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VIAGGIO IN SICILIA
a cura di edited by Valentina Bruschi nona edizione ninth edition
2021 - 2022
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Lampada Lamp , sec. XVIII-XIX (dettaglio detail ) rame traforato, sbalzato e cesellato fretworked, embossed and chiseled copper h 64 x Ø 43 cm inv. 7259
Scritti Writings
.
Prefazione Preface
Valentina Bruschi
....................................................................p.04
Introduzione
‘L’arabico ormai si parlava dall’universale’. Storie di forme e immagini mai interrotte a Palazzo Abatellis
Introduction
‘Arabic Then Was Spoken by All’: Stories of Enduring Forms and Images at Palazzo Abatellis
Evelina De Castro
....................................................................p.08
Il disegno di Salinas nella raccolta di Amari
A Drawing by Salinas in the Amari Papers
Benedetta Fasone ....................................................................p.16
I Manufatti in metallo di Palazzo Abatellis
Metalwork in the Palazzo Abatellis Collection Valeria Sola ....................................................................p.28
Come si può essere siciliani
To Be Sicilian Vito Planeta ....................................................................p.34
FOTOGRAFIA PHOTOGRAPHY
.
Matteo Buonomo
Introduzione, intervista, opere
Introduction, interview, works ....................................................................p.40
Matteo Buonomo
Visual essay ‘La strada’ Visual essay ‘The Road’ ....................................................................p.56
Testi Di Viaggio Travelogues
Chiara Barzini
Egualmente estranei, egualmente reali Equally Strange and Equally Real ....................................................................p.66
Gily Lavy Journey XII ....................................................................p.92
MOSTRA EXHIBITION
Oltre l’orientalismo
Beyond Orientalism
Valentina Bruschi
...................................................................p.102
Documentazione fotografica mostra Installation views
Filippo M. Nicoletti ..................................................................p.119
ARTISTI ARTISTS
Bea Bonafini
Introduzione, intervista, opere
Introduction, interview, works
..................................................................p.138
Gili Lavy
Introduzione, intervista, opere
Introduction, interview, works ..................................................................p.150
Emiliano Maggi
Introduzione, intervista, opere
Introduction, interview, works ..................................................................p.164
Diego Miguel Mirabella
Introduzione, intervista, opere
Introduction, interview, works ..................................................................p.174
BIOGRAFIE E BIBLIOGRAFIE BIOGRAPHIES & BIBLIOGRAPHIES p.188
COLOPHON p.190
Il presente volume racconta le due fasi di Viaggio in Sicilia #9: la residenza nomade degli artisti Bea Bonafini, Gili Lavy, Emiliano Maggi, Diego Miguel Mirabella con la scrittrice Chiara Barzini e il fotografo Matteo Buonomo che si è tenuta nell’ottobre del 2021 e la mostra, realizzata tra maggio e luglio 2022, in collaborazione con l’Assessorato Beni Culturali e dell’Identità Siciliana della Regione Sicilia, il Dipartimento Beni Culturali e dell’Identità Siciliana e la Galleria Regionale della Sicilia –Palazzo Abatellis.
La nona edizione di Viaggio in Sicilia – progetto di Planeta Cultura per il Territorio prende il titolo Coppe di stelle nel cerchio del sole, da alcuni versi particolarmente suggestivi del poeta arabo Ibn Al-Qattâ (Sicilia, 1041 – Il Cairo, 1121), citati anche dall’antropologo Antonino Buttitta relativamente al rapporto tra la Sicilia e la cultura del vino, riferiti al vino e ai fenomeni naturali, traccia preziosa di una ricca produzione e di un incancellabile intreccio di culture che ha caratterizzato la Sicilia medievale. La residenza nomade si è svolta nei territori dell’azienda Planeta e in alcuni luoghi della Sicilia dove sopravvivono influenze arabe, da Palermo a Gagliano Castelferrato, da Troina a Sciacca. I partecipanti hanno avuto modo di conoscere una Sicilia insolita e fare esperienza della natura fluida della sua cultura durante il periodo particolare del rituale antico della vendemmia sull’Etna. Alla base del progetto espositivo, e parte integrante della sua realizzazione, si è posto l’impegno dell’azienda Planeta per la sponsorizzazione del restauro di un nucleo di opere inedite delle collezioni islamiche provenienti dai depositi di Palazzo Abatellis, selezionate dalla Galleria ed esposte al pubblico per la prima volta in questa occasione. Queste opere raccontano storie di passaggi d’uso, in cui le forme e i repertori, la calligrafia, le figure e le stilizzazioni geometriche e fitomorfiche, provenienti da modelli aulici, divengono fonti per gli artisti contemporanei.
This catalogue is dedicated to the two phases of the project Viaggio in Sicilia #9: the nomadic residency and the exhibition that followed it. The invited artists – Bea Bonafini, Gili Lavy, Emiliano Maggi and Diego Miguel Mirabella – travelled through Sicily in October 2021 with the writer Chiara Barzini and the photographer Matteo Buonomo. The exhibition was held between May and July 2022 in collaboration with the Council of Cultural Heritage and Sicilian Identity, the Department of Cultural Heritage and Sicilian Identity and Palermo’s Regional Gallery of Sicily, Palazzo Abatellis.
The ninth edition of Viaggio in Sicilia – Planeta’s project for Culture, Community and Environment – is entitled Chalices of Stars Within the Sun’s Circle, from certain particularly suggestive verses by the Arabic poet Ibn Al-Qattâ (Sicily, 1041 – Cairo, 1121), also quoted by the anthropologist Antonino Buttitta in connection to the relationship between Sicily and the culture of wine. Referring to wine and natural phenomena, the poem is a precious record of a rich artistic tradition and of the indelible intertwining of cultures that characterised medieval Sicily.
The nomadic artist’s residency took place throughout the estates of Planeta winery and in certain Sicilian locations where Arab influences still survive, from Palermo to Gagliano Castelferrato, from Troina to Sciacca. The resident artists became acquainted with an unusual Sicily – and the fluid nature of its culture –during the singular period of Etna’s ancient ritual grape harvest. A factor underpinning the exhibition project, fundamental to its fruition, was Planeta’s commitment to sponsoring the restoration of a nucleus of previously unseen artworks in the Islamic collections of Palazzo Abatellis.
The works were selected by the gallery for this occasion, marking their first-ever display to the public. The chosen artefacts tell stories of changes in use, exemplifying forms and repertoires (geometric motifs and patterns, calligraphy and botanicallyinspired figures) derived from courtly models, which become sources for contemporary art.
by VALENTINA BRUSCHI
INTRODUZIONE
INTRODUZIONE
‘L’arabico ormai si parlava dall’universale’. Storie di forme e immagini mai interrotte a Palazzo Abatellis
“Possiamo argomentare che le preghiere che il possente ammiraglio di Sicilia volgea nel segreto della sua mente al Dio de’ Cristiani, suonassero in arabico e ch’egli, dedicando il sontuoso tempio edificato in Palermo, avesse voluto iscrivervi, nella forma stessa che usavasi la su l’Oronte, le preghiere mattutine tenute a mente fin dalla sua fanciullezza”.
Così Michele Amari rende viva, reale e umana la figura di Giorgio d’Antiochia, il Grande Ammiraglio, fondatore a Palermo della chiesa di Santa Maria a lui intitolata, Santa Maria dell’Ammiraglio, detta la Martorana.
In tal modo molto empatico, come abusiamo dire ai nostri giorni, Michele Amari nel 1872 dipana uno dei nodi più complessi del Medioevo mediterraneo, storia e cultura tout court, di maggiore se non esclusiva, evidenza artistica.
Destinato ad assumere grande statura alla corte di Ruggero, Giorgio d’Antiochia nacque “di schiatta cristiana” in Siria, là dove scorre l’Oronte e dove ‘l’arabico ormai si parlava dall’universale [...] Che s’ei non ignorava la lingua dei suoi maggiori e della Chiesa orientale, quell’altra gli tornava forse piu familiare [...] Nella prima metà del XII secolo la Sicilia era mezzo araba; Giorgio d’Antiochia più che mezzo. Oltre l’arabico e il greco, Giorgio intendea forse il latino, parlava forse il francese, di certo l’italiano e siciliano”.
Già alcuni decenni prima, nel 1849, Amari aveva segnato la dritta via traducendo l’iscrizione araba nella cimasa della Cuba di Palermo celebrativa del fondatore Guglielmo II. I grafemi arabi sono al tempo stesso portatori di significati letterali e forme autonome di comunicazione visiva indipendentemente dal contenuto. Su queste due rette parallele si muove la storia dell’arte islamica in Sicilia, dalle preesistenze, molto poche, ai revival frequenti nella storia.
