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Nuove BMW Serie 3 Cabrio e Serie 3 Coupé
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IL PIACERE È AVERE ANCORA MOLTO DA SCO PRIRE. Il piacere scopre nuove forme di design e performance. Ecco perché oggi BMW permette di scegliere tra l eleganza della nuova BMW Serie 3 Cabrio e le linee lanti della nuova BMW Serie 3 Coupé. Due modelli per uno stile unico.
NUOVE BMW SERIE 3 CABRIO E COUPÉ.
BMW Financial Services: la più avanzata realtà nei servizi nanziari. BMW e . Incontro al vertice della tecnologia. Consumi gamma BMW Serie 3 Coupé e Cabrio dalla motorizzazione 320d Coupé alla 335i Cabrio ciclo urbano/extraurbano/misto (litri/100km): da 5,9 (6,8)/4,0 (4,4)/4,7 (5,3)
a 12,4 (12,2)/6,7 (6,8)/8,8 (8,8). Emissioni CO2 (g/km): da 125 (140) a 205 (205). I valori tra parentesi si riferiscono alle vetture con cambio automatico.
Piacere di guidare
Nuove BMW Serie 3 Cabrio e Serie 3 Coupé
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IL PIACERE È AVERE ANCORA MOLTO DA SCO PRIRE. Il piacere scopre nuove forme di design e performance. Ecco perché oggi BMW permette di scegliere tra l eleganza della nuova BMW Serie 3 Cabrio e le linee lanti della nuova BMW Serie 3 Coupé. Due modelli per uno stile unico.
NUOVE BMW SERIE 3 CABRIO E COUPÉ.
BMW Financial Services: la più avanzata realtà nei servizi nanziari. BMW e . Incontro al vertice della tecnologia. Consumi gamma BMW Serie 3 Coupé e Cabrio dalla motorizzazione 320d Coupé alla 335i Cabrio ciclo urbano/extraurbano/misto (litri/100km): da 5,9 (6,8)/4,0 (4,4)/4,7 (5,3)
a 12,4 (12,2)/6,7 (6,8)/8,8 (8,8). Emissioni CO2 (g/km): da 125 (140) a 205 (205). I valori tra parentesi si riferiscono alle vetture con cambio automatico.
Piacere di guidare
23/29 luglio 2010 • Numero 856 • Anno 17
Sommario La settimana
“Bisogna incasinare tutto perché riesca bene” Simon kupeR, pagina 82
in copeRtina
14 Top secret America The Washington Post
Relax
88 La cucina
Società
54 Eleganza africana
92 La Scandinavia
56 Lirica urbana
Hutapea Oltre l’onestà The New York Times
28 Il parlamento
viaggi
64 L’Africa dal inestrino The Guardian
aSia e pacifico
30 In Corea del Nord la sanità è al collasso The Korea Herald viSti dagLi aLtRi
32 Matrimonio
india
42 Per fame
Le opinioni 29
Yoani Sánchez
36
James Surowiecki
74
Gofredo Foi
76
Giuliano Milani Pier Andrea Canei
80
Christian Caujolle
Fanny Dalle-Rive
86
Tullio De Mauro
70 L’afresco
89
Anahad O’Connor
93
Tito Boeri
di un incubo Die Zeit
Le rubriche
pop
82 Londra e Parigi,
85
Cinema, libri, musica, tv, arte
78
LibRi
38 I ragazzi
della Striscia Libération
72
gRaphic jouRnaLiSm
68 Cartoline da Sierre
di convenienza tra maie e politica Foreign Policy medio oRiente
cultura
RitRatti
62 Hotman Paris
ameRiche
argentino disubbidisce alla chiesa cattolica Proceso
è un porto sicuro per gli investitori The Wall Street Journal
Le foto di Helen Levitt, con un testo di Christian Caujolle
26 La polizia egiziana sotto accusa per la morte di un ragazzo The New York Times
economia e LavoRo
Libération poRtfoLio
afRica e medio oRiente
90
ci ha reso umani New Scientist Il diario della Terra
la rivoluzione su rotaie Simon Kuper Ogni romanzo ha il suo cane lontano Rosecrans Baldwin
13
Editoriali
96
Strisce
97
L’oroscopo
98
L’ultima
e superstizione Post Magazine
Le principali fonti di questo numero Foreign Policy È un mensile statunitense di politica internazionale ed economia. L’articolo a pagina 32 è uscito sul sito il 16 luglio 2010 con il titolo Married to the italian mob. Libération È un quotidiano francese di sinistra. Ha una difusione di 140mila copie. L’articolo a pagina 38 è uscito il 26 giugno 2010 con il titolo Gaza, s’évader en rêves. L’articolo a pagina 54 è uscito il 6 luglio 2010 con il titolo L’œil de ma rivale. New Scientist È un settimanale britannico di divulgazione scientiica. L’articolo a pagina 46 è uscito il 15 maggio 2010 con il titolo State of denial. Post Magazine È il magazine del South China Morning Post, un quotidiano in inglese di Hong Kong. L’articolo a pagina 42 è uscito il 27 giugno 2010 con il titolo Burning issue. The Washington Post È un quotidiano statunitense noto per le sue inchieste. Ha vinto 47 premi Pulitzer. L’articolo a pagina 14 è stato pubblicato in tre puntate dal 19 al 21 luglio 2010 con il titolo Top secret America. Internazionale pubblica in esclusiva per l’Italia gli articoli dell’Economist.
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internazionale.it/sommario
PAOLO PELLEGRIN (MAGNUM/CONTRASTO)
per la modernizzazione Novaja Gazeta
Scienza e tecnoLogia
dei complotti New Scientist
euRopa
24 La sida di Mosca Quando l’abbiamo invitata, ad aprile, ha risposto subito di sì. Era interessata all’argomento, ma forse anche all’idea di un weekend di tutto relax in Italia. Poi, nelle ultime settimane, era scomparsa. Dovevamo mettere a punto gli ultimi dettagli logistici prima dell’estate, ma non rispondeva più alle email. Alla ine, qualche giorno fa, si è fatta viva: “Scusatemi, sta per uscire una mia inchiesta, ci sentiamo subito dopo”. Erano due anni che ci lavorava. Lei si occupa da sempre dei servizi segreti americani. Nel 2006 ha vinto un Pulitzer per l’inchiesta sui black sites, le prigioni segrete usate dalla Cia per interrogare all’estero le persone sospettate di terrorismo. Ha 53 anni, un marito, due igli e vive a Washington. Lavora al Washington Post da quando aveva trent’anni. Dana Priest, la giornalista che ha scritto “Top secret America”, sarà a Ferrara al festival di Internazionale. E parlerà di giornalismo investigativo. Poi, ovviamente, si farà anche un weekend di tutto relax. Giovanni De Mauro settimana@internazionale.it
Scienza
46 La scienza
Immagini Onda nera Dalian, Cina 20 luglio 2010
Operazioni di soccorso al porto di Dalian, sulla costa nordorientale della Cina, dove il 16 luglio due esplosioni hanno danneggiato gli oleodotti. L’incidente ha provocato la perdita di alcune tonnellate di petrolio che hanno già coperto un’area di 52 chilometri quadrati e minacciano di raggiungere le acque internazionali. Un pompiere è annegato mentre cercava di rimettere in funzione una delle pompe. Foto di Jiang He (Greenpeace)
Immagini Bomba al ristorante Baquba, Iraq 20 luglio 2010
Almeno cinque persone sono morte e venticinque sono rimaste ferite per l’esplosione di un’autobomba nei pressi di un ristorante di Baquba. Il capoluogo della provincia di Diyala, che si trova 60 chilometri a nord di Baghdad, è stato in passato una delle roccaforti della guerriglia sunnita. Il 1 settembre quasi la metà delle truppe statunitensi in Iraq lascerà il paese. Foto di Adam Hadei (Ap/ Lapresse)
Immagini Tesoro bianco
Luis Eduardo Magalhanes, Brasile, 15 luglio 2010 Mietitrici in un campo di cotone nello stato di Bahia. La raccolta del cotone nella regione comincia a metà giugno e termina a ine luglio. Secondo la compagnia nazionale per l’approvvigionamento del cibo, nel 2010 la produzione dovrebbe crescere del 2 per cento rispetto al 2009, arrivando a 1,2 milioni di tonnellate di cotone impacchettato. Foto di Sebastiao Moreira (Epa/Ansa)
Posta@internazionale.it L’altra faccia dei maschi ◆ Grazie per l’articolo sulla ine della supremazia maschile e grazie per quello sulle donne georgiane che segue. Come dire, l’altra faccia della medaglia. Eliene ◆ Non posso che dirmi compiaciuto se le donne acquistano più potere. Quello che non mi piace, però, è quella parolina, “maschio”, usata spesso e volentieri come opposto di “donna”. E il fatto che sia probabilmente una svista involontaria, un’abitudine acquisita per imitazione, lo rende ancora più indicativo. Essere uomini non signiica solo essere dominati dal testosterone. Sono una persona colta, intelligente, con molti interessi, snobbo il calcio per la ilosoia, ho molte idee e molti progetti, ho cercato di sviluppare il mio lato femminile per venire incontro all’altro sesso, e ora ho la sensazione di averne ricavato più svantaggi che vantaggi: le donne mi vedono come uno “moscio”, su cui possono sfogare l’astio accumulato nei confronti dei maschi. Mi pare che il diritto di una donna a dire di no si sia trasformato in un dovere a
dire di no. Alcune mie amiche fanno feste tra sole donne che loro chiamano iga-power (pardon). Se la società sta andando verso un maggiore potere delle donne è una buona cosa: ma se queste dovessero rivelarsi “femmine” invece di donne, prevedo nuovi guai, pur se diversi da quelli attuali. Marco
senta, con le opportune “veriiche”, di recuperare con la nostra nota anche una copia dello statuto per un esame esauriente e una cortese risposta. Enrico Mascaro Associazione per la ricerca e lo studio sugli ebrei in Calabria e Sicilia
Risposta al sindaco di Lamezia Terme
◆ Vi scrivo per segnalarvi una piccola svista a pagina 92 del numero uscito il 16 luglio. Mille rial equivalgono a 0,08 euro, non a 0,80. Anche perché, se così fosse, i poveri iraniani pagherebbero un litro di benzina 3,20 euro, un po’ troppo per un paese che naviga nel petrolio (pur avendo gravi problemi di rainazione). Paolo Trabattoni
◆ Caro Gianni Speranza, la nostra associazione ha mandato una richiesta per l’assegnazione di uno stabile al comune di Lamezia Terme il 9 dicembre 2005. Una copia della lettera ti è stata trasmessa per raccomandata n. 11876959348-0 il 12 dicembre 2005 dall’uicio postale sez. 10 di Lamezia Terme 18/102 e conteneva anche copia dell’atto costitutivo dell’associazione. Conoscendo la tua sensibilità credo si sia trattato di una disattenzione causata da altre, più impellenti, necessità della città, reduce da due commissariamenti a seguito dello scioglimento anticipato di precedenti consigli comunali per iniltrazioni maiose. Mi auguro che questa circostanza ti con-
essere un uomo e vivere in Africa. Ma sono una donna e sono nata e vivo in Croazia, al freddo e al gelo davanti alla porta dell’Europa. Le persone dovrebbero accontentarsi di quello che hanno, anche se spesso è poco. C’è qualcosa di umiliante nel fantasticare sull’Unione europea. Ma noi croati non abbiamo altre fantasie. Forse perché i nostri politici sono senza immaginazione. ◆ it
Vado al lavoro in treno e cambio nell’afollata stazione di Mumbai. Un giorno ero in ritardo e sono salita senza biglietto. Purtroppo quella volta è passato il controllore è ho dovuto pagare 258 rupie di multa. Molto di più delle 8 rupie del biglietto di sola andata. Sono una studentessa di economia temeraria e ho deciso che nel viaggio di ritorno e nei 15 giorni successivi non avrei pagato il biglietto, ino a quando non mi fossi rifatta dei soldi spesi per la multa. Continuo così? Le multe sono un deterrente? – Ela Bodas Stai seguendo le orme di Gary Becker, premio Nobel per l’economia. Una volta Becker ha parcheggiato l’auto in divieto di sosta per non arrivare tardi all’esame di un dottorando. La prima cosa che ha chiesto allo studente è stata di abbozzare una teoria sul reato premeditato e la pena. Il dottorando ha passato l’esame e Becker non è stato multato. Etica a parte, il tuo comportamento è razionale: eviti le code, risparmi soldi e non hai paura di dover pagare una multa. Sarai una buona economista, se non una brava cittadina. Una volta ho intervistato Becker per due ore e lui aveva parcheggiato in una zona poco controllata dove si può sostare solo 15 minuti.
Milana Runjic risponde alle domande dei lettori all’indirizzo milana@internazionale.it
Tim Harford risponde alle domande dei lettori del Financial Times.
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Il pulcino croato
Tempo fa un economista sloveno ha detto che l’Unione europea si dissolverà come l’ex Jugoslavia, per via della forte tensione che c’è tra i paesi membri. Ma non sembra che ai croati interessi granché. Noi vogliamo entrare nell’Unione a tutti i costi. È come se i pulcini ilosofeggiassero sulla stupidità delle galline. Forse le galline saranno anche stupide, ma per i pulcini resteranno sem-
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pre irraggiungibili. Ecco perché non vogliamo che l’Unione si sfaldi prima del nostro arrivo, anche se gli sloveni continuano a dirci che da quando sono entrati nell’Unione la vita è diventata molto più diicile (cioè più cara). Devo ammettere che invidio molto l’atteggiamento della Gran Bretagna verso l’Europa, il suo fare un po’ arrogante da “non rompetemi troppo le scatole”. Mi piacerebbe essere inglese, nonostante tutti i difetti di quel paese in parte misterioso. Ma se è per questo mi piacerebbe anche fare il calciatore,
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Se non passa il controllore
Refuso iraniano
Cara Milana
Cara Milana, cosa pensi, come croata, della crisi che ha colpito l’Unione europea?
Caro economista
Editoriali “Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante se ne sognano nella vostra ilosoia” William Shakespeare, Amleto Direttore Giovanni De Mauro Vicedirettori Elena Boille, Chiara Nielsen, Alberto Notarbartolo, Jacopo Zanchini Comitato di direzione Giovanna Chioini (Asia e Paciico), Stefania Mascetti (Internazionale.it), Martina Recchiuti (Internazionale.it), Pierfrancesco Romano (copy editor) In redazione Liliana Cardile (Cina), Carlo Ciurlo (viaggi), Camilla Desideri (America Latina), Simon Dunaway (attualità), Mélissa Jollivet (photo editor), Alessandro Lubello (economia), Maysa Moroni, Andrea Pipino (Europa), Claudio Rossi Marcelli (Internazionale. it), Francesca Sibani (Italieni), Piero Zardo (cultura), Giulia Zoli (Stati Uniti) Impaginazione Pasquale Cavorsi, Valeria Quadri Segreteria Teresa Censini, Luisa Cifolilli Correzione di bozze Sara Esposito Traduzioni I traduttori sono indicati dalla sigla alla ine degli articoli. Marina Astrologo, Sara Bani, Giuseppina Cavallo, Diana Corsini, Stefania De Franco, Andrea De Ritis, Enrico Del Sero, Andrea Ferrario, Nazzareno Mataldi, Floriana Pagano, Fabrizio Saulini, Andrea Sparacino, Ivana Telebak, Bruna Tortorella, Stefano Valenti, Anna Zuliani Disegni Anna Keen. I ritratti dei columnist sono di Scott Menchin Progetto graico Mark Porter Hanno collaborato Gian Paolo Accardo, Isabella Aguilar, Luca Bacchini, Francesco Boille, Annalisa Camilli, Alessia Cerantola, Gabriele Crescente, Giovanna D’Ascenzi, Sergio Fant, Antonio Frate, Francesca Gnetti, Anita Joshi, Alessio Marchionna, Jamila Mascat, Odaira Namihei, Lore Popper, Fabio Pusterla, Marta Russo, Andreana Saint Amour, Diana Santini, Junko Terao, Laura Tonon, Pierre Vanrie, Guido Vitiello, Abdelkader Zemouri Editore Internazionale srl Consiglio di amministrazione Brunetto Tini (presidente), Giuseppe Cornetto Bourlot (vicepresidente), Emanuele Bevilacqua (amministratore delegato), Alessandro Spaventa (amministratore delegato), Antonio Abete, Giovanni De Mauro, Giovanni Lo Storto Sede legale via Prenestina 685, 00155 Roma Produzione e difusione Francisco Vilalta Amministrazione Tommasa Palumbo, Arianna Castelli Concessionaria esclusiva per la pubblicità Agenzia del marketing editoriale Tel. 06 809 1271, 06 80660287 info@ame-online.it Subconcessionaria Download Pubblicità S.r.l. Stampa Elcograf Industria Graica, via Nazionale 14, Beverate di Brivio (Lc) Distribuzione Press Di, Segrate (Mi) Copyright Tutto il materiale scritto dalla redazione è disponibile sotto la licenza Creative Common Attribuzione-Non commercialeCondividi allo stesso modo 3.0. Signiica che può essere riprodotto a patto di citare Internazionale, di non usarlo per ini commerciali e di condividerlo con la stessa licenza. Per questioni di diritti non possiamo applicare questa licenza agli articoli che compriamo dai giornali stranieri. Info: posta@internazionale.it
Registrazione tribunale di Roma n. 433 del 4 ottobre 1993 Direttore responsabile Giovanni De Mauro Chiuso in redazione alle 20 di mercoledì 21 luglio 2010 PER ABBONARSI E PER INFORMAZIONI SUL PROPRIO ABBONAMENTO
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Afghanistan ultimo atto El País, Spagna La conferenza di Kabul ha issato nel 2014 la data per trasferire completamente al governo afgano l’autorità militare ed economica. Non è una decisione irrevocabile, ma un processo che potrà essere condizionato dagli eventi. Ed è una scelta resa necessaria dall’impazienza crescente degli Stati Uniti e soprattutto degli alleati europei, preoccupati dal protrarsi di una guerra in cui lo sforzo bellico non è compensato dai risultati: un conlitto che sta mettendo a dura prova la capacità della Nato di combattere in terreni come questo. La funzione della conferenza di Kabul non va oltre quella di una cassa di risonanza per i desideri e le ansie dei partecipanti. Il comunicato inale, pieno di progetti e promesse, è soprattutto un catalogo di buone intenzioni, molte delle quali sono già state cavalcate con opportunismo e senza risultati concreti da Hamid Karzai. Una delle poche decisioni valide potrebbe essere quella di concedere al presidente afgano – delegittimato, vincitore l’anno scorso di elezioni truccate e probabilmente corrotto – la possibilità di gestire nei prossimi due anni ino al 50 per cento degli aiuti che il paese riceve per lo sviluppo.
Washington e i suoi alleati, con un grado di convinzione variabile, sostengono con cautela l’idea di Karzai di riconciliarsi con i taliban pentiti. Il tentativo del presidente appare però costruito su basi deboli, visto che i fondamentalisti riiutano ogni negoziato inché ci saranno truppe straniere nel paese. Come già prima della sostituzione di Stanley McChrystal con David Petraeus al comando delle truppe statunitensi, le due domande fondamentali sull’Afghanistan sono sempre le stesse: è possibile vincere la guerra? E come? Perino il segretario di stato americano Hillary Clinton non ha nascosto la sua preoccupazione per un conlitto in cui sono impegnati 150mila soldati e in cui il numero di persone uccise ogni mese è sempre più alto. Gli obiettivi ambiziosi annunciati da Barack Obama sembrano sempre più lontani nonostante il crescente impegno militare degli Stati Uniti. Washington sostiene di voler cominciare il lento ritiro delle truppe a partire dalla prossima estate. Ma la maggioranza degli afgani pensa che gli Stati Uniti stiano perdendo terreno in una guerra che è cominciata nove anni fa ed è già la più lunga delle storia militare statunitense. u as
Aids, non solo buone notizie The Independent, Gran Bretagna Dalla diciottesima conferenza internazionale sull’aids di Vienna sono venute due buone notizie. La prima è che il numero di ragazzi che hanno contratto l’hiv è sceso di un quarto in 12 dei 25 paesi più colpiti del mondo e tende a diminuire in altri quattro, mano a mano che aumenta la prevenzione. La seconda è che le donne potranno proteggersi dall’hiv grazie alla messa a punto di un gel vaginale che riduce di oltre il 50 per cento il rischio d’infezione. Sono conquiste importanti, visto che da venticinque anni gli scienziati lottano per fermare la difusione dell’aids e trovare un vaccino, una cura o un modo per modiicare gli stili di vita. Dimostrano che la battaglia è stata utile, anche se non è ancora vinta. Anzi, sembra che il mondo industrializzato stia perdendo la voglia di combatterla. Grazie ai farmaci antiretrovirali, che salvano molte vite, il numero delle persone sieropositive è aumentato: nel 2008 erano 33,4 milioni nel mondo, di cui 2,7 milioni l’avevano contratta quello stesso anno. I morti sono stati due
milioni. Nonostante i miliardi di dollari investiti in questi anni, oggi ricevono un trattamento antiretrovirale solo 5 dei 15 milioni di persone che ne avrebbero bisogno. L’aids ha conseguenze più gravi di altre malattie, perché colpisce le persone giovani, danneggia l’economia e crea generazioni di orfani. Bisogna intervenire su molti fronti: mettere a disposizione molti più farmaci, favorire la circoncisione maschile (che riduce del 60 per cento le infezioni da hiv), prevenire la trasmissione da madre a iglio e fare pubblicità al sesso sicuro. La crisi economica rischia di ridurre i inanziamenti per la lotta all’aids. C’è chi sostiene che assorbono una quota sproporzionata degli aiuti destinati alla salute e che andrebbero spostati su altre malattie. Già oggi i cittadini più poveri e vulnerabili del mondo ricevono aiuti scarsi per la loro salute. Ma il metro di misura dovrebbe essere quanto spendiamo per l’aids, non quanto poco spendiamo per altre malattie. Tagliare la spesa oggi sarebbe una follia. u ma Internazionale 856 | 23 luglio 2010
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In copertina
VII (3)
Top secret Dana Priest e William M. Arkin, The Washington Post, Stati Uniti Foto di Christopher Morris
Centinaia di ediici. Migliaia di uomini. Investimenti miliardari. Un gigantesco apparato segreto creato dopo gli attentati dell’11 settembre, che il governo non controlla più. L’inchiesta del Washington Post
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l mondo segreto creato dal governo statunitense dopo gli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 è diventato così enorme e così top secret che nessuno sa quanto costa, quante persone ci lavorano e quali sono i loro compiti e le loro responsabilità. L’inchiesta del Washington Post ha scoperto una vera e propria geograia alternativa degli Stati Uniti, un’America nascosta agli occhi dell’opinione pubblica. Dopo nove anni di crescita senza precedenti, il sistema creato per garantire la sicurezza degli Stati Uniti è talmente colossale che è impossibile stabilire se funziona o no. Qualcosa come 1.271 organizzazioni
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Internazionale 856 | 23 luglio 2010
governative e 1.931 aziende private lavorano con compiti di antiterrorismo, sicurezza interna e intelligence in circa diecimila località in tutti gli Stati Uniti. Si calcola che 854mila persone, quasi una volta e mezzo gli abitanti di Washington, abbiano un nulla osta di massima sicurezza. A Washington e nell’area circostante, dopo il settembre del 2001 sono stati costruiti 33 complessi edilizi per attività di intelligence top secret. Insieme occupano uno spazio equivalente a quasi tre volte la supericie del Pentagono, cioè circa 158mila ettari. Molte agenzie di sicurezza e di intelligence fanno lo stesso lavoro, creando doppioni e sprechi. Per esempio, 51 or-
ganizzazioni federali e comandi militari che operano in 15 città statunitensi seguono il lusso di denaro che scorre da e verso le organizzazioni terroristiche. Gli analisti che interpretano le conversazioni e i documenti ottenuti grazie ad attività di spionaggio nazionale e internazionale condividono le loro valutazioni pubblicando 50mila rapporti di intelligence all’anno: una numero così grande che molti rapporti vengono sistematicamente ignorati. Non si tratta di questioni accademiche. È la mancanza di attenzione, non la mancanza di risorse, a spiegare il massacro di Fort Hood o l’attentato terroristico del Natale del 2009. Sono questioni che preoccu-
t America pano molto anche alcuni responsabili della sicurezza del paese. “Dopo l’11 settembre è tutto talmente cresciuto che riuscire a orientarsi è una vera sida”, ha dichiarato il segretario alla difesa Robert M. Gates. Al dipartimento della difesa, dove sono concentrati oltre due terzi dei programmi di intelligence, solo una manciata di alti uiciali, chiamati superuser, sono a conoscenza di tutte le attività del dipartimento. Ma come due di loro hanno lasciato intendere in diverse interviste, è praticamente impossibile tenersi informati sul lavoro più delicato del paese. “Non vivrò abbastanza a lungo da essere informato su tutto”, ha detto uno dei due superuser. L’altro ha raccontato che per il suo primo brieing venne scortato in una minuscola stanza buia, dove lo fecero sedere a un tavolino e gli dissero che non poteva prendere appunti. Su uno schermo cominciarono a lampeggiare i nomi dei programmi antiterrorismo, uno dopo l’altro, inché lui, scoraggiato, gridò “Stop!”: “Non riuscivo a memorizzare niente”. A sottolineare la serietà della situazione ci
Le foto di queste pagine sono state scattate nella sede del centro nazionale antiterrorismo, all’interno del quartier generale della Cia a Langley, in Virginia sono le conclusioni del tenente generale dell’esercito in pensione John R. Vines, che l’anno scorso è stato incaricato di rivedere il metodo per seguire l’andamento dei programmi più delicati del dipartimento della difesa. Vines, che ha comandato 145mila uomini in Iraq e sa come afrontare i problemi, è rimasto sconvolto da quello che ha scoperto: “Non conosco nessuna agenzia che abbia l’autorità, la responsabilità o un programma per coordinare tutte queste attività”, ha detto. “La complessità del sistema è indescrivibile”. Il risultato, ha aggiunto, è che è impossibile stabilire se grazie a tutte queste spese e attività il paese oggi sia più sicuro. “Poiché manca un processo di coordinamento, tutto si risolve in messaggi discordanti, minore eicacia e sprechi. Perciò non possiamo valutare re-
almente se tutto questo ci sta rendendo più sicuri”. La nostra inchiesta si basa su documenti pubblici e contratti, descrizioni di lavori, atti del catasto, siti web aziendali e di social network e centinaia di interviste con funzionari ed ex funzionari dell’intelligence, delle forze armate e di diverse aziende. La maggior parte di loro ha chiesto l’anonimato perché non è autorizzata a rilasciare dichiarazioni o perché teme ritorsioni sul lavoro. Il database di organizzazioni governative e aziende private messo online dal Washington Post è stato realizzato esclusivamente con documenti pubblici. L’inchiesta si è concentrata sulle attività top secret perché quelle classiicate come meno segrete sono semplicemente troppe per poter essere studiate in dettaglio.
L’ofensiva globale Davanti a un comprensorio recintato e chiuso da un cancello, a McLean, in Virginia, una colonna di auto avanza a passo d’uomo come ogni mattina mentre nell’America top secret comincia una nuoInternazionale 856 | 23 luglio 2010
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VII
In copertina
va giornata di lavoro. Le auto aspettano pazientemente di voltare a destra, poi salgono una collina e girano ancora per raggiungere una destinazione che non compare su nessuna cartina stradale e non è annunciata da nessun segnale. Liberty Crossing ce la mette tutta per nascondersi. Ma d’inverno gli alberi spogli non riescono a coprire la montagna di cemento e inestre grande come cinque supermercati Wal-Mart che sorge dietro un terrapieno. Un passo di troppo senza il tesserino giusto ed ecco spuntare dal nulla alcuni uomini in nero con le pistole puntate. Oltrepassate le guardie armate e le transenne in acciaio idraulico, almeno 1.700 dipendenti federali e 1.200 contractor (dipendenti privati a contratto) lavorano a Liberty Crossing, il nome in codice che indica il quartier generale dell’uicio del direttore dell’intelligence nazionale (Dni) e del suo centro nazionale antiterrorismo. I due uici condividono una forza di polizia, un’unità cinoila e migliaia di parcheggi. Liberty Crossing è il cuore dell’agglomerato di agenzie governative e aziende private spuntate come funghi dopo gli attentati del 2001. Ma non è la parte principale, più costosa o più segreta della grande industria dell’11 settembre.
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Tra le targhe appese nell’atrio di un grande palazzo ad Arlington County non c’è quella di un’unità dell’Air Force chiamata Xoiws. Eppure i suoi uici sono al terzo piano dell’ediico. A Elkridge, in Maryland, una struttura clandestina si nasconde in un altro ediicio di cemento provvisto di false inestre per sembrare un normale palazzo di uici. Ad Arnold, in Missouri, la sede è di fronte ai negozi di due grandi catene, Target e Home Depot. A St. Petersburg, in Florida, è in una modesta casetta di mattoni in un fatiscente quartiere di afari. Ogni giorno, in tutti gli Stati Uniti, 854mila dipendenti pubblici, militari e contractor privati con nulla osta di massi-
Da sapere Numero di ediici dell’America top secret
Uici di società private Uici del governo
2.164 Fonte: The Washington Post
6.944
ma sicurezza vengono controllati e ammessi in uici protetti da serrature elettromagnetiche, telecamere per il riconoscimento della retina e mura fortiicate inaccessibili alle apparecchiature per le intercettazioni ambientali. Non è esattamente “il complesso militare-industriale” del presidente Dwight D. Eisenhower, nato con la guerra fredda e destinato a costruire armi nucleari con funzione deterrente nei confronti dell’Unione Sovietica. Questa è un’industria di sicurezza nazionale con una missione più vaga: sconiggere i terroristi in giro per il mondo. Molte delle informazioni su questa missione sono segrete. Per questo è così diicile valutare i successi e individuare i problemi dell’America top secret, come per esempio capire se il denaro viene speso in modo ragionevole. Il bilancio dell’intelligence statunitense è imponente. L’anno scorso sono stati dichiarati 75 miliardi di dollari, 21 volte e mezzo in più rispetto al 10 settembre 2001. Ma questa cifra non comprende molte attività militari e molti programmi antiterrorismo interni. Almeno il 20 per cento delle organizzazioni governative chiamate a scongiurare la minaccia terroristica sono state create o
ristrutturate subito dopo l’11 settembre. Altre ancora, che esistevano già prima, sono cresciute a dismisura perché l’amministrazione Bush e il congresso volevano dare alle agenzie più soldi di quanti fossero in grado di gestirne. Nove giorni dopo gli attentati, il congresso stanziò 40 miliardi di dollari, oltre ai soldi già previsti dal bilancio federale, per raforzare le difesa interna e lanciare un’ofensiva globale contro Al Qaeda. Poi si aggiunsero altri 36,5 miliardi di dollari nel 2002 e 44 miliardi di dollari nel 2003. Era solo l’inizio. Le agenzie militari e di intelligence si sono moltiplicate grazie a questi soldi. Alla ine del 2001 erano già state create 24 organizzazioni, tra cui l’uicio per la sicurezza nazionale e la task force per l’individuazione dei beni dei terroristi all’estero. Nel 2002 ne vennero create altre 37 per individuare le armi di distruzione di massa, raccogliere indizi su possibili minacce e coordinare le nuove iniziative dell’antiterrori-
Ogni giorno l’agenzia per la sicurezza nazionale intercetta 1,7 miliardi di email smo. L’anno dopo apparvero 36 nuove organizzazioni, seguite da altre 26, poi 31, ancora 32 e inine almeno 20 all’anno nel 2007, nel 2008 e nel 2009. Complessivamente, in risposta all’11 settembre sono state create o ristrutturate almeno 263 organizzazioni. Ognuna ha richiesto nuovo personale e il personale ha richiesto supporto amministrativo e logistico: centralinisti, segretarie, archivisti, architetti, falegnami, muratori, tecnici dell’aria condizionata e addetti alle pulizie, tutti con il nulla osta di massima sicurezza. Con così tanti nuovi dipendenti, unità e organizzazioni, le linee di separazione delle diverse responsabilità sono diventate più confuse e sfumate. Per questo, su raccomandazione della commissione bipartisan sull’11 settembre, nel 2004 l’amministrazione Bush e il congresso hanno deciso di istituire un’agenzia di supervisione, l’uficio del direttore dell’intelligence nazionale (Odni), incaricato di tenere sotto controllo questo sforzo colossale. Quando fu inaugurato, nella primavera del 2005, l’uficio di John D. Negroponte era composto da 11 persone stipate in una specie di bunker a un isolato dalla Casa Bianca. Un anno dopo, l’agenzia si trasferì in due piani di un altro ediicio. Nell’aprile 2008 si è installa-
ta nella sua enorme sede permanente, Liberty Crossing. Oggi molti funzionari che lavorano nelle agenzie di intelligence dicono di non avere le idee chiare su quali siano le responsabilità dell’Odni. L’ultimo direttore, Dennis C. Blair, ha lavorato tenacemente a questioni molto concrete come le riforma degli approvvigionamenti, le reti informatiche compatibili e gli standard analiticooperativi. Ma all’Odni la quantità ha avuto la meglio sulla qualità, perché il lusso crescente di dati di intelligence annulla la capacità del sistema di analizzarli e utilizzarli. Ogni giorno i sistemi di raccolta dell’agenzia per la sicurezza nazionale intercettano e memorizzano 1,7 miliardi di email, telefonate e altri tipi di comunicazione. Ma l’agenzia analizza solo una parte di questo materiale, che viene smistato in 70 diversi database. Lo stesso problema riguarda tutte le altre agenzie di intelligence, nessuna delle quali ha abbastanza analisti e traduttori per questa montagna di lavoro. L’efetto pratico di questo sistema elefantiaco è visibile, su scala molto ridotta, nell’uicio di Michael Leiter, il direttore del centro nazionale antiterrorismo. Leiter passa gran parte della sua giornata davanti ai quattro schermi dei computer allineati sulla sua scrivania. Ai suoi piedi ci sono sei hard disk. Il lusso di dati è colossale, e decine di database alimentano diverse reti informatiche che non possono interagire tra loro.
Il popolo delle Scif Per farsi un’altra idea di quanto sia estesa l’America top secret, basta dirigersi verso ovest lungo l’autostrada che porta all’aeroporto internazionale Dulles di Washington.Quando il centro per il bricolage Michaels e la grande libreria Books-A-Million lasciano il posto ai giganti dell’industria militare Northrop Grumman e Lockheed Martin, prendete la rampa di uscita e girate a sinistra. Questi due cubi di cinque piani azzurro scintillante appartengono all’agenzia nazionale di intelligence geospaziale, che analizza immagini e dati di mappatura della geograia della Terra. È quanto annuncia un piccolo cartello nascosto da una siepe di bosso. Dall’altra parte della strada, in ediici color cioccolata, ha sede la Carahsoft, un contractor delle agenzie di intelligence specializzato in mappatura, analisi delle intercettazioni e raccolta di dati. Poco lontano c’è un centro governativo specializzato nell’analisi delle strutture sotterranee.
Questo articolo
u “Top secret America” è un’inchiesta del Washington Post sulle attività delle strutture segrete create dal governo statunitense per garantire la sicurezza del paese dopo gli attentati dell’11 settembre. u L’inchiesta è il risultato di due anni di ricerche e della collaborazione di venti giornalisti coordinati da Dana Priest e William M. Arkin (nella foto). È accompagnata da un gigantesco database con video, cartine e graici interattivi che documentano la crescita di un apparato di sicurezza sempre più complesso e diicile da controllare. È online sul sito topsecretamerica.com. u Il database Top secret America è stato realizzato consultando i documenti pubblici di migliaia di enti e società private. Ogni informazione pubblicata è stata convalidata incrociando almeno due dati uiciali. I funzionari del governo statunitense hanno esaminato il sito diversi mesi prima della pubblicazione. u Dana Priest è una giornalista investigativa del Washington Post. In passato si è occupata di servizi segreti, difesa e sanità. Ha vinto un premio Pulitzer nel 2006 per un’inchiesta sulle prigioni della Cia e le operazioni segrete di antiterrorismo oltreoceano. Ha scritto The mission: waging war and keeping peace with America’s military (W.W. Norton 2003). Il 3 ottobre sarà al Festival di Internazionale a Ferrara per parlare di giornalismo d’inchiesta. u William M. Arkin è un columnist del Washington Post dal 1998. Si occupa di servizi segreti e sicurezza statunitense da trent’anni e ha scritto diversi libri sull’argomento. Internazionale 856 | 23 luglio 2010
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In copertina Deve individuare i centri sotterranei di comando all’estero associati ad armi di distruzione di massa e a gruppi terroristici, e fornisce consulenze ai militari su come distruggerli. In tutto il paese esistono centri di attività segretissima, ma la capitale dell’America top secret è la regione di Washington. Circa la metà dell’industria dell’11 settembre è dislocata in un arco che si estende da Leesburg in direzione sud ino a Quantico per risalire attraverso Washington e curvare a nordest verso Linthicum, subito a nord dell’aeroporto internazionale Marshall di Baltimora-Washington. Molti ediici si trovano all’interno di comprensori of-limits o in basi militari. Altri occupano quartieri di affari oppure si mescolano a scuole e centri commerciali e passano inosservati agli occhi degli abitanti. Non lontano dall’autostrada per Dulles, la Cia ha occupato due interi ediici. Più a sud, Springfield si prepara a ospitare la nuova sede da 1,8 miliardi di dollari dell’agenzia nazionale per l’intelligence geospaziale, che diventerà il quarto più grande ediicio federale nella zona e darà lavoro a 8.500 dipendenti. Gli incentivi all’economia stanno inanziando con centinaia di milioni di dollari questo tipo di costruzioni federali in tutta la regione.
Soiate anonime Non è solo il numero di ediici a indicare le dimensioni e i costi di una simile espansione, ma anche quello che c’è dentro: monitor, badge con su scritto “accompagnamento richiesto”, macchine per i raggi X, armadietti dove lasciare cellulari e cercapersone, serrature a tastiera che aprono stanze speciali con pareti di metallo o muri a secco, impenetrabili agli strumenti per le intercettazioni telefoniche e protette da allarmi e forze di sicurezza in grado di reagire in un quarto d’ora. Ogni ediicio ha almeno una di queste stanze note come Scif, sensitive compartmented information facility (struttura per informazioni settoriali delicate). Alcune sono piccole come ripostigli, altre grandi come quattro campi da football. Nelle Scif lavorano dipendenti malpagati che si portano il pranzo da casa per risparmiare. Sono analisti tra i venti e i trent’anni che guadagnano dai 41mila ai 65mila dollari all’anno. Nel migliore dei casi, le loro analisi mescolano l’interpretazione culturale a frammenti di conversazioni, dialoghi in codice, soiate anonime, perino scarti di riiuti, per trasformarli in indizi che conducono a individui e a gruppi
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sospettati di voler danneggiare gli Stati Uniti. Questo lavoro è facilitato dai computer che selezionano e classiicano i dati. Alla ine, però, l’analisi richiede il giudizio umano e la metà degli analisti è relativamente inesperta. Spesso gli analisti a contratto sono appena usciti dall’università e sono stati formati al quartier generale.
Il nigeriano indisturbato Il problema di molti rapporti d’intelligence, spiega chi li legge, è che si limitano a ripetere fatti già noti. Perino i rapporti degli analisti del centro nazionale antiterrorismo, dove si dovrebbero mettere insieme le informazioni sensibili più diicili da reperire, sono giudicati insufficienti dagli uiciali d’intelligence perché non producono informazioni originali o, quanto meno, migliori di quelle della Cia, dell’Fbi, dell’agenzia per la sicurezza nazionale o dell’agenzia di intelligence della difesa. Poiché moltissime informazioni sono
Il problema di molti rapporti d’intelligence è che ripetono fatti già noti riservate, può essere diicile avere un quadro generale di quello che succede ogni giorno nell’America top secret. Ogni tanto, però, salta fuori qualche esempio. Uno recente mostra il sistema post 11 settembre nei suoi lati migliori e peggiori. Nell’autunno del 2009 è uscita la notizia che c’era qualcosa di strano nello Yemen. Il presidente Obama ha irmato un ordine con cui inviava decine di reparti speciali segreti per scovare e uccidere i leader di un gruppo legato ad Al Qaeda. Nello Yemen i reparti speciali hanno organizzato un centro di operazioni congiunte pieno di computer, kit investigativi e apparecchi di comunicazione. Si sono scambiati migliaia di intercettazioni, rapporti, prove fotograiche e video con decine di organizzazioni top secret negli Stati Uniti. Quando però le informazioni hanno raggiunto il centro nazionale antiterrorismo di Washington per essere analizzate, sono inite sepolte dai cinquemila documenti con dati generali sul terrorismo che vengono monitorati ogni giorno. Gli analisti hanno dovuto passare da un database all’altro, da un computer all’altro, da un monitor all’altro solo per capire cosa poteva essere interessante. Mentre le operazio-
ni militari nello Yemen s’intensiicavano e le voci su un possibile attentato terroristico aumentavano, le agenzie d’intelligence si davano un gran da fare. Il lusso delle informazioni che arrivavano al centro nazionale antiterrorismo era diventato enorme. Lì in mezzo c’erano dati cruciali. Il nome di un uomo nello Yemen. Un riferimento a un estremista nigeriano. Il rapporto di un padre nigeriano preoccupato per il iglio sparito nello Yemen. Erano tutti indizi di quello che sarebbe successo quando un nigeriano di nome Umar Farouk Abdulmutallab ha lasciato lo Yemen e ad Amsterdam si è imbarcato su un aereo diretto a Detroit. Nessuno, però, li ha messi insieme. Perché, come in seguito avrebbero testimoniato gli uiciali, il sistema era diventato così vasto che i conini della responsabilità si erano irrimediabilmente confusi. Abdulmutallab è riuscito a salire a bordo del volo 253 della Northwest Airlines. Voleva innescare gli esplosivi che si era nascosto nelle mutande mentre l’aereo scendeva verso Detroit. Non è stata l’enorme industria dell’11 settembre a evitare il disastro, ma un passeggero che ha visto l’uomo e l’ha fermato. La costruzione e l’ampliamento degli uici continua in tutto il paese. Presto cominceranno i lavori di un centro di elaborazione dati da 1,7 miliardi di dollari dell’agenzia per la sicurezza nazionale vicino a Salt Lake City. L’anno prossimo, a Tampa, il nuovo ufficio di 25mila metri quadri per l’intelligence del comando centrale delle forze armate sarà aiancato da un quartier generale delle stesse dimensioni e poi, l’anno successivo, da un ufficio di cinquemila metri quadri solo per la sezione delle operazioni speciali. Nel frattempo, otto chilometri a sudest della Casa Bianca, il dipartimento per la sicurezza interna ha aperto il cantiere della sua nuova sede, da dividere con la guardia costiera. Il dipartimento, che esiste da appena sette anni, ha già i suoi programmi segreti, le sue unità di ricerca, il suo centro di comando, il suo parco di auto blindate e il suo staff di 230mila dipendenti. Sul terreno dell’ex manicomio St Elizabeths di Anacostia, sorgerà un ediicio da 3,4 miliardi di dollari. Sarà il più grande complesso governativo costruito dai tempi del Pentagono. Una pietra miliare della geograia alternativa dell’America top secret, grande quattro volte il Liberty Crossing. u gc, sdf
Sicurezza nazionale spa I dipendenti di società private con compiti della massima segretezza sono 265mila. Washington ha aidato a loro le missioni più delicate
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giugno un intagliatore di Manassas ha scolpito un’altra stella perfetta su una parete di marmo del quartier generale della Cia. Ce n’è una per ogni dipendente dell’agenzia rimasto ucciso nella guerra globale cominciata dopo gli attentati del 2001. Il memoriale serve a onorare il coraggio dei dipendenti morti nell’esercizio del loro dovere, ma nasconde anche uno dei segreti del dopo 11 settembre: otto dei 22 uomini uccisi
non erano funzionari della Cia. Erano contractor, agenti privati assunti a contratto. Per garantire che i compiti più delicati siano svolti solo da persone fedeli agli interessi del paese, le norme federali prevedono che i contractor non possano mai svolgere “funzioni che spettano alle autorità governative”. In realtà nelle agenzie dei servizi segreti e dell’antiterrorismo succede continuamente. Doveva essere una soluzione provvisoria, ma è diventata una forma di dipendenza. Su 854mila persone che svolgono attività top secret, 265mila sono a contratto. L’esempio migliore della dipendenza di Washington dai contractor è la Cia, che può svolgere attività all’estero non consentite a nessun’altra agenzia governativa. I privati che lavorano per la Cia reclutano spie in
Iraq, corrompono per ottenere informazioni in Afghanistan e proteggono i direttori dell’agenzia in visita nelle capitali straniere. Hanno contribuito alla cattura di un sospetto terrorista in Italia, interrogato persone detenute in carceri segrete all’estero e sorvegliato i disertori nascosti alla periferia di Washington. Al quartier generale di Langley analizzano le reti del terrorismo. Nel campo di addestramento in Virginia formano una nuova generazione di spie americane. Circa il 30 per cento del personale impiegato dai servizi segreti è a contratto. I privati possono ofrire uno stipendio più alto, spesso addirittura il doppio, di quello che può pagare lo stato. E dato che la concorrenza è spietata, alcuni ofrono come bonus una Bmw o un assegno da 15mila dollari, come ha fatto a giugno la Raytheon per assicurarsi alcuni programmatori di software. Ormai le società a contratto sottraggono talenti alle agenzie federali. È successo anche alla Cia, dove i dipendenti di 114 aziende private costituiscono un terzo del personale e occupano circa diecimila posti di lavoro. Molti sono assunti a tempo determinato. Spesso sono ex dipendenti dell’esercito o dei servizi segreti che hanno lasciato il posto per lavorare meno e guada-
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In copertina gnare meglio, continuando a prendere la pensione federale. I contractor uccidono i nemici, spiano i governi stranieri e le organizzazioni terroristiche, partecipano alla formulazione dei piani d’azione. Nelle zone di guerra raccolgono informazioni sulle fazioni locali. Sono gli storici, gli architetti, i reclutatori delle agenzie più segrete del paese. Sono i consulenti più idati dei generali a quattro stelle. Il governo ha talmente bisogno di appaltatori privati in grado di garantire la sicurezza che ormai esistono più di 300 società, soprannominate body shop, specializzate nella ricerca di personale. Abbiamo calcolato che i contractor addetti a compiti della massima segretezza sono 265mila. La stima è stata confermata da diversi alti funzionari dei servizi segreti. Nel database Top secret America compaiono 1.931 società che svolgono attività ai massimi livelli di segretezza. Più di un quarto, 533, sono nate nel 2001, mentre altre che già esistevano si sono enormemente allargate. Quasi tutte fanno afari d’oro, mentre il resto del paese è colpito dalla crisi. L’industria della sicurezza nazionale non vende all’esercito e ai servizi segreti solo aerei, navi e carri armati. Vende anche esperti, che consigliano, addestrano e lavorano dovunque, anche nel bunker a otto metri di profondità sotto il Pentagono, dove affiancano i militari in tuta da combattimento impegnati nella sorveglianza di possibili focolai di crisi in tutto il mondo. Le imprese private sono ormai così coinvolte nelle operazioni più delicate che senza di loro alcune missioni dell’esercito e dei servizi segreti dovrebbero essere interrotte o sarebbero in diicoltà. Al dipartimento per la sicurezza interna (Dhs) il numero dei privati è uguale a quello dei dipendenti federali. Per il personale e i servizi essenziali, il dipartimento dipende da 318 società, comprese 19 agenzie che lo aiutano a trovare e reclutare altro personale. Nell’uicio che si occupa delle informazioni segrete, sei dipendenti su dieci sono privati. L’agenzia per la sicurezza nazionale (Nsa), che conduce operazioni di sorveglianza elettronica in tutto il mondo, assume ditte private che le forniscono le ultime novità tecnologiche. Oggi collabora con almeno 483 società esterne. L’uicio nazionale ricognizioni (Nro), l’uicio del dipartimento della difesa che costruisce, lancia e gestisce i satelliti spia con cui fotografa paesi come la Cina, la Corea del Nord e l’Iran, non potrebbe fare niente senza l’aiuto delle quattro società private con cui collabora. Tutte le organizzazioni militari e i servi-
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zi segreti dipendono da interpreti a contratto che comunicano con l’estero, traducono documenti e decifrano le intercettazioni elettroniche. La domanda di madrelingua stranieri è così forte, e le cifre che il governo è disposto a pagare sono così alte, che in questo settore ci sono 56 aziende in competizione tra loro. Ognuna delle 16 agenzie di intelligence dipende da imprese che allestiscono le reti di computer, comunicano con le reti di altre agenzie e si occupano di estrarre le informazioni che potrebbero indicare un complotto terroristico. Solo in questo settore lavorano più di 400 società. Ricorrendo ai privati, lo stato avrebbe dovuto risparmiare, ma in realtà non è andata così. Da uno studio pubblicato nel 2008 dall’uicio del direttore dei servizi se-
L’evoluzione della General Dynamics ha seguito un unico principio: i soldi greti nazionali è emerso che i privati costituiscono il 29 per cento dello staff delle agenzie di intelligence ma costano l’equivalente del 49 per cento del bilancio destinato al personale. I corridoi del potere di Washington si estendono quasi in linea retta dalla corte suprema al Campidoglio e alla Casa Bianca. Procedendo verso ovest, al di là del iume Potomac, si vedono chiaramente, soprattutto di notte, le sedi del potere non uiciale. Nelle periferie residenziali della Virginia appaiono le insegne luminose dell’America top secret: Northrop Grumman, Saic, General Dynamics. Delle 1.931 società individuate dalla nostra inchiesta che hanno contratti top secret, 110 fanno più o meno il 90
Da sapere Le prime dieci organizzazioni governative per numero di contratti con società private
Agenzia per la sicurezza nazionale (Nsa) Aeronautica Marina Esercito Agenzie della difesa Dipartimento per la sicurezza interna (Dhs) Agenzia di intelligence della difesa (Dia) Dipartimento per la difesa Fbi Clienti sconosciuti Fonte: The Washington Post
484 392 385 353 332 318 317 291 173 455
per cento del lavoro privato della difesa. Per capire come queste società siano arrivate a dominare l’era del dopo 11 settembre, non c’è posto migliore della sede della General Dynamics a Herndon. Qualche giorno fa, in quell’uicio, Ken Pohill stava esaminando dei ilmati al computer. Il primo mostrava un camion bianco in Afghanistan: una videocamera attaccata alla pancia di un aereo da ricognizione americano lo stava seguendo. Pohill aveva a disposizione decine di altre immagini in grado di aiutare un analista dei servizi segreti a capire se l’autista faceva parte di un’organizzazione che deposita bombe lungo le strade per uccidere i soldati americani. Pohill ha cliccato sul mouse ed è saltata fuori una foto della casa dell’autista con qualche appunto su chi la frequenta. Poi è apparso un ilmato a infrarossi del veicolo. Un altro clic ed ecco il primo piano di un oggetto che l’autista aveva gettato dal inestrino. Clic: l’immagine di un aereo spia. Clic: la ricostruzione dei movimenti del camion. Clic: la inestra di una chat con tutti quelli che seguono il veicolo. Dieci anni fa, se fosse stato un dipendente della General Dynamics, probabilmente Pohill avrebbe lavorato l’acciaio. All’epoca, il centro principale delle attività dell’azienda era il porto industriale di Groton, nel Connecticut, dove uomini e donne in stivali di gomma sfornavano sottomarini. Oggi l’azienda crea strumenti per la raccolta dati come la biblioteca di immagini digitali di Herndon e il Blackberry speciale del presidente Obama. L’evoluzione della General Dynamics ha seguito un unico principio: vai dove sono i soldi. L’azienda ha abbracciato il nuovo modo americano di fare la guerra gestito dai servizi segreti. Ha creato sistemi per l’individuazione di piccoli bersagli e attrezzature per intercettare le comunicazioni via cellulare e i computer dei terroristi. Ha trovato il modo di organizzare i miliardi di dati raccolti dalle agenzie di intelligence in pacchetti di informazioni che potevano essere analizzati da una sola persona. Ha cominciato ad assorbire aziende più piccole che potevano aiutarla a dominare il nuovo mondo dei servizi segreti. Dal 2001 al 2010 ha acquisito 11 aziende specializzate nell’uso di satelliti, segnalazioni e intelligence geospaziale, sorveglianza, ricognizione, integrazione tecnologica e immagini. L’11 settembre 2001 la General Dynamics lavorava con nove organizzazioni di intelligence, adesso ha contratti con tutte e 16. I suoi dipendenti riempiono gli uici dell’agenzia per la sicurezza nazionale e del dipartimento per la sicurezza interna. Nel 2003 ha in-
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cassato centinaia di milioni di dollari per allestire e gestire la nuova sede del dipartimento, compreso il suo centro operativo nazionale, l’uicio intelligence e analisi e l’uicio sicurezza. Il bilancio della General Dynamics rispecchia il successo della sua trasformazione. Rispecchia anche quanto il governo degli Stati Uniti, che è il suo principale cliente, è disposto a pagare oltre al costo del suo lavoro. Nel 2009 l’impresa ha dichiarato 31,9 miliardi di ricavi, rispetto ai 10,4 del 2000. Nel frattempo il personale è più che raddoppiato: da 43.300 a 91.700 dipendenti. Nel secondo trimestre del 2009 i proitti delle sue divisioni legate alle operazioni di intelligence e raccolta informazioni sono saliti a dieci miliardi, rispetto ai 2,4 del 2000, e l’anno scorso hanno costituito il 34 per cento dei ricavi complessivi. Basta guardare la sede dell’azienda a Falls Church per capire che gli afari vanno bene. L’enorme atrio è pieno di opere d’arte, alla mensa i pasti vengono serviti in piatti di porcellana con lo stemma della General Dynamics e c’è un auditorium con sette ile di poltrone rivestite di pelle bianca, ognuna con un microfono e una postazione per il computer. Ormai la General Dynamics opera in ogni settore dell’intelligence. Aiuta gli operatori del controspionaggio e forma nuovi analisti. Ha un contratto da 600 milioni di dollari con l’aeronautica per intercettare le comunicazioni. Guadagna un miliardo di dollari all’anno per tenere alla larga gli hacker dalle reti di computer del governo e per trascrivere in codice le comunicazioni dell’esercito. Nel settembre del 2009 la General Dynamics ha ottenuto un appalto da dieci milioni di dollari dall’unità psicologica del comando operazioni speciali dell’esercito per creare siti web che inluenzino le opinioni degli stranieri sulla politica degli Stati Uniti. Per farlo, ha assunto giornalisti e programmatori in grado di creare e gestire dei siti di notizie adatti a cinque diverse regioni del mondo. Sembrano normali siti d’informazione, con nomi come Setimes.com, “notizie e opinioni dall’Europa sudorientale”. L’unica indicazione del fatto che sono gestiti per conto dell’esercito è in fondo alla home page, nel disclaimer. Quest’anno le entrate complessive della General Dynamics sono state di 7,8 miliardi di dollari solo nel primo trimestre. Durante la riunione di aprile del consiglio d’amministrazione, l’amministratore delegato e presidente Jay L. Johnson ha dichiarato: “Nel primo trimestre abbiamo battuto ogni record. E ci prepariamo a un altro anno di grandi successi”. u bt
La spia della porta accanto Nei quartieri residenziali i servizi segreti agiscono con discrezione. Non si fanno vedere, ma hanno occupato interi isolati
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l deposito di mattoni non è solo un deposito. Se si oltrepassa il cancello e ci si sposta sul retro, si scopre la scorta di qualche personaggio importante: una lotta di suv neri corazzati per resistere alle esplosioni e agli attacchi armati. Lungo la strada principale, i cartelloni pubblicitari non cercano di vendere case, ma invitano i dipendenti dotati di nulla osta di massima sicurezza a una iera del lavoro presso il Cafe Joe, che non è proprio un bar qualunque. Il nuovo palazzo di uici grigio scuro è in realtà una specie di albergo in cui si possono aittare stanze a prova di intercettazione. Perino il tombino che si vede tra i due ediici bassi e allungati non è un semplice tombino. Circondato da cilindri di cemento, è un punto d’accesso a una centralina per le trasmissioni
via cavo. “Massima segretezza”, bisbiglia un funzionario. Signiica che a pochissime persone è consentito sapere cosa trasmette. Posti come questo si trovano appena fuori Washington, in quella che è diventata la capitale di una geograia alternativa degli Stati Uniti, deinita dalla concentrazione di organizzazioni governative segrete e di imprese private che lavorano per loro. Fort Meade è il più grande di una decina di complessi simili sparsi in tutto il paese, che costituiscono i centri nevralgici dell’America top secret e dei suoi 854mila dipendenti. Altri uici simili si trovano a DullesChantilly, in Virginia; a Denver-Aurora, in Colorado; e a Tampa, in Florida. Sono tutti inanziati dal governo federale. Nei complessi dell’America top secret nessuno parla di lavoro. Né di operazioni. Del ruolo dell’intelligence nella difesa del paese si discute solo quando qualcosa va storto e il governo è costretto a indagare, o quando una notizia riservata finisce sui giornali. L’esistenza di questi complessi è così poco nota che la maggior parte delle persone non si accorge neppure che si sta Internazionale 856 | 23 luglio 2010
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In copertina avvicinando all’epicentro di Fort Meade, neanche quando il navigatore dell’auto comincia improvvisamente a dare indicazioni sbagliate. Quando succede una cosa del genere, signiica che l’agenzia per la sicurezza nazionale (Nsa) è vicina. Ma non è facile capire dov’è esattamente. Alberi, muri di recinzione e scarpate nascondono gli ediici da quasi tutte le angolature. Barriere di cemento, posti di guardia e segnali di pericolo impediscono a tutte le persone non autorizzate di accedere alla sede della più grande agenzia di intelligence degli Stati Uniti. Dietro tutti quegli ostacoli si proilano enormi ediici minacciosi con ile e ile di inestre opache a prova di bomba. E dietro i vetri ci sono circa 30mila persone, molte delle quali stanno leggendo, ascoltando o analizzando un lusso ininito di conversazioni intercettate 24 ore su 24, sette giorni alla settimana.
Scuole esclusive Dalla strada è impossibile capire quanto è grande la sede dell’Nsa, anche se i suoi ediici occupano due milioni di chilometri quadrati, più o meno quanto il Pentagono, e sono circondati da 30 ettari di parcheggi. E cresceranno ancora: nei prossimi quindici anni sono previste altre 10mila assunzioni. La prima fase di espansione costerà due miliardi di dollari, e porterà lo spazio occupato dal complesso di Fort Meade a più di quattro milioni di chilometri quadrati. Il quartier generale dell’Nsa si trova all’interno della base dell’esercito di Fort Meade, che ospita ottanta organizzazioni governative, tra cui diverse grandi agenzie di intelligence. Nell’insieme iniettano ogni anno dieci miliardi di stipendi e di appalti nell’economia della regione, una cifra che spiega le dimensioni del complesso, che si estende per una quindicina di chilometri in ogni direzione. Appena fuori dal perimetro dell’Nsa, si cominciano a vedere le sedi delle aziende che lavorano per l’agenzia e per le altre organizzazioni collegate. In alcune zone occupano interi quartieri. In altre sono grandi centri collegati al campus dell’Nsa da strade private che hanno al loro ingresso minacciosi cartelli di divieto d’accesso. Il più grande di questi centri è il National business park, 70 ettari ben nascosti di palazzi di vetro. Gli inquilini di questi ediici sono aziende a contratto, e nei luoghi dove tutti sanno della loro presenza cercano di dare nell’occhio il meno possibile. Ma nel National business park, dove si aggirano solo i dipendenti di altre aziende simili,
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le loro insegne sono enormi e di notte si accendono di rosso, giallo e azzurro: Booz Allen Hamilton, L-3 Communications, Csc, Northrop Grumman, General Dynamics, Saic. Nel complesso di Fort Meade sono presenti più di 250 aziende, il 13 per cento di tutte quelle che fanno parte dell’America top secret. I dipendenti sono sottoposti regolarmente al test della macchina della verità, irmano impegni alla riservatezza e ogni volta che vanno all’estero compilano lunghi rapporti. Sono addestrati a trattare con i vicini iccanaso e gli amici curiosi. Alcuni assumono anche false identità. Se bevono troppo, contraggono troppi debiti o fanno amicizia con cittadini di certe nazionalità, possono perdere il loro nulla osta di massima sicurezza, il passaporto per poter lavorare per l’Nsa e le altre agenzie d’intelligence. Di solito sono bravi in ma-
Nei complessi dell’America top secret nessuno parla di lavoro tematica: l’Nsa impiega il più gran numero di matematici al mondo. Ha anche bisogno di esperti in lingue straniere e in tecnologia, e ovviamente crittologi. Molti sono chiamati Istj, che sta per introverted with sensing, thinking and judging, cioè, secondo il test di Myers-Briggs, sono persone che tendono a essere introverse per sensibilità, modo di pensare e di giudicare. Questi sono i tratti prevalenti del carattere di chi lavora a Fort Meade. Una vecchia battuta che circola nell’ambiente è: “Come si riconosce un estroverso all’Nsa? È quello che guarda le scarpe di un altro”. “Sono tra le persone più intelligenti del mondo”, dice Ken Ulman, un dirigente della Howard County, una delle sei contee che rientrano nella sfera d’inluenza geograica dell’Nsa. “Chiedono buone scuole e un’alta qualità di vita”. Le scuole sono senza dubbio tra le migliori e il prossimo anno alcune adotteranno un programma di studi che prevede di insegnare ai bambini di dieci anni quale stile di vita bisogna seguire per ottenere un nulla osta di massima sicurezza e quali comportamenti potrebbero renderli non idonei. Fuori da una delle scuole c’è una ila di autobus gialli. Gli autobus accompagnano i bambini in alcuni dei quartieri più ricchi
del paese. Il benessere economico è un’altra caratteristica dell’America top secret. Secondo l’istituto di statistica, il complesso dell’Nsa comprende sei delle dieci contee più ricche degli Stati Uniti. In tutta la zona troviamo esempi di come il mondo segreto s’intreccia con quello pubblico. Qui un ristorante Quiznos somiglia a qualsiasi altro locale della stessa catena, fatta eccezione per la ila che comincia a formarsi alle 11 di mattina. Molte persone in attesa indossano occhiali da sole Oakley, la marca preferita da quelli che hanno lavorato in Afghanistan o in Iraq. E portano stivali del colore della sabbia del deserto. Il 40 per cento del personale dell’Nsa è costituito da militari in servizio attivo. In un’altra zona, uno dei residenti, Jerome Jones, parla del palazzo che è appena spuntato dietro casa sua. “Un tempo era tutta campagna, poi hanno cominciato a scavare”, dice. “Non so cosa stanno costruendo, ma non mi preoccupa”. Il palazzo, nascosto dietro uno steccato, è più grande di un campo da football. Non c’è nessun cartello. Ha un indirizzo, ma Google Maps non lo riconosce. Se provate a cercarlo, compare sempre “6700”. Nessun nome di strada. Solo 6700.
Uomini misteriosi Secondo la ditta di boniiche ambientali Walsh, nella zona di Washington ci sono quattromila uici che trattano informazioni riservate, il 25 per cento in più dell’anno scorso. Ogni giorno il personale della Walsh ha 220 edifici da ispezionare. In tutti i palazzi c’è qualcosa da controllare, e in quelli nuovi bisogna farlo da cima a fondo prima che l’Nsa permetta a chi ci vive o ci lavora di contattare l’agenzia anche solo per telefono. Tra poco nel complesso di Fort Meade ce ne sarà uno nuovo: un palazzo di quatto piani che sta sorgendo accanto a un comprensorio privato di lusso. Secondo il costruttore, è in grado di resistere anche a un’autobomba. Dennis Lane dice che i suoi operai hanno inserito più viti del normale in tutte le travi d’acciaio per rendere la struttura più solida. Lane è il vicepresidente della Ryan commercial real estate. A 55 anni ha lavorato e vissuto all’ombra dell’Nsa per tutta la vita e ha imparato a tener conto del fatto che l’agenzia ha una presenza sempre più grande nella comunità. Raccoglie informazioni segrete usando la sua rete di informatori privati, dirigenti come lui che spe-
VII
rano di arricchirsi con un’organizzazione di cui i suoi vicini non conoscono neanche l’esistenza. Ormai ha capito che ogni volta che l’Nsa o un’altra organizzazione segreta del governo aitta un nuovo ediicio, vuol dire che assumerà nuovi contractor e allargherà i contatti con le imprese locali. Segue da tempo i progetti di costruzione, il trasferimento dei posti di lavoro, le decisioni delle aziende. Sa che con l’espansione dell’Nsa gli urbanisti della zona prevedono la creazione di diecimila nuovi posti di lavoro, a cui se ne aggiungeranno 52mila con l’arrivo delle altre unità d’intelligence che si trasferiranno a Fort Meade. Lane era già informato di tutto mesi prima dell’annuncio uiciale che il prossimo gigantesco comando militare, l’Us cyber command, sarebbe stato diretto dallo stesso generale a quattro stelle che dirige l’Nsa. “Sarà una cosa grossa”, dice. “Un cibercomando potrebbe occupare tutti gli ediici che ci sono qui”. Lane lo sa perché ha assistito allo sviluppo dell’Nsa dopo l’11 settembre. Ora l’agenzia tratta 1,7 miliardi di comunicazioni intercettate ogni 24 ore: email, chat, post, indirizzi internet, telefonate da numeri issi o cellulari. A modo suo, anche Jeani Burns ha visto
com’è successo tutto questo. Burns, una donna d’afari del complesso di Fort Meade, sta bevendo qualcosa dopo il lavoro e indica alcuni uomini in piedi in un altro punto del bar. “Li riconosco a prima vista”, dice. Il vestito. Il taglio di capelli. L’atteggiamento. “Hanno l’aria circospetta, come se temessero che qualcuno possa chiedergli chi sono”. Anche gli agenti segreti vengono qui, bisbiglia, per controllarli, “per assicurarsi che nessuno parli troppo”. Burns lo sa bene: vive con uno di quegli uomini misteriosi da vent’anni. Prima era un dipendente dell’Nsa. Ora lavora a contratto per l’agenzia. È stato in guerra. Non sa dove. Fa qualcosa di importante. Ma non sa cosa. Si è innamorata di lui vent’anni fa e da allora si è dovuta adattare. Quando escono con altre persone, lei le avverte prima. “Non chiedetegli niente”. A volte capiscono, ma quando non capiscono, “è un guaio. Non li vediamo più”. Lo deinisce “un osservatore. Sono io l’intrusa”, dice. “Mi dispiace che non mi porti mai a fare un viaggio, che non pensi mai a qualcosa di interessante da fare insieme… mi sento un po’ defraudata”. Ma dice anche: “Lo rispetto sul serio per quello che fa. Ha dedicato tutta la sua vita al lavoro per permetterci di mantenere il no-
stro stile di vita e non ha mai ottenuto nessun riconoscimento pubblico”. Fuori del bar il complesso è in piena attività. Di notte, ai conini del National business park, le luci di molti uici rimangono accese. Le 140 stanze del Marriott Courtyard sono tutte occupate, come al solito, da clienti come questo, un uomo che arriva e dice solo: “Sono dell’esercito”. I matematici, gli esperti di lingue, i tecnici e i crittologi entrano ed escono dall’Nsa. Quelli che se ne vanno scendono con gli ascensori al piano terra, ognuno con in mano una scatoletta di plastica con un codice a barre. All’interno c’è una chiave che tintinna mentre camminano. Per quelli che lavorano qui, è il segnale del cambio di turno. Mentre gli impiegati che arrivano spingono i tornelli in avanti, quelli che se ne vanno inseriscono i loro badge in una macchina. Si apre una porticina. Lasciano cadere la chiave e poi escono dai tornelli. Le loro auto superano lentamente i cancelli che proteggono l’Nsa, silando accanto a un lusso continuo di altre auto in entrata. Nel complesso di Fort Meade, la capitale dell’America top secret che non dorme mai e diventa sempre più grande, è quasi mezzanotte. u bt Internazionale 856 | 23 luglio 2010
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Europa
DMITRY ASTAKHOV (AFP/GETTY IMAGES)
Dmitrij Medvedev in visita alla Silicon valley, Stati Uniti, il 23 giugno 2010
La sida di Mosca per la modernizzazione Andreij Kolesnikov, Novaja Gazeta, Russia Rinnovare l’economia e le istituzioni russe è la priorità del presidente Medvedev. Per riuscirci, il Cremlino punta sulla politica estera e sui rapporti con l’Europa e gli Stati Uniti
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na volta, quando ancora era principe, Juan Carlos andò in visita negli Stati Uniti. In quella occasione l’aria di libertà che si respirava oltreoceano gli giocò un brutto scherzo. Il futuro re di Spagna disse a gran voce che anche il popolo spagnolo aveva bisogno di libertà. Al suo ritorno a Madrid, Francisco Franco, il vecchio dittatore, si complimentò con lui e gli disse: “Ci sono cose che si possono e si devono dire al di fuori della Spagna. E ci sono cose che non si possono dire in Spagna”. Oggi potremmo afermare che il presidente russo Dmitrij Medvedev si trova pressoché nella stessa posizione ogni volta che torna dai suoi trionfali viaggi all’estero: una considerazione che vale soprattutto per la sua ultima visita negli Stati Uniti. Medvedev, tuttavia, cerca in tutti i modi di sfuggire alla “trappo-
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la di Juan Carlos”: fa grande aidamento sul ministero degli esteri, che punta a trasformare in una delle forze trainanti della modernizzazione del paese, e usa la politica estera per inluenzare quella interna. Questa è l’impressione che si ha analizzando il discorso pronunciato il 12 luglio al ministero, in cui il presidente ha chiesto ai membri del corpo diplomatico, piuttosto perplessi, di sostenere la sua campagna modernizzatrice promuovendo speciali alleanze con l’Unione europea e gli Stati Uniti. Medvedev ha poi sottolineato i buoni rapporti con il presidente americano Barack Obama e si è sofermato sul disgelo con la Polonia, storica avversaria di Mosca.
Il ruolo di Bruxelles Ovviamente Medvedev sapeva benissimo a chi si stava rivolgendo: anziani diplomatici di carriera, di certo poco propensi ad abbandonare le loro poltrone per diventare paladini della democrazia e della modernizzazione. Medvedev li ha provocati con due argomenti: ha afermato che è giunto il momento di dare al paese solidi standard democratici e ha aggiunto che oggi, dopo i difficili anni novanta, i diplomatici russi possono essere nuovamente orgogliosi del-
la loro patria. Ma tutto il resto del suo intervento ha ricordato piuttosto un programma elettorale, con tanto di obiettivi speciici da raggiungere. Quando viaggia in occidente, Medvedev cerca di mostrare il volto moderno e rispettabile della Russia, nascondendo quello che c’è dietro. È uno sforzo condivisibile, ma più che altro di facciata. Dopo il miglioramento dei rapporti con Washington, il presidente ha avuto la possibilità di intervenire sulla politica estera e di metterla al centro del cambiamento del paese. Se non è possibile giungere alla democratizzazione dall’interno, se la riforma del settore giudiziario e la lotta contro la corruzione non danno risultati, allora – deve aver pensato – si può cercare di cambiare le cose partendo dall’esterno. Il “partenariato per la modernizzazione” con l’Unione europea fa parte di questa strategia. Attualmente non è ancora deinito in modo chiaro, ma dimostra che Medvedev è seriamente interessato all’occidente. Un altro indizio per capire la nuova politica del Cremlino è un documento riservato, ma iltrato su alcuni giornali lo scorso maggio, dal titolo “Programma per l’uso efettivo dei fattori di politica estera su base sistematica ai fini dello sviluppo a lungo termine della Federazione Russa”. Il documento rivela il tentativo di rendere più pragmatica la politica estera russa, che – sostiene il presidente – non deve più tener conto del gigantesco stemma dell’Urss che campeggia ancora sulla facciata in stile staliniano della sede del ministero. I progetti per la modernizzazione, soprattutto per quella economica, non dispongono però di risorse suicienti. Ed è proprio da qui che nasce l’esigenza di rivolgersi all’estero. Ma il ministero, che nei suoi documenti usa ancora una retorica pomposa di sapore sovietico, non è certo in grado di attirare investimenti internazionali. Per farlo serve un cambiamento del quadro istituzionale: c’è bisogno di elezioni davvero libere e non certo di spedire in prigione imprenditori come Mikhail Khodorkovskij. Medvedev non guadagnerà l’appoggio dei paesi occidentali grazie al suo bel viso. Servono fatti concreti, cambiamenti reali. Quando arriveranno, non avrà più alcuna importanza il modo in cui la modernizzazione metterà piede in Russia: se attraverso una finestra che dà sull’Europa o grazie ai cambiamenti che il paese farà al suo interno. u af
germania
croazia-serbia
Verso il disgelo
Merkel sempre più sola ReUTeRS/CONTRASTO
Frankfurter Rundschau, Germania
grecia
giornalisti nel mirino “Un’esecuzione sospetta con armi già note”: così Eleftherotypia descrive la morte del giornalista Sokratis Giolias (nella foto), ucciso davanti alla sua abitazione la mattina del 18 luglio. Blogger molto seguito e direttore di una radio, Giolias stava indagando su alcuni casi di corruzione. Secondo gli investigatori, l’arma che l’ha ucciso potrebbe essere già stata usata in altri omicidi attribuiti alla “setta dei rivoluzionari”. Nel 2009 il gruppo terroristico aveva rivendicato l’attacco a una tv di Atene con un comunicato in cui, oltre a politici e polizia, minacciava i “giornalisti venduti al sistema”.
Il 18 luglio si è dimesso il sindaco cristianodemocratico di Amburgo, Ole von Beust, che governava la città dal 2001. Von Beust ha rimesso il mandato dopo che un referendum popolare aveva bocciato la riforma scolastica proposta dall’amministrazione. Le dimissioni, scrive la Frankfurter Rundschau, rappresentano anche il fallimento della prima coalizione locale tra i cristianodemocratici e i Verdi, un esperimento che doveva essere ripreso come modello a livello nazionale. “Von Beust è il sesto governatore di land perso dalla cancelliera Angela Merkel in un anno”, osserva il quotidiano. “Sembra che la Cdu stia progressivamente perdendo i pezzi”. Un’altra brutta notizia per Merkel arriva dal land del Nord Reno-Westfalia, dove al governatore cristianodemocratico Jürgen Rüttgers succede la socialdemocratica Hannelore Kraft, che ha formato un governo di minoranza con i Verdi. Kraft ha ottenuto la iducia con l’astensione decisiva della Linke di Oskar Lafontaine. Un caso che potrebbe favorire un avvicinamento tra Spd e Linke anche a livello nazionale. ◆ ungheria
Francia
il ministro che resiste Il ministro del lavoro francese eric Woerth è sempre più coinvolto nell’inchiesta sulla fortuna di Liliane Bettencourt, l’anziana miliardaria proprietaria del marchio L’Oréal. Secondo alcune testimonianze, Woerth avrebbe raccomandato la moglie alla società che gestiva il patrimonio dell’ereditiera, spiega Libération. Il ministro, che il 13 luglio si è dimesso dall’incarico di tesoriere del partito di maggioranza (Ump) e che attualmente è impegnato con la discussa riforma del sistema pensionistico, ha ribadito che non intende lasciare il governo.
ai ferri corti con l’Fmi Il 19 luglio si sono interrotti i negoziati tra il governo di Budapest, il Fondo monetario internazionale (Fmi) e l’Unione europea per la revisione dell’accordo sul prestito da 20 miliardi di euro concesso all’Ungheria nell’ottobre 2008. La rottura è dovuta al riiuto del nuovo governo, di centrodestra, guidato Il debito pubblico ungherese, percentuale sul pil 2008
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Fonte: Eurostat
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da Viktor Orbán, di varare ulteriori misure di austerità per rimettere in sesto i conti pubblici e ridurre il deicit, che – secondo gli impegni sottoscritti da Budapest – nel 2010 dovrebbe attestarsi al 3,8 per cento del pil. Subito dopo l’annuncio del blocco delle trattative, che impedisce all’Ungheria di incassare i 5,5 miliardi di euro dell’ultima tranche del inanziamento, il iorino ungherese ha perso circa il 2,5 per cento sull’euro. “Siamo increduli”, commenta Népszabadsàg. “Orbán non può prenderci in giro così. Avrebbe anche potuto dire chiaramente che l’Ungheria non ha bisogno di aiuti. Ma come avremmo pagato gli enormi debiti che abbiamo? Finora i prestiti internazionali sono stati essenziali per garantire la stabilità, politica ed economica, del paese”.
La visita a Belgrado del presidente croato Ivo Josipovic è stata un successo. Josipovic e il suo collega serbo Boris Tadic si sono trovati d’accordo quasi su tutto, scrive il quotidiano croato Vecernji list. Il disgelo tra Croazia e Serbia apre nuovi spazi alla collaborazione economica e rende più stabile la regione. Ma i progressi nei rapporti tra i due paesi non devono far dimenticare i problemi ancora irrisolti. Zagabria non intende fare passi indietro sul riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo, mentre Belgrado non è disposta a concedere ai croati che vivono in Serbia gli stessi diritti che hanno i serbi in Croazia.
gran bretagna-usa
La prima volta di cameron L’Afghanistan, l’economia globale e il ruolo di Bp nel disastro del golfo del Messico sono stati i temi al centro dell’incontro tra il presidente Obama e David Cameron, alla sua prima visita da premier negli Stati Uniti. A Washington, riferisce l’Independent, Cameron ha criticato la decisione presa nel 2009 dal governo autonomo scozzese di liberare il libico Al-Megrahi, l’attentatore di Lockerbie, malato di tumore, ma ha negato che dietro la scelta britannica ci fossero le pressioni di Bp, che ha interessi petroliferi in Libia.
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Africa e Medio Oriente La polizia egiziana sotto accusa per la morte di un ragazzo Kareem Fahim, The New York Times, Stati Uniti
I
poliziotti in borghese non si sono preoccupati della presenza di testimoni durante il pestaggio di Khaled Said, 28 anni, avvenuto il 6 giugno nell’atrio di un palazzo di Alessandria. Amal Kamel ha visto gli agenti prendere a calci Said ino a fracassargli la testa contro il primo gradino della scalinata dell’atrio. A quel punto è rimasto immobile e ha smesso di implorare che gli fosse risparmiata la vita. Poi, racconta Kamel, i poliziotti lo hanno trascinato in macchina e sono tornati dopo dieci minuti per depositare il suo corpo in fondo alle scale. Non avevano molto di cui preoccuparsi: gli uiciali di solito non sono puniti per gli abusi. A maggio, inoltre, il governo ha prolungato per i prossimi due anni la legge di emergenza che permette alle autorità di arrestare e trattenere i sospettati anche per 90 giorni senza accuse formali e senza processo. Dopo il pestaggio, un funzionario di polizia ha comunicato alla famiglia di Said che l’uomo era morto strozzandosi con la marijuana. L’episodio avrebbe potuto chiudersi lì. Invece è diventato un caso: la foto del volto martoriato di Said, scattata da un cellulare, ha scatenato settimane di proteste. I giornali ne hanno parlato. All’inizio di luglio, le autorità hanno fatto marcia indietro: gli uiciali sono stati accusati di arresto illegale, tortura e uso eccessivo della forza, anche se non di omicidio. Il processo dovrebbe iniziare tra poco. I militanti per la difesa dei diritti umani sperano che il caso Said possa essere un punto di svolta nella loro lunga e infruttuosa lotta contro gli abusi delle forze dell’ordine. In parte ripongono le loro speranze nel clima politico instabile (le presidenzia-
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Internazionale 856 | 23 luglio 2010
MOHAMED ABD EL GHANY (REUTERS/CONTRASTO)
Khaled Said è stato ucciso da due poliziotti. L’omicidio sembrava destinato a restare impunito. Invece il processo agli agenti si aprirà tra poco. Grazie alle proteste dei cittadini
Manifestazione al Cairo dopo la morte di Khaled Said li si terranno nel 2011, le condizioni di salute del presidente Hosni Mubarak sono incerte e ci sono dubbi sulla sua successione). E poi puntano su Said, una vittima della classe media con cui molti giovani si identificano. “Non aveva precedenti penali, non era un islamista, non era povero”, ha detto Aida Seif el Dawla, un’attivista che lavora con le vittime di torture e abusi. “In più la famiglia vuole seguire il suo caso”.
Impiego di prestigio Secondo l’avvocato Negad al Borai, “la morte di Said ha mostrato una realtà da cui spesso la gente distoglie lo sguardo. Ogni battaglia ha i suoi martiri”. L’eco del caso non si è spenta. Sui giornali escono nuovi particolari e la pagina dedicata a Said su facebook (khaledkilled) ha quasi 270mila fan. Un gruppo rap ha girato un video sul pestaggio in cui si parla di Said come di un “testimone e martire”. Migliaia di egiziani vestiti di nero hanno manifestato in tutte le città del paese. Ridurre il potere della polizia in Egitto non è facile. Gli agenti di polizia dirigono il traico, sorvegliano lo svolgimento delle elezioni, rilasciano passaporti e certiicati.
Secondo il ministero dell’interno ogni giorno 60mila egiziani vanno in commissariato. In un paese grande e povero la polizia ha acquisito un potere incontrollato. Gli abusi spesso sono commessi da poliziotti in borghese con il consenso dei superiori. Il governo nega il problema e di fronte agli episodi di brutalità dà la colpa ad alcune “mele marce”. Negli ultimi dieci anni gli uiciali dell’accademia di polizia hanno partecipato a dei programmi sui diritti umani organizzati dalle Nazioni Unite e dal ministero dell’interno, ma molti sostengono che ci vorrà molto più di qualche corso di formazione. Mahmoud Qutri, un ex uiciale che ha lasciato la polizia otto anni fa e da allora ha raccontato la corruzione che ha visto mentre era in servizio, ha detto che gli ufficiali egiziani hanno sempre avuto privilegi: “Le famiglie egiziane vogliono che i igli entrino in polizia”. Nel 2007 in Egitto è uscito Heya fawda (Il caos), un ilm di Youssef Chahine. Hatem, il protagonista, è un uiciale che tortura, estorce tangenti e stupra la vicina di casa. Ma il ilm si chiude con il suicidio dell’uiciale e l’assalto dei cittadini a una stazione di polizia. u sv
ruanda
iran
Liberare i prigionieri
BASSem TeLLAwI (AP/LAPReSSe)
Kagame iducioso Paul Kagame
La visita di Hariri Il premier libanese Saad Hariri (a destra nella foto con il primo ministro siriano) ha incontrato a Damasco il presidente Bashar al Assad per raforzare le relazioni commerciali tra i due paesi. Si tratta dei primi accordi dall’omicidio dell’ex premier libanese Raik Hariri nel 2005 e dal ritiro delle truppe siriane dal Libano. The Daily Star scrive che Al Assad e Hariri si sono detti soddisfatti, anche se non è stato risolto il problema del conine che il Libano considera essenziale per la propria sovranità né quello dei prigionieri libanesi detenuti in Siria.
JAmeS AKeNA (ReuTeRS/CoNTRASTo)
Siria
Il 20 luglio allo stadio nazionale di Amahoro a Kigali si è aperta la campagna per le presidenziali del 9 agosto. Il presidente in carica Paul Kagame, leader del Fronte patriottico ruandese, ha detto di avere iducia nei 5 milioni di elettori chiamati alle urne, scrive The New Times. In realtà il clima politico degli ultimi mesi è stato avvelenato da arresti, omicidi e condanne di esponenti dell’opposizione. Kagame è favorito rispetto ai suoi tre rivali: Prosper Higiro del Partito liberale, Jean Damascene Ntawukuriryayo del Partito socialdemocratico e Alvera mukabaramba del Partito della pace e della concordia. u
Durante un incontro con gli studenti di Teheran mehdi Karroubi, uno dei leader dell’opposizione iraniana, ha condannato gli attentati del 16 luglio nel SistanBalucistan. Le due esplosioni, avvenute in una moschea sciita di Zahedan, hanno ucciso 22 persone e sono state rivendicate dal gruppo ribelle sunnita Jundallah, che le ha deinite una risposta alla condanna a morte del suo capo Abdulhamid Rigi. Karroubi, scrive Payvand, ha espresso anche l’augurio che tutti i prigionieri politici possano essere liberati prima dell’inizio del Ramadan ad agosto. Di recente Karroubi ha visitato la famiglia del sindacalista mansour osanlou, in prigione dal 2007 nel carcere di evin. osanlou è uno dei fondatori del sindacato dei trasporti di Teheran, nato nel 1968, a cui sono iscritti 17mila lavoratori.
Kenya
Un mese senza sesso Il Kenya propone un mese di astinenza sessuale nazionale per ridurre la difusione dell’hiv. La proposta è stata suggerita dal Southern African journal of hiv medicine e secondo il Daily Nation dovrebbe essere adottato da tutti i paesi che hanno partecipato alla conferenza internazionale sull’aids di Vienna dal 18 al 23 luglio. Il rischio di trasmissione dell’hiv sarebbe più alto nelle sei settimane dopo il contagio, durante le quali si produce il 45 per cento delle nuove infezioni. un periodo di astinenza, invece, darebbe il tempo al sistema immunitario dei neocontagiati di reagire contro il virus, riducendo il tasso di difusione.
Medio oriente
incontro al Cairo Il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) Abu mazen, l’inviato speciale degli Stati uniti per il medio oriente George mitchell e il premier israeliano Benjamin Netanyahu si sono incontrati al Cairo, ospiti del capo di stato egiziano Hosni mubarak. Durante colloqui separati con Abu mazen e Netanyahu, mitchell ha fatto pressione sugli interlocutori per convincerli a passare dai colloqui di prossimità avviati a maggio a un dialogo diretto senza la mediazione di washington. Le trattative tra Israele e l’Anp per la creazione di due stati indipendenti sono state interrotte dopo l’of-
fensiva israeliana a Gaza alla ine del 2008. mitchell si è dichiarato soddisfatto dell’incontro con Abu mazen, che in un colloquio di qualche giorno prima a Ramallah aveva richiesto a washington alcune garanzie sulla questione degli insediamenti e su Gerusalemme est. Il leader palestinese, intervistato dal quotidiano giordano Al Ghad, ha detto che “Israele dovrà accettare di ripristinare i conini dello stato israeliano del 1967 (come erano prima della guerra dei sei giorni) e la presenza di una forza internazionale nel nuovo stato palestinese”. washington spera che l’Anp accetti di aprire il dialogo entro il 26 settembre, quando inirà la moratoria sugli insediamenti in Cisgiordania. mubarak ha invitato Israele ha fornire delle garanzie all’Anp.
in breve
Rep. Dem. Congo Sono quasi 60mila gli sfollati congolesi arrivati a oïcha, nella regione del Nord Kivu. Fuggono dagli scontri tra l’esercito di Kinshasa e i ribelli dell’esercito nazionale per la liberazione dell’uganda. Iraq Il 18 luglio gli attentati avvenuti a Baghdad e a Qaim hanno causato 48 morti e 46 feriti. Gli attacchi suicidi hanno colpito i Consigli del risveglio, le milizie sunnite ilogovernative. Rep. Centrafricana La città di Birao, nel nord del paese, è stata attaccata dai ribelli il 19 luglio.
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Americhe Il parlamento argentino disubbidisce alla chiesa cattolica Buenos Aires ha approvato la legge sui matrimoni gay. È un grande passo avanti per i diritti civili, ma l’inluenza delle gerarchie ecclesiastiche sulla società è ancora molto forte
NAtAChA PISAreNKO (AP/LAPreSSe)
Joseina Licitra, Proceso, Messico
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l 15 luglio a Buenos Aires il termometro segnava due gradi sotto zero. Davanti al parlamento, centinaia di persone cercavano di riscaldarsi bevendo cafè bollente e accendendo piccoli fuochi. Ma alle cinque del mattino la temperatura è salita improvvisamente: dopo sedici ore di dibattito, il senato ha approvato la legge sul matrimonio fra persone dello stesso sesso. La gioia è stata incontenibile. L’Argentina è diventata il primo paese latinoamericano a concedere la parità di diritti civili a tutta la popolazione. Un passo che era stato compiuto inora soltanto dalla Spagna, dal Canada, dal Sudafrica, dal Belgio, dal Portogallo, dalla Svezia, dai Paesi Bassi, dalla Norvegia, da otto stati americani, dal distretto federale di Città del Messico e dall’Islanda. “Questa legge”, spiega Apro Alex Freyre, che sei mesi fa è riuscito a sposarsi con il suo compagno ricorrendo a un tribunale, “ci permette di fare testamento a favore del coniuge, di dividerci i sussidi, di irmare indistintamente le pagelle dei nostri igli e di dar loro lo stesso riconoscimento giuridico che hanno tutti gli altri bambini con un padre e una madre”.
Il cardinale contro i Kirchner L’uso delle parole “marito” e “moglie”, presenti nel codice civile, è stato dichiarato incostituzionale e discriminatorio, ed è stato sostituito dalla parola contrayente. I registri civili di tutto il paese stanno già stabilendo i turni per i matrimoni tra coppie omosessuali. Il dibattito a proposito della legge sul matrimonio omosessuale ha evidenziato in Argentina uno scontro di potere tra il kirchnerismo, forte della maggioranza al senato,
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Buenos Aires, una coppia gay davanti al parlamento, il 14 luglio 2010 e la chiesa cattolica, che prima della votazione ha fatto pressione sui parlamentari, ofrendo perino inanziamenti per le prossime campagne elettorali. “Molti parlamentari si sono schierati contro la legge senza sapere nemmeno cosa stavano votando”, spiega il giornalista Osvaldo Bazán, autore di Historia de la homosexualidad en la Argentina. “La senatrice Liliana Negre de Alonso, membro dell’Opus Dei, è arrivata a dire che la legge incoraggerebbe la comparsa di un mercato nero del seme”. Nestor Kirchner sarà quasi sicuramente candidato alla presidenza nelle elezioni del 2011. Anche se l’ex presidente e sua moglie Cristina Fernández, attuale presidente, mantengono posizioni conservatrici su alcune questioni – sono contrari alla legalizzazione dell’aborto – in questo caso hanno sostenuto con forza la legge sul matrimonio gay. La ragione è semplice. Sperano di guadagnare il sostegno dell’elettorato progressista. Di sicuro dovranno combattere con la chiesa. Ma per loro non è una novità. I Kirchner non hanno fatto altro che seguire i sondaggi. All’inizio di luglio un’indagine dell’agenzia Analogías aveva mostrato che l’81 per cento della popolazione crede
che ci debba essere uguaglianza di diritti tra eterosessuali e omosessuali, mentre il 69 per cento si è detto favorevole alla legge. Questo nonostante l’Argentina sia un paese di cattolici praticanti. La chiesa, invece, non ha voluto dare ascolto a questi numeri. Il cardinale Jorge Bergoglio si è spinto ino a usare espressioni medievali come “guerra di Dio” e “progetto del demonio”. I vescovadi hanno organizzato manifestazioni in tutte le province argentine. A Buenos Aires le scuole cattoliche hanno inviato 700mila lettere ai genitori chiedendo di schierarsi apertamente contro la legge. Al senato i parlamentari più conservatori si sono allineati alla posizione della chiesa. Il senatore Mario Cimadevilla ha detto che avrebbe approvato la legge solo quando “gli uomini avessero cominciato ad allattare”. La senatrice Liliana Negre de Alonso ha detto anche che la legge era “il risultato dell’azione delle lobby turistiche, che credono di poter vendere meglio un paese lessibile e gay friendly”. Per fortuna il parlamento argentino è riuscito a mettere in dubbio una certezza, quella del matrimonio tra uomo e donna, che ino a oggi era considerata granitica. u as
Messico
stati uniti
il metano minaccia Bp
in Breve
Stati Uniti Il 1 agosto 1.200 uomini della guardia nazionale statunitense cominceranno a dispiegarsi lungo il conine con il Messico per cercare di fermare il lusso di immigrati clandestina e il traico di armi e droga. Cuba Il 20 luglio il presidente del parlamento cubano Ricardo Alarcón ha detto in un’intervista che il governo è pronto a liberare altri prigionieri politici, e che i 52 già liberati potranno, se vogliono, restare sull’isola.
Massacro di compleanno
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Fonte: Rockefeller institute
Casinò contro il deicit
RAMon SoToMAyoR (Ap/LApReSSe)
La Bp sta efettuando i test per veriicare la tenuta della cupola di contenimento che dovrebbe aspirare la perdita di greggio dal pozzo della Deepwater Horizon esploso il 20 aprile. “Ci sono perdite di metano che potrebbero mandare a monte l’operazione”, scrive il Boston Globe. Finora la marea nera ha provocato la perdita di 17mila posti di lavoro nella regione del golfo.
stati uniti Entrate provenienti dal gioco d’azzardo legale, miliardi di dollari
Torreón, 19 luglio 2010
La notte del 17 luglio un gruppo armato ha fatto irruzione in una villa di Torreón, capitale dello stato di Coahuila, nel nord del Messico, uccidendo 17 persone, tutte tra i 20 e i 38 anni, che stavano festeggiando un compleanno. “Le autorità hanno attribuito la responsabilità dell’attacco alla criminalità organizzata, ma hanno spiegato che nessuna delle vittime aveva legami con il narcotraico”, scrive Reforma. Torreón è diventata un punto chiave per le rotte del narcotraico, dove Los Zetas si contendono il controllo del territorio con il cartello di Sinaloa.
La febbre del gioco potrebbe risanare i bilanci pubblici e combattere la crisi negli Stati Uniti, scrive il Christian Science Monitor. Dal Maine al Massachusetts, dal Rhode Island al puritano new england, molti stati si avviano a legalizzare il gioco d’azzardo con l’obiettivo di incassare tasse e creare nuovi posti di lavoro. Le scommesse sulle corse dei cani e dei cavalli, legali in 40 stati, non sono abbastanza redditizie, e negli ultimi anni sono nati nuovi casinò in tutto il paese. I più popolari sono i racinos, che sorgono accanto agli ippodromi.
Dall’avana Yoani Sánchez perù
Lui Ricordo ancora i sospiri di mia madre davanti alla tv mentre Fidel Castro teneva uno dei suoi discorsi torrenziali, in quei noiosi anni ottanta. Fidel era il principe azzurro sognato da tante cubane che, a forza di vederlo e di sentire le sue parole, erano in grado di prevedere ciò che avrebbe detto, conoscevano ogni suo gesto e ogni ruga sul suo viso. È stato così ino al 1989, quando la tv ha trasmesso il processo al generale Arnaldo ochoa, accusato di coinvolgimento nel traico di droga. I sospiri di
il ritorno dei Fujimori mia madre non erano più per Fidel ma per quell’uomo che di lì a pochi giorni sarebbe stato fucilato. Qualcosa nel “club dei fan del caro e invincibile comandante in capo” si era spezzato, e mia madre smise di ascoltare i suoi discorsi con aria inebetita. poi Fidel non è più apparso in tv, e ci siamo sentiti come se ci avessero tolto un peso enorme dal groppone. Dell’uomo che si era imposto a forza di mostrarsi, di addormentarci con i suoi interminabili sproloqui, ci restava ormai
soltanto qualche rilessione sconnessa, pubblicata sulle prime pagine dei giornali. Ma due settimane fa Lui ha deciso di tornare a riempire ogni minuto della nostra vita con la sua presenza. È tornato invecchiato ma con l’indice alzato ad ammonire di una possibile guerra nucleare. Ristabilitosi da una malattia che lo aveva portato in punto di morte, ma disposto a dare battaglia per intrufolarsi nel presente e scombussolare il nostro precario futuro. u ma
A meno di un anno dalle elezioni presidenziali, un sondaggio rivela che la favorita è Keiko Fujimori, la iglia dell’ex dittatore Alberto Fujimori, condannato a 25 anni di carcere perché ritenuto responsabile di vari omicidi e sequestri commessi sotto il suo governo (1990-2000). Qualche tempo fa, Keiko ha detto che se dovesse diventare presidente, concederebbe l’indulto a suo padre. El Comercio riporta le parole dell’analista Henry pease, secondo cui “è preoccupante che una parte consistente dell’elettorato non dia importanza alla corruzione”.
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Asia e Paciico
SUSETTA BOZZI (PARALLELOZERO)
Un’infermiera all’ospedale pediatrico di Wonsan, nella provincia di Kangwon
In Corea del Nord la sanità è al collasso Lee Ji-yoon, The Korea Herald, Corea del Sud Un rapporto di Amnesty international denuncia le condizioni disastrose dell’assistenza medica nel paese. Spesso negata, quasi sempre inadeguata
S
econdo un rapporto pubblicato da Amnesty international il 15 luglio, in Corea del Nord le amputazioni e altri interventi chirurgici sono pra ticati senza anestesia. Il rapporto, basato su interviste a oltre quaranta nordcoreani fug giti e operatori sanitari, è intitolato “Siste ma sanitario a pezzi in Corea del Nord” e ofre un ritratto terribile della sanità nord coreana. Il rapporto parla di ospedali a malapena funzionanti a causa della mancanza di me dicinali, e di epidemie causate dalla malnu trizione. I testimoni raccontano di aghi ipo dermici non sterilizzati e di lenzuola non lavate regolarmente. “La Corea del Nord non provvede ai più elementari bisogni sa nitari dei suoi cittadini, soprattutto di quel li troppo poveri per pagarsi le cure medi che”, ha dichiarato Catherine Baber, vice
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direttore del programma Asia e Paciico di Amnesty international. Il governo nordco reano sostiene che il sistema sanitario è gratuito per tutti, ma molti intervistati han no dichiarato che dagli anni novanta hanno dovuto pagare le prestazioni mediche. “I medici sono generalmente pagati con siga rette, alcol o cibo in cambio di visite, e con denaro in caso di esami o interventi chirur gici”, si legge nel rapporto. Secondo l’Orga nizzazione mondiale della sanità (Oms), la
Corea del Nord è il paese con la spesa sani taria procapite più bassa al mondo (meno di un dollaro a persona all’anno). Il rapporto ha inoltre rilevato che molti nordcoreani evitano di rivolgersi ai medici acquistando direttamente farmaci al mercato, ricorren do all’automedicazione o seguendo le indi cazioni dei farmacisti. “La popolazione nordcoreana ha urgente bisogno di aiuto medico e alimentare”, ha dichiarato Cathe rine Baber. “È fondamentale che gli aiuti alla Corea del Nord non siano usati come arma politica da parte dei paesi donatori”. Presentando il rapporto a Seoul il 15 lu glio scorso, Norma Kang Muico, ricercatri ce di Amnesty, ha criticato la riluttanza del governo della Corea del Nord a chiedere l’intervento umanitario della comunità in ternazionale. “Il cibo e la sicurezza restano i problemi principali per milioni di persone nel paese”, ha detto. La situazione è peggio rata dopo la rivalutazione monetaria nel dicembre del 2009. Il prezzo del riso è più che raddoppiato e, stando al rapporto, tra gennaio e febbraio del 2010 in una sola pro vincia ci sarebbero stati migliaia di morti. “Il governo nordcoreano deve garantire che sia riconosciuta la carenza di cibo e sia no adottate misure eicaci per afrontarla”, ha detto Norma Kang Muico. Il rapporto comincia con la testimonianza di una don na di 39 anni, soprannominata Lee, di Chongjin, nella provincia dello Hamgye ong settentrionale: “Riceviamo 15 chili di mais e uno o due chili di riso al mese. Per incrementare il nostro reddito ricaviamo l’alcol dal mais. Abbiamo perino mangiato il sedimento dell’alcol di mais. È amaro ma avevamo fame e abbiamo dovuto farlo”, ha detto. u sv
La replica u Lo scorso aprile il diret tore dell’Organizzazione mondiale della sanità Mar garet Chan, dopo una visi ta in Corea del Nord, ha parlato di “un sistema sa nitario da fare invidia ai paesi in via di sviluppo e che non ha carenza di me dici e infermieri”. Secondo l’Oms il rapporto di Amne sty si basa su un campione ridotto di persone che han no lasciato la Corea del Nord, in alcuni casi in dal
2001. “Tutti i fatti citati so no raccontati da persone che non vivono nel paese, la ricerca non ha elementi scientiici”, ha detto il por tavoce dell’Oms Paul Gar wood. Inoltre ha aggiunto che il rapporto non cita i recenti miglioramenti del sistema sanitario nordco reano determinati da un programma inanziato dal la Corea del Sud e sostenu to dall’Oms. Quanto all’af fermazione di Amnesty se
condo cui i cittadini paghe rebbero in contanti o con il baratto le cure mediche, Garwood ha detto che le molte missioni sul campo in Corea del Nord non hanno rilevato niente del genere. Ha riconosciuto, tuttavia, che ci sono anco ra molti problemi, tra cui infrastrutture insuicienti, mancanza di attrezzature, malnutrizione e carenza di medicinali. Bbc
Il ministro degli esteri degli Emirati Arabi Uniti a Kabul
AUSTRALIA
PAKISTAN
I doni di Washington
A Kabul transizione nel 2014 Il 20 luglio i rappresentanti di oltre 70 paesi si sono riuniti a Kabul per la conferenza sul futuro dell’Afghanistan. Nel corso del summit il presidente afgano Hamid Karzai ha confermato che nel 2014 la gestione delle operazioni di sicurezza passerà dalle forze Nato all’esercito afgano. I rappresentanti dei paesi stranieri hanno approvato il piano e hanno anche accettato che il 50 per cento dei loro inanziamenti all’Afghanistan passi attraverso il governo di Kabul, che oggi ne gestisce il 20 per cento. Karzai ha poi ribadito che i taliban sono un “nemico comune”.
D IN
Giappone
Sumo e scommesse
Inchiesta pericolosa “Il giornalista britannico Alan Shadrake, autore di un libro sulla pena di morte a Singapore, è stato arrestato dalla polizia della città-stato con l’accusa di diffamazione”, scrive il Bangkok Post. Forse in virtù della sua età, 75 anni, è stato rilasciato, ma non può uscire dal paese: deve afrontare un processo e rischia due anni di prigione. Il libro, Once a jolly hangman, contiene una lunga intervista a un boia in pensione e “avanza dubbi sull’imparzialità, l’integrità e l’indipendenza del sistema giudiziario del paese. La distribuzione del volume non è stata ancora vietata, ma l’uicio della censura sembra essere intenzionato a farlo”.
IA
140 km
BANGLADESH
INDIA
Aera, Giappone SINGAPORE
La prima ministra Julia Gillard ha indetto nuove elezioni per il 21 agosto. Dopo solo tre settimane in carica, Gillard ha deciso così di sfruttare il momento favorevole per lei e il partito. “Una scelta rischiosa”, commenta l’Herald Sun. Nel dibattito sull’immigrazione che sta animando la campagna elettorale, si inserisce ora anche la singolare proposta di Edenhope. Le autorità della cittadina hanno scritto al ministro dell’immigrazione Chris Evans, dicendosi disponibili a ospitare un centro di accoglienza per richiedenti asilo. La proposta della premier Gillard di costruire un centro ofshore a Timor Leste per ora è stata sospesa in vista del voto.
Sainthia
utra hmap Bra
Due impianti idroelettrici al conine con l’Afghanistan, tre strutture sanitarie nelle zone più bisognose, e nuovi progetti per favorire l’accesso all’acqua in tutto il paese: sono alcuni degli interventi illustrati dal segrario di stato americano Hillary Clinton (nella foto con il ministro degli esteri pachistano) in visita a Islamabad il 19 luglio. Gli interventi fanno parte di un programma di aiuti al Pakistan da 1,5 miliardi di dollari all’anno per cinque anni che mira a contrastare il sentimento antiamericano difuso tra la popolazione, scrive Dawn.
MASSOUD HOSSAINI (AFP/GETTy IMAGES)
AFP
Di corsa alle urne
Gan ge
������� “Dobbiamo eliminare tutto il marcio ����������� BANG da questa storia”, ha dichiarato un Calcutta portavoce della commissione investigativa nominata dall’Associazione giapponese del Golfo del Bengala sumo. La promessa è quella di far chiarezza sugli scandali che dal mese IN BREVE Dacca scorso stanno travolgendo lo sport India Il 19 luglio a Sainthia, nel Bengala Occidentale, un treno è sacro per i giapponesi. Gli inquirenti Canning deragliato a causa di un errore hanno scoperto un giro di scommesse clandestine sulle umano, causando 63 morti e 92 Basanti partite di baseball, che coinvolge i lottatori di sumo e la Sajnekhali feriti. yakuza. L’associazione ha già preso provvedimenti contro Kirghizistan Secondo l’Onu le 13 allenatori e 19 lottatori. Ma le indagini sono appena forze di sicurezza kirghize, ducominciate e continuano a far emergere nuovi particolari. rante le violenze dei mesi scorsi, Come il fatto che le scommesse si svolgessero nelle stanze avrebbero fermato e torturato prese in aitto all’ambasciata della Costa d’Avorio a Tokyo. più di mille persone, in gran parte uomini uzbeki. Tra i sospetti c’è anche l’ex campione Chiyotaiki Ryuji che Vietnam Il 20 luglio ad Hanoi i continua però a dirsi innocente. Ironia della sorte, rappresentanti dell’Associaziocontinua Aera, anche il regista Takeshi Kitano ha scelto ne dei paesi del sudest asiatico un’ambasciata africana come sede delle scommesse hanno esortato la Birmania a teillegali di una banda criminale nel suo ultimo ilm, nere elezioni libere. Un appello Outrage. Ma quello in cui sta sprofondando il mondo del raro, dato che di solito evitano di sumo è tutto vero. ◆ interferire negli afari interni. Internazionale 856 | 23 luglio 2010
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ALBERTO GIULIANI (LUZPHOTO)
Visti dagli altri
Palermo, maggio 2009
Matrimonio di convenienza tra maie e politica Alexander Stille, Foreign Policy, Stati Uniti L’ultimo blitz contro la ’ndrangheta ha svelato molti segreti sull’organizzazione criminale. Ma ha anche messo in evidenza i suoi punti di forza
I
l 13 luglio la polizia italiana ha arrestato più di trecento presunti ailiati alla ’ndrangheta, mettendo a segno una delle più importanti operazioni contro la criminalità organizzata della storia del paese. Circa tremila agenti hanno eseguito 305 arresti, 55 perquisizioni e sequestri di beni per un valore complessivo di sessanta milioni di euro. Un blitz di grande portata che testimonia l’eccellente lavoro di coordinamento delle indagini, svolte nel nord e nel sud d’Italia.
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Ogni volta che le forze dell’ordine assestano un duro colpo alla maia, la stampa statunitense annuncia una svolta cruciale nella lotta alla criminalità organizzata in Italia. In realtà il grande numero di persone coinvolte indica anche la crescita e la difusione di uno dei gruppi criminali più forti e meno conosciuti del paese. Centosessanta arresti sono stati eseguiti a Milano, la capitale inanziaria d’Italia, dove la ’ndrangheta avrebbe circa cinquecento ailiati. Secondo l’istituto Eurispes, la ’ndrangheta ha un giro d’afari annuale di 44 miliardi di euro, metà dei quali ricavati dal traico di droga. Sempre secondo i dati Eurispes, il fatturato della criminalità organizzata equivale a circa il 9 per cento del pil italiano, e quasi un terzo è attribuibile alla ’ndrangheta. La grande operazione del 13 luglio sembra essere un successo
concreto, e non solo un esercizio di pubbliche relazioni. In più di due anni di indagini, la polizia e i pubblici ministeri hanno raccolto un’eccezionale quantità di materiale: 64mila ore di registrazioni video e più di un milione di conversazioni telefoniche.
La cattiva notizia Oltre all’arresto di alcuni importanti boss, tra cui il presunto numero uno Domenico Oppedisano, 80 anni, le indagini hanno svelato per la prima volta i meccanismi interni dell’organizzazione. Contrariamente a quanto si credeva in passato, la ’ndrangheta non è un’organizzazione “orizzontale” composta da clan autonomi. Oggi gli inquirenti sono convinti che abbia una rigida struttura verticale, con una precisa gerarchia e guidata da una commissione a cui spettano le decisioni più importanti. Quan-
do alcuni membri del gruppo milanese hanno cercato di conquistare un po’ di autonomia, il loro capo è stato punito con un’esecuzione sommaria. “La Provincia lo ha licenziato”, ha commentato un boss intercettato al telefono. L’accuratezza e la qualità delle informazioni raccolte in quest’operazione lasciano sperare in un progresso decisivo nella lotta contro l’organizzazione criminale calabrese. Ma c’è anche una cattiva notizia. Negli ultimi quindici anni le forze dell’ordine hanno raggiunto ottimi risultati nella lotta alle maie, ma gli arresti e i processi non hanno ridotto il loro potere in Italia. Polizia, carabinieri e magistrati stanno conducendo una dura battaglia, con obiettivi spesso contrari a quelli dei politici, molti dei quali continuano a coltivare stretti legami con gli esponenti della criminalità organizzata. Spesso i politici italiani continuano a promuovere e ad approittare di un sistema di corruzione e di clientele che ofre molte opportunità economiche alle organizzazioni maiose come la ’ndrangheta. Quasi tutte le leggi in materia di giustizia penale degli ultimi sedici anni – cioè (e non è una coincidenza) da quando Silvio Berlusconi è entrato in politica – mirano a indebolire gli strumenti d’indagine, ad annacquare le leggi contro la maia e la corruzione e, soprattutto, a ostacolare le inchieste sui politici. Il giorno in cui è stata annunciata l’operazione contro la ’ndrangheta tutti i giornali italiani pubblicavano la notizia di un’altra indagine, nella quale alcuni potenti politici e imprenditori vicini al governo sono sospettati di aver creato una specie di governo parallelo con l’obiettivo di manovrare gli appalti pubblici, inluenzare i giudici e usare false informazioni per intimidire o screditare gli avversari politici. Uno degli obiettivi di questo gruppo era assicurare gli appalti per la costruzione di impianti eolici in Sardegna a un oscuro imprenditore con precedenti penali, Flavio Carboni. Gli inquirenti pensano che ci possa essere la camorra dietro alle società che Carboni cercava di promuovere. I loro sospetti sono raforzati dal fatto che faceva parte del gruppo anche Nicola Cosentino, un politico campano, ex sottosegretario all’economia nel governo Berlusconi, che è stato indicato da alcuni camorristi come uno dei migliori alleati politici dell’organizzazione. Nonostante i sospetti, Berlusconi si è ostinato a tenerlo nel governo.
Fino a quando, in seguito a nuove rivelazioni, la posizione di Cosentino non è diventata politicamente insostenibile e alcuni esponenti del Popolo della libertà hanno chiesto le sue dimissioni. Anche se le persone coinvolte nell’indagine sull’eolico non sono state ancora condannate, questa storia mette in evidenza il lato più torbido del sistema Italia, dove i favori, gli agganci politici e i canali privilegiati hanno generalmente la meglio sul merito nella distribuzione delle risorse pubbliche.
Appalti tra amici Questo sistema è il terreno di coltura perfetto per la criminalità organizzata. I legami con l’autorità (politici, giudici, industriali) assicurano alle organizzazioni maiose la loro forza, una relativa impunità, risorse e protezione. La criminalità in cambio può inluenzare gli elettori. Gli appalti pubblici sono un’importante fonte di reddito per le maie. I progetti di opere pubbliche per promuovere lo sviluppo economico nel Meridione hanno contribuito a rendere la ’ndrangheta un’organizzazione potente e attiva a livello nazionale. Nella recente operazione contro la ’ndrangheta sono initi in manette anche alcuni politici locali, oltre ad alcuni carabinieri accusati di corruzione. Qual è la risposta della politica? Al momento Berlusconi sta facendo di tutto per far approvare una legge che renderebbe molto più diicile avviare e portare avanti le intercettazioni telefoniche, uno strumento che è stato fondamentale anche per le indagini sull’eolico e sulla ’ndrangheta. Il disegno di legge del governo Berlusconi impone nella stragrande maggioranza dei casi il divieto di usare microspie. Anche se
la legge prevede eccezioni per le inchieste sulla criminalità organizzata e il terrorismo, i magistrati antimaia hanno criticato compatti l’iniziativa deinendola un grave ostacolo al loro lavoro. Se sarà approvata, la legge introdurrà anche dure sanzioni penali per i giornalisti e gli editori che pubblicheranno il contenuto delle intercettazioni prima dell’inizio del processo: carcere per i primi e multe salatissime per i secondi. È una misura chiaramente dettata dalla volontà di evitare nuovi imbarazzi a Berlusconi e ai suoi alleati, che sono stati sorpresi a conversare con presunti criminali. A meno che dalle conversazioni telefoniche non emergano degli indizi di reato (e non semplicemente comportamenti inopportuni, condotte immorali o pericolosi legami con la criminalità) i comportamenti dei politici, per quanto discutibili, rimarranno avvolti nel silenzio. In Italia c’è un vivace dibattito su una specie di patto che Berlusconi avrebbe stretto con la maia per assicurarsi il sostegno elettorale nelle regioni del sud controllate dalle cosche in cambio di leggi a loro favore. Ma non è necessario credere ai patti segreti. Obiettivamente da quando è al potere il premier cerca di limitare il potere della magistratura e negli ultimi anni la sua guerra contro i giudici si è intensiicata. Come ha afermato qualche anno fa il boss di Cosa nostra Giuseppe Guttadauro in una conversazione telefonica intercettata dalla polizia, “Berlusconi, per risolvere i suoi problemi, deve risolvere i nostri”. u eds Alexander Stille è un giornalista statunitense. Il suo ultimo libro uscito in Italia è Il cavalier miracolo (Garzanti 2010).
Giustizia u Ilda Boccassini ha vissuto momenti straordinari nei suoi trent’anni da procuratore, mentre indagava sulla maia, sui magistrati corrotti e sul terrorismo. Il più spettacolare è stato probabilmente l’operazione contro la ’ndrangheta del 13 luglio, la più vasta mai realizzata dalle forze dell’ordine italiane negli ultimi quarant’anni. Per Boccassini, 60 anni, lady di
ferro della magistratura italiana, è stato un altro di quei momenti agrodolci nella lunga battaglia per riportare la legalità nelle regioni controllate dalla criminalità organizzata. E per non tradire l’impegno di Giovanni Falcone, il giudice che è sempre stato il suo modello. L’indagine, durata due anni, ha permesso a Ilda Boccassini e ai suoi colleghi di scoprire molte cose sulla
’ndrangheta, che a sua volta sapeva molto di lei. Le intercettazioni della polizia mostrano che alcuni ailiati erano preoccupati che fosse lei a condurre le indagini. “Quella è una tigre”, ha dichiarato un presunto ailiato alla ’ndrangheta, Giovanni Pelle. “Uno deve stare con gli occhi aperti a trecentosessanta gradi”, ha replicato il suo interlocutore. The Sunday Telegraph, Gran Bretagna
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GIANLUCA PANELLA (MASSIMO SESTINI)
Turisti russi in villeggiatura a Forte dei Marmi nel 2009
Forte dei Marmi in rivolta contro i russi Tom Kington, The Observer, Gran Bretagna Presa d’assalto dai nuovi ricchi dell’est, la località balneare è diventata troppo costosa per i residenti. Ma il sindaco vuole convincerli a rimanere
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opo aver accolto a braccia aperte per anni i turisti facoltosi provenienti da tutto il mondo, una delle località balneari più eleganti e discrete della Toscana è in rivolta contro gli stranieri, ricchi o poveri che siano. Forte dei Marmi, la tradizionale destinazione estiva di capitani d’industria , scrittori e attori, sta cambiando le sue norme edilizie per frenare l’impennata dei prezzi delle case innescata dall’arrivo dei milionari russi. Nel tentativo di convincere i cittadini a non abbandonare la città, il sindaco Umberto Buratti vuole riservare alcuni terreni per una serie di nuove costruzioni che potranno essere comprate solo dai residenti. L’esperimento sarà seguito con interesse anche da altre località di vacanza italiane.
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“Vogliamo salvaguardare il carattere della città”, dice Buratti. “Non tutti qui sono ricchi o russi”, aggiunge il consigliere comunale Michele Molino. “Se guardiamo i negozi aperti negli ultimi anni, sembra di stare nel centro di Londra”.
Dalle cave ai privé Quest’estate le agenzie immobiliari locali aspettano almeno cinquecento famiglie russe che, sulle orme di ricchi habitué come Roman Abramovich, sono disposte a pagare ino a centomila euro a stagione per l’afitto di una villa. Una sciocchezza rispetto ai venti milioni che si dice siano stati pagati per comprare le case più grandi, nascoste dalle buganvillee tra le ampie spiagge e le Alpi Apuane. “Ormai cinque milioni sono la norma”, dice Umberto Giannecchini, un agente immobiliare della zona. “Ma se ci si sposta verso l’interno, il prezzo delle case scende di due terzi. Ed è lì che sono andati a inire i residenti”. Sul lungomare di Forte dei Marmi, jeep e Ferrari si fermano davanti a locali esclusivi come il Twiga, dove riservare un tavolo nel settore vip costa mille euro. I russi arri-
vano a spenderne anche quindicimila per una serata. Tutto questo non ha niente a che vedere con le origini cinquecentesche di Forte dei Marmi, quando Michelangelo costruì una strada dalle cave alla spiaggia per caricare il marmo sulle navi. La città ha mantenuto la sua tradizione artistica per tutto il ventesimo secolo, frequentata da intellettuali come Thomas Mann, Aldous Huxley, Giacomo Puccini e Henry Moore, ino alle dinastie industriali degli Agnelli e dei Moratti. “I ricchi italiani che venivano qui hanno sempre apprezzato l’eleganza semplice”, dice l’albergatore Paolo Corchia, ricordando gli amministratori delegati e gli aristocratici che andavano in bicicletta a fare la spesa nelle botteghe a conduzione familiare. Al posto di quei negozi ora ci sono le vetrine di Gucci, Dolce e Gabbana e Miu Miu. I milanesi appoggiano la rivolta dei residenti. “Voglio riportare in centro gli artigiani della zona”, dice Milly Moratti, la moglie di Massimo Moratti, il presidente dell’Inter. “Le favolose sartorie e le panetterie dove compravo la focaccia quando ero bambina sono state quasi completamente sostituite dalle boutique”. Sulla piazza di Forte dei Marmi resiste ancora Vale, il paniicio che sforna focacce dal 1924. “Stiamo pensando di vendere perché la nostra clientela sta scomparendo e ai russi la focaccia non piace”, dice la proprietaria Daniela Nardine, anche se l’intervento del sindaco potrebbe farle cambiare idea. Nato e cresciuto a Forte dei Marmi, e iglio di un sarto, il sindaco Buratti dice di voler preservare la cultura locale. Ma non si illude troppo. “I residenti sono stati i primi ad approittare dell’aumento dei prezzi per vendere, e comprare nuove case nell’hinterland”, dice. “Per questo sarà vietato vendere le case di nuova costruzione per vent’anni”. Buratti comunque è contento che alcuni russi rimangano, e ammette che nel corso degli anni i turisti dell’est sono diventati più rainati. “Sono molto cambiati dagli anni novanta, quando ordinavano il Brunello più costoso e lo allungavano con l’acqua”, dice. Un residente ricorda anche che un oligarca comprò una bici e pagò un campione di ciclismo per insegnargli ad andarci. Ma al Bagno Piero, uno stabilimento balneare a gestione familiare, con le sue cabine di legno e la sua clientela aristocratica, i russi sono ancora pochi. “I turisti devono capire che qui non si ostenta la ricchezza”, dice il gestore Roberto Santini. u bt
Le opinioni
I venditori di auto e Wall street James Surowiecki
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JAMES SUROWIECKI
è un giornalista statunitense. Questo articolo è uscito sul New Yorker. Altre column di James Surowiecki sono su newyorker.com. In Italia ha pubblicato La saggezza della folla (Fusi orari 2007).
internazionale.it/irme
a riforma del sistema inanziario che sta maggiore di quello reale per intascare la diferenza: un per essere approvata dal congresso non metodo che costa ai clienti più di venti miliardi di dolsarà la panacea delle crisi inanziarie. lari l’anno. Ma, considerato il peso delle lobby di I rivenditori di automobili si sono conquistati la loWall street che hanno tentato di render- ro esenzione all’antica con una furiosa attività di lobbla inofensiva, conserva un rigore sor- ying al congresso. Questo ci rivela qualcosa d’imporprendente. Il provvedimento limita infatti le attività di tante sulle lobby negli Stati Uniti, e cioè che il loro potrading delle banche, impone un certo grado di traspa- tere non dipende solo dai soldi. Le imprese che hanno renza al mercato dei derivati, conferisce al governo il ottenuto di più con le loro pressioni sulla legge per la potere di rilevare gli istituti in diicoltà e crea un nuo- riforma del sistema inanziario non sono per forza vo ente per la protezione inanziaria dei consumatori. quelle che hanno speso di più. Sono invece quelle che Questo signiica che la riforma avrà sono riuscite nel duplice intento di conefetti concreti sui risultati economici di In tutti gli Stati Uniti vogliare su singoli deputati e senatori le alcune delle società inanziarie più gran- le concessionarie pressioni della base e di mostrarsi più di del paese, tra cui Goldman Sachs e J. P. sono circa 18mila e lontane da Wall street. I rivenditori di Morgan. C’è però un gruppo di impren- danno lavoro a quasi automobili erano nella posizione ideale ditori che sono riusciti dove Wall street un milione di per riuscirci: in tutti gli Stati Uniti le conha fallito, e hanno costretto il congresso persone: un sacco di cessionarie sono 18mila e danno lavoro a lasciare tutto com’era: i rivenditori di elettori il cui a un milione di persone, il che signiica auto. benessere dipende che ogni deputato e senatore ha un sacIl disegno di legge avrebbe potuto co di elettori che per la loro sopravvivendall’attività di un avere conseguenze allarmanti per questi za dipendono da una concessionaria. rivenditore protagonisti del credito al consumo. OgNei singoli stati i rivenditori di auto sono gi, infatti, negli Stati Uniti i prestiti in da tempo una delle lobby più potenti e si sospeso per l’acquisto di auto ammontano a circa 850 sono fatti sentire anche a Washington. Hanno saputo miliardi di dollari, una cifra pari quasi al debito com- presentarsi come imprenditori onesti, lontani dai miplessivo degli americani con le carte di credito. E gli liardari di Wall street: un argomento falso (il 70 per intermediari di questi prestiti sono, per l’80 per cento, cento dei prestiti per l’acquisto di un’auto è garantito o i rivenditori di auto. Visto che il compito del nuovo en- inanziato da Wall street), ma retoricamente eicace. te per la protezione inanziaria dei consumatori sarà Presi nel loro insieme sono un comparto enorme, ma sorvegliare il mercato del credito al consumo, che ne- per lo più sono piccoli uomini di afari: insomma, sono gli ultimi anni è diventato una specie di buco nero, americani medi, e deputati e senatori amano mostrarsarebbe stato naturale che anche i rivenditori di auto si come i difensori dell’americano medio. ricadessero sotto la sua giurisdizione. E invece, grazie Naturalmente si potrebbe dire che la democrazia alla speciale esenzione che hanno ottenuto, l’ente non dei gruppi d’interesse signiica proprio questo: conpotrà toccarli. sentire a soggetti economici piccoli e non molto poI rivenditori sostengono che è giusto, perché loro tenti di unire le forze formando lobby eicaci. Ma il sono solo intermediari tra chi presta e chi prende in problema è che questo sistema non fa nulla per il sogprestito. Ma la crisi dei mutui subprime ci ha insegnato getto più piccolo e meno potente: il consumatore. quanti danni possono fare gli intermediari: i broker dei I parlamentari avranno magari spiegato l’esenziomutui, cioè gli intermediari del mercato immobiliare, ne concessa ai rivenditori di automobili con l’intenziohanno permesso ai clienti di accendere mutui anche ne di dare una mano all’uomo della strada e non a Wall se non avevano i requisiti necessari, li hanno incorag- street. In realtà hanno fatto tutt’altro: hanno anteposto giati a mentire sui loro redditi e gli hanno fatto ottene- l’interesse dei rivenditori (non subire una regolamenre mutui che non avrebbero potuto permettersi. E ne- tazione troppo severa) all’interesse generale (l’equità anche i rivenditori di auto sono degli angeli. Uno stu- del mercato). dio recente di Raj Date e Brian Reed dimostra che i riRisultato: al nuovo ente di protezione inanziaria venditori incassano abitualmente degli incentivi per dei consumatori viene impedito di controllare uno dei “pilotare” i clienti verso alcune agenzie di prestiti in- prodotti inanziari più richiesti. Un po’ come se la Food vece di altre, e a volte approittano anche della pratica and Drug Administration, l’ente governativo che vigidi inanziamento per far crescere le loro percentuali. la sui farmaci immessi sul mercato, non potesse conAlcuni fanno addirittura risultare un tasso d’interesse trollare gli antidoloriici. u ma
Medio Oriente
I ragazzi della Striscia Christophe Ayad, Libération, Francia
Hanno vent’anni. Amano Gaza ma vorrebbero scappare. Odiano Hamas che dal 2007 governa la regione. Suonano, studiano, scrivono e rimpiangono l’epoca in cui la loro terra era un paradiso
L
ina, Ahmed e Ibrahim non permetteranno a nessuno di dire che i vent’anni sono l’età più bella. Anche se non si conoscono, condividono la stessa gabbia, la Striscia di Gaza. Trecentosessanta chilometri quadrati, un milione e mezzo di abitanti: un bel posto per sprecare la propria gioventù o per sognarne un’altra. Lina, Ahmed e Ibrahim hanno tra i venti e i venticinque anni. Lina è una studentessa, iglia di genitori benestanti, Ahmed è già padre, Ibrahim fa musica rap e gioca a basket. Tutti e tre sognano di stare da un’altra parte. La stanza di Ibrahim è spoglia e illuminata da luci al neon. La sera Ibrahim rappa nella sua stanza. Prima si scalda la voce, ripete per ore e quando si sente pronto, registra un mp3. Poi comincia a mettere i testi in musica, cercando su internet dei suoni campionati che vadano bene per le sue parole. Una giornata in studio di registrazione costa 300 dollari e lui non potrebbe mai permetterselo. Le canzoni di Ibrahim sono sdolcinate, con dei ritornelli un po’ smielati all’egiziana e titoli tipo Ahsas gharib (sensazioni strane) o Wahid (solitario). In questa stanza c’è solo quello che serve ad alimentare le sue passioni: il rap e il
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basket. Un computer che funziona appena, un ampliicatore, casse recuperate chissà dove e un pallone. Il materasso è a terra e un tappeto logoro serve per oscurare la inestra. La maggior parte degli oggetti è rotta e polverosa, come la vita in questo quartiere. Ibrahim ha 22 anni, abita all’estremità occidentale di Khan Yunis, nel quartiere di Nimsawy – che significa “l’austriaco” in arabo – soprannominato così perché Vienna ha inanziato la costruzione di quest’area alla ine degli anni novanta. Era l’epoca in cui nasceva l’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) per applicare gli accordi di Oslo, irmati nel 1994 dal governo israeliano e dall’Organizzazione per la liberazione della
Palestina. Gli ediici di Nimsawy erano destinati alle famiglie di funzionari statali come il padre di Ibrahim, tenente della Guardia nazionale. Appena costruiti erano alloggi modello, spaziosi e luminosi; oggi, invece, sono immersi nella sabbia e circondati dalla spazzatura. Quando la costruzione di Nimsawy era stata appena completata, è scoppiata l’intifada e visto che il quartiere si trovava proprio davanti alla colonia di Gush Katif, è stato travolto dagli scambi d’arma da fuoco tra i soldati israeliani e i militanti palestinesi. Il cimitero vicino, bombardato durante la guerra del gennaio 2009 con il fosforo bianco, è pieno di “martiri”. L’esercito israeliano e i coloni sono andati via da Gush Katif nell’agosto del 2005, ma i segni dei proiettili sono rimasti sulle facciate e anche nel salotto della casa di Ibrahim. Dalla scala si può vedere la garitta da cui l’esercito sorvegliava il quartiere. Dal 2000 al 2005 Ibrahim, che abita al pianoterra, ha vissuto al ritmo delle incursioni dell’esercito israeliano. Ma dopo il ritiro israeliano, è arrivato un nuovo incubo. Il conlitto tra Hamas e Fatah ha peggiorato la situazione, provocando violenze e paralizzando ogni attività. Da quando Hamas ha preso il potere, fa regnare un ordine inlessibile nella Striscia di Gaza. Il padre di Ibrahim, sospettato di essere rimasto fedele al vecchio po-
ED KASHI (CORBIS)
Il campus dell’università islamica di Gaza
tere, è stato costretto ad andare in pensione. La passione di Ibrahim per il rap è nata una sera del 2004 davanti alla tv: ha ascoltato 50Cent e ha pensato che fosse una rivelazione. Così Ibrahim, che non aveva mai concluso niente a scuola, si è messo a studiare inglese. Ora che capisce le parole è deluso. “Tutti questi ‘fucking’, non servono a niente”, dice . Ma anche se Ibrahim è un rapper “educato”, che non usa volgarità né frasi oscene, nel suo quartiere è considerato un extraterrestre. “Ho avuto un sacco di problemi all’inizio. Le persone mi prendevano in giro perché qui la società è molto chiusa. Oggi è diverso e chi mi conosce mi apprezza”. Cinque anni fa nella Striscia di Gaza era nata una piccola scena rap. Questa fase è stata interrotta brutalmente dall’arrivo al potere di Hamas nel 2007. È finita l’epoca dei concerti nei rari cafè alla moda di Gaza, dei festeggiamenti per i matrimoni e di Radio Shebab (shebab in arabo signiica giovane), la radio di Fatah che trasmette da Birzeit, in Cisgiordania. Ibrahim fa tutto da casa su internet. Ha dei fan ad Amman e a Ramallah, chatta con Beirut e sogna di produrre la sua musica al Cairo. A causa delle restrizioni imposte da Hamas, i posti dove ci si può divertire sono quasi tutti chiusi. L’alcol è stato vietato nei ristoranti molto prima dell’arrivo al potere
degli islamisti. Il British Council è stato incendiato e il Goethe Institut ha chiuso. Rimane solo il Centro culturale francese, che organizza proiezioni di ilm e manifestazioni come la Festa della musica o la Notte bianca. A Ibrahim non piace molto Hamas: “È un partito politico come gli altri, vuole solo il potere e strumentalizza la religione. Ma chi può dire di essere un vero musulmano? L’islam è una cosa enorme e noi siamo piccolissimi”. Ibrahim non fuma, digiuna durante il Ramadan e prega quando ha tempo. “I militanti di Hamas però trattano tutti come dei miscredenti”. L’anno scorso Ibrahim era a un matrimonio. A un certo punto, racconta, “un tipo di Hamas si è messo a li-
Da sapere Nella Striscia di Gaza vivono 1,5 milioni di persone Popolazione sotto i 25 anni
75 % Disoccupazione giovanile (15-34 anni)
32 % Alfabetizzazione
94% Malnutrizione
75 % Fonti: Le Monde, Palestinian central bureau of statistics
tigare con un mio amico. Poi è tornato con un kalashnikov e gli ha sparato. Da allora è paralizzato. Qui se non sei di Hamas o di Fatah non sei nessuno”. Come la maggior parte dei ragazzi della sua età, Ibrahim non ha iducia nella politica né nelle armi. Quando parla sembra più un rasta che un gangsta rapper: “La guerra ormai ce l’abbiamo dentro. Prima di usare le armi, dovremo risolvere il caos che ci portiamo dietro. Resistere non signiica lanciare un razzo Qassam. Significa trovare la forza in se stessi e usare le parole”. Ma Ibrahim conosce anche i limiti delle parole: “Non mi faccio illusioni. Il rap non libererà la Palestina”. Dormire in spiaggia Lina arriva nel bar dell’albergo accompagnata dal fratello maggiore, come tutte le ragazze di buona famiglia. Sorride e parla bene inglese. Ha ventun anni anche se sembra più grande. Indossa un paio di jeans, una camicia color kaki e il velo. Porta il rossetto e un foulard con ricami dorati. Lina non è nata a Gaza, ma in Kuwait. I nonni sono dei profughi della guerra del 1948, fuggiti da Ashkelon per andare nella Striscia di Gaza. Suo padre ha studiato medicina e ha lavorato a lungo negli emirati del golfo Persico. Nel 1992 è stata espulsa la maggior Internazionale 856 | 23 luglio 2010
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Gaza JERôME SESSINI (BLOBCG)
parte dei palestinesi del Kuwait, sospettata di simpatie per Saddam Hussein. “Ci hanno detto: potete scegliere tra la Bolivia e la Somalia. Così ci siamo ritrovati a Santa Cruz”. Due anni dopo ci sono stati gli accordi di Oslo. “Ci abbiamo creduto, la mia famiglia è rientrata nel 1995. Non conoscevamo Gaza e quando siamo arrivati qui io e i miei fratelli più grandi siamo rimasti sconvolti”, racconta Lina. “All’inizio andava tutto bene. Si annunciava una specie di indipendenza e avremmo perino dovuto avere un aeroporto. L’estate si dormiva in spiaggia. Una volta all’anno insieme ai miei genitori e ai miei fratelli andavo a trovare la famiglia di mia madre, in Giordania”. Poi la situazione è precipitata progressivamente. Nel gennaio del 2009 la guerra è arrivata sotto il suo palazzo e Lina ha passato tre settimane dormendo vestita per poter scendere in cantina in caso di bombardamenti. “Nessuno dovrebbe vivere un’esperienza del genere. Da allora ho smesso di criticare Gaza, di lamentarmi di questo posto dove non c’è niente da fare e che mi soffoca. È diventata casa mia e ci tengo più di qualunque altra cosa. Per fortuna non ho perso nessuno dei miei familiari e ho una casa dove vivere. Non ho il diritto di lamentarmi”.
WARRICK PAGE (GEtty IMAGES)
Medio Oriente
Antidoloriici Prima dell’operazione Piombo fuso (28 dicembre 2008 – 16 gennaio 2009), Lina aveva un blog sul suo gruppo favorito: gli Outlandish, una band danese di hip hop impegnato, formata da giovani immigrati. Poi ha deciso di aprire un blog sulla Striscia di Gaza, 360 km2 of chaos. “Combatto a modo mio. All’estero pensano che siamo dei fanatici che vogliono solo sparare missili su Israele. Ma non riescono a capire come viviamo. Voglio far vedere che siamo persone normali, che vivono in condizioni anormali”. La sua famiglia è il prototipo della borghesia palestinese: due genitori e tre igli (una ragazza e due ragazzi) già grandi, ma non ancora sposati, che vivono in un appartamento del quartiere elegante di Rimal. “Non abbiamo una macchina, ma tanto non serve”, dice Lina scherzando. “A Gaza non si possono fare più di 40 chilometri in linea retta”. Lina studia letteratura inglese all’università islamica di Gaza. Però si annoia perché vuole fare la giornalista. Passa il tempo su internet a leggere la Bbc, il Guardian, Ha’aretz e soprattutto Al Jazeera in inglese. “Sono dei professionisti. Non hanno tutti i pregiudizi dei mezzi di informazione occidentali. Il mio sogno è di lavorare per loro”,
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La spiaggia della Striscia racconta Lina. “Anche se viviamo qui abbiamo comunque delle ambizioni”, aggiunge ridendo. All’università i corsi non sono misti e le occasioni per uscire sono rare. Lina passa molto tempo nella sua camera a scrivere poesie, disegnare poster, navigare in internet, guardare documentari. Segue la serie Lost in tv e sogna ascoltando i Coldplay. “La società qui è conservatrice, ma è il mio paese e per me non è un problema. Ho la fortuna di vivere in una famiglia piuttosto liberale e poi non sono ossessionata dal matrimonio come le ragazze della mia età”. La cosa che preferisce è andare in spiaggia, “non per fare il bagno, ma per guardare il mare, per sentirmi lontana anche se sono solo a tre chilometri da casa”, spiega Lina. L’estate scorsa gli Outlandish hanno fat-
to un concerto a Ramallah, in Cisgiordania. “Ero triste perché non potevo andarci, però mi vergognavo di essere triste”. Alla ine è riuscita a rimediare un autografo grazie a un’amica. Ahmed è un “funzionario del far niente”. Dorme di giorno e fuma il narghilè di notte con i suoi amici davanti all’ediicio di casa sua. Ahmed fa parte di quella categoria di abitanti di Gaza che ricevono uno stipendio dall’Anp, che ha sede a Ramallah, a condizione di non lavorare per Hamas. Si tratta soprattutto di impiegati del ministero dell’interno, dell’istruzione e della sanità. Ahmed passa la maggior parte del tempo a casa. Lo stipendio gli basta per vivere decentemente e riesce anche ad aiutare i suoi genitori. Il problema però non sono i soldi, ma la vita paralizzata. “A non fare nulla si
diventa matti. Mio padre ha lavorato in Israele quando era possibile, e sa che cosa signiica uscire da Gaza. Qui prima del blocco era il paradiso. Adesso siamo ossessionati dal pensiero di evadere da questa prigione”. Durante gli anni novanta Israele ha ridotto il numero di lavoratori palestinesi autorizzati ad andare a lavorarci. Con l’intifada del 2000 il numero di permessi è sceso ancora e dopo l’arrivo al potere di Hamas, sono stati vietati del tutto. Le uniche uscite autorizzate sono quelle mediche e per chi va all’estero: la Striscia di Gaza è completamente circondata da una recinzione elettriicata e il punto di passaggio di Erez è diventato un posto di frontiera, gestito da una sala di controllo attraverso telecamere di sorveglianza e porte blindate azionate a distanza. Ahmed ha un viso infantile e una barba leggera. Come molti ragazzi della sua età a Gaza, è già sposato a 22 anni e ha un bambino di un anno. Vive una vita normale, ma le responsabilità lo stressano e così la sera mette qualche sedia e un narghilè in strada. A Chojaya, il quartiere popolare dove abita,
sta destinata a distruggere la gioventù di Gaza. In realtà il Tramadol ha cominciato a difondersi con l’intifada, a causa del gran numero di feriti d’arma da fuoco che sofrivano di dolori cronici. Gli scavatori dei tunnel per il contrabbando sono diventati i principali consumatori: si riempiono di Tramal per dimenticare la paura, il dolore isico e il caldo che regna in questi cunicoli. C’è anche chi dice che il Tramal permette di prolungare i rapporti sessuali e alcuni studenti lo prendono per concentrarsi prima degli esami. Ahmed è diventato dipendente durante la guerra del gennaio 2009. È passato da una compressa di cento milligrammi al giorno a cinque da 200 milligrammi. “Per tre settimane non abbiamo avuto né acqua né elettricità. Vivevamo rintanati nell’appartamento e tutte le inestre erano esplose il primo giorno. Una volta alla settimana uscivo per andare a cercare cibo, ma i negozi erano chiusi. Avevo il Tramal e dimenticavo tutti i problemi, non avevo più fame”. Una scatola di dieci compresse costa 30 shekel (6,4 euro). Ahmed è arrivato a spen-
L’estate scorsa gli Outlandish hanno fatto un concerto a Ramallah. Lina non c’è andata, ma ha rimediato un autografo le strade sono strette e le macchine non possono passare. Al chiaro di luna Ahmed e i suoi amici fumano e bevono tè chiacchierando. Da loro per la prima volta ha sentito parlare del Tramal, contrazione del Tramadol, un potente antidoloriico che molti giovani abitanti di Gaza usano come stupefacente. “Lo prendi e fa efetto dopo tre ore. Ti senti calmo, rilassato e hai voglia di dormire. Ti sembra di dominare il mondo. L’effetto dura quasi un giorno, e quando è inito, sei nervoso. Non sopporti più niente e nessuno, così ne prendi un altro”. Il Tramal si vende in farmacia e dall’autunno scorso per comprarlo ci vuole la ricetta. Da allora la maggior parte del Tramadol arriva di contrabbando attraverso i tunnel e i prezzi sono cresciuti a dismisura. Hamas ha lanciato una grande campagna contro questo farmaco. Chi viene scoperto a consumarlo rischia ino a sei mesi di prigione e una cura disintossicante forzata. “In sei mesi sono state sequestrate circa 800mila compresse”, assicura Muawiya Hassanein, un funzionario del ministero della sanità. Nelle moschee ci sono manifesti che presentano il medicinale come un’arma sioni-
dere ino a un quarto del suo stipendio mensile di 330 euro per comprarsi la droga. Dice che sua moglie non se n’è mai accorta. Dopo la guerra ha cercato di disintossicarsi, ma poi ha ricominciato. “È come le sigarette, smetto durante il Ramadan e poi riprendo”.
Paura degli F16 Lina può passare ino a sei ore al giorno davanti al computer su Facebook, Twitter, Msn, sul suo blog. Parla con tutto il mondo, invia disegni, condivide i suoi stati d’animo (“ho meno paura degli F16 che degli esami di ine anno”). Quando è stata assalita la Freedom lotilla ha commentato: “Per una volta che qualcuno voleva venirci a trovare. Quello che ci fa morire qui è non vedere mai nessuno”. Lina ha cominciato a scrivere reportage militanti sul sito Les observateurs di France 24. “Ammetto di essere di parte”. L’estate scorsa ha inviato un video molto divertente sulla mancanza di monete, che spinge i tassisti e i commercianti a dare dei cioccolatini al posto del resto. Ha anche organizzato un giro turistico virtuale con le foto delle spiag-
ge di Gaza, le rovine, lo zoo, il luna park semidistrutto. A maggio Lina ha assistito con un’amica alla inale della “Coppa del mondo di calcio di Gaza”, una competizione organizzata per reagire al divieto di viaggiare che riguarda la maggior parte degli abitanti del territorio palestinese. Erano le due uniche ragazze presenti allo stadio e tifavano per l’Irlanda, ma “non per gli inglesi o gli americani, ci hanno provocato troppi dispiaceri”. A maggio Lina è riuscita a esaudire uno dei suoi desideri: è andata al consolato americano di Gerusalemme Est per un colloquio per la domanda di un visto di studio. Vorrebbe andare a studiare alla university of California di Los Angeles, anche se disapprova la politica statunitense. “Il popolo americano e il suo governo non sono la stessa cosa. Ho già molti amici su Facebook negli Stati Uniti”. Pensa di tornare a casa dopo la laurea. “Questa è la mia casa. Vado negli Stati Uniti per servire meglio il mio paese”.
Come Rocky Ibrahim esce dall’allenamento in palestra. Nel quartiere tutti lo conoscono per il suo look: berretto con visiera d’estate, cappello di lana d’inverno, maglietta da giocatore di pallacanestro, pantaloni della tuta a metà ginocchio e Nike Air bianche e nere. Ibrahim ha lasciato perdere il rap qualche mese fa. “Qui è impossibile produrre, cantare, suonare. A che serve?”. Adesso si dedica completamente al basket. “Sono il migliore giocatore della Palestina. Ma non ho mai potuto giocare per la nazionale perché non sono mai potuto uscire da Gaza”, racconta. Il suo sogno è essere reclutato da una squadra straniera. La sua squadra, Khadamat Khan Yunis, era ailiata a Fatah e ora è gestita da Hamas. Ibrahim ha solo un’idea in testa: lasciare la Striscia, uscire, respirare. Ne parla tutti i giorni su Skype con un amico a Londra. “Qui non ho futuro”, ripete Ibrahim. Ormai è un’ossessione. Riiuta di andare a lavorare, con grande dispiacere di suo padre. “Tanto senza diploma non ho speranza di trovare lavoro, a parte scavare tunnel. Ma non ci penso proprio: ho un amico che ci è morto. Prendono tutti il Tramal. Non va bene per uno sportivo come me”. Ibrahim non scrive più canzoni ma continua a montare dei video, che manda via internet nella speranza di farsi notare da qualche produttore inglese o americano. Sono storie brevi (Ibrahim Abu Rahal, Time for revolution), di cui lui è il protagonista. Il suo modello è Rocky Balboa: un perdente che si allena, sofre, sputa sangue e che alla ine riesce a superare tutti gli ostacoli. u adr Internazionale 856 | 23 luglio 2010
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India
DAVIDE MONTELEONE (CONTRASTO)
Sukinda Valley, distretto di Jaipur
Per fame e superstizione Gethin Chamberlain, Post Magazine, Hong Kong L’economia indiana è in forte crescita, ma milioni di persone sofrono ancora la fame. E in alcuni stati i bambini malnutriti sono marchiati a fuoco
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l ferro è quasi rovente. Le iamme di un piccolo falò lo lambiscono e poi guizzano nell’aria. Suklal Hembrom si tiene una foglia appoggiata sul ventre e osserva diidente l’uomo seduto dall’altra parte del fuoco. All’improvviso, Thakur Das si curva in avanti, impugna il ferro e si allunga di scatto verso la pancia del bambino. Al villaggio tutti sanno cosa sta per succedere. Suklal si metterà a urlare e la sua pelle si coprirà di vesciche. Immobilizzato a
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terra, si contorcerà per il dolore. E il ferro continuerà a bruciargli la pancia. Più il bambino piangerà più gli adulti saranno contenti, perché gli abitanti di Mirgitand, nel distretto del Singhbhum orientale, nello stato indiano di Jharkhand, credono che il ventre gonio dei bambini afamati si possa curare marchiandoli a fuoco. Ma questa volta Das non riesce a raggiungere il ragazzo. Davanti a un giornalista non ha il coraggio di fare male a un bambino. Però si avvicina pericolosamente. Non smette mai di sorridere perché non vede niente di sbagliato in questo trattamento. Quasi tutti gli abitanti del villaggio hanno delle cicatrici: chiazze di pelle più scura ma anche segni profondi. Suklal ha un piccolo cerchio di minuscole cicatrici bianche: oggi è stato risparmiato, ma otto anni fa non ha avuto la stessa fortuna.
La soluzione di Mirgitand contro la denutrizione endemica può sembrare brutale, ma non è un caso isolato. Anche se non lo ammettono apertamente, molti altri villaggi della zona hanno adottato la stessa tecnica. Alcuni bambini sono morti per le infezioni provocate dalle ferite, ma i contadini insistono. L’alternativa – fornire cibo nutriente per sostenere i loro igli – è fuori questione: insieme a milioni di altri abitanti dell’undicesima economia del mondo, devono faticare ogni giorno per procurarsi il cibo. L’India ha tassi di denutrizione peggiori dell’Africa subsahariana: il 43,5 per cento dei bambini ino a cinque anni di età è sottopeso e secondo l’Indice globale della fame l’India sta peggio dello Zimbabwe e del Sudan. La fame era in aumento già prima della siccità del 2009 e del conseguente esito disastroso dei raccolti. Quest’anno un buon monsone potrebbe assicurare una tregua, ma resta il fatto che un paese ansioso di sedere tra i grandi del pianeta è incapace di sfamare la sua popolazione. In molti stati indiani si raccontano storie allarmanti. In un villaggio dell’Uttar Pradesh gli investigatori hanno trovato dei bambini che mangiavano la terra per placare la fame. Nel Jharkhand i bambini mangiavano formiche pestate al mortaio e impastate con un po’ d’acqua. Mirgitand è appollaiato sulle colline, 195
Malnutrizione in India
Bambini sotto i 5 anni, milioni Rachitici
60,8
Sottopeso
Deperiti
53,8 25
Gravemente deperiti
8,1
Fonte: Who child growth standands, 2008
chilometri a est della capitale dello stato, Ranchi, in fondo a una pista di sassi accessibile solo a piedi o con una pericolosa salita in motocicletta. Fa parte soltanto teoricamente dell’India: il villaggio è nelle mani dei guerriglieri naxaliti, che riescono a tenere lontane le forze di sicurezza del governo impegnate nella campagna paramilitare Green hunt lanciata nel 2009 per riprendere il controllo della zona.
Nient’altro che i miracoli Il simbolo dell’isolamento di Mirgitand è il memoriale che sorge nel villaggio di Galudih, a 25 chilometri. Galudih segna il conine tra lo stato e il territorio dei naxaliti. Negli ultimi tre anni, sulla strada che dal villaggio porta verso le colline sono state uccise sette persone. Viaggiare da queste parti signiica mettere la propria vita nelle mani dei guerriglieri. Sunil Mahato, membro del parlamento federale, lo imparò a sue spese nel 2007 dopo aver accettato un invito a una partita di calcio. È proprio lui a essere ricordato nel memoriale. Tre quarti d’ora dopo l’inizio della partita, alcuni uomini armati aprirono il fuoco massacrando quattro persone, tra cui Mahato. Ora è una zona in gran parte interdetta, tagliata fuori da qualunque aiuto statale. Nel punto dove diventa necessario proseguire in motocicletta, la strada per Mirgitand attraversa un grande canale vuoto che
serpeggia nella campagna: inanziato dalla Banca mondiale, avrebbe dovuto portare l’acqua necessaria per irrigare i campi di quest’area impoverita, ma dopo vent’anni non è stato ancora completato. Sotto a un albero vicino al canale, Kartic Budhan intrattiene una folla. Si esibisce in qualche trucchetto di magia e poi, quando ha ottenuto l’attenzione generale, racconta come le sue preghiere in un tempio dell’Orissa abbiano salvato la madre malata che i medici avevano dato per morta. Da allora attraversa il paese in lungo e in largo per raccontare a tutti il “miracolo”. La folla è pronta a bersi la storia: quando la realtà ha così poco da ofrire, non resta che il mercato dei miracoli. Più avanti, un gruppo di donne si fa strada tra gli alberi. Tra le braccia hanno fasci di foglie di tendu che saranno arrotolate per confezionare le tradizionali beedies (sigarette). Riescono a guadagnare ino a 55 rupie (meno di un euro) per cento foglie, ma è un lavoro duro, e solo le foglie perfette vengono accettate. Spesso passano intere giornata in una zona pericolosa, dove vivono orsi ed elefanti. Mirgitand si trova ai piedi di una breve discesa. La maggioranza delle case ha tetti di paglia, ma ce ne sono alcune con le tegole. Capre e galline si aggirano indisturbate. Arriva un gruppetto di bambini incuriositi. Saranti Tuddu, di quattro anni, e Solma
Mandi, una bimba della stessa età, si sollevano la maglietta per farmi vedere le cicatrici pallide che hanno sul ventre. Molilal Kisku ha cinque anni e una grande pancia gonia. Sulla sua pelle ci sono dei cerchietti scuri lasciati dal ferro rovente. Non si ricorda com’è successo: aveva solo qualche settimana quando glielo hanno fatto. Manoranjan Mahta è seduto su un ceppo d’albero e osserva i bambini. Lavora all’uicio postale, dice. Ha perso suo iglio Hemanth tre anni fa. “Mio iglio aveva il ventre sporgente”, racconta. “Siamo andati da diversi dottori ma non l’hanno guarito. Il medico diceva che aveva il fegato in pessime condizioni e bisognava fare un trapianto, ma sarebbe costato 700mila rupie. Ho scritto al presidente per dirgli che non eravamo in grado di curare nostro iglio. Ma nessuno ci ha aiutato, e così abbiamo preso un po’ di legna e l’abbiamo bruciata. In questo villaggio, quando un bambino ha la pancia gonia gli mettiamo sulla pelle un pezzo di foglia di banana e poi sulla foglia mettiamo della carbonella ardente o un ferro arroventato. L’idea è che se il bambino si contorce per il dolore, vuol dire che i germi stanno morendo. Gli mettiamo la carbonella sul ventre. Lo facciamo a molti bambini e in genere sopravvivono. Però dopo la marchiatura la ferita di Hemanth si infettò e lui morì. Aveva sette anni. “Non c’era alternativa”, dice Internazionale 856 | 23 luglio 2010
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India Mahta. “Dovevo seguire le indicazioni degli anziani del villaggio. Ma non lo rifarei”. Ci sono 33 famiglie nel villaggio. Su alcuni dei bambini più grandi le cicatrici sono sbiadite, ma Sunil Kisko, che ha vent’anni, si sbottona la camicia per farmi vedere un tratto di tessuto che si è rimarginato malamente. Aveva quattro anni quando gliel’hanno fatto, dice, ma non ricorda più il dolore. “Se i bambini non piangono tanto quando glielo fanno sulla pancia, allora lo fanno anche sulla schiena”, spiega.
A due passi dal futuro Mirgitand è a 60 chilometri dalla città di Jamshedpur, il cuore dell’impero di Tata Steel. La città è pulita e piacevole, sembra un altro mondo rispetto alla vita dei villaggi. È il simbolo della nuova India della prosperità, l’India borghese che si prepara a superare la Gran Bretagna entro il 2015 per diventare la quinta economia del pianeta. Ma non rappresenta tutto lo stato del Jharkhand, dove il governo ha dichiarato 17 distretti su 24 “a rischio alimentare” . E forse non è una coincidenza che li consideri anche “profondamente inluenzati” dai maoisti. I medici del Jharkhand ricevono gli stipendi più bassi dell’India, e guadagnano circa la metà dei loro colleghi di New Delhi. Questo potrebbe spiegare perché cinque anni fa se ne sono andati 2.200 dei 2.468 dottori reclutati dallo stato. Si calcola che servano più di 800 centri di assistenza sanitaria di base, invece ce ne sono appena 330. Uno studio condotto l’anno scorso in venti villaggi ha contato venti morti per denutrizione e mille famiglie che sofrivano di fame cronica. Si calcola che nel Jharkhand ogni anno muoiano quasi 50mila bambini sotto i dodici mesi. Vari rapporti hanno criticato le autorità locali perché non riescono ad aiutare i loro cittadini più bisognosi. Ma non è solo un problema del Jharkhand. Secondo una ricerca recente, nelle baraccopoli della capitale il 66 per cento dei bambini sotto i sei anni è denutrito. E il rapporto rileva che le fasce sociali più vulnerabili non sono raggiunte dai progetti di assistenza del governo. Nel Madhya Pradesh la situazione, se possibile, è ancora peggiore. Negli ultimi cinque anni sono morti più di 500mila bambini sotto i cinque anni, e il 60 per cento dei bambini è denutrito. Eppure, a giugno le tv e i giornali hanno mostrato centomila tonnellate di grano che marcivano sotto il cielo. Le autorità hanno dato la colpa alla mancanza di siti di immagazzinamento. A Ganne, nell’Uttar Pradesh, sono stati trovati
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bambini che mangiavano fango e silice. Sembra che quando sono stati pubblicati i rapporti le autorità abbiano inviato generi alimentari dicendo agli abitanti di starsene zitti. L’anno scorso, quando è stato pubblicato l’Indice globale della fame, l’India igurava nella categoria “allarmante”, al 65° posto in una classiica di 84 paesi, persino al di sotto della Corea del Nord. Il problema, sostanzialmente, è che milioni di persone potrebbero scivolare dalla pura sopravvivenza alla denutrizione da un momento all’altro. Intanto il grande mercato internazionale dei generi alimentari indiani fa lievitare i prezzi, e gran parte della popolazione non riesce più a permettersi i prodotti di base. Le scarse piogge monsoniche del 2009 hanno aggravato la situazione. La siccità che ne è seguita, la peggiore dal 1972, ha gravemente danneggiato i raccolti e i prezzi sono aumentati. Gli agricoltori non potevano seminare perché non c’era abbastanza acqua per irrigare i campi. Sono andati persi interi raccolti. L’aumento del prezzo dei generi alimentari ha scatenato proteste a Hyderabad e Lucknow – dove la folla ha bruciato degli autobus – e uno sciopero di massa a Kolkata. Sui gradini del palazzo del parlamento, a New Delhi, i manifestanti hanno srotolato degli striscioni chiedendo al governo di tenere sotto controllo “gli aumenti dei prezzi che strangolano la gente”. Il 19 giugno 2010 il primo ministro indiano Manmohan Singh ha dichiarato che il paese deve raddoppiare il tasso di crescita del settore agricolo – fermo allo 0,2 per cento, il livello più basso da cinque anni – se vuole garantire la sicurezza alimentare. Ha detto che il paese copre il 2 per cento della supericie terrestre e può contare sul 4 per cento circa dell’acqua potabile, ma deve sfamare il 17 per cento della popolazione mondiale. “Dobbiamo garantire agli agricoltori semi e materiali di qualità migliore, ma soprattutto prezzi più remunerativi per i loro prodotti”, ha detto Singh. Più del 70 per cento degli indiani per vivere dipende dall’agricoltura e due terzi
“Se i bambini non piangono abbastanza quando li marchiano sulla pancia, allora lo fanno anche sulla schiena”
delle aziende agricole del paese dipendono dai monsoni. Quest’anno i meteorologi prevedono un monsone normale, ma avevano fatto la stessa previsione l’anno scorso – e le prime settimane della stagione delle piogge fanno pensare che sia in ritardo. Uscendo dal territorio in mano ai maoisti, la strada passa accanto al centro di Ghatshila per bambini gravemente denutriti. È uno dei tanti che sono stati creati per afrontare i casi più disperati. All’ingresso, una ila di madri con bambini emaciati è allineata davanti a un tavolo carico di prodotti alimentari. Le donne lanciano occhiate fameliche alle ciotole che vengono riempite per loro. Ci sono otto letti, dice il dottor Santosh Tundu, e da quando è stato aperto il centro, nell’aprile del 2009, sono sempre pieni. I pazienti presi in carico dal centro rimangono in media 15 giorni, e i bambini sono alimentati con latte artiiciale. I casi più gravi vengono mandati in ospedale. Il 90 per cento degli assistiti sopravvive. Barsanti Hansda è seduta accanto alla inestra e ha sulle ginocchia il iglio di nove mesi, Hoday, che sta piangendo. “L’ho portato qui perché era molto debole”, spiega. “Noi lavoriamo a giornata, non abbiamo molto da mangiare. Un po’ di riso e, a volte, un po’ di cipolla con il sale”. Suo marito lavora in una fornace di mattoni. Hoday è il loro unico iglio. Fuori dal centro, Samwari Munda culla una bambina di un anno, Mamata. Lei e suo marito sono braccianti, e guadagnano 30 rupie al giorno a testa. “Io lavoro e mio marito anche”, dice. “Non ho tempo di fare da mangiare. I bambini devono cavarsela da soli”. Mamata è la loro terza iglia, gli altri hanno tre e cinque anni. All’inizio di giugno è stata rinviata la discussione di una legge sulla sicurezza alimentare che dovrebbe sfamare i poveri con alimenti sovvenzionati – come aveva promesso il partito del Congresso nel suo manifesto elettorale: il ministro dell’agricoltura ha abbandonato il consiglio dei ministri convocato per afrontare la questione. Intanto l’inlazione dei prodotti alimentari ha raggiunto il 16,7 per cento. Il governo ha promesso che la proposta di legge andrà avanti. Ma diicilmente potrà cambiare le cose per gli abitanti di Mirgitand. Tagliati fuori dagli aiuti statali, conidano solo nella loro improbabile terapia. Sembrano rassegnati al loro destino: perino la morte di chi non ha superato il trauma del ferro arroventato non basta a convincerli che quella non è una soluzione. La realtà è che non sanno in cos’altro sperare. u gc
LA RETE DELLA PREVENZIONE
I preservativi maschili e femminili sono il sistema più sicuro per prevenire l’HIV ed evitare gravidanze indesiderate. In Africa Sub-Sahariana il 24 per cento delle donne sposate non ha accesso alla contraccezione e il 57 per cento delle persone con HIV sono donne. Il quinto Obiettivo di sviluppo del Millennio prevede di ridurre di 3 quarti la mortalità materna e garantire l’accesso universale ai servizi per la salute riproduttiva, compresi i contraccettivi, entro il 2015.
Per salvare la vita di migliaia di donne nel Sud del mondo e raggiungere gli Obiettivi di sviluppo del Millennio entro il 2015 occorre assicurare forniture costanti e regolari di prodotti di consumo per la salute sessuale e riproduttiva. A cominciare dai condom.
coordinata in Italia da Campagna per l’accesso universale alla salute riproduttiva
www.aidos.it
SIAMO IN DIRETTA CON I FAMILIARI DELL’ANZIANO PRESERVATIVO SCOMPARSO INSIEME AI SUOI COMPAGNI IN AFRICA DURANTE UNA MISSIONE UMANITARIA
IL NONNO RISCHIA DI SCADERE SENZA POTER SVOLGERE LA MISSIONE... SE ALMENO SUI PACCHI CI FOSSE UNA BOLLA DI ACCOMPAGNAMENTO, SI POTREBBERO MONITORARE GLI SPOSTAMENTI !
E‘ NOTO CHE NEL CONTINENTE AFRICANO I TEMPI CHE INTERCORRONO TRA INVIO, DOGANA E DISTRIBUZIONE POSSONO DURARE MESI... E‘ PER QUESTO CHE DOVREBBERO FAR PARTIRE I GIOVANI !
COME NOI SU TELECONDOM NON CI STANCHEREMO MAI DI DIRE: “LA PREVENZIONE E’ TUTTO!” LINEA ALLO STUDIO.
Scienza
Debora MacKenzie, New Scientist, Gran Bretagna Foto di Paolo Verzone
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La scienza dei c Il riscaldamento globale non esiste. Il fumo non fa male. I vaccini causano l’autismo. Cosa porta le persone a credere nelle teorie negazioniste? Spesso motivazioni politiche o psicologiche
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a sapete l’ultima? La pandemia di influenza A era una bufala: gli scienziati, i governi e l’Organizzazione mondiale della sanità se la sono inventata per far arricchire le aziende che producono i vaccini. E non importa che l’inluenza avesse tutte le caratteristiche di una malattia pandemica, che avesse provocato la morte di migliaia di persone o che di solito lanciare l’allarme per una pandemia non è un buon sistema per fare soldi. Un gruppo di esponenti politici europei ha sostenuto questa teoria del complotto, che ora circola anche in altri ambienti. Questo è solo l’ultimo caso di negazionismo, il riiuto sistematico della scienza per fare posto all’illusione. Gli esempi possibili sono tanti: si nega l’evoluzione, il riscaldamento globale, i risultati delle ricerche sui danni del fumo, l’aids, l’eicacia dei vaccini e ora anche l’inluenza. Perché? Cosa spinge le persone a negare la realtà? Ecco un’ipotesi: il negazionismo è in buona parte frutto del senso comune e quasi tutti i negazionisti sono persone normali che fanno semplicemente quello che ritengono più giusto. Tutti i movimenti negazionisti hanno molti aspetti in comune. Usano le stesse strategie. Si considerano coraggiosi difensori degli oppressi contro un’élite corrotta che trama ai danni dei cittadini per nascondere la verità o per difondere un’ignobile menzogna. Generalmente sostengono che il complotto serve alla realizzazione di qualche oscuro progetto: che si tratti dello stato assistenziale, della conquista dell’economia mondiale, di raforzare il potere dei governi sui cittadini, del proitto
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o dell’ateismo. Questi aspetti comuni spiegano molto sulle cause del fenomeno. Prima di tutto, il negazionismo trova terreno fertile soprattutto nei settori in cui bisogna idarsi di quello che dicono gli scienziati. Non si può negare l’eicacia degli antibiotici, perché è dimostrato che funzionano. Ma si può negare l’efficacia dei vaccini, perché ci hanno detto che prevengono delle malattie che nessuno di noi ha mai visto (proprio perché i vaccini funzionano). Anche nel caso del riscaldamento globale, dell’evoluzione e del rapporto tra tabacco e cancro bisogna idarsi della parola degli scienziati, dei medici e di altri esperti che spesso sono considerati freddi e arroganti. Molte persone vivono questo fatto come una minaccia personale. L’anno scorso, in Texas, l’esponente di una commissione statale che chiede l’introduzione della teoria creazionista nei programmi scolastici ha detto: “Qualcuno deve pur opporsi agli esperti”.
Scorciatoie mentali Il punto principale è proprio questo senso di perdita del controllo sulle nostre vite. Molti respingono le prove fornite dagli esperti e preferiscono le spiegazioni che, pur non essendo sostenute da nessuna prova, almeno apparentemente restituiscono una qualche forma di controllo. Tutte le teorie negazioniste sembrano tentativi di riconquistare un minimo di potere su una natura totalmente indiferente. Questo spiega perché si attribuisce l’autismo ai vaccini invece che a una causa naturale sconosciuta, e perché si insiste sul creazionismo o perché si riiuta il fatto che comportamenti un tempo considerati nor-
Le foto di questo articolo sono state scattate in Groenlandia, dove il cambiamento climatico sta facendo aumentare le temperature e accelera lo scioglimento dei ghiacci mali, come fumare e bruciare il carbone, siano in realtà pericolosi. Di solito le persone che credono a queste teorie non sono in malafede né nemiche della scienza. Al contrario, tendono a deinire le loro spiegazioni come scientiiche. Non c’è bisogno di essere disonesti per negare. Basta ragionare seguendo il senso comune, attraverso aneddoti e scorciatoie cognitive. Le spiegazioni negazioniste possono essere espresse in un linguaggio scientiico, ma si
complotti
L’opinione
Il dubbio come strategia Richard Littlemore, New Scientist
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basano su prove aneddotiche e puntano sul fascino emotivo del recupero del controllo. Greg Poland, responsabile del reparto vaccinazioni alla clinica Mayo, nel Minnesota, e direttore della rivista Vaccine, critica duramente quelli che negano la validità dei vaccini. Li deinisce “analfabeti scientiici”, perché non sono in grado di comprendere concetti come quello di probabilità. Li accusa di ragionare sulla base di emozioni e aneddoti. “Usano delle scorciatoie mentali”, dice Poland. “Mio iglio è diventato autistico dopo le vaccinazioni, quindi dev’essere colpa del vaccino”. Una reazione emotiva ai presunti danni provocati da un vaccino batte tutte le statistiche. Seth Kalichman, un sociopsicologo
dell’università del Connecticut, ha potuto osservare il fenomeno da una posizione privilegiata: si è iniltrato per un anno nei gruppi che negano l’aids. Quasi tutte le persone che ha conosciuto erano normali e sincere. “Il negazionismo rispondeva a un’esigenza”, spiega. “Per le persone malate di aids è una strategia di sopravvivenza, anche se è sbagliata”. Kalichman è comunque convinto che i negazionisti non si limitino a ragionare come l’uomo della strada. “Nel loro modo di pensare c’è una fragilità che li porta a idarsi di persone chiaramente in malafede. La maggior parte di noi non ci riuscirebbe neanche se volesse. Cercare di capire perché qualcuno si ida di questi imbroglioni può aiutarci a
er le aziende il dubbio è una strategia imbattibile, soprattutto quando i loro prodotti sono pericolosi anche se usati correttamente. Ormai non ci sono più dubbi: le aziende producono dubbi. Lo hanno ammesso più di una volta. Nel 1972 Fred Panzer, il vicepresidente del Tobacco Institute, spiegò quale sarebbe stata la “brillante” strategia di difesa del settore: “Instillare il dubbio sui danni del fumo, senza negarli esplicitamente”, e al tempo stesso “incoraggiare la ricerca scientiica obiettiva”. Dopo che il tabacco ha aperto la strada, il carbone e i prodotti chimici lo hanno subito seguito. E anche l’industria dei combustibili fossili, che ha ottenuto un successo sorprendente nel creare dubbi sul cambiamento climatico. Una delle tecniche migliori è mentire spudoratamente. Nel 1990 negli Stati Uniti una coalizione di aziende dell’industria dell’elettricità e del carbone ha creato l’Information council on the environment (Ice), il cui obiettivo era “riposizionare il cambiamento climatico come teoria e non come dato di fatto”. L’Ice ha assunto una società di pubbliche relazioni per creare messaggi pubblicitari che andavano dal ridicolo (“Chi ti ha detto che la terra si sta riscaldando… Chicken Little?”) al falso (“Se la terra si sta riscaldando, perché a Minneapolis fa sempre più freddo?”). Oggi l’Ice non esiste più, ma la sua strategia sì. Negli ultimi vent’anni l’industria del dubbio è cresciuta a dismisura. Ci sono centinaia di istituti di ricerca che sostengono teorie discutibili e confuse, e decine di false organizzazioni create per far credere che quelle teorie abbiano un seguito legittimo. Ed è gente che fa sul serio. u bt
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trovare una soluzione”. Kalichman è convinto che gli istigatori dei movimenti negazionisti abbiano problemi psicologici più gravi dei loro seguaci. “Mostrano tutti i sintomi della paranoia”, spiega Kalichman: la rabbia, l’incapacità di sopportare le critiche e quello che gli psichiatri chiamano un senso esagerato della loro importanza. “In in dei conti, è un problema di salute mentale. È per questo che i movimenti negazionisti hanno tante caratteristiche in comune, in particolare il fatto di avere una teoria del complotto”. Secondo Kalichman i negazionisti non raccontano bugie ma sono intrappolati in quello che gli studiosi delle nevrosi chiamano pensiero diidente: “Lo stile cognitivo dei negazionisti parte da un senso della realtà deformato. È uno dei motivi per cui discutere con loro è del tutto inutile. Tutti noi adattiamo il mondo al nostro senso della realtà, ma chi è diidente la distorce con un’intransigenza fuori dal comune”. Non sono solo le strategie e la psicolo-
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gia in comune a tenere unite le varie forme di negazionismo: esistono anche collegamenti formali tra i gruppi. Molti movimenti negazionisti nascono come tentativi delle aziende di mettere in dubbio i risultati di ricerche che minacciano i loro interessi. L’industria del tabacco ha cominciato ad alimentare le teorie del complotto negli anni settanta, reclutando scienziati disposti a produrre dati distorti e inanziando istituti di ricerca apparentemente indipendenti e falsi movimenti di
Molti movimenti negazionisti nascono come tentativi delle aziende di screditare i risultati di ricerche che minacciano i loro interessi
cittadini. Uno di questi centri di ricerca era l’Advancement of sound science coalition (Tassc), creato nel 1993 dalla Philip Morris. La Tassc non si è occupata solo del tabacco. Dopo avere ottenuto fondi dalla Exxon, ha cominciato a mettere in dubbio anche le teorie scientiiche sui cambiamenti climatici. Questi legami tra i movimenti negazionisti sono piuttosto frequenti. Diversi istituti di ricerca, non solo negli Stati Uniti, sono inanziati sia dall’industria del petrolio sia da quella del tabacco e hanno assunto posizioni negazioniste sul fumo e sul riscaldamento globale. La Tassc è stata costretta a chiudere dopo che si è scoperta la sua vera identità, ma è stata sostituita dalla JunkScience, che oltre ad attaccare le ricerche sul tabacco e sul clima invita a diidare degli scienziati che usano dati statistici o parlano di cose che “potrebbero essere” vere – cioè, praticamente, tutti gli scienziati. Non sorprende che alcune industrie siano pronte a distorcere la realtà per di-
fendere i loro interessi. Ma i tentacoli della negazione organizzata arrivano più lontano. Molti personaggi inluenti che negano il cambiamento climatico, per esempio, negano anche l’evoluzione. E alcuni noti creazionisti sono pronti a ricambiarli. Di recente negli Stati Uniti sono state fatte delle campagne per inserire nei programmi scolastici l’insegnamento non solo del creazionismo ma anche della “controversa questione” del riscaldamento globale. Queste posizioni sono perfettamente in linea con le preoccupazioni della destra politica e religiosa degli Stati Uniti, e la negazione prende spesso le mosse da un programma politico preciso. Alcuni creazionisti hanno esplicitamente afermato che la scienza del clima e la teoria dell’evoluzione fanno riferimento a “un’ideologia di sinistra che promuove lo statalismo, il moralismo dello stato assistenziale e il materialismo”. Le persone che sostengono una teoria del complotto tendono ad appoggiarne altre. Dan Kahan, della facoltà di legge di Yale, ha scoperto che le opinioni dei cittadini su questioni come l’aborto e il matrimonio tra persone dello stesso sesso permettono di prevedere anche la loro posizione in materia di scienza del clima. Questo, secondo Kahan, è dovuto al fatto che i conservatori tendono a essere a favore delle aziende private e non accettano l’idea che siano queste a danneggiare il pianeta . Ma altri negazionismi fanno pensare che la psicologia conti più dell’ideologia. Non esiste, cioè, nessun legame evidente tra conservatorismo e riiuto dei vaccini e dell’aids, e la negazione della nuova inluenza A è partita da un gruppo di sinistra che diidava dell’industria dei vaccini.
Un terreno comune Ci sono, tuttavia, alcuni collegamenti che fanno pensare a un progetto più ampio. John Moore, un ricercatore del Weill Cornell medical college di New York che studia il virus hiv, spiega che c’è una forte sovrapposizione tra i negazionisti dei vaccini e quelli dell’aids. Entrambi i movimenti ricevono cospicui inanziamenti dei quali non si sa nulla. È anche il caso della rivista dell’Association of american physicians and surgeons, una lobby a favore della medicina privata. La rivista promuove quasi tutte le cause negazioniste. Negli ultimi due anni ha pubblicato articoli in cui si sostiene che i test dell’hiv non individuano l’hiv, che il fumo passivo non fa male, che il riscalda-
L’opinione
Il dibattito prima di tutto Michael Fitzpatrick, New Scientist, Gran Bretagna L’atteggiamento di riiuto della comunità scientiica verso i negazionisti è sbagliato e controproducente
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a parola “negazionista” è sempre più usata per attaccare chiunque cerchi di mettere in discussione le verità consolidate. I negazionisti sono accusati di subordinare la scienza all’ideologia. Nel libro Denialism: how irrational thinking hinders scientiic progress, harms the planet, and threatens our lives, Michael Specter sostiene che i negazionisti “sostituiscono lo scetticismo rigoroso e illuminato della scienza con la inlessibile certezza del pensiero ideologico”. Non è paradossale? Il concetto stesso di negazionismo è inlessibile, ideologico e intrinsecamente antiscientiico. È usato per bloccare sul nascere un legittimo dibattito insinuando che quelli che esprimono opinioni diverse hanno scopi ignobili, o mettendo sullo stesso piano i movimenti pseudoscientiici popolari e quelli dei razzisti che non credono nel genocidio degli ebrei. Come sostiene il ilosofo Edward Skidelsky, dell’università di Exeter, accusare qualcuno di negazionismo signiica usare un argomento ad hominem: “Lo scopo non è tanto di confutare le idee dell’avversario quanto screditare le sue motivazioni”. L’uso sempre più difuso di questo concetto, secondo Skidelsky, rischia di ribaltare una delle grandi conquiste dell’illuminismo: “La liberazione della ricerca storica e scientiica dal dogma”. Non fraintendetemi: il fascino che la pseudoscienza esercita su molte persone è senza dubbio un problema. Ma gli insulti non sono una risposta accettabile né eicace. Prendiamo due esempi. Il primo riguarda il dibattito scatenato dall’afermazione dello scienziato statunitense Peter Duesberg secondo cui il virus
hiv non è la causa dell’aids. Il secondo è il presunto legame tra vaccini e autismo suggerito dall’ex professore di gastroenterologia Andrew Wakeield. Sia Duesberg sia Wakeield erano scienziati di fama internazionale, la cui insistenza su ipotesi che non erano in grado di dimostrare li ha portati oltre i limiti della scienza seria. Ma anche se non sono riusciti a convincere i loro colleghi, entrambi hanno trovato sostenitori tra i ricercatori delusi, i giornalisti creduloni, i ciarlatani, i guaritori, i teorici del complotto e i politici opportunisti. In entrambi i casi, la comunità scientiica ha tardato a rispondere. Poi ha accusato i membri dei due movimenti di essere degli squilibrati e si è convinta che queste teorie sarebbero scomparse da sole. Nel libro Denying aids: conspiracy theories, pseudoscience, and human tragedy, il sociopsicologo Seth Kalichman difende questa posizione. Secondo Kalichman, i negazionisti spesso “superano il conine di quella che potrebbe essere considerata libertà di parola”. Kalichman giustiica la repressione del dibattito con la debole argomentazione che portarlo avanti signiicherebbe solo legittimare i negazionisti. Questi tentativi di combattere la pseudoscienza accusandola di essere una forma laica di blasfemia sono antidemocratici e intolleranti. E sono anche ineicaci, visto che raforzano lo scetticismo nei confronti della scienza e incoraggiano la siducia nei confronti delle autorità mediche e scientiiche. Come dice Skidelsky, “aibbiare l’etichetta di negazionista a chiunque metta in discussione la realtà condivisa è un comportamento che dovrebbe allarmare qualsiasi democratico”. L’unico rimedio possibile è favorire il dibattito, non abolirlo. u bt Michael Fitzpatrick è un medico londinese, autore di Defeating autism: a damaging delusion (Routledge 2009). Internazionale 856 | 23 luglio 2010
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mento globale non rappresenta un pericolo e che la proposta di un registro delle vaccinazioni negli Stati Uniti “mira a creare un’infrastruttura di computer che in futuro potrà essere usata per altri scopi”. Ha anche pubblicato diversi articoli in cui si sostiene che i vaccini causano l’autismo. Verrebbe da chiedersi se gli attivisti che negano il riscaldamento globale e l’evoluzionismo non stiano cercando di screditare l’intera comunità scientiica difondendo scetticismo nei confronti dei vaccini e dell’aids. Il carattere conservatore della negazione potrebbe spiegare anche la sua capacità di conquistare i cuori e le menti. Il linguista cognitivo George Lakof, dell’università della California, a Berkeley, sostiene che i conservatori sono sempre stati più bravi dei progressisti a sfruttare gli aneddoti e le emozioni per convincere gli elettori. I progressisti tendono a pensare che di fronte a dati veriicati e numeri certi, le persone trarranno inevitabilmente le giuste conclusioni. Inoltre credono che gli aneddoti
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siano prove inammissibili e pensano che sia immorale fare appello alle emozioni. Gli scienziati ragionano come loro. Ma contro le emozioni e gli aneddoti, la semplice presentazione di prove ha poco potere. A peggiorare le cose c’è il fatto che di solito gli scienziati reagiscono al negazionismo con rabbia e sdegno, e questo li fa sembrare ancora più arroganti.
La lezione per gli scienziati Anche Greg Poland è arrivato a una conclusione simile. Un paio di volte ha provato a usare gli aneddoti e le emozioni parlando con un pubblico di non specialisti. “Ricevo risposte molto positive, ma non dalle persone più informate, che vedono le mie argomentazioni come una manipolazione”. Gli scienziati che combattono il negazionismo dovrebbero imparare la lezione: potranno vincere solo dopo aver capito come parlare agli “analfabeti scientiici”, che sono facili prede dei negazionisti. La posta in gioco è alta. Come molti creatori di vaccini, Poland ha ricevuto mi-
nacce di morte. “Mi arrivano telefonate anonime che dicono: ‘Spero che i suoi igli siano al sicuro’”. Ne ha ricevuti anche Faye Flam, una giornalista del Philadelphia Inquirer che si occupa di temi legati al cambiamento climatico. Il negazionismo ha già fatto delle vittime. La negazione dell’aids ha fatto morire circa 330mila sudafricani. La negazione dei danni del tabacco ha ritardato gli interventi per prevenire le morti provocate dal fumo. La negazione della validità dei vaccini ha dato nuova vita a malattie mortali come il morbillo e la poliomielite. E la negazione del cambiamento climatico sta ritardando gli interventi per frenare il riscaldamento globale. La reazione contro i tentativi di combattere la pandemia di inluenza potrebbe scoraggiare i preparativi per il prossimo virus. La scienza è il modo migliore per capire il mondo e i suoi pericoli, ma per agire di conseguenza serve il sostegno popolare. È per questo che i movimenti negazionisti sono una minaccia. u bt
Come si difonde una bugia Jim Giles, New Scientist, Gran Bretagna Anche le afermazioni più assurde possono farsi strada se sono riprese da presunti esperti o dai mezzi d’informazione. Basta che siano credibili
do cui Obama era il iglio segreto di Mal colm X. Ma non hanno trovato seguaci. Le bugie che sembrano plausibili, inve ce, possono entrare nelle coscienze senza che nessuno le metta in discussione. In par te è dovuto al fatto che usiamo scorciatoie mentali per dare un senso al mondo, e rara mente ci scomodiamo per controllare la veridicità di quello che ci viene detto. Pren diamo un pettegolezzo a caso: il calciatore inglese Ashley Cole ha una Ferrari foderata di pelliccia. Questa notizia è sciocca e, per quanto ne so, assolutamente falsa. Ma Cole è famoso per avere gusti pacchiani, ed è molto probabile che le persone ne tengano conto nel momento in cui devono valutare la veridicità della notizia. È stato dimostra to che le falsità che si adattano a queste scorciatoie mentali hanno più probabilità di essere ricordate come informazioni corret te, anche quando non esiste alcuna prova che lo siano. Questo meccanismo potrebbe spiegare la difusione della citazione di Houghton. I giornalisti che l’hanno riciclata erano già ostili alla scienza del clima, quindi l’idea che uno scienziato di primo piano avesse lanciato l’allarme probabilmente gli era
Illusioni di massa Immaginate un gruppo di genitori che stanno valutando individualmente le prove a favore e contro la vaccinazione. Supponia mo che una coppia, forse già diidente nei confronti della medicina tradizionale, sen ta dire che i vaccini causano l’autismo, e decida di non vaccinare i igli. La coppia successiva ha ora una nuova informazione di cui tener conto. Alle prove scientiiche, si è aggiunto il fatto che due genitori amici so no così preoccupati da aver deciso di non vaccinare i bambini. Questo potrebbe por tare anche loro a opporsi alla vaccinazione, e così via per tutte le altre coppie. Fino ad arrivare al punto in cui le consulenze degli esperti e i risultati degli studi scientiici a favore delle vaccinazioni sono bilanciati dalla massa di genitori che dicono che la vaccinazione è pericolosa. Questo fenomeno si chiama cascata di informazioni, ed è stato descritto per la pri
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el novembre del 2006 l’opinio nista conservatore Piers Aker man ha pubblicato un feroce attacco contro la scienza del clima sul quotidiano australiano Daily Te legraph. Nell’articolo, Akerman afermava che l’allarme sul riscaldamento globale era volutamente esagerato. A sostegno della sua tesi, citava una dichiarazione di John Houghton, ex presidente della commissio ne intergovernativa sui cambiamenti cli matici: “Se non annunciamo una catastrofe nessuno ci ascolterà”. All’inizio dell’anno successivo, Lee Morrison, un giornalista conservatore ca nadese, ha usato la stessa citazione in un articolo sul Calgary Herald. Quell’estate l’ha ripresa anche un ricercatore dell’Acton institute for the study of religion and liberty di Grand Rapids, nel Michigan. La difusione di questa citazione è co minciata così. Oggi compare in almeno tre libri, più di cento blog e circa 24mila pagine web. È diventato un grido di battaglia per tutti i negazionisti del clima. Eppure Houg hton non ha mai detto né scritto quelle pa role. Il suo libro del 1994 che di solito viene citato come fonte non contiene quella frase. Il primo a pubblicarla sembra sia stato Aker man. Come ha fatto una bufala del genere a diffondersi così rapidamente? È un fatto che succede con una frequenza inquietan te, anche quando si tratta di afermazioni assurde o senza fondamento. Secondo Cass Sunstein, uno studioso di diritto dell’uni versità di Harvard, l’unica spiegazione è la fragilità della psiche umana. Una volta mes se in circolazione, certe dichiarazioni false seguono percorsi prevedibili che le portano a essere accettate o a cadere nell’oblio. Pri ma di tutto, una bugia deve avere almeno un briciolo di credibilità. Nel 2008 alcuni blogger hanno messo in giro la voce secon
sembrata ragionevole. In questo modo può essere messa in circolazione qualsiasi men zogna, purché ci siano abbastanza persone disposte a crederci. La scienza è particolar mente vulnerabile da questo punto di vista, perché la maggior parte delle persone non è in grado di valutare le afermazioni scienti iche. Una volta che comincia a circolare, una bugia può difondersi in modo capillare. Per capire come alcune falsità arrivino a essere accettate da tutti, dobbiamo rilettere su come i gruppi sociali inluiscono sulle no stre decisioni.
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Scienza ma volta nel 1993 dall’economista David Hirshleifer, che oggi insegna all’università della California a Irvine. Questo meccanismo può rendere popolare qualsiasi cosa, dai video di YouTube alle procedure mediche. Si può arrivare a credere ad alcune menzogne semplicemente perché altri ci credono. I mezzi d’informazione tradizionali spesso contribuiscono alle cascate d’informazione. Nel 2004 John Kerry è stato sconitto alle presidenziali anche a causa di un’associazione di reduci del Vietnam chiamata Swift boat veterans for truth, che contestava il suo passato di eroe di guerra. Anche se erano in gran parte infondate, le accuse sono state riprese da molti mezzi d’informazione. E, come spiega Hirshleifer, “più sentiamo o leggiamo una notizia e più la consideriamo vera”. La stessa cosa succede con la negazione: se tutti dicono che gli scienziati del clima sono corrotti – o che il vaccino contro morbillo, parotite e rosolia provoca l’autismo – la notizia diventa un fatto. Esiste un modo per combattere il difondersi di bugie pericolose? La strategia più ovvia è mettere le cose in chiaro. Ma spesso non si riesce a farlo, e a volte può anche essere controproducente. I politologi Brendan Nyhan e Jason Reiler hanno studiato il fenomeno. Nel corso di un esperimento hanno fatto leggere a un gruppo di studenti una serie di articoli in cui si diceva, erroneamente, che George W. Bush aveva vietato qualsiasi tipo di ricerca sulle cellule staminali. Alcuni articoli contenevano anche una rettiica. Gli studenti che avevano letto la seconda versione erano meno propensi a credere che Bush avesse vietato la ricerca sulle cellule staminali, ma solo se già simpatizzavano per Bush. Gli studenti progressisti non avevano tenuto conto della rettiica. Questo è un esempio del cosiddetto pregiudizio di conferma, la tendenza naturale a cercare elementi di prova che corrispondano alle nostre idee preconcette e a crederci, ignorando tutto il resto. Ma non signiica che le rettiiche siano inutili. Da quando, a febbraio, la bugia di Akerman è stata smascherata dall’Independent, alcuni avversari della scienza del clima hanno detto che smetteranno di usare la citazione. A parte questo, però, tutto procede come al solito. Molti siti web continuato tranquillamente a riportarla. E Akerman? Dopo la denuncia, ha pubblicato una vera citazione di Houghton, modiicata in modo da farla apparire allarmista, nel tentativo di dimostrare che ha sempre avuto ragione. E la difusione della menzogna continua indisturbata. u bt
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L’opinione
Muro contro muro Michael Shermer, New Scientist, Gran Bretagna Ci sono momenti in cui continuare a discutere è inutile. Ma non bisogna mai censurare le idee altrui
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vere a che fare con persone che mettono in dubbio le teorie consolidate è una sida diicile. Come bisogna reagire? La mia risposta è: lasciamole parlare. Esaminiamo le loro prove. Prendiamo in considerazione la loro ipotesi. Se hanno qualcosa di serio da dire, prima o poi la verità verrà fuori. Come comportarsi, invece, con quelli che continuano a sostenere la loro teoria anche dopo che le loro argomentazioni sono state discusse e completamente smentite? È il caso in cui lo scetticismo si trasforma in negazionismo. Arriva un momento in cui è meglio lasciar perdere? A volte sì. Prendiamo la negazione dell’olocausto. Nel 1990 abbiamo organizzato una discussione con i negazionisti, presentandogli tutte le prove del genocidio nazista. Non è servito a nulla. Hanno continuato ino ai primi anni duemila a ripetere le stesse argomentazioni senza fondamento. Ho deciso di occuparmi di altri problemi. Alla ine del decennio, i negazionisti dell’olocausto erano quasi tutti scomparsi. Ma non sempre è possibile lasciar perdere. Il negazionismo dell’olocausto è sempre stato marginale, mentre il creazionismo e la negazione del cambiamento climatico esercitano una grande inluenza sull’opinione pubblica. In questi casi, l’unica strategia possibile è non abbassare mai la guardia. Gli esperti hanno il dovere di resistere ai negazionisti continuando a smantellare le loro teorie, ino a quando non si estingueranno come i dinosauri. Ma non dobbiamo commettere l’errore di nascondere, reprimere o usare la forza per distruggere le convinzioni degli altri. Ci sono molti buoni motivi per non farlo. 1) I negazionisti potrebbero aver
ragione e avremmo solo sofocato la verità. 2) Forse hanno completamente torto, ma in alcuni casi l’analisi delle loro teorie può aiutare a scoprire la verità. Potremmo accorgerci che ci si può sbagliare, e migliorare le nostre capacità di ragionamento. 3) È impossibile conoscere la verità scientiica assoluta, quindi dobbiamo essere sempre pronti a cambiare idea. 4) Essere tolleranti quando si fa parte della maggioranza signiica avere maggiori probabilità di essere tollerati quando ci si trova in minoranza. Una volta accettata, la censura potrebbe essere usata contro di noi quando la nostra posizione sarà marginale. Nessuna idea dovrebbe mai essere sofocata. Nel 1925 in Tennessee, quando gli evoluzionisti erano in minoranza, i fondamentalisti fecero approvare una legge secondo cui insegnare l’evoluzionismo era un reato, e un insegnante di nome John Scopes fu processato. Non riesco a pensare a un argomento migliore a favore della tolleranza e del dibattito di quello che portò il suo avvocato, Clarence Darrow, nell’arringa inale del processo. “Se oggi possiamo dire che insegnare la teoria dell’evoluzione nelle scuole pubbliche è un reato, domani può diventare reato insegnarla nelle scuole private, e l’anno dopo insegnarla nelle chiese. La prossima volta il divieto colpirà i libri e i giornali. L’ignoranza e il fanatismo non stanno mai fermi. Dopo un po’, vostro onore, metteranno gli uomini gli uni contro gli altri, ogni religione contro l’altra, ino a quando non marceremo a stendardi spiegati verso il glorioso sedicesimo secolo, quando i bigotti accendevano roghi per bruciare chiunque osasse illuminare la mente umana con un po’ di intelligenza e di cultura”. u bt Michael Shermer è uno scrittore statunitense, fondatore della Skeptics Society, un’organizzazione che promuove lo scetticismo scientiico per contrastare la pseudoscienza e la superstizione.
In libreria dal 23 luglio
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IL BAMBINO NELLA VALIGIA LENE KAABERBØL AGNETE FRIIS
FAZI EDITORE
Società
Eleganza africana Ken Bugul, Libération, Francia
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estirsi con un wax olandese, possederne uno o solo averlo avuto è un tema ricorrente nei discorsi di molte donne africane, soprattutto in Africa occidentale e centrale. Il wax olandese è sinonimo di classe ed eleganza. Un’eleganza costosa, perché è il tessuto più caro, soprattutto nella versione superwax, che però è anche la più venduta. Certo, il superwax è più caldo, ma questo inconveniente spinge a sfoggiarlo con più orgoglio. Le donne che lo vendono sono le prime a indossarlo, e in questo modo pubblicizzano gratuitamente il prodotto, che è stato messo in commercio da intere generazioni di africane. Oggi, nei grandi mercati di Lomé, in Togo, e di Cotonou, in Benin, s’incontrano spesso giovani laureate che hanno preso il posto delle madri. Persone che hanno costruito la leggenda delle Nana Benz e delle Mama Benz, le donne che in Africa vendono cibo (riso, olio, pomodori, zucchero) e altri prodotti di largo consumo (vestiti per bambini, giocattoli, saponi). Le venditrici di wax olandese sono state le prime donne a diventare milionarie. Spesso analfabete, si sono rivelate molto abili nel commercio internazionale, dalla Gran Bretagna alla Cina, dai Paesi Bassi alla Germania, dall’Austria alla Svizzera. Sono state le prime commercianti ad arrivare al mercato in Mercedes Benz, dando origine al loro soprannome. Sono state le prime a
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investire nel settore immobiliare e a comprare appartamenti all’estero, perino nei quartieri più alla moda delle capitali europee. Alcune hanno investito anche nella cultura e negli ospedali e hanno aiutato i bambini. Consigliate dai igli, dei quali hanno inanziato l’istruzione nelle grandi scuole europee e nordamericane, o dai loro avvocati, hanno investito in borsa e hanno insegnato i segreti del mestiere alle loro giovani collaboratrici. Ma, soprattutto, queste donne hanno fatto studiare un’intera generazione di africani nelle scuole d’élite, in Senegal e in Francia, perché entrassero nella classe dirigente. Grazie al wax olandese, hanno costruito delle fortune colossali. Il commercio di questo tessuto ha creato posti di lavoro in molte città portuali e ha aumentato il fatturato di multinazionali e aziende di trasporto, dalla Unilever alla Maersk. In altre parole, con il wax olandese le donne africane hanno contribuito anche alle economie dei paesi ricchi. I mercati di Assigamé, a Lomé, e quello di Dantokpa, a Cotonou, fanno a gara a chi ofre i motivi e i colori più belli del tessuto. LE IMMAGINI
u Gli abiti in queste foto fanno parte dell’ultima collezione della Vlisco, l’azienda olandese che produce il wax dal 1846 ed è presente in Africa con cinque boutique: in Togo, Benin, Nigeria, Costa d’Avorio e Repubblica Democratica del Congo.
FRITZ KOK (PER GENTILE CONCESSIONE DI VLISCO) (2)
In Africa tutte le donne sognano un vestito in wax olandese. Nel continente il commercio di questo tessuto introdotto in epoca coloniale ha fatto arricchire molte persone
Quando vedono queste stofe “africane”, i turisti europei esclamano: “Da voi ci sono dei tessuti così belli, con tutti quei colori”. E invece no: il wax olandese non è africano, anche se è destinato quasi esclusivamente agli africani. Viene dalla tradizione del batik: basata sull’uso della cera fusa (da cui il nome wax, cera, in inglese), è una tecnica importata dall’Asia, in particolare dall’isola di Java, in Indonesia, che ha anche dato il nome a un altro tessuto olandese, il java,
rossi e neri. Appena sono entrata nella sartoria, la commerciante mi ha detto: “Questo wax è mio”. La spiegazione della sarta mi ha rassicurato: non avevo rubato il suo abito, ma il tessuto con quel motivo era stato fabbricato apposta per lei. Durante il mio soggiorno in Togo, ho collezionato abiti in wax olandese. Ne avevo talmente tanti che era diicile scegliere quale indossare. Così ho cominciato a vestirmi in base al mio umore: un giorno esitavo tra i modelli con i motivi “L’occhio della mia rivale”, “Esco o non esco” o “Il tuo piede, il mio piede”, mentre il giorno dopo sceglievo di indossare “Mio marito lo ha fatto per me”. In realtà i mariti raramente comprano vestiti alle mogli: nelle società africane il maschio è ancora il simbolo della sicurezza familiare, anche se non sempre questa idea corrisponde alla realtà. Nel golfo di Guinea, dove le commercianti hanno un grande potere inanziario, la capacità di un uomo si misura più in base all’aiuto dato agli afari della moglie che nella ricchezza accumulata con il suo lavoro. Spesso l’uomo è solo l’autista della Benz durante il ine settimana.
Spighe di mais
meno caro ma di buona qualità. È l’abito intermedio tra il wax olandese e il vestito locale, usato soprattutto in città e negli uici. È facile riconoscere l’origine di un vestito, perché spesso le grandi commercianti possiedono l’esclusiva di certi colori e di certi motivi. Una volta a Lomé ho incontrato una di queste commercianti da una sarta. Indossavo un abito in wax olandese dalle tinte indaco, con un motivo di ventagli
In Africa occidentale, in particolare in Togo, in Ghana e in Benin, le donne comunicano attraverso i vestiti in wax. Le commercianti fanno realizzare i motivi agli artisti locali e decidono i colori. Così, in base al momento e alle preoccupazioni, possono commissionare gli abiti con slogan o messaggi molto diversi: dalla donna gelosa o frustrata per l’assenza del marito alla donna d’afari ricca che sfoggia un tessuto con dollari di tutti i colori o spighe di mais, simbolo di ricchezza e abbondanza. Negli ultimi anni sono tornati spesso i motivi con i gamberi, insieme alle nature morte e alle igure geometriche. Ma il fattore più importante è il colore. Il modello di vestito africano è quasi sempre lo stesso, mentre la moda creata da queste donne varia in base ai motivi, ai colori e ai messaggi. Le commercianti attirano le clienti attraverso i nomi dei vestiti. Dalla camicetta con la scollatura ricamata, che mette in risalto la testa e la forma delle spalle, alla gonna con il nome di una famosa cantante congolese, Abéti, al bomba proveniente dalla Nigeria, il wax olandese resta una certezza. La moda africana evolve e inluenza i motivi dei vestiti. Oggi gli stilisti preferiscono i motivi geometrici a quelli che mandano messaggi, perché permettono di ricreare altre forme sul modello originario. Le natu-
re morte, per esempio, danno libero sfogo a un genio creativo prezioso per chi ama l’eleganza. Ci sono molte imitazioni del wax olandesi, come i real wax nigeriani, che sono più economici, o altri tessuti di qualità inferiore fabbricati in Gran Bretagna. Le imitazioni sono destinate a soddisfare le esigenze dei più poveri, ma il sogno di ogni donna è avere un wax olandese. Per una donna è un segno di rispetto e di potere, anche se non ha un marito in grado di comprarglielo. Le mogli dei capi di stato africani, soprattutto quella di un grande dittatore dell’Africa centrale, portavano spesso wax olandesi o tessuti stampati sul posto con l’eigie del marito. Durante il regno di questo famoso dittatore, la moglie gestiva anche la distribuzione del wax olandese nel suo paese. Questo prodotto resta il tessuto più amato, anche se il bazin riche (cotone damascato) ricamato del Senegal e il bazin riche tinto del Mali sono dei concorrenti agguerriti. Un guardaroba non è completo senza vestiti in wax olandese. È un prodotto che continua a vendere, nonostante l’oscillazione delle monete, l’importazione di tessuti sintetici, l’invasione dei tessuti cinesi a buon mercato, dei veli svizzeri, dei ricami austriaci, dei bazin fasulli o dei tessuti provenienti dall’India, indossati in quegli sceneggiati indiani tanto di moda nel continente. Il wax olandese resiste a tutti gli attacchi e oggi è ancora il tessuto di riferimento. Dall’abito indossato in uicio al modello da cerimonia, continua per la sua strada. A cinquant’anni dalle indipendenze africane, il wax simboleggia una delle eredità coloniali che hanno contribuito di più a cambiare le abitudini locali, favorendo l’adozione di un tessuto fatto per gli africani, ma non dagli africani. Tuttavia, anche se adoro gli abiti in wax olandese, devo riconoscere a malincuore che i messaggi trasmessi da questi vestiti riguardano le preoccupazioni quotidiane delle donne, ma non prendono in considerazione i problemi più gravi degli africani: la pace, il rispetto dei diritti dell’uomo, del lavoro e della giustizia sociale. Chissà quando potremo comprarci dei vestiti che lanciano messaggi contro la corruzione o contro la violenza sulle donne e i bambini. u adr Ken Bugul è lo pseudonimo della scrittrice senegalese Marietou Mbaye Biléoma. Nata nel 1947 a Ndoucoumane, il suo romanzo Riwan et le chemin de sable ha vinto il Premio letterario dell’Africa nera nel 1999. Internazionale 856 | 23 luglio 2010
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Lirica urbana Una mostra a Madrid ripercorre la carriera di Helen Levitt. Che ha saputo cogliere l’anima di New York, scrive Christian Caujolle
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alker Evans, il fotografo che raccontò la crisi economica degli anni trenta, diceva di Helen Levitt: “È l’esatto contrario del fotogiornalismo”. È un’afermazione che si può veriicare a Madrid, nella prima grande retrospettiva organizzata dopo la scomparsa di Levitt nel 2009. Quasi 150 fotograie, per lo più stampe d’epoca (a parte quelle a colori), provenienti da collezioni europee e statunitensi, sono esposte in ordine cronologico. