, all’aggiornamento dei suoi atti fondamentali. Cose non avvenute, 36
anzi testardamente rifiutate dalla dirigenza dell’UI. Questa, il più delle volte, addirittura snobbava le richieste da lui avanzate in nome della sua Comunità di appartenenza. In altre parole, si è visto ripetutamente costretto ad affrontare la sempre triste e neanche lontanamente democratica politica del “o sei con me, o sei contro di me”. Politica che, francamente, non onora il nostro gruppo nazionale. Se a ciò aggiungiamo alcuni tentativi di discredito personale tramite le pagine dei giornali, per opera di qualche penna di dubbia etica professionale, allora non ci si poteva aspettare altro che questo suo atto che lascia dell’amaro in bocca a chi credeva che l’UI sarebbe presto divenuta un’organizzazione capace di muoversi al passo con l’evoluzione del mondo. 15 giugno 1995 Gianfranco Siljan
Un matrimonio che non s’ha da fare Su queste pagine abbiamo scritto più volte che Isola è votata ai parti lunghi e possibilmente dolorosi. Uno di questi si sta rivelando pure il progetto del nuovo edificio della Scuola elementare di lingua italiana “Dante Alighieri”. Quando sembrava tutto pronto per l’avvio dei lavori, ecco apparire sulle “Primorske novice” un articolo in cui il sindaco di Isola, Mario Gasparini, rifletterebbe sulla possibile esclusione dal progetto dell’ala destinata a ospitare l’asilo di lingua italiana integrato nella “Dante Alighieri”. Un fulmine a ciel sereno; questo magari è un po’ difficile, visto che negli ultimi tempi il sereno è una chimera. La nuova soluzione del problema ambienti per l’asilo di lingua italiana, secondo quanto apparso sul giornale, andrebbe ricercata nello stabile dell’asilo di lingua slovena, dove c’è eccedenza di spazi. Noi, a riguardo della questione, abbiamo interpellato la direttrice della “Dante Alighieri”, Amina Dudine, che così ha reagito: “Qua non si tratta neanche di reagire, si tratta semplicemente di non prendere assolutamente in considerazione una simile proposta. È una cosa che non si può assolutamente effettuare. Lo abbiamo provato tantissimi anni fa e abbiamo visto quanto di negativo è successo. E questo non per un fatto di discordia
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con l’istituzione slovena. Con quest’ultima, del resto, abbiamo rapporti oltremodo amichevoli e di ampia collaborazione. Noi dobbiamo operare per mantenere la nostra identità. Perciò, soltanto stando in un edificio separato e collaborando con le istituzioni di tutela dell’infanzia di lingua slovena noi possiamo mantenere la nostra lingua, possiamo mantenere la nostra cultura”. Insomma, un matrimonio che non s’ha da fare. 19 ottobre 1995 Gianfranco Siljan
Raus! Non fosse altro che per questo, dovremmo dare atto al nostro Sindaco di essersi comportato con coerenza, nel rispetto del ruolo istituzionale che è chiamato a ricoprire. Assieme agli altri due sindaci, di Capodistria e di Pirano, ha preso una chiara posizione nei confronti della ventilata proposta di legge sul rilascio a richiesta di carte di identità bilingui. E ha preso altresì posizione nei confronti dell’iniziativa di abrogare l’art. 40 della Legge sulla cittadinanza, con valore retroattivo. Un atto dovuto nel rispetto, come dicevamo, del suo ruolo di Primo cittadino tra cittadini con pari diritti e uguale dignità, pur nella loro diversità nazionale, linguistica, politica o religiosa. Nel rispetto delle norme e delle regole che contribuiscono a formare uno Stato di diritto. A riprova che, nonostante simili iniziative, la Slovenia è ancor sempre legata a quelle profonde aspirazioni storiche, culturali e nazionali che di fatto la inseriscono nel contesto più ampio del mondo civile. Il Parlamento sloveno - anche se con ritardo - ha demandato alla Corte Costituzionale il compito di stabilire quanto una iniziativa del genere sia anticostituzionale e lesiva dei diritti umani fondamentali. Per questo non possiamo non esprimere soddisfazione. Rimane il fatto che, comunque, un danno notevole è stato già arrecato. Perché ha introdotto un germe che potrebbe avvelenare ulteriormente gli animi. Potrebbe introdurre - se non l’ha già fatto - un profondo senso di insicurezza in decine di migliaia di cittadini. Potrebbe instaurare una reazione a catena di quella tragica e sciagurata sindrome del cittadino ariano e di quello che, se non può essere eliminato, va comunque emarginato, ghettizzato, espulso dal vivere civile e 38
comunitario. Come rileva un comunicato della C.N.A. Costiera, la comunità nazionale italiana, da sempre sostenitrice e foriera di rapporti che si richiamano alla convivenza e alla tolleranza, anche in questa occasione esprime la propria convinzione che le forze realmente democratiche vorranno e sapranno far fronte a qualsiasi tentativo che si pone come fine la disintegrazione dello Stato di diritto e il ripristino di un modello di società che si richiama ai periodi più oscuri di una storia neanche tanto lontana e che tanti disastri e vittime ha provocato pure in queste terre. Ed i primi che ne subirebbero le conseguenze saremmo proprio noi, appartenenti ad una minoranza nazionale, quindi per definizione appartenenti ad una categoria di “diversi”. Per il momento, oltre ad esprimere la nostra preoccupazione, non possiamo fare altro che invitare i cittadini a declinare l’invito a firmare per l’introduzione di una nuova stella di Davide. 9 novembre 1995 Silvano Sau
Ventesimo compleanno del coro misto ‘Haliaetum’ della C.I. Pasquale Besenghi degli Ughi. A dirigerlo il maestro Strudhoff
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Osimo: vent’anni dopo... Si è riparlato di Osimo in queste settimane, in forma più o meno celebrativa e commemorativa. Per sottolinearne i valori di civiltà e di integrazione a vent’anni dalla loro firma, in un contesto politico, statuale e internazionale completamente diverso. Osimo, con le sue luci e le sue ombre: per far brillare le luci e dissipare le ombre. Per superare queste ultime e valorizzare le prime. Per far riemergere quei valori che, per noi appartenenti ad una minoranza, ribadiscono nuovamente la convinzione di una prospettiva possibile soltanto nell’ambito di una politica che, riconoscendo i confini, agisca e introduca regole e strumenti capaci di ridurne al minimo la loro presenza reale. Guidati come siamo, per esperienze maturate nei decenni, dalla consapevolezza che la storia non è un libro contabile fatto di addizioni e sottrazioni, perché indubbiamente noi finiremmo nella colonna delle sottrazioni. E anche perché siamo convinti che i “deficit” registrati nel passato da una parte non possono essere addebitati nel futuro dall’altra parte. Nei rapporti e nelle relazioni tra Paesi vicini in questo secolo ci sono state certamente delle ingiustizie, e violenze sono state subite da tutte le parti. Le ingiustizie, però, per quanto dolorose, non possono essere misurate, pesate, saldate e restituite. Raramente la storia e la giustizia vanno di pari passo ed hanno criteri comuni di valutazione. La storia è sempre stata ingiusta con qualcuno. Lo è stata anche con noi, appartenenti ad una comunità nazionale che altri, nel tracciare i confini, hanno voluto minoritaria. Come lo è stata per tutte le genti che in quest’area di confine avevano, hanno e – speriamo - continueranno ad avere dimora. Per noi, quindi, è indispensabile che gli Stati, ai quali facciamo riferimento, nel tracciare proprie strategie e nel progettare il viaggio verso il futuro, non mercanteggino con il nostro essere e non ci costringano volta per volta ad affiancare ora l’uno e ora l’altro, visto che, comunque, domani come oggi, saremo costretti a vivere assieme. E da queste entità statali dipenderà se diventeremo elemento di ostacolo o elemento di opportunità propositiva.
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La consapevolezza, quindi, che l’unica via oggi percorribile è quella di cercare responsabilmente un accordo per il futuro, affinché le ingiustizie di ieri non si trasformino in nuove ingiustizie di oggi e di domani. 23 novembre 1995 Silvano Sau
Vicenda EDIT: Giochi pericolosi I cittadini di Isola si rendono perfettamente conto dell’importanza che, al giorno d’oggi, riveste l’informazione, anche quella piccola, cittadina e rionale. Se ne rendono conto perché è proprio essa - se libera e indipendente - che permette un maggiore e costante coinvolgimento della popolazione nella gestione della cosa pubblica e nel controllo di chi detiene le leve del potere. Ed è proprio per soddisfare queste esigenze, che sono anche un diritto fondamentale, che a Isola sono nate e continuano a vivere iniziative come il “Mandraè” o - per conto nostro - “Il Mandracchio”. Rimaniamo sconcertati, quindi, alle notizie che ci arrivano dalla Croazia e che riguardano direttamente, in maniera pesante, anche il nostro quotidiano “La Voce del Popolo”. Noi, comunque, siamo convinti che questa burrasca momentanea, prima di trasformarsi in un uragano vero e proprio, finirà necessariamente per calmarsi e normalizzarsi. Anche perché, ripetendo le parole del direttore dell’ EDIT, Ezio Mestrovich, le vicende doganali fiumane di questi giorni sono talmente paradossali, da impedirci di prenderle seriamente in considerazione. Per tutta una serie di motivi: per l’assurda enormità delle sanzioni comminate, per il contenzioso che rischia di aprirsi nei rapporti tra Croazia e Italia, visto che si tratta sempre di un progetto bilaterale concordato tra i due Paesi. Ma anche perché, se attuata, quella sentenza significherebbe togliere definitivamente e senza possibilità di ricorso un diritto garantito alla minoranza italiana anche dalla costituzione croata, oltre che da tutte le convenzioni e trattati internazionali. Infine perché questo diritto non verrebbe tolto soltanto a quella parte della minoranza italiana che vive dall’altra parte del Dragogna, ma anche a noi che viviamo in
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Slovenia e che nell’Edit riconosciamo una delle istituzioni minoritarie comuni di importanza fondamentale e insostituibile. E, come tale, è riconosciuta anche dallo Stato sloveno che provvede, per la sua parte, a finanziarla. Proprio perché rappresenta l’adempimento di un nostro diritto costituzionale. Ecco il perché del nostro forzato ottimismo. Perché il danno sarebbe talmente enorme da sconfinare nell’assurdità. Ma, sapendo che non deve essere certamente piacevole ritrovarsi in situazioni del genere, soprattutto se senza pena né colpa, ai colleghi de “La Voce del Popolo” e a tutti i coinvolti da queste assurdità va la piena solidarietà della nostra redazione e di tutti i connazionali di Isola 18 aprile 1996 Silvano Sau
Consiglio comunale: luce verde alla vendita di alcuni immobili Il Consiglio comunale ha approvato il decreto con il quale l’amministrazione viene autorizzata ad iniziare la procedura di vendita di alcuni immobili, tra cui gli edifici in cui hanno sede attualmente la scuola elementare e l’asilo italiani. Su proposta dei nostri consiglieri, nel decreto è stata inserita la clausola che, indipendentemente da quando verrà stipulato l’atto di vendita, questo verrà reso esecutivo solo dopo che gli attuali fruitori avranno trovato adeguata sistemazione. Come è noto, è in fase di realizzazione la nuova sede della “Dante Alighieri”, ivi inclusa la sede del nuovo asilo, e l’aggiunta al decreto garantisce che il passaggio di proprietà non potrà avvenire prima della sua ultimazione e prima del completo trasferimento dell’istituo scolastico nei nuovi vani. Approvata senza grossi dibattiti anche la bozza di bilancio di previsione del Comune per il 1996 che, comunque, dovrà venir presentato in Consiglio in seconda lettura prima di essere approvato. Al punto riguardante le domande dei consiglieri ci sono state anche alcune che riguardano direttamente la nostra comunità e le sue istituzioni. Il consigliere Zadel ha chiesto se è vero che agli alunni della “Dante Alighieri” sia stato espressamente proibito di usare la lingua slovena nelle 42
comunicazioni personali all’interno dell’edificio scolastico. In replica, da parte dei nostri consinglieri, è stato rilevato che non è verosimile trattarsi di un divieto, quanto - forse - di un invito rivolto alla scolaresca per facilitare l’apprendimento della lingua italiana e la necessaria dimestichezza con essa, anche ai fini dello studio. Come abbiamo avuto modo di verificare successivamente, infatti, si è trattato di un invito rivolto neanche agli alunni, ma ai genitori, durante una regolare riunione, visto che alcuni studenti dimostrano non poche difficoltà nell’esprimersi nella lingua della scuola che frequentano. Se così è, probabile che quell’invito sia stato male interpretato - in buona o cattiva fede - se non addirittura usato strumentalmente. All’amministrazione comunale è stato chiesto, inoltre, quale servizio amministrativo abbia concesso i permessi di affissione di scritte pubbliche, visto che alcune aree di servizio recentemente aperte o ricostruite a Isola non rispettano le clausole statutarie sull’ufficialità delle lingue slovena e italiana nelle zone nazionalmente miste. Infine, sempre da parte dei nostri consiglieri, è stata nuovamente posta la domanda su quando verrà presentata in Consiglio la proposta di denominazione bilingue di alcune Comunità Locali, visto che il Consiglio stesso aveva posto a suo tempo un termine di sei mesi, ormai ampiamente superato, e visto che la stessa domanda è stata presentata più volte senza avere una risposta. 9 maggio 1996 S.S.
Noi e i 50 anni della Repubblica italiana Domenica scorsa, due giugno, la Repubblica italiana ha celebrato il suo cinquantesimo anniversario. Un evento che riveste grande importanza anche per noi, comunità nazionale italiana minoritaria, cittadini di un paese vicino e sovrano, che però, nei valori culturali e di civiltà democratica della vicina penisola ci riconosciamo per origini e appartenenza. Un avvenimento importante, perché rappresenta la conclusione delle vicende belliche e postbelliche di mezzo secolo fa, anche se allora, al momento della nascita della repubblica, non si erano ancora concluse le 43
traversie su questa parte dei confini europei. Ma già allora - ad un anno dalla fine del secondo conflitto mondiale - eravamo diventati cittadini di un’entità diversa e, di fatto, già minoranza nazionale. Pure se, anche noi, residenti nell’allora zona B della Regione Giulia, avevamo contribuito alla nascita di questa Italia, democratica e repubblicana. Una repubblica - e ci piace ricordare le parole di quel grande intellettuale che fu Piero Calamandrei - nata dal patto giurato tra uomini liberi, che si adunarono per dignità, non per odio. È per questo che il due giugno deve essere vissuto come una festa anche per noi, che siamo stati partecipi o testimoni diretti, o discendenti di quei connazionali, oggi sparsi dall’una e dall’altra parte dei confini successivamente sorti e che, contrariamente alle aspettative, hanno diviso più di quanto avrebbero potuto unire. Ma anche se, come appartenenti ad una minoranza, siamo cittadini di uno Stato vicino e sovrano, il nostro interesse è legittimo, perché legittimi e autentici sono i nostri sentimenti. Anche se non possiamo rivendicare diritti concreti nei confronti dello Stato della nostra matrice nazionale, da questo possiamo rivendicare il riconoscimento di un suo preciso e permanente dovere nei nostri confronti. Quello di aiutarci, con tutte le sue potenzialità, nel mantenimento della nostra identità nazionale, culturale e linguistica. Approfondendo, incentivando e promuovendo tutte quelle forme di interventi e di attività che possono contribuire ad un nostro sviluppo presente e futuro, nell’ambito di un rapporto cosciente, voluto e auspicato con la nostra matrice nazionale. 6 giugno 1996 Silvano Sau
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Presente pure il Sindaco di Isola, Mario Gasparini, prima riunione nella sede di Palazzo Besenghi con esponenti del Ministero degli esteri italiano per definire l’inizio dei lavori di restauro di Palazzo Manzioli.
Cinque anni dopo: obiettivo Europa Tra qualche giorno la Slovenia celebrerà il quinto anniversario della sua indipendenza. Lo farà con una importante nuova nota positiva: nel ruolo di membro associato all’Unione Europea. E lo farà a pochi giorni di distanza dall’incontro che il primo ministro Janez Drnovšek ha avuto con il suo omologo italiano, Romano Prodi. Non è poco, se si pensa che ancora un anno fa gli alti e bassi dei rapporti con l’Italia facevano prevedere tempi ben più lunghi. A distanza di cinque anni, dunque, Lubiana è riuscita a collocare un altro importante tassello sul suo cammino, avviato ormai decisamente sulla strada delle integrazioni europee ed occidentali. Sabato scorso, inoltre, c’è stato già il
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primo incontro ufficiale, come dicevamo, tra i capi di governo di Slovenia e Italia per affrontare concretamente la lista dei problemi ancora aperti nei rapporti bilaterali. E anche se l’incontro è stato promettente, almeno stando alle notizie di stampa, certo la strada per un accordo definitivo non sarà né facile, né breve. Pensiamo anche al capitolo che riguarda la posizione delle rispettive minoranze. E, a proposito di liste di problemi da risolvere, una abbastanza consistente è stata presentata al primo ministro Drnovšek, proprio alla vigilia della sua partenza per Roma, dalla delegazione della Comunità Autogestita Costiera della nostra nazionalità, di cui facevano parte anche i presidenti delle CAN comunali,. Una specie di promemoria verbale su tutti i problemi che la nostra comunità incontra sul suo cammino minoritario in tutti i settori della vita sociale, economica, culturale e scolastica. Un incontro, dunque, che non ha voluto adempiere ad un rito, quanto piuttosto fornire alle due diplomazie argomenti e dati sulla nostra posizione, in modo che durante le trattative si possa giungere effettivamente a soluzioni adeguate e specifiche. Per evitare, in pratica, che a improntare il corso delle trattative sia un non meglio definito principio della reciprocità, tanto caro alle diplomazie, quanto, invece, la necessità di offrire alle minoranze quel ruolo di soggettività e quindi - soluzioni specifiche che la loro posizione richiede. Negli ultimi anni e decenni, le due realtà minoritarie (italiana in Slovenia e slovena in Italia) hanno potuto evolversi, o soltanto sopravvivere, in situazioni sostanzialmente diverse e difficilmente paragonabili. Di conseguenza sarebbe auspicabile identificare, per ciascuna, quelle misure che potrebbero garantire - nello specifico - uguali opportunità. Un tanto sarà possibile soltanto se le due diplomazie vorranno assumersi in prima persona le responsabilità che loro derivano dall’essere contemporaneamente lo Stato di diritto di una categoria di cittadini particolarmente debole e lo Stato della matrice nazionale che deve mantenere vivo e costante il proprio rapporto con esso. Dalla somma di queste precise responsabilità, tenendo conto del ruolo di soggetto delle realtà minoritarie, non dovrebbe essere poi tanto gravoso e difficile arrivare a delle soluzioni comuni, gratificanti per le minoranze, ma allo stesso tempo, anche per gli Stati, perché starebbero a dimostrare il loro grado di maturità politica e di volontà democratica nei confronti di un organismo infinitamente più debole. 20 giugno 1996 Silvano Sau 46
Nel 1996 hanno inizio anche i lavori di costruzione della nuova scuola elementare italiana ‘Dante Alighieri’, che prenderà il posto dell’edificio ormai vecchio di un secolo di via Gregorèiè, prima via Besenghi e, prima ancora, via Santa Caterina.
A colloquio con il Presidente Per una comunità nazionale minoritaria i rapporti tra Paesi confinanti sono sempre elemento di grande rilevanza, perché dall’andamento delle relazioni bilaterali dipende in buona parte anche la sua posizione ed il rispetto dei suoi diritti. Per cui la visita di un Capo dello Stato ed i colloqui con la parte vicina vanno certamente inseriti in un contesto di rapporti istituzionalmente già propositivi e stabili, nonché improntati ad un loro ulteriore miglioramento. Questo il messaggio di fondo che la delegazione della Comunità autogestita costiera della nostra nazionalità ha voluto sottolineare al presidente della Repubblica di Slovenia, Milan Kuèan, durante l’incontro avvenuto a Lubiana proprio alla vigilia della sua partenza 47
per Roma. Nell’occasione al presidente Kuèan sono stati illustrati tutti i problemi che riguardano la nostra comunità e che ancora attendono di essere risolti in tutti i settori della nostra presenza, da quello culturale, a quello dell’istruzione, a quello economico, a quello della necessità di arrivare quanto prima ad accordi bilaterali sia con lo Stato della nostra matrice nazionale, sia con la Croazia, dove hanno sede alcune delle più importanti istituzioni comuni. Nel corso del colloquio, protrattosi per oltre un’ora, il Presidente si è dimostrato particolarmente attento e informato su tutti i problemi che sono stati portati in campo ed ha espresso la sua piena disponibilità ad impegnarsi per una loro soluzione. Ed anche i dispacci pubblicati a seguito della sua visita nella capitale italiana dimostrano che proprio i problemi minoritari dall’una e dall’altra parte sono stati sempre al centro dei colloqui con le massime cariche dello Stato italiano. In particolare, sia da parte della delegazione, che del nostro deputato alla Camera di Stato, al Capo dello Stato è stata espressa profonda preoccupazione per i tentativi di alcune forze politiche di limitare fortemente quelli che sono i diritti garantiti alla nostra comunità dalla Carta costituzionale, ivi compresa la legittimità del nostro deputato eletto al seggio specifico. Di questo presunto contrasto tra quanto stabilito dalla Costituzione e da come viene attuato dalle singole leggi, è stata informata la Corte Costituzionale, che proprio in questi giorni ha indetto un pubblico dibattito, al quale sono stati invitati anche i nostri rappresentanti. Come è stato rilevato anche durante l’incontro con il presidente della Repubblica, accettare questo tipo di logica e di intervento significherebbe fare un salto indietro di cinquant’anni per quanto riguarda la posizione delle comunità nazionali minoritarie. Sospendere un loro preciso diritto, ricorrendo alla formula proposta di un presunto danno allo Stato, significherebbe criminalizzare tutto il corpo minoritario. 19 dicembre 1996
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Silvano Sau
Sorpresa invernale, ma non tanto: neve in riva a Isola
Salute e bori! “Anno nuovo, vita nuova” si usava dire ancora non molto tempo fa, quando i ritmi individuali e collettivi sembravano scanditi dal trascorrere dei mesi e degli anni. Quando gli avvenimenti per succedere e per entrar a far parte della memoria storica, avevano bisogno di un determinato periodo di tempo che non andava misurato in ore giorni o, al massimo, in settimane, come puntualmente succede oggi. Se provassimo a fare un piccolo calcolo, ci sarebbero almeno un paio di dozzine di fatti che dai dodici mesi del vecchio 1996 andrebbero trasferiti nel computer delle cose da non dimenticare. Tra un anno o tra cinquant’anni. Tenendo conto soprattutto del fatto, che la popolazione di queste zone di confine, in questo secolo, è stata spesso e volentieri manipolata, se non addirittura cancellata del tutto. È stata rimossa dalla coscienza comune, per esempio, la presenza austroungarica perché 49
privilegiava la classe borghese, il capitale e l’irredentismo italiano. Con adeguate operazioni di bisturi storico è stata eliminata la venticinquennale presenza italiana, perché identificata con il mostro fascista. Poco è rimasto pure del periodo succeduto alla seconda guerra mondiale: la Regione Giulia, il Territorio Libero di Trieste, le battaglie internazionali in cui nessuno mai si preoccupò di chiedere alla gente che cosa ne pensasse e che cosa in realtà avrebbe preferito. Gli esodi, le paure, le speranze e, nonostante tutto, i sogni. Proprio l’anno che stiamo iniziando, il 1997, potrebbe rappresentare il momento della riflessione: a cinquant’anni di distanza - che cosa ne sappiamo del 1947? Che cosa ne sanno in particolare i più giovani, coloro che oggi stanno incominciando a costruire la memoria storica del presente e del futuro? Che cosa ne sanno dell’anno in cui venne deciso il nostro destino di minoranza nazionale? Il 1947 è stato l’anno del Trattato di pace di Parigi. L’anno in cui venne costituito il mai realizzato Territorio Libero di Trieste, con le sue Zone A e B. L’anno in cui vennero praticamente smantellati i conservifici dell’Arrigoni e dell’Ampelea, nonché la flotta isolana dei pescherecci. L’anno in cui venne assalito, perché filoitaliano e fascista, il vescovo Santin. E quando nel giro di pochi giorni tutte le scuole italiane si ritrovarono senza insegnanti. Quando si incominciò a preparare quello che fu poi denominato il “processo Drioli”. E quando la “grande patria socialista” approntò le armi per il grande scontro con il revisionismo anticominformista jugoslavo, scoppiato l’anno dopo e che colpì inesorabilmente anche una buona parte della nostra gente. Frammenti di storia, o meglio, frammenti di piccole storie che contribuirono a scrivere un grande capitolo della Storia internazionale di quest’ultimo mezzo secolo: che sarebbe bene conoscere per conoscere meglio anche noi stessi. Non per tirare delle somme, nemmeno per cercar di identificare chi allora si trovasse dall’una o dall’altra parte, perché le paure e le sofferenze non si possono pesare e fatturare, ma semplicemente per poter affrontare con maggiore serenità i mesi e gli anni che devono ancora venire. Pur sapendo che la storia non viene creata dalla volontà delle migliaia di persone che la vivono quotidianamente, ma da interessi più o meno palesi - comunemente definiti superiori. 50
Importante, comunque, è la speranza e la voglia di cambiare. Per cui, anche in questo 1997, a pochi passi dal fatidico Duemila, l’auspicio che sia migliore dell’anno che ci lasciamo alle spalle, per noi e per quella parte della futura memoria storica che sono e saranno chiamati a costruire i nostri discendenti. A tutti quindi, connazionali e concittadini, auguri di prosperità e salute. Oppure, come dicevano i nostri vecchi, “SALUTE E BORI!” 9 gennaio 1997 Silvano Sau
L’inciucio del “gratta e vinci” Mentre stiamo scrivendo questo pezzo non sappiamo ancora quale sia stata la risposta definitiva dei partiti sloveni alla proposta avanzata dal presidente incaricato per un governo cosiddetto di “unità nazionale”, come suggerito dalla coalizione di destra una volta vista sfumare la possibilità di disporre della maggioranza in parlamento grazie ad un voto transfugo. Né sappiamo la risposta del presidente alle loro osservazioni. Fermi restando i nostri dubbi su un governo così formulato, anche perché sinceramente non ne intravediamo la necessità, c’è da chiedersi se in Slovenia non ci si trovi sulla strada di una coalizione di governo alquanto strana. Per quel poco che siamo riusciti a imparare delle regole democratiche, eravamo convinti che una democrazia parlamentare si regga sostanzialmente su un principio fondamentale, che è quello di una maggioranza che ha il compito di governare, e di un’opposizione che ha il compito istituzionale di controllare l’attività del governo. Anche se una soluzione definitiva sembra ancora di là da venire, tuttavia abbiamo l’impressione che la Slovenia stia adottando una specifica variante di quella che nella ricca terminologia del politichese italiano viene definita come la “politica dell’inciucio”. Una variante, cioè, nella quale non è chiaro chi si trovi al governo e chi all’opposizione. O, per meglio dire, l’attuazione di quella regola secondo cui il potere logora soprattutto chi non si trova nella stanza dei bottoni. 51
Una situazione che ha presto trovato ramificazioni anche a livello locale. Questa almeno l’impressione avuta dopo l’ultima seduta del Consiglio Comunale di Isola. Anzi, dopo la continuazione della seduta che, anche questa volta - dopo sei ore di sterili dibattiti - non ha concluso ancora niente ed è stata nuovamente interrotta. Chiamati ad esprimersi per un sindaco professionista (quindi elezioni quanto prima) o un sindaco part-time (quindi votazione su modifica statutaria), gli schieramenti presenti in aula hanno capovolto completamente il loro atteggiamento. Chi fino a ieri appoggiava il sindaco si è trovato all’opposizione e chi, non più tardi di una settimana fa chiedeva ancora a gran voce le sue dimissioni, si è improvvisamente inventato suo grande sostenitore. Finirà magari, così a Lubiana come a Isola, il Presidente o il Sindaco si troverà a governare contro coloro che inizialmente l’hanno portato nella stanza delle leve del potere. Un potere che ha tutta l’aria di essere improntato all’insegna - come rileva spesso un nostro connazionale - del “gratta e vinci”. 23 gennaio 1997 Silvano Sau
L’inciucio... Ad un certo punto bisogna avere il coraggio di ammetterlo. Da quasi tre mesi e mezzo eravamo in attesa della lieta novella: il presidente Drnovšek è finalmente riuscito a mettere assieme il suo governo. In fondo, non era importante con chi e con quali forze politiche sarebbe riuscito a farlo. L’unica cosa certa era ed è, che sarebbe stato lui a concepirlo. Governo di maggioranza del centro-sinistra, governo di unità nazionale governo di sinistra con qualche pesante accentuazione lasciata alla destra. Un voto di troppo o un voto che mancava. Tutto è stato provato in questi novanta giorni. Tuttavia, e questo è un dato di fatto, tutto è ruotato sempre attorno alla figura del presidente Drnovšek ed al fatto che, comunque, sarebbe stato lui a formare il nuovo governo. Tanto da poter dire, con il senno di poi, che non è mai stato il presidente “incaricato”, come vuole una vecchia e ormai stantia formula, ma è sempre stato il presidente “designato”. 52
Per la verità, già un mese fa abbiamo parlato da queste stesse colonne, di un possibile “inciucio” alla slovena. Solo che, nella nostra ingenuità, non potevamo prevedere le dimensioni di questa specifica variante del verbo “inciuciare”. Forse anche perché ha origini vicine nel tempo e tutte le sue accezioni si vanno ancora completando. Una variante che nel giro di pochi giorni ha sciolto alleanze che sembravano granitiche. Vi ricordate - sembra un secolo fa - le testimonianze di fedeltà reciproca rilasciate a gran voce dai cosiddetti partiti che si autorichiamavano alla primavera: tutti per uno e uno per tre? Sembra che oggi, improvvisamente si ritrovino in pieno autunno, almeno due di essi. Vi ricordate il transfugo che per un voto riuscì a dar forza alla coalizione di sinistra e che assieme all’imponderabile e indefinibile Jelinèiè permetteva la designazione del presidente? Vi ricordate - era ancora ieri - i contratti di coalizione e le liste dei ministri che, pur con una maggioranza di un voto, si preparavano ad assumere il governo del Paese? Oppure le nostre perplessità sul futuro ministro degli interni? Per il quale suggerivamo al nostro deputato di chiedere garanzie formali prima di esprimere il suo sostegno. E vi ricordate, infine - era la vigilia di Carnevale - durante il voto sulla nuova compagine governativa, il 46.esimo voto che era venuto improvvisamente a mancare? Ora, finalmente, il governo si fa. Sembra non ci siano più dubbi. Accantonate le vecchie alleanze, esprimendo dei “mi dispiace” a destra e a sinistra, ma, come stanno cercando di convincerci, gli interessi del Paese lo esigono. È nella natura delle cose e della politica. Probabilmente, tanto per non sentirsi fuori, anche chi rappresenta la nostra comunità si sentirà in dovere di esprimere il proprio consenso. Anche perché è meglio essere vicini piuttosto che fuori, in sala d’attesa pur se - a parte la buona volontà - non è che questo cambi qualcosa. Volendo concludere, tanto per restare nel campo di una possibile saggezza popolare, il tutto conferma ancora una volta che la politica è indubbiamente l’arte del possibile. E qualche volta anche dell’impossibile. Soprattutto tenendo conto, come dicevano i nostri vecchi, che la politica è una gran figlia di p….. Per cui, se una mano lava l’altra, aiutati che Dio t’aiuta. In questo caso, anche la mano che ha aiutato a far sparire il famoso 46.esimo voto potrebbe essere - ma sappiamo che non è pensabile - la mano designata dalla Provvidenza.. 20 febbraio 1997 Silvano Sau 53
Comunità italiana: un chiarimento A ragione o a torto, la Comunità degli Italiani “Pasquale Besenghi degli Ughi” di Isola si trova ad occupare in questi giorni intere colonne di giornali nostrani e non. Se ciò succede, indipendentemente da quante “verità” questi articoli contengano, crediamo che il sodalizio abbia il compito di informare i suoi soci sul reale stato delle cose. Non fosse altro che per tranquillizzare coloro che di fronte a tante polemiche possono sentirsi preoccupati. Senza entrare nel merito di chi e perché sia stato sollevato il caso, e senza cercar di capire a chi può interessare la creazione di un confronto così duro e così aspro, nel momento in cui questo rischia di diventare un “problema”, è necessario trovare la forza per analizzarlo, discuterlo e, se possibile, risolverlo. Un problema, quindi, che avrebbe potuto e dovuto essere affrontato proprio nell’ambito degli organi direttivi della Comunità, nel rispetto dei documenti fondamentali che essa si è data, e che se lasciato aperto rischia di ripercuotersi negativamente sugli stessi connazionali e, magari, portare acqua al mulino di chi, dietro le quinte, sta operando per raggiungere lo stadio del “tanto peggio-tanto meglio”. Tanto più se a trovarsi da una parte della palizzata si trova uno degli esponenti di spicco della stesso organo direttivo. Già la settimana scorsa, all’annuncio che si sarebbe riunito il direttivo della Comunità, ci aspettavamo una presa di posizione che, nell’ambito di un dibattito sereno e argomentato fra le parti, portasse ad una proposta di conciliazione e di reale volontà di soluzione del problema. Invece, vuoi per la mancanza di capacità di dialogo, vuoi per l’assenza di alcuni membri, che pur hanno accettato di far parte del direttivo e che sono quasi sempre assenti, vuoi per l’intolleranza dimostrata da parte di chi è solito discutere con gli argomenti della forza e non con la forza degli argomenti, la confusione è rimasta, i dubbi - se possibile - sono ancora più numerosi. Al di là di quelli che possono essere i reali contenuti e contorni della polemica e, come dicevamo prima, senza entrare nel merito di chi ha avuto interesse a provocarla, visto che, pur facendo parte del sodalizio e pur essendo stato eletto ad una delle cariche più prestigiose, non crediamo possa vantare meriti particolari per le sue attività, rimane il fatto, che spetta proprio agli organi direttivi il compito di dare una risposta chiarificatrice. 54
Magari convocando un’assemblea. Per un senso di necessario rispetto per coloro che verso questo direttivo ed i suoi componenti, nessuno escluso, hanno dimostrato fiducia. Ma anche perché, a lungo andare, invece di un impegno nella realizzazione delle finalità c’è il pericolo che il tutto si esaurisca in una polemica senza fine, in una dimostrazione di corde vocali gonfiate e di muscoli tesi. Con il risultato finale, che sul ring dello scontro non solo non ci sarà più il pubblico, ma verrà a mancare anche l’arbitro. Quindi, con un pizzico di sale, un invito a smorzare i toni ed i decibel, affrontando un dibattito serio che possa portare ad una soluzione. In fondo gli statuti ed i regolamenti, nonché gli organi direttivi, esistono proprio per questo. Per essere rispettati e, nel caso si dimostrino manchevoli o sbagliati, per essere migliorati. Senza togliere niente a nessuno, ma anche senza offrire niente a coloro che vorrebbero aver ragione senza aver prima appurato se di ragione si tratta. 6 marzo 1997 La redazione
Finalmente, sembra che anche per Palazzo Manzioli sia finita la stagione delle attese. Tutto pronto per dare inizio ai lavori di restauro.
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Slovenia-Italia – Palazzo Manzioli: che sia la volta buona... Cinque giorni memorabili quelli della settimana scorsa perché improntati quasi completamente ai rapporti bilaterali tra Slovenia e Italia, alla collaborazione economica e all’approfondimento delle tematiche euroatlantiche. Uno sforzo non indifferente che – a parte le eccezioni che ci sono sempre – ha contribuito a creare nell’opinione pubblica, ma anche tra la maggioranza delle forze politiche, un’atmosfera di rinnovata comprensione e di abbattimento delle diffidenze che, bisogna ammetterlo, per troppo tempo qualcuno si era impegnato a costruire dall’una e dall’altra parte. Dunque,ci sono stati la visita a Lubiana del Presidente del Consiglio italiano, Romano Prodi, ed i colloqui con il collega sloveno Drnovšek, ma anche con le altre massime cariche dello Stato. Dobbiamo ricordare anche il nutrito gruppo di imprenditori italiani guidati dal presidente della Regione Friuli – Venezia Giulia, Giancarlo Cruder, e l’incontro definito a carattere privato di giovedì scorso con il presidente della Repubblica, Milan Kuèan, a Capodistria. Infine, venerdì, si è avuta la visita ufficiale del presidente della Camera dei deputati Luciano Violante e l’incontro con il presidente della Camera di Stato, Janez Podobnik. A livello bilaterale, ma anche più generalmente internazionale, una riconferma di una ben precisa volontà espressa da entrambe le parti di proseguire sulla strada intrapresa neanche un anno fa, con l’avvento alla guida del governo italiano del premier Prodi e dopo l’incontro del giugno scorso con il presidente Drnovšek. Una ripresa, o una continuazione intensiva del dialogo che non si era interrotto nemmeno durante i quattro mesi in cui la Slovenia si era ritrovata senza il nuovo governo. E che, indubbiamente, ha portato una ventata di ottimismo anche per la nostra comunità nazionale. Per due motivi, sostanzialmente. In primo luogo, perché anche noi abbiamo avuto modo di incontrare il premier Drnovšek e il presidente della Camera di Stato Podobnik, e successivamente, il presidente italiano Prodi accompagnato dall’ambasciatore Spinetti e dall’infaticabile sottosegretario agli esteri, Piero Fassino. Ai quali abbiamo sottoposto una lista con tutti i nostri problemi. 56
In secondo luogo, perché proprio questi incontri e il fatto stesso che ci sono stati dimostrano chiaramente che le questioni minoritarie sono parte integrante dei rapporti bilaterali e che, in fondo, nessuna delle due parti dovrebbe potersi permettere che siano proprio le minoranze a mettere in forse l’evoluzione generale di questi rapporti. Coscienti, dopotutto, che ci vuole molto poco e un minimo di buona volontà affinché le comunità nazionali da elemento di possibile confronto e conflitto si trasformino, finalmente, in fattore di convergenza e di propulsione. Per quanto riguarda concretamente la nostra Comunità di Isola: sono state fornite le assicurazioni più ampie che non esiste più alcun intoppo, né politico né burocratico, per l’inizio dei lavori di restauro di Casa Manzioli. Considerando il livello da cui sono giunte le conferme, che sia la volta buona? 20 marzo 1997 Silvano Sau
Fassino a Lubiana È ormai una verità universale quella secondo cui la posizione di una minoranza, indipendentemente dagli strumenti giuridici di tutela di cui dispone, è oggettivamente condizionata dall’andamento, in positivo o in negativo, che registrano i rapporti tra Paesi vicini. Non diciamo niente di nuovo, quindi, se affermiamo che a Lubiana, ma anche a Capodistria, Isola e Pirano, si è tirato un sospiro di sollievo alle notizie che il governo del premier Prodi stia superando con successo la burrasca provocata dal voto sulla spedizione in Albania. Questo, non perché dalla spedizione albanese – pur meritoria – noi ci si possa attendere qualcosa di concreto, quanto invece perché nessun altro governo italiano finora si è dimostrato tanto ricettivo e disponibile al miglioramento dei rapporti bilaterali con la Slovenia. E, questo, certamente rientra nel campo dei nostri interessi esistenziali. Volontà del governo Prodi, che ha trovato conferma anche nella nuova visita lampo compiuta a Lubiana dal sottosegretario agli esteri italiano, Piero Fassino. Una visita, tutto sommato, annunciata, come annunciati praticamente lo erano anche i possibili risultati. 57
In primo luogo un accordo sulla posizione delle rispettive minoranze. Come ebbe a dire nel corso di una conferenza stampa, buona notizie per la legge di tutela della comunità slovena in Italia, che ha già iniziato il suo iter parlamentare. E accordo anche per quanto riguarda la comunità italiana. In particolare per quanto riguarda la presenza dell’Unione Italiana anche in Slovenia. L’Unione dovrebbe acquisire un ruolo di collegamento tra la comunità italiana e la nazione madre e quello di coordinamento per le attività della minoranza presente in Slovenia e in Croazia. Senza che la sua funzione rappresenti una sovrapposizione o una sostituzione di quella per legge assicurata alle Comunità autogestite. Certo, non è che un accordo possa diventare operante immediatamente. Ma è indubbio che ora la ricerca delle soluzioni è più facile. 17 aprile 1997 S.S.
Ciacole no fa fritole “Ciacole no fa fritole” potrebbe essere la morale finale per coloro che ultimamente si divertono a inventare polemiche riguardanti la nostra comunità nazionale. C’è sempre qualcuno che si ritiene chiamato a dire il proprio Vangelo e la propria Verità su questioni esistenziali e, naturalmente, si credono in diritto di usurpare pagine o fondi pagina del nostro quotidiano “La Voce del Popolo”. Sperando, poi, che la polemica trasbordi anche sulle pagine dell’altro quotidiano e contribuisca così a dare un momento di pubblicità all’autore. Fino a poco tempo fa era presa di mira la nostra Comunità degli Italiani “Pasquale Besenghi degli Ughi”, bersagliata da tutta una serie di presunti messaggi e di non richiesti consigli. Negli ultimi giorni, invece, non si sa né perché né per chi, è stata tirata in ballo addirittura l’autoctonia degli appartenenti alla nostra comunità nazionale. Con delle argomentazioni che sembrano uscire addirittura da un lessico ormai dimenticato. Come se si volesse o si dovesse dare una pagella del buon minoritario, con valutazioni dall’uno al dieci. Mistificando 58
il concetto di minoranza, di istrianità, di diritti, di appartenente ad una comunità che già di per sé è sinonimo di debolezza e di diversità. E facendo, naturalmente, il gioco di coloro che su queste polemiche vorrebbero costruire le proprie fortune politiche. In tal senso esistono già alcune denunce sui diritti che dovrebbero essere garantiti alla nostra comunità soltanto se può dimostrare di essere “autoctona” fino alla terza generazione. Denuncia che porterà magari il dibattito fino alla Corte Costituzionale. E quando questa, per ironia della sorte, darà magari ragione a questo tipo di ragionamento, ci accorgeremo che di autoctoni veraci ormai siamo rimasti in tre. Come i somari di modugnana memoria. E poi, dove finisce l’autoctonia? Io, isolano, mi posso ritenere autoctono a Pirano? E sempre io, che in base all’elenco telefonico non sono più di Isola, ma di Jagodje, sono ancora “autoctono”? Certo, sono riflessioni che non meriterebbero lo spreco della carta su cui sono scritte, se in questo dilungare di botte e risposte non si cercasse di invischiare anche chi non ha nessuna colpa, né ha mai pensato di dividere la comunità nazionale italiana in base alla provenienza dei suoi componenti. In tutta questa baraonda, per esempio, perché viene tirata in ballo la Comunità autogestita costiera e una sua delibera che riguarda la nomina del direttore del Ginnasio italiano di Pirano? Probabilmente, soltanto perché in questo modo chi attizza le polemiche crede di essersi meritato più autorevolezza. Ma, come abbiamo rilevato già la settimana scorsa, prima o dopo le bugie dimostrano di avere le gambe corte. Alla faccia di chi ci vuol dividere in autoctoni e alloglotti. 8 maggio 1997 Silvano Sau
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La costruzione dell’edificio che ospiterà la nuova scuola elementare italiana ‘Dante Alighieri’ sembra a buon punto.
Chi gode? La proposta di una nuova legge per le scuole dei gruppi nazionali minoritari avrebbe dovuto essere pronta verso la fine del 1995 e, tenendo conto dell’iter parlamentare necessario, approvata entro la primavera del 1996. Prima, cioè, che avesse inizio la bagarre preelettorale, prevista per le elezioni dell’autunno. Questo almeno erano state le conclusioni della Commissione per le nazionalità della Camera di Stato, presente, naturalmente, anche l’allora ministro per l’istruzione, Slavko Gaber, sulla cui serietà nessuno aveva niente da ridire. Tanto è vero che, assieme ad un altro, è l’unico ministro che sia rimasto al suo posto per tutta la legislatura e, addirittura, è stato riconfermato alla stessa carica anche nella nuova compagine governativa, versione 1997.
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Certo, se la Legge sull’istruzione delle scuole minoritarie fosse state approvata secondo i tempi allora previsti, probabilmente oggi la scuola elementare “Dante Alighieri” di Isola non si vedrebbe costretta ad affrontare una situazione drammatica come quella odierna, per cui a tre mesi dall’inizio del prossimo anno scolastico, non si sa - o meglio, si sa! - se gli alunni potranno finalmente insediarsi nel nuovo edificio in via di costruzione, ma i cui lavori sono bloccati ormai da qualche mese. Tra le cose che la nuova legge avrebbe dovuto necessariamente risolvere, in sostituzione di quella del 1982, i criteri di finanziamento degli investimenti, suddivisi al 50% tra Comune e Stato. Criteri - era stato detto allora - ormai insostenibili in seguito alla ristrutturazione delle amministrazioni locali, alle quali lo Stato aveva portato via buona parte delle entrate, senza preoccuparsi, però, di acquisire anche le relative voci di spesa. Una situazione anomala e preoccupante soprattutto per i comuni nazionalmente misti, i cui bilanci venivano e vengono tuttora “appesantiti” dalle necessità legate proprio alla presenza delle comunità nazionali minoritarie. Di questo, la Comunità autogestita costiera ha voluto informare il Ministro Gaber durante un recente incontro a Lubiana, chiedendo un diretto intervento per porre rimedio ad una situazione allarmante. Visto il perdurare della situazione e visto che niente si è ancora mosso, la Comunità costiera ha inviato in questi giorni una richiesta anche alla Commissione per le nazionalità della Camera di Stato, affinché convochi con urgenza una riunione con all’ordine del giorno proprio la situazione venutasi a creare con il blocco dei lavori all’edificio della scuola “Dante Alighieri”. Affinché tra i due litiganti (Stato e Comune) a rimetterci le penne non sia proprio il terzo, in contrasto con quanto sancisce anche la saggezza popolare. 5 giugno 1997 Silvano Sau
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A proposito di memoria storica Abbiamo sempre seguito con molta attenzione le ricorrenze a tutto tondo che si presentano di volta in volta e che, soprattutto in questi ultimi anni, sono diventate particolarmente numerose. Vuoi perché gli avvenimenti importanti conseguenti alla Seconda guerra mondiale sono raccolti proprio in quei pochi anni che la seguirono immediatamente, vuoi perché - comunque - al centro di essi, direttamente o indirettamente, erano proprio questi territori e queste popolazioni di frontiera. Avvenimenti, quindi, che pur se decisi e definiti altrove hanno sempre e in ogni caso influito sui nostri destini e sul nostro quotidiano vivere. In questa, a volte morbosa attenzione, va naturalmente inserito anche questo cinquantesimo anniversario dell’entrata in vigore del Trattato di Pace di Parigi. Attenzione che vuol soprattutto ricondurci ad una presa di coscienza di quella che è stata la storia e di quelli che sono stati i meccanismi che prima e dopo hanno contribuito a modificare la nostra esistenza. Non per tracciare una linea tra ragione e sentimento, e nemmeno per identificare colpe o meriti che, in ogni caso, risultano essere sempre di parte. Quanto piuttosto per ridare legittimità civile e giuridica ad una popolazione che, proprio quegli avvenimenti, hanno sostanzialmente modificato nell’essere collettivo e personale. Quindi anche storico. Giustamente, a parer nostro, non molto tempo fa, un giovane storico triestino, parlando proprio della storia di questo secolo della nostra area geografica, ha sottolineato che essa ha dato vita ad una memoria collettiva, quindi conosciuta e accettata da tutti perché in quel passato storico tutti si riconoscono, e ad una memoria inconciliata, perché frutto di esperienze, di valutazioni e di risultanti conseguenze diverse dall’una o dall’altra parte. Niente di strano, quindi, che anche le manifestazioni che in questi giorni si susseguono dalle due parti del confine per ricordare il cinquantesimo del Trattato di Pace assumano toni diversi, se non addirittura opposti. Perché partendo da un fatto che è indubbiamente memoria collettiva (il fatto che, comunque, il Trattato di Pace ci sia stato), esso viene ricondotto nell’ambito della memoria inconciliata, perché
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sostanzialmente diverse sono state le conseguenze sulle singole persone e sulle singole collettività. Nel novero di coloro che non sono conciliabili con l’una o con l’altra parte, o con nessuna delle due, certamente anche la nostra comunità nazionale: per un fatto molto preciso. Il Trattato di pace è stato sicuramente lo strumento che ha comportato la trasformazione di una entità nazionale e culturale come quella italiana sul territorio, da maggioritaria a minoritaria. Ed è stato - non volendo entrare nelle ragioni che ad esso hanno portato - il movente che ha provocato il cataclisma dell’esodo e la conseguente trasformazione demografica di tutto il territorio. Comprensibile, quindi, che anche gli organizzatori di queste manifestazioni, coscientemente o incoscientemente, abbiano preferito non includere direttamente la componente nazionale italiana, proprio perché minoritaria, quindi non opportuna, nell’atmosfera celebrativa o commemorativa che sia. E c’è un altro elemento che ci riconduce a queste riflessioni. Almeno per le cittadine di Capodistria, Isola e Pirano, il Trattato di Pace non ha ancora significato l’annessione alla Slovenia (allora alla Jugoslavia), ma ha comportato la nascita di quel piccolo staterello che, pur se diviso tra zona A e Zona B, avrebbe dovuto diventare il Territorio Libero di Trieste, con uno Statuto democratico, che avrebbe garantito pari dignità a tutte le componenti nazionali. Certamente, oggi non possiamo sapere quali sarebbero state le possibili evoluzioni di questo staterello se si fosse realizzato, ne è nostra intenzione spargere lacrime su qualcosa che, come dicono gli storici, era già nata male. Rimane il fatto, però, e questo è certamente memoria collettiva, quindi accettata, che anche dopo il 1947 la popolazione italiana di Capodistria, Isola e Pirano non volle scegliere la strada dell’esodo. Lo fece solo dopo la firma del Memorandum di Londra del 1954. A distanza di mezzo secolo, forse, queste riflessioni non hanno più motivazioni concrete. Il tempo, si dice, riesce a sistemare tutto. Anche se, almeno per questo territorio, la politica non ha fatto molto. Troppo spesso, per motivi e interessi propri, ha preferito cavalcare 63
le ondate risentite di questa inconciliabilità dall’una o dall’altra parte. Ed abbiamo il timore che le cose non siano poi tanto cambiate. Ancor oggi, cittadini di questo Stato, o dello Stato vicino, vengono valutati e identificati sulla base di valori che qualcuno vuol continuare a mantenere inconcilianti. Per fortuna che nel novero delle nostre identità - questa la speranza per il futuro - c’è anche quella di un’identità europea, che non deve cancellare l’appartenenza statale, perché è quella che ci permette di realizzarci come cittadini, ma che non deve infierire nemmeno sulla diversità etnica, linguistica e culturale, perché è in quella che c i permette di identificarci culturalmente, storicamente e nazionalmente. 11 settembre 97 Silvano Sau
Il grande circo “Poveri ma belli”, recitava il titolo di un divertente film di Dino Risi prodotto nel 1956, film che cavalcava il filone neorealista. Il titolo di questo film rispecchia perfettamente la realtà isolana. Poveri lo eravamo, lo siamo e lo saremo fin quando non riusciremo a modificare l’attuale nostra condizione di fruitori del bilancio statale. Oggi, infatti, stiamo pagando lo scotto della nostra scarsa intraprendenza nel momento della creazione della nuova politica geo-amministrativa in Slovenia. Così, non solo siamo riusciti a farci sfuggire lo status di città comune, ma pure quello di comune di prima fascia. Ed ecco che la fetta del bilancio si è rimpicciolita, la qual cosa, naturalmente, non ci consente un armonico sviluppo. Di conseguenza tutti i progetti proposti a Isola vengono sottoposti a lunghi periodi di gestazione -delle interruzioni non vogliamo nemmeno parlare- e richiedono sempre grosse doti di equilibrismo da parte di chi amministra la finanza pubblica locale. Belli, grazie a Dio, lo siamo. Ce lo testimonia la nostra giovane concittadina Mateja Toma•inèiè che ha rappresentato la Slovenia al recente concorso di bellezza a Salsomaggiore Terme dove si eleggeva la “Miss Italia nel mondo”. Questo fatto è certamente motivo di orgoglio per la nostra cittadinanza, però, a nostro avviso, sarebbe bello che alla bellezza si aggiungesse anche un tantino di ricchezza. In altre parole, non
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vorremmo diventare sempre più belli, sempre più poveri e sempre più equilibristi: con un futuro circense. 25 settembre 1997 Gianfranco Siljan
Bastone senza carota? La proposta di programma culturale e la proposta di piano finanziario per le spese funzionali e materiali della Comunità autogestita costiera della nazionalità italiana per il 1998: sono stati i due punti principali all’ordine del giorno del Consiglio riunitosi la scorsa settimana. Per il primo punto sono stati preventivati complessivamente 9.250.000 Talleri, suddivisi in attività libraria, attività editoriale (tra cui la ristampa della storia di Isola del Morteani), contatti con la Nazione madre. Quasi 16 milioni e mezzo, invece, l’importo richiesto per i mezzi funzionali e materiali. In buona parte, tuttavia, per entrambi i capitoli di spesa, va sottolineato il fatto che comprendono tutte quelle iniziative già previste per l’anno in corso e che non sono state realizzate, visto che il bilancio di previsione per il 1997 non è stato ancora approvato dal Parlamento. Tuttavia, è stato sottolineato nel corso del dibattito, la Comunità autogestita costiera della nostra nazionalità, nel preparare il piano di previsione per l’anno prossimo ha voluto tener conto sia dell’indice di aumento che era stato assicurato per quest’anno, sia di quello che sarebbe logico e necessario fosse l’indice di aumento previsto per il ’98. Altrimenti, dopo un’annata di vacche magre, come è stata non solo quella attuale, ma anche quelle precedenti, si rischia veramente di non essere più nelle condizioni di un qualsiasi recupero qualitativo o quantitativo. Pur coscienti della difficoltà che comporta il dover pianificare un’attività senza aver ancora presente come si concluderà l’esercizio dell’anno in corso, il Consiglio costiero ha sostenuto la necessità di incontrare quanto prima i responsabili dei singoli dicasteri, dai quali dipende il finanziamento delle attività, per cercar di stabilire in tempo regole e metodi di comportamento. Per non ritrovarsi, come quest’anno, nella difficile situazione di dover continuare per tutto l’anno a ridurre le iniziative previste per mancanza di mezzi. E per non trovarsi alla fine dell’anno con un 65
programma ridotto all’osso, senza possibilità di nuove iniziative e di possibili sviluppi. Oppure, come è stato detto, se il governo ha deciso di usare nei confronti della comunità nazionale, il sistema della carota e del bastone, e se finora ha voluto usare soltanto il bastone, forse è l’ultima occasione per tirar fuori anche la carota. 9 ottobre 1997 S.S.
Ancora a proposito di anniversari Appena qualche settimana fa, sulle pagine del Mandracchio, avevamo pubblicato una piccola riflessione a proposito di memoria storica. Ci riferivamo, allora, al cinquantesimo del Trattato di Pace, e alle manifestazioni in corso per celebrarlo o commemorarlo, a seconda della parte in cui si trovava l’organizzatore. Nell’occasione avevamo fatto una distinzione tra memoria collettiva, quella diventata patrimonio comune, e memoria inconciliata, quella che ancor sempre si cerca di emarginare o cancellare, perché in contrasto con le versioni di una delle parti in causa. Anche a distanza di mezzo secolo. Eppure, proprio in questi giorni, ci troviamo a fare i conti con un altro anniversario, ancora più distante nel tempo. Ma che ci riguarda pur sempre da vicino e che, ugualmente, non è entrato a far parte della memoria collettiva. L’ultima battaglia sul Fronte dell’Isonzo e del Carso della Prima Guerra Mondiale, svoltasi fra il 24 ed il 26 ottobre del 1917. La dodicesima offensiva, quella che è passata alla storia come la disfatta di Caporetto. Quella che ha segnato lo sfondamento delle linee italiane lungo tutto il fronte da parte dell’esercito austro-ungarico, affiancato da unità tedesche del Kaiser Guglielmo Secondo. Una ritirata che dopo tre giorni si è fermata sul Piave e sul Tagliamento. Un pezzo di storia che per quasi mezzo secolo è stato relegato nel dimenticatoio della storia ufficiale italiana, proprio perché legato al concetto della disfatta militare. Delle cose cioè che non fanno onore alla storia militare di un Paese. Anche se, nel vivere quotidiano, proprio quegli avvenimenti hanno lasciato una traccia che è rimasta intatta. 66
Espressioni come vivere un’alba tragica, vivere in trincea, essere bombardati, e la stessa denominazione di Caporetto sono diventate luoghi comuni della lingua italiana ed hanno la loro origine proprio in quegli avvenimenti. Soltanto negli ultimi dieci-quindici anni quelle vicende e quegli anni sono stati ripresi in esame dagli storici. Per capire se si è trattato veramente di una disfatta, e se non è stata tale perché gli stessi Stati Maggiori l’hanno presentata come tale. Oppure è stata una sconfitta militare che, però, ha visto subito dopo i soldati nuovamente in trincea a fermare l’avanzata austriaco-tedesca. E per capire, anche, i risvolti che i massacri avvenuti tra il 1915 e il 1917 sul Carso e sul Fronte dell’Isonzo hanno comportato per le popolazioni locali. In Istria, a Trieste, in Friuli e in tutto l’Isontino. Per cercar di capire quanto e in che modo proprio le popolazioni di questi territori sono state usate nelle strategie militari e politiche delle parti, in particolare dell’impero asburgico. Certo - a parer nostro - non a difesa dei loro interessi, quanto piuttosto a tutela di calcoli ben diversi. Sulla Grande Guerra sono stati scritti ormai migliaia di volumi. Anche sulle trincee del Carso e dell’Isonzo, a pochi chilometri dalla casa dei nostri nonni. Eppure è stato necessario più di mezzo secolo per incominciare a parlare seriamente di quei fatti. Dei motivi per cui il 97.esimo Reggimento austro-ungarico (quello che conosciamo dalla canzone Demoghela), in cui vennero reclutati quasi tutti gli uomini di leva del nostro territorio, sia stato inviato a combattere in Galizia. Oppure dei motivi per cui l’imperatore Francesco Giuseppe preferì inviare su questo fronte unità composte per oltre il 50 per cento da soldati reclutati tra la popolazione slovena e croata. Tanto che addirittura il comandante stesso delle truppe austro-ungariche fu quel famoso generale Borojeviè von Bojna, serbo della Krajina. Forse, a ottant’anni di distanza, sarebbe il momento giusto affinché, con l’aiuto degli storici, anche questo pezzo di storia inconciliata entri a far parte del patrimonio comune della storia collettiva di questa parte d’Europa. 23 ottobre 1997 Silvano Sau
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Il dopo Schengen: Europa, dove sei? È nata una nuova cortina di ferro, oppure l’Europa dei Dodici vuole intorno a sè un cordone sanitario? Grossi disagi per le popolazioni che in tempi “assai più duri” potevano vantarsi di vivere lungo uno dei confini più aperti d’Europa. Per noi, che generalmente veniamo definiti gente di frontiera, la sindrome del confine si sta trasformando in un vero e proprio senso di frustrazione, per non dire in un senso di colpa dovuta a chissacché e a chissachi. Ha scritto in questi giorni un giornale: siamo tornati indietro di quarant’anni. Forse anche di più, ai primi anni della cosiddetta “cortina di ferro”, a quella linea che divideva l’Europa da Stettino a Trieste, e che oggi si ripresenta in veste rinnovata con il Trattato di Schengen. Abbiamo voluto provarla direttamente, dimenticando per un giorno i vantaggi - questo sì che è un vantaggio - che ci derivano dall’essere possessori dei lasciapassare per il piccolo traffico di frontiera, e ci siamo trovati immersi nelle colonne chilometriche, nei controlli meticolosi, nei timbri su timbri, nelle attese snervanti. Quello che non più di cinque - sei anni fa veniva arbitrariamente definito il confine più aperto d’Europa, perché nonostante tutto divideva due mondi economicamente ed ideologicamente diversi e non compatibili, ci viene riproposto come il confine più chiuso d’Europa. Ed il trauma non poteva che essere moltiplicato, dopo che ci eravamo ormai abituati all’idea che i confini devono diventare un’occasione di incontro e non di divisione. Dopo che avevamo incominciato a credere che, con l’idea europea, la nostra maledizione di essere gente di confine sarebbe stata finalmente riposta nel cassetto delle memorie da riportare a galla soltanto in occasione di qualche anniversario. Tanto per dimostrare ai più giovani il cammino che nel frattempo ha compiuto la civiltà e la comprensione fra gli uomini e le nazioni. Noi, appartenenti alla Comunità nazionale italiana, quindi appartenenti ad una comunità minoritaria, siamo stati guardati anche con sospetto quando gridavamo il nostro desiderio di avvicinamento della Slovenia all’Europa, e quando argomentavamo questa nostra speranza come un toccasana per la nostra sopravvivenza. Ma anche come elemento sicuro di sviluppo di tutte le aree limitrofe, dall’una e dall’altra parte. Lo facevamo, e continuiamo a farlo, convinti come siamo che è proprio l’esperienza del passato a dimostrare 68
che non esistono altre alternative di vita, se non quella di organizzare e consolidare la massima apertura tra vicini. Succede, invece, che proprio quell’Europa ai cui valori ci siamo e ci stiamo richiamando, per garantire la propria sicurezza interna, abbia innalzato un nuovo muro di incomunicabilità e di difficile superamento. Certamente, sapevamo che l’accordo di Schengen avrebbe comportato qualche intoppo, ma la realtà di questi giorni, per chi vuol andare dall’altra parte del confine a fare acquisti, o più semplicemente a comperare un giornale o ad assistere ad una rappresentazione teatrale, difficilmente riusciremo a convincerlo che si tratta soltanto di un intoppo momentaneo. Della cui provvisorietà, come ebbe a dire qualcuno, ne parleremo tra qualche anno. Domande, naturalmente, che non possiamo che indirizzare ai governanti, grandi o piccoli che siano, nella speranza che possano trovare assieme tanta saggezza da offrire una risposta concreta nella quale, pur senza dimenticare il bisogno di garantire la sicurezza interna, trovino un sistema abbastanza rapido per non trasformare noi, cittadini e appartenenti ad una minoranza, in cittadini dai quali bisogna guardarsi. 6 novembre 1997 Silvano Sau
A Isola, come in Istria e a Trieste, sembrano sempre più rare le giornate di Bora. Quando vengono, però…..
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Presidenziali ‘97 Domenica si va a votare per il Presidente della Repubblica. Per quanto limitate possano essere le sue competenze nell’influire e nel gestire la vita del Paese, si tratta comunque della massima carica dello Stato. Quella che, in base alla Costituzione, dovrebbe garantire l’ordinamento democratico e rappresentare il punto d’incontro degli interessi di tutti i cittadini. Anche di quelli che appartengono a categorie diverse dalla maggioranza e che, proprio per questo, sono più deboli e necessitano di misure di tutela particolari. Come, per esempio, le Comunità nazionali minoritarie. Il voto di domenica, dunque, riveste una grande importanza ed esige da parte di tutti la consapevolezza che deve essere gestito con senso di responsabilità. Anche dopo aver assistito a questa campagna elettorale, nella quale alcuni dei candidati ed alcune forze politiche hanno fatto di tutto per convincerci che, più che di una competizione elettorale, si trattasse di un gioco a quiz. Per fortuna è durata poco. Non tanto poco, però, da non farci capire - proprio per l’immagine del Capo dello Stato che si è cercato di imprimere nell’opinione pubblica - che si tratta di un momento politico estremamente delicato per tutto il Paese. Quando, per eliminare le conseguenze provocate da regimi passati, si tenta di introdurne uno nuovo, che eventualmente si potrebbe indovinare come, dove e quando avrebbe inizio, ma certamente non come andrebbe a finire. Si sa, che i regimi, anche quelli che si formano in nome della democrazia, sempre regimi sono. Oppure, ripetendo le parole di un noto giornalista, certo non si può affermare che il regime proletario sia uguale a quello reazionario, rimane il fatto però che si assomigliano tanto! La nostra Comunità nazionale di regimi ne ha conosciuti tanti. Quasi tutti quelli che si sono presentati sulla scena in questo secolo. E sempre ha dovuto lottare per non soccombere. Anche oggi, deve accettare le regole che sono imposte dalla maggioranza. È una delle regole della democrazia. Ma è altrettanto cosciente che democrazia non significa soltanto il prevalere della maggioranza sulla minoranza. Perché in questo caso, già il fatto stesso 70
di essere una comunità minoritaria comporterebbe logicamente l’accettare le regole del più forte e soccombere nuovamente. Vuol ritenere, invece, la democrazia come elemento del vivere civile, nel quale è proprio la maggioranza a farsi carico degli interessi della minoranza. Su questi presupposti, che per noi sono fondamentali, speriamo si svolgano anche le elezioni di domenica. Ed è su questi principi che, ne siamo convinti, rifletteranno anche i nostri connazionali quando si accingeranno a deporre il loro voto nell’urna per il prossimo presidente della Repubblica. 20 novembre 1997 Silvano Sau
Presidente, congratulazioni...noi siamo ancora qui! Da ormai una settimana sappiamo chi è il Presidente della Repubblica per i prossimi cinque anni. E sappiamo anche chi ci rappresenterà al Consiglio di Stato. Se per il primo è prevalsa la logica della saggezza popolare per cui “chi lascia la via vecchia per la nuova, sa quello che lascia ma non quello che trova”, per il secondo a prevalere è stata la logica del più forte. Il candidato di Isola, infatti, aveva ben poche possibilità di superare quello capodistriano. Anche in democrazia, e forse soprattutto in democrazia, i numeri contano. Al Presidente della Repubblica neoeletto, tuttavia, al quale facciamo le nostre più vive felicitazioni, vorremmo far presente che l’ultima volta che ha avuto l’opportunità di incontrarsi con la Comunità nazionale italiana e di ascoltarla risale a più di tre anni fa. E che, nel frattempo, anche i tradizionali incontri di Capodanno, che pur rappresentavano una possibilità di conoscenza e di informazione, sono diventati soltanto un ricordo simpatico sempre più distante nel tempo. Oltre agli auguri, quindi, vorremmo anche suggerire al Presidente Kuèan, visto che si trova all’inizio del suo mandato quinquennale, e visto che ci siamo avvicinando rapidamente anche all’inizio di un nuovo anno, che forse sarebbe opportuno prevedere la possibilità di un nuovo incontro. Senza dover aggiungere tra le occasioni perdute anche quella di fine secolo 71
e di fine millennio. Già dall’ultima volta le cose sono cambiate parecchio. Qualche volta in meglio, più spesso in peggio. E ritenendo il Presidente comunque responsabile e garante dello Stato di diritto nei confronti di tutti i suoi cittadini, anche se appartenenti ad una minoranza, crediamo che una testimonianza diretta sarebbe auspicabile. Tanto per non trovarsi domani a dover dire... “ma io non ne sapevo niente e nessuno ha provveduto ad informarmi”. Noi siamo pronti e, nonostante i calcoli di qualcuno, siamo ancora qui! 4 dicembre 1997 Silvano Sau
1998: la botte mezza vuota o mezza piena? Penultimo anno prima del fatidico Mille e non più Mille. E, come si confà, ogni inizio d’anno deve essere improntato all’ottimismo, pur se i problemi che ci trasciniamo dietro sono sempre gli stessi, né alcuno ha dimostrato particolare volontà di modificare qualcosa nei contenuti o nelle modalità di comportamento. Per cui riprendiamo il discorso più o meno là, dove l’abbiamo interrotto qualche giorno prima di abbandonarci all’illusione che, dopo le festività, si sarebbe avverato il detto “anno nuovo - vita nuova”. Certo, è con uguale legittimità che la botte può essere ritenuta mezza piena o mezza vuota. Noi, che viviamo spesso di speranze, siamo portati a considerarla mezza piena, anche se sappiamo che il “mezza piena” presuppone che un tempo avrebbe dovuto essere anche piena. La speranza, come dicevamo, ci aiuta a guardare con ottimismo alla prospettiva che in un prossimo futuro possa tornare nuovamente come era. Ed è sempre l’ottimismo che non ci permette di accettare il “mezza vuota”, perché ci porterebbe ad accettare il fatto che inizialmente la botta fosse stata vuota del tutto. La botte di cui stiamo parlando, naturalmente, è l’insieme dei diritti, particolari e non, che lo Stato assicura alla nostra Comunità nazionale. Diritti, beninteso, che vanno comunque suddivisi in tre categorie ben distinte. La prima comprende i diritti dichiarati e sanciti dalla Carta costituzionale 72
(art. 64, ovvero la botte piena). La seconda comprende i diritti che, in applicazione della Costituzione, lo Stato ci assicura promulgando Leggi e Decreti (la botte mezza piena). La terza categoria, che poi è quella reale, riguarda i diritti che lo Stato in tutti i suoi segmenti fa rispettare in rispondenza delle Leggi e della Costituzione (e qui siamo alla botte mezza vuota, quando non addirittura in evidente e continuo processo di svuotamento). Prassi e tradizione vogliono che l’inizio di ogni anno venga vissuto all’insegna dell’ottimismo. Se il 1997 è stato un anno da non ricordare, che almeno il 1998 sia foriero di quelle novità che ci porteranno finalmente a constatare, tra dodici mesi, che il livello della botte, se proprio non è salito di qualche centimetro, almeno è rimasto dov’era. 8 gennaio 1998 Silvano Sau
E il nostro 50-esimo anniversario? Proprio in questi primi giorni del 1998 un connazionale, dopo i soliti auguri di Buon principio, mi ha chiesto se nel corso di quest’anno la Comunità “Pasquale Besenghi degli Ughi” celebrerà - come tante altre - i cinquant’anni della sua fondazione. Risposi che, innanzitutto, quella era una domanda che andava rivolta al direttivo della Comunità. Comunque, visto che proprio poco tempo prima avevo fatto, assieme ad altri, una breve ricerca sull’argomento, gli ho esposto il mio modesto parere. Prima di tutto, il 1998, pur se anno di importanti anniversari che hanno coinvolto anche la popolazione italiana di Isola, certamente non poteva rappresentare un anniversario a tutto tondo per la Comunità in quanto erede dei più anziani Circoli di Cultura. E questo per un fatto molto semplice. Perché il Circolo Italiano di Cultura di Isola è nato qualche tempo dopo, quando ormai era chiaro, che la popolazione italiana della cittadina avrebbe perso la sua predominanza numerica per diventare “minoranza”. Da qui anche la necessità di quell’ “Italiano” nella sua denominazione: per differenziarla dalle altre istituzioni che nel frattempo si stavano creando sul territorio dell’allora ancora formalmente esistente Territorio Libero di 73
Trieste. E, anche, per differenziarla da quel “Circolo di Cultura Popolare”, che senza alcuna colorazione nazionale aveva operato a Isola fin dal 1945 ed aveva smesso la sua attività nel 1948, nel pieno della burrasca per il Cominform. In pratica, dopo che il potere popolare aveva preso atto che la maggioranza della popolazione “progressista” isolana stava seguendo la linea vidaliana piuttosto che quella babiciana, e che proprio nel Circolo di Cultura Popolare, oltre che nel suo bar “Il Lavoratore”, trovava la sua naturale base di dibattito e di raduno. Va detto, che la prima forma organizzata di attività culturale a Isola risale alla fine del secolo scorso, al 1895, e che praticamente senza interruzioni, nonostante i cambiamenti statali e ideologici avvenuti nel frattempo, nonostante i cambiamenti di nome, proseguì fino - appunto - al 1948. Prima come Gabinetto Operaio di Lettura, poi con le diverse formule del Dopolavoro Arrigoni e Ampelea, per arrivare nel 1945, come dicevamo, al Circolo di Cultura Popolare. Circolo, che ancora nel 1947 era addirittura proprietario al 50 per cento, assieme all’organizzazione sindacale dell’Arrigoni, dell’omonimo Cinema. Queste le ragioni per cui ritengo non sia opportuno celebrare anniversari. Perché questi non esistono. Ma anche perché celebrarli significherebbe accettare la logica di una popolazione italiana minoritaria prima ancora che questa divenisse tale. Significherebbe legittimare una storia che non è la nostra. Significherebbe far nostri i calcoli di coloro che - questo sì - già allora operavano per ridurre la popolazione italiana di Isola a minoranza, sia nella nostra città, sia nell’ambito della Zona B del Territorio Libero di Trieste. D’altra parte non mi sembrerebbe opportuno ricordare con cerimonie particolari il fatto che esattamente cinquant’anni fa a Isola venne eliminata una delle più vecchie forme organizzate di cultura di tutta l’Istria. Sarebbe perlomeno di cattivo gusto. 22 gennaio 1998 Silvano Sau
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Ci siamo! Sabato 24 gennaio 1998, una data che i bambini, gli alunni e i lavoratori della Scuola Elementare “Dante Alighieri” non dimenticheranno mai. Una giornata intensa, colma di emozioni, memorabile per la nazionalità italiana ma anche per tutti gli Isolani i quali, in molte centinaia erano presenti alla cerimonia svoltasi nella palestra del nuovo edificio, mentre altrettanti affollavano le aree esterne. Per non contare le migliaia di persone incollate davanti agli schermi di TV Capodistria per assistere, in diretta, all’avvenimento storico che si compiva ad Isola, in un bel pomeriggio di sole. Alla presenza di due Capi di Stato e di tantissimi ospiti illustri, si è svolta l’inaugurazione solenne della nuova sede della “Dante Alighieri”. In quell’atmosfera tanto eccitante, il Presidente della Repubblica di Slovenia Milan Kuèan e il Presidente della Repubblica Italiana Oscar Luigi Scalfaro hanno effettuato, in perfetta sincronia, il tradizionale taglio del nastro. La notizia dell’arrivo dei due Presidenti era stata resa nota dieci giorni prima della loro venuta. È facile immaginare con quale frenesia si sia iniziato a organizzare la loro accoglienza. In quei dieci giorni sono state messe in azione tutte le strutture comunali. Ognuno nel suo settore, con l’unico e fermo intento di dare il meglio di sé stessi, si è operato in grande armonia e collaborazione. Tutti assieme per un’unica meta comune. Ed è proprio grazie a questa concordanza di intenti che l’intera manifestazione si è trasformata in un vero successo. Ora però, l’edificio che è stato inaugurato così solennemente deve diventare SCUOLA, e lo sarà soltanto quando i corridoi e gli ambienti tutti, saranno invasi dall’allegria e dalla spensieratezza dei bambini e degli alunni. Il trasloco è pianificato per la fine di febbraio e il primo giorno di lezione nei nuovi ambienti sarà un’altra data che bambini, alunni e lavoratori della “Dante Alighieri” non scorderanno così facilmente. 5 febbraio 1998
Amina Dudine
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Gennaio 1998: Isola in festa. Alla presenza dei Capi di Stato di Slovenia, Milan Kuèan, e d’Italia, Oscar Luigi Scalgaro, solenne inaugurazione della nuova scuola italiana ‘Dante Alighieri’. Dopo cento anni il vecchio edificio di via Gregorèiè viene mandato in pensione e destinato ad altre attività
Amina Dudine, direttrice della scuola elementare italiana ‘Dante Alighieri’, sembra impartire una ‘lezione’ ai presidenti Scalfaro e Kuèan, diligentemente seduti in classe durante la visita alle nuove aule.
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La non informazione Ci sono tanti modi per informare l’opinione pubblica, e ce ne sono, purtroppo, altrettanti, se non di più, per disinformare. Tra questi ultimi uno dei più fortunati è certamente quello della provocazione fatta quasi sottovoce, che poi si gonfia a dismisura, acquisendo una portata non immaginata nemmeno da chi l’ha provocata inizialmente. Prendete come esempio l’articolo abbastanza stupido e razzista che un giornale, chiaramente di parte, e forse per questo non classificabile proprio tra quelli che potrebbero creare opinione, ha dedicato ad un nostro connazionale chiamato a coprire un grosso e importante incarico di governo. Ebbene, finché quell’articolo non è stato ripreso da un altro giornale per essere commentato e condannato, nessuno sapeva che fosse mai stato scritto. Solo in seguito ha avuto l’onore di battute e controbattute che si sono seguite per alcune settimane. Tanto da chiederci, ad un certo momento, se non fosse stato più opportuno e più saggio non rispondere a quella che poteva essere soltanto una provocazione o un semplice frutto di un idiotismo imbevuto di forti dosi di nazionalismo razzista. Un altro esempio tipico di disinformazione, purtroppo usato molto spesso anche dai nostri mezzi d’informazione, è quello della voluta non informazione, quando la notizia potrebbe intaccare o ledere qualcosa che riguarda i nostri diretti interessi. L’ultima visita del ministro degli esteri italiano, Lamberto Dini, a Lubiana. Nessuno ha voluto rimarcare il fatto che il capo della diplomazia italiana non si è incontrato con una delegazione della Comunità nazionale italiana. Come pure che anche la diplomazia slovena non ha ritenuto necessario avere un abboccamento con la stessa, anche se soltanto il giorno prima aveva avuto un incontro con i rappresentanti della Comunità slovena del Friuli-Venezia Giulia. Si potrebbe obiettare che sarebbe stato difficile riportare qualcosa che non era successa, anche se proprio per questo costituiva notizia. Ma la disinformazione vera e propria, attuata proprio da alcuni nostri mass media, è stata perpetrata proprio dal silenzio assoluto con il quale sono state seguite alcune parti del discorso pronunciato dal ministro Dini alla conferenza stampa. Per esempio, quando ebbe a ribadire 77
le sue aspettative in merito alla sempre presente richiesta di registrazione dell’Unione Italiana in Slovenia. Il ministro degli esteri italiano, a precisa domanda, ebbe a rispondere testualmente: “Per quanto riguarda la registrazione dell’Unione Italiana, dobbiamo trovare il modo che emerga molto chiaramente che queste sono associazioni di carattere culturale e che non hanno una rilevanza transnazionale, anche se l’Unione Italiana è presente in Croazia e non soltanto in Slovenia. Dobbiamo trovare il modo che queste non siano viste come organizzazioni che, in qualche modo, possono avere dei connotati politici, perché non ne hanno. Sono associazioni di cittadini, quindi di una minoranza, che vuole avere il modo di stare assieme, di riunirsi, di parlare, di discutere. Dobbiamo mettere a punto questo meccanismo, cosicché anche la parte slovena, come noi desideriamo che la minoranza slovena abbia soddisfazione, sono certo che vi sono gli stessi sentimenti che esistono qui in Slovenia a questo riguardo per la minoranza italiana: di vivere in pace, insieme e quindi in una convivenza pacifica e proficua.” A questo punto sembra evidente che le dichiarazioni del ministro Dini non seguivano quelle che erano le aspettative di alcuni nostri connazionali. Per cui l’unica soluzione era quella di non farlo parlare. E, come si sa, se i giornali non ne parlano l’evento non è mai accaduto. E chi ha parlato è come se fosse rimasto zitto. Più disinformazione di così.... 19 febbraio 1998 Silvano Sau
Ancora tanti gli angoli oscuri... Alla serata che la Comunità italiana di Isola ha voluto dedicare alla sua memoria storica è intervenuta molta gente e, guarda caso, anche qualche amico non connazionale. A testimonianza del fatto che le cose se sono fatte con serietà e senza prevenzioni di sorta, soprattutto senza l’arroganza del voler imporre qualcosa, sono gradite e godibili da un pubblico più numeroso. Proprio per questo riteniamo che la serata sia pienamente riuscita. Per le testimonianze su un passato nemmeno troppo lontano che è stato possibile 78
recepire, per le immagini ormai quasi dimenticate di un’Isola che pochi più ricordano, ma soprattutto per quell’intrecciarsi di opinioni e di valutazioni che si sono susseguite a presentazione finita. Tutte concordi nel giudicare che iniziative del genere vanno continuate e che, eventualmente, abbraccino periodi di storia più delimitati e specifici. Non mancano le occasioni e anche chi è disposto a collaborare. Affinché, come è stato detto durante la serata, non si diventi noi stessi complici di una storia che altri vorrebbero raccontarci e che, per noncuranza o per semplice negligenza, finiremmo alla fine con il legittimare. Questo secolo che ormai va rapidamente avviandosi alla sua conclusione ha portato alla nostra popolazione di tutto, anche se è difficile valutare con il senno di poi, che cosa è stato bene e che cosa è stato male. È successo e, per molti, è successo senza che avessero mai avuto la possibilità di esprimere il proprio parere, senza che nessuno si fosse mai preso la briga di chiedere se forse avrebbero preferito un decorso diverso. Le guerre, gli imperi, gli stati, i confini, i regimi, le ideologie, chi è rimasto, chi è dovuto andar via, chi è venuto ed ha trovato a Isola la sua nuova casa. Tutto avrebbe potuto esser diverso. Rimane il fatto, ed è il solo che conta, che tutto è cosi come è. Ma perché l’oggi e il futuro possano essere migliori è necessario sapere che cosa è successo e perché è successo. Non per recriminare, perché chi ha sofferto non può pesare il proprio dolore sulla bilancia ed emettere una fattura. Nemmeno per vendicare, perché la storia non conosce sconfitte o vittorie. Soltanto il presente ed il futuro le conoscono. Ed allora sono drammi e tragedie, come quelle che abbiamo conosciuto nel passato. Ma per dare una giusta dimensione a quella che è stata la nostra vita, per quel poco che siamo riusciti a influire su di essa e per quel poco che essa è riuscita ad influire sugli eventi. E, soprattutto, per continuare a esprimere con dignità la propria presenza umana, civile, culturale, tradizionale. Questa volta siamo arrivati al 1954, la prossima volta dovremmo andare avanti. Ma anche tornare indietro, perché sono tanti gli angoli oscuri che aspettano di essere illuminati. 5 marzo 1998 Silvano Sau
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Corte Costituzionale: Finalmente la sentenza! Dopo due anni di attesa, e a un anno dal dibattito preliminare, la Corte Costituzionale della Slovenia ha finalmente pubblicato la sentenza in merito all’iniziativa inoltrata da un gruppo di cittadini del Capodistriano volta a togliere, quando non ad eliminare, alcuni dei diritti garantiti alle comunità nazionali minoritarie. In particolare, il diritto al proprio rappresentante nella Camera di Stato parificato a tutti gli altri deputati e il diritto ad esprimere il proprio voto anche sulle liste generali. Inoltre, il diritto che anche gli appartenenti alle comunità minoritarie viventi al di fuori del territorio nazionalmente misto possano essere inseriti negli elenchi elettorali particolari per l’elezione del proprio rappresentante negli organi rappresentativi repubblicani e locali. Come è noto, la Corte Costituzionale ha respinto tutti i punti, negando una loro presunta anticostituzionalità. Nel corso della conferenza stampa indetta dalla Comunità autogestita costiera della nazionalità italiana è stato ribadito che, vista la chiarezza dell’articolo 64 della Costituzione e visti gli articoli tacciati di presunta anticostituzionalità delle singole leggi esecutive, soprattutto di quella elettorale, nessun altro tipo di sentenza sarebbe stato possibile per chi è chiamato a tutelare le norme di uno Stato di diritto. Di conseguenza, tutto il sistema elettorale in Slovenia, compresa quella parte che garantisce alle minoranze l’elezione di un proprio rappresentante alla Camera di Stato e dei rappresentanti ai Consigli comunali, è pienamente legittimo e in armonia con lo spirito e la lettera della Carta costituzionale. Rimane comunque da chiederci se i due anni trascorsi prima di esprimersi non siano stati troppo lunghi. Soprattutto per chi, pur sapendo di essere nel giusto, in assenza di un pronunciamento della Corte, avrebbe potuto pensare che la conclusione avrebbe potuto essere anche diversa. Tenendo conto che l’iniziativa avanzata dal sedicente gruppo di cittadini, pur mascherandosi dietro clausole legali e di diritto costituzionale, era di evidente marca politica volta non tanto a tutelare il dettame costituzionale, quanto - eventualmente - a modificarlo in quella parte che riguarda i diritti delle comunità nazionali. 19 marzo 1998 Silvano Sau 80
Chi sono i veri Isolani? “Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi!” Forti di questo vecchio adagio, nei giorni delle festività dei giorni scorsi molti Isolani da decenni ormai residenti oltre frontiera, per trascorrere una giornata in compagnia, varcarono la frontiera per un pranzo presso una delle tante trattorie della zona. E qualcuno, vuoi per curiosità, vuoi per passare il tempo, ha visitato anche la nostra Comunità, nonostante gli orari limitati del bar. Per provare, come dissero alcuni, un buon bicchiere di nero e per vedere se era ancora come quello di una volta. Certo, né il vino, né le persone sono più quelle di una volta. C’è stato addirittura chi si sentì in dovere di chiedere se poteva parlare in italiano. E invece che in italiano si parlò in istro-veneto. Uno dei più anziani, in Isolano. Quasi tutti gli altri con cadenze dialettali triestine, venete o della bassa Istria. A parlare l’Isolano, ormai, sono rimasti talmente in pochi! Anche tra i rimasti, tra coloro che frequentano la nostra Comunità quasi ogni giorno. L’influsso dell’Italiano, del triestino, degli altri dialetti istriani, dello sloveno ormai si sente. Una parola tira l’altra. Lentamente, anche se non del tutto, la diffidenza lascia spazio alla voglia di raccontare le proprie esperienze. È umano. Sinceramente, per un momento, io che ho vissuto quasi tutta la mia vita a Isola e dintorni, e che - pur se bambino - ho vissuto buona parte delle esperienze di coloro che mi stavano di fronte, stentavo a riconoscere la cittadina di cui mi parlavano. Troppi anni e troppe cose erano trascorse nel frattempo. Di molte località, di molti fatti, di molti nomi ormai avevo immagazzinato soltanto quella parte che mi serviva nel vivere quotidiano. “Vier? “ - Ah, la piazza del monumento ai caduti! Là, dove c’è ancora quella casetta sull’angolo dove si andava a comperare la gomma americana e le s’cinche! E dove c’era il marangon Taiasuche! Ecco un soprannome che ricompariva dal fondo della memoria. Anche perché ho ancora una cucina che prima del 1954 i miei genitori avevano ordinato da Taiasuche. E serve ancora.
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Una domanda mi venne spontanea nei giorni seguenti. A feste pasquali finite. Ma l’Isolano sono io o lo sono loro? La risposta potrebbe sembrare facile: lo siamo gli uni e gli altri. Con esperienze, con dolori, con speranze diverse. Ma tutte risultato dall’essere originari di questa cittadina. Forse sarebbe bene incontrarci più spesso! Non per scoprire chi ha sofferto di più. Non per vedere chi ha fatto la scelta giusta. Soltanto per constatare che, in fondo, se non si tenterà di parlare, magari davanti a un bicchiere di nero, forse con il tempo finiremo anche per parlare due lingue completamente diverse! Dopotutto, mentre di qua e di là si guarda all’Europa, come dice un amico che ormai da tempo frequenta la nostra Comunità, ma di cui non faccio il nome perché non so se lo gradirebbe, per una semplice visita e per un tentativo di possibile dialogo, ormai da tempo nessuno ti chiede più la tessera dell’UAIS! 16 aprile 1998 Silvano Sau
Andiamo avanti! Le elezioni per l’Unione Italiana sono terminate. I risultati sono ormai noti e, purtroppo, il polverone sollevato in quest’occasione nei confronti della Comunità degli Italiani “Pasquale Besenghi degli Ughi” non si è ancora dissipato. Anzi, probabilmente continuerà a provocare confusione e polemiche. All’insegna di chi aveva e chi non aveva il diritto di votare. E di chi è e di chi non è legittimato a rappresentare la popolazione italiana di Isola. A questo punto, non ha molta importanza quali sono i risultati scaturiti dalla consultazione. Non ha importanza chi ha avuto il maggior numero di preferenze. L’unico dato che in questo momento assume una rilevanza notevole è il fatto che, nonostante il polverone, nonostante gli appelli a non votare perché il voto sarebbe stato “congelato”, nonostante le polemiche portate avanti fino all’ultimo momento, il popolo italiano della nostra cittadina ha preferito pensare con la propria testa. Non delegando ad alcuno il potere di decidere al suo posto. 82
L’unico dato importante in questo momento è che il numero di coloro che si sono recati a votare è indubbiamente alto. Più alto addirittura che in tante altre Comunità. Addirittura il 61 per cento degli aventi diritto al voto, cioè di tutti i connazionali, Italiani dichiarati, di maggiore età. E venga qualcuno a dire, che il loro voto non conta, che la loro volontà può essere congelata. Ai “guru” che predicano l’universalità in nome dell’unitarietà della comunità nazionale italiana, che inneggiano all’abbattimento dei confini tra gli Stati - battaglia peraltro giusta e meritevole, quando non demagogica - mal si addice il tentativo di creare confini e muri all’interno dello stesso Comune. Fece bene quel connazionale, all’ultimaAssemblea della Comunità degli Italiani di Isola, a sottolineare che prima di riempirsi la bocca di principi altisonanti contro le barriere imposte dagli altri, bisogna stare attenti a non creare barriere nel nostro piccolo mondo minoritario. Da questo punto di vista, gli appartenenti alla Comunità nazionale di Isola, pur sottoposta ad una campagna denigratoria martellante protrattasi per mesi, hanno risposto con coscienza, dignità e responsabilità. Senza usare terminologie ingiuriose, ma con pacatezza, con l’unica risposta che veramente non può venir accantonata: andando ad esprimere la propria adesione all’unitarietà della minoranza italiana con il voto. Rispondendo così a tutti coloro che, come dicevamo qualche giorno fa, in sostituzione delle tessere dell’UAIS di storica memoria, vorrebbe introdurne delle altre, forse altrettanto dannose. Che cosa c’entra l’UAIS? C’entra, c’entra! L’ultima volta che si volle chiudere ed emarginare l’attività organizzata della comunità italiana di Isola fu proprio a quei tempi. Infatti, proprio cinquant’anni fa, in nome dell’unità e della fratellanza, l’allora Circolo di Cultura Popolare veniva soppresso d’autorità. Ci vollero tre anni per ripristinarlo. Ma erano i tempi del Cominfom, del potere popolare, quando o eri con o eri contro. E se eri contro, erano guai! Ricordate? Allora, una buona fetta di Isolani preferì andarsene. L’altra fetta, ancora più grossa, se ne andò qualche anno più tardi. Ma erano tempi lontani, mezzo secolo fa. Non devono più riaffacciarsi! 30 aprile 1998
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Euro, Euro… Siamo testimoni a volte di avvenimenti che, per la loro importanza e la loro valenza, non è esagerato definirli storici. Eppure passano quasi inosservati, nella generale indifferenza, semplicemente perché non succedono sotto casa nostra o nelle immediate vicinanze. È successo anche in occasione del primo maggio di quest’anno. Eravamo talmente occupati a goderci le giornate di festività, ad ascoltare i resoconti dei vari raduni organizzati per la Festa internazionale del lavoro, e a ricordarci che nel traffico stradale è necessario tenere gli anabbaglianti accesi, che non abbiamo prestato la dovuta attenzione a quanto avveniva a un’ora d’aereo da casa nostra. A Bruxelles i Capi di Stato e di governo dell’Unione Europea decidevano l’entrata in vigore della moneta unica, l’Euro. Veniva stabilita anche la data e le modalità, oltre ai paesi che dell’accordo erano firmatari dal primo momento. Ma, tanto si sa che nel giro di qualche anno sarà la moneta che in Europa, e forse anche nel mondo, riuscirà a dettar legge su tutte le economie. Per cui, una moneta unica che non vuol significare soltanto un’operazione finanziaria e bancaria, per quanto importante anche questa, ma rappresenterà sempre di più anche l’integrazione dei capitali, dei mercati, delle economie, del mondo del lavoro. Il primo passo, forse il più importate, per arrivare ad un’effettiva integrazione anche politica, molto al di là di quelli che sono oggi gli accordi di Maastricht o quelli di Schengen. Vuol dire che, volenti o nolenti, associati o integrati, anche noi cittadini dello Stato sloveno non dobbiamo aspettare il 2003 o il 2006 per poterci dichiarare anche cittadini euro-pei. Sarà la forza propulsiva dell’Euro che ci obbligherà a renderci tali, perché condizionerà concretamente il nostro stesso modo di vivere e di lavorare. Pena, diversamente, il totale isolamento dal contesto civile mondiale. Ed è una variante, questa, che come cittadini - ma soprattutto come appartenenti ad una comunità nazionale minoritaria - non vogliamo nemmeno prendere in considerazione. 14 maggio 1998 Silvano Sau
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Province si - province no? Pare non ci sia una spiccata volontà, né da parte del governo, né da parte delle forze politiche, di dar fiato a quelle clausole della Costituzione slovena che, nell’ordinamento amministrativo dello Stato, tra potere centrale ed autonomie locali, prevedono anche la possibilità di istituire una fase intermedia, ovvero la regionalizzazione del territorio tramite le province. Per il momento, anzi, sembrano ancora impegnati nell’ulteriore frammentazione dei comuni. Ciononostante, a metà aprile ha visto finalmente la luce una proposta di Legge sulle Province, anche se è comprensibile che la sua strada verso l’approvazione sarà lunga e tortuosa. Una legge che riguarda direttamente anche la comunità nazionale italiana e la sua presenza nei futuri organismi provinciali. Ma non solo. Si tratterà di vedere pure in quale misura e in quale modo verranno divise le competenze nei confronti delle problematiche minoritarie tra Stato e Comune. A questo punto, però, prima di aprire un dibattito su un capitolo concreto del nuovo documento, vorremmo avanzare una proposta di carattere più generale, diretta soprattutto ai deputati della nostra regione. È indubbio che non tutte le regioni, future province, hanno le stesse caratteristiche. Infatti, scopo principale della legge dovrebbe essere anche quello di valorizzare e tutelare le specificità, che possono riguardare la posizione geografica, ambientale, storica o demografica. Perché allora non prevedere già in questa fase la possibilità di istituire delle provincie che, per le loro peculiarità, meritano lo status di Provincia a Statuto Speciale? Speciale nel senso che, per determinate particolarità, non possono essere trattate con i criteri validi per tutte le altre. Per i tre comuni della fascia costiera (Capodistria, Isola e Pirano), di particolarità non riscontrabili in altre regioni ne possiamo già fin d’ora elencarne qualcuna: la presenza del mare e di tutto quanto è ad esso collegato, l’ubicazione su un’area confinaria con le vicine Italia e Croazia, con valenza di complementarietà economica, demografica e culturale, e,
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infine, la presenza della comunità nazionale italiana, che già da sola potrebbe rappresentare un valido argomento per una diversificazione statutaria. Non per togliere qualcosa a qualcuno, ma per tutelare qualcosa che è di tutti. 28 maggio 1998 Silvano Sau
I 52 anni della Repubblica Italiana La settimana scorsa, grazie ai ricevimenti offerti dalle rappresentanze diplomatiche italiane a Capodistria e a Lubiana, abbiamo celebrato l’anniversario della Repubblica Italiana. Cinquantadue anni portati abbastanza bene e, certamente, occasione per ripensare ancora una volta alla nostra condizione minoritaria. Come ci sembra di aver già ribadito negli anni scorsi, per gli appartenenti alle comunità nazionali, pur tra le tante magagne e difficoltà, c’è stata anche la possibilità di poter godere pure di qualche piccolo privilegio ricompensatore. Non sempre riconosciuto e vantato apertamente, ma che ciascuno è libero di professare almeno a livello personale, intimo. Uno di questi è indubbiamente quello di sentirsi appartenente con piena legittimità a due entità culturali, senza per questo dover rinunciare alla propria identità e alle proprie peculiarità. Un avvenimento, quindi, che oltre ad essere celebrato nell’ambito delle manifestazioni ufficiali organizzate dai rappresentanti dello Stato, dovrebbe portare questo nostro senso di appartenenza ad un popolo, ad una lingua, ad una tradizione di civiltà, a concretizzarsi in un qualcosa di autonomo e particolare. Proprio l’anniversario della Repubblica Italiana potrebbe diventare il momento più opportuno e favorevole per organizzare nell’ambito delle nostre Comunità manifestazioni che possano esprimere questo nostro sentimento di appartenenza culturale e nazionale. Non per dimostrare la nostra matrice originaria, ma per proporsi come effettivo elemento di congiunzione e di stimolo tra realtà diverse che la storia, non sempre buona maestra di vita, ha portato comunque a vivere assieme. E che, alle soglie del Duemila, sembra essere finalmente acquisito anche da chi ha il potere di condizionare il nostro presente ed il nostro futuro. 11 giugno 1998 Silvano Sau 86
Ristrutturazione di Palazzo Manzioli: una veduta dello spazio interno che, a lavori ultimati, è diventato uno degli elementi più simpatici dell’edificio.
Dopo un’estate torrida una doccia fredda... Se l’estate è stata indubbiamente torrida - si parla di temperature medie mai raggiunte negli ultimi secoli - già l’inizio di settembre ha provveduto a procurarci una bella doccia fredda. Anzi gelata. Per tutta la nostra comunità nazionale. Ed è prevedibile che nei giorni e nei mesi che seguiranno altri piovaschi freddi, se non grandinate, ci verranno addosso. Infatti, già entro la fine di quest’anno dovremo affrontare nuovamente i bilanci di previsione comunali e repubblicano, le elezioni amministrative e quelle per le nostre Comunità autogestite, il rapporto con Unione Italiana che, comunque vada, dovrà essere ripristinato sull’onda della comprensione e della saggezza comuni. Il torrente in piena, dal quale siamo stati investiti già all’inizio di questo mese, tuttavia, era prevedibile, pur se non nella misura attuale: dei problemi 87
del settore scolastico ormai se ne parla da molto tempo, tutti consapevoli, che proprio la scuola si trova alla base di tutta la struttura che comprende la nostra comunità nazionale. E se viene a mancare questa è tutto il resto che diventa insicuro, instabile e privo di reali prospettive. Il dato secondo cui nelle prime classi delle scuole elementari italiane del Capodistriano è stato registrato un calo di iscrizioni del cinquanta per cento rispetto l’anno scorso è drammatico. Scioccante. Funesto. Non perché sia succeduto proprio quest’anno, ma perché rappresenta l’apice di una tendenza ormai presente da qualche tempo. A risentirne meno delle altre località è proprio la Scuola “Dante Alighieri” di Isola, dove questa percentuale è notevolmente inferiore. Anche questo, però non ci autorizza ad essere più ottimisti, perché in ogni caso pure la nostra cittadina rientra nella logica di una situazione in negativo presente su tutto il territorio. Un sintomo inequivocabile, del quale la comunità italiana e tutte le strutture scolastiche avevano coscienza e che ad ogni passo andavano denunciando. Senza ricevere mai risposte adeguate, e senza veder realizzati quegli interventi più che necessari per evitare una situazione del genere. Denunce che riguardavano soprattutto un diverso impegno da parte del governo sloveno e una diversa politica negli aiuti didattico-materiali da parte della Matrice Nazionale. Certamente alcune responsabilità vanno ricercate anche all’interno della stessa comunità nazionale, ma non possono essere ritenute quelle determinanti, tenuto conto che una minoranza proprio per la sua stessa posizione - difficilmente può superare un ostacolo di tale portata senza interventi mirati e voluti da parte di coloro che hanno il diritto, ma soprattutto il dovere, di offrire gli strumenti necessari per permetterle di vivere e sopravvivere. Impegno e interventi che sicuramente sono di immediata necessità per il mondo scolastico, ma che dovrebbero comprendere anche tutti gli altri settori del nostro operare. Visti i risultati, credo si possa affermare che da parte di Slovenia e di Italia, per il momento e finora si è fermi a livello di promesse, ma come dice un vecchio proverbio, “campa cavallo ...” 10 settembre 1998
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Silvano Sau
Tempo di elezioni. Il neoeletto Consiglio della Comunità Autogestita della Nazionalità Italiana di Isola
In cerca di maggiore chiarezza e unità Per ogni comunità nazionale minoritaria i problemi di fondo, quelli esistenziali, quelli che ne determinano a breve e a lunga scadenza il ruolo, la posizione e le prospettive, vanno identificati in due elementi portanti: nel rapporto che nei suoi confronti e nei confronti delle sue istituzioni è stato instaurato dalla cosiddetta “Matrice Nazionale”, o come viene comunemente definita, dalla “Nazione Madre”, da un lato, e dal Paese di residenza o domiciliare, dall’altro. Nel caso della nostra comunità nazionale dall’Italia e dalla Slovenia. Dall’intreccio di questi due elementi fondamentali, e dai problemi che quest’intreccio ha comportato, scaturiscono buona parte delle difficoltà, delle incomprensioni e delle strumen-talizzazioni che hanno investito tutto il nostro corpo minoritario negli ultimi anni. Acutizzando la situazione in 89
particolare in alcune comunità, come per esempio in quella di Isola. Andando alle origini: da una parte, il governo italiano ha fatto sapere a chiare lettere che suo interlocutore è e lo sarà anche in futuro, Unione Italiana, che crea la sua soggettività sul territorio appoggiandosi alle Comunità degli Italiani. Dall’altra, la Slovenia ha sancito con Costituzione e leggi particolari che interlocutore dello Stato a tutti i livelli, compreso quello delle autonomie locali, sono le Comunità autogestite della nazionalità. Una situazione che non poteva non provocare disguidi, interpretazioni diverse, anche forzature e strumentalizzazioni, portando addirittura alla creazione di due fronti quasi opposti. L’ultimo incontro avvenuto a Isola nella sede della Comunità “Pasquale Besenghi degli Ughi” tra soci e dirigenti dell’Unione Italiana, ha cercato di dipanare la matassa alquanto complessa. Probabilmente un analogo incontro si avrà anche con i soci dell’altra Comunità intitolata a “Dante Alighieri”, formalmente non ancora costituita. Per cercare di ricostituire e ritessere un legame che - indipendentemente dalle parti - assicuri a tutto il corpo nazionale omogeneità d’intenti e soggettività. Il risultato, nonostante i problemi in campo ed i tentativi delle singole parti di avvalorare le proprie ragioni, è stato saggio soprattutto per gli interventi dell’assemblea. Se ci sono state manchevolezze o sbagli siamo disposti a rimediare, come siamo disposti a dialogare con chiunque sia disposto al dialogo. In fondo siamo troppo pochi, e troppi sono “gli amici” da cui guardarsi, per permetterci di seguire strade divisorie, per le quali si sa dove incominciano e - purtroppo - si sa anche dove andrebbero a finire. 24 settembre 1998 Silvano Sau
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80 anni dopo… La scorsa settimana è trascorsa all’insegna delle celebrazioni per ricordare la giornata dei defunti e, qualche giorno prima, a Caporetto, per ricordare l’anniversario della dodicesima battaglia sul Fronte dell’Isonzo. Presenti autorità di Italia e Slovenia, la cerimonia è stata organizzata dall’Ambasciata italiana a Lubiana e dal Consolato Generale di Capodistria. Ma è stata un’occasione per ricordare pure l’ottantesimo anniversario della fine della Prima Guerra mondiale, che ricorre proprio in questi giorni. »Chi salva una vita umana è come se avesse salvato tutto il mondo«, racconta il regista americano Spielberg nel giustificare la carneficina dello sbarco in Normandia durante il secondo conflitto mondiale, descritta nel suo ultimo film. Certo, quante centinaia di volte è stato salvato il mondo nel corso delle due guerre mondiali? Ma, purtroppo, quante centinaia di migliaia di volte è stato distrutto? Soltanto nel corso della Grande Guerra ci sono stati 37 milioni di vittime. Un conflitto che è durato 4 anni, 3 mesi e 14 giorni, alle cui statistiche vanno aggiunti altri dieci milioni di morti provocati indirettamente tra la popolazione civile. Per questi territori, e in particolare per tutta la popolazione italiana, la fine della Prima Guerra mondiale non significò soltanto la fine di un’epoca che l’aveva vista suddita più o meno fedele dell’impero asburgico, ma rappresentò anche il primo impatto con lo Stato della propria matrice nazionale, l’Italia. Checché se ne possa dire oggi, quando la storia ha sconvolto a più riprese governi e governanti, non è stato un impatto gradevole. Il ventennio del regime fascista ha fatto in modo che per molti la patria si sia trasformata in matrigna, anche se – per tradizione – siamo abituati a considerare tutte le mamme p…, fuorché la nostra. Ma è stata l’unica volta e l’unico periodo nel quale gli italiani poterono dire di essere a casa. Quanto questa casa fosse poco solida l’hanno dimostrato gli eventi successivi. Rimane il fatto che quando crollò, quasi tutti i suoi inquilini preferirono andarsene. E anche questi, a conti fatti, possono essere 91
annoverati tra le vittime provocate indirettamente dalla Grande Guerra, poiché non si è saputo gestire saggiamente le esperienze acquisite in quei quattro anni, pure se le ragioni dirette vanno ascritte alle conseguenze del conflitto che insanguinò l’Europa ed il mondo trent’anni più tardi. Tant’è vero che alcuni storici nelle loro valutazioni, invece di parlare della Prima e della Seconda guerra mondiale, preferiscono parlare dell’ultima, disastrosa, e speriamo irripetibile, »guerra dei trent’anni«. Nel celebrare gli anniversari l’auspicio che l’ultima guerra sia stata veramente l’ultima. 5 novembre 1998
La redazione del Mandracchio presenta una delle sue prime opere di ricerca sulla storia di Isola con il volumetto ‘La nostra storia – Calendario storico di Isola dino al 1954’.
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Presidenti, e noi?! Visita lampo del presidente del Consiglio italiano D’Alema alla Slovenia la scorsa settimana. È durata qualche ora, ma il tempo è bastato per affrontare alcuni dei temi più importanti che riguardano i rapporti bilaterali e per un breve colloquio con il presidente della Repubblica. Con il premier sloveno Drnovšek ha discusso di cooperazione economica, di rete viaria e di minoranze nazionali. Per noi che siamo, appunto, appartenenti ad una comunità nazionale minoritaria, già il fatto che due Capi di governo di Paesi vicini decidano di incontrarsi rappresenta una segnale positivo, che poi nel breve spazio di tempo che hanno a disposizione decidano addirittura di dedicarne una parte alle sorti delle rispettive minoranze assume un significato oltremodo propositivo. Se il tutto, infine, avviene addirittura il giorno in cui ricorre il cinquantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, anche se si tratta semplicemente di un caso, beh, vogliamo credere che le cose non potrebbero andare meglio. Tuttavia, avremmo altamente apprezzato se il presidente del Consiglio D’Alema avesse disposto la sua pur brevissima visita anche per un rapidissimo incontro con gli esponenti della nostra Comunità nazionale. Per felicitarci con lui a poche settimane dall’importante carica cui è stato chiamato e per augurargli di mantenerla a lungo. Ma anche, tempo permettendo, per dirgli di quei due o tre problemi che vorremmo venissero risolti con il concorso diretto dei due Paesi. Siamo convinti che chi di dovere l’avrà certamente informato di tutto, ma venirne informato direttamente dagli interessati è ben altra cosa. Però, come dicevo, ci saremmo accontentati anche di un saluto “lampo”, visto che si trattava di una visita “lampo”, magari quei due-tre minuti prima di salire in macchina e ripartire, per una semplice stretta di mano. Se non altro, per sentirci un po’ meno soli e isolati. 17 dicembre 1998 S.S.
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Noi e France Prešeren Da qualche giorno, esattamente dal primo febbraio, è in vigore l’accordo che associa la Slovenia all’Unione Europea, inserendola di fatto in una nuova dimensione internazionale e giuridica. Tra qualche giorno, l’otto febbraio, in Slovenia si celebra la Giornata della cultura, in onore al massimo poeta sloveno France Prešeren. Forse, con un piccolo sforzo d’immaginazione, le due date andrebbero addirittura accomunate nello spirito di quel messaggio europeista e universale lanciato tanti decenni fa proprio dal poeta, quando volle pronosticare che al confine avremo dei buoni vicini. Una profezia che, toccando ferro, si va realizzando in maniera irreversibile. Proprio per questo, dal nostro piccolo mondo minoritario, ci sentiamo autorizzati a fare alcune considerazioni e avanzare alcune proposte: per rafforzare la coscienza che sarà proprio la cultura a liberarci da tutti i limiti che ancora ci costringono ad operare in campi diversi, quando non addirittura avversi. Perché, per esempio, con un altro piccolo sforzo d’immaginazione, non dovremmo identificare un motivo per celebrare anche noi una »nostra« giornata della cultura, legata alla nostra tradizione nazionale, che pur sempre si vanta di specifici agganci al territorio, alla tradizione, alla storia, alla lingua, ad una creatività che affonda le sue origini nei secoli? Non in alternativa a quella del popolo sloveno, ma come un nuovo arricchimento integrativo di valori e messaggi che dovrebbero coinvolgere tutta la popolazione del territorio del nostro insediamento storico. Non per creare nuove frontiere e nuove ideologie, ma per superarle con un auspicabile travaso e incrocio di conoscenze in cui ciascuna identità, per quanto piccola, troverebbe lo stimolo e la forza per consolidarsi ulteriormente e rafforzarsi. Conoscere il vicino e, grazie alla conoscenza, apprezzarlo, rappresenterebbe il primo passo verso quella volontà di convivenza e di rispetto reciproco, senza il quale anche il cammino verso l’Europa sarebbe più impervio e difficoltoso. 4 febbraio 1999 Silvano Sau 94
Dio ce la mandi buona Potremmo anche far finta che quanto sta succedendo a qualche ora di macchina da casa nostra non ci riguardi, né abbiamo intenzione di spargere lacrime sulla sorte di quelle popolazioni, da qualsiasi parte della barricata esse si trovino. Con una certa dose di cinismo potremmo addirittura affermare che, in fondo, le guerre ci sono sempre state e che, si sa, dove ci sono guerre ci sono anche morti e feriti, pure tra i civili. In quanto appartenenti ad una minoranza nazionale e ad una popolazione di frontiera, risultato di due guerre mondiali e dello sgretolamento di Stati e di ideologie, non possiamo non percepire i pericoli che questi avvenimenti rappresentano, al di là del loro aspetto bellico, già di per sé tragico. Negli ultimi decenni e, soprattutto, negli ultimi anni ci eravamo spinti a credere che il processo di distensione e di democratizzazione fosse ormai irreversibile. Che la cultura della pace fosse diventata parte della coscienza generale, tutelata da norme internazionali e da organismi quali l’ONU, nei quali volevamo riporre la nostra fiducia. Il traguardo era l’Europa Unita, la Casa comune di tutti gli europei, permeata dalla tolleranza, dal dialogo, dalla volontà di rispetto reciproco, eredità di un millennio di traversie, ma anche di conquiste e di lezioni, dure, ma che credevamo di aver imparato. La Bosnia e quanto successo poco tempo fa, dicevamo, era uno delle ultime scosse di assestamento. Quanto sta succedendo in questi giorni, però, va ad aprire un nuovo capitolo di estrema instabilità e di precarietà dalle conseguenze imprevedibili. È ritornata in auge, legittimandosi di fronte all’opinione pubblica, la legge del più forte. Quella dello sceriffo con licenza d’uccidere perché ha le pistole più potenti ed è il più rapido nell’estrarle. Una specie di nuova, drammatica e tragica versione del film “Mezzogiorno di fuoco” che tutti ricordiamo. Lo sceriffo, naturalmente sono gli Usa. Ma dove si trova il personaggio “buono” della vicenda, quello che ritenevamo personificasse l’Europa? Certo non l’ex pacifista Solana. Lui prende gli ordini dallo sceriffo. Dove sono i vari Consigli d’Europa, i vari primi ministri, le diplomazie. Le capitali della nostra cultura e della nostra civiltà? Sono tutti in viaggio d’affari? 95
Inutile nascondercelo, se questo è lo scenario dell’Europa che stiamo auspicando, finora abbiamo sognato e, come si diceva ingenuamente una volta, che Dio ce la mandi buona! 1 aprile 1999 Silvano Sau
Marzo 1999: continuano i lavori di restauro di Palazzo Manzioli. Nella foto quello che piĂš tardi sarebbe diventato il salone dei concerti al Piano Nobile.
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Una guerra che fa paura
Possiamo anche far finta di niente, ma a noi la guerra in Jugoslavia fa paura: sta superando tutti i limiti, se di limiti in una guerra è possibile parlare. E seppure nei primi giorni, senza entrar nel merito delle ragioni e delle giustificazioni, si poteva ancora pensare alla “guerra lampo”, nel momento in cui scriviamo le fasi dell’escalation stanno assumendo caratteristiche più che preoccupanti e drammatiche. Ormai è evidente, che già la prima fase, quella delle trattative, è stata giocata barando, probabilmente da tutte le parti, visto che nessuno ci credeva seriamente. Anche quella dei bombardamenti con “precisione chirurgica” ormai è soltanto un racconto del tempo che fu. All’ordine del giorno attualmente la fase delle centinaia di migliaia di profughi e delle decine di morti e feriti tra i civili. Una fase che si sta lentamente esaurendo lasciando spazio alla successiva che è quella dell’arroganza, provocata dalla coscienza che tutte le vie per arrivare ad una soluzione si stanno perdendo. Quella che ci fa realmente paura, dopo tre lunghissime settimane, è che si sta entrando nell’ultima fase, quella del non-ritorno, del panico isterico. Provocato dalla sensazione del “tutto è perduto”, dalla perdita dell’orgoglio nazionale, dall’ impossibilità di giustificarsi di fronte ai propri cittadini e all’opinione pubblica mondiale per i disastri e le vittime provocate. Come sempre, dall’una e dall’altra parte. Né ci aiuteranno a superare questa fase le decine di tavole rotonde che quotidianamente dal teleschermo improvvisati esperti pretendono di presen-tarci verità assolute, se non addirittura di avere la soluzione sottomano. La realtà di una guerra è molto più tragica. Noi, che in fondo siamo il risultato di un secolo che ha visto addirittura due conflitti mondiali, lo sappiamo bene. Ed è per questo che abbiamo paura anche oggi. 15 aprile 1999 Silvano Sau
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Il libro e la nostra identità Il numero dei presenti e la viva partecipazione che venerdì scorso abbiamo riscontrato durante la presentazione del volume “Isola in 200 cartoline”, pubblicato dalla nostra Redazione, abbiamo voluto interpretarlo come una precisa manifestazione di attaccamento alle nostre radici e alla nostra identità nazionale. La presenza poi di personalità, a partire dal Sindaco e dal Console Generale d’Italia a Capodistria, e di ospiti venuti da Trieste e dalle vicine località e di rappresentanti della maggioranza, ha voluto significare che certe barriere e certi ostacoli che ancora erano presenti, lentamente, ma inesorabilmente stanno scomparendo. E la storia di Isola, pur se rappresentata soltanto da duecento cartoline, sta diventando la storia di tutti noi, di coloro che vi sono vissuti, di coloro che vi vivono e - crediamo - anche di coloro che vi vivranno domani. L’identità - è stato detto durante la presentazione - non è qualcosa che si può acquisire, perché nasce con noi. L’importante è saperla usare, affinché non diventi strumento di sopraffazione e di divisione, quanto piuttosto veicolo di comprensione e di arricchimento. Le vecchie panoramiche, alle Porte, il Mandracchio, Piazza Grande, Porto Apollo, le Industrie conserviere, nate secoli o decenni fa sono ancora lì a testimoniare una storia ricca di umanità e di partecipazione. Forse sono cambiate nel nome, ma l’aspetto non può trarre in inganno. Basta raccogliere il racconto che sono disposte a farci perché diventino patrimonio di tutti e memoria collettiva. Perché diventino un elemento di quella identità che scaturisce dal nascere, dal vivere un certo ambiente, dal respirare un’atmosfera, dal riconoscersi in tutti quei mille e mille elementi che la compongono. E, cosa ancora più importante, farsi riconoscere. Affinché - come è sempre stato detto durante la presentazione - la grande onda d’urto della globalizzazione e delle integrazioni non finisca con il capovolgere e affondare una realtà così piccola come quella isolana e, in questa già minima proiezione, non penalizzi ulteriormente la presenza italiana già sufficientemente castigata dagli uomini e dalla storia.
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Se la nostra Redazione, pubblicando il volume sulle cartoline di Isola, ha almeno in parte contribuito a far navigare questa barchetta della speranza, ha fatto molto. 29 aprile 1999
La Redazione
La redazione del Mandracchio è particolarmente impegnata non soltanto nell’informazione e nell’editoria, ma anche nell’organizzare manifestazioni per ricordare e celebrare importanti anniversari del passato. Assieme al Comune di Isola e alla Scuola Italiana vennero ricordati i 580 anni della prima scuola pubblica della nostra città.
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Inquietudine e preoccupazione C’è una certa inquietudine nel nostro piccolo mondo minoritario. E anche preoccupazione. Dura ormai da qualche settimana la polemica che vede su fronti opposti esponenti della nostra Comunità nazionale, rappresentanti e non delle istituzioni, con in primo piano il quotidiano “La Voce del Popolo” e la direzione della Casa editrice EDIT di Fiume. Una polemica che ha sollevato molti dubbi e molti interrogativi, ma che non ha portato alcuna certezza. A parte quella, che per un determinato periodo (speriamo breve) e per una certa parte (speriamo minima) i mezzi stanziati dal governo italiano in nostro favore sono stati bloccati. A questo punto, per non esasperare ulteriormente l’atmosfera di crisi, riteniamo sarebbe utile una breve pausa di riflessione, da tutte le parti. Per fare un esame di coscienza e per tirare le somme di una situazione che altrimenti rischia di sfuggire di mano e rompere definitivamente i legami che ancor sempre tengono assieme gli interessi, le istituzioni e le persone della nostra Comunità nazionale. Far finta che non sia successo niente, senza voler entrar nel merito delle accuse e delle controaccuse, è quasi impossibile. Il problema materiale e finanziario in questo contesto è, in fondo, marginale. Mentre assume una rilevanza determinante il problema dei rapporti interni alla minoranza e di chi è chiamato a rappresentarla. Ed assume importanza il rapporto che da questa pesante polemica interna verrà ad instaurarsi con la Matrice Nazionale e con gli enti che a suo nome continueranno a collaborare con noi. Di non poco conto anche l’immagine che, comunque, presenteremo alle forze politiche degli Stati domiciliari, non fosse altro che per assicurarci ancora, o ancora di più, capacità contrattuale. È necessario quindi che gli animi si plachino: il muro contro muro non risolverà assolutamente niente, né la creazione di eventuali nemici al nostro interno riuscirà a portarci lontano. Chi ha rivendicazioni da presentare, lo faccia nell’ambito di un dialogo sereno e democratico. Chi è chiamato in causa risponda, tenendo presente che in questo caso non vale il detto per cui “chiedere è lecito, rispondere è cortesia”.
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In fondo si tratta di domande e di risposte che sono troppo importanti affinché ci si possa permettere il lusso di perdere qualche connazionale per strada. O, peggio ancora, che prenda piede un processo di disintegrazione che, vogliamo credere, nessuno vuole. 13 maggio 1999 Silvano Sau
Auguri, Presidente Ciampi! Il giorno del suo insediamento al Quirinale, la Comunità Autogestita Costiera della nazionalità italiana ha inviato al neoeletto presidente della Repubblica Italiana, Carlo Azeglio Ciampi, un messaggio augurale esprimendo le più sentite congratulazioni per la nomina alla più alta carica dello Stato. Nel messaggio, tra l’altro, viene auspicato che la Nazione d’origine prosegua, anche sotto la Sua alta guida, a prestare la necessaria attenzione alla Comunità Nazionale Italiana in Slovenia. Una minoranza nazionale autoctona, la nostra, come è stato sottolineato, che attraversa un momento particolarmente problematico della propria esistenza, e che, negli ultimi anni, grazie anche al sostegno dell’Italia, ha conseguito alcuni significativi risultati. Si esprime quindi la speranza di poter incontrare il Presidente al fine di informarlo direttamente dei nostri problemi e delle nostre aspettative. Un messaggio è stato inviato anche al Presidente uscente, Oscar Luigi Scalfaro, esprimendo i più cordiali sentimenti di riconoscenza per l’attenzione con la quale ha sempre seguito la nostra Comunità Nazionale. ”Ricorderemo sempre con gratitudine – è detto nella missiva – gli incontri che in questi anni abbiamo avuto il piacere di avere con la Sua alta carica nel corso delle visite effettuate in Slovenia e in Istria, durante i quali ha sempre trovato il tempo e la sensibilità di ascoltare l’esposizione delle nostre problematiche e l’enunciazione dei nostri progetti futuri, tesi a valorizzare i nostri diritti minoritari, e a mantenere l’unitarietà della Comunità Nazionale Italiana sul territorio del suo insediamento storico, guardando ai processi d’integrazione europea, da noi sempre sostenuti.
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Nel messaggio al Presidente Scalfaro, inoltre, si esprime un particolare ringraziamento per la Sua partecipazione all’inaugurazione, assieme al Presidente della Repubblica di Slovenia, Milan Kuèan, del nuovo edificio della Scuola italiana ”Dante Alighieri“ di Isola. Il Consiglio della Comunità autogestita della nostra nazionalità, riunitosi la scorsa settimana a Capodistria, ha discusso pure della situazione attuale all’interno della Comunità nazionale italiana. È stata espressa preoccupazione per i toni assunti dalle polemiche sulle pagine della nostra stampa, polemiche che rischiano di incidere sull’immagine stessa delle nostre istituzioni, ed è stato auspicato che il dibattito si trasferisca nelle sedi appropriate e delegate al dibattito e al confronto democratico. 27 maggio 1999
Comunque auguri, Delamaris! Ammettiamolo pure: eravamo in attesa della celebrazione del 120.esimo anniversario dell’industria conserviera di Isola che l’unico erede odierno, la “Delamaris”, aveva annunciato da tempo. Ed eravamo in attesa anche della pubblicazione promessa. Non sono tante le città grandi e piccole che possono permettersi ricorrenze del genere. È vero, nel frattempo tante cose sono cambiate, in fondo si tratta di 120 anni, ma Isola è sempre qui con le ciminiere di allora, con le case che forse sono più confortevoli, ma che mantengono sempre il loro aspetto originario. Ad essere cambiate sono soltanto le persone: la stragrande maggioranza perché ha intrapreso la strada dell’esodo, molte perché la legge della natura è inflessibile, ma quelle che negli anni e nei decenni si sono stabilite a Isola hanno fatto proprio quel patrimonio di vita e di tradizioni che proprio la presenza dei conservifici ha comportato. Eppure, noi Isolani di vecchio e nuovo stampo, non ci siamo sentiti coinvolti. Anzi... Lasciamo andare la cerimonia. Non sappiamo come si è svolta perché non eravamo presenti: con tante personalità, a partire dal Capo del Governo, vogliamo credere che il suggerimento inviato vent’anni fa (si festeggiava il 102
secolo) di rispettare anche la presenza autoctona degli italiani sia stata rispettata. Forse... anche se l’invito allora era stato inviato da un’organizzazione politica che ormai è relegata nel cassetto dell’oblio e di cui nessuno è intenzionato a ripresentarsi come erede. La nostra curiosità, pertanto, è andata soprattutto al volume pubblicato per l’occasione, frutto di una ricerca commissionata allo studioso Bruno Volpi Lisjak, per lunghi anni, come scrive nella presentazione, capitano di lungo corso. Uno che il mare l’ha vissuto in prima persona. La copertina promette bene: una vecchia immagine delle antiche “fabbrichine” mentre stendono le sardine per la dovuta essiccazione. Poi, le altre immagini della vita nelle fabbriche e nella cittadina, che con queste fabbriche ha vissuto un intero secolo e più? Macché! Tutto il primo capitolo, intitolato “Descrizione storica della pesca sulla costa slovena”, parla di tutto fuorché della pesca e della conservazione del pesce a Isola. Parla invece dei pescatori sloveni presenti sull’altra costa, quella triestina, da Servola a Barcola, a Contovello a Duino. Che certamente avranno avuto i loro meriti per lo sviluppo dell’industria conserviera di Isola, ma gli Isolani? Beh, come si sa, la carta si lascia scrivere! Almeno le foto ed i documenti non si possono sostituire. Lo credereste? La prima foto presenta dei campi a terrazza sulla costa slovena di Trieste. Poi, Isola? No: è la volta del porticciolo di Barcola, poi Contovello, poi Santa Croce. Anche nel capitolo “Nascita e sviluppo dell’industria conserviera del pesce”, le immagini sono quelle di Duino, Aurisina e Santa Croce. Infine, e finalmente, nel capitolo “Storia della Delamaris”, a pag. 40, la prima immagine di Isola, seguita da tante altre. E la ricerca del capitano Volpi Lisjak? Sull’impatto che la nascita dell’industria conserviera ebbe con la nostra città, nemmeno una parola. Fu tutto questione di proprietari: la popolazione isolana c’entra poco. La crescita del movimento operaio, le grandi conquiste sociali, le battaglie, gli scioperi, anche i morti (chi ricorda lo sciopero in piena era nazista?) le Case del Popolo, le varie sale di lettura. Niente di niente! È probabile che una chiave di lettura di questa ricerca, forse, ci venga offerta dallo stesso autore quando, nello spiegare le vicende seguite alla
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seconda guerra mondiale, dice che gli abitanti di Isola se ne sono andati per libera scelta. È evidente che il capitano Volpi Lisjak, piuttosto che parlare della presenza italiana a Isola, preferisce navigare in altre acque. A dimostrazione, appunto, che la carta può sopportare questo ed altro. Come spiegare, altrimenti, che pure il sommario della pubblicazione ha dimenticato l’altra lingua ufficiale di Isola: l’italiano. È stato steso soltanto in inglese. Forse perché deve navigare verso altri porti. Congratulazioni Delamaris! E, comunque, auguri! 23 settembre 1999 La Redazione
I numeri contano... “Perché all’interno della Comunità nazionale italiana si parla tanto spesso di problemi inerenti alla storia ed al passato, quando i problemi legati al contingente quotidiano sono tanti? Non è che così si cerca semplicemente di evitare un impegno più diretto e incisivo sui problemi attuali? Si affrontino, piuttosto, i problemi della mancata attuazione del bilinguismo o dell’insufficiente sovvenzionamento delle nostre attività!” Così, ci è stato riferito, si è espresso un nostro connazionale. È un punto di vista certamente legittimo, anche se, secondo il nostro modesto parere, è un atteggiamento che potrebbe anche essere fuorviante, semplicistico e - non me se ne voglia - alquanto demagogico. Come si fa a proporre e ad esigere soluzioni che riguardano la nostra posizione minoritaria senza confrontarsi con il retaggio del passato, visto che noi stessi, in quanto minoranza nazionale, siamo il risultato di un passato che, volenti o nolenti, in questa condizione ci ha costretti? Inutile far finta di non saperlo: per quanto con lo sguardo orientato al domani, e per quanto oberati dai problemi dell’oggi, siamo ancor sempre ostaggi del passato! Lontano e recente. Come gruppo nazionale minoritario possiamo esistere e trovare la forza di lottare soltanto se di questo ci rendiamo conto e se abbiamo acquisito la coscienza che alle spalle abbiamo, appunto, un passato. Soltanto così possiamo permetterci di pretendere una legittimazione anche nell’oggi e nel domani! 104
Dopo la battaglia - si usa dire - siamo tutti generali! Per la nostra Comunità nazionale, senza andare alla ricerca di colpevoli o nemici, questo secolo ha avuto conseguenze che, per la verità, nessuno di noi prevedeva. Innanzitutto, perché a partire dagli ultimi cinquant’anni siamo stati ridotti prima a minoranza, poi a minoranza numericamente esigua. Poi, perché nella gestione della nostra condizione minoritaria ci siamo lasciati condurre per mano con troppa facilità da demagogie, ideologie e pedagogie che, pur se a loro tempo comprensibili e giustificabili, alla resa dei conti hanno dimostrato la loro totale inconsistenza, quando non specchi per le allodole. Ed è con questi risultati che oggi siamo costretti a fare i conti. Non soltanto in nome della democrazia e della civiltà che stanno avanzando, perché anche le regole di queste vengono “democraticamente” dettate dalla maggioranza (i numeri contano, altroché!), quanto in nome di una presenza sul territorio che nessuno può negare e la cui testimonianza più sicura ci viene proprio dal passato e dalla sua conoscenza! 7 ottobre 1999 S.S.
Parallelamente a Palazzo Manzioli venivano portati avanti anche i lavori di pavimentazione dell’antistante piazza. Durante la rimozione delle lastre di pietra del selciato venne alla luce una pavimentazione ancora più antica. Dopo averla studiata, fotografata e documentata è stata nuovamente ricoperta.
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Tempi di ricordi… I ricordi, gli affetti, i legami che il tempo rischia di far sbiadire ritornano una volta all’anno nella giornata dedicata ai nostri defunti. Così è stato anche questa prima giornata di novembre, tiepida e soleggiata come una giornata di primavera. Abbiamo reso omaggio ai caduti della Grande Guerra, indipendentemente dalla parte in cui si trovavano a combattere. Ci siamo inchinati ai caduti della Seconda Guerra Mondiale, di qualunque colore siano stati. Ma, soprattutto, abbiamo fatto visita e ci siamo raccolti in meditazione di fronte alle tombe dei nostri cari nei cimiteri sparsi per l’Istria. Il tempo che scorre sempre più veloce e inesorabile lascia sempre meno spazio alla possibilità, a volte anche alla necessità, di dedicare un pensiero a coloro che hanno rappresentato una parte importante della nostra vita e dai quali, inesorabilmente, le leggi della natura hanno provveduto a separarci. Ma anche ad amici o semplici conoscenti. Rimane, per fortuna, quella lapide, quel nome, a volte quell’immagine, che da una tomba continua a testimoniare della sua presenza in questo mondo, uno, dieci, cento anni fa. Anno dopo anno, chi visita il nostro Camposanto, come tradizione cristiana e cattolica comanda, o perchè si riconosce ormai soltanto nella tradizione, può constatare come tutto stia mutando. Anche quello che, per logica, dovrebbe rimanere immutabile nel tempo. Dopo un solo anno è possibile vedere che pure il Cimitero è sempre diverso. Cambia la sua superficie, costretti a occupare nuovi lotti per far spazio a sempre nuove tombe. Cambia l’immagine e la fisionomia dei monumenti: marmo nuovo e lucente che sostituisce quello antico in pietra grigia. Cambia l’origine dei nomi e dei cognomi. Cambia anche l’appartenenza religiosa: non soltanto nelle parti nuove del Cimitero, ma anche in quelle appartenenti a tempi più remoti. È l’inevitabile scorrere del tempo che ci trova costretti a non far più distinzioni, almeno tra i morti. Eppure i cimiteri e le loro pietre tombali rappresentano un pezzo importante della nostra memoria storica e, in omaggio a chi ha trovato sepoltura in esso dopo aver contribuito a costruire, nel bene e nel male, le vicissitudini di queste terre, meriterebbe di non venir semplicemente 106
cancellato. È vero: i morti hanno fatto quello che hanno potuto. Spetta ai vivi fare in modo che tutto ciò non venga dimenticato: anche salvando dal degrado il loro nome scolpito su una lapide. 4 novembre 1999 Silvano Sau
Futuro senza vita? Per le voci che riguardano i gruppi nazionali minoritari il preventivo di bilancio della Slovenia per il 2000 è il peggiore degli ultimi anni. L’ha constatato la Commissione per le nazionalità italiana e ungherese della Camera di Stato e – ed è tutto dire – questa è anche la valutazione del responsabile dell’Ufficio governativo per le nazionalità. Non è una novità, tanto che abbiamo avuto modo di constatarlo già al momento in cui era stata pubblicata la proposta della Legge Finanziaria. L’indice di aumento rispetto al 1999 va dal 101 al 105 per cento, un tasso quindi notevolmente inferiore a quello previsto per l’inflazione e, soprattutto, notevolmente inferiore all’indice di aumento generale previsto per tutto il bilancio del prossimo anno, che sembra ammontare al 109,4 per cento. Senza tener conto degli obblighi che non sono stati onorati già quest’anno nei confronti dei Comuni nazionalmente misti e che prevedono una refusione dei bilanci comunali per le voci riguardanti la presenza delle comunità nazionali autoctone e l’attuazione delle norme sul bilinguismo. E senza tener conto delle nuove necessità che si stanno presentando, vedi Casa Manzioli. Per non bloccare la procedura parlamentare, la Commissione ha provveduto comunque a deliberare che la proposta di bilancio 2000 rappresenta una valida base di dibattito, invitando il governo a rivedere le singole voci di spesa e incaricando la presidenza della Commissione a preparare una serie di emendamenti con i quali cercar di risolvere la situazione. Dobbiamo dire, sinceramente, che ad un possibile miglioramento dei capitoli minoritari in fase di approvazione della Finanziaria ci crediamo poco. Anche perché le stesse conclusioni sono state approvate – più o meno – da tutti gli altri organi della Camera di Stato, per cui alla fine si 107
finirà con il concludere che la pentola è quella che è, che gli ingredienti disponibili ormai sono definiti, con un’unica possibilità di scelta: o si mangia la minestra o si rimane senza pranzo e senza cena. Anche il richiamo all’Europa ha provocato reazioni poco stimolanti da parte di qualche deputato della coalizione di governo. Pare che, nei suoi numerosi viaggi nei diversi Paesi europei, sia giunto alla conclusione che nessuno discuta volentieri delle proprie minoranze, forse perché si rende conto di avere qualche scheletro nascosto negli armadi. Che sia questo il destino che qualche forza politica intende riservarci per il futuro? Quello di scheletro da venir rinchiuso in un armadio che, come cimelio storico sarebbe certamente ben tutelato e ancora meglio conservato, ma inesorabilmente senza vita? 28 novembre 1999 Silvano Sau
La scuola elementare italiana di Isola ‘Dante Alighieri’ celebra i cento anni trascorsi nell’edificio di via Gregorèiè. A ricordo della ricorrenza una lapide commemorativa è stata inaugurata nella sede della nuova scuola che porta lo stesso nome.
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Attenti alla porta! Sul Secondo Congresso degli Istriani, che dovrebbe svolgersi il prossimo ottobre a Isola, non siamo stati interpellati, né siamo stati coinvolti altrimenti. Tuttavia, visto che ormai se ne parla, desideriamo dire la nostra – per quel che ne sappiamo e per quello che finora abbiamo sentito dalle diverse parti. Il primo Congresso, svoltosi cinque anni fa a Pola, non ha dato grossi risultati, né le polemiche allora scaturite a livello politico hanno avuto strascichi determinanti nel tempo. Tuttavia, e questa è la prima constatazione, già il fatto che – bene o male – quasi tutte le componenti istriane fossero state presenti, ha rappresentato certamente un primo passo verso quell’auspicato dialogo, di cui tutti sentiamo il bisogno. Se anche a Isola, tutti i convenuti, in veste ufficiale o da osservatori, potranno dire la propria in piena serenità e in piena legittimità, e se alla fine sarà comunque possibile tirare una serie di conclusioni accettabili per tutti, allora anche il secondo passo sarà fatto. E, forse, sarà il più importante di tutti i precedenti: forse altri si renderanno conto che l’essere Istriano non è una maledizione, nonostante la storia che ci portiamo alle spalle. Che una riconciliazione ideale è ancora possibile. E che le diverse componenti nazionali dell’Istriano possono trovare una civile forma di contatto, di dialogo e, quando possibile, anche di convivenza. Di là dagli Stati, di là dalle ideologie, di là dalle separazioni che la storia in nome proprio degli Stati e delle ideologie ha compiuto nel suo tessuto sociale, economico e demografico. Quindi parliamo pure di storia, di torti subiti, di dolori sopportati e di abusi sofferti, ma – se proprio vogliamo questo congresso – stiamo almeno attenti a non sbatterci la porta in faccia. Potrebbe essere l’ultima occasione. Ed è una responsabilità che chi si è addossato il compito di organizzare il Congresso deve comprendere. 2 dicembre 1999 S.S.
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1999+1=2000? È confermato anche ufficialmente: per celebrare il nuovo millennio bisognerà aspettare ancora un anno esatto. Infatti, come assicurano i matematici, è con il numero Uno che tutto ha inizio. Ciononostante, dopo aver pronosticato l’avvento del fine secolo e del fine millennio per interi dodici mesi, credo che abbiamo fatto bene a festeggiare l’avvenimento anche alla fine del vecchio anno: troppe le attese e troppi i mezzi spesi per poter annullare tutto con un semplice “ci siamo sbagliati”! In fondo, ammettiamolo, non ci dispiace nemmeno tanto che l’attesa si proroghi di altri 366 giorni. Quelli del 1999 hanno portato troppe notizie poco incoraggianti per servire da stimolo e da speranza per il prossimo e lontano futuro. Ci rimane, così, ancora una speranza di poter concludere questo XX secolo un po’ meglio di quanto non sia successo finora. Dodici mesi non sono tanti, ma potrebbero bastare – se percorsi con saggezza – per migliorare una media alquanto disastrosa e, comunque, per darci almeno l’illusione che il cammino, finora in salita, incominci lentamente a diventare meno faticoso. Anche per la nostra Comunità Nazionale, il 1999 non è stato prodigo ed i presupposti annunciati per il prossimo anno non risultano essere migliori. Anzi! Senza voler fare bilanci di fine d’anno e senza voler progettare destini futuri, vogliamo sperare che, nonostante tutto, già nel prossimo anno avremo compiuto un altro passo verso la mèta comune dell’Europa Unita. Che riusciremo, comunque, a consolidare la nostra posizione materiale e giuridica. Che la coscienza del diverso comporterà effettivamente l’acquisizione di valori che ancor sempre sono spinti verso i margini della società civile e della cultura. Per tutti questi motivi, e per tanti altri, facciamo finta allora che il primo Gennaio del 2000 rappresenti la prova generale per toglierci di dosso la secolare maledizione del “Mille e non più mille”, trasformandola in una semplice e più stimolante porta d’entrata verso un periodo di civiltà e di tolleranza di cui tutti abbiamo bisogno.
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A tutti i connazionali, alle nostre istituzioni, ai nostri concittadini, i migliori auguri di un felice Anno Nuovo 2000. E, come dicevano i nostri vecchi, a tutti salute e bori. ..30 dicembre 1999
L’incognita dei corsi e dei ricorsi Dopo tanti tira e molla, l’incognita dei finanziamenti per quest’anno sta arrivando alla conclusione. Dopo che il Bilancio di previsione della Slovenia ha ricevuto il benestare del Parlamento, sappiamo che non molti degli emendamenti proposti dalle Comunità nazionali minoritarie hanno avuto luce verde. Niente indicizzazioni, niente mezzi aggiuntivi per l’arredo e per le spese di funzionamento di Palazzo Manzioli. Tuttavia, l’ultima parola non è ancora detta: certamente questo sarà ricordato come l’anno dei corsi e ricorsi. Infatti, l’ultimo ricorso al Ministero per la cultura (più che un ricorso è un tentativo di arrivare comunque ad un compromesso accettabile per entrambe le parti) è stato inoltrato lunedì scorso. A quanto sembra, una piccola aggiunta potrebbe essere possibile se il ministro accettasse di finanziare alcune voci dai suoi fondi di riserva. Secondo le solite voci bene informate, sembra che una qualche possibilità concreta esista. Sempre secondo le solite voci bene informate, pare che qualcosa sarà possibile tirar fuori anche per inaugurare decentemente Palazzo Manzioli: se non altro perché si tratta di un progetto che vede coinvolti due Paesi, come si dice, vicini ed amici, e sarebbe certamente poco opportuno che, una volta terminati i lavori edilizi e di restauro, il tutto rimanesse chiuso in attesa di tempi migliori. A questo punto, quindi, non ci rimane altra alternativa che continuar a sperare ancora per qualche giorno. La risposta dovrebbe arrivare molto presto. In ogni caso, vogliamo credere che un’informazione adeguata e positiva arrivi prima dell’otto febbraio, per poter anche noi festeggiare adeguatamente la Giornata della Cultura Slovena. Certo, noi abbiamo sempre sottolineato, anche con un certo orgoglio che lo Stato di cui siamo cittadini, la Slovenia, è uno dei pochi che dedica 111
tanta importanza alla cultura: tanto da dedicarle addirittura una giornata di festa, in occasione dell’anniversario del suo più grande Poeta. Peccato che questo interesse non incontri adeguata rispondenza anche quando si parla di finanziamenti. Come giustificare, altrimenti, il fatto che proprio al Ministero per la cultura, in questo fatidico anno 2000, l’indicizzazione prevista dal Bilancio è la più bassa rispetto a tutti gli altri? Che dipenda dal fatto che siamo entrati nell’anno in cui si svolgeranno le elezioni politiche? 3 febbraio 2000 Silvano Sau
Palazzo Manzioli: 30 giugno 2000! A guardarlo dall’antistante piazzetta, e ancor meno visitandolo dall’interno, sarebbe impossibile assicurare che entro il prossimo 30 giugno Palazzo Manzioli sarà definitivamente completato, ristrutturato e restaurato. A dir la verità, anche la piazza che sta di fronte sembra essere lontana dal termine stabilito per il completamento dei lavori. Eppure noi vogliamo essere fermamente convinti che le date verranno effettivamente rispettate dagli esecutori, dagli esperti, dai restauratori, dai tecnici e, soprattutto, dai finanziatori. Un tanto è stato confermato e sottoscritto alla riunione del Comitato misto italo-sloveno guidato dai rappresentanti dei due Ministeri degli esteri, presenti, nell’ambito delle due delegazioni, tutti i soggetti direttamente interessati. A scanso di equivoci, gli esperti delle due parti hanno sottoscritto anche l’elenco dei materiali previsti e lo scadenziario dei singoli lavori, giorno per giorno, fino alla conclusione prevista, come si diceva, per la fine di giugno. A stimolare il nostro ottimismo il fatto che da qualche tempo effettivamente i lavori sono ripresi e non passa giorno che non si veda qualcosa di nuovo che, ancora ieri, non c’era. Anche il corso di formazione per il restauro, sotto l’attenta guida del Dipartimento di architettura dell’Università di Reggio Calabria, è in pieno svolgimento con piena soddisfazione dei professori e degli studenti. Rimangono tutt’ora, comunque, aperte altre due sostanziali perplessità. La prima riguarda la domanda se, una volta chiusi tutti i cantieri, 112
saranno assicurati anche i mezzi necessari per l’arredo e il funzionamento dello stabile, rendendo possibile una sua agibilità funzionale da parte dei suoi fruitori finali, cioè la Comunità autogestita della nazionalità italiana con tutte le sue innumerevoli attività. La seconda è collegata al progetto iniziale che ha giustificato tutto l’intervento e che è alla base stessa del Protocollo firmato dai governi di Italia e di Slovenia. Concluso il corso di formazione attuale, voluto e previsto dal Protocollo di accordo che scade, appunto, il 30 giugno sarà possibile prospettare qualche altro tipo di iniziativa che non interrompa un progetto che si è dimostrato certamente positivo? Su entrambi i fronti, sia la Comunità autogestita sia l’amministrazione comunale e gli altri soggetti coinvolti stanno cercando possibili sbocchi. Alcuni sono già stati evidenziati e sono all’esame. L’unico problema è che per la loro attuazione non basta la disponibilità. Quando si tratta di assicurare qualche baiocco, tutti cercano di far orecchio da mercante. Però, come si dice, un passo dopo l’altro… naturalmente senza aspettare lo scoccare del 30 giugno. Allora si potrà soltanto discutere come e quando effettuare la cerimonia solenne dell’inaugurazione. Naturalmente con tutti i problemi già risolti. 2 marzo 2000 Silvano Sau
Signori ministri, e noi? Seguiamo sempre con grande interesse gli incontri tra i governanti dei Paesi vicini, in particolare tra quelli di Slovenia, Italia e Croazia, convinti come siamo che le porte dell’Europa potranno realmente spalancarsi soltanto in un’atmosfera di reale fiducia, comprensione, rispetto e piena collaborazione. Tanto più quando nei colloqui vengono trattati anche problemi inerenti la posizione delle singole comunità nazionali. Abbiamo seguito e atteso i risultati anche della recente visita che il ministro degli esteri sloveno, Rupel, ha compiuto a Roma e dei colloqui avuti con l’omologo italiano, Dini. Un’attesa tanto più giustificata, perché era stato annunciato che in quell’occasione i due capi diplomazia avrebbero posto la loro firma anche in calce all’accordo bilaterale per la collaborazione
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culturale. Un accordo che, se ben ricordiamo, contiene anche tutta una serie di clausole inerenti alcuni impegni dei due Paesi a favore delle rispettive minoranze. Dalle agenzie stampa abbiamo appreso con soddisfazione che la firma c’è stata e che l’accordo quindi entrerà in vigore non appena pubblicato dalle Gazzette Ufficiali. Ciononostante, pur nel nostro piccolo, oseremmo avanzare una perplessità: l’accordo c’è ed è stato sottoscritto, ma perché nessuno né prima né dopo ha ritenuto opportuno, non dico consultarsi con gli esponenti della Comunità nazionale italiana in Slovenia, ma almeno informarli dei contenuti che l’accordo prevede? È una domanda, naturalmente, che rivolgiamo ad entrambe le Parti, perché, come dicono, chiedere è legittimo e rispondere è cortesia. Non per tornare all’antica prassi, quando in vista di incontri così importanti, la minoranza veniva interpellata sui problemi e sulle aspettative, ma per continuar a tener in vita – se non è chiedere troppo – quel minimo di considerazione che porti le Comunità minoritarie a legittimarsi ancor sempre quali soggetti. O, almeno, uno di quei piccoli soggetti che pur vorrebbero poter passare attraverso le porte spalancate dell’Europa. 16 marzo 2000 Silvano Sau
La CAN? Per qualcuno non c’è o non conta… In questi ultimi giorni ci sono stati due importanti appuntamenti riguardanti il mondo minoritario e di conseguenza anche la nostra comunità nazionale: la Conferenza internazionale sui rapporti interetnici e le questioni delle minoranze nel sud-est europeo, tenutasi a Portorose e organizzata dal ministero degli esteri sloveno, e la celebrazione del centenario dell’ Università popolare di Trieste. Due avvenimenti diversi, tutti e due di notevole importanza, anche e soprattutto politica, che hanno avuto comunque un punto in comune: l’assenza dei rappresentanti della massima organizzazione comunitaria degli italiani di Slovenia, la Comunità autogestita costiera della nazionalità italiana.
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Alla Conferenza di Portorose il Consiglio d’Europa aveva suggerito che le varie delegazioni degli Stati presenti comprendessero anche un rappresentante delle proprie minoranze e forse qualcuno avrà anche rispettato questo suggerimento. La Slovenia, in qualità di organizzatore avrebbe dovuto dare l’esempio, ma non lo ha fatto. Si è comunque premurata si organizzare una visita (opzionale) dei partecipanti alla Comunità degli Italiani di Pirano dove una cinquantina di ospiti sono stati ricevuti dal presidente della CAN Silvano Sau e dal presidente della locale Comunità Boris retoni. Un momento promozionale più che sentito, che si è inquadrato bene con alcune considerazioni fatte nel discorso d’apertura del ministro degli esteri Dimitrij Rupel che ha illustrato l’alto grado di tutela che la Slovenia riserva alle sue due minoranze, tanto che non ci sono problemi aperti. Ma allora, la legge sulle scuole minoritarie che attendiamo da anni, il costante ridimensionamento dei mezzi per la cultura non sono davvero problemi grossi? Se è così, allora perché non vengono risolti? Anche alla cerimonia dei cent’anni dell’Università popolare di Trieste c’è stata, secondo noi, una grave dimenticanza. Alla CAN costiera non è giunto nessun invito di partecipazione. Eppure c’è una lunga e fruttuosa collaborazione da moltissimi anni ed in diversi settori di attività, da quello culturale a quello scolastico, dove la CAN costiera è cofondatrice delle nostre scuole medie e tramite la quale arrivano sui banchi i libri di testo per i nostri ragazzi. Tanto per dirne una. 30 marzo 2000 Flavio Forlani
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Il coro misto ‘Haliaetum’ della C.I. Pasquale Besenghi degli Ughi celebra il suo primo quarto di secolo. Sul palcoscenico il maestro Claudio Strudhoff
Il Paese delle meraviglie Definire fluida la situazione politica in Slovenia, almeno stando a quanto sta avvenendo in queste ultime settimane, sarebbe come dire che l’acqua è umida. Tra colpi e contraccolpi, chi ci capisce qualcosa deve avere indubbiamente delle qualità medianiche. Quello che è certo, è che, alla fine comunque - a decidere sarà l’elettorato, ma solo dopo che i vari partiti saranno riusciti a modellarlo in modo da far uscire vincitrice la formula adatta a tutti i tempi: al comando si troveranno sempre loro. Quelli che della demagogia si sono fatti un mestiere. A questo punto, tuttavia, visto che le alternative sono tutte aperte, e visto che i nostri problemi sono pure ancora tutti aperti, che cosa ci si può aspettare? Il ministero per la cultura, ora che il governo non ha avuto la fiducia richiesta, affronterà seriamente le nostre richieste, oppure rimanderà 116
il tutto a quando la situazione sarà più chiara? Tra quindici giorni, tra un mese, tra due mesi, oppure appena a nuove elezioni avvenute? Il che può succedere pure tra un mese, tra due, tra sei, ecc. ecc. Nel frattempo, le nostre Comunità rimangono senza i finanziamenti per le attività culturali, e siamo già al quarto mese. Fino quando è possibile aspettare senza compromettere del tutto ogni possibilità di realizzarle? Meno male che nel frattempo è stato già pubblicato il concorso per il 2001. Le richieste vanno presentate - coordinate a livello comunale e poi a livello costiero - entro e non oltre il 31 maggio! Sembra di essere nel paese dei balocchi, o in quello delle meraviglie di Alice. A meno che da noi non ci si aspetti proprio questo: dimenticare che i mesi passano, e, magari, proporre le iniziative del 2000 per il 2001. E poi avanti così. Ma vi sembra una cosa seria? Di tutto questo, naturalmente, i rappresentanti della Comunità italiana in Slovenia hanno certamente informato il sottosegretario agli esteri italiano, Umberto Ranieri, durante la sua visita in Slovenia. Sperando che, tramite i suoi canali, voglia farlo presente agli interlocutori di Lubiana. E sempre che al governo sloveno ci sia ancora qualcuno disposto ad ascoltare seriamente. E poi dicono che la politica è l’arte del possibile. Anche se a noi sembra più giusta e più veritiera la definizione secondo cui la politica è figlia della donna addetta al mestiere più antico del mondo. 13 aprile 2000 Silvano Sau
Funesti presagi? Ce la farà o non ce la farà il dottor Andrej Bajuk ad assicurarsi i 46 voti della Camera di Stato per approvare il suo governo, messo assieme dopo una tormentata trattativa? Visto che ci sono stati per la sua elezione, logica farebbe supporre che lo stesso numero verrà garantito anche per la sua compagine. Come si sa, però, in politica niente è mai scontato, tanto più in una situazione come quella slovena attuale, dove le maggioranze si formano con voti clandestini di cui nessuno - o quasi - conosce la provenienza. 117
Oltre a questo dilemma, almeno per quanto ci riguarda, c’è pure tutta una serie di valutazioni su cosa e su come questo eventuale futuro governo, se confermato, influirà sulla posizione della nostra comunità nazionale. In questo campo le cose diventano più serie: con alcuni di questi ministri la nostra minoranza ha già avuto a che fare in passato, vuoi perché già esponenti di governi precedenti, vuoi perché personaggi della vita culturale e sociale slovena, vuoi perché membri di importanti organismi statali, come per esempio la Corte costituzionale. E se per alcuni il giudizio potrebbe essere sostanzialmente positivo, per altri prima di formulare un giudizio bisognerebbe usare molta cautela. Se è vero - come si sostiene - che la Slovenia è uno Stato di diritto e che ha risolto sostanzialmente bene la tutela delle proprie minoranze nazionali sia con la Carta costituzionale, sia con apposite norme di legge, allora il problema dovrebbe avere un’importanza marginale. In fondo, uno Stato di diritto con una tradizione democratica ormai consolidata, il fatto che al timone di comando si trovino forze di destra o forze di sinistra, non dovrebbe incidere sulla posizione sociale, economica, culturale e politica di una comunità nazionale. Ciononostante delle perplessità esistono, e noi che viviamo all’interno di questa comunità, le percepiamo quotidianamente, e non è questione di ipersensibilità. Il governo che ci siamo lasciati alle spalle non ha dimostrato eccessiva disponibilità nei nostri confronti: parliamo di quanto e di come lo ha fatto, ma soprattutto di quanto non ha potuto o voluto fare. Ed era un governo di centro-destra. Ora, il governo potrebbe essere completamente di destra. Anzi, come ha detto uno dei più alti esponenti di questa coalizione, sarà tanto a destra che più a destra, per chi si richiama alla democrazia, non ci sarà più spazio. Torno a ripetere che per noi, destra o sinistra, non dovrebbe fare una gran differenza. Ma... sì, c’è un ma... che scaturisce da quanto è emerso nel corso del dibattito parlamentare che, alla fine, ha portato a questa nuova maggioranza. Importanti esponenti di questa coalizione, riferendosi alla nostra comunità e al nostro deputato al Parlamento, hanno lanciato strali talmente pesanti che se non fossimo premuniti di una forte dose di ottimismo, potremmo dire che sono stati messaggi portatori di funesti presagi. 18 maggio 2000 Silvano Sau
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Slovenia: tra i due litiganti, chi gode? Dicono che ogni Paese ha il Parlamento che si merita. E anche se il vecchio detto non sempre regge, è certamente vero, che siamo stati proprio noi, cittadini, ad eleggere democraticamente i deputati che oggi ci rappresentano nel massimo organo rappresentativo e legislativo dello Stato. Che ora questi non si comportino sempre come saggezza e opportunità civile vorrebbero, quindi, una parte delle responsabilità sono certamente anche nostre, che con troppa leggerezza abbiamo dato il nostro voto ora a questa ora a quella formazione politica, senza chiederci se le persone che venivano presentate rispondevano effettivamente a quella parte del dettame costituzionale, secondo il quale ogni deputato ha l’obbligo di rappresentare innanzitutto gli interessi del Paese e di tutta la sua popolazione. E non invece, di diventare semplice strumento di una compagine politica e delle sue strategie politiche il cui fine ultimo non è il benessere dei cittadini, ma soprattutto la voglia di potere. Certo è, visto quanto sta succedendo in questi giorni nella Camera di Stato, che i cittadini della Slovenia, tra i quali un posto pur se modesto spetta pure a noi, meriterebbero dai propri rappresentanti un comportamento più decoroso e responsabile, tanto per non legittimare quella funesta massima lanciata tempo fa da un importante personaggio politico, secondo il quale “il potere logora soprattutto chi non ce l’ha!”. Perché in questo caso sarebbe chiaro che l’attuale situazione sta fortemente logorando soprattutto chi il potere effettivo non l’ha mai avuto ne, probabilmente, mai l’avrà, nonostante le leggi e le garanzie costituzionali: i cittadini. Quanto stiamo osservando ultimamente ci fa venire in mente situazioni ben più banali che difficilmente potrebbero far onore a delle compagini politiche che – ora l’una ora l’altra – pretendono di governare il Paese. Ci ricordano certe beghe giuridiche tra piccoli contadini che, per decidere il diritto all’uso di un viottolo di campagna, ricorrono ai tribunali in estenuanti pratiche giudiziarie. Con il risultato finale che, in nome di una pretesa volontà di giustizia, come sottolineato in questi giorni da un opinionista, finiscono
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con il perdere non soltanto la faccia, ma spesso anche il podere. Con la differenza che in questo caso non si tratta di alcuni metri di terreno, ma della vita di un paio di milioni di persone. 1 giugno 2000 Silvano Sau
L’apparizione del fenomeno della mucillagine nell’Adrtiatico anche a Isola non offriva uno spettacolo molto invitante per la stagione turistica. Per qualcuno il fatto doveva venir collegato all’imminente ‘Mille non più Mille’
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Il voto è diritto e dovere! Domenica, 15 ottobre si andrà a votare per il rinnovo del Parlamento. Il voto è un diritto che ogni cittadino è libero di esercitare secondo le proprie convinzioni e la propria volontà. Ma, come per tutti i diritti, anche il diritto di voto se non esercitato corre il rischio di essere vanificato e, magari, usato contro le nostre stesse convinzioni e aspirazioni. L’assenteismo, il non presentarsi all’appuntamento con le urne, potrebbe rappresentare il pretesto perché qualcuno incominci ad insinuare che, in fondo, si tratta di un diritto inutile o che non trova il consenso di coloro cui è destinato. Oltre che un diritto, dunque, votare è anche un preciso dovere! Per noi, cittadini dello Stato di Slovenia e, contemporaneamente, appartenenti alla comunità nazionale italiana, le elezioni per il rinnovo della Camera di Stato rappresentano una doppia sfida e un doppio impegno che vanno affrontati con massima serietà e senso di responsabilità. In primo luogo, perché con il nostro voto potremo influire sulle forze politiche e sui personaggi che troveremo domani a gestire il massimo organo legislativo e a guidare l’esecutivo. Avendo sempre presente – non ci stancheremo mai di ripeterlo – che un voto non assegnato va sempre e inesorabilmente a favore di chi non vorremmo mai venisse eletto. Il nostro voto, quindi, può contribuire all’elezione di deputati e di forze politiche più vicine e più sensibili alle nostre necessità di comunità nazionale minoritaria, quindi più disponibili ad assicurarci condizioni e strumenti che ci permettano di godere, per quanto possibile, delle stesse opportunità di vita e di sviluppo. Il voto di domenica, però, ci consentirà anche di contribuire all’elezione del nostro rappresentante al seggio specifico del Parlamento e di esprimere o meno il nostro gradimento. È vero, che in questa tornata elettorale la situazione per quanto riguarda la lista dei nostri candidati è alquanto anomala, trovandosi in corsa una sola persona, il che, in pratica, ci toglie qualsiasi possibilità di scelta. Il nostro, quindi, non vuol essere un invito a sostenerlo: votate come vi pare, ma recatevi al seggio elettorale e votate! La nostra presenza alle urne deve rappresentare una chiara risposta 121
a tutti coloro che vorrebbero identificare la scarsa presenza di candidati con una disaffezione della comunità nazionale italiana nei confronti del voto e dell’istituto del seggio specifico al Parlamento. Il numero delle schede, che voteremo come ci sembra più giusto, deve testimoniare l’importanza che la nostra comunità assegna a questo diritto. Va ricordato, che per mantenerlo nella sua integrità, la nostra Comunità ha dovuto difenderlo addirittura di fronte alla Corte Costituzionale, quando alcune forze politiche avevano tentato di delegittimarlo. Cerchiamo, ora, di non offrire il fianco per nuove strumentalizzazioni. Ecco perché il voto di domenica 15 ottobre non è soltanto un diritto, ma è anche – e forse soprattutto – un dovere per tutti gli appartenenti alla Comunità nazionale italiana! 5 ottobre 2000 Silvano Sau
Il dado è tratto! Il voto di domenica per il nuovo Parlamento in Slovenia ha dimostrato che, per fortuna, il corpo elettorale sa essere più responsabile della sua classe politica, o almeno di una parte di essa. Infatti, se una considerazione è possibile fare ancora a caldo, è che ad una situazione di governo anormale l’elettorato ha risposto chiedendo un ritorno alla normalità: non poteva esserci indicazione più esplicita nei confronti di quella coalizione che si è trovata alla guida del Paese negli ultimi sei mesi. L’altra considerazione che ci sentiamo in grado di fare è che il prossimo premier incaricato non potrà non tener conto che, almeno per i prossimi quattro anni, il voto ha espresso un orientamento che boccia inequivocabilmente l’opzione di governo di destra, privilegiando la sinistra o, quantomeno, il centro-sinistra. Infine, per quanto riguarda il voto degli appartenenti alla Comunità nazionale italiana per il seggio specifico alla Camera di Stato, va pure detto che è stato un voto pienamente responsabile e cosciente, con una risposta inequivocabile sull’importanza che il corpo elettorale minoritario attribuisce all’istituto del seggio specifico e una risposta altrettanto chiara alle varie strumentalizzazioni cui è stato sottoposto nell’ultimo mandato da 122
alcune forze politiche che, giocando sull’anomalia dell’unico candidato, avrebbero voluto inficiarne la legittimità. A questo punto, l’auspicio che la Camera di Stato riesca a costituirsi quanto prima, che quanto prima il partito di maggioranza relativa riesca quanto prima ad esprimere un premier incaricato e, infine, che questo riesca nel minor tempo possibile a mettere in piedi un governo che riprenda le redini del Paese. E, soprattutto, che il governo ancora in carica, si limiti effettivamente al solo disbrigo delle faccende correnti, senza intraprendere azioni che, trovandoci alla fine dell’anno, potrebbero comportare conseguenze estremamente negative per il prossimo futuro. Azioni che sono state già avviate nei mesi precedenti e che, per fortuna, non sono state ancora portate a termine, ma che riguardano anche la nostra posizione minoritaria. Ricordiamo l’esito negativo in merito alla Legge sul nostro sistema scolastico, ma ricordiamoci anche di alcuni tentativi di non onorare ben precisi obblighi di legge nei finanziamenti delle nostre istituzioni. E da non dimenticare ancora, che proprio in questi mesi si sta approntando la nuova legge finanziaria per il prossimo anno. Per quanto riguarda concretamente i risultati del voto a Isola, nonostante l’appoggio sostanzioso che l’elettorato ha offerto ad alcuni candidati isolani, purtroppo con rammarico va constatato che se nel mandato precedente la nostra cittadina poteva contare addirittura su due deputati, questa volta a uscirne privilegiati sono certamente le vicine Pirano e Capodistria: per questa volta Isola rimane senza un suo diretto rappresentante al Parlamento. Il voto riguardante il quesito referendario sulla ristrutturazione urbanistica di Punta Gallo, infine, ha portato ad un risultato che molti pronosticavano, al di là delle forze politiche che lo sostenevano o meno. Anche in questo caso, l’elettorato ha saputo ben distinguere a chi dare la propria preferenza, nonostante i timori secondo cui l’invito ad andare alle urne nello stesso giorno avrebbe potuto portare l’elettore a lasciarsi trascinare dal voto politico. Va ripetuto ancora una volta quindi che, molto spesso, l’elettore sa essere più saggio di colui che pretende di amministrarlo e prima di deporre la scheda nell’urna ci pensa due volte e poi vota secondo coscienza e con responsabilità. 19 ottobre 2000 Silvano Sau 123
Il mondo, nonostante tutto, va avanti!? Il 4 novembre scorso l’Europa democratica ha celebrato a Roma il primo mezzo secolo della Convenzione sui diritti umani. L’ha fatto approvando tra l’altro anche un memorandum contro la discriminazione razziale: un altro importante strumento a tutela della dignità umana. Ma riuscirà ad arginare il degrado civile che ormai sta avviluppando tutti i gangli della società locale e internazionale? Ieri, con adeguata cerimonia alla presenza del Presidente della Repubblica, Milan Kuèan, è stato ricordato il 25.esimo anniversario della firma degli Accordi di Osimo tra l’allora Repubblica Federativa Socialista di Jugoslava e la Repubblica Italiana, accordi di cui la Slovenia si è dichiarata legittima erede, facendo sue le clausole che riguardano la tutela della minoranza italiana che si rifanno allo Statuto speciale allegato al Memorandum di Londra del 1954. In questi giorni si sta vivacemente discutendo nei Paesi membri dell’Unione Europea della Carta dei diritti fondamentali, una specie di Costituzione della nuova entità di cui, speriamo tra qualche anno, entrerà a far parte pure la Slovenia. Sempre in questi giorni è stata diffusa la notizia che è pronta per entrare in procedura parlamentare la proposta di Legge sull’uso pubblico della lingua slovena in quanto lingua ufficiale dello Stato. Da quanto apprendiamo, alcune disposizioni riguardano anche l’uso delle lingue minoritarie (italiano e ungherese) nei territori che per legge sono definiti nazionalmente misti. Su tutte queste ricorrenze di vicende passate e annunci di vicende future soltanto una breve considerazione: ai diretti interessati, che siano cittadini di uno Stato o che siano appartenenti a corpi e comunità nazionali, mai è stato chiesto cosa ne pensano: le convenzioni, i memorandum, le leggi sono sempre state approvate in conformità dei diversi compromessi cui le parti erano disponibili. Così la Convenzione europea, così il Memorandum di Londra e gli accordi di Osimo (qualcuno s’è mai chiesto in quale misura sono stati realizzati?), così la Carta dei diritti fondamentali
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dell’Unione Europea nella quale all’art.22 si stabilisce che L’Unione rispetta le diversità culturali, religiose e linguistiche (a chi il dovere di tutelarle?), così - è probabile - anche la proposta di Legge sull’uso pubblico della lingua slovena, visto che nessun appartenente alle due comunità nazionali minoritarie è stato chiamato a dare un parere. Ciononostante e nonostante tutto il resto, per fortuna, il mondo va avanti: forse siamo noi a non rendercene conto. 9 novembre 2000 Silvano Sau
Lavori in corso per Palazzo Manzioli e per la pavimentazione dell’omonima piazza
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Cosa cambia? Poco più di un mese fa, alla vigilia delle recenti elezioni parlamentari, avevamo ribadito che se il governo attualmente in carica (quello insediatosi durane i mesi estivi, tanto per intenderci) è stato per la comunità nazionale italiana negativo, neanche quello precedente, in carica per quasi tutta la legislatura, poteva ritenersi, dal nostro punto di vista positivo. Ricordiamo l’acuirsi delle difficoltà nei finanziamenti e la sempre più disastrosa burocratizzazione introdotta per potervi accedere, tanto che i primi versamenti sono stati effettuati con addirittura sei mesi di ritardo, costringendo i fruitori a spostare o a dimezzare, quando non a cancellare iniziative culturali previste un anno e mezzo prima. Ricordiamo gli enormi ritardi nella presentazione in procedura delle leggi riguardanti settori vitali per le comunità nazionali minoritarie (Legge particolare sui diritti particolari nel campo dell’istruzione), tanto che a tutt’oggi non sono state ancora varate. Ricordiamo, infine, il non lavoro o la mancanza di reali competenze di quegli organi di cui lo stesso governo si era attrezzato e che, invece, non hanno svolto appieno il loro compito (Ufficio per le nazionalità e Commissione intermini-steriale per le comunità nazionali). Ora ci troviamo alla vigilia dell’assunzione dei poteri da parte del nuovo governo. Speriamo che tra giorni il premier incaricato presenti al Parlamento la lista dei nuovi ministri: così, finalmente, sapremo a chi dovremo rivolgerci per risolvere i nostri problemi. Tra i nomi che finora sono circolati sulla stampa, alcuni potrebbero essere anche di notevole gradimento, se non altro perché - si presume - conoscono la nostra situazione e le nostre specificità. Soprattutto nel settore della scuola e della cultura. Tuttavia, visto che la coalizione di maggioranza dalle ultime elezioni ne è uscita ulteriormente rafforzata, pur con una notevole modifica strutturale e politica con l’inserimento della Lista Unita, la domanda che ragionevolmente ci poniamo, è se per i prossimi quattro anni possiamo dormire sonni tranquilli? Certo, molto dipende dai personaggi che saranno chiamati a svolgere i diversi ruoli all’interno dell’esecutivo. Non dimentichiamo, però, che la logica del vincitore è sempre quella: dare quanto
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meno a chi non ha la forza e la capacità di un potere contrattuale che si esprima in voti. E in questo campo, dobbiamo ammetterlo, siamo sempre stati molto deboli. 23 novembvre 2000 Silvano Sau
Comunità italiana: mille e non più mille? Da qualche giorno siamo entrati nel nuovo e, per tanti aspetti, atteso 2001. Non fosse altro perché rappresenta anche l’inizio del XXI secolo e l’inizio del III millennio. L’inizio di un periodo, se vogliamo di un’epoca che, per la Comunità Nazionale Italiana, acquista un valore e una dimensione altamente simbolici e, perché no?, anche profetici. La presenza culturale, etnica e linguistica dell’elemento italico in questi territori è stata una costante ed un punto di riferimento importante, quando non dominante, degli ultimi venti secoli. Ridotta ad esigua minoranza negli ultimi cinquant’anni, ha purtuttavia resistito fino a questo fatidico principio del terzo millennio. Giunti a questo punto della nostra storia, però, si presenta necessariamente una domanda: ce la farà a sopravvivere nei prossimi cento anni? E in quanti di quelli successivi l’elemento italiano, o istro-venetoitalico (tanto per non suscitare eruzioni cutanee tra i tanti estimatori di delimitazioni confinarie etniche), potrà ancora vantare diritto di domicilio autoctono? Oppure, nella prospettiva dilagante della purezza nazionale che vuole rinchiudersi entro i confini di uno Stato, o in quella, altrettanto subdola, della globalizzazione che, al contrario, vuole l’appiattimento del diverso, siamo entrati nella fase conclusiva? Una specie di “mille e non più mille” della nostra consistenza minoritaria! Destinati nell’uno e nell’altro caso – pur se collocati agli estremi opposti – destinati a scomparire dalla memoria storica, prima da quella individuale, poi anche da quella collettiva. Una domanda, crediamo, cui nessuno saprà, o forse, più semplicemente vorrà dare una risposta. Riguarda, tuttavia, una concreta responsabilità di cui non si può far carico la sola Comunità Italiana minoritaria, già percorsa da proprie debolezze, divisioni e mali che alcuni, magari, vorrebbero insuperabili e irreversibili. Una responsabilità, invece,
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che dovrebbe diventare impegno e obbligo comune degli Stati di riferimento, nel nome di quei valori civili e culturali sui quali si vuole ricostruire una comune identità europea e che ha le sue fondamenta proprio nel rispetto e nello sviluppo delle identità locali e delle diversità, per quanto piccole possano essere. Per non ridurre una presenza bimillenarie ad un sito archeologico, ma per assicurarle un futuro in quanto patrimonio e irrinunciabile risorsa umana. 11 gennaio 2001 Silvano Sau
Giornata della cultura La Slovenia è uno dei pochi Paesi che ha ritenuto necessario dedicare una giornata all’anno alla cultura. Lo ha fatto proclamando l’8 febbraio, anniversario del suo più grande poeta Prešeren, festa nazionale. Conscia, ne siamo convinti, che per una Nazione tutto sommato abbastanza piccola, è stata proprio la cultura l’elemento determinante che le ha fatto superare nei secoli le insidie dell’integrazione a popoli certamente più grandi e con disponibilità divulgative di molto superiori, sia nel campo linguistico che in quello strettamente creativo. Legata, come è sempre stata, ad un forte sentimento di appartenenza ad una ben precisa identità, che senza il collante della lingua e della cultura avrebbe finito, col tempo, per disperdersi nei vari rivoli delle altre culture centroeuropee. In questo, certamente, non è stata aiutata dagli eventi storici. Anzi. Ma è stata proprio questa costante puntigliosità che le ha permesso di arrivare all’inizio di questo terzo millennio e di guardare con un certo ottimismo verso i decenni ed i secoli che devono ancora arrivare. Di questo spazio culturale, pur se appartenenti ad un’altra matrice e a diversi punti di riferimento, dopo quasi mezzo secolo di convivenza, bene o male ne facciamo parte anche noi, appartenenti alla Comunità italiana, nella nostra non sempre facile condizione di minoranza nazionale. Contribuendo, c’è da sperarlo, con la nostra specificità e - come si diceva non a torto una volta - con la nostra funzione di collante tra le due realtà vicine. La domanda che ci poniamo è se in questo ruolo riusciamo ad
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esprimere tutte le nostre potenzialità. Che da una parte dovrebbero assicurarci un ulteriore più forte legame di appartenenza alla nostra identità e, grazie a questa, contribuire anche a implementare la conoscenza tra queste due realtà. Un discorso che, necessariamente, è implicito se si parla di cultura e della sua universalità, quand’anche si tratti di culture nazionali. È chiaro che, per dare una risposta, bisognerebbe innanzitutto misurare il livello di ricettività presente dalle due parti, che in questo momento non ci sembra molto stimolante. C’è una tendenza a chiudersi su entrambi i fronti: quello maggioritario forse non ancora disposto ad offrirsi, memore di antiche battaglie, ma le integrazioni europee dovrebbero aver ormai cancellato ogni possibile diffidenza; quello minoritario, materialmente e organizzativamente non ancora pronto ad un incontro così impegnativo. È su questi aspetti che vorremmo, proprio nel giorno dedicato alla cultura, discuterne con i responsabili dello Stato di cui siamo cittadini. Affinché la nostra, per quanto piccola, creatività diventi punto d’incontro e di conoscenza, e non, come spesso succede, occasione per incensare sé stessi. Per un simile discorso è necessario soprattutto che vi sia la disponibilità di entrambi. Da parte nostra, lo garantisco, questa c’è! Provare per credere! A proposito, congratulazioni a Dario Scher, presidente della “Dante Alighieri”, insignito quest’anno di uno dei riconoscimenti del Fondo sloveno per le attività culturali. 7 febbraio 2001 Silvano Sau
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CNI: nuova progettualità All’ultima riunione del Consiglio della Comunità autogestita costiera della nazionalità italiana, pur discutendo del consuntivo del bilancio per il 2000, Gianfranco Siljan ha posto un problema che ha ravvivato un po’ il dibattito, anche se non strettamente legato all’ordine del giorno: l’importanza di assicurare finanziamenti adeguati anche per le attività sportive e la necessità di superare i vari campanilismi per arrivare ad un coordinamento più efficace delle attività culturali tra i tre comuni costieri. Probabilmente perché si è espresso male e, pure, perché è stato capito ancor peggio, il dibattito non è sfociato in una proposta concreta. A parte quella di tentare una consultazione tra tutti i soggetti interessati per evidenziare una qualche possibile soluzione. Il problema, tuttavia, non è di poco conto, tenendo presente che la vita associativa della nostra comunità nazionale trova un notevole riscontro, soprattutto tra i giovani, proprio nelle attività sportive, con il conseguimento di risultati di tutto rilievo. Eppure, nei criteri e nelle modalità di finanziamento da parte dei bilanci comunali e statali, la categoria dello sport minoritario è completamente assente, visto che siamo presenti soltanto ed esclusivamente nel settore culturale. Anche per quanto riguarda il campo della creatività culturale il discorso andrebbe affrontato seriamente a livello regionale, per offrire ai connazionali e al contesto sociale circostante iniziative che superino il piccolo ambito comunitario o comunale. Tenendo conto pure del fatto che il livello della domanda culturale è notevolmente aumentato negli ultimi anni, per non dire negli ultimi decenni. Il folklore e le piccole iniziative del “facciamo tutto da soli e per noi” non riescono più a contrastare l’offerta culturale presente sul territorio, della quale pure noi siamo costanti fruitori, e che se non affrontata seriamente ci costringerà sempre di più ad una emarginazione senza ritorno. Da qui il bisogno di impostare un discorso di nuova progettualità che si proietti nel nostro interno, ma che abbia anche uno sbocco diretto su tutta la cittadinanza e diventi alternativa, quando non competizione, a uso e consumo di tutto il territorio. Successivamente, il problema è stato ripresentato dal piranese Lusa anche durante la presentazione del volume “Lo statuto in lingua volgare di 130
Isola” a Palazzo Besenghi. Giustamente, gli rispose il relatore, dott. Franco Degrassi, che pur vivendo a Trieste ha avvertito la necessità di uno sforzo comune per arrivare ad una convergenza di potenzialità che altrimenti rischia la dispersione. Una rivalsa in termini di quantità e di qualità che ci ponga sullo stesso piano degli altri creatori di prodotto culturale. È chiaro, che chiusi nelle nostre quattro mura e senza un confronto diretto con le nuove potenzialità creative, il nostro risulterebbe un discorso senza prospettive. Impellente, di conseguenza, trovare delle forme di coordinamento e di integrazione capaci di progettare e produrre assommando le potenzialità e garantendo professionalità e competenza. Senza dimenticare i rispettivi campanili, ma facendo in modo che la loro presenza non comporti limitazioni, quanto invece un rafforzamento. Non per riunire le poche cose che facciamo bene o male, ma per tirar fuori da esse il meglio e creare qualcosa di nuovo. 8 marzo 2001 Silvano Sau
Isola è tutta un cantiere: prima dell’estate venne completamente ristrutturato il giardino pubblico intitolato a Pietro Coppo
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Aspettando Godot È quasi sicuro che in maggio, mentre saremo a discutere ed a preparare il programma delle attività culturali per il 2002, come disposizioni del Ministero per la cultura dettano, non sapremo ancora di quanti mezzi disponiamo per la realizzazione del programma 2001, che lo stesso ministero ci ha imposto di preparare nel maggio dell’anno scorso. Sembra una storia tratta da quel famoso romanzo che è “Il Castello” di Franz Kafka. Tanto è vero che, mentre i vari organismi della Camera di Stato della Slovenia sono impegnati nel discutere la nuova finanziaria, e anche la Commissione per le nazionalità ha provveduto a inoltrare tutta una serie di emendamenti per cercar di correggere la situazione, il ministro competente ha pensato bene di non attendere i risultati del voto finale ed ha già inviato alla nostra comunità la richiesta di ridurre i programmi portandoli a quanto proposto in prima lettura. A meno che, a livello di governo, non si siano dati regole di ferro all’insegna del “no pasaran!” Naturalmente, la nostra risposta è stata chiara: non solo abbiamo chiesto venga corretto l’indice, nel rispetto dei programmi e dell’inflazione ricorrente, ma abbiamo chiesto che vengano stanziati pure mezzi aggiuntivi per l’arredo di Palazzo Manzioli (se Dio vuole, in autunno dovrebbe essere finalmente terminato). E, come ebbe a dire qualcuno, si cerchi di fare in modo che i diritti sanciti dalla Costituzione non si trasformino in una semplice raccolta di favole. Tenendo conto che, chi è costretto a vivere e sopravvivere avendo a disposizione i soli mezzi stanziati dallo Stato, difficilmente riesce a prospettare una qualsiasi progettualità a media o lunga scadenza. Cosa c’entra la Costituzione? Se non andiamo errati, all’articolo 64, parlando di cultura garantisce non soltanto la sopravvivenza delle comunità nazionali, ma anche il loro sviluppo. Uno sviluppo che è difficilmente conseguibile se i mezzi rimangono a livello dell’anno scorso, senza nemmeno tener conto che nel frattempo l’inflazione - pur se non ancora galoppante - si mantiene comunque al trotto. E a quella dell’anno scorso, va aggiunta anche quella dei primi sei mesi di quest’anno, visto che comunque i “baiocchi” non li vedremo prima di giugno-luglio. E nel frattempo? Campa cavallo... 22 marzo 2001 Silvano Sau Silvano Sau 132
Rispetto delle regole o partenza in orario - è questo il dilemma? Il Parlamento sloveno, nella sua corsa di adeguamento al sistema giuridico dell’Unione Europea, sta sfornando leggi a getto continuo, molte di queste approvate con procedura d’urgenza. Alcune di queste proposte di legge, naturalmente, riguardano anche alcuni diritti della nostra comunità nazionale. Come quella sul censimento della popolazione che, sembra, è stata già approvata, anche se il censimento verrà effettuato appena nella primavera del prossimo anno, per mancanza di mezzi finanziari. Oppure, come quella sui mass-media, per la quale abbiamo presentato tutta una serie di proposte, buona parte delle quali sono state prese in considerazione, anche se alcuni emendamenti avanzati ultimamente da alcune forze politiche potrebbero vanificare tutto l’impegno profuso finora, e non soltanto quello. Oppure, ancora, quella sulla biblioteconomia. La legge, cioè, che regola il funzionamento e lo status delle biblioteche. Anche in questo caso, la nostra comunità è stata sempre presente e propositiva, fino all’ultimo momento, anche perché per una comunità nazionale minoritaria il libro, i fondi librari, le biblioteche sono parte integrante del patrimonio culturale e dell’identità nazionale. La proposta che è arrivata in dibattito al Parlamento, delle nostre proposte non fa cenno, per cui sarà necessario intervenire con qualche emendamento. E se non dovesse passare? Si sa, la democrazia è bella, ma ha il piccolo difetto che, a conti fatti, determinanti sono i numeri: quelli dei deputati che sono disposti a supportare le nostre richieste e i nostri diritti. Noi ci rendiamo perfettamente conto, che il treno europeo non è un accelerato che si ferma ad ogni stazione. E sappiamo anche, che chi fa tardi alla partenza è costretto ad aspettare il prossimo convoglio, se mai ce ne sarà un’altro. Sul percorso delle integrazioni europee non sono previste coincidenze, né tragitti abbreviati. Ma sappiamo anche che il percorso e l’orario sono stati stabiliti nel rispetto delle regole democratiche. E una partenza senza aver rispettato queste sarebbe, a dir poco, un’infrazione abbastanza grave. Ciononostante, questa corsa potrebbe indurre qualcuno a fare i bagagli troppo in fretta, ritenendo che il rispetto 133
delle regole sia meno importante della partenza in orario. Oppure, qualcun altro, potrebbe essere indotto ad approfittare proprio della fretta per far passare qualche clausola, sperando nella disattenzione altrui. 5 aprile 2001 Silvano Sau
Passato difficile - e il futuro? Il documento sulle vicende degli ultimi cent’anni che hanno interessato le nostre popolazioni, scritto congiuntamente da storici italiani e sloveni e commissionato dai governi di Italia e di Slovenia, finalmente è di dominio pubblico. Ha provocato, e sta provocando, commenti e prese di posizione anche se, detto francamente, non dice molto più di quanto non si sapesse. La novità, eventualmente, sta nel fatto che ora certe valutazioni possono esser portate in campo anche dai governi senza che il solito “benintenzionato” si senta autorizzato ad accusare l’altra parte di strumentalizzazioni varie, e, soprattutto, senza per questo assumersene la responsabilità. Tuttavia, seppur ammettiamo che le colpe del passato, conseguenza di ideologie e regimi defunti e sconfessati, non possono pesare su chi è chiamato oggi a reggere i nostri destini, a qualche insegnamento e a qualche ripensamento questa nuova-vecchia storia dovrebbe pur aprire la strada. Se non altro, perché alcune responsabilità verso chi ha subito i soprusi maggiori rimangono scoperte, a livello individuale e a livello collettivo: magari per offrire almeno qualcuna di quelle opportunità che sono state loro negate nel passato. In più di cent’anni di storia - tanti ne analizza il documento - molte le vittime, molte le violenze, molte le tragedie. Quelle più vive nella memoria certamente quelle più vicine nel tempo. Alcune provocate proprio nel periodo in cui termina l’analisi degli storici, e che i decenni successivi non hanno contribuito a mitigare o correggere. Tra queste, il dramma dell’odierna popolazione italiana dell’Istria. Costretta in una condizione di esigua minoranza, privata degli enzimi della democrazia, ridotta a proletariato intellettuale, culturale ed economico. Divisa una, due tre volte. Ai margini dell’esistenza e della sopravvivenza: a nostro avviso esiste per 134
il suo futuro una responsabilità oggettiva degli Stati di riferimento. A meno che non si intenda riparlarne tra qualche decennio, magari incaricando una nuova commissione mista di esperti, composta da storici, ma anche da archeologi e da antropologi. Per il momento, anche per noi Isolani, rimane da rivedere quella parte di storia finora relegata agli archivi e alla memoria delle poche persone ancora in vita e che va dal 1945 a tutto il 1955, ma anche ai decenni successivi. Quali le domande che ancora non hanno avuto risposta? Almeno questo, per il momento, è concesso. Forse, proprio grazie a quel documento che, come dicevamo, non contiene molte nuove verità. In generale, ma nel particolare potrebbe voler dire molto. 19 aprile 2001 Silvano Sau
La tutela virtuale Tutte le feste, comandate e non, di questo primo semestre del 2001 sono ormai nel cassetto dei ricordi. E invece di trovarci - a metà maggio - a preparare un primo consuntivo delle attività svolte, siamo ancora a sperare di poter dare il via al programma approntato più di un anno fa, e a tracciare un possibile piano per l’anno che verrà. Ci sono tanti modi per far soccombere una comunità nazionale minoritaria. Tra i più subdoli, e probabilmente tra quelli ad effetto più sicuro, quello di assicurarle una moltitudine di diritti sanciti da altrettante norme di legge, e poi, volta per volta, portargliene via un pezzetto. Quasi inavvertitamente. Visto il comportamento del governo sloveno negli ultimi due-tre anni, sembra questa la tattica adottata per costringerci alla corda. Facciamo brevemente il sunto di come la nostra comunità viene trattata nel settore dei finanziamenti delle sue attività culturali: - a fine maggio dell’anno scorso, in seguito a pubblico bando di concorso, abbiamo preparato il programma per questo 2001, stando bene attenti a non sforare quello che si presumeva avrebbe potuto essere l’indice raggiunto dall’inflazione;
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- il programma è stato valutato positivamente da tutti i gruppi e commissioni di esperti del Ministero per la cultura; - poiché la Legge finanziaria, in seguito alle elezioni politiche di fine anno 2000, stentava ad essere preparata ed approvata dal Parlamento, in marzo ci viene inviato il contratto per il finanziamento provvisorio per i primi tre mesi, che - secondo prassi usuale - avrebbe dovuto corrispondere ad un quarto del realizzato nell’anno precedente (25%). Il contratto prevede invece soltanto un’erogazione di poco superiore all’undici per cento (11%); - la bozza della Finanziaria prevede per i gruppi nazionali un importo pari a quanto realizzato nell’anno precedente. Vengono presentati emendamenti dalla Commissione per le nazionalità, approvati anche dalla Commissione Finanze del Parlamento; - prima che il Parlamento possa dire la sua, il Ministero per la cultura ci invita a ridurre il piano di lavoro, portando l’importo a quanto previsto dalla finanziaria in prima lettura. La CAN Costiera e quelle comunali protestano; - il governo emette un secondo decreto per il finanziamento provvisorio per i primi sei mesi, con i quali sostituire il primo che si fermava al primo trimestre. Ai gruppi nazionali viene concesso un importo pari a zero Talleri. Alle proteste sostengono che si tratta di uno sbaglio. - a fine aprile, la Legge finanziaria viene finalmente approvata e, naturalmente, ai gruppi nazionali viene concesso quanto previsto già dalla bozza. Quanto realizzato l’anno scorso e niente più. Nemmeno il normale aumento per far fronte al tasso d’inflazione; - fino ad oggi dalle casse dello Stato non è arrivato nemmeno un Tallero per le attività previste per questo 2001. E siamo a metà maggio. Sarà anche vero che siamo la minoranza più tutelata d’Europa. Basta sapere chi è che lo afferma. Noi, sempre meno! 10 maggio 2001 Silvano Sau
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Importanti lalvori anche per l’ampliamento delle dighe a difesa del porto e dell marina.
Elezioni italiane: futuro meno europeo? All’indomani delle recenti elezioni in Italia ci era stato chiesto un giudizio sull’esito del voto. Rispondemmo che, anche se appartenenti alla comunità nazionale italiana, non spettava a noi valutare come si erano espressi i cittadini della nostra matrice nazionale nei confronti del loro futuro governo. Potevamo soltanto auspicare che la nuova compagine esecutiva che ne sarebbe scaturita continuasse un discorso che per noi era fondamentale. Innanzitutto che mantenesse e sviluppasse ulteriormente l’interesse dimostrato negli ultimi anni verso di noi e, in secondo luogo, se non in primo, che non modificasse l’atteggiamento di sostegno nei confronti dell’allargamento delle integrazioni europee: in entrambi i casi si trattava e si tratta di problemi che ci investono direttamente nel nostro essere appartenenti alla minoranza italiana e cittadini di una regione che ha tutto l’interesse a proseguire la strada europea. 137
Le ultime notizie, purtroppo, che apprendiamo dalla stampa, non ci confortano in queste nostre aspettative. Uno dei candidati a subentrare alla guida di uno dei ministeri del prossimo governo ha dichiarato direttamente che nel prossimo periodo l’Italia cercherà di frenare l’inclusione a tempi brevi in Europa di nuovi Paesi, tra cui anche la Slovenia. Il motivo sembrerebbe essere di natura esclusivamente economica, in quanto i nuovi membri potrebbero far dirottare parte dei mezzi europei destinati alle zone meridionali meno sviluppate verso altre destinazioni. Noi abbiamo sempre inteso le integrazioni europee come un processo, prima che economico, di carattere politico, culturale e civile. Ed in quanto tale l’abbiamo sempre sostenuto. Riportare questo grande ideale ad un livello meramente materiale significherebbe svuotarlo dei suoi significati più pregnanti che verrebbero negati ad una parte dei cittadini che sono già parte integrante della civiltà europea. Sarebbe come se, di fronte ad una tavola riccamente imbandita, gli attuali commensali stabilissero che altri potrebbero prendervi posto solo dopo che avessero soddisfatto le proprie necessità. Agli altri, fino ad allora, pane e acqua. In questo caso, però, le disuguaglianze già esistenti potrebbero ancora aumentare. 24 maggio 2001 Silvano Sau
Un buon inizio? Si è svolta finalmente la riunione della Commissione per le minoranze istituita presso il governo sloveno con decreto del premier Drnovšek. Seduta costitutiva, dopo che a presiederla è stata chiamata il ministro per la cultura, signora Andreja Rihter. Riunione attesa, anche perché la CAN Costiera in questi ultimi mesi aveva inviato al Ministero per la cultura tutta una serie di solleciti riguardanti la poco felice situazione finanziaria. Molti i temi trattati, tra cui, appunto, la situazione finanziaria e la proposta di legge sulle biblioteche. Interessanti gli interventi e, vorremmo poter dire, importanti le conclusioni: - necessità di riesaminare e rivedere tutto il sistema di finanziamento 138
delle comunità minoritarie; - prima dell’approntamento della prossima legge finanziaria, coordinare in commissione le necessità minoritaria in modo da garantire una certa sicurezza finanziaria che non provochi incomprensibili tagli e ritardi; - fissare termini e modalità di esecuzione che non penalizzino le comunità chiamate a preparare e a realizzare i programmi; - di concerto con il Ministero per le finanze vedere se è possibile coprire anche l’ammanco per le attività culturali in seguito all’approvazione della finanziaria 2001; - integrare la proposta di legge sulle biblioteche con l’emendamento proposto dalla Comunità autogestita costiera onde assicurare l’esistenza e lo sviluppo delle attività bibliotecarie minoritarie con il supporto materiale e finanziario del Ministero per la cultura; - approntare un nuovo decreto sull’uso dei mezzi destinati allo sviluppo della base economica delle minoranze; - invitare il Ministro per l’istruzione a rivedere i programmi e gli standard delle scuole minoritarie nel rispetto della nuova legge, da poco approvata, e che richiede il consenso delle comunità autogestite delle nazionalità; - assicurare che le domande, le richieste e le iniziative avanzate dalle comunità nazionali in sede di commissione abbiano risposta di ritorno da parte dei Ministeri competenti. Tra queste sono stati chiesti chiarimenti sui destini di Palazzo Besenghi, di cui la nostra CAN è parte interessata, e sui mezzi necessari per il funzionamento e l’arredo di Palazzo Manzioli, visto che i lavori di ristrutturazione e di restauro, secondo l’Accordo bilaterale tra Italia e Slovenia, dovrebbero essere quasi a conclusione. Come si diceva: dibattito e conclusioni importanti. Se non peccassero di un notevole vizio di forma e di contenuto. A presiedere la riunione e a garantire l’attuazione di quanto concordato, grazie alle competenze e all’autorità, non era il Ministro per la cultura, la cui assenza si è protratta per tutta la durata della riunione. 139
Ma allora? Siamo di nuovo di fronte ad un elenco di problemi che, se tutto va bene, verrà inserito in un verbale, ma che nessuno dei presenti si sentirà autorizzato ad aprire, supportare e risolvere? E si, che buona parte dei problemi trattati erano e sono soprattutto di competenza del Ministero per la cultura. A buon intenditor… 7 giugno 2001 Silvano Sau
Ahi, ahi, ahi - Piove di nuovo, Governo... Abbiamo seguito, anche se da lontano, le elezioni politiche in Italia che hanno portato ad un cambiamento del governo. Abbiamo visto arrivare, fermarsi quel tanto che è bastato per scambiare quattro chiacchiere, e ripartire Bush e Putin. Ci siamo lasciati coinvolgere nel referendum sull’inseminazione artificiale.Ci siamo spiritualmente attrezzati ad affrontare le cerimonie per il prossimo decennale della Repubblica di Slovenia, che ricorre tra un paio di giorni. Abbiamo applaudito agli spettacoli di fine anno delle nostre scuole per gioire dell’ impegno profuso, almeno in queste occasioni, dai nostri figli, nipoti e amici, oltreché, naturalmente dagli insegnanti. E, mentre stiamo assistendo ai primi intasamenti del traffico dei fine settimana per l’arrivo di migliaia di turisti (ma sono poi veramente tanti?), la redazione del Mandracchio va a godersi le meritate (si fa per dire) vacanze. Avremmo voluto andarci dandovi l’ultima buona notizia: che il governo (ma è mai possibile che debba sempre piovere?), dopo aver stanziato mezzo miliardo per il referendum di domenica, è riuscito anche a trovare quei cinque milioni per le nostre attività culturali per l’anno in corso: non solo per Isola, intendiamoci, ma per tutti e tre i Comuni costieri. Ma basterebbero a non farci retrocedere all’indice dell’anno precedente, che era già scarso di proprio e che con l’inflazione che ci ritroviamo diventa magro di brutto. Invece niente! Anzi! Dopo aver mollato qualcosa per i primi cinque mesi, ora sta aspettando che noi si riveda piani, iniziative e programmi, per inviarci la proposta di contratto, per poi - dopo il solito e ragionevole (!) termine di tempo - inviarci anche i soldi. Se tutto va bene in
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luglio o in agosto, quando non solo la nostra redazione, ma anche tutti gli altri saranno in ferie. Alla fine, magari qualcuno dirà, che la burocrazia in Slovenia non è efficiente. Sono convinto che è stata progettata in tempo di pioggia e continua a funzionare come se piovesse sempre, anche in agosto. Comunque, non è detta l’ultima parola. Chissà che alla ripresa dei lavori in settembre, nel nostro primo numero autunnale, non si abbia la fortuna di uscire a quattro colonne annunciando che tutti i mezzi richiesti sono stati assicurati e (udite, udite!) che anche il protocollo italo-sloveno per il restauro di palazzo Manzioli è stato rispettato e che entro l’anno i lavori saranno definitivamente terminati! Con questo auspicio (che ci sa tanto di primo aprile) auguriamo a noi e a tutti voi, che avete avuto la pazienza e la costanza di seguirci, buone vacanze e, speriamo sempre più numerosi, arrivederci a settembre. 21 giugno 2001 Silvano Sau
Deserti e paludi Quella che ci siamo lasciati alle spalle, se non è stata l’estate più calda degli ultimi anni e decenni, è stata certamente una delle più secche. Per quanto riguarda la situazione della nostra comunità nazionale, invece, sembra abbia piovuto abbondantemente - se non proprio a dirotto - a favore del governo. Almeno stando a quello che è l’antico detto delle nostre regioni. Con le modifiche alla Legge sui mezzi per la creazione di una base economica delle comunità nazionali, approvate con procedura d’urgenza dal Parlamento, l’unica base che ci è rimasta è per ora presente simbolicamente soltanto nel titolo della legge, perché i mezzi che avrebbe dovuto garantire sono stati indirizzati verso altre strade e altre finalità. Anche le sovvenzioni, già decurtate in fase di approvazione del Bilancio per quest’anno, e che avrebbero dovuto finanziare le nostre attività culturali, per il momento non superano il 15-20 per cento, rispetto al 75 % dovuto tenendo conto che ormai siamo a metà settembre. Poi,
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magari, verranno a dirci che se non riusciremo a realizzarli entro la fine di novembre, il Ministero per la cultura si sentirà autorizzato a cassarli. E ce li farà pesare, in negativo naturalmente, sul bilancio di previsione per l’anno prossimo. Anzi, per i prossimi due anni, visto che nella Capitale sembra si stia lavorando alacremente per armonizzare le risorse finanziarie per il 2002 e per il 2003. Siccità sui nostri destini minoritari, anche per quanto riguarda i lavori di ristrutturazione di Palazzo Manzioli. Per essere portati a termine definitivamente, le aziende edili chiedono un minimo di circa 80 milioni di Talleri, ma il governo ne ha previsti soltanto 50. E i restanti 30? Come si diceva una volta: Dio veda e provveda! Per non parlare delle spese di gestione e di funzionamento, oltre a quelle dell’arredo e degli impianti necessari. A proposito, mentre stiamo discutendo amaramente su quanto avremmo dovuto ricevere, il Ministero per la cultura non ha ancora pubblicato il concorso per le attività da svolgere l’anno prossimo. E si prospettano - come hanno già annunciato - grosse modifiche nel sistema di finanziamento. Purché non si tratti ancora una volta di una previsione di piogge torrentizie, magari con qualche piccola grandinata, tanto per non smentire l’altro detto nostrano, secondo cui piove sempre sul bagnato. Di questo, naturalmente, i rappresentanti della nostra Comunità ne hanno parlato anche con il ministro degli esteri italiano, Ruggero, in visita ufficiale martedì scorso a Lubiana. Chiedendo che l’interesse della Nazione madre per questa sua minoranza trovi uno spazio, pur se piccolo, anche nei colloqui con i partner dello Stato di cui siamo cittadini. Se non altro, affinché il governo di Lubiana, se proprio ha deciso di far piovere soltanto nelle sue casse, si renda conto che non è che riuscirà a risolvere i propri problemi finanziari con il nostro misero raccolto. Almeno che non si tratti di un discorso di tutt’altra natura, per cui, facendo piovere sempre e soltanto a scapito di qualcuno, non voglia significare che da qualche parte si desideri creare o un piccolo deserto o una piccola palude. 13 settembre 2001 Silvano Sau
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Chi no gà sàntoli, no gà bussolài! Un antico proverbio istriano, molto usato in tempi passati anche dalle nostre parti, recita: “chi no gà sàntoli no ga bussolài”, a indicare che chi non può portare in campo qualche protettore difficilmente può attendersi di essere ascoltato e, ancor meno, aiutato. Un proverbio, che spesso si trova in antitesi a quell’altro, secondo cui “carta canta, villan dormi”. Due proverbi che, nella loro contrastante valenza, sembrano adattarsi alla perfezione alla nostra situazione di comunità nazionale minoritaria. Secondo una voce, messa in giro da non si sa chi, la minoranza italiana in Slovenia sarebbe tra le più tutelate d’Europa. Sulla carta, naturalmente. Peccato che, come racconta un altro detto, “la carta si lascia scrivere” soprattutto quando non c’è un sàntolo a preoccuparsi che quanto scritto venga poi anche realizzato. Con termini meno localistici e coloriti, ma crediamo altrettanto chiari, abbiamo illustrato la nostra condizione minoritaria al Ministro degli esteri italiano, Renato Ruggero, nei quindici minuti che a una delegazione della nostra Comunità sono stati messi a disposizione durante la sua visita ufficiale a Lubiana. Siamo convinti che il messaggio lanciato a colui che riteniamo essere il nostro sàntolo sia stato pienamente compreso, anche se a tutt’oggi non riusciamo a capire quanta volontà avesse e abbia di assumersi l’ingrata funzione del sàntolo nel garantire che il villan rispetti quanto sta scritto sulla carta. Vedendo quanto sta succedendo in quest’ultimo scorcio di settembre, pare non molto. Tant’è vero che stiamo ancora aspettando i finanziamenti promessi dalla carta per questo 2001, a partire da aprile-maggio, senza che alcuno si preoccupi almeno di rispondere alle numerose richieste. Quel che è ancora peggio, senza che nessuno si preoccupi di informarci e di informarsi sulle prospettive per l’anno prossimo. Infatti, se non andiamo errati, il governo proprio in questi giorni sta presentando la proposta di bilancio per il 2002/3 in procedura parlamentare. E non ci si venga a dire che non siamo intervenuti in tempo a tutte le istanze di cui, secondo le carte, saremmo provvisti. Mi pare che nel nostro caso preferiscano dormire sia il sàntolo che il villan. 27 settembre 2001 Silvano Sau 143
Sempre più orfani Abbiamo sempre sentito sinceramente e profondamente la nostra appartenenza alla comunità europea. L’abbiamo sperata ed auspicata. Eppure, quanto più il processo d’integrazione si sta avvicinando, tanto più, come corpo nazionale minoritario, ci sentiamo orfani e, osservando le vicende degli ultimi anni, privi di reali prospettive. Oppure, per usare un modo espressivo più colorito, ci sentiamo sempre più in “braghe de tela”. Negli ultimi dieci anni è cambiato il mondo, per cui anche la nostra Comunità non può pretendere di continuare a svolgere il proprio ruolo usando gli stessi schemi e le stesse strategie che erano valide in condizioni politiche e geografiche completamente diverse. I tempi in cui si veniva usati dall’una e dall’altra parte come strumento di opposte ideologie e di opposti interessi sono ormai definitivamente tramontati. L’eliminazione delle frontiere porterà i nostri connazionali e le nostre istituzioni a dover operare non più come guado e ponte di valori diversi, ma come valore già acquisito e, in condizioni di totale apertura, dovrà saper mantenere e sviluppare questa sua opportunità. Una comunità italiana minoritaria, quindi, non più chiusa dentro le quattro mura delle proprie sedi, non più chiamata a difendere strenuamente le proprie peculiarità nazionali e culturali, ma capace di inserirsi con le proprie potenzialità nel grande flusso culturale ed economico che ormai, insistentemente e irresistibilmente, sta attraversando tutto il vecchio continente. In condizioni di assenza di frontiere, giustamente, sarà difficile continuar a parlare di minoranza nazionale: quello che conterà sarà la presenza culturale, linguistica ed economica su un determinato territorio. Una presenza culturale e linguistica che dovrà trovar sbocco anche e soprattutto nella possibilità di diventare progetto economico. Cultura, quindi, come risorsa economica. Sta all’odierna minoranza, di conseguenza, decidere se mantenersi statica su valori, sistemi e strategie che hanno fatto il loro tempo, oppure, con un notevole atto di coraggio, attrezzarsi per cambiare tutto, adeguandosi alle necessità e possibilità che sono in arrivo. Attendersi aiuti e suggerimenti dai governi, conoscendo i loro tempi e le loro burocrazie, sarebbe tempo sprecato e inconcludente, a meno che non siano stimolati da una grande forza propulsiva che deve partire soprattutto dal 144
corpo minoritario, dai suoi rappresentanti e dalle sue istituzioni. Diversamente, per le minoranze nazionali, anche la prospettiva europea potrebbe rappresentare un rischio da non sottovalutare. Che le cose stiano così, in fondo, lo sta a dimostrare quanto sta succedendo in questi giorni e in questi mesi, sia mentre stiamo seguendo i preparativi per l’approvazione della Legge finanziaria slovena per i prossimi due anni, sia per quanto sta avvenendo sul fronte dei rapporti della Nazione Madre con alcune nostre istituzioni. In fondo non ha importanza che siano dislocate in Slovenia o in Croazia. Una riflessione, questa, che è venuta chiaramente in superficie anche durante l’incontro che abbiamo avuto durante la visita alla nostra Comunità del Console generale d’Italia a Capodistria, Bruno Scapini. La domanda che ci poniamo, dunque, è se vogliamo diventare cittadini di un’Europa che apprezzerà e gratificherà la nostre risorse culturali, oppure continueremo a ritenerci soddisfatti della nostra “diversità”, ma condannati ad esprimerla al nostro interno e fra le nostre mura? La risposta dovrebbe essere abbastanza facile. 11 ottobre 2001 Silvano Sau
In avanzata fase i lavori di ampliamento della scuola media italiana ‘Pietro Coppo’
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Finanziaria: promesse da marinaio? Possiamo ben dire che quest’anno S. Nicolò ha portato alla nostra Comunità una finanziaria sofferta come mai. Anzi, una doppia finanziaria, visto che è stata approvata sia per il 2002, sia per il 2003. E anche se all’ultimo momento alcune cifre sono state emendate, lungi da noi l’idea di cantare vittoria. La sola valutazione che in questo momento ci sentiamo di poter fare è che, forse, staremo un po’ meno peggio di quanto si prospettava all’inizio dell’iter parlamentare delle due proposte. Come noto, le sovvenzioni previste per le comunità nazionali minoritarie per le due prossime annate erano tanto scarne e andavano tanto al ribasso, da indurre la Comunità autogestita costiera e il nostro parlamentare alla Camera di Stato a sottoscrivere e inviare un appello alla massima carica dello Stato, al Presidente della Repubblica, e a indire una conferenza stampa per sensibilizzare l’opinione pubblica. Sembra sia stato proprio l’intervento del Presidente a convincere il governo a promettere, in fase di voto, un aumento delle somme previste per il 2003, equiparandole ai valori del 2002. Si tratta di una promessa, ma sinceramente, avremmo preferito vedere le cifre corrette già inserite nei singoli capitoli della finanziaria. E anche se non ci aiuterà a recuperare quanto comunque perso nel 2001 e nel 2002, vogliamo credere che parola di ministro non è parola di marinaio, soprattutto se supportata dal Capo dello Stato. La battaglia ora dovrà convincere chi di competenza (governo e ministeri) a stilare norme e criteri conformi ad un sistema di finanziamento adeguato alle necessità dei gruppi nazionali minoritari, in modo da garantire sovvenzioni regolari, costanti e consoni. Non sarà una corsa in discesa, ma che dovrà esser fatta, se non si vuole che, tra due anni, parlando del 2004 e del 2005, tutta la storia non abbia a ripetersi. E non è detto che allora avremo ancora a che fare con un Presidente disposto a muoversi per tutelare gli interessi di una comunità nazionale. 6 dicembre 2001 Silvano Sau
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2002: ‘poca paia e sai gran’ o ‘tanta paia e poco gran’? Con il numero odierno chiudiamo un anno che, per la nostra Comunità, potremmo sintetizzare nel detto “Sai paia, poco gran!” pur se il lavoro e l’impegno sono stati meritevoli di ben altri risultati. Ma, come si sa, non sempre e non tutto dipende da come e quanto avremmo voluto noi, ma da come e quanto hanno voluto coloro che comunque hanno in mano buona parte delle nostre fortune materiali. Proprio per questo, invece delle solite analisi di fine d’anno e delle possibili indicazioni per il prossimo futuro, preferiamo affidarci all’antica saggezza che, attraverso i secoli, ci è stata tramandata per via orale dai modi di dire e dai proverbi dei nostri avi. Sperando che vi sia almeno qualcuno improntato all’ottimismo. Ogni ano pàsa un ano. Un ano gà più giorni che lugànighe. Mèio sudàr che tosìr. Tempo e pàia madurìsi anca le nèspole. Nadàl al fògo, Pasqua al sògo. Tre calìghi fa una piòva. Co tòna, poco o sài piòvi. Pàn de mulìn, polènta de pistrìn. Chi gà gà, chi no gà varda. Casa quanta se pòl star, campagna quanta se pòl vardàr. El càro còri se se ghe ònsi le ròde. In Paradiso no se và in caròsa. Chi no pòl bàter el mùs, bàti el bàsto. Chi gà santoli, gà busolài. Col gnènte se fà gnènte. Per comodàrse bisogna scomodàrse. Ogni piàda sbùrta avanti. Fin che xè fià, xè speransa. 20 dicembre 2001
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Censimento 2002 - in quanti saremo? Dal primo al quindici di aprile, in Slovenia, si svolgerà il censimento della popolazione. Pur se con un anno di ritardo sul dovuto, in quelle due settimane ogni famiglia deve aspettarsi la visita, di norma annunciata in tempo, di un rilevatore abilitato nelle due lingue ufficiali, sloveno e italiano, a porre le domande previste dai formulari e a registrare le risposte. Tra le domande anche quella riguardante l’appartenenza nazionale, anche se non comporta l’obbligatorietà della risposta. Ed è proprio su questo argomento che nei prossimi due mesi la nostra Comunità dovrà assumere un atteggiamento comune ed uniforme. Dichiarare o non dichiarare la propria nazionalità? È vero che le risposte sono tutelate dal segreto d’ufficio. È anche vero che la consistenza numerica non dovrebbe influire sull’applicazione dei diritti minoritari. Ma è anche vero che, da quando siamo minoranza nazionale, proprio queste cifre ci sono state sbattute in faccia innumerevoli volte. Se ben si ricorda, l’ultimo censimento, quello del 1991, si svolse in un periodo storico e politico particolare, nel momento in cui la defunta Federativa si stava sfaldando. Un elemento che certamente non ha potuto non influire su di noi, nel momento in cui ci apprestavamo a dichiarare la nostra appartenenza nazionale, se non altro per la situazione d’incertezza che ci trovavamo di fronte. Anche il censimento del 2002 si svolgerà in un momento particolare, infatti la Slovenia si appresta ad entrare nell’Unione Europea. Certo, la situazione oggi è radicalmente diversa e, se non altro, non si può parlare di situazione d’incertezza. Anzi. Ma che cosa diremo, e che cosa diranno, se la nostra consistenza risulterà ulteriormente ridotta? Con quale patrimonio entreremo a far parte del grande consesso europeo? E, ancora, con quale pagella vi entrerà la Slovenia che in tutti questi anni ha sventolato la bandiera della miglior tutela possibile e auspicabile? Tutte domande alle quali, prima di decidere se dichiarare o meno la nostra appar-tenenza nazionale, dovremmo saper dare una risposta e, sulla base di questa analisi, rivolgere un chiaro invito a tutti i nostri connazionali.
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A coloro che si sono sempre dichiarati, a coloro che già in passato hanno preferito sorvolare su questo quesito, e a tutti coloro che, pur avendo segnalato l’italiano come propria lingua d’uso, italiani non si sono dichiarati. Ed è proprio il censimento del 1991 che ci offre una prima risposta: il numero di coloro che come propria lingua d’uso hanno dichiarato l’italiano è più alto di coloro che hanno dichiarato di appartenere alla nazionalità italiana. 24 gennaio 2002 Silvano Sau
Pochi soldi - poca musica Domani in Slovenia si celebra la giornata della cultura. Vogliamo ricordarlo anche noi, perché la cultura nella sua accezione più vasta rappresenta la base insostituibile sulla quale è nata e si è sviluppata e continua a crescere ogni identità nazionale. Riteniamo logico, quindi, che ogni popolo e ogni nazione adotti misure che garantiscano la salvaguardia e il mantenimento, nonché ulteriore sviluppo, di queste basi. Tanto più per un popolo numericamente e geograficamente non molto consistente, e in particolare in un periodo di galoppante globalizzazione e di continua crescita espansionistica. Ma riteniamo anche che queste misure, proprio perché chiamate a tutelare uno dei patrimoni umani e civili più antichi, quindi che devono contenere valori universali, devono comprendere con la stessa incisività anche le peculiarità di gruppi e comunità sociali minori che la storia ha portato a convivere sullo stesso territorio. Come appunto, quello della nostra Comunità Nazionale Italiana. La cultura oggi, come lo è stata nel passato, ma come lo sarà ancora di più nel futuro, è anche risultato di risorse materiali, economiche e finanziarie. Cultura è pure sinonimo di imprenditorialità, di industria, di mercato. Le grandi opere del passato non sarebbero state possibili senza il grosso impegno materiale profuso dai magnati delle varie epoche. Ed ancor meno lo sarebbero oggi. Pretendere, in un mondo ormai planetario, una diffusione letteraria, artistica senza tener conto delle leggi imposte dal mercato significherebbe condannarsi all’emarginazione.
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È per questo, crediamo, che proprio alla vigilia della giornata della cultura in Slovenia è stato avviato il dibattito sul progetto di legge chiamato a definire, una volta approvata, l’attuazione dell’interesse pubblico nella cultura. Trattandosi di una normativa che comunque verrà approvata dal Parlamento su proposta del governo, è auspicabile che oltre a stabilire forme organizzative e materiali per lo sviluppo della cultura, la legge proprio perché si richiama all’interesse pubblico nel settore - non trascuri che lo Stato dovrebbe intervenire in favore di tutti i suoi cittadini, di maggioranza (di potere) e di minoranza, perché tutti hanno la necessità di tutelare le proprie peculiarità e le proprie identità individuali e collettive. Anzi, il più piccolo è anche il più debole e, di conseguenza, necessita di cure particolari. Negli ultimi anni, la Comunità italiana, che pur ha ritrovato il senso della dignità della propria appartenenza nazionale, non sempre ha trovato riscontro adeguato nelle preoccupazioni dei singoli Ministeri. Anzi, e su queste pagine ne abbiamo parlato spesso e a lungo. Se non altro in occasione dell’approvazione delle leggi finanziarie, sempre risultate penalizzanti. La nuova legge riuscirà a dare una risposta positiva affinché anche la nostra cultura minoritaria possa disporre delle stesse opportunità? In fondo, e vogliamo ripeterci, anche l’antica saggezza popolare era a conoscenza del fatto che per produrre e creare da qualche parte i mezzi finanziari devono pur venir assicurati. Chi non ricorda il proverbio “Pochi soldi - poca musica?” 7 febbraio 2002 Silvano Sau
Dichiariamoci Italiani! Tra una decina di giorni avrà inizio in tutta la Slovenia il censimento della popolazione. Poiché la Corte Costituzionale non ha avuto niente da obiettare, tra le domande che i rilevatori rivolgeranno ai cittadini anche quella sull’appartenenza nazionale. Va ribadito subito con forza che gli appartenenti alla nostra Comunità nazionale, nonostante l’avvertimento che rispondere sarà facoltativo, dovrebbero comunque esprimersi. Anche in
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questa occasione la dichiarazione di appartenenza nazionale deve rappresentare elemento cosciente di orgoglio della propria identità, della propria lingua, delle proprie tradizioni, della propria cultura. Testimonianza della nostra presenza sul territorio e inconfutabile prova del nostro radicamento nel tessuto sociale ed economico di questa regione. Con altrettanta forza, però, va anche ribadito subito che pure questo censimento non ci trova del tutto rinfrancati di fronte alle promesse che, in fondo, si tratta soltanto di un rilevamento di dati ad uso esclusivamente statistico. Tutti i censimenti finora, statistici o meno, almeno nei nostri confronti, hanno sempre avuto anche una non indifferente rilevanza politica. I numeri che ne sono venuti fuori ci sono stati sempre sbattuti in faccia, come a dire: visto quanti siete, cosa altro pretendete? E non va dimenticato che anche in democrazia - checché se ne dica - i numeri contano. Ma proprio per questo vogliamo mettere le mani avanti. I numeri che scaturiranno da questo censimento non potranno rappresentare alcun elemento comprovante della nostra consistenza numerica. In primo luogo perché la dichiarazione di appartenenza è facoltativa, quindi non potrà esser tirata in ballo quando si parlerà dei nostri diritti. Quanti connazionali avranno preferito non dichiararsi o, addirittura, dichiarare qualcosa di diverso? I condizionamenti politici, psicologici, materiali e chi più ne ha più ne metta, non sono scomparsi dalla nostra vita quotidiana. Anzi. Proprio per questo, il censimento va affrontato, oltre che con senso di responsabilità, anche con animo e spirito coraggioso. Per dimostrare che alla libertà e ai principi di democrazia noi ci crediamo: non esiste condizionamento o intimo timore che ci possa far retrocedere dai nostri sentimenti e dal nostro sentirci parte integrante di questo territorio e di questa società. Elemento provante della nostra presenza onde poter dire e sostenere che ai nostri diritti non solo non rinunciamo, ma - al contrario - vogliamo che vengano attuati coerentemente e, dove necessario, ulteriormente ampliati e codificati. Per tutti questi motivi, ma anche per essere in pace con la nostra coscienza, dichiariamo liberamente e apertamente la nostra identità nazionale, la nostra lingua d’uso, la nostra appartenenza ad una cultura, ad una storia, ad una tradizione, ad un territorio. Dichiariamoci Italiani! 21 marzo 2002 Silvano Sau
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Marzo 2002: presenti autorità slovene e italiane arriva finalmente il giorno dell’inaugurazione della ristrutturata e ampliata scuola media italiana di Isola ‘Pietro Coppo’
Verso l’Europa La Slovenia sta procedendo con una certa rapidità all’adeguamento del proprio sistema giuridico alle norme europee, in vista del termine previsto per la sua entrata definitiva nel nuovo ordinamento. Termine, che non dovrebbe andare al di là dell’ormai prossimo 2004. In questa corsa vengono riportate in procedura al Parlamento anche molte leggi che con alcune clausole regolano la posizione ed i diritti delle comunità nazionali minoritarie. E, pur trattandosi di normative che, in pratica, dovrebbero migliorare le disposizioni, può succedere che qualche disposizione venga modificata se non addirittura dimenticata. Da qui la necessità, senza nulla togliere alla buona volontà del proponente e del legislatore, di vigilare attentamente affinché quanto dovuto non venga cambiato o trascurato.
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Così la Legge sull’amministrazione statale, dove vanno mantenute le clausole che riguardano l’uso della lingua minoritaria, in quanto una delle due lingue ufficiali, nei territori nazionalmente misti. Così la Legge sugli impiegati pubblici e quella sui loro stipendi, che comprendono tutto il settore pubblico con clausole riguardanti la conoscenza obbligatoria della lingua minoritaria e la gratifica prevista nel loro stipendio. Così la Legge sull’anagrafe, dove senza un nostro diretto e preciso intervento sarebbe stata modificata la disposizione che garantiva la presenza di attestati e formulari bilingui sui territori nazionalmente misti. Così, ancora, la Legge sull’interesse pubblico nel settore della cultura - già in procedura parlamentare, e così la Legge sull’uso della lingua slovena come lingua ufficiale dello Stato, che, a quanto dicono, sta per intraprendere il suo iter parlamentare. In particolare le ultime due rivestiranno un’importanza particolare per la nostra Comunità, in quanto stabiliranno modalità e finalità dei mezzi destinati alle nostre attività culturali e definiranno come, quando e dove la lingua minoritaria deve essere presente in rispetto alla disposizione costituzionale che volle sancirla con dignità di lingua ufficiale sui territori che gli Statuti comunali hanno stabilito come territori nazionalmente misti. Per la nostra Comunità questo lavoro di verifica e di propositività nei confronti dello Stato e delle sue proposte rappresenta un compito di non indifferente conoscenza della materia e del linguaggio legislativo, di cui molto spesso siamo sprovvisti. Ne è possibile attingere dalla prassi altrui, anche perché in materia minoritaria, pure la legislazione europea è tutt’altro che esauriente. Ma è un impegno che va portato avanti se vogliamo mantenere la nostra presenza sul territorio e se vogliamo, da cittadini sloveni e futuri cittadini europei, continuar a sentirci e ad essere italiani con tutte le nostre particolarità. 18 aprile 2002 Silvano Sau
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La vittoria del bene Oggi, nove Maggio, giornata della Vittoria, che segnò la fine del Secondo Conflitto mondiale. Si disse allora, e per molto tempo ancora: la vittoria delle forze del bene su quelle del male. Se ne ricorda ancora qualcuno? Per noi, Comunità Nazionale Italiana in Slovenia e in Croazia, è stata una vittoria oppure una disfatta? Ha rappresentato la fine del regime fascista e della disumana religione del nazismo. Ha significato la fine di anni di sangue e distruzioni. Ma ha rappresentato anche l’inizio di un nuovo regime che soltanto mezzo secolo dopo la storia ha saputo condannare. Ha significato lotta per la propria identità e per il proprio territorio. Ha comportato la trasformazione del proprio essere comunità e soggetto storico, economico, culturale e linguistico in gruppo minoritario all’interno di nuove entità statali. Ha portato la nostra dimensione all’interminabile gioco di rimbalzo tra un potere e l’altro, tra una Patria che, per fortuna, si sente ancora vincolata da lontani Trattati Internazionali, ed una Matria che dell’amor filiale non ha mai avuto coscienza preferendo richiamarsi, di volta in volta, a formule di comodo: prima figli indesiderati, perché presumibilmente conniventi con il nemico, oggi osteggiati perché - si dice dilapidatori di beni pubblici messi a disposizione dal contribuente dello Stato della Matrice Nazionale. Comunque sia, questo 9 Maggio vogliamo celebrarlo ugualmente, proprio perché si richiama alla Vittoria. E il fatto che noi, oggi, a distanza di oltre sessant’anni, siamo ancora a gridare la nostra presenza e la nostra volontà di sopravvivenza, nonostante tutto e tutti, vogliamo interpretarlo come una grande vittoria, tanto più meritata e sicura, perché conseguita contro le demagogie delle Patrie e delle Matrie. Che la Comunità italiana continui ad essere considerata ancora elemento di disturbo da tutte le parti, lo dimostrano anche gli avvenimenti delle ultime settimane. Soprattutto quando questi segnali arrivano direttamente dal seno materno: segnali che, secondo un antico slogan sessantottino, vorrebbero farci intendere che il latte distribuito va gestito da chi te lo offre. Per fortuna, dico io, con una storia alle spalle come la 154
nostra, il periodo dello svezzamento è ormai passato da un pezzo. Abbiamo raggiunto l’età della ragione e dell’autonomia, per cui se per l’aiuto che ci viene offerto dobbiamo pagare un prezzo troppo alto, dovremmo stringere la cinghia e ribadire il nostro rifiuto. Malaugurata quella madre, che per un tozzo di pane, esige che il figlio rinunci alla propria personalità. Certo, per portare la nostra Comunità anche oggi alla vittoria, i generali debbono essere i primi convinti che essa è possibile. Al di là dei sacrifici e dei prezzi, piccoli o grandi, che comunque sarà necessario pagare. Noi siamo sempre stati Italiani, anche quando l’Italia stessa ce lo negava. E continueremo ad esserlo e ad amare la nostra Matrice anche se e quando questa - per ragioni sue - vorrà toglierci quel pezzo di pane. Non sarà certamente un pezzo di pane, anche se abbondantemente condito, che a lungo termine potrà ripagarci della nostra dignità. 9 maggio 2002 Silvano Sau
Inaugurazione? quando... Un percorso ad ostacoli protrattosi per una quindicina di anni e, finalmente, sembrerebbe che il traguardo si trovi appena dietro l’angolo. Alcuni di coloro che si trovavano alla linea di partenza per dare il via, ormai, non ci sono più, altri hanno intrapreso strade diverse e lo stesso progetto, nel frattempo, ha modificato parte delle sue finalità. I soli ad essere rimasti sempre in campo, nella speranza che un giorno comunque si potesse arrivare al traguardo, siamo stati noi: la Comunità ìtaliana di ìsola. Ora sembra proprio che i lavori di ristrutturazione e di restauro di Casa Manzioli stiano per arrivare alla fine. Anche gli ultimi mezzi mancanti per portare a termine tutti i lavori edili entro i prossimi due mesi pare siano stati assicurati dalla Direzione per i beni culturali del Ministero per la cultura della Slovenia. Anzi, a sentire chi ha partecipato agli incontri che il Ministro ha avuto nelle località costiere, il contratto dovrebbe essere già pronto e in viaggio per la firma definitiva. Tanto è vero che l’amministrazione comunale si è sentita in dovere di procedere ai preparativi per la solenne inaugurazione nell’ambito delle manifestazioni previste per la prossima festa del Comune di Isola. 155
Tutto bene, dunque? Noi, come al solito, continuiamo a sperare che sia realmente così, anche se ci sentiamo autorizzati ad esprimere qualche non piccola perplessità. Poca cosa, se si vuole, rispetto alla complessità del progetto che si sta portando a termine. Ma, visto che comunque in Casa Manzioli dovremmo trasferirci noi, tutto compreso, alcune importanti domande finora non hanno avuto risposta. Primo: i muri da soli non bastano a garantire le necessità minime di lavoro e delle attività che una Comunità nazionale deve svolgere. Per il momento da nessuna parte, nonostante le nostre continue richieste e proposte, sono previsti mezzi per l’arredo e la necessaria tecnologia. Sebbene il progetto, a suo tempo comprendente anche questa voce di spesa, fosse stato approvato e sottoscritto dall’allora ministro per la cultura. Secondo: rispetto alle condizioni attuali il trasferimento nella nuova sede comporterà una serie di spese notevolmente superiori a quelle attuali: pulizia, riscaldamento, luce, acqua, manutenzione. Anche questa voce è stata a suo tempo debitamente preparata, approvata e, di conseguenza, proposta in tempo per una adeguata soluzione. Per il momente, niente di nuovo all’orizzonte. Terzo: a seguire il corso dei lavori in tutto questo periodo, ma soprattutto in seguito alla firma del Protocollo tra Slovenia e Italia, è stata nominata una Commissione mista facente capo ai due Dicasteri degli esteri. Effettivamente, è grazie ad essa, nonostante tutti i problemi, che i lavori sono proseguiti tra mille difficoltà. All’ultima riunione, credo nella primavera dello scorso anno, si stabilì la necessità di un ultimo incontro in vista della conclusione dei lavori, per constatarne l’esito e per stabilire modalità e livelli concordati per l’inaugurazione. Pur sapendo, quindi, che il tempo a disposizione è estremamente ridotto, tuttavia crediamo che gli accordi vadano rispettati anche per evitare possibili reazioni negative da una delle parti chiamate in causa. Di conseguenza, prima di pensare alla cerimonia d’inaugurazione, forse, sarebbe opportuno chiedere alle due parti cosa ne pensano. Rimanendo ben chiaro che i primi interessati a concludere quanto prima tutto, ma proprio tutto, siamo proprio noi. 23 maggio 2002 Silvano Sau 156
Una delle prima manifestazioni culturali organizzate nella sede di Palazzo Manzioli (ancora non del tutto agibile) la celebrazione del 1070.esimo anniversario della prima menzione storica di Isola
Palazzo Manzioli: storia infinita Si era alla vigilia del nuovo secolo e del nuovo millennio, probabilmente – se la memoria non fa scherzi – nella primavera del 1999. La commissione mista sloveno-italiana per la realizzazione del protocollo d’accordo riguardante la ristrutturazione ed il restauro di Palazzo Manzioli constatava che ormai i lavori erano a buon punto e che probabilmente entro la primavera successiva avrebbe potuto aver luogo la solenne inaugurazione. Come possibile termine, per dare il giusto peso all’avvenimento – si pronosticava tra l’altro anche la Festa della Repubblica Italiana. Poi – eventualmente – la giornata della Festa Comunale. Naturalmente con ospiti di riguardo, come si conviene, portati a Isola dalle due diplomazie. L’avvenimento avrebbe avuto un duplice significato: quello inerente agli ottimi rapporti tra i due Paesi vicini, che proprio nella Comunità nazionale italiana avevano 157
trovato ulteriore supporto e soggetto della propria collaborazione, e – visto che si parlava del 2000 – anche un pregnante significato bi buon auspicio. Un progetto pensato e siglato in origine tra due entità statali delle quali una era ormai tramontata e quella succeduta aveva intrapreso il cammino irreversibile delle integrazioni europee ed occidentali. L’inaugurazione del restaurato Palazzo Manzioli, quindi, avrebbe dovuto servire anche a suggellare questa nuova atmosfera. I presupposti naturalmente sono rimasti e l’atto dell’inaugurazione rappresenterà comunque tutto questo, ma verrà a mancare la magia del termine legato all’inizio del secolo e del millennio. È passata la Festa della Repubblica del 2000, è passata quella del 2001 e, ormai, è passata anche quella del 2002. E sono passate anche le Feste del Comune di Isola. Un primo annuncio apparso sulla stampa locale aveva fatto sperare almeno per il 30 giugno di quest’anno. Termine poi regolarmente smentito già la settimana scorsa. Forse, se tutti i problemi verranno risolti, se ne riparlerà a settembre. Noi non ne siamo pienamente convinti. In ogni caso, quando ostarda, sarà sempre una festa. E noi, appartenenti alla Comunità Nazionale Italiana di Isola, che stiamo aspettando l’evento da quindici anni, lo dedicheremo sempre ai buoni rapporti tra Italia e Slovenia e, perché no?, al nostro futuro che nello sviluppo di questi vedono ancora una propria possibilità di vita. 6 giugno 2002 Silvano Sau
Sperare e sognare per sopravvivere Non sappiamo ufficialmente quale sarà la composizione della prossima Assemblea dell’Unione Italiana perché, dicono, i risultati verranno annunciati a partire da domani. Per Isola già sappiamo che a rappresentarci saranno Siljan per la Pasquale Besenghi degli Ughi e ostarda per la Dante Alighieri. Non è proprio in base ai principi del defunto sistema delegatario, ma ci manca poco. Per la verità tutti i dati di cui disponiamo non potranno essere sostanzialmente modificati dall’annuncio ufficiale: la vecchia UI si è ripresentata indenne. Sostanzialmente i due nuovi rappresentanti di Isola, finora assenti, non potranno cambiare una logica ed una volontà presenti 158
ormai da un decennio: così come stanno le cose, nessuna elezione odierna o futura potrà mai generare altro che questa Unione nei suo contenuti, nelle sue formule e nei suoi personaggi. Come dire che, prima e durante la campagna elettorale, la montagna aveva incominciato a tremare, ma a conti fatti ha finito per partorire il solito topolino. Oggi come oggi, sappiamo che niente è cambiato nella composizione dell’Assemblea e, probabilmente, niente cambierà nel suo organo più importante, anzi nell’unico organo che è contemporaneamente legislativo ed esecutivo, la Giunta Esecutiva. Comunque, visto che siamo arrivati alla vigilia dell’estate – come si dice – prendiamoci un po’ di riposo e prepariamoci alle battagli autunnali. Prima fra tutte le elezioni amministrative e, in quest’ambito, per i nostri rappresentanti nei Consigli Comunali e per i nostri rappresentanti nelle Comunità Autogestite della Nazionalità italiana, comunemente definite le CAN. Ripeteremo la logica seguita nelle elezioni per l’UI e per le CI? Speriamo vivamente di no, a parte le persone. Gli appuntamenti autunnali sono per la nostra Comunità estremamente importanti. Non soltanto quelli riguardanti i piani culturali e finanziari, ma anche le nuove leggi che il Governo della Slovenia sta portando con rapidità accelerata al Parlamento. Prima fra tutte quella riguardante il settore culturale, nel quale, si spera, dovrebbero trovare adeguata collocazione anche i nostri interessi. E poi, per noi Isolani, l’ultima puntata della Storia Infinita, la conclusione dei lavori di Palazzo Manzioli e, possibilmente, il trasferimento delle nostre Comunità, mezzi ed altro permettendo. Infine, perché no?, la riconciliazione ideale, non il ricongiungimento, ma la riconciliazione tra i nostri connazionali isolani per arrivare ad un primo allentamento delle tensioni tra le due Comunità degli italiani. Tappe che sono tutte indubbiamente impegnative, ma almeno alla fine di un periodo di lavoro, anche qualche speranza o qualche sogno possono far bene allo spirito e fornirci nuove energie, in settembre, per riprendere. 20 giugno 2002 Silvano Sau
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Elezioni: l’uovo del cuculo? Di solito è proprio al caffè, seduti tranquillamente dopo una riunione, che vengono dette le cose che qualcuno non vorrebbe mai dire: spinto dalla voglia di dimostrare quanto è bravo lui o quanto è forte il suo partito, quasi sempre finisce con il dire qualche parola di troppo. E a buon intenditore, solitamente, basta sommare due più due. È così che, in attesa dell’inizio della campagna elettorale, l’esponente di uno dei più grossi partiti nazionali e locali manifestò il proprio interesse per quei tre o quattrocento voti che alle prossime elezioni verranno espressi dai nostri connazionali. Intendiamoci, non è che siano interessati a chi entrerà a far parte del Consiglio della Comunità autogestita della nazionalità italiana. Il voto minoritario, per lui, è importante solo per le elezioni al Consiglio Comunale, visto che disponiamo di due seggi per i quali possono votare soltanto gli appartenenti alla nostra nazionalità. I partiti, di conseguenza, ne sono esclusi in partenza. Così almeno dovrebbe essere a rigor di logica, poiché le formazioni politiche non possono presentare delle proprie liste di candidati per quei due seggi. Tuttavia, disporre di uno o due voti in più potrebbe certamente far comodo, soprattutto se assicurati in precedenza con un preciso accordo con una delle liste di candidati. Noi abbiamo sempre detto che gli appartenenti alla nazionalità italiana, individualmente, sono liberi di aderire e sostenere il Partito che più si avvicina alla loro “Weltanschaung”, e proprio per questo ci è stato concesso il diritto di votare per una qualsiasi lista partitica ma, per non confondere le acque, ci è stato concesso anche il diritto di votare liste che siano espressione del nostro sentimento nazionale. Per ribadire la diversità di questo, che soltanto in apparenza sembra un “doppio voto”, abbiamo sempre ribadito il concetto che le nostre istituzioni, pur essendo fortemente impegnate politicamente, sono anche rigorosamente apartitiche. Il connazionale, quindi, che si presterebbe ad un simile gioco affiancato da uno qualsiasi dei partiti, sfruttando uno strumento minoritario costituzionale per scopi non finalizzati e non riconducibili al nostro essere comunità nazionale, incorrerebbe per lo meno in una valutazione etica e morale poco consona al ruolo che invece intenderebbe svolgere. 160
Può darsi che questa riflessione, nata tra una chiacchiera ed un caffè, sia troppo allarmistica, e che invece il bravo funzionario di partito intendesse soltanto vendere con ottimismo l’impegno del suo partito. Ma, come si sa, la politica è da sempre figlia di buona donna e può succedere che qualche connazionale si abbandoni alle sue lusinghe. Comunque, tra non molto le liste dei candidati saranno pubbliche e, tra tutte quelle proposte che, prevediamo, non saranno poche, forse riusciremo anche a identificare se tra noi c’è qualche piccolo “Giuda”. Liberissimo di candidarsi sulle liste dei connazionali per garantire un voto in più ad una formazione politica, quanto liberissimi siamo noi di non votarlo! 3 ottobre 2002 La Redazione
A Palazzo Besenghi celebrazione del centenario della prima biblioteca pubblica circolante di Isola. Nell’occasione inaugurata pure una mostra del libro.
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Minoranze autoctone: diritti sempre più ridotti? “Stanno succedendo cose turche” si diceva una volta, quando la situazione tendeva a prendere una piega che certo non prometteva un futuro di normale tranquillità. Anche la nostra Comunità nazionale, al momento attuale, dovrebbe constatare che – per lo meno – non tutte le ciambelle che si stanno preparando sono fornite del regolare “buco”. Forse non è ancora arrivato il momento per gridare, come scrisse il nostro quasi corregionale P. P. Pasolini, “Mamma, li turchi”. Però sembra siano molto vicini. Facciamo un solo esempio. La Slovenia si è sempre vantata, e continua a farlo, visto che ciò rappresenta una delle carte di legittimazione per l’entrata in Europa, del suo sistema di tutela delle minoranze nazionali. All’uopo ha predisposto tutta una serie di clausole costituzionali, di leggi e di organismi che dovrebbero vigilare sulla sorte delle comunità nazionali minoritarie autoctone. Seggio specifico al Parlamento, seggi garantiti nei Consigli Comunali, leggi che assicurano l’autogoverno minoritario (compresi il diritto all’uso della propria lingua, un sistema scolastico adeguato, un’informazione a tutti i livelli), commissione per le minoranze alla Camera di Stato, Commissione per le minoranze presso il Governo e – infine, ma non ultimo – l’Ufficio per le Nazionalità, sempre presso il Governo. Un sistema, che noi stessi, anche se con qualche cautela, definivamo esauriente e soddisfacente pur se con notevoli discrepanze tra quanto prescritto e quanto concretamente realizzato. Eppure, nonostante tutte queste valvole di sicurezza (se possiamo definirle così), è bastato che il Parlamento sloveno approvasse il suo nuovo Regolamento di procedura, perché una consistente parte delle possibilità che avevamo per intervenire sulle proposte di legge in dibattito ci venisse negata. Così la Legge sull’interesse pubblico nella cultura, che ci riguarda molto da vicino, non può essere discussa dalla Commissione per le nazionalità. Eventuali emendamenti potevano essere presentati soltanto dal nostro parlamentare. Per fortuna l’ha fatto, ma se in quei giorni fosse stato assente o indisposto? Ciononostante pare che, su emendamento presentato da altri parlamentari, la nuova legge accorpi sotto 162
la stessa voce non soltanto le comunità minoritarie autoctone (italiana e ungherese), ma anche tutti gli altri gruppi linguistici presenti in Slovenia. E, così abbiamo avuto modo di sentire, anche gli altri gruppi specifici definiti di minoranza, come quelli religiosi o quelli che appartengono alle diverse categorie sociali (handicappati, sordomuti, ecc.). Niente in contrario al fatto che lo Stato si impegni per la loro tutela, anzi si tratta di un ben preciso dovere civile. A patto che i mezzi necessari non vengano attinti, come è successo negli ultimi due anni, dai già carenti mezzi destinati alle minoranze autoctone. 17 ottobre 2002 La Redazione
Ricordiamo… Cerimonie meste, semplici e raccolte in tutto il Paese, e anche nella nostra piccola città, per ricordare e onorare i defunti. Parenti, amici, conoscenti in particolare. Cerimonie meste, ma solenni, per ricordare coloro che la storia ha voluto definire ora eroi, ora vittime, ora martiri, a seconda se identificati dalle rispettive ideologie e demagogie, amici o nemici. Noi, in tutta sincerità, vorremmo adottare un antico detto frutto della saggezza popolare, per cui dei morti non si dovrebbe mai parlare male. Tanto più quando sono stati trascinati nelle vicende da odi e passioni che poco avevano a che fare con la ragione e con la civiltà come ce lo insegna la nostra cultura occidentale, fondamentalmente cristiana. Onoriamo, quindi, colui che successive demagogie hanno voluto ricordare ai posteri con un cippo, una lapide, ma ricordiamo anche chi le stesse demagogie hanno voluto privare del ricordo, del nome, della sua presenza nel passato e della sua testimonianza per il presente e per il futuro. Onoriamo Giovanni Zustovich, sulla cui tomba leggiamo che fu vittima dell’odio settario, ma onoriamo anche coloro, ai quali vicende successive di odii altrettanto settari, la terra natia non ha potuto fornire nemmeno la consolazione dell’ultimo riposo.
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Ricordiamo le cocenti sconfitte e le decantate vittorie, tutte con i loro morti, tutti innocenti nella loro dignità umana, perché, come disse qualcuno, vanno perdonati perché non sapevano quel che facevano. Coloro che sapevano, visto che riposano all’ombra di imponenti e fastosi monumenti, probabilmente sono già riusciti a riscattare il perdono nonostante il severo giudizio degli uomini e della storia. E diventi il Primo Novembre il simbolo della Nuova Europa, di quell’Europa cui anche noi guardiano con speranza, perché – lo si ammetta o meno – è con quei morti, con quelle vittime, con quegli eroi, che è stata costruita. In questa prospettiva, in fondo, non ha importanza oggi da che parte stavano, per chi hanno sofferto e chi hanno fatto soffrire. Il dolore non può esser pesato e quantificato per farne uso domani. Può esser usato soltanto da ammonimento e lezione ai posteri affinché ne evitino dei nuovi. 30 ottobre 2002
Elezioni 2002: tutto come prima? Ormai è praticamente chiaro chi sarà il nuovo presidente della Repubblica che, con un paio di settimane di ritardo, sarà chiamato a sostituire Milan Kuèan: a nostro avviso il prossimo ballottaggio non comporterà sorprese, come del resto non le ha comportate finora rispetto alle previsioni generali prima del voto di domenica scorsa. Sappiamo pure chi è il nuovo vecchio sindaco di Isola. Anche in questo campo previsioni e risultati senza sorprese: Breda Peèan era partita al trotto ed è arrivata galoppando. Anche nel nostro piccolo mondo minoritario, a conti fatti, poche le sorprese, nonostante il venticello leggermente impetuoso della campagna elettorale, le numerose liste e certe improvvise velleità politiche troncate per fortuna sul nascere e che, se hanno sollevato non poche perplessità, non hanno avuto il tempo di provocare danni di una certa consistenza. Si potrebbe dire, dunque, che nel nostro Stato, nel nostro Comune e nel nostro piccolo la vita continuerà, come hanno sottolineato in molti, all’insegna della stabilità e della continuità. Ciononostante, ne siamo 164
convinti, molte cose cambieranno a tutti i livelli. Per quanto riguarda la Slovenia, Drnovšek avrà il compito di farci diventare cittadini europei senza grossi traumi, e non sarà cosa da poco. Riuscirà ad attrezzarsi di quell’autorità morale e di quella capacità di governare, nonostante le limitate competenze che gli derivano dalla Costituzione, che nel presidente uscente ha rappresentato per noi e per la comunità internazionale elemento fondamentale di stabilità interna e di propositività in politica estera? Certo è, usando una battuta dello stesso Kuèan di dieci anni fa, nonostante la decantata continuità, niente sarà più come prima. A livello comunale, il settanta e oltre per cento dei voti ottenuti consentiranno a Breda Peèan di costituire un Consiglio Comunale capace di esprimere una maggioranza consistente e duratura nel tempo? Visto come stanno i risultati conseguiti dalle singole forze politiche e dalle liste indipendenti, credo che i nostri due Consiglieri dovranno fare uno sforzo complementare di fantasia e di pragmaticità, visto che saranno molto probabilmente chiamati a svolgere il ruolo non sempre piacevole dell’ago della bilancia. Per il nostro piccolo mondo, invece, oltre a tutte queste, bisogna aggiungere le normali sfide, spesso ancora più pesanti, del vivere quotidiano. Riusciremo a superare le incomprensioni e ad intavolare un serio discorso ed un dialogo costruttivo, quali sole alternative alle incertezze del nostro futuro prossimo? Logica, intelligenza e senso di responsabilità dovrebbero darci una chiara risposta positiva che, ne siamo convinti, non mancherà di arrivare. 14 novembre 2002 Silvano Sau
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Seduta costitutiva del neoeletto Consiglio della ComunitĂ Autogestita delle NazionalitĂ Italiana di Isola
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Comunità nazionale italiana al Comune: autonomia e indipendenza La tornata elettorale vera e propria si concluderà domenica del prossimo primo dicembre. Un tanto vale per alcuni Comuni e vale per il nuovo Presidente della Repubblica. Per Isola, invece, i giochi sono ormai quasi terminati: si sa che il nuovo Sindaco sarà per altri quattro anni Breda Peèan, si sa chi ha perso e chi ha vinto. L’unico elemento che rappresenta ancora un’incognita è quello riguardante la consistenza della maggioranza di cui il Sindaco potrà disporre nel Consiglio Comunale. E non è faccenda di poco conto. Ora che tutti i calcoli elettorali sono stati portati a termine, possiamo constatare che i due seggi ai quali sono stati eletti i nostri connazionali, non solo rappresentano l’ago della bilancia, ma, per volontà dell’elettorato – e scusatemi se uso parole forti – possono determinare quale sarà la maggioranza presente in Consiglio. Una posizione tutt’altro che simpatica e tuttaltro che invidiabile. Tuttavia, i nostri connazionali che sono stati chiamati a rappresentare la Comunità italiana nel parlamentino comunale, oggi come ieri, hanno sempre agito con senso di responsabilità ogni qualvolta hanno dovuto votare in favore o contro le delibere ed i decreti che erano in dibattito. Fermo restando il principio della propria assoluta autonomia e della propria indipendenza da qualsiasi legame partitico e da qualsiasi coalizione di maggioranza o meno. Alla domanda, quindi, che ci viene rivolta da più parti, se supporteremo la coalizione legata ai partiti di sinistra o di centro-sinistra, rispondiamo in maniera molto chiara: continueremo a mantenere con rigorosità la nostra autonomia e la nostra indipendenza da tutti gli schieramenti partitici, ma contribuiremo a garantire le condizioni affinchè il Sindaco possa esercitare in pieno le sue mansioni istituzionali. Questa, in fondo, potrebbe essere la nostra dichiarazione di voto oggi pomeriggio, alla seduta costitutiva del Consiglio Comunale. Questo crediamo di doverlo fare proprio grazie al senso di responsabilità di cui siamo investiti nei confronti di quel voto dei nostri concittadini, che sulla persona del Sindaco non ha avuto dubbi quando
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il dieci novembre scorso ha voluto riconfermarlo in carica assicurandogli ben il 75 per cento dei suffragi. Ogni altro comportamento da parte nostra significherebbe introdurre uno svilimento della volontà popolare, ivi inclusa anche quella della stragrande maggioranza dei nostri connazionali. 28 novembre 2002 Silvano Sau
La calunnia, è un venticello… Un mese, questo dell’ultimo scorcio dell’anno, che dovremmo avere difficoltà a mettere nel dimenticatoio almeno per un lustro. Dell’ancora in carica presidente della Repubblica, Milan Kuèan, ormai si parla al passato e poco manca che riferendosi a lui non si faccia riferimento “ai bei tempi andati che non tornano più”. Ed è un peccato, perché sono convinto che il presidente uscente non abbia ancora scaricato le sue batterie, né che si adeguerà al ruolo di chi osserva in silenzio. Del neoeletto Capo dello Stato si dice che rappresenta la continuità voluta da tutti, Europa compresa, per cui era una vittoria scontata. Però fa bene a sottolineare la sua diretta contendente fino a dieci giorni fa, Barbara Brezigar, per la quale l’inatteso consistente numero di voti che si è vista piovere addosso rappresenta per la Slovenia una sostanziale novità: forse vuol far intendere che l’elettorato sloveno si va avviando ad un inevitabile bipolarismo, del quale la prima vittima potrebbe essere proprio la formazione politica incarnata (nel vero senso della parola), dal presidente Drnovšek. Un percorso, tra l’altro, auspicato da molti anche se realmente voluto da nessuno, ma che verrà certamente stimolato anche dai prossimi appuntamenti internazionali. Da non sottovalutare il recente invito rivolto alla Slovenia di entrar a far parte della NATO. E ancor meno le sfide ancora aperte prima e dopo la sua entrata in Europa. E che dire del recente incontro-tavola rotonda organizzato dal ministro per la cultura con gli omologhi degli Stati-nazionali slavofoni? Tutti a sottolineare che non aveva niente a che fare il il pan-slavismo di antica memoria, né con il neo-slavismo di memoria più recente, né ecc…ecc… Ma allora, di che tipo di slavismo si tratta? Noi francamente non l’abbiamo capito, ed è per questo che ci sentiamo leggermente preoccupati: da 168
minoranza nazionale di ‘ismi’ o di fenomeni che ad essi si richiamano e in essi si rispecchiano per buona parte del secolo passato ne abbiamo avuto abbastanza. Che succederebbe se si dovessero riunire in congrega anche tutti gli germano-anglofoni, oppure tutti i latinofoni (ma esiste un termine del genere?)? E a Isola? Per il momento abbiamo eletto al primo turno con addirittura il 75 % dei suffragi il nuovo-vecchio Sindaco, ma il Consiglio Comunale per costituirsi in tutte le sue funzioni ha avuto bisogno di ben tre sedute, e non è detto che sia finita: lo vedremo il prossimo 19 dicembre. Intanto si sta già parlando della dittatura della minoranza sulla maggioranza (quella politica, non quella nazionale). E fin qui potrebbe anche andar bene, se sempre più spesso non ci fosse qualcuno a sobillare che la maggioranza (quella politica) non sarebbe maggioranza se ad essa non aderisse anche la minoranza (quella nazionale). E si sa, come dice quell’aria di una famosa opera, la calunnia è un venticello che fa presto a trasformarsi in burrasca. E, come diceva un celebre imbonitore di aste televisive, aspettare per vedere e vedere per credere. 12 dicembre 2002 Silvano Sau
Italiani o Upitiani? Potremmo anche far finta che le vicende degli ultimi tempi tra Unione Italiana e Università Popolare di Trieste non ci riguardano. Anzi, stando a sentire i soliti generali del dopo battaglia, era inevitabile che si arrivasse ad un acutizzarsi della situazione che, ormai, perdura da un paio d’anni in un susseguirsi di accuse e contraccuse, di minacce e di delegit-timazioni reciproche. Secondo noi, a parte le cifre in campo, a parte i personaggi in campo, a parte le gius-tificazioni che si vogliono far adottare per avvalorare le proprie posizioni, il problema di fondo è essenzialmente uno: lo Stato Italiano, e chi per lui, dal Ministero degli esteri in poi, considera la Comunità nazionale italiana una Comunità di Italiani, oppure una Comunità di Italioti, di quasi italiani, di italiani per sbaglio o di italiani con qualche gene del proprio DNA nazionale mancante? 169
I mezzi che l’U.P.T stanzia ogni anno, sono coscientemente e volutamente devoluti alla nostra Comunità perché raggruppa in maniera organizzata degli Italiani, buona parte dei quali anche cittadini italiani, come del resto lo Stato Italiano fa ogni anno per tutte le categorie di Italiani? Oppure sono mezzi che vengono devoluti per una qualsiasi associazione filantropica straniera? Come fece e come continua a fare, diciamo, per i profughi albanesi, o per le popolazioni colpite da carestia dell’Africa? Il nocciolo del problema sta tutto in questa differenza di interpretazione, cui né la Farnesina, né la Regione FVG, né lo Stato italiano hanno voluto ancora dare una risposta. Ma soltanto con una risposta a questo quesito sarà chiaro in che ruolo deve svolgere le proprie attività l’Università Popolare di Trieste. È un ruolo simile a quello della Croce Rossa o di alcune associazioni di volontariato, che del proprio operato e del consumo dei propri mezzi devono rendere conto a chi di dovere, essendo mezzi attinti a fondi pubblici? Oppure è uno strumento del Ministero degli esteri chiamato a supportare le esigenze di una Comunità di italiani che la storia ha portato a vivere fuori dai propri confini nazionale e statali? E che, in quanto Italiani hanno diritto a questi mezzi, e che lo Stato è in dovere di assicurarli secondo i controlli che valgono per tutte le organizzazioni e gli organismi fruitori dei mezzi pubblici? Se così è – e secondo noi, così dovrebbe essere – chi ha autorizzato l’UPT a proclamarsi sostituto dello Stato Italiano nel confronto di altri Italiani, pur se residenti oltre confine? Volendo sintetizzare al massimo il problema, agli appartenenti alla Comunità nazionale italiana e a chi li rappresenta, va chiesto: Siamo ITALIANI oppure siamo UPITIANI? Per quanto ci riguarda, credo che la risposta sia inequivocabile. Ma, forse proprio per questo, andrebbe rivolta anche allo Stato Italiano e a chi per Esso: vuole che la nostra Comunità sia composta da Italiani, oppure gli viene più comodo ritenerci Upitiani? 23 gennaio 2003 Silvano Sau
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Gennaio 2003: le nevicate invernali non rappresentano una sorpresa, ma riescono sempre a trovare gli Isolani impreparati.
Ancora la giornata della cultura... È stato il massimo poeta sloveno, France Prešeren, nel suo famoso Brindisi diventato anche inno nazionale della Slovenia, a scrivere quei meravigliosi versi, secondo i quali, domani, ai confini avremo buoni amici. Ed è per ricordare e celebrare quel messaggio di poesia e di civiltà che tra un paio di giorni anche noi festeggeremo e celebreremo la Giornata della Cultura. All’indomani di un secolo di ideologie e demagogie che rischiavano di riportare l’uomo alla barbarie dell’oscurantismo più truce, ma anche alla vigilia di una ritrovata fede nella tolleranza, nella convivenza, nel rispetto e nella fiducia reciproci: a pochi mesi dalla firma del Patto che ci vuole tutti cittadini di una cultura, di una civiltà e di una comunità occidentale che molti hanno voluto definire come la nostra comune casa europea. Proprio alla vigilia di quest’importante giornata, per noi appartenenti ad una comunità nazionale minoritaria, che nella cultura vogliamo affondare 171
la nostra diversità e la nostra identità, ci è stato imposto dal massimo organo rappresentativo dello Stato sloveno, l’obbligo di non rispettare la nostra identità. L’obbligo di non poter usare sempre e dovunque la nostra lingua nel rispetto della nostra dignità e nel rispetto della Carta Costituzionale che questa dignità è chiamata a tutelare. Un obbligo tanto più amaro perché legato alla creazione della più importante istituzione scientifica e culturale di qualsiasi territorio: la nascita del nuovo centro universitario. Credevamo che i fantasmi del nazionalismo fossero ormai sepolti con la fine delle ideologie, crollate alla fine del secolo scorso. Ritenevamo che le piccole schermaglie ancora presenti tra alcuni personaggi nei territori a cavallo di un confine che sta per comparire fossero soltanto l’eco di coscienze non ancora maturate. Ma ci siamo dovuto ricredere, quando pretesti antistorici sono stati assunti a livello di credo politico da un Parlamento che vuol definirsi democratico, che si dice rispettoso dell’altrui diversità e che sulla propria decantata tolleranza ha stampato il proprio biglietto da visita europeo. Come tattica per imprigionare una piccola minoranza nell’impossibilità di chiamare con il proprio termine una Regione che ancora Regione non è? Oppure con ancora presente nell’animo l’odio secolare che ha trasformato questo territorio tra i più difficili degli ultimi cent’anni? Perché voler costringere noi, minoranza, e il mondo intero a usare parole che nostre non sono? Per paura di chi e di che cosa? Come altrimenti spiegare la decisione della Camera di Stato che nel Decreto di fondazione del terzo polo Universitario, la “Univerza Primorske”, non si sia voluta adottare la giusta e universalmente nota traduzione italiana di “Università del Litorale”, come da noi richiesto e proposto invece della storpiatura di una “Università della Primorska”? Non si tratta soltanto di una decisione in contrasto con le Leggi e con la Costituzione della Slovenia. Si tratta di una grave offesa della nostra dignità nazionale, linguistica e culturale. Proprio alla vigilia della Giornata della Cultura! Dalle nostre parti si dice che il buon giorno si vede dal mattino: va detto che se questo è stato il mattino di quell’importante istituzione che dovrà essere l’Università del Litorale, esso si è presentato con una coltre di nebbia che certamente limita la vista dell’orizzonte e della strada da percorrere. 6 febbraio 2003 Silvano Sau
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Insieme: sui monti dell’Afganistan... L’uomo sembra essere l’unico appartenente alla specie animale che dalle esperienze del passato non abbia mai saputo trarre insegnamenti di una qualche consistenza per il suo futuro. I secoli che l’hanno visto dominatore assoluto del nostro pianeta sono stati sì secoli di grande sviluppo, di emancipazione e di presa di coscienza delle proprie potenzialità, ma sono stati anche i secoli delle più terribili sofferenze, delle guerre più disastrose, dei più assurdi tentativi di distruzione della stessa dignità umana. E non perché questa fosse stata la volontà della maggioranza degli uomini, ma perché sempre una piccola minoranza si è arrogata il diritto di decidere in suo nome. Una verità che conosciamo tutti e che, nonostante tutto, continua nel suo tragico percorso storico: oggi come ieri, e – probabilmente – domani come oggi, secondo il principio per cui oggi a me, domani a te. “Bisogna ricordare per non dimenticare” è stato ripetuto all’infinito durante la Giornata della Memoria con la quale in molte regioni e città a noi vicine, la settimana scorsa, si sono ripercorsi i drammatici anni dell’immediato dopoguerra. Per chiedere scusa e perdono a chi ha maggiormente sofferto. Anche se il dolore – come diceva qualcuno – non può essere pesato e rispedito al mittente. Anche se il dolore – quando è grande e collettivo – non può essere appannaggio di una parte soltanto, ma comprende tutto il corpo della collettività interessata: chi se ne è andato, perché costretto o aiutato, e chi è rimasto, perché costretto o aiutato. Avremmo preferito che in occasioni come queste chi è chiamato oggi a rappresentare le due parti offendenti di allora, avesse chiesto scusa come comune e responsabile gesto di coscienza verso tutta una popolazione che ha subito decisioni non sue: perdendo casa, affetti e territorio andandosene, e perdendo patria, affetti, identità e consistenza rimanendo. Sarà la Comune Casa Europea, è stato ribadito nei giorni scorsi, a ricomporre tutte le sofferenze nell’ambito di quell’auspicato processo integrativo che presto ci vedrà tutti cittadini europei. Vogliamo crederlo, purché – come qualcuno ebbe a rilevare a Pirano durante la presentazioni
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del volume di Stefano Lusa “Italia-Slovenia: 1990-1994” – i due Paesi vicini in futuro non si sentano obbligati a vivere in amicizia perché vedranno i propri figli combattere spalla a spalla in formazioni militari che rispondono a comandi lontanissimi, contro un nemico che ancora non conoscono, magari sulle montagne dell’Afganistan. 20 febbraio 2003 Silvano Sau
Referendum sull’entrata della Slovenia nelle integrazioni euroatlantiche: Perché votare SÌ La domanda che mi rivolgo spesso in merito ai processi di integrazioni euroatlantiche in corso è se, come appartenente alla Comunità Nazionale Italiana, potrei avere interessi diversi da quelli che naturalmente ho come cittadino della Slovenia. Credo che la risposta possa risultare abbastanza logica e scontata: l’associazione all’Unione Europea l’abbiamo sempre auspicata, voluta e sostenuta perché rappresenta anche la nostra reintegrazione in quella civiltà basata sui valori occidentali di cui abbiamo sempre fatto parte. Scontata, di conseguenza anche la risposta su come voteremo domenica 23 marzo al referendum indetto dalla Slovenia. Non votare o votare negativamente significherebbe andare contro i nostri diretti interessi di cittadini e di appartenenti ad una Comunità nazionale minoritaria. Votare contro significherebbe essere contro l’eliminazione dei confini che ancora – ormai da oltre mezzo secolo – ci separano dal corpo della nostra Matrice Nazionale. Significherebbe dare un addio definitivo ad una volontà di riunificazione ideale che è non solo legittimo, ma anche naturale. La domanda che, eventualmente, ci dovremmo porre è se in questi pochi mesi che ancora rimangono sapremo attrezzarci per far fronte al processo di globalizzazione generale, dove sembra esserci poco spazio per le peculiarità e le specificità proprie di ogni corpo nazionale minoritario. E, ancora: sapremo sfruttare al meglio le possibilità, che comunque verranno offerte, affinché l’ancor presente separazione da quella parte della CNI che vivrà fuori dal contesto europeo, anche se solo temporaneamente, non rappresenti un ulteriore indebolimento dei nostri legami umani e istituzionali. 174
Anche la risposta per il referendum di adesione alla NATO, in fondo, non può avere altra risposta. Pur conoscendo il difficile momento che sta attraversando per causa della crisi irakena, rimane il fatto che una scelta va fatta proprio in questo momento e non è possibile dilazionarla. Sarebbe troppo comodo star prima a vedere come va a finire per poi decidere: non si può star alla finestra sperando che tutto il male ne rimanga fuori. Non si vuol dire con questo che approviamo gli atteggiamenti USA, né in merito alla crisi irakena, né nel voler impostare un certo tipo di rapporto di forza all’interno della Nato. Vogliamo però dire che a far parte della NATO è anche la Germania come lo è la Francia. Probabilmente domani lo sarà pure la Russia. E perché no già oggi anche la Slovenia? Proprio per garantire oggi e domani il ruolo predominante delle istituzioni europee e mondiali, a partire dall’ONU. Un ruolo che auspichiamo sempre più democratico, ma che non possiamo pretendere sia portato avanti dagli altri, mentre noi stiamo a guardare. Il problema della pace ormai è un problema globale ed esige l’impegno di tutti: chi ne rimane fuori ne viene emarginato. Si tratta, quindi, di sapere oggi da che parte si vuol stare e, soprattutto, assieme a chi vogliamo domani discutere e decidere. In fondo, il mondo che ci siamo lasciati alle spalle nel corso del “secolo breve” ha rappresentato per tutti una seria lezione. La pace va assicurata integrando la forza e la volontà di tutta quella parte del mondo che si riconosce nei valori della civiltà occidentale e della democrazia. È in favore di questa scelta, quindi, che non ha alternative, che oggi bisogna decidere se vogliamo far parte del mondo occidentale, pur sapendo che è ancora lontano dall’essere ideale. Essendone partecipi, per poco che potremo fare, potremo sempre cercar di influire affinché le decisioni siano in armonia con le nostre aspettative. Essendone fuori potremo soltanto illuderci che i problemi degli altri non ci riguardino, se mai a qualcuno verrà in mente di chiedercelo. 20 marzo 2003 Silvano Sau
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I lavori di ristrutturazione e di restauro di Palazzo Manzioli sembrano esser giunti al termine. Si è in attesa del collaudo e dell’inaugurazione ufficiale. Un’attesa, naturalmente, che è andata per le lunghe, tanto che stiamo ancora attendendo l’inaugurazione.
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Terra, dove vai? Dovrei commentare il voto dei referendum di pochi giorni fa per l’integrazione della Slovenia nell’Unione Europea e nella Nato. Ma come si fa a parlare di qualcosa che era ormai scontato in un momento quando è l’incertezza a dominare i giorni e le ore di queste ultime due settimane? È come se il referendum si fosse svolto qualche anno fa: si è tirato un bel sospiro di sollievo e si è rimasti imbrigliati dall’apprensione che quotidianamente suscitano le immagini e le notizie di guerra. Lontana finché si vuole, ma coinvolgente come mai, perché sappiamo che avrà conseguenze nefaste anche nel nostro piccolo mondo adriatico. Il seguire costantemente l’avanzamento a rilento delle truppe anglo-americane e la resistenza dei fedelissimi del dittatore iracheno non è il risultato di una morbosa curiosità per uno spettacolo pirotecnico trasmesso in diretta da tutte le emittenti televisive, sia di giorno che di notte, quanto invece l’espressione cosciente che qualcosa nel nostro mondo sta cambiando e sta cambiando in peggio. A spaventare sono le ripetitive inquadrature di civili inermi che rimangono vittime di bombardamenti intelligenti. Aprovocare profondo disagio sono le interminabili e massicce manifestazioni per la pace, al di là di qualsiasi coloritura politica o ideologica. A farci inorridire sono i trionfanti bollettini di guerra che accennano soltanto a prevedibili quanto inevitabili “effetti collaterali”. A farci imbestialire sono i nostri governanti che non si sa bene da che parte stiano, sempre in bilico tra il dire e il non dire, tra il fare e il non fare, mentre stanno cercando di convincerci che, invece, sanno bene quel che stanno dicendo e facendo: sarà anche vero, ma nessuno ci toglie dalla mente l’impressione che stiano facendo soprattutto il proprio tornaconto. A pesare sulla nostra coscienza di uomini impegnati in una continua battaglia per i valori civili, di solidarietà, di tolleranza, di rispetto, la convinzione che proprio questa guerra che hanno voluto presentare come estrema difesa di questi valori, si sta dimostrando di essere intesa e voluta come la negazione più clamorosa di quegli stessi valori. Valori di civiltà che sono stati costruiti lentamente e con difficoltà nel corso del secolo precedente, con due guerre mondiali e con un lungo dopoguerra chiamato eufemisticamente “guerra fredda”, e che ora rischiano di non contare più nulla. 177
Noi abbiamo creduto e continuiamo a credere in quei valori. Proprio per questo siamo convinti che il voto del referendum dell’altra domenica abbia rappresentato la decisione di altrettanto convinta dei cittadini sloveni di voler far parte di due organismi che dovranno e sapranno organizzarsi per far fronte all’alternativa di un mondo senza valori e, ancor peggio, senza morale. 3 aprile 2003 Silvano Sau
9 maggio Domani, 9 maggio, giornata della Vittoria sul nazifascismo, che molti ormai identificano con la giornata dell’Europa. A partire da domani, dunque, dall’essere a pieno titolo cittadini europei e membri a tutti gli effetti dell’Unione Europea, ci separeranno esattamente 356 giorni, oppure circa 8500 ore. Per arrivare a questo traguardo, noi che ci siamo sempre sentiti europei, ci sono voluti ben 59 anni per un totale di oltre 700 mesi e addirittura 21.500 giorni. Festeggiamo e celebriamo dunque questa giornata, vigilia della nostra integrazione in un mondo dal quale ideologie e demagogie ci hanno separato per tanto tempo. In particolare, siamo chiamati a celebrarla noi, appartenenti ad una minoranza nazionale, cittadini residenti su territorio in cui, pur non abbandonando la speranza, abbiamo visto crescere in noi la sindrome del mondo di frontiera, delle divisioni più assurde, dell’essere costantemente chiamati in ballo ora per suffragare questa tesi ed ora quell’altra, a seconda della permeabilità dei confini e della volontà politica dei governanti. L’Europa, dicono, sta attraversando un brutto momento di crisi e di nuove divisioni, ma va detto che queste ultime non riguardano i valori su cui si basa il vecchio continente, quanto invece il rapporto che rischia di instaurarsi tra vecchio (chiamalo Europa) e nuovo mondo (chiamalo America). Dalla nostra parte la coscienza e la convinzione che i pilastri di una civiltà costruita nei secoli, attraverso immani tragedie e sofferenze, non possono essere distrutti semplicemente con gli strumenti della forza e dell’arroganza. È per questo che sono tuttora validi gli insegnamenti degli 178
antichi filosofi greci, di quelli latini, di quei personaggi che hanno contribuito a costruire l’Umanesimo e su di esso la grande stagione del Rinascimento e dell’Illuminismo. Nessun sistema, nessun impero, nessuna ideologia sono riusciti a distruggerli e a farli dimenticare. Vogliamo credere, pertanto, che proprio dagli elementi di crisi odierni, per quanto preoccupanti, i cittadini europei – noi compresi – riusciranno a creare un mondo nel quale verranno ripristinati e aggiornati i valori del Rinascimento, con piena fede nella capacità dell’uomo di porsi con responsabilità di fronte ai problemi che si presentano volta per volta. E che su questi valori e su questi principi abbia inizio – pur se con difficoltà – il mondo del terzo millennio. Anche perché vorremmo – ed è questo il nostro sogno – che le minoranze di qualsiasi genere e tipo non vengano più trattate da minoranze che contano soltanto se le maggioranze hanno la compiacenza di tollerarle e considerarle, ma godano, come tutti i cittadini, di quei diritti che assicurano il rispetto della loro diversità linguistica, nazionale e culturale e garantiscano pari opportunità e libertà. 8 maggio 2003 Silvano Sau
Dalle parole ai fatti! Ne abbiamo parlato spesso in questa colonna del nostro Mandracchio. Torniamo a riparlarne all’inizio di questo torrido mese, quando ci stiamo apprestando a interrompere per le sudate e meritate ferie estive, coscienti del fatto che molto di quanto avremmo dovuto portare a termine nei nostri progetti culturali è rimasto lettera morta per mancanza di sovvenzioni. Siamo dunque alle solite lagnanze sui ritardi dei vari ministeri incaricati di slacciare le proprie borse a favore della nostra comunità nazionale? Il problema, crediamo, è molto più serio di un semplice ritardo! Durante tutto il periodo che ha contrassegnato il processo di adesione della Slovenia all’Unione Europea, lo Stato di cui siamo cittadini ha provveduto a sfornare misure di legge a decine per adeguarsi a quella che, come si sottolinea, è la normativa europea. In questo contesto molti anche 179
i testi e le clausole che nei diversi settori legislativi riguardavano direttamente i diritti delle comunità nazionali minoritarie. A partire dalla Costituzione (art. 64), al pacchetto delle leggi scolastiche, alla legge sulle Comunità Autogestite, alle leggi sulle Autonomie locali, a quelle sul funzionamento dei servizi pubblici e chi più ne ha più ne metta. Tutto sommato, come si diceva, leggi riguardanti la posizione delle Comunità minoritarie in piena armonia con lo spirito democratico e di tutela dei più deboli, volute dalla civiltà occidentale cui sentiamo di far parte. E di queste leggi la Slovenia ha stampato innumerevoli elenchi e copie che ha provveduto a inviare a tutti gli organismi europei e internazionali, a volte anche – ci sia permesso dirlo – pavoneggiandosi di fronte a Paesi di ben più lunga tradizione democratica. Tutto materiale che è servito anche come carta d’identità a testimonianza e a dimostrazione della propria volontà europea. Avvalorata e stimolata pure da noi stessi e dalle nostre istituzioni minoritarie, forti del nostro desiderio di diventare finalmente cittadini europei,. Anche perché, con una buona dose di ingenuità, credevamo – ribadendolo spesso – che stavamo aiutando il Paese a diventare uno Stato di diritto, dove le leggi vengono approvate per trovare applicazione nella prassi. A undici mesi dall’entrata della Slovenia in Europa, purtroppo, siamo presi dal dubbio per cui la nostra Carta d’identità non serva più: ormai il percorso d’integrazione è arrivato al traguardo. Le leggi, le clausole, le norme – pur valide – sono andate a finire in qualche cassetto e nessuno dei responsabili si sente in dovere di applicarle. In breve, le nostre rimostranze che partono proprio dall’osservanza di quelle misure chiamate a tutelare i nostri bisogni ed i nostri diritti non trovano più un interlocutore da parte dello Stato, dei suoi organi e di coloro che sono chiamati a gestirli. La Comunità Nazionale Italiana in Slovenia ha a che fare con uno Stato fantasma, evanescente, assente, imprendibile, sordo e invisibile. Decide di tagliare i fondi per le attività culturali? Lo fa con il sistema “o mangi questa minestra o salti dalla finestra”. Ritiene necessario eliminare uno degli strumenti importanti per le comunità minoritarie come l’Ufficio per le Nazionalità? Formalmente ti chiede cosa ne pensi, ma poi decide per conto proprio. Ti promette i mezzi per portare a termine Palazzo Manzioli? Manco
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a dirlo se ne dimentica, si fa latitante e lascia che il problema – bontà sua – venga risolto nell’ambito delle modeste possibilità del bilancio comunale. Qualcuno dice: bisogna protestare con i responsabili di Lubiana e denunciare tutto alla Corte Costituzionale per mancato rispetto delle norme vigenti. Potremmo anche farlo, pur sapendo che non esiste più sordo di chi non vuol sentire e sapere. L’altra strada? Quella di un intervento diplomatico da parte della nostra matrice nazionale e – perché no? – degli organismi preposti alla tutela dei diritti civili dell’Unione Europea prima che questa situazione si trasformi, a partire dal primo maggio del 2004, in un diritto acquisito della Slovenia nei nostri confronti. 5 giugno 2003 Silvano Sau
Sorpresa estiva con forte libecciata
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Autunno freddo in vista... In tempi neanche tanto remoti, per consolarci si usava dire “piove, governo ladro”. Con l’estate che ci stiamo lasciando alle spalle anche questo modo di dire, di antica e saggia provenienza, diventa un controsenso: vista la situazione finanziaria in cui ci ha costretto il governo nel corso di questo 2003 verrebbe da pensare che l’esperienza imparata nelle tediose giornate di pioggia si stia trasferendo e accreditando soprattutto nelle giornate di sole di afa, cioè durante la stragrande maggioranza dei 365 giorni di cui – ancora – è composto sia l’anno solare che quello finanziario. Nonostante le disposizioni di legge, a monte di tutte le dichiarazioni di miglioramento, con una montagna di promesse che, evidentemente, nessuno aveva intenzione di onorare, i finanziamenti statali per le attività culturali sono stati sbloccati a fine agosto. Il che significa che saranno a disposizione in settembre e che dovranno essere consumati – in base alle finalità previste – entro e non oltre la fine di dicembre. In tutto tre mesi per realizzare un programma che, secondo la norma, avrebbe dovuto esplicarsi nel corso dei dodici mesi. Nel frattempo ciascuno si arrangi come può e sa! Una specie di variante dell’altro antico detto istriano, secondo cui “chi ha c’è, e chi non ha non c’è”! E neanche il “neverin” di qualche giorno fa è riuscito a modificare la situazione, visto che oltre ai danni provocati per le bordate di tramontana, di pioggia non ne abbiamo vista nemmeno per una piccola campionatura. Sarebbe quindi un controsenso affermare oggi che nel prossimo futuro possiamo aspettarci un “autunno caldo”. Secondo tutte le previsioni del momento avremo a che fare – in quanto Comunità Nazionale – con un autunno estremamente freddo, di quelli che ti fanno battere i denti: per risolvere, come è nelle intenzioni, la presa di possesso della futura sede di Casa Manzioli; assicurare i mezzi per le spese di funzionamento (compreso il riscaldamento) e di manutenzione; affrontare le richieste di mezzi più consistenti da parte delle singole associazioni minoritarie, che vedono (forse anche giustamente) soltanto le proprie necessità ed ambizioni; intervenire sul contesto sociale e pubblico per assicurare un adeguato rispetto di quelle norme di cui lo Stato si è fatto garante di fronte alla Comunità internazionale 182
e che ora, dati del censimento alla mano, afferma che le colpe sono soprattutto – quando non – soltanto nostre. A coloro che hanno la bocca piena di invettive e rimostranze contro l’attuale leadership minoritaria a Isola e in Slovenia un appello: si facciano avanti! È sempre possibile – se credeno di poter far meglio – metterci d’accordo per elezioni anticipate. Per vincerle, però, bisogna candidarsi e, oltre alla propria convinzione di essere i migliori (ma è umano), è necessario anche assicurarsi un adeguato numero di preferenze basate sulla fiducia dei connazionali. Su qualsiasi proposta la redazione del Mandracchio, che proprio con l’edizione odierna festeggia il proprio duecentesimo numero, sarà ben lieta di offrire lo spazio necessario: in fondo siamo nati e abbiamo resistito, nonostante tutto, per quasi dieci anni. 11 settembre 2003 Silvano Sau
Addio, vecchia cara “Arrigoni” Non vogliamo entrare nelle polemiche sui piani regolatori di alcune zone di Isola, a parte una generale logica constatazione – secondo noi – per cui il futuro sviluppo urbanistico, economico e sociale della nostra città dovrebbe tener conto essenzialmente di alcuni elementi fondamentali, tra cui le risorse umane locali, la tutela – per quanto possibile – dell’identità culturale e storica dell’ambiente, la creazione di un ambiente a misura d’uomo valida oggi come in futuro. Una riflessione questa, sulla quale ci siamo soffermati durante una breve passeggiata sul lungomare, nei pressi di quella che un tempo era l’orgoglio di Isola, la fabbrica Arrigoni, ora in demolizione. Certo, quei capannoni non avevano alcun valore né architettonico, né culturale, né storico, anzi erano proprio brutti. Ma rappresentavano quasi un secolo e mezzo di vita della nostra cittadina: un periodo, durante il quale tutto il comune ha visto crescere le sue prospettive di sviluppo, che ha dato lavoro a decine di migliaia di persone, che ha significato una riconversione culturale, economica e politica dei suoi abitanti. Noi, che ormai abbiamo superato per ben tre volte gli “anta”, di quei capannoni, di quella ciminiera e del 183
fumo acre e fastidioso che emetteva ogni giorno, dei suoni delle sue sirene all’inizio e alla fine del lavoro, della fila interminabile delle “fabbrichine” che uscivano dai suoi portoni portandosi dietro l’odore del pesce che per otto ore al giorno avevano manipolato a mani nude, sentiremo la mancanza. Sarà una parte di noi che se ne sarà andata per sempre, senza una parola di rimpianto, senza una qualche modesta manifestazione che, almeno, ne illustri i suoi diversi aspetti: umani, tecnologici, storici, culturali, politici. Attorno e all’ombra di quella fabbrica, e della sua consorella “Ampelea”, Isola ha affrontato il ventesimo secolo con tutti i drammi e le tragedie che esso ha comportato. Sono in pochi a saperlo: nuove genti stanno scrivendo la storia presente di Isola e poco o niente sanno del suo passato. Né poco o niente sapranno domani coloro che – probabilmente – verranno ad abitare nei nuovi “capannoni” che nuovi e ignoranti (nel senso che poco sanno) stanno costruendo. Eppure, chi a suo tempo ha costruito quegli stabilimenti ha portato sì del nuovo a Isola, ma non ne ha stravolto l’anima. Saranno capaci di altrettanta sensibilità ed acume anche gli odierni sostenitori del capitale a tutti i costi? Per ora è certo che a testimonianza di ciò che il complesso Arrigoni ha rappresentato per Isola rimarranno soltanto la ciminiera e la porta d’entrata, dichiarati monumenti di archeologia industriale da tutelare. Anche se, a detta degli esperti, se il camino non verrà adeguatamente conservato, rischia di essere passibile di crollo, e quindi costringere chi di dovere ad abbatterlo. Sarà necessario arrivare a tanto? A commento, due immagini che la dicono lunga, senza nulla togliere alla necessaria e auspicabile avanzata del progresso. 25 settembre 2003 Silvano Sau
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Addio vecchia Arrigoni. Il capitale e le ruspe hanno provveduto a far piazza pulita (si fa per dire – l’amianto sembra essere ancora sul posto), lasciando dietro di sé una lunga e ancora non finita polemica sulla destinazione futura dell’area.
Vita da ... minoranza ... Credo di averlo già ribadito qualche volta, ma , forse, repetita iuvant, come dicevano i nostri antenati di qualche secolo fa: non è né facile, né comodo appartenere da una comunità nazionale minoritaria. Non è facile nel confronto quotidiano con l’ambiente sociale che tenta di emarginarti, quando non segregarti all’interno delle tue quattro mura in una specie di isolamento linguistico e culturale. Non è comodo nel confronto con gli appartenenti alla tua stessa comunità, dove tutti sanno tutto e meglio di tutti e dove gli interessi particolari si cerca di farli passare come interessi generali della collettività in nome di non precisati, pur se altisonanti, diritti. Sono note a tutti le vicende e le difficoltà che le nostre Comunità autogestite, chiamate a interloquire con lo Stato per le nostre necessità, 185
hanno dovuto affrontare nel corso di quest’anno per farsi assegnare i ridotti finanziamenti che, sembra, a fine settembre hanno finalmente imboccato anche per Isola le vie che portano a Palazzo Besenghi. È noto, altresì, che i finanziamenti, disponibili a partire da ottobre, avrebbero dovuto coprire i bisogni a partire da gennaio. Non è un mistero, pure, che questi mezzi non sono aumentati, anche se le necessità sono di ben lunga superiori: vedi, per esempio, l’imminente insediamento delle nostre organizzazioni e delle nostre attività nella ristrutturata Casa Manzioli-Lovisato che ha costretto la CAN a fare di necessità virtù e coprire il fabbisogno riducendo da qualche parte per assicurare il minimo anche dove si era a zero. Tuttavia, come si diceva, per qualcuno il particolare dovrebbe avere la priorità sul generale, purché vengano mantenuti i piccoli – pur se importanti, per carità! – interessi di parte. Per il resto, chi è chiamato (bontà sua) ad amministrare il poco di tutti, si arrangi come meglio sa e può. Come definire altrimenti la richiesta di un soggetto, fruitore dei mezzi per le attività culturali, che di fronte ad una generale riduzione dei mezzi disponibili, compreso il suo piccolo orticello – pensò bene di inviare per iscritto alla Comunità autogestita la richiesta, visto che i mezzi a disposizione sono ridotti, di ricerca di nuove fonti, in modo che “il soggetto” possa tranquillamente portare a termine le sue attività. Guai poi a dire che certe attività così finanziate con denaro pubblico dovrebbero corrispondere ai rigorosi criteri imposti dallo stesso Ministero per la cultura e della cui osservazione è responsabile non il “soggetto”, ma la Comunità autogestita firmataria del contratto con il governo. Come dire, tu datti da fare a reperire i baiocchi, non importa come e dove, che a spenderli ci penso io! A questo punto, visto le decine di rivoli nei quali vanno a finire i mezzi per le attività culturali senza possibilità di intervenire concretamente sui contenuti, bisognerà ripensare seriamente a nuove forme e nuove modalità per accedervi. Con responsabilità e cognizione di causa di tutti coloro che dicono di operare per il bene e per lo sviluppo della nostra Comunità 9 ottobre 2003 Silvano Sau
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Buona fine e buon inizio Alla fine di questo interminabile 2003 è giocoforza lasciare spazio all’ottimismo e alla speranza perché rimangono i soli elementi che possono ancora spingerci a credere che l’anno prossimo forse potremmo essere protagonisti di una qualche piccola risalita. Dicevano i vecchi che, ad essere ottimisti, un bicchiere non è mai mezzo vuoto, ma è sempre mezzo pieno. Ed avevano ragione, perché – in fondo – è sempre la speranza a farti cercare una nuova possibilità ed una nuova via d’uscita, per quanto lontana possa sembrare. Però, se il bicchiere contiene appena un terzo di vino, si è ancora ottimisti nel voler sostenere che è pieno per un terzo e non voler constatare che, invece, è vuoto per ben due terzi? Alla chiusura di quest’anno la nostra Comunità non dispone di molti elementi per sostenere che, in fondo, tutto sommato, malgrado le polemiche, nonostante le difficoltà, anche se poteva andar meglio, comunque ce l’abbiamo fatta. Ce l’abbiamo fatta con la coscienza che, fatti i conti, siamo più poveri e che non esistono parametri per un giudizio che ci possa far sperare che nel 2004 le cose andranno meglio e ci si potrà rifare di quanto perso negli ultimi anni. Tra 133 giorni esatti diventeremo cittadini europei, pur se non ancora attrezzati di una Carta costituzionale. La domanda che ci potremmo quindi rivolgere è se sarà ancora il caso di parlare di minoranze nazionali, visto che i confini che da oltre mezzo secolo ci separano dal nostro corpo nazionale, spariranno? Detto tra noi, non credo che cambieranno molte cose – a parte l’euforia iniziale. Rimarranno soprattutto le divisioni mentali che sono state costruite in decenni di vicissitudini storiche e politiche. E rimarranno anche le nostre piccole divisioni interne che, a volte, risultano essere più disastrose di quelle esterne. Una piccola collettività per far fronte alle sfide del futuro e alla routine del quotidiano ha bisogno di una grande compattezza e di una grande solidarietà che nel nostro piccolo sono andate perse per strada, nella rincorsa di precari autoincensamenti, secondo cui ognuno si sente il migliore. E chi vuole esprimere un parere contrario viene subito tacciato di essere opportunista, di fare equilibrismo politico, di appartenere alla categoria dei politiconi. Alla faccia di quello che pensa e auspica la maggioranza di questa 187
pur piccola collettività. Una risposta – pur se parziale – questa settimana viene dalla seconda puntata dell’indagine conoscitiva promossa dal nostro foglio “Il Mandracchio”. Anche se non crediamo che un tanto riuscirà a far cambiare idea a chi dovrebbe essere il primo a rendersi conto che – come si diceva una volta – “l’unità fa la forza”, l’unico commento che ci sentiamo di fare in quest’occasione è quello di riprendere un antico motto francese, secondo il quale “Honni soit qui mal y pense”, che non credo abbia bisogno di essere tradotto per essere compreso. Oppure, volendo restare a casa nostra, “El mus anca col basto de oro a xè sempre mus”. E, visto che siamo in vena di motti e proverbi, concludiamo quest’ultimo numero del Mandracchio di un lungo e insidioso 2003 ripetendo che “tempo e paia fa madurir anca le nespole” e, soprattutto, “che no servi darghe fogo al finil par copàr le pantigane”. 18 dicembre 2003 Silvano Sau
Palazzo Manzioli, non ancora arredato, incomincia a diventare meta di visite ufficiali e non. Tra quelle più importanti quella del ministro sloveno della cultura, Andreja Rihter, e del sindaco di Lubiana, Danica Simšiè
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Il ferro va battuto finché caldo Le dimissioni del nostro deputato al seggio specifico della Camera di Stato dalla presidenza della Commissione per le nazionalità, bisogna ammetterlo, ha provocato un vero e proprio scompiglio nella vita politica della Slovenia. Oltre che negli organismi amministrativi e politici la decisione di Roberto Battelli ha provocato anche – possiamo ben dire, finalmente! – un enorme interesse da parte dei mezzi d’informazione, con commenti di tutti i tipi: favorevoli, indifferenti, ma c’era d’aspettarselo, e nettamente ostili. Tutto sommato, l’esito sembra essere moderatamente positivo, visto l’interessamento diretto da parte dei primi chiamati a rispondere, il Presidente del Governo e il Capo dello Stato, che hanno promesso provvedimenti a tempo di record. Una volta dicevano che il ferro va battuto finché caldo, prima cioè che la temperatura ridiscenda ai livelli normali. Nel nostro caso prima che la problematica minoritaria, dopo le ondate di questi giorni, rientri nell’indifferenza e nella dimenticanza. E prima che anche noi si rientri nel grigiore del “tanto non serve a niente”. La Comunità autogestita Costiera della nazionalità italiana, nel documento che ha approvato all’unanimità già nei primi giorni di questo mese, ha stilato tutta una serie di proposte e di interventi che ha già sottoposto all’attenzione di chi di dovere, a Lubiana. Ci sarà una risposta adeguata nei prossimi giorni, settimane e mesi? Oppure, fingendo uno sforzo enorme, il tutto si risolverà tirando fuori dalla calza qualche misero milioncino, tanto per ridurre la fame, qualche piccolo funzionario governativo verrà spostato dal suo ben stipendiato ruolo, e tutto tornerà come prima? Noi abbiamo sempre sostenuto che, indipendentemente da come si evolvono le cose nella capitale, come Comunità nazionale minoritaria dobbiamo dedicare la massima attenzione anche all’atmosfera che respiriamo nel nostro ambiente di residenza, nel piccolo del nostro Comune, auspicando di trovare comprensione morale, culturale e materiale tra i concittadini che sono nostri vicini di porta, di contrada o di paese. La convivenza va certamente tessuta con politiche anche a grandi distanze,
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ma va vissuta spalla a spalla in quello spirito di solidarietà che – l’abbiamo sempre detto – dalle nostre parti non è ancora venuto a mancare. In fondo lo dimostra anche la piccola indagine conoscitiva che il nostro foglio ha promosso qualche settimana fa e della quale oggi pubblichiamo l’ultima parte. Alla domanda se le norme sul bilinguismo visivo e parlato nel nostro Comune siano rispettate, hanno risposto positivamente il 56% degli interlocutori, mentre soltanto il 40 per cento ha risposto positivamente alla domanda se siamo sufficientemente tutelati da parte dello Stato. Un dato, questo che sostanzialmente è emerso anche dall’analisi portata a termine dai servizi ispettivi del Comune sul rispetto delle norme sul bilinguismo e dal dibattito che finora è stato svolto in sede di Consiglio Comunale e che continuerà alla prossima seduta prevista per il 29 di questo mese. 21 gennaio 2004 Silvano Sau
Minoranze: piccoli grandi problemi Non sappiamo quanto tempo i primi ministri di Slovenia e Italia, Rop e Berlusconi, durante l’incontro della quadrilaterale a Brdo presso Kranj, abbiano dedicato al tema delle rispettive minoranze nazionali, né sappiamo in che termini l’argomento sia stato affrontato e se sia stato seriamente affrontato. Più probabilmente – nell’ambito del colloquio a quattrocchi – avranno soltanto elencato quelle due o tre frasi di circostanza che in casi del genere i due protocolli avranno ritenuto opportuno inserire nell’agenda delle trattative. L’importante, comunque, è che i due capi di governo hanno ribadito nel corso delle conferenze stampa, che l’argomento minoranze non è stato dimenticato. Anzi, a quanto abbiamo sentito dalla viva voce del Presidente Berlusconi, entrambi si sarebbero impegnati a risolvere adeguatamente i piccoli – “anzi piccolissimi” – problemi che in questo settore sono ancora presenti e dei quali sembrano essere a conoscenza. Ma è proprio sulla valutazione di questi problemi che non riusciamo a farci un’idea chiara! Rispetto ai grandi problemi della collaborazione bilaterale e quadrilaterale, delle integrazioni europee, della globalizzazione, 190
di un mondo nuovo e complesso che si sta prefigurando i problemi di due minoranze sono certamente “piccoli, anzi piccolissimi”. Ed è in questo spirito che vogliamo interpretare le parole del Presidente del Consiglio italiano, per cui c’è da aspettarci che con un piccolo sforzo di buona volontà Italia e Slovenia si sono impegnate a risolverli. Consci che problemi anche “piccoli, anzi piccolissimi”, per delle comunità nazionali minoritarie, se non affrontati e risolti, possono diventare problemi “grandi, anzi grandissimi”. Per le minoranze, naturalmente, non certo per gli Stati di cui esse sono cittadini. 5 febbario 2004 Silvano Sau
Il Consiglio comunale di Isola discute sull’attuazione del bilinguismo. Approva all’unanimità una serie di conclusioni che, in gran parte, attendono ancora di essere realizzate.
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Sono incazzato! In questi giorni di grandi attività minoritarie, suscitate dalle dimissioni del nostro deputato Battelli, mi sono divertito leggendo una raccolta di battute di Gino & Michele intitolata “Anche le formiche nel loro piccolo s’incazzano”. E mi sono accorto che, praticamente, tutta la settimana è stata segnata oltre che dalle nostre faccende minoritarie, anche da notizie, tavole rotonde, dibattiti, opinioni sulla giornata della memoria e, in genere, sulla memoria storica. A quel punto, mi sono accorto che, anch’io nel mio piccolo mi sentivo incazzato: per la miseria, io in quale contenitore della cosiddetta memoria storica rientro? In quella che ormai per legge si celebrerà in Italia, o in quella che ormai a più riprese viene celebrata ogni anno in Slovenia? Visto e considerato che, nonostante gli storici, nonostante i politici, nonostante i confini aperti, nonostante i confini che spariranno, nonostante la prossima comune cittadinanza europea, nonostante tutto questo e tanto altro, il sottoscritto cittadino della Repubblica di Slovenia, dichiaratamene appartenente alla minoranza italiana, non riesce a trovare un contenitore di memoria storica disposto ad accettarlo. Anche se il sottoscritto è stato sempre stato convinto, e lo è tuttora, di essere detentore di una ricca, importante, spesso dolorosa memoria storica vissuta e sopportata per oltre mezzo secolo. Convinto anche che le sofferenze non si possono rimandare a chi le ha provocate, magari un tanto al chilo. Convinto, altresì, che la memoria storica di un territorio, di una popolazione, deve superare il richiamo della vendetta, deve saper accettare le proprie colpe se vuole che anche l’altro riconosca le sue. Perché memoria storica non può essere semplicemente un sommare le colpe degli uni alle colpe degli altri. Anche perché le sofferenze dell’altro risultano esser state spesso motivo di vittoria per il primo. Poichè credo di aver subìto le colpe dell’una e dell’altra parte posso sperare che, domani, qualcuno si sentirà disposto a riconoscere che anch’io faccio parte di questa memoria storica comune anche se non condivisa, per cui forse nel mio piccolo non avrò più ragione d’incazzarmi? Forse. 19 febbraio 2004 Silvano Sau 192
Perché ci sono poche gite? Nei numeri 206, 207 e 209 del nostro foglio abbiamo pubblicato i risultati dell’indagine conoscitiva fra i nostri lettori con la quale abbiamo cercato di trovare delle risposte o, meglio ancora, delle indicazioni su alcune questioni che interessano da vicino la nostra Comunità. Complessivamente sono stati inviati 260 questionari ad altrettante famiglie di connazionali. Abbiamo ricevuto ben 138 risposte - due delle quali ci sono pervenute dopo l’analisi delle singole risposte. Giustamente, qualcuno si è chiesto perché nelle buste non abbiamo inviato più questionari, visto che non pochi nuclei familiari sono composti da diverse persone che non necessariamente la pensano allo stesso modo. Normalmente le indagini demoscopiche dei vari istituti di ricerca si basano su campioni che spesso non raggiungono l’uno per cento della popolazione e il loro risultati contano, e come. La nostra piccola ricerca abbraccia un campione che tradotto in percentuali significa quasi il 21 % dell’intera popolazione dichiaratasi italiana. Inoltre, il numero delle risposte ha superato ogni nostra previsione, visto che il 53 % dei nostri lettori ha ritenuto opportuno dedicare qualche minuto del proprio tempo per rispondere alle domande che sono state poste. Il 76,5 % dei nostri intervistati ritiene che il “Mandracchio” riesca nel suo intento di informare gli appartenenti alla Comunità sugli avvenimenti più importanti che la riguardano. Opinioni divise, invece, sul fatto se il “Mandracchio” riesca a informare e sensibilizzare sui problemi della nostra Comunità anche il resto dell’opinione pubblica isolana. Nel secondo gruppo di domande abbiamo chiesto che cosa ne pensano dell’esistenza a Isola di due comunità degli Italiani. Ebbene, il 74,3 % degli intervistato, ritiene che ciò non sia un bene, mentre addirittura il 91,7 per cento vedrebbe con favore il ricongiungimento delle due Comunità. Per il 68,7 % la presenza di due comunità non rappresenta un arricchimento culturale della Comunità Nazionale Italiana di Isola, anche perché comporta un dispendio delle già magre risorse finanziarie. Il 62,6 % degli intervistati ritiene che la nostra comunità nazionale non sia sufficientemente tutelata da parte dello stato sloveno. Per il 30,7 % degli intervistati, tra i fattori che hanno contribuito al 193
calo numerico della nostra comunità all’ultimo censimento della popolazione risultano i cosiddetti “italiani fasulli” - cioè coloro che nel precedente censimento si erano dichiarati italiani ma non lo sono effettivamente. Un’analisi particolare la meriterebbero probabilmente le risposte alla domanda No. 16: Dopo aver risposto a queste domande, ne avrebbe Lei qualcuna da rivolgere a noi o a chicchessia ? Eccone alcune: “Il Mandracchio dovrebbe dare notizie riguardanti strettamente la nostra comunità: decessi, nascite, matrimoni, diplomi, lauree, nozze d’oro, meriti che riguardano la sfera del lavoro.” “È una vergogna tramare fra italiani e poi vi lamentate del censimento.” “A casa mia mi sento forestiero!” “Domanda alla dirigenza: fin dove ci porterà la vostra testardaggine e la mancanza di dialogo? Suggerimento: dimettetevi e date spazio ai giovani di menti aperte e senza pregiudizi!” “Prego chi di dovere di riunire prima possibile il nostro gruppo nazionale in una sola comunità per non essere ridicoli di fronte a tutti, cancellando le due presidenze e formandone una nuova.” “Perché si è permesso che le due comunità diventino monopolio di alcuni?” “Perché ci sono poche gite?” Come già rilevato, la valenza delle risposte merita un dibattito approfondito tra i nostri connazionali, per cui la redazione si è impegnata ad organizzare, non appena sarà possibile, un dibattito pubblico al quale verranno invitati tutti coloro che erano destinatari del questionario. Sarà possibile, quindi, trattare e discutere dei singoli argomenti oggetto dell’indagine e, sempre a livello di proposta, arrivare non soltanto ad una sintesi che indichi l’attuale situazione della nostra Comunità, ma anche prospettare un eventuale indirizzo futuro di attività e di propulsione minoritaria. 4 marzo 2004 Andrea Šumenjak
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Europa: come siamo attrezzati? Esattamente tra un mese, dopo qualche anno di conto alla rovescia, diventeremo anche formalmente cittadini europei. Non questione di mesi, dunque o di anni, quasi nemmeno di ore, visto che ne mancano ancora circa 700. Il nostro Mandracchio, in tutto, ce la farà ad uscire ancora soltanto altre due volte, prima di diventare pure esso giornale piccolo, ma – oltre che Isolano e minoritario – anche europeo. E visto che ci siamo: Europa come certezza o Europa come incognita? In particolare per quanto riguarda la nostra condizione e la nostra posizione minoritaria, non più a cavallo di un confine, non più a cerniera di due mondi politici, di due popoli, di due culture? Non più, crediamo, ostaggio ora dell’una e ora dell’altra parte, e non più elemento necessario per riportare il dialogo o il confronto tra vicini volonterosi, ma non sempre rispettosi l’uno dell’altro? Sono domande che ci vengono forse perché sappiamo di uscire con queste righe proprio il primo aprile, e, nel caso, potremo sempre dire che si è trattato del solito “pesce”. Ma sono anche domande per le quali vorremmo sinceramente avere una risposta esauriente da offrire. Un’incertezza, la nostra, che ha pensato bene di porla in rilievo l’ambasciatore italiano a Lubiana, Norberto Cappello (da ieri già ex), durante la sua visita di commiato nei nostri centri costieri e alla nostra Comunità. Ce l’ha fatto capire con la solita diplomazia, sottolineando che in tutto questo periodo non siamo riusciti ad attrezzarci sufficientemente con degli strumenti materiali e organizzativi adeguati e capaci di affrontare il nuovo che sta arrivando. È vero, come dicono molti, che le novità non subentreranno improvvisamente dall’oggi al domani e che ci vorrà del tempo, forse degli anni, ma è anche vero, che i meccanismi per avviare questi mutamenti sono in funzione ormai da parecchio tempo. D’altra parte, né Slovenia, né Italia sono interessati a indicarceli e, soprattutto, ad aiutarci ad entrare nel giro dei fruitori. 1 aprile 2004 Silvano Sau
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“Nobil natura è quella che a sollevar s’ardisce gli occhi al comun fato, e che con franca lingua, nulla al ver detraendo, confessa il mal che ci fu dato in sorte, (…) l’uomo incolpando del suo dolor, ma dà la colpa a quella che veramente è rea, che de’ mortali madre è di parto e di voler matrigna.” Chissà per quale motivo questi primi versi della “Ginestra” del Leopardi, da più di quarant’anni, da quando cioè frequentavo con una certa turbolenza il Liceo di Pirano, mi hanno sempre portato a pensare che in fondo i confini e le divisioni che allora eravamo costretti a superare per sentirci europei non avrebbero potuto durare per sempre. Ci volle comunque più di mezzo secolo. Erano gli anni (quelli miei) quando il mondo avrebbe dovuto e potuto essere a portata di mano, ed erano gli anni (di chi era rimasto dopo l’esodo) in cui l’Europa veniva identificata con lo spazio che subentrava dopo la sbarra e dopo il controllo del posto di blocco di Scoffie. Qualche pomeriggio, con pochi Dinari cambiati in Lire da Bolaffio, ci si recava a Trieste per sederci all’aperto in piazza Goldoni e sorseggiare – o gaudio! – una Coca Cola. Era la nostra personale, anche se temporanea, immersione in un mondo che sentivamo nostro, pur se tremendamente lontano, addirittura proibito, alla faccia della Jugo-Cockta. L’Europa è arrivata: non so se siamo noi che l’abbiamo inseguita e raggiunta, oppure, più semplicemente, se è soltanto ritornata là, dove nei secoli aveva piantato le sue profonde radici. Ma se quarant’anni fa, o trenta o venti anni fa, bisognava fare qualche chilometro, oltrepassare una sbarra, sopportare qualche controllo doganale e illuderci che in fondo poteva bastare una Coca Cola per far rifiorire la speranza, oggi di quale stimolo avremmo bisogno per credere che il passato duro, pesante, 196
doloroso non tornerà mai più? Dando voce e forza, magari non ai versi impegnativi di un Giacomo Leopardi, quanto forse a quelli – sempre retaggio dei lontani anni di scuola – di un più modesto e più vicino Angiolo Silvio Novaro: “Passata è l’uggiosa invernata, Passata, passata! Di fuor dalla nuvola nera, Di fuor dalla nuvola bigia Che in cielo si pigia, Domani uscirà Primavera!” 29.04.04
Silvano Sau
Il primo Maggio A proposito dell’imminente ricorrenza legata all’ormai tanto atteso Primo Maggio, dalla fine dell’anno scorso è depositata in Consiglio Comunale una proposta del consigliere Igor Franca (coadiuvata dalle firme di numerosi altri consiglieri) per una modifica dell’art. 9 dello Statuto comunale, onde introdurre il primo maggio come festa del Comune di Isola, in aggiunta magari a quello ormai consuetudinario dell’undici luglio. L’iniziativa che, se non andiamo errati, è stata appoggiata anche dai rappresentanti della nostra Comunità, prenderebbe lo spunto dagli avvenimenti isolani di sette secoli e mezzo fa, per l’esattezza nel 1253, quando proprio in questa data del primo giorno di maggio il Consiglio Generale di Isola, nella Loggia comunale, in seduta congiunta con il Consiglio Maggiore e con quello Minore, assieme ai sindaci, al notaio ed a tutti i rappresentanti del potere isolano, autorizzarono “coram populi” dei propri rappresentanti a servirsi di tutti i mezzi leciti per sottrarre la città al nefasto potere medievale del patriarcato e della badessa di Aquileia. Giustamente, il consigliere Franca sottolinea che la ricorrenza storica merita adeguato riconoscimento, perché rappresenta l’inizio del libero Comune di Isola e, soprattutto, valorizza la volontà del popolo isolano di 197
incamminarsi sulla strada dell’incivilimento d’Europa, allora in pieno corso con l’avvento dell’Umanesimo e del Rinascimento. Data, quindi, più che giustificata, perché ancora una volta, per Isola, proprio il Primo Maggio rappresenta una nuova conferma della sua appartenenza non solo spirituale, ma anche formale, all’Europa e di cui proprio in questi giorni saremo chiamati ad essere testimoni da liberi e convinti cittadini europei. Alla fine, aggiungiamo noi, rimanga pure anche la festa del Primo Maggio, come festa del Lavoro, che nei decenni trascorsi - a partire dalla seconda metà dell’Ottocento – ha voluto significare proprio per Isola una ricorrenza importante legata al suo sviluppo sociale, culturale ed economico, di cui uno dei suoi ultimi testimoni – la fabbrica Arrigoni – è ormai destinato non più al mondo del lavoro, ma a quello rigoroso per quanto iniquo del capitale. 29 aprile 2004
Continuano le polemiche su come utilizzare e cosa costruire sull’area che per oltre un secolo era occupata dalla fabbrica ‘Arrigoni’
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El porton (A mia nona) Xé el porton de l’Arigoni. Me piaxi pensar Che’l restarà sempre là Vedo le man, i pié e tante anime passar per quei porton e qualcossa me se strenzi forte de drento che no ve so dir. Sti corpi zovani o veci stanchi e spussolenti de sardele, che i toca sto porton. “I lo lassarà su el porton?” ga domanda’ una che la xe vegnuda fin de Trieste. Vecia. La vardava ste ruspe e i sui venti ani passai là. I sui oci velai i vedeva la fia che correva in tela bora col scial sula testa per no far tardi ala sirena. Quel’altra vissin cole man rovinade dei reumi, la ghe disi coi oci fissi su ste ruspe: “I ga dito de no. I lo lassarà là.” La sentiva drento de ela, i sui monti, le stradele piene de piere e de fango, l’odor dele bestie de casa, le creature lassade intel leto de sole per vignir qua a netar le sardele e portar casa un toco de pan. El iera là sto porton
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che bisognava rivarve. Cole savate bagnade o col fassoleto brusà del sol, ma se doveva passar sto porton. No go mai capì sel xe bruto o bel. Ma manca vardà no lo go ben. So solo chel iera de sempre, là. Tanto, ma tanto pianzer e anca un fià de rider el ga sentù. Lasselo star là dove chel xe. Almeno quel. 29 aprile 2004
Dorina
Buon giorno Europa! Da tredici giorni siamo cittadini europei e siamo qui a chiederci se qualche cosa sia cambiata. Troppo presto per avvertire una qualsiasi modifica? Forse. Anche se, crediamo, è nel nostro rapporto con lo Stato, con la società, con tutte le comunità che qualcosa è certamente mutato. Al confine di Scoffie le sbarre ci sono ancora, ma, dicono, tra qualche tempo (un paio d’anni?) verranno rimosse anche queste: il posto di blocco, come lo abbiamo conosciuto per più di mezzo secolo, cioè come frontiera invalicabile tra due mondi diversi, che metteva in soggezione e infondeva una sensazione di impotenza, sta già scomparendo. Dalle colline circostanti Isola, dal Belvedere o da Ronco, da dove come bambini si ammiravano le grosse navi bianche che dall’altra sponda partivano per l’Australia e per l’America, oggi, è possibile guardare oltre Punta Grossa, e non pensare più che dall’altra parte c’è un mondo a noi negato: vicinissimo, eppure tanto lontano da essere quasi irraggiungibile. Da cittadini europei, noi che europei ci siamo sempre sentiti, abbiamo il diritto di sentirci più liberi, senza per questo cadere nella facile demagogia o nelle frasi ripetute dei luoghi comuni?
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Certo, ci sentiamo più pieni e più gratificati da questa rinnovata appartenenza alla comune civiltà europea, nati e vissuti come siamo sempre nel nostro cortile, nel quale via via nei decenni abbiamo visto cambiare più volte la nostra cittadinanza, per approdare finalmente sotto il comune tetto, allietato dalle gioiose note di Beethoven. Quando, è questa la nostra speranza, dovremmo poter respirare a pieni polmoni la sensazione di non incontrare più alcun ostacolo nell’ostentare e manifestare la nostra appartenenza culturale, linguistica e nazionale, con la certezza di essere da questa riconosciuti come figli legittimi e apprezzati per il pur piccolo contributo che siamo riusciti e riusciamo ancora a offrire alla sua già ricca e importante cultura. Ed è nostra speranza pure che anche lo Stato domiciliare di cui siamo cittadini, la Slovenia, voglia apprezzare questa nostra presenza e il nostro contribuito, pur con le nostre magre risorse di cui disponiamo, ma essendo stati capaci a volte di mettere in campo anche il nostro stesso essere nazionale, per rendere più agile e rapido il non sempre facile cammino di avvicinamento all’Unione Europea. È chiedere troppo, a soli tredici giorni dall’acquisita cittadinanza europea? È quanto chiediamo a coloro che sono impegnati nella campagna elettorale in Slovenia e in Italia e che verranno eletti al Parlamento Europeo. Tra questi, forse, anche un nostro connazionale, Aurelio Juri, per farci sentire subito l’Europa a portata di mano. 13 maggio 2004 Silvano Sau
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Primo Maggio: la Slovenia diventa membro dell’Unione Europea. Gli Isolani festeggiano la nuova cittadinanza con un solenne concerto della Banda di ottoni nel parco intitolato a Pietro Coppo che, quasi mezzo millennio fa, proprio a Isola, disegnò una delle prima carte geografiche dell’Istria, dell’Europa e del mondo.
Io sono contrario! Non so di chi sia l’idea di scoprire a Isola un monumento in occasione del 50.esimo anniversario della firma del Memorandum di Londra. E non so nemmeno di chi sia l’idea di porre alla sua base alcune parole dell’ormai quasi dimenticato “rivoluzionario” di professione Moša Pijade. Ma appena ne sentii parlare, mi sentii in dovere di esprimere tutte le mie perplessità, per tutta una serie di motivi. In primo luogo, perché il Memorandum di Londra – pur se positivo nel suo aspetto più generale di regolazione dei rapporti tra Paesi confinanti – non ha avuto lo stesso esito anche a livello locale, avendo provocato nei mesi ed anni successivi, un esodo della popolazione quasi totale, in primo luogo di quella italiana, ma non solo. Uno sconvolgimento demografico, 202
culturale e materiale del territorio che non ha avuto la pari nemmeno nei periodi più bui della sua lunga storia plurisecolare. Da chiedersi, quindi, perché celebrare con un monumento un periodo che è stato drammatico e doloroso per tanta parte della locale popolazione? Diventa poi addirittura di cattivo gusto e offensivo il volerlo corredare con le parole di Moša Pijade, sembra pronunciate proprio in occasione della firma, secondo cui si sarebbe trattato di un atto che confermava la “sovranità del popolo!” Di quale popolo? Non certamente di quello che allora viveva su questo territorio, quindi anche a Isola, e che proprio in seguito al Memorandum fu costretto ad abbandonare la propria casa. Non mi si verrà a dire che anche questo monumento e la prevista celebrazione sono stati pensati per esaudire la volontà del popolo? Infine: perché proprio a Isola? Per riaprire ancora una volta ferite che ritenevamo ormai completamente rimarginate, anche se non dimenticate? 27 maggio 2004 Silvano Sau
Polemica sul monumento fatto innalzare dal Comune per celebrare la firma del Memorandum di Londra che, nel 1954, decretò la fine del Territorio Libero di Trieste. Contestata soprattutto la motivazione scolpita alla base del monumento, secondo cui sarebbe stata la volontà del popolo a volerlo
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Palazzo Manzioli: l’interminabile storia della storia infinita Chi, un paio di settimane fa, si è dimostrato scettico sull’annunciata inaugurazione di Palazzo Manzioli, prevista in pompa magna per lo scorso 24 maggio, purtroppo aveva ragione: non perché ne sapesse qualcosa più degli altri, ma semplicemente perché sembrava impossibile che – dopo tanti anni – un appuntamento tanto atteso trovasse finalmente riscontro nella realtà. Se fosse successo, avrebbe smentito l’interminabile storia di quella che noi abbiamo definito la storia infinita, la storia legata alle vicende del restauro dell’antico edificio destinato a diventare sede oltre che proprietà della Comunità Nazionale Italiana di Isola. Certo è, che quando si tratta di mettere assieme diplomazie, commissioni miste di due Paesi e presenze di Ministri fortemente impegnati nel costruire futuri destini europei, le nostre vicende isolane diventano poca cosa. Anche quando siamo lì a sostenere che proprio Palazzo Manzioli – nato come idea quando l’Europa era ancora divisa dalla Churchilliana cortina di ferro, oggi potrebbe rappresentare simbolicamente un esempio concreto di collaborazione tra Paesi vicini come Italia e Slovenia, sulla base dei valori europei, cui sempre più spesso facciamo riferimento, soprattutto quando riguardano le comunità nazionali minoritarie. In questo senso ci eravamo espressi anche durante i colloqui che il nuovo ambasciatore italiano a Lubiana, Verga, ebbe a Isola durante l’incontro con il nostro Sindaco e durante la breve visita a Palazzo Manzioli. In ogni caso, per le future sorti e finalità del Palazzo, la data e la consistenza della cerimonia di inaugurazione, pur se importanti, per la nostra Comunità non sono né determinanti, né vitali. Possono servire da biglietto da visita e da augurio di buon auspicio, ma l’importante è che nel frattempo ne sia stata assicurata l’agibilità ed il collaudo tecnico, pure questi rimandati fino all’ultimo. È con questi che la nostra Comunità, oltre che dell’attestato di proprietà, potrà prenderne possesso anche fisicamente con il legittimo insediamento delle sue istituzioni. A proposito, siamo sicuri che almeno queste formalità sia state portate a termine in tempo debito? 204
Se la risposta è positiva, un altro capitolo del libro intitolato “La storia infinita di Palazzo Manzioli” potrebbe ritenersi concluso. Come dire, che l’opera sarebbe stata portata a termine – bene o male – e che mancherebbe ancora da rilegare la copertina e, se si vuole, scriverne la prefazione ed i ringraziamenti. 27 maggio 2004 Silvano Sau
Le ferie son finite... e “de talian gnanca l’ombra” È difficile lasciarsi alle spalle il periodo estivo che, per rendere la vita più sopportabile, è legato alle vacanze e alle ferie. Bisogna ammetterlo: è difficile riprendere il vivere quotidiano, con la prospettiva che ci vorrà un altro anno per poter dire nuovamente: stacco tutto e per un mese non ci sono! Anche se, tutto sommato, i mesi di luglio e agosto, quest’anno, sono stati vivibili, almeno dal punto di vista meteorologico. E anche la nostra Isola, crediamo, ha fatto la sua parte in quanto a risultato turistico. Forse avrebbe potuto andare anche meglio, come dice qualcuno, ma credo non ci si debba lamentare: le spiagge erano piene, pieni pure gli alberghi, gli affittacamere, i ristoranti e le trattorie, i bar e le gelaterie nonché le passeggiate serali fino a tarda ora lungo le rive, da Punta Gallo alla radura sotto Belvedere. Novità? Agli inizi di luglio da registrare l’ormai dimenticata festa comunale, in onore a non si sa più quale importante avvenimento del recente passato, senza tener conto dei duemila anni di storia precedenti. Poi, Palazzo Manzioli, dopo una quindicina di anni, è stato finalmente dichiarato agibile con tutti i crismi dell’ufficialità, bar compreso: l’unica incognita è tuttora rappresentata dalla data del nostro trasferimento in questa nuova e tanto sospirata sede. Infine, dopo trequarti di secolo, a Isola è ritornato anche l’alloro olimpico di Vasilij •bogar con la medaglia di bronzo. Per un soffio è mancato quello di Vesna Dekleva, ma per noi è come se l’avesse avuto. Naturale che ad accoglierli con solennità al loro rientro vi fosse tutta la cittadinanza e buona parte delle autorità e degli sponsor, tutti ben allineati 205
sul palco d’onore, chi in prima, chi in seconda fila. Peccato, che dopo tutti questi decenni, nel festeggiare e celebrare questo importante avvenimento, si sia voluto ricalcare il copione del 1928, quando – anche allora – era stata allestita degna accoglienza agli eroi olimpionici: ma allora come oggi i vincitori sono stati salutati soltanto nella lingua maggioritaria – ma nel 1928 si era in pieno fascismo! E si sa che all’ombra nefasta del Fascio, “nella patria de Rossetti no se parla che talian”. Da allora sono passati alcuni decenni, quasi un secolo. Della patria di Rossetti e del Fascio a Isola non se ne parla più da sessant’anni, resta da chiederci comunque nella patria di chi stiamo vivendo ora, perché “de talian gnanca l’ombra”? 9 settembre 2004 Silvano Sau
Elezioni e minoranze: bocca amara e pive nel sacco... A giudicare dal tempo, l’estate è ormai finita da un pezzo. Sembra quasi di assistere ad un accordo tra le vicissitudini terrene e quelle astrali. Finite le vacanze, riprese in pieno tutte le attività. Concluse le elezioni, fermento generale per la formazione del nuovo governo. Il voto del 3 ottobre ha decretato un vincitore senza ombra di dubbio: è il partito Democratico di Janez Janša che, praticamente, si è portato via un terzo dei voti del Partito Liberaldemocratico di Anton Rop. Se ci trovassimo in un sistema di tipo anglosassone, la formazione di un governo sarebbe questione di qualche giorno. Un sistema pluripartitico, invece, come quello sloveno, comporta qualche difficoltà in più. Sono cambiate le percentuali dei due partiti leader, l’uno a scapito dell’altro, ma non si sono modificate le percentuali che già prima formavano le due possibili coalizioni di governo – destra o sinistra. Moralmente vincitrice è la destra, con a capo Janša, ma assieme alle altre forze che guardano a destra non riesce a mettere insieme quei 46 voti in Parlamento, necessari per guidare un governo – pur se con la spia della riserva sempre accesa. A questo punto, la domanda che ci poniamo è se i due voti dei seggi specifici occupati dai rappresentanti delle comunità nazionali italiana e ungherese sono voti di destra, di sinistra o quant’altro? E, ancora, se il 206
premier incaricato vorrà tirarli in ballo? A nostro giudizio, ma anche nel nostro interesse, forse sarebbe meglio ci lasciasse fuori da ogni possibile combinazione: l’esperienza finora ha dimostrato che, usati o meno, siamo sempre rimasti con la bocca amara e con le pive nel sacco. Per noi, non sarà certo un cambio al timone del governo a cambiare le cose. Non sono cambiate nemmeno con l’entrata della Slovenia nell’Unione Europea. Siamo diventati cittadini europei, ma per il resto la stagione delle vacche magre continua e si inasprisce. 21 ottobre 2004 Silvano Sau
Matrie e Patrie Vogliamo riprendere, per una volta ancora, il discorso della memoria storica per noi, gente vissuta con la sindrome della frontiera e con il marchio della minoranza. Dopo l’indigestione di queste ultime settimane, tra anniversari di storici “ritorni” e anniversari di altrettanto storiche “annessioni”. Con noi che siamo rimasti a guardare e a chiederci perché mai, dall’una e dall’altra parte, avessero deciso di festeggiare ricorrenze che per altri sono state motivo di dolore e sofferenza? Per fare un esempio: la giornata odierna, il 4 novembre, per me, oggi cittadino sloveno di nazionalità italiana, è un anniversario da celebrare, oppure è una data che segna un avvenimento, da ricordare sì, ma non da festeggiare? Insomma, il 4 novembre 1918, che rappresentò la conclusione ufficiale della Prima guerra mondiale e il conseguente annuncio della vittoria finale dell’Italia sull’Austria-Ungheria, mi mette inesorabilmente dalla parte di chi la guerra l’ha persa (mio nonno era cittadino austriaco e fu inviato a smaltire la guerra in Galizia), oppure mi mette dalla parte di chi alla fine la guerra l’aveva vinta, vedendosi così finalmente ricongiunto con la Madrepatria (sempre lo stesso mio nonno diciamo che era di sentimenti italiani e che proprio per questo venne inviato a combattere in Galizia assieme al 14.esimo Reggimento di fanteria denominato “Demoghela”e non a morire sul Fronte del Carso e dell’Isonzo contro l’Italia)? E’ vero, che i poco più che vent’anni trascorsi in braccio alla Madre dal vessillo verde- bianco-rosso non hanno significato un periodo 207
entusiasmante, anzi, possiamo dire senza tema di essere smentiti che piuttosto di un rapporto materno, il fascismo instaurò un rapporto di intolleranza, di paura, di povertà materiale e intellettuale, spingendo una buona parte dei suoi cittadini a scegliere la strada dell’antifascismo, della clandestinità, della lotta armata. Capodistria, Isola e Pirano – pur italiane - erano cittadine dove l’elemento contrario al regime era preponderante. Ma basta per rinnegare, ieri e oggi, la validità di un legame anche giuridico avuto per un quarto di secolo con lo Stato della propria matrice nazionale e culturale? Pur se contrastato, difficile e, spesso, anche doloroso. E, ancora: basta questo per abbracciare e inneggiare ad un’altra Madre, avvolta nel vessillo biancoblu-rosso, che in mezzo secolo ha dimostrato non solo di non saper e non voler sostituire una buona madre, ma nemmeno di svolgere onestamente e correttamente il proprio ruolo di tutrice legale? Una risposta, forse, riusciremo a trovarla tra qualche decennio, quando ci sentiremo meno ostaggi della sindrome nazionale e più appartenenti alla stessa matrice culturale europea di cui, finalmente, tutti siamo cittadini. 4 dicembre 2004 Silvano Sau
Bechi e bastonai!? Probabilmente, quando questo foglio sarà nuovamente in edicola tra quindici giorni, saremo già a conoscenza del nuovo governo che, ormai è certo, sarà guidato dal premier incaricato Janez Janša. E per quanto inizialmente potesse sembrare poco verosimile, viste le esperienze passate, sarà un governo che disporrà anche del voto dei due deputati ai seggi specifici minoritari. Tutto bene, dunque? Vogliamo credere che, proprio perché con alcune forze politiche non tanto tempo fa abbiamo avuto rapporti a dire poco difficili, l’accordo sull’appoggio al nuovo governo abbia comportato per lo meno una serie di promesse concrete a favore delle due comunità nazionali, italiana e ungherese. Assicurazioni che, crediamo, saranno contemplate in un capitolo a parte – come è stato ribadito dagli stessi deputati minoritari - già nel discorso programmatico che il premier
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incaricato presenterà in Parlamento il giorno del suo insediamento definitivo. È vero che le promesse in politica sono come l’araba fenice, ma, forse, proprio perché arrivano da una parte che non ci saremmo mai aspettati vogliamo far finta di crederci. In fondo, proprio all’indomani della vittoria alle recenti elezioni, sempre Janša ebbe a dire a proposito di minoranze nazionali, che mentre il governo precedente era prodigo nel promuovere atti normativi che poi non rispettava, il suo si darà da fare soprattutto per realizzare quelli di cui già disponiamo. Un tanto avremo occasione di constatarlo abbastanza presto, tra qualche settimana, quando si discuterà del piano finanziario per il prossimo anno. Sarà l’occasione per verificare se nell’assicurare il voto al nuovo governo siamo stati saggi oppure, semplicemente, creduloni. Come lo siamo stati nel credere nella professionalità e competenza della Corte Costituzionale che ora, invece, sta rimettendo in discussione alcuni principi che per noi sono fondamentali e che, ciononostante, qualcuno – sempre dei nostri – sta constatando che in fondo i giudici costituzionali non hanno fatto altro che il loro lavoro! Come dire: “bechi e bastonai”! 18 novembre 2004 Silvano Sau
Tempo e paia madurisi anca le nespole La settimana scorsa è statofirmato a Lubiana l’accordo di coalizione fra i partiti che daranno vita al nuovo governo della Slovenia. Al punto 11 hanno stabilito che: “La coalizione si impegna a trattare le problematiche delle comunità nazionali italiana e ungherese attuando con coerenza i documenti dell’indipendenza, la Costituzione della Repubblica di Slovenia e gli impegni internazionali (accordi internazionali e documenti internazionali ratificati). In questo senso la coalizione sottolinea che l’attuale livello di finanziamento dei diritti particolari delle comunità nazionali rappresenta un punto di partenza per un suo ulteriore sviluppo. La coalizione si impegna ad attuare misure contro l’assimilazione in tutti i settori di vitale importanza per l’esistenza e lo sviluppo di entrambe 209
le comunità nazionali, qui compreso il sostegno allo sviluppo economico e infrastrutturale delle zone nazionalmente miste, con un accento sull’apertura di nuovi posti di lavoro e la creazione della base economica per le comunità nazionali. Particolare attenzione sarà dedicata al consolidamento delle istituzioni delle comunità nazionali, della loro lingua e cultura. La coalizione si impegna a creare un clima sociale favorevole per la realizzazione delle politiche per le comunità nazionali italiana e ungherese. In base a quanto elencato sopra, il governo della Repubblica di Slovenia entro sei mesi preparerà una proposta di Risoluzione sulle comunità nazionali italiana e ungherese, dopo di che, trascorsi tre mesi ed effettuata l’armonizzazione del testo con le comunità italiana e ungherese, presenterà la Risoluzione alla Camera di Stato. L’operazionalizzazione di questi impegni per singoli settori e gli interventi principali della coalizione relativi alle comunità nazionali italiana e ungherese saranno parte integrante di un’aggiunta all’accordo di coalizione, che sarà sottoscritta da tutti i partner della coalizione e da entrambi i deputati delle comunità nazionali, oppure di un accordo a parte che sarà sottoscritto dal presidente del governo della Repubblica di Slovenia e da entrambi i deputati delle comunità nazionali al più tardi entro tre mesi dall’entrata in vigore dell’accordo di coalizione.” C’è da crederci? Speriamo di sì, anche se un nostro antico proverbio stabiliva che “tempo e paia madurisi anca le nespole”. Come dire: aspettiamo e vedremo. 2 dicembre 2004 Silvano Sau
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Ve lo diamo noi lo Stato di diritto! Mi sembra di aver letto qualche tempo fa una definizione del nazionalismo che si adatta perfettamente ad alcune situazioni nostre. Se non vado errato, questa estrema deformazione dell’orgoglio nazionale venne paragonata ad un tumore maligno, capace di assoggettare e corrompere anche quegli organi che, per loro stessa natura, dovrebbero essere chiamati a combatterlo. Come prevedevamo ancora un paio di settimane fa, la delibera della Corte Costituzionale della Slovenia sulla sospensione temporanea dell’articolo 2 della Legge sulla tutela dei consumatori continua a tener banco: in negativo, naturalmente! È di qualche giorno fa la notizia, che anche il Comitato per il commercio della Camera di Stato ha voluto sostenere la causa promossa da una delle Due Sorelle Slovene (la Petrol) contro l’uso della lingua ufficiale minoritaria nei territori nazionalmente misti, ribadendo, in sostanza, che il valore del soldo non ha confronti! Lascia, infatti al libero arbitrio dei soggetti economici il diritto di scegliere se e quale lingua usare nei suoi esercizi pubblici, sempre valutando quante svanziche la decisione potrebbe o dovrebbe portare nelle sue tasche. Proprio per questo, anche la Comunità autogestita costiera della nazionalità italiana, nella riunione di venerdì scorso, ha voluto – dopo aver espresso riconoscimento ai Sindaci e ai Consigli Comunali di Capodistria, Isola e Pirano per le coerenti e ferme posizioni assunte in merito all’intera problematica –esprimere ancora una volta la sua forte preoccupazione per gli effetti negativi che la delibera della Corte Costituzionale comunque comporterà per la Comunità Nazionale Italiana, con il pericolo che avvii una catena di ulteriori comportamenti negativi con l’effetto di una partita di domino. Ed è sempre per questo che, dopo aver invitato la Corte Costituzionale ad esprimersi quanto prima in merito, ha deciso di inviare una lettera al presidente del Parlamento affinché non inserisca all’ordine del giorno dei lavori le richieste di modifica delle leggi di merito, come richiesto da alcuni parlamentari, finché la Corte non avrà detto la sua! Alla fine: ma allora è proprio vero che siamo stati degli ingenui nel credere che il diventare cittadini europei ci avrebbe consentito, finalmente, di essere anche cittadini di uno Stato di diritto! 16 dicembre 2004 Silvano Sau 211
Ottimismo? Si, però... Nelle trascorse giornate mi è stato spesso chiesto un parere sull’ormai estinto 2004, e un pronostico sul nuovo 2005. Un esercizio della materia grigia, che, volta per volta, mi ha portato a modificare quanto sentenziato ancora poche ore prima, risultato di nuovi ragionamenti e di nuove constatazioni. Ma, come si dice, soltanto chi è stupido non riesce a cambiare le proprie opinioni. Lasciamo perdere l’ormai estinto 2004, con tutto quel che di positivo e di negativo ha comportato. Ma il 2005, a noi, da sempre considerati minoranza e popolazione di confine, offre davvero qualche spunto di ottimismo? Se non altro alla luce delle dichiarazioni del nuovo governo, uscito dalle recenti elezioni politiche, e in seguito al tanto osannato “accordo di coalizione”? Diciamo subito, che la mossa dell’allora ancora premier incaricato Janša è stata positiva ed ha contribuito a stemperare parte della sfiducia che la nostra Comunità ha storicamente nutrito nei confronti della destra. Ci è stato chiesto pure se ritenevamo di poter credere a chi, ancora pochi mesi prima, si trovava arroccato su posizioni completamente diverse, quando non addirittura contrapposte. Rispondemmo, se non andiamo errati, che chiunque, una volta al posto di comando, ha l’obbligo e il dovere di esprimersi e di agire con la responsabilità che la nuova condizione comporta. Però… Sì, rimane sempre un però… È indubbio che la destra, per sua antica e naturale tradizione, tenda a condurre una politica conservatrice e liberale in netto contrasto con i principi dello Stato sociale. Non è una novità nemmeno constatare che le forze oggi al governo hanno sempre sostenuto la necessità di portare avanti con ritmi sostenuti la privatizzazione di tutto il settore sociale, come sanità, istruzione, cultura, informazione. La nostra Comunità minoritaria è parte, pur se piccola, del sociale: in assenza di una politica che nei bilanci dello Stato favorisca il sociale noi dove andremo a sbattere il naso? Nel privato? Ma per carità. Non facciamoci illusione: è tutto questione di tempo! 13 gennaio 2005 Silvano Sau 212
Minoranza italiana: qualche piccola considerazione Abbiamo partecipato recentemente ad un dibattito sull’attuale situazione della minoranza italiana in Slovenia. Ne è venuta fuori una valutazione abbastanza desolante, soprattutto se inquadrata nell’ambito delle nuove prospettive globalizzanti europee e in quelle, certamente meno globalizzanti, di una forte volontà di autodifesa nazionale dello Stato di cui siamo cittadini. Prima constatazione: ad otto mesi dall’integrazione nell’Unione Europea non è diminuita la tendenza che vuol indicare nella presenza della Comunità Italiana uno degli elementi di spreco delle risorse materiali della Slovenia. A tal punto che si è tentato addirittura di precedere una necessaria valutazione della Corte Costituzionale sul quesito se l’uso della lingua italiana negli esercizi commerciali ha da essere considerato legittimo o meno. Seconda constatazione: a due anni abbondanti dalla pubblicazione dei dati del censimento della popolazione, che hanno visto una pericolosa riduzione della nostra consistenza numerica, niente e nessuno si è ancora mosso per offrire non solo una risposta, ma anche una proposta di misure con le quali almeno tentar di rientrare nella normalità. La famosa relazione che il governo (ormai defunto) avrebbe dovuto approntare su ordine del Parlamento è finita probabilmente in qualche profondo cassetto. Forse è un bene, perché, come ha riferito chi ha avuto la possibilità di darci un’occhiata, era un po’ come vagabondar per un sentiero fangoso in una notte senza luna e senza stelle. Terza considerazione: Il neonato governo sloveno, che ha promesso addirittura un capitolo a favore delle minoranze nell’accordo firmato tra i partiti che compongono la coalizione di maggioranza, per il momento si è limitato à prender atto delle nostre richieste, con la promessa che entro i prossimi mesi avrebbe dato anche una risposta. Quarta considerazione: il 2005 rischia di essere per la nostra comunità un anno molto delicato. Si stanno portando in ballo giornate della memoria, giornate dei ricordi, propositi belli e propositi meno belli legati alle vicende di sessant’anni fa. Come l’anno scorso, del resto, durante il quale ne abbiamo visto delle belle per vicende legate ad altri anniversari. E come al solito, rischiamo di venir intrappolati in logiche che ci vogliono ostaggi ora dell’una e ora dell’altra parte. 213
Quinta (ma non ultima) considerazione: Qualche giorno fa, ai lavori di una commissione mista Slovenia-Friuli Venezia Giulia, un alto esponente del governo di Lubiana, nell’esporre le sue rimostranze per le difficili condizioni cui sembra essere sottoposta la minoranza slovena in Italia, ebbe l’ardire di chiedere che fine avrebbe fatto la minoranza italiana se in Slovenia fosse stata sottoposta alle stesse misure repressive cui era costretta da mezzo secolo la minoranza slovena. Purtroppo non ebbe adeguata risposta. Noi, però, oseremmo pensare che, se per cinquant’anni fossimo vissuti in un regime di pluralismo e di democrazia, forse sul nostro territorio non saremmo mai stati ridotti in minoranza. 27 gennaio 2005 Silvano Sau
E se vi foste permessi?... Secondo i soliti calendari che non dimenticano mai le ricorrenze da portare in campo, domenica prossima, 27 febbraio, dovremmo ricordarci tutti che è la giornata mondiale dedicata alla lingua materna! Una giornata con la quale portare alla coscienza degli uomini, che la lingua materna ed il suo libero uso rappresentano uno dei valori fondamentali dei diritti umani e civili del mondo contemporaneo. Ma vi siete mai chiesti in questi ultimi giorni di isterismo polemico generale che ha preceduto e succeduto la proiezione del film “Il cuore nel pozzo “, quante volte avreste preferito non farvi riconoscere in quanto appartenente ad una comunità nazionale diversa e quindi con diritto d’uso di una lingua diversa rispetto alla maggioranza? Perché per molti saremmo stati logicamente identificati con le malefatte del fascismo, con le provocazioni dei ministri Fini e Tremaglia, con i ritardi del governo Berlusconi nell‘attuare la Legge di tutela della minoranza slovena, con tutto il mondo politico italiano che non perde occasione per offendere e tentar di allungare le mani sul Paese vicino del quale siamo cittadini e, naturalmente, con alcuni degli esponenti della nostra minoranza che continuano a non voler riconoscere che la nostra Comunità è la meglio tutelata al mondo. Quante volte avreste preferito non dover rispondere a domande delle quali poco sapevate e delle quali, infondo, anche poco avrebbe dovuto importarvi se chi ve le rivolgeva non vi avesse ritenuto comunque 214
corresponsabile di una parte delle vicende storielle che lo sceneggiato aveva portato maldestramente in luce. Come avrebbero reagito se vi foste permesso di rispondere che del fascismo ne sapevate quello che avevate letto o vi avevano insegnato, che delle foibe ne sapevate ancora meno perché fino a una decina d’anni fa era tabù parlarne, che dell‘esodo ne sapevate qualcosa, perché la vostra famiglia era nella lista di coloro che avrebbero voluto andarsene e poi, per ragioni di povertà estrema, aveva preferito rimanere. Ma, soprattutto, come avrebbero reagito se infine aveste risposto che del passato ne sapevate abbastanza, per diretta esperienza, del cosiddetto potere popolare e del cinquantennio legato all’edificazione del socialismo. E che - almeno per i primi dieci anni - eravate convinto che fossero stati commessi anche dei crimini, non sempre giustificabili con le malefatte del fascismo? Tutto questo, soltanto perché volete continuare a parlare la vostra lingua materna? 24 febbraio 2005 Silvano Sau
Una delegazione del neoeletto governo sloveno, con a capo il primo ministro, Janez Janša, si incontra a Capodistria con una delegazione della Comunità Autogestita Costiera. Molte le promesse fatte, poche quelle mantenute.
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Governo Janša: i primi 100 giorni e la nostra comunità Si dirà che i termini non sono ancora scaduti del tutto. Il primo ministro Janez Janša, nell’assumere le redini del governo, ai rappresentanti delle due minoranze nazionali nel Parlamento sloveno aveva promesso che, nel giro di tre mesi, avrebbe dato una risposta sulle misure che avrebbe inteso approntare da lì a novanta giorni per risolvere i problemi minoritari. Non che si voglia essere pignoli fino al punto da contare i giorni e le ore, in fondo si sa che per un governo qualche giorno in più o in meno non è che significhi molto: l’importante é la volontà. Per il momento, in un certo qual senso, il governo ha dimostrato di volersi muovere nei confronti della minoranza ungherese con un incontro organizzato a margine di quello più generale con tutta la regione del Pomurje. Non conosciamo i risultati della mossa anche se non abbiamo avuto sensazione che dalle file dei magiari si sia sentito gridare al miracolo! Ma si sa che gli appartenenti alla minoranza ungherese sono meno propensi a lasciarsi andare a sentimenti di giubilo o di gratitudine. In fondo, sono radicati in una delle zone meno sviluppate dello Stato e, probabilmente, ha fatto bene il primo ministro a incontrarsi dapprima con loro. Anche nei confronti della Comunità italiana il neopromosso governo Janša ha dimostrato qualche elemento positivo: per esempio con il Decreto riguardante il lavoro dell’amministrazione statale, dove ha recepito le nostre osservazioni sull’uso della lingua minoritaria in quanto lingua ufficiale. Lasciateci dire però che, ugualmente, non ci sentiamo del tutto tranquilli: d’accordo non staremo lì a contare le ore ed i giorni, ma rimane il fatto che, almeno dal punto di vista delle finanze pubbliche i giochi sembrano essere ormai fatti per tutto il 2005. Non crediamo che le nostre esigenze, pur fatte pervenire adeguatamente e a tempo debito a chi di dovere, possano trovare risposta positiva al di là di quelle che sono le normative esistenti. Ma, allora, se le cose stanno effettivamente così, quale tipo di risposta possiamo attenderci dal governo: quella che ci ha dato fin dall’inizio, cioè che non proporrà misure nuove, ma realizzerà quelle già in vigore? 216
In quali settori? Nel settore dell’amministrazione pubblica? Oppure nel rispetto rigoroso dell’uso della lingua minoritaria? E per tutto il resto? Settore culturale, settore informativo, settore economico, settore..... Che ci si debba accontentare di una risposta che non arriverà mai? 10 marzo 2005 Silvano Sau
Bilancio approvato Siamo stati presenti a quasi tutti i dibattiti pubblici inerenti la proposta di bilancio di previsione del nostro Comune per il 2005. Ebbene, tolte alcune osservazioni fatte dai rappresentanti dei partiti d’opposizione, possiamo ben dire che, praticamente, non c’è stato dibattito: tutto è filato liscio fino all’approvazione definitiva in sede di Consiglio Comunale l’altra settimana. Il che ci fa pensare a due possibili conclusioni: o la proposta era talmente obiettiva e ragionevole da non suscitare perplessità, oppure la coalizione di maggioranza ed i partiti che la sostengono sono riusciti così bene a soddisfare le proprie esigenze da votare compattamente per il documento. In fondo, anche i rappresentanti della nostra Comunità nazionale hanno votato a favore, ritenendo – crediamo giustamente – che la proposta di bilancio avesse recepito le nostre richieste portandole a quell’indicizzazione che ormai sembra caratteristica di tutti i nostri finanziamenti. In ultima istanza, proprio sul filo del voto finale, è stata accolta anche la proposta avanzata dai nostri consiglieri per un’ulteriore seria verifica della voce presente nel bilancio riguardante l’inaugurazione a Isola di un nuovo monumento. Va detto – a proposito - che appena sentiamo parlare di monumenti ci sentiamo a disagio, dopo quello inaugurato l’anno scorso e dedicato ad eventi che nella popolazione isolana di allora avevano provocato sofferenze e dolori. La proposta presente nel bilancio di quest’anno prevede un nuovo monumento, questa volta dedicato alle cosiddette “fabbrichine” isolane, alle migliaia di operaie che nei decenni del secolo scorso hanno lavorato e faticato nei locali conservifici. Fin qui la proposta potrebbe essere 217
interpretata positivamente: se stiamo assistendo alla scomparsa degli impianti che hanno ospitato le fabbriche, rimanga a testimonianza di un’importante attività che aiutò in maniera determinante lo sviluppo della città almeno un modesto monumento. Il dubbio però viene fuori quando nella spiegazione si ribadisce che – su proposta di alcuni circoli culturali e di “valenti” storici – il monumento dovrebbe esser dedicato soltanto alle “fabbrichine” che venivano dalle località e dai villaggi circostanti dimenticando quelle residenti nel centro urbano. A nostro parere una differenziazione tra operaie insostenibile e inaccettabile, con il sospetto che il criterio adottato fosse stato ancora una volta quello nazionale. Se non altro perché, secondo noi, anche le opere artistiche ed i monumenti dovrebbero rappresentare un chiaro segno della volontà di convivenza che le popolazioni locali hanno sempre sostenuto: oggi come ieri e come, demagogie permettendo, anche domani. 24 marzo 2005 Silvano Sau
Anche dal nostro piccolo mondo: grazie Karol! La nostra lunga tradizione che sa esprimere tanta saggezza non è mai stata ricca per quanto riguarda i papi. Troppo importanti, troppo lontani e, contemporaneamente, troppo poco terreni e reali per poter alimentare la piccola e bonaria fantasia del nostro popolo. Tutto quanto ha saputo mettere insieme nella sua plurisecolare storia orale sa soltanto recitare che “morto un Papa se ne fa un altro”. È successo negli ultimi duemila anni e succederà certamente anche nei prossimi secoli. Eppure, la morte di papa Giovanni Paolo II non è stato un evento normale: nemmeno per noi, nel nostro piccolo mondo isolano e minoritario. Anzi, il papa stesso ancora in vita – e oggi già definito “Il Grande” - è stato di grandissima rilevanza politica per tutti, a prescindere dal credo politico o religioso. Tra i personaggi più grandi, se non il più grande, tra quelli che hanno contribuito a costruire in positivo la storia degli ultimi cento anni. Anche noi, come si diceva, nel nostro piccolo mondo isolano e minoritario gli siamo debitori di riconoscenza. Posti a vivere dalla parte spinosa di un confine che, pur definito il più aperto d’Europa, era pur sempre il confine che chiudeva a pochi passi da casa nostra quello che un altro grande, 218
Churchill, aveva definito “la cortina di ferro”. E se nell’ultimo decennio, abbiamo potuto finalmente respirare a pieni polmoni libertà, democrazia e pluralismo, lo possiamo fare anche perché Karol Woityla, dal giorno in cui è stato eletto papa 26 anni fa, è riuscito a dare le spallate definitive a quel Muro delle ideologie totalitarie facendolo crollare come fragili tessere di un domino che invece sembrava essere indistruttibile ed eterno. Senza nulla togliere ai meriti di coloro che in altri campi e in altre regioni hanno contribuito a costruire un possibile presente per un altrettanto possibile futuro, è a questo papa e alla sua visione di libertà e di solidarietà che dobbiamo gratitudine se oggi siamo cittadini europei. Cittadini di un’Europa che, pur se ancor sempre legata ai falsi miti dello Stato Nazione, va comunque acquisendo gli ideali del rispetto, della solidarietà, del diverso da tutelare. Non perché lo insegna la Chiesa, ma perché questo è il messaggio di civiltà che vogliamo insegnare nell’Europa dell’avvenire. Anche con l’aiuto del Papa. 7 aprile 2005 Silvano Sau
Il rappresentante dell’Unione Europea in Slovenia, Fuarèe, in visita di congedo a Palazzo Manzioli, a conclusione del suo mandato.
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I generali sorridono - i caporali? “Vi abbiamo visti tutti sorridenti al termine dell’incontro con il primo ministro sloveno, Janša!” – È stata questa la prima osservazione lanciata il giorno dopo da un collega commentando, le immagini viste al TG. “Certo – è stata la risposta – con i generali le foto di gruppo riescono sempre bene. I problemi arrivano quando bisogna discutere con i sergenti ed i caporali!” Si aspettava con una certa impazienza, effettivamente, questo incontro con il governo, facendo fede alle promesse scritte nel Contratto di coalizione stipulato prima che il premier incaricato prendesse in mano le redini della compagine governativa. I termini di tempo allora erano stati abbastanza chiari e su di essi la nostra Comunità aveva assunto tutta una serie di impegni anche materiali. Giustificata quindi l’impazienza, anche se ora parzialmente attenuata dalla promessa che entro la fine di questo mese ci sarebbe comunque stato un duplice incontro con alcuni ministri, quello per l’economia, quello per lo sviluppo regionale e quello per la cultura. Con il primo per discutere della necessità di trovare dei fondi con i quali proseguire alcune iniziative legate ai progetti europei; assieme al secondo per verificare la possibilità di modificare sostanzialmente la gestione dei mezzi derivanti dalla privatizzazione e che, formalmente, dovrebbero servire proprio per dare vita ad una base economica della nostra comunità minoritaria; con il ministero per la cultura, infine per discutere della possibilità di portare in vita, come previsto dalla Legge, un Ente pubblico culturale, e – non per ultimo, visto che è uscita dai suoi uffici – anche della proposta di Legge sulla Radiotelevisione che tante polemiche ha suscitato nell’opinione pubblica slovena e anche tra le file della nostra Comunità. Al primo ministro, accompagnato dal ministro degli esteri e da quello per la cultura, i rappresentanti della nostra Comunità hanno esposto Inoltre tutta una serie di problemi che richiedono un intervento da parte delle autorità. Gli interlocutori si sono dimostrati attenti e – come si usa dire – disponibili. Che non sarà facile risolverli, come dicevamo all’inizio, dipenderà dalla disponibilità dei funzionari nei singoli ministeri, ai quali verrà certamente demandata la responsabilità di verificare se, come e 220
quando darci ascolto. Presidenti e ministri, naturalmente, ci tengono a conservare l’immagine del sorriso bene in mostra! 21 apile 2005 Silvano Sau
E Napoleone? No, lui no ... per ora! Ad un anno dall’entrata della Slovenia nell’Unione Europea e a poco più di un anno dal momento previsto per il primo gennaio 2007, quando scompariranno definitivamente anche le sbarre ai valichi di frontiera e quando l’Euro diventerà l’unica moneta pure per noi, forse si sperava che delle sciagure del passato si sarebbe parlato e discusso di meno, dando spazio piuttosto ai progetti del presente e del futuro. Certo non ci saremmo aspettati che, dall’una e dall’altra parte di questo martoriato confine, gli ultimi mesi sarebbero stati nuovamente scompigliati da aspre polemiche nazionali e nazionalistiche. L’ultima in ordine di tempo la bravata di alcuni ragazzacci nel Goriziano e nella Selva di Tarnova. Credevamo fermamente che la volontà di convivenza avesse ormai messo radici salde su tutto il territorio e speravamo che le varie giornate della memoria e del ricordo non fossero altro che momenti per porre in risalto la necessità del rispetto reciproco delle popolazioni di confine. Invece, sembra che la voglia di dimostrarsi ad un tempo vittima ed eroe, una volta da destra e una volta da sinistra, non abbia ancora fatto il suo tempo: sparite le ideologie, sono rimasti i nazionalismi che sembrano essere duri da morire tra i giovani, ma, anche tra i più anziani, tra coloro che amano trincerarsi dietro il fatidico: “Non è per questo che abbiamo combattuto!”. Per una volta, quindi, lasciatemi essere semplicemente e solamente quello che ho sempre sognato di essere. Non appartenente ad un minoranza nazionale. Non uomo di frontiera. Non essere bilingue e pluriculturale. Non tanti aggettivi che, messi assieme, stanno a disegnare la mia diversità e la mia complessità personale, storica, culturale, sociale, economica. Non persona che ha bisogno di tutelare la propria identità individuale e collettiva per dimostrare di esistere. Ora, che da un anno sono cittadino europeo, vorrei sentirmi cittadino alla pari dell’italiano nato e vissuto a Firenze, alla pari del veneto nato e 221
vissuto a Venezia, Mestre, Padova, Verona, o meglio ancora, alla pari dello sloveno, nato a Lubiana ed ora vivente a Capodistria, Isola, Pirano. All’indomani delle celebrazioni del 25 e del 27 aprile, all’indomani dei festeggiamenti per il Primo Maggio, festa internazionale del lavoro e primo anniversario della mia rinascita europea, alla vigilia del 9 Maggio, giornata della Vittoria e giornata dell’Europa, alla vigilia e all’indomani di importanti anniversari era necessario, come elemento di disturbo storico, portare in campo anche il 90.esimo dell’entrata dell’Italia in guerra contro l’Austria nel maggio del 1915 per cercar di dimostrare, a chi ne è già convinto, che anche allora qualcuno ha sofferto di più per colpa dell’altro? E meno male che, per il momento, nessuno ha voluto portare in campo la venuta di Napoleone: magari per dimostrare che, anche in quell’occasione, l’Italia si stava avviando alla sua unità a danno dei propri vicini. 5 maggio 2005 Silvano Sau
Conoscere la storia per non ripeterla Potremmo definirlo, questo 2005, l’anno delle memorie e delle passioni controverse. In particolare questa prima decade di maggio, quando sembra si siano dati appuntamento tutti gli anniversari più scomodi, ma proprio per questo anche pìù importanti, dell’ultimo secolo. Controversi e importanti tanto di più se rapportati alla nostra regione e alle nostre popolazioni, quelle di oggi e quelle di ieri. Noi abbiamo voluto seguire con una certa attenzione soprattutto quelle testimonianze che in qualche maniera riguardavano il presente e il passato della nostra piccola realtà isolana. Per quanto piccoli anche noi abbiamo cercato di darvi un pur modesto contributo, convinti che il passato è bene conoscerlo per non cadere in futuri equivoci, perché – come ebbe a dire qualcuno – chi non conosce la storia è condannato a ripeterla. E come tutte le piccole storie della nostra regione, che messe assieme hanno costituito una parte della Grande storia del secolo scorso, pure la nostra ha portato alla luce valutazioni e valori diversi. Proprio per questo è necessario conoscerli, per trarne alla fine una valutazione di massima per quanto possibile giusta, obiettiva e non offensiva per una parte di quelle genti che già la storia ha provveduto a far soffrire. 222
L’ultima testimonianza in ordine di tempo, quella di un Isolano che – pur nel suo piccolo – parte di questa storia l’ha vissuta e costruita. Il volume “Dall’armistizio all’esodo – Ricordi di un esule d’Isola d’Istria” di Olinto Parma, pubblicato dall’IRCI e dalle Edizioni Italo Svevo di Trieste, merita di essere ricordato perché rappresenta una delle opere più complete e – possiamo ben dirlo – anche più imparziali e obiettive su quelle che sono state le vicende della nostra cittadina in quel periodo di tempo che andò, appunto, dall’armistizio al 1954/56. Episodi che l’una o l’altra parte avevano provveduto a mascherare rivestendoli delle varie ideologie di comodo, vengono presentati nella loro reale dimensione. A volte addirittura nella loro disarmante banalità. Ma, soprattutto, il libro rappresenta una preziosa raccolta di documenti e di fonti per una successiva ricerca che potrebbe far piena luce anche su altri avvenimenti di Isola che, per il momento, sono ancora avvolti nelle pastoie della storia confezionata da qualcuno a proprio uso e consumo. 19 maggio 2005 Silvano Sau
2 giugno: Festa della Repubblica Italiana Ce lo siamo chiesti alcune volte, in occasioni come questa, quale significato avesse per noi il 2 giugno, Festa della Repubblica Italiana.Avevamo proposto pure che la ricorrenza venisse ricordata da parte della nostra Comunità con qualche manifestazione che ne segnasse il valore affettivo, ma anche quello storico e politico. In fondo, dicevamo, le nostre radici, che affondano profondamente nei valori dell’antifascismo più autentico, hanno contribuito alla nascita di questo Stato moderno e democratico dal quale, non per nostra volontà, siamo stati esclusi. Oggi, con la nostra inclusione nelle integrazioni dell’Europa Unita, possiamo sostenere di essere compartecipi di una cittadinanza comune e collettiva, che soltanto in parte ci gratifica di quanto ci è stato sottratto nei decenni trascorsi: in fatto di partecipazione alla vita del territorio, di mantenimento della propria lingua e cultura, di tutela delle proprie tradizioni e della propria identità. Al di là della retorica e delle demagogie, quindi, il 2 giugno potrebbe e dovrebbe diventare il momento di reciproco riconoscimento tra una matrice nazionale alquanto distratta ed una sua componente – pur se minoritaria – 223
ancora lontana e con sentimenti spesso avvizziti dal lungo e doloroso distacco. Non per rivangare deludenti giornate della memoria o del ricordo, che ora trovano la contromedaglia anche dall’altra parte del confine con l’istituzione del 15 settembre a giornata di festa nazionale, ma piuttosto per rinsaldare importanti vincoli di amicizia e di parentela culturale che la lunga lontananza ha ormai compromesso in molti dei suoi aspetti più significativi. Per ripristinare, in chi ne è rimasto per troppo tempo a secco, un normale sentimento di orgoglio, di appartenenza ad un corpo nazionale e culturale che, dopo tutto, proprio in nome di questa comune appartenenza, ha saputo nel passato affrontare importanti prove di sacrificio e di umiltà. 2 giugno 2005 Silvano Sau
Durante la cerimonia per la Festa della Repubblica Italiana, il Console generale d’Italia a Capodistria, Bruno Scapini, mentre consegna l’onorificenza di Commendatore della Repubblica a Lilia Peterzol per meriti conseguiti nel mondo della scuola minoritaria.
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Governo e minoranza: non c’è motivo di soddisfazione Insomma, questo governo di centro-destra o di destra, dipende da come usa definirsi da solo in determinate occasioni, è più o meno aperto nei confronti della nostra comunità nazionale, rispetto a quello precedente di centro-sinistra o di sinistra, dipende da come usava definirsi da solo in determinate occasioni? È una domanda che ricorre spesso nei dibattiti tra i nostri connazionali, sia a livello istituzionale che privato, colloquiale. A nostro parere, è una domanda che non comporta alcuna risposta seria, in quanto fa il paio con il quesito d’antica memoria popolare sul bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, né può essere adottato quale metro di misura, in positivo o in negativo, la generale sensazione per cui tutti, ma proprio tutti, si aspettavano un trattamento ben peggiore rispetto a quello in atto. Il fatto che questo governo e questa coalizione di maggioranza non ci abbia preso ancora a calci in faccia non vuol dire che sia disposta a concedere qualcosa di più, in fatto di diritti, rispetto a quello che già oggi le disposizioni normative e la prassi (manchevole quanto mai) già non prevedano e non dispongano. In fondo, anche il famoso articolo undici dell’Accordo firmato dai partiti della coalizione in vista della formazione del nuovo governo, pur rappresentando un’importante novità rispetto alle coalizioni dei governi precedenti, non promette niente di diverso. Abbiamo sottomano due esempi molto chiari di quanto stiamo cercando di dire: la proposta di Legge sulla RTV, ormai nella fase finale della procedura di approvazione in Parlamento, e la proposta di revisione del bilancio per il 2005, pure al traguardo dell’iter parlamentare. Affermare, a conti fatti, che le due proposte possano esser definite giuste ed eque nei nostri confronti sarebbe certamente una grossa forzatura. Perché? Semplicemente, perché chiedevamo cento, e ci è stato concesso soltanto venticinque (cioè un quarto). La generale sensazione che comunque ci sia stato offerto molto dipende dal fatto che, già in partenza, non speravamo più di cinque o dieci. Fate un po’ il conto: se chiedevamo cento, vuol dire che le nostre necessità non erano molto al di sotto. Il fatto che ci è stato concesso 225
soltanto un quarto, vuol dire che anche questo governo ha preferito nicchiare per il 75 per cento. Magra consolazione, poi, sottolineare che, in fondo, avrebbe potuto negarci anche quel quarto che, comunque, ci è stato concesso. Come ebbe a dire un nostro antico conoscente: date tempo al tempo, non sarebbe saggio togliersi i sassolini dalle scarpe in un solo colpo. C’è anche domani! 16 giugno 2005 Silvano Sau
A settembre...? È stata dura resistere tutto l’anno e raggiungere la fine di giugno, termine quando la redazione del Mandracchio decide di andare in ferie fino ai primi giorni del prossimo settembre. È stata dura anche decidere di smettere, perché come sempre, proprio nei mesi più caldi gli argomenti che riguardano la nostra Comunità diventano ancora più caldi e numerosi. Purtroppo, e non è soltanto un modo di dire, riguardano appunto solo la nostra Comunità, nella sua piccola o grande soggettività che sia: gli altri, la cosiddetta collettività di maggioranza si guarda bene dal farsi avanti, anche quando è chiamata in prima persona e a viva voce a intervenire e far rispettare quanto Costituzione, leggi e normative vigenti assicurano. Gli ultimi esempi? Abbiamo voluto sintetizzarli in due domande poste all’ultimo Consiglio Comunale? Primo esempio: Un dibattito pubblico riguardante un importante progetto edilizio (la prevista autostrada), che interessa direttamente la popolazione locale che per statuto comunale è dichiarata nazionalmente mista, può esser ritenuto valido se non organizzato secondo le norme vigenti che garantiscono – appunto – l’uso delle due lingue ufficiali sul territorio? Secondo esempio: un bando di concorso, pubblicato da un Ente Pubblico di proprietà del nostro Comune, che si rivolge alla popolazione in cerca di un possibile concessionario di una sua attività specifica, può esser ritenuto valido se non in armonia con le clausole statutarie e di legge riguardanti l’uso delle due lingue ufficiali sul territorio? 226
Non sappiamo se riceveremo una risposta soddisfacente. Non sappiamo, soprattutto, se le nostre proteste verranno accolte e le storture del sistema riparate. Abbiamo l’impressione che ormai territorio e popolazione ci siano sfuggiti completamente di mano e – dove necessario – siamo ancora tollerati: ma stando bene attenti a non fare anche il minimo passo a meno che non sia strettamente necessario. Un po’ come l’asino al quale il contadino ha cercato di imparare a sopravvivere mangiando sempre meno. Finché….. …. Comunque fino al prossimo settembre, quando – speriamo – ci ritroveremo! 30 giugno 2005 Silvano Sau
E noi, che cosa dovremmo celebrare? In questo scorcio piovoso di questa altrettanto piovosa e inconsueta estate, il nostro Mandracchio si ripresenta proprio nel giorno quando la Slovenia ha deciso di celebrare per la prima volta il 15 settembre come festa nazionale, o, come l’ha definita, giornata del ritorno del Litorale alla Madrepatria. Noi abbiamo avuto più volte occasione di esprimerci in merito alle varie giornate, che siano della memoria, del ricordo o – come in questo caso – del ritorno. Abbiamo rilevato che nelle vicende storiche tra popolazioni nazionalmente miste lungo fasce confinarie solitamente le ragioni si trovano spesso contrapposte e contrastanti, per cui, quando assurgono a motivo di celebrazione, possono provocare inutili sentimenti di discordia e di sofferenza. In particolare, quando si tratta di vicende storiche svoltesi all’indomani di sanguinosi conflitti armati che hanno sconvolto non soltanto la regione, ma tutto il mondo, il richiamarsi alle vittorie o alle sconfitte subite per innalzarle a simbologia nazionale, potrebbe significare una rinnovata volontà di non proseguire sulla via della comprensione, dell’amicizia, della reciproca fiducia.
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In questo senso negli ultimi anni abbiamo avuto esempi non troppo edificanti né dall’una né dall’altra parte, anche se pensavamo che ormai – all’insegna dell’Europa e della comune cittadinanza – sarebbe stato ormai un capitolo da relegare effettivamente alla storia ed agli storici. Noi, che queste vicende le abbiamo vissute sulla pelle per mezzo secolo – è questa la domanda che ci poniamo – che cavolo mai avremmo da celebrare? Una risposta per niente stimolante e propositiva ci viene proprio dalla manifestazione centrale di questa sera a Portorose, da come è stata organizzata e dall’impronta ideologica che le è stata data. Noi, in quell’impronta non ci siamo riconosciuti, né come cittadini, né come appartenenti ad una comunità nazionale minoritaria che ha le proprie origini proprio negli eventi che ora si vogliono festeggiare. 15 settembre 2005 Silvano Sau
Il Console Generale d’Italia a Capodistria, Carlo Gambacurta, in visita di cortesia a Isola, a colloquio con il sindaco, Breda Peèan.
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Dimmi dove vivi, ti dirò chi sei… Si dice che con il passare degli anni l’uomo finisca con l’identificarsi con l’ambiente che lo circonda e con il quale è cresciuto e vissuto diventando parte integrante di esso. Anzi, si dice, che con il passare dei decenni l’uomo finisce con l’acquisire le stesse caratteristiche e le stesse sembianze del territorio che l’ha ospitato e visto crescere nel corso della sua vita. Probabilmente c’è qualche fondo di verità in tutto questo, poiché non raramente succede che si riesca a definire l’origine campanilistica di una persona, al di là delle conoscenze, delle sembianze fisiche e dei modi di dire. Tuttavia, pur avendo trascorso quasi tutta la mia esperienza di vita in questo piccolo territorio, dalla storia lunga e non sempre entusiasmante, negli ultimi anni sento crescere un disagevole distacco tra il mio sentimento di appartenenza ad una struttura sociale e urbana e quello della mia appartenenza ad un suo presunto tessuto storico e umano. Presunto, perché ormai passato, scomparso, inesistente. È probabile che questo senso di profondo disagio sia il risultato dei grossi mutamenti che, soprattutto nell’ultimo decennio, sono intervenuti nell’assetto territoriale ed urbanistico della mia città. Forse addirittura più che a causa dei tumultuosi cambiamenti avvenuti nell’ultimo mezzo secolo a livello demografico, economico e sociale. Si dice che negli ultimi decenni la vita ed i processi che ad essa sono collegati – quindi anche le città – cambiano più rapidamente di quanto l’uomo sia capace di adeguarvisi. Sarà vero, ma è anche vero che a modificare l’ambiente è sempre e comunque l’uomo. Quindi costruisce un ambiente nel quale sa di doversi insediare e nel quale sa di dover domani abitare. A meno che…. Ecco, a meno che… a meno che l’ambiente che sta progettando e costruendo non lo costruisca per sé, ma lo destini ad un ipotetico mercato, del quale pensa di interpretare i gusti e le capacità materiali, prima che intime e spirituali. Ed ecco allora… che può subentrare quel senso di distacco che è risultato di interventi su un territorio che, rapidamente, sta perdendo le sue caratteristiche storiche, culturali, ambientali e naturali originarie. 229
Sono queste perplessità che dovrebbero essere all’ordine del giorno dell’odierna seduta del Consiglio Comunale, quando discuterà delle diverse proposte di importanti e non sempre giustificati e ponderati interventi sull’ambiente e sul territorio. Partendo dal principio che non sempre, se confrontato con quanto ti offre ancora la natura, il cemento è portatore di sviluppo. 29 settembre 2005 Silvano Sau
Una lettera d’amore Giornali e riviste, facendo seguito all’ultima riunione del Consiglio Comunale di Isola, si soffermano in questi giorni sugli aspetti più vistosi e – oseremmo dire – esotici delle proposte trattate e riguardanti l’assetto territoriale del Comune. Noi ne abbiamo parlato già nel numero precedente. Per non ripeterci – a mo’ di commento – vogliamo presentarvi di seguito un riassunto della lettera che nel lontano 1854, il Capo Seattle della tribù pellerossa Suwamish inviò al Gran capo bianco di Washington, il Presidente degli Stati Uniti Franklin Pierce, che propose l’acquisto di una grande estensione di territorio sul quale vivevano i pellerossa. Ancor oggi la lettera viene considerata come la più bella e profonda dichiarazione d’amore alla natura e all’ambiente. La dedichiamo a chi ha a cuore il futuro della nostra città. “Il Grande Capo a Washington ci manda a dire che desidera comprare la nostra terra. Come possiamo comprare o vendere il cielo? Il calore della terra? Se non sono nostri la freschezza dell’aria e lo scintillio dell’acqua, come potete comprarli? Ogni parte della Terra per noi è sacra. Ogni lucente ago di pino, ogni spiaggia sabbiosa, ogni bruma nei boschi oscuri è santa nella nostra memoria e nella nostra esperienza. La linfa che scorre attraverso gli alberi trasporta la nostra memoria e la nostra esperienza. La linfa che scorre dentro gli alberi trasporta le nostre memorie. Noi siamo parte della Terra ed essa è parte di noi. I fiori profumati sono le nostre sorelle, il cervo, il cavallo, la grande aquila, questi sono nostri fratelli. Le creste rocciose, la rugiada dei prati, il corpo caldo del cavallo, e dell’uomo, tutto appartiene alla stessa famiglia. L’acqua lucente che si muove in torrenti 230
e fiumi non è semplicemente acqua, ma il sangue dei nostri antenati. Il mormorio dell’acqua è la voce del padre di mio padre. I fiumi sono nostri fratelli, estinguono la nostra sete. Le onde trasportano le nostre barche e nutrono i nostri figli. L’aria è preziosa per l’uomo, perché tutte le cose condividono lo stesso respiro - l’animale, l’albero, l’uomo, tutti condividono la stessa aria. Il vento che diede il primo respiro ai nostri antenati, riceve anche il loro ultimo sospiro. Questo sappiamo - la Terra non appartiene all’uomo - l’uomo appartiene alla Terra. Tutte le cose sono connesse come il sangue che unisce una stessa famiglia. Quello che accade alla Terra - accade ai figli della Terra. L’uomo non tesse la trama della vita - è semplicemente un filo in essa. Quello che fa a Lei, lo fa a se stesso. Così, se vi vendiamo la nostra terra, amatela come noi l’abbiamo amata. Conservate nella vostra mente la memoria della terra come era quando l’avete ricevuta. Conservate la terra per tutti i vostri figli e amatela come Dio ama tutti voi.Come noi siamo parte della terra, anche voi siete parte della terra. Siamo fratelli dopo tutto. E’ la fine della vita e l’inizio della sopravvivenza?” 13 ottobre 2005 Silvano Sau
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