Profondo conoscitore dell’arte in Sicilia e della Sicilia tutta, Cesare Brandi così scrive in A passo d’uomo: “La Sicilia araba chiusa in sé stessa. Sicchè si deve piuttosto ai Normanni che agli Arabi una diffusione di arabismo di seconda mano…” Il primo ritorno della cultura figurativa islamica in Sicilia, dopo una cesura lunga oltre un secolo, si deve dunque ai Normanni in quanto committenti aulici. Con un salto nel futuro, si arriva al collezionismo di fine Ottocento che unifica l’Italia dei musei anche attraverso la ricerca delle tracce del passato islamico. Tracce che in Sicilia, grazie all’Amari e ai giovani del suo vivaio fra i quali Antonino Salinas, divengono orme profonde da studiare e raccogliere come segni di un passato che rifulgesse l’unicità della storia e dell’arte in Sicilia nell’età medioevale così come nell’età antica. Legno e metallo, supporti privilegiati per la scrittura come repertorio visivo dell’arte islamica, si disponevano nelle “stanze degli oggetti arabi” dell’antico Museo Nazionale con un gusto per l’horror vacui intorno ai fondamentali reperti lapidei “edili” come li definiva l’Amari: sopravvivenze della Palermo normanna riconosciute anche nella loro importanza artistica.
Il repertorio epigrafico, tornato ad essere documento negli studi dell’Amari (Fasone, infra), è repertorio visivo e decorativo sia nei metalli di epoche varie e funzioni diverse (Sola, infra) che nella pittura.
Si credeva perduta la riproduzione del “singolare squarcio di liturgia cristiana, dettato nella stessa lingua delle sentenze coraniche” scoperto nel 1871 nel corso dei lavori condotti a Santa Maria dell’Ammiraglio da ‘due valenti giovani siciliani’ membri della Commissione di Antichità e Belle Arti, l’ingegnere Giuseppe Patricolo e il professore di Archeologia Antonino Salinas. Michele Amari anticipa la sensazionale scoperta: alla base della cupola della Martorana, tutta incrostata di mosaici greci, “gira sotto il mosaico l’iscrizione arabica, dipinta in bianco sovr’assi di abete, ciascuna delle quali è fitta nella fabbrica con due grossi chiodi”. Il Patricolo ricalca l’iscrizione dipinta su tavole di legno di circa un metro ciascuna, alcune delle quali sostituite nel corso dei secoli e dipinte a “brutti scarabocchi” (Salinas). I lucidi delle 16 tavole vengono riprodotti su tavolette alcune delle quali vengono messe in bella mostra in una delle tre “stanze” originariamente dedicate agli “oggetti arabi” nel Museo Nazionale di Palermo diretto dal Salinas che, nella sua Guida popolare del 1882, ne riporta la traduzione dell’Amari: il Sanctus, l’Osanna e il Gloria in excelsis; preghiere cristiane mattutine che, scritte in arabo e nascoste sotto gli sfavillanti mosaici bizantini, costituirono agli occhi dei dotti scopritori “uno dei più notevoli documenti di questa mescolanza di lingue e di culti che regnava in Sicilia nell’epoca normanna” (Salinas). L’interesse filologico prevalse e poco o nulla si scrisse sulla sorte dei reperti originali. I lucidi riportati su tavolette furono dipinte in rosso e elegantemente completate in oro forse dal Giarrizzo, allora giovane artista diviso tra documentazione grafica e pittura vicino al Salinas.
Fonti bibliografiche:
Documentazione fotografica della “Sala Araba” presso il Museo Nazionale di Palermo.
Riproduzione archivio fotografico Galleria
Regionale della Sicilia - Palazzo Abatellis.
Photographic documentation of the “Sala Araba” in the National Museum of Palermo.
Reproduction photographic archive
Galleria Regionale della Sicilia - Palazzo Abatellis.
Introduction
‘Arabic Then Was Spoken by All’: Stories of Enduring Forms and Images at Palazzo Abatellis
‘We may surmise then that the prayers of the mighty admiral of Sicily, turned in the seclusion of his mind to the God of the Christians, were pronounced in Arabic and that he, as he christened that sumptuous temple erected in Palermo, had wanted inscribed there, in the same form employed upon the Orontes, the morning prayers preserved in his mind from boyhood.’
With these words, Michele Amari restored life, reality and humanity to the figure of George of Antioch, the Commander of Commanders, founder of the church of Santa Maria dell’Ammiraglio, named in his own honour (as admiral, ammiraglio) and known as the Martorana. In this so empathetic a way, as we too often say of late, in 1872 Michele Amari untangled one of the most complex mysteries of the Mediterranean middle ages, of their history and culture tout court. A mystery negotiated through evidence largely, if not exclusively, artistic.
Destined to attain great prestige at King Roger’s court, George of Antioch was born ‘to Christian stock’ in Syria, where the Orontes flows and where ‘Arabic then was spoken by all [...]. For all that he wanted not in the tongue of his superiors and of the Western Church, that other perhaps returned to him more familiarly [...]. In the first half of the twelfth century, Sicily was half Arab; George of Antioch more than half. Besides Arabic and Greek, George perhaps knew Latin, perhaps spoke French, and most certainly Italian and Sicilian.’ Amari had already paved the way some decades before, in 1849, when he had translated the Arabic inscription on the cornice of the Cuba in Palermo in celebration of William II. Arabic graphemes are at once vehicles of literal meanings and autonomous forms of visual communication irrespective of their
by EVELINA DE CASTRO
content. The history of Islamic art in Sicily has followed these two parallel courses, from a very few early foreshadowings to latter times’ series of recurring revivals.
In A Passo d’Uomo, writing from a profound knowledge of Sicilian art and of Sicily as a whole, Cesare Brandi observed an ‘Arab Sicily closed upon itself. Therefore we owe rather to the Normans than to the Arabs the diffusion of a second-hand Arabism’. Thus the first reprise of Islamic figurative culture in Sicily arrived, after a hiatus of more than a century, by merit of the Normans in their capacity as aristocratic patrons. Leaping forward into the late nineteenth century, a widespread collecting vogue unified museums’ vision of Italy, not least through its pursuit of traces of an Islamic past. In Sicily, thanks to Amari and to his young acolytes – Antonino Salinas amongst them – those traces duly became profound footprints to be investigated and gathered; signs of a past that seemed to repudiate any single history or any single artistic culture, as much in the middle ages as in antiquity. Wood and metal were preferred supports for the writing that served as Islamic art’s visual repertory. Such works were exhibited in the rooms dedicated to ‘Arabian Objects’ in the erstwhile National Museum, arrayed with a weakness for horror vacui around a crucial group of stone ‘construction’ materials, as Amari defined them: surviving material testimony of Norman Palermo, notable also for its artistic importance. The Arabic epigraphic repertoire, returned to its function as documentation through Amari’s research (discussed by Benedetta Fasone in this volume), formed a visual and decorative repertoire for metalwork of different eras and functions (discussed here by Valeria Sola), as indeed in painting. Long believed lost were the copies of the ‘singular fragment of Christian liturgy, inscribed in the same tongue as Koranic judgements’ discovered in 1871 during the course of works conducted at Santa Maria dell’Ammiraglio by ‘two valiant young Sicilians’, both members of the Antiquities and Fine Arts Commission: the engineer Giuseppe Patricolo and the archaeology professor Antonino Salinas. This sensational discovery confirmed Michele Amari’s conjectures: at the base of the Martorana’s cupola, entirely encrusted with Greek decoration, ‘there winds beneath the mosaic an Arabic inscription, painted in white upon pine-wood panels, each of which is set neat in its surrounds with two robust nails’. Patricolo painstakingly traced the inscription painted on the wooden panels, each approximately a metre in length, some of which had been replaced over the course of the centuries and painted only with ‘crude scrawls’ (Salinas). The tracings of the 16 panels were reproduced on smaller panels, some of which served as showpieces in one of the three rooms originally dedicated to ‘Arabian objects’ in the Nation Museum of Palermo under Salinas’ direction. In Salinas’ own 1882 Guida Popolare (‘Public Guide’), he cited Amari’s translation: the Sanctus, the Hosanna and the Gloria in Excelsis; Christian morning prayers, which – written in Arabic and hidden beneath dazzling Byzantine mosaics – formed, in the eyes of their learned discoverers, ‘one of the most notable of all documents of this mixing of languages and faiths that reigned throughout the Sicily of the Norman epoch’ (Salinas). Philological interests prevailed and little or nothing was written of the fate of the original articles, but rather of the tracings transferred to smaller panels. These panels were duly painted in red and elegantly finished in gold, perhaps by Giarrizzo, then a young painter also active in the field of visual scholarship and close to Salinas.
Bibliography:
Amari, Michele, ‘Iscrizione arabica nella cupola della chiesa di Santa maria dell’Ammiraglio chiesa della Martorana’, Palermo 1872
Salinas, Antonino, Guida popolare del Museo Nazionale di Palermo, Palermo 1882
Documentazione fotografica della “Sala Araba” presso il Museo Nazionale di Palermo.
Riproduzione archivio fotografico Galleria
Regionale della Sicilia - Palazzo Abatellis.
Photographic documentation of the “Sala Araba” in the National Museum of Palermo.
Reproduction photographic archive
Galleria Regionale della Sicilia - Palazzo Abatellis.
by EVELINA DE CASTRO
Il disegno del frammento marmoreo ritrovato da Antonino Salinas a Palazzo Reale nella raccolta documentaria di Michele Amari della Galleria Regionale della Sicilia
Antonino Salinas (?), aprile 1874 Disegno di iscrizione araba della lastra di marmo proveniente dal magazzino di Palazzo reale di Palermo,
Carta (2 fogli incollati lungo il margine inferiore), matita blu e inchiostro bruno, 54.3 x 38.8 e 23 x 34.4 cm; lungh. totale 70 x 38.8 cm.
Si legge sul retro, “n. 96”, segnato con matita rossa. Inedito.
Si riferiscono qui i primi esiti di studio sul documento inedito, che fa parte di una singolare raccolta di facsimili consistente ed eterogenea, conservata presso l’Archivio della Direzione di Palazzo Abatellis, di cui è tutt’ora in corso lo studio e la catalogazione.
Il documento consiste in un disegno che rappresenta graficamente a matita blu le lettere di una iscrizione in arabo e riporta il n. 96 a matita rossa1. A sinistra in basso si legge in corsivo l’indicazione del soggetto raffigurato: “Lastra di marmo con lettere e ornati incavati. Magazzino di Palazzo Reale”. Sulla destra del documento, si aggiunge la lettura di una nota ad inchiostro bruno: “Dal Prof. Salinas ricapitato/il 10 maggio 1874 volume mio VII 123 vedi la sua lettera del 14 aprile” cui segue breve testo in arabo2
L’annotazione si rivela estremamente interessante dal momento che il riferimento alla lettera di Antonino Salinas manifesta con grande sorpresa la mano di Michele Amari3 Questo ci permette di individuare il reperto del disegno e la sua provenienza.
Il riordinamento del carteggio del grande storico siciliano ha permesso l’edizione delle lettere dei suoi corrispondenti, tra questi Antonino Salinas, con il quale Amari ha intrattenuto un intenso e costante scambio epistolare4. La corrispondenza sul piano personale documenta gli esordi di Salinas come studioso presso l’Archivio di Stato di Palermo, l’ingresso nel mondo accademico, gli studi all’estero e i rapporti internazionali finalizzati sempre alla ricerca scientifica e alla crescita culturale, soprattutto negli anni di direzione del Museo Nazionale di Palermo contribuendo alla ricostruzione della vita culturale siciliana negli anni che videro il tramonto del regno borbonico e i due decenni dopo l’avvento dell’Unità d’Italia.
Antonino Salinas scrive il 14 aprile 1874 a Michele Amari di avere ritrovato casualmente presso un magazzino del Palazzo Reale un frammento di iscrizione araba5
Questa informazione, dal confronto del disegno dell’iscrizione con il corpus delle iscrizioni arabe conservate in Galleria, che provenivano dalla “Sala Araba” del Museo Nazionale e che si trovano esposte attualmente sotto la Loggetta, ci permette di identificare il frammento cui si riferisce il disegno con la lastra marmorea con iscrizione araba con tarsie in porfido e serpentino n. inv. 5039.
Riguardo agli studi su questa lastra, ricordiamo che la stessa per forma e funzione è stata sempre associata ad altre due lastre, riconducibili con certezza al Palazzo Reale di Palermo. Queste erano probabilmente adoperate come materiale di reimpiego in telai architettonici, al di là del semplice ruolo decorativo, con funzione di indicatori visivi fortemente simbolici del percorso di segni all’interno del Palazzo fatto di scrittura e immagine nel quadro della strategia culturale normanna. La terza lastra è stata data anch’essa come proveniente da Palazzo Reale senza riscontro documentario6.
Salinas non parla nella sua lettera del disegno esposto in mostra, ma di un “pezzetto di appunti” allegato alla stessa e dell’esistenza di un lucido “rozzissimo” realizzato sul frammento di iscrizione rinvenuta, per consentire, continua Salinas, di averne “un’idea approssimativa” alla stessa maniera di come si era fatto per l’altra lastra ritrovata nel sotterraneo della Cappella Palatina, che ricordiamo fu donata nel 1863 al Real Museo da Re Vittorio Emanuele II. Infine, manifesta l’intenzione che le due lastre di marmo si potessero riunire al Museo, come chiesto dalla Commissione Antichità al Ministero di Istruzione Pubblica e al Ministro della Real Casa, rivendicando con orgoglio il diritto di avere nel Museo di Palermo una sala araba7. Amari argomenta il tema del ritrovamento delle iscrizioni nel Palazzo Reale di Palermo in Storia dei Musulmani di Sicilia, cui si riferisce il rimando bibliografico del disegno8
Anche se non conosciamo la paternità del disegno, possiamo ragionevolmente ipotizzare che sia stato realizzato dallo stesso Salinas assieme al lucido durante lo studio della lastra a seguito del suo rinvenimento, o da un suo collaboratore. Sotto il profilo storico documentario, si tratta di un rinvenimento eccezionale, un piccolo tassello che testimonia il costante sodalizio professionale esistente tra due grandi uomini di cultura e il metodo di lavoro “filologico” adottato da entrambi, che con lo studio rigoroso della storia ricostruita mettendo insieme le fonti documentarie e la concreta eredità del passato rappresentata dal patrimonio custodito dai musei, dalle biblioteche e dagli archivi, cercavano di approdare ciascuno nel proprio settore di studi: Antonino Salinas, da archivista e archeologo, già direttore dal 1873, attraverso la definizione del catalogo delle opere per una ricomposizione della dispersa identità storico-artistica isolana da destinare al Museo di Palermo9; Michele Amari, da storico, orientalista e arabista, con l’edizione delle fonti epigrafiche della Sicilia, per la creazione di sussidi per il progresso scientifico e culturale delle istituzioni siciliane, sulle quali era fortemente impegnato come accademico e, sul piano politico, come ministro e senatore.
Sono gli anni in cui si afferma la consapevolezza del ruolo promotore degli studi storici grazie agli studi dei grandi paleografi e diplomatisti Salvatore Cusa, Isidoro La Lumia, Isidoro Carini, Raffaele Starrabba, nella costruzione dell’identità culturale italiana. In questa direzione va vista la costituzione della Società di Storia Patria con la rivista Archivio Storico Siciliano e il progetto editoriale di Documenti per servire alla Storia di Sicilia, orientati a fornire fonti e documenti per lo studio delle discipline storiche isolane, nella Palermo di fine Ottocento dove accanto agli studi eruditi e alle accademie, lo studio delle patrie memorie si apriva all’innovazione metodologica e al rigore filologico in una operazione intellettuale ambiziosa che era anche impegno morale, patriottico e politico.
1 Il numero 96 a matita rossa fa riferimento alla numerazione dei facsimili conservati in Galleria, secondo l’elenco che li accompagna manoscritto da Michele Amari.
2 Il contenuto sarà approfondito in altra sede.
3 (Michele Amari, Palermo 1806 – Firenze 1889). Sul profilo politico e attività: https://notes9.senato.it/web/ senregno.nsf; Ministro della Pubblica Istruzione e dei Lavori Pubblici, membro, oltre che del Senato, del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, del Consiglio superiore degli Archivi, dell’Istituto storico italiano, e di varie commissioni; Alessandro D’Ancona (a cura di), Carteggio di Michele Amari, Roux Frassati e co., Torino 1896. Per un quadro dettagliato del materiale pubblicato si veda: G. Giarrizzo, Il carteggio Michele Amari. Indice dell’edito, Mediterranea, Palermo 2008; A. Crisantino, Introduzione agli «Studii su la storia di Sicilia dalla metà del XVIII secolo al 1820» di Michele Amari, Mediterranea, Palermo 2010; la pubblicazione più recente riguarda la trascrizione delle 97 lettere indirizzate dall’architetto Francesco Saverio Cavallari a Michele Amari tra il 1843 e il 1889: G. Cianciolo Cosentino (a cura di), L’architetto e l’arabista. Un carteggio inedito: Lettere di Francesco Saverio Cavallari a Michele Amari (1834-1889), tras. e note di G. Sinagra, Assessorato BB.CC., Palermo 2012.
4 Le lettere di Salinas erano spesso accompagnate da materiale illustrativo, calchi, lucidi, disegni, fotografie che lo stesso Amari aveva raccolto separatamente, vd. Lettere di Antonino Salinas a Michele Amari, a cura di Giuditta Cimino, Biblioteca centrale della Regione siciliana, Palermo 1985.
5 Vd, Lettere, op. cit, n. 66, pp.106-110.
6 Inv. 5104, 5039, 5105; Le tre lastre sono quanto rimane di un vasto corpus di iscrizioni arabe un tempo destinate a decorare il palazzo di Re Ruggero a Palermo: la lastra inv. 5104 con iscrizione araba in metro ramal resa nota proprio da Michele Amari che ne fornì la prima traduzione fu ritrovata nel sotterraneo della Cappella Palatina nel 1863 e donata da re Vittorio Emanuele II al Museo Nazionale di Palermo; la lastra inv. 5105 con iscrizione araba in metro kāmil è stata scoperta da Patricolo murata nella risega del muro della Cappella Palatina contenente la scala che scendeva nella chiesa inferiore, pubblicata da Lagumina nel 1893; del terzo frammento di lastra inv. 5039, segnalato in occasione della mostra “Nobiles Officinae” da Vincenzo Abbate il quale ne sottolinea difficoltà di lettura e di interpretazione, si riporta la sua provenienza dal Palazzo Reale. Vd. Jeremy Johns, Tre lastre frammentarie con Iscrizioni arabe in lode di Ruggero II dal Palazzo di Palermo, in Nobiles Officinae, a cura di Maria Andaloro, Palermo, 2006, VIII.1, pp. 499-501; Jeremy Johns, Le iscrizioni e le epigrafi in arabo. Una rilettura, in Nobiles Officinae, a cura di Maria Andaloro, Palermo, 2006, ii, Saggi, pp. 47-67; Maria Andaloro, “Baciane l’angolo… e contempla le bellezze che contiene”. Ruggero II e l’antico visitatore della regia di Palermo, in Medievo: la Chiesa e il Palazzo. Atti del Convegno internazionale di studi, Parma, 20-24 settembre 2005, a cura di Arturo Carlo Quintavalle, Milano 2007, pp. 504-519; Beatrice Pasciuta, Ius Regni, multiculturalismo giuridico e modelli di interazione normativa nella Sicilia normanna e sveva in Historia et ius, www. historiaetius.it-14/2018-paper22, pp. 1-20.
7 Vd. Lettere, op. cit, alla lettera B) Frammenti del R. Palazzo, p. 109; Nella lettera del 16 luglio 1874, Salinas torna sull’argomento chiedendo ad Amari: “Amerei sapere se il frammento che trovai al palazzo reale possa avere rapporto diretto con l’altro che già possedeva il Museo”. Vd. Lettere, op. cit, n. 67, p. 112. Il lucido “rozzissimo”, cui fa riferimento la lettera, è conservato nella citata raccolta dei facsimili e reca la data aprile 1874 ed è segnato come duplicato.
8 M. Amari, Storia dei Musulmani, iii, p. 841, nota 4. 9 Direzione di A. Salinas 1873–1913.
Antonino Salinas (?), Disegno di iscrizione araba della lastra di marmo proveniente dal magazzino di Palazzo Reale di Palermo
Arabic inscription drawing of the marble fragment from the deposit of the Royal Palace of Palermo , 1874
Carta, 2 fogli incollati lungo il margine inferiore, matita blu, inchiostro bruno
Paper, 2 sheets glued along the bottom edge, blue pencil, brown ink, 70x38,8 cm
Si legge: “ Lastra di marmo con lettere e ornati incavati. Magazzino di Palazzo reale ”;
Dal Prof. Salinas ricapitato il 10 maggio 1874 volume mio VII 123 vedi la sua lettera del 14 aprile
It reads: “ Marble plaque with letters and hollowed ornaments. Royal Palace Deposit ”; “ From Prof. Salinas delivered on May 10, 1874 volume VII 123 see his letter of April 14 ”
Collezione Galleria Regionale della Sicilia - Palazzo Abatellis foto di photo by MARIA LO MEO
Antonino Salinas (?), April 1874. Drawing of an Arabic inscription on a marble slab from a storeroom of the Norman Palace, Palermo.
Paper (2 sheets glued along the lower margin), blue pencil and sepia ink, 54.3 x 38.8 and 23 x 34.4 cm; total length, 70 x 38.8 cm.
The phrase ‘n. 96’ appears on the verso in red pencil. Unexhibited.
These are the first notes from an examination of a previously unseen document, part of a singular, substantial and heterogeneous collection of facsimiles held in the Palazzo Abatellis Archives and presently the object of study and cataloguing.
The document consists of a drawing in blue pencil replicating the letters of an Arabic inscription. The annotation ‘n. 96’ has been added in red pencil1. A note in cursive at the lower left details the drawing’s subject: ‘Lastra di marmo con lettere e ornati incavati. Magazzino di Palazzo Reale’ (‘Marble slab with letters and incised decorations. Norman Palace storeroom’). On the document’s right, a second note elaborates: ‘Dal Prof. Salinas ricapitato/il 10 maggio 1874 volume mio vii 123 vedi la sua lettera del 14 aprile’ (‘Obtained from Prof. Salinas/10 May 1874 my volume vii 123 see his letter from 14 April’), followed by a brief Arabic text2
This annotation proves extremely interesting upon recognition of the handwriting referring to the letter from Antonino Salinas; handwriting which, surprisingly, belongs to Michele Amari3 .
by BENEDETTA FASONE
This allows us to distinguish the drawing’s subject and its origin. The reorganisation of the great Sicilian historian’s papers has permitted the publication of his correspondents’ letters. Amongst these was Antonino Salinas, with whom Amari remained in close and constant written contact4. At a personal level, this correspondence documents Salinas’ scholarly emergence at Palermo’s State Archive, his entry into the academic world, his studies overseas and the international relationships that furthered his scholarly research and cultural development, above all during his years as director of the National Museum of Palermo. In that capacity he contributed to the reconstruction of Sicilian cultural life throughout the years that saw the end of the Bourbon dynasty and the first two decades of a united Italy.
On 14 April 1874, Antonino Salinas wrote to Michele Amari to report his chance discovery of a fragment of Arabic inscription in a storeroom of the Norman Palace5 This information, when combined with an inspection of the corpus of Arabic inscriptions drawn from the National Museum’s ‘Sala Araba’ and now housed in the Gallery –presently exhibited under the Loggetta – allows us to distinguish the fragment to which the drawing refers: a marble slab with an Arabic inscription and inlays in porphyry and serpentine, inventory no. 5039.
It is to be noted that previous studies have always associated the slab in question with two others of the same form and function, both definitely traceable to Palermo’s Norman Palace. They were probably recycled from a previous setting and were likely incorporated into structural lattices in addition to their simple decorative role. Functioning as emphatically symbolic visual indicators, they formed part of an itinerary of written and pictorial signs within the palace, consistent with Norman cultural strategy. The slab in question has previously been held to derive from the Norman Palace even in the absence of documentary evidence6
In his letter, Salinas did not discuss the drawing included in this exhibition, but rather a ‘scrap of notes’ attached to it, referring also to an ‘extremely crude’ tracing of the rediscovered fragment of inscription – serving, continued Salinas, to give ‘an approximate idea’. This followed the method that had been used for the slab found beneath the Palatine Chapel that King Vittorio Emanuele II had donated to the then-Royal Museum in 1863. In conclusion, proudly insisting on the Museum’s right to an ‘Arab room’, Salinas expressed his hope that the two marble slabs might be united there, as requested by the Antiquities Commission to the Ministry of Education and the Minister of Royal Affairs7. Amari discussed the theme of the rediscovered inscriptions from Palermo’s Norman Palace in his Storia dei Musulmani di Sicilia, where the drawing’s bibliographic record is also listed8
Even if we do not know with certainty who authored the drawing, we can reasonably surmise that it was executed by Salinas himself along with the tracing performed during the slab’s examination following its discovery, or by an assistant. As an historical document, the drawing represents an exceptional discovery, a small addendum testifying to the constant professional partnership between two great cultural figures and the ‘philological’ method adopted by them both. By rigorous study of a history reassembled from documents and the concrete inheritance of the past, as represented by the patrimony conserved in museums, libraries and archives, each sought to enrich his own field of study. As archivist, archaeologist and (from 1873) as museum director, Antonino Salinas laboured toward a clearly-defined catalogue of works that could constitute an effective recomposition of the dispersed art-historical identity of Sicily, ultimately destined for the National Museum of Palermo9 As historian, orientalist and Arabist, Michele Amari worked toward the publication of Sicilian epigraphic sources and toward subsidies for scientific and cultural research on the part of Sicilian cultural institutions, with which he was deeply
Antonino Salinas (?), Disegno di iscrizione araba della lastra di marmo proveniente dal magazzino di Palazzo Reale di Palermo
Arabic inscription drawing of the marble fragment from the deposit of the Royal Palace of Palermo, 1874
Carta, 2 fogli incollati lungo il margine inferiore, matita blu, inchiostro bruno
Paper, 2 sheets glued along the bottom edge, blue pencil, brown ink, 70x38,8 cm
Si legge: “ Lastra di marmo con lettere e ornati incavati. Magazzino di Palazzo reale ”; “ Dal
Prof. Salinas ricapitato il 10 maggio 1874 volume mio VII 123 vedi la sua lettera del 14 aprile
It reads: “ Marble plaque with letters and hollowed ornaments. Royal Palace Deposit ”; “ From
Prof. Salinas delivered on May 10, 1874 volume VII 123 see his letter of April 14 ”
Collezione Galleria Regionale della Sicilia - Palazzo Abatellis foto di photo by MARIA LO MEO
by BENEDETTA FASONE
engaged both in a professional capacity and on a political level as academic, government minister and senator. Those same years saw a growing awareness of the promotional function of historical research courtesy of the great paleographers and diplomaticians Salvatore Cusa, Isidoro La Lumia, Isidoro Carini and Raffaele Starrabba, whose studies significantly aided the construction of an Italian cultural identity. The establishment of the Società di Storia Patria (‘Society of National History’) should be understood in the same light, with its periodical Archivio Storico Siciliano (‘Italian Historical Archive’) and the publishing project Documenti per servire alla Storia di Sicilia (‘Essential Documents for Sicilian History’), both conceived as repositories of sources and documents for the historical study of Sicily. In late-eighteenth-century Palermo, alongside academies and scholarly erudition, the study of national memory flowered into methodological innovation and philological rigour: an ambitious intellectual operation that was also the pursuit of a moral, patriotic and political cause.
by BENEDETTA FASONE
1 The number 96 refers to the numbering of the facsimiles now collected in the Gallery, as listed in Michele Amari’s accompanying handwritten inventory.
2 The inscription’s contents will be explored elsewhere.
3 (Michele Amari, Palermo 1806 – Florence 1889); on his political and his professional activities, see: https:// notes9.senato.it/web/senregno.nsf; these include Minister of Education and Public Works, Senator and member of the High Council on Education, the High Council on Archives and the Italian History Institute, as well as various other commissions. His collected correspondences appear in Carteggio di Michele Amari, ed. by Alessandro D’Ancona (Turin: Roux Frassati e co., 1896). For a full summary of the material published therein, see: Giuseppe Giarrizzo, Il carteggio Michele Amari: Indice dell’edito (Palermo: Mediterranea – ricerca storica, 2008). Further commentary on his writings is included in Amelia Crisantino, Introduzione agli «Studii su la storia di Sicilia dalla metà del XVIII secolo al 1820» di Michele Amari (Palermo: Mediterranea – ricerca storica, 2010). A more recent publication comprises transcriptions of the 97 letters he received from the architect Francesco Saverio Cavallari between 1843 and 1889: Francesco Saverio Cavallari, L’architetto e l’arabista: Un carteggio inedito; Lettere di Francesco Saverio Cavallari a Michele Amari (1834-1889), ed. by Gabriella Cianciolo Cosentino, transcribed and annotated by Giuseppina Sinagra (Palermo: Assessorato dei Beni culturali e dell’Identità siciliana, 2012).
4 Salinas’ letters were often accompanied by illustrations, tracings, frottage, drawings and photographs, separately compiled by Amari himself: Antonino Salinas, Lettere di Antonino Salinas a Michele Amari, ed. by Giuditta Cimino (Palermo: Biblioteca centrale della Regione siciliana, 1985).
5 Cimino, n. 66, pp. 106-110.
6 Inventory nos. 5039, 5104 and 5105; the three slabs are all that remain of a vast corpus of Arabic inscriptions once intended to decorate King Roger’s palace in Palermo. No. 5104, a slab with an arabic inscription in ramal metre, was made known by Michele Amari himself, who provided its first translation. It was found beneath the Palatine Chapel in 1863 and donated to Palermo’s National Museum by King Emanuele Vittorio II. No. 5105, with an Arabic inscription in kāmil metre, was found by Giuseppe Patricolo in the scarcement of the Palatine Chapel wall containing the stair down to the lower church; its discovery was reported by Bartolomeo Lagumina in 1893. The third fragment, no. 5039, was reported by Vincenzo Abbate on the occasion of the exhibition ‘Nobiles Officinae’, where the difficulty of reading or interpreting the inscription was also noted, along with its putative origin in the Norman Palace. Jeremy Johns, ‘Tre lastre frammentarie con Iscrizioni arabe in lode di Ruggero II dal Palazzo di Palermo’, in Nobiles Officinae: perle, filigrane e trame di seta dal Palazzo Reale di Palermo, ed. by Maria Andaloro, vol I (Catania: Giuseppe Maimone, 2006), pp. 499-501; Jeremy Johns, ‘Le iscrizioni e le epigrafi in arabo: Una rilettura’, in Nobiles Officinae, ii, pp. 47-67; Maria Andaloro, ‘“Baciane l’angolo… e contempla le bellezze che contiene”: Ruggero II e l’antico visitatore della regia di Palermo’, in Medievo: La Chiesa e il Palazzo: Atti del Convegno internazionale di studi, Parma, 20-24 settembre 2005, ed. by Arturo Carlo Quintavalle (Milan: Mondadori Electa, 2007), pp. 504-519; and Beatrice Pasciuta, ‘Ius Regni: multiculturalismo giuridico e modelli di interazione normativa nella Sicilia normanna e sveva’ in Historia et ius, 14/2018 – Paper 22, pp. 1-20, www.historiaetius.it-14/2018-paper22, accessed 08 July 2022.
7 Salinas, ‘B) Frammenti del R. Palazzo’, p. 109; In his letter of 16 July 1874, Salinas returned to the theme, declaring to Amari: ‘I would love to know if the fragment I found at the Norman Palace could bear any direct relationship to the other already in the Museum’s possession’. Salinas, p. 112. The ‘extremely crude’ tracing to which the letter refers is now conserved in the aforementioned collection of facsimiles and bears the date of ‘April 1874’; it is marked as a duplicate.
8 M. Amari, Storia dei Musulmani di Sicilia, iii, p. 841, footnote 4. 9 Directed by Salinas from 1873 to 1913.
I Manufatti In Metallo Di Palazzo Abatellis
L’attenzione per i raffinati metalli lavorati di fattura islamica, ricercatissimi in Occidente, è testimoniata in Sicilia dalla loro presenza ab antiquo, prima nei tesori monastici e successivamente nelle raccolte pubbliche e private1. Lusso, filologia, orientalismo, islamofilia: difficile sintetizzare le ragioni ideologiche e culturali, mutevoli nelle diverse epoche, di tale gusto e del processo che tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo portò Antonino Salinas, direttore dell’allora Museo Nazionale di Palermo, a volere l’allestimento della famosa “Sala Araba”, che egli stesso incrementò con numerosi acquisti di metalli islamici tra il 1880 e il 1890 circa. Ad essi si aggiunse, tra il 1901 e il 1902, il cospicuo dono da parte di Giuseppe e Nicola Jacovelli della loro raccolta formatasi al Cairo nella seconda metà dell’Ottocento. Di tali materiali, confluiti nelle collezioni di Palazzo Abatellis, la mostra presenta una selezione di quattro manufatti diversi per epoca e tipologia, esposti alla fruizione per la prima volta in questa sede. La grande lampada pendente, che è ora possibile associare alla descrizione contenuta nell’elenco dei beni della collezione Jacovelli donati al Museo Nazionale di Palermo nel 1902 (“lampada in bronzo cesellato con cupola e piatto bucato per il collocamento dei lumicini, munita di un solo vetro, epoca XVIII secolo, in buona conservazione”)2, per fattura e dimensioni costituiva uno degli elementi protagonisti della “Sala Araba”, ove era collocata a soffitto, non distante dal vaso Alhambra. Il fine traforo a motivi vegetali e la forma della cupola la datano al secolo XVIII, seppur con aggiunte e rimaneggiamenti successivi effettuati nel secolo seguente, forse per renderla appetibile al collezionismo.
Le altre opere, pur differenti per datazione e caratteri, sono accomunate dall’uso decorativo dell’elegante calligrafia, la cui traduzione potrebbe dare maggiori indicazioni sull’origine e la funzione dei manufatti stessi. Si tratta di un piatto con orlo smerlato e decorazione cesellata a motivi calligrafici e medaglioni, esemplare appartenente ad una produzione destinata probabilmente al mercato occidentale, pure proveniente dalla collezione Jacovelli, e di un cilindro con decorazione a fasce finemente decorate in cui la scrittura e i motivi fitomorfi risaltano sul fondo lavorato a punta ad ottenere effetti di chiaroscuro, riconosciuto come elemento di un candeliere del tipo diffuso in area persiana a partire dal XVII secolo. Infine un raro elemento decorativo a forma di tulipano, databile al XIV secolo e reso noto da Ursula Staacke3, presumibilmente terminale di un’asta reggistendardo, che reca inscritta nella parte inferiore la parola ‘Allah’ sul decoro a traforo del fondo.
1 Per queste ed altre notizie, nell’impossibilità di fornire in questa sede una bibliografia esaustiva, rimandiamo agli essenziali: U. Staacke, I metalli mamelucchi del periodo bahri, Palermo 1997; e A. Paribeni, Dall’Egitto all’Italia. La collezione Jacovelli di arte islamica del Museo Nazionale di Palermo (1901–1902), in G. Perini Folesani e A. M. Ambrosini Massari (a cura di), Riflessi del collezionismo. Tra bilanci critici e nuovi contributi, Firenze 2014.
2 A. Paribeni, op. cit., p. 321.
3 U. Staacke, op. cit., pp. 124-125.
An appreciation of refined Islamic metalwork, greatly sought in the West, has been demonstrated in Sicily ab antiquo, first in monastic treasuries and in public and private collections thereafter1. Luxury, philology, orientalism, Islamophilia; it is difficult to encompass the ideological and cultural basis of this enthusiasm, the motivations for which have varied over time. It is equally difficult to explain the process that led Antonino Salinas, director of what was then the National Museum of Palermo, to press for the establishment of the famous ‘Sala Araba’ between the late 19th and the early 20th century. The nascent Sala expanded with Salinas’ own numerous acquisitions of Islamic metalwork between circa 1880 and circa 1890, followed by a notable donation from Giuseppe and Nicola Jacovelli in 1901–1902, comprising a collection formed in Cairo over the second half of the nineteenth century. This exhibition presents a selection of four such artefacts in Palazzo Abatellis’ collections, each of a different era and type and all open to public view for the first time.
The large hanging lamp can be matched to an item described in the inventory of the Jacovelli collection, donated to the National Museum in 1902 (‘lamp in engraved bronze with dome and perforated saucer for the mounting of wicks, equipped with only one glass panel, 18th century, in good condition’)2. In terms of manufacture and dimensions, the lamp constituted one of the Sala’s foremost exhibits and was hung from the ceiling not far from the Alhambra vase. The fine perforation with floral motifs and the form of the dome date it to the 1700s, allowing for additions and alterations over the succeeding century, perhaps to make it more appealing to collectors.
The other works, although of different date and character, are similar in the decorative use of elegant calligraphy, a translation
by VALERIA SOLA
of which might offer clearer indices of the origin and function of the objects themselves. The plate with a scalloped rim, medallions and engraved calligraphic decoration, also drawn from the Jacovelli collection, exemplifies a style probably intended for the Western market. The cylinder with fine banded decorations – in which Arabic script and phytomorphic motifs stand out against a background worked with a point for a chiaroscuro effect –recognisably belongs to a candlestick of a type widely distributed throughout Persia from the 17th century onwards. Finally the rare tulip-shaped decorative item, datable to the fourteenth century and brought to light by Ursula Staacke3 , presumably formed the head of a standard-bearer’s staff. Inscribed in its lower section, against the decorative perforations of its surface, is the word ‘Allah’.
1 For further reading, given the impossibility of providing an exhaustive bibliography here, we cite only the essentials: Ursula Staacke, I metalli Mamelucchi del Periodo Bahri (Palermo: Galleria Regionale della Sicilia, 1997); and Andrea Paribeni, ‘Dall’Egitto all’Italia: La Collezione Jacovelli di Arte Islamica del Museo Nazionale di Palermo (1901–1902)’, in Riflessi del Collezionismo: Tra Bilanci Critici e Nuovi Contributi, ed. by Giovanna Perini Folesani and Anna Maria Ambrosini Massari (Florence: Leo S. Olschki, 2014).
2 Paribeni, p. 321.
3 Staacke, pp. 124-125.
Cilindro Cylinder, sec. XVII-XVIII, (dettaglio detail ) rame argentato (?) cesellato e traforato silver-plated copper decorated with chisel and openwork h 44 x Ø 19 cm base, inv.7255, collezione Galleria Regionale della Sicilia - Palazzo Abatellis
by VALERIA SOLA
pagina opposta opposite Elemento decorativo Decorative element , sec. XIV bronzo traforato pierced bronze , 22x16 cm, inv. 7536, collezione Galleria Regionale della Sicilia - Palazzo Abatellis sotto below Piatto Plate , sec. XVIII, stagno cesellato chiselled tin , Ø 35 cm, dono del donation Sig. Nicola Iacovelli dal Cairo, inv.7260, collezione Galleria Regionale della Sicilia - Palazzo Abatellis fotografie photographs MARIA LO MEO
I romani lo annoiavano. Si divertiva invece con gli arabi, pur faticandoci sentiva da quel mondo alitare fresco ozio, imprevedibile fantasia. [...]
L’avvocato Di Blasi era tra gli ultimi. Il viceré gli domandò del lavoro sulle prammatiche, parve distrarsi in altri pensieri mentre il giovane gli rispondeva. Poi, come saluto, con un sorriso d’intelligenza: “Come si può essere siciliani?”.
Leonardo Sciascia, Il Consiglio d’Egitto
Il tema di questa nona edizione del nostro Viaggio in Sicilia ha avuto per noi – famiglia di agricoltori radicati dal XVII secolo proprio in una cittadina, Sambuca di Sicilia, che dell’influenza araba sull’isola rappresenta un paradigma – un significato più profondo rispetto a quelli che lo hanno preceduto, toccando corde nascoste e sensibili, che albergano nelle nostre origini. Abbiamo provato a rincorrere suggestioni provenienti da un’epoca della quale rimangono pochissime testimonianze materiali autentiche – per una sorta di damnatio memoriae dalle motivazioni essenzialmente religiose – e che, al contrario, ha lasciato molteplici tracce immateriali, contribuendo come poche altre a plasmare quell’inafferrabile enigma che è l’anima siciliana. Perciò, questo viaggio è stato una sciarada. Ciascuno dei partecipanti ha raccolto gli indizi, le tracce, e a occhi aperti ha cercato di immaginare quella Sicilia così lontana nel tempo eppure così vicina nello spirito. Il mormorio dell’acqua nei giardini, il vociare incomprensibile nei porti, astronomi e matematici a interrogare l’universo, lo stupore dei viaggiatori dinanzi ai sollazzi dei califfi, piantagioni di canna da zucchero alle porte di Palermo; ma anche aste di schiavi, ferro e fuoco, micidiali arcieri e fāris schierati contro i cavalieri bizantini o normanni.
Per i nostri compagni di viaggio, la curatrice e i sei artisti, una miniera di ispirazioni, condensate nei lavori esposti in mostra, nelle fotografie, nei testi; da custodire nella mente e nel cuore. Per noi – che anche questa volta abbiamo provato a osservare la
Sicilia con occhi altrui, e attraverso altrui talenti a rappresentarla –, una scintilla che ha innescato una serie di elucubrazioni, sospese tra vaghezza e necessità. Una su tutte: un passato così ricco, l’essere stati a lungo al centro del mondo, è un dono inestimabile; ma può divenire una zavorra. Più precisamente una trappola, il richiamo al passato e ai suoi fasti, nella quale spesso cadono i siciliani, inceppati tra il rammarico per la rilevanza perduta e la presunzione – immotivata – di essere ancora il sale della terra: per il solo calcare lo stesso suolo di chi è stato protagonista della Storia e artefice di bellezza e progresso. Per noi – agricoltori divenuti viaggiatori, da Sambuca di Sicilia in giro per il resto dell’isola e per il mondo; del resto, si sa, nomen omen: non può essere un caso che il nostro cognome derivi da πλανάομαι, vagare –, è capitale fare tesoro del dono e schivare la trappola. Ci proviamo, immaginando una terra che lentamente ma con costanza possa recuperare quella parte della propria bellezza andata perduta, e che attraverso questa bellezza ritrovata riesca a conquistarsi una nuova forma di rilevanza; diversa dalla centralità del passato, ma comunque preziosa: suscitando rinnovato stupore nel viaggiatore, riempiendo di orgoglio – motivato, solido, realistico – chi in Sicilia vive e lavora, in perenne ascolto delle voci dal passato e con lo sguardo volto al futuro.
In concreto, nel nostro agire quotidiano da sempre ci impegniamo per migliorare il paesaggio – restituendo ai luoghi equilibrio e bellezza –, per custodire la biodiversità e l’ambiente. Da agricoltori, sentiamo questa grande responsabilità e la viviamo come un imperativo etico e un privilegio: quello di poter incidere concretamente dando il nostro contributo alla causa comune, della Sicilia come del pianeta. Siamo convinti che tra le nuove generazioni stia crescendo una diffusa e maggiore consapevolezza, che volge nella direzione giusta. Chissà: difficilmente, nel corso di uno dei prossimi viaggi, vedremo piantagioni di canna da zucchero alle porte di Palermo; ma forse torneremo a udire il mormorio dell’acqua che scorre nei giardini.
The Romans bored him. He enjoyed himself with the Arabs, however, and for all his labour he sensed a refreshing languor in that world, an unpredictable imagination.
The lawyer Di Blasi was among the last. The viceroy asked after his study of the Pragmatics, but seemed absorbed in other thoughts as the young man replied. Then, by way of farewell, he asked with a knowing smile, ‘What does it mean to be Sicilian?’
Leonardo Sciascia, The Council of Egypt
The theme of the ninth edition of our Viaggio in Sicilia harbours a deeper significance for us – a family of agriculturalists with roots in the 17th century and a city, Sambuca di Sicilia, that constitutes a paradigm of the Arab influence on the island – than the previous instalments. It has touched hidden, sensitive strings that inhabit our origins. We have tried to follow the lingering implications of an epoch of which precious little authentic material evidence remains – through a sort of damnatio memoriae attributable to essentially religious motivations – but which, however, has left plentiful immaterial footprints, contributing as few factors have to mould the ineffable enigma that is the Sicilian soul. As such, this journey has been a charade. Each of the participants has gathered clues and vestiges. Each has tried, with eyes keen, to imagine that Sicily so far removed and yet so close in spirit. The murmur of water in the gardens, the incomprehensible chatter of the ports, the astronomers and mathematicians who enquired after the universe, the stupefaction of travellers before the amusements of the caliphs, the sugarcane plantations at the gates of Palermo; but also slave markets, iron and fire, lethal archers and fāris arrayed against Byzantine or Norman knights. For our travel companions – one curator and six artists – the Viaggio was a rich vein of inspiration, condensed into the works subsequently exhibited, into photographs and texts; something to cradle in mind and heart. For us – who once again strove to behold Sicily through other people’s eyes and to convey it through others’ talents – it was the spark that set new meditations alight, hovering between uncertainty and necessity. One meditation above all: so rich a past, having been the centre of the world for so long, is an inestimable gift; but it can become a burden. More precisely a trap, the lure of the past and all its glories. Sicilians too often succumb to that lure, hemmed between regret over lost relevance and an unmotivated self-perception as the salt of the earth: simply for treading the same earth as those protagonists of history, those pioneers of beauty and progress. For us, agriculturalists become travellers, roaming the rest of the island and the world from Sambuca di Sicilia – indeed, nomen omen, as they say; it can be no coincidence that our surname derives from the Greek πλανάομαι, to roam – it is vital to capitalise on that good fortune and to escape the usual traps. We strive to do so, imagining a land that might slowly but certainly recover something of the lost part of its beauty, and through that rediscovered beauty succeed in winning a new form of relevance; different to the centrality of the past, but precious nonetheless. We imagine a Sicily that might arouse renewed awe in travellers and renewed pride – a justifiable, solid, realistic pride – in those who live and work here, forever attentive to voices from the past and with gazes cast toward the future.
Concretely speaking, we have always striven to turn our everyday activities toward healing the landscape – returning balance and beauty to its cherished places – by nurturing the environment and its biodiversity. As agriculturalists, we bear a great responsibility, which we experience as an ethical imperative and a privilege: the possibility of leaving a palpable mark, of offering our own contribution to the common cause of Sicily and of the planet itself.
We firmly believe that a deeper and more diffuse awareness is growing amongst the younger generations, oriented in the right direction. Who knows: granted, we are unlikely to see sugar plantations at the gates of Palermo over the course of any forthcoming journey; but perhaps we might again hear the burbling of water as it trickles through the gardens.
Prima di dedicarsi alla professione di fotografo documentarista, Matteo Buonomo compie gli studi artistici presso l’Accademia NABA di Milano. Nel 2015, dopo aver vissuto per quasi un anno in Georgia, rientra in Italia per unirsi al collettivo fotografico Cesura, di cui farà parte fino al 2017 per poi continuare il suo percorso in maniera indipendente. La sua ricerca si definisce in un approccio introspettivo e a lungo termine sui temi della famiglia e sulle dinamiche dell’intimità familiare. Tematiche che ha avuto modo di indagare lavorando in Siberia al suo progetto My father told me have a safe journey (2017) e al progetto Love mom su cui si sta concentrando dal 2018. Love mom documenta la vita quotidiana di una famiglia incontrata mentre l’artista viaggiava in autostop negli Stati Uniti e con cui è rimasto a vivere. Uno sguardo su una famiglia che è anche una riflessione più ampia sugli Stati Uniti di oggi e sulla profonda solitudine che ne caratterizza e definisce le periferie. Nel 2020 si è trasferito a vivere nella campagna siciliana vicino Noto dove ha iniziato una nuova ricerca fotografica. [V. B.]
Before embarking on his career as a documentary photographer, Matteo Buonomo studied at Milan’s NABA Academy. After living in Georgia for more than a year, he returned to Italy in 2015 to join Cesura Photo Collective. He remained a member until 2017 and has since pursued his professional activity in an independent capacity. His practice is defined by an introspective long-term approach to the themes of family and the dynamics of familial intimacy. He further investigated these themes while working in Siberia on My Father Told Me Have a Safe Journey (2017), as well as in the ongoing project Love Mom. Begun in 2018, Love Mom has focused on a family that he encountered while hitchhiking in the United States. Subsequently living with the family, he began to document their dayto-day life: a glance at one household that is also a wider-ranging reflection on the United States of today and the profound solitude characterising and defining its suburbs. In 2020, Buonomo moved to the Sicilian countryside near Noto, where he has begun a new body of photographic work. [V. B.]
I tuoi progetti più importanti sono legati ai viaggi che hai deciso di intraprendere, dalla Siberia agli Stati Uniti. Come mai lo spostamento è così importante per il tuo lavoro?
Per me la fotografia è sempre stata uno strumento di riflessione e introspezione. Per riuscire ad avere un confronto con me stesso quanto più sincero e genuino ho capito di dovermi allontanare dalla mia vita, da tutte quelle piccole cose che compongono le mie giornate e dalle voci che mi suonano familiari. Ho capito che per funzionare, per trovare quello che cerco, non devo poter avere tutto sotto controllo e per non avere tutto sotto controllo ho bisogno di mettere una distanza fisica tra me e la mia quotidianità.
Qual è il prossimo viaggio che ti piacerebbe fare?
Ti sembrerà strano ma non ne ho uno in particolare. Ho viaggiato molto in vita mia, ma i viaggi importanti come quello in America o in Siberia sono nati da una forza che ad un certo punto si è espressa molto velocemente senza lasciarmi il tempo di fantasticare e lasciandomi quasi sempre senza scelta se non quella di partire. Nel 2020 è successo lo stesso, ho lasciato Milano e mi sono trasferito in Sicilia, è cominciato come uno di quei viaggi importanti, con quella sensazione di non avere quasi scelta e ora dopo quasi due anni ho la viva sensazione di essere ancora in viaggio. Sono così preso da questo viaggio in Sicilia che non riesco desiderarne caldamente altri.
A quali media rivolgi il tuo sguardo? Da dove trai ispirazione per le tue immagini particolari (puoi raccontarci il processo e la scelta privilegiata del bianco e nero)?
La mia ispirazione fino ad ora l’ho sempre trovata nella letteratura. Trovo la lettura un esercizio di comprensione, di immedesimazione e di incontro come non ce ne sono altri. Inoltre poi non mi fornisce nessuna immagine se non dei caratteri tipografici e questo mi permette di crearne di mie personali ed autentiche dentro di me, mi lascia una grande libertà. Quando leggo a volte mentre lo faccio sento una così profonda comprensione e comunione con i personaggi e i luoghi raccontati che desidererei solo poter passare del tempo con loro per poterli fotografare per poter tradurre quell’incontro in qualcosa di reale. Quello che cerco di fare come fotografo è trasmettere un certo senso di verità attraverso le fotografie e credo che l’estetica delle mie immagini sia legato in parte a questo aspetto, a un certo senso di vita che scorre all’interno dell’inquadratura e in parte sento che la scelta di questo bianco e nero dai toni molto grigi e densi sia una naturale manifestazione della mia personalità. Sono una persona molto tranquilla e riflessiva, mi piace il silenzio e detesto la confusione. Così cerco di fare delle foto che siano silenziose, discrete, e che non gridino.
Lavori soprattutto con la fotografia analogica ma per questo progetto di Viaggio in Sicilia hai lavorato anche in digitale. Com’è stato questo passaggio e cosa pensi di questi due linguaggi rispetto alla tua ricerca? Il passaggio è stato abbastanza traumatico perché per me una macchina analogica e una digitale sono come un martello e un cacciavite, strumenti completamente diversi. Fortunatamente la dimensione del viaggio, in cui mi sento a mio agio, ha fatto da contrappeso a questo trauma iniziale. La differenza che vivo tra la fotografia analogica e quella digitale sta tutta nel modo completamente diverso in cui il tempo viene scandito. Una sorta di metronomo appoggiato sul pianoforte accanto a uno spartito che detta il tempo a velocità molto diverse. La fotografia analogica mi impone un tempo molto più lento, l’approccio con quello che si trova intorno a me cambia e mi obbliga a cercare un dialogo prima di tutto con me stesso, richiedendomi una maggiore dose di coinvolgimento consapevolezza che è fondamentale per avvicinarmi a quello che voglio comunicare. La fotografia digitale al contrario la sento troppo veloce, non mi permette di avere quel confronto con me stesso e quindi sento tutto ridursi alla sola creazione di nuove immagini che è la cosa che meno mi interessa e dalla quale cerco di stare più lontano possibile.
Ti sei trasferito in Sicilia nel 2020 ma la residenza nomade VIS9 è stato un modo per conoscere alcuni luoghi che non avevi ancora visitato. C’è qualcosa che ti ha influenzato particolarmente durante questo viaggio?
Mi sono trasferito in Sicilia nel 2020 dopo aver maturato con la mia compagna la decisione di non voler più vivere in una grande città. Sentivo il bisogno di semplificare un po’ la mia vita, cercare di togliere un po’ di superfluo e allontanarmi da un costante rumore di fondo che la città produce. Lo scopo era cercare di riuscire a tenere più vicine le cose che per me più contano e mi ispirano. Abbiamo caricato la macchina e siamo venuti in Sicilia. Qui abbiamo trovato un paesaggio naturale ma anche umano che non ci aspettavamo, estremamente caratterizzato ed eterogeneo, lontanissimo dagli stereotipi del sole, il mare e fichi d’india lungo le strade. Questa è stata una scoperta inaspettata e durante il viaggio in Sicilia questa nuova consapevolezza non ha fatto altro che radicarsi con maggiore forza dentro di me.
Pensando a questa pubblicazione hai realizzato una raccolta di immagini scattate in pellicola sul tema della strada. Vuoi raccontarci qualcosa su questa ricerca?
Durante il Viaggio in Sicilia abbiamo percorso molti chilometri e la strada è stata sicuramente tra le protagoniste del viaggio però sentivo che in qualche modo poteva esserlo di più all’interno della narrazione, allora con te, curatrice del Viaggio in Sicilia, abbiamo deciso di lavorare a una serie che avesse come tema esclusivo la strada. Ho passato circa un paio di mesi a guidare senza meta per le strade che circondano casa mia in Val di Noto, in macchina avevo solo il mio taccuino, parecchi rulli e la mia macchina fotografica, in sottofondo come colonna sonora di questo viaggio nel viaggio Thinking of a Place dei The War On Drugs e le Variazioni Goldberg suonate da Glenn Gould. Ho passato molto tempo sulla strada, i viaggi in America e Siberia sono stati lunghi viaggi in autostop e ritrovarmi ora a viaggiare in Sicilia mi ha fatto pensare con nuova consapevolezza a quei viaggi e più guidavo più mi rendevo conto che in fondo sulla strada ho sempre incontrato nient’altro che i miei più arditi desideri e le mie paure più recondite e che per questo motivo sulla strada mentre viaggiamo in definitiva incontriamo chi siamo nell’intimo. La serie fotografica ruota intorno a questo concetto e le foto sono delle metafore di quei desideri e di quelle paure.
Stai lavorando a qualcosa di nuovo da quando ti sei trasferito in Sicilia?
Si assolutamente, dopo essere stato per un periodo privo di ispirazione da quando mi sono trasferito qui in Sicilia ho ritrovato nel paesaggio e nelle persone che mi circondano una purezza che mi ha ispirato nuovamente e mi ha portato a voler esplorare nuove tematiche e soprattutto a farlo in modi nuovi, la fotografia è sempre protagonista però per la prima volta sento la voglia e la necessità di sperimentare con altri linguaggi come il video e l’audio. Per la prima volta sto lavorando a qualcosa che non ha nulla a che fare con il viaggio, anzi ne rappresenta forse un opposto filosofico. Non mi sento di svelare ancora di cosa si tratta perché, come certe riflessioni importanti nei loro albori hanno bisogno di restare per un po’ nell’intimo prima di essere pronunciate a voce alta, così io mi sento ora nei confronti di questo nuovo progetto.
Your most important projects are linked to trips that you took, from Siberia to the United States. Why is moving around so important for your work?
Photography has always been a tool for reflection and introspection for me. I realized that I had to get some distance from my own life, all those little things that comprise my days and voices that sound familiar to me, in order to have as sincere and genuine a confrontation with myself as possible. I grasped that I do not need to have to have everything under control in order to work, in order to find what I am looking for. I have to put some physical distance between my everyday life and myself so that I do not have everything under control.
What is the next trip you would like to make?
It seems odd, but I do not have anything special in mind. I have travelled a great deal in my life, but important trips like those to America or Siberia were born from a force that at a certain point expressed itself quite quickly without leaving me any time to fantasize. It almost always left me no choice, but to leave. The same thing happened in 2020: I left Milan and moved to Sicily. It all started like one of those important trips, but with the feeling that I almost did not have any choice. Now, almost two years later, I have still got the strong feeling that I am travelling. I am so wrapped up in my Sicily trip that I cannot ardently desire others.
Which media does your gaze fall upon? Where do you get inspiration for your special images (can you tell me about the process and your choice to favor black and white)?
I have always found my inspiration in literature. I find literature an exercise in understanding, in self-identification and encounters; there is nothing like it. In addition, it does not provide any image except for typographical characters. This lets me create my own personal and authentic image internally, leaving me a great deal of liberty. Sometimes when I read,
interview by VALENTINA BRUSCHI
I feel such a deep comprehension and communion with the characters and the places being narrated that I wish I could only spend some time with them so that I could photograph them and translate that encounter into something real. As a photographer, I try to convey a certain sense of the truth through photographs. I believe that the esthetics of my images is partially linked to this aspect, to a certain feeling of the life that plays out within the picture frame. In part, I feel that my choice of black and white with very rich gray tones is a natural manifestation of my personality. I am a very calm, thoughtful person. I like silence and I hate confusion. So I try to make photographs that are quiet and discreet, photos that do not scream.
You mainly work in analog photography, but in the Voyage to Sicily project, you worked digitally as well. How was this switch and what do you think of these two media and their effect on your art?
The change was rather traumatic, because analog and digital cameras are like hammers and screwdrivers: completely different tools. Fortunately, the world of travelling where I feel comfortable, outweighed this initial trauma. The difference that I experience between analog and digital photography all comes down to the completely different way time is measured. There is a sort of metronome on the piano alongside the score that dictates different tempos. Analog photography sets a much slower tempo for me; my approach with what I find around me changes, and I am forced to look for a dialogue first of all with myself. This requires a greater amount of involvement and awareness, which is fundamental for getting close to what I want to communicate. On the other hand, digital photography feels too fast for me; it does not let me have the confrontation with myself. I feel everything is reduced to just creating new images. This is what interests me the least. I try to stay away from it as much as possible.
You moved to Sicily in 2020, but the Viaggio in Sicilia 9 nomadic artistic residency was a way for you to get to know other places that you had not visited. Is there anything that especially influenced you during this trip?
I moved to Sicily in 2020 after my girlfriend and I decided that we did not want to live in a big city any more. I felt the need to simplify my life a little, to try and remove some of the excess and get away from the constant background noise a city produces. I was trying to keep the things that inspire me and count the most for me, closer. We loaded up the car and drove to Sicily. We found a natural and human landscape here that we were not expecting. It was highly characterized and quite diverse, rather far from the stereotypes of sun and sea with prickly pears along the roads. This was an unexpected discovery and during my trip to Sicily, this new awareness only took root more strongly within me.
Thinking about this publication, you created a collection of analog images on the theme of the road. Can you tell us something about this project?
We drove miles and miles during the Viaggio in Sicilia, and the road was certainly one of the leading characters in the trip. However, I felt it could somehow be heightened within the narration, so you, the curator of Viaggio in Sicilia, and I decided to work on a series whose sole theme was the road. I spent a couple of months driving aimlessly on the roads surrounding my home in Val di Noto. I just had my notebook, lots of rolls of film, and my camera in the car. The background soundtrack to this trip within a trip was Thinking of a Place from The War On Drugs and the Goldberg Variations performed by Glenn Gould. I have spent a lot of time on the road; the trips to America and Siberia were long hitchhiking trips. Finding myself now in Sicily made me think about these trips with a new awareness. The more I drove, the more I realized that in the end, I never found anything but my most ardent desires and my most profound fears at the end of the road. This is why
interview by VALENTINA BRUSCHI
we definitively encounter who we are deep inside while we are travelling on the road. The photographic series revolves around this concept and the photographs are metaphors of those desires and fears.
Are you working on anything new since you moved to Sicily?
Absolutely yes: after spending some time without any inspiration, I have found a purity in the people and landscape surrounding me since I have moved to Sicily that has inspired me again. This has led to me to want to explore new themes, and mainly do it new ways. Photography remains the protagonist but for the first time I feel the wish and need to experiment with other media such as video and audio. For the first time I am working on something that has nothing to do with travel. It even represents the exact philosophical opposite. I do not feel like revealing what it is about just yet. Like certain important budding reflections, they need to stay intimate before being spoken out loud. This is how I now feel about this new project.
Tutto ciò che incontriamo lungo la strada, durante il viaggio, è semplicemente qualcosa che abbiamo sempre intimamente temuto o desiderato.
Lungo la strada incontriamo inevitabilmente noi stessi.
(M.B.)
Everything we’ll find on the road along the journey is just something we always secretly wanted or feared. On the road we ultimately meet ourself.
(M.B.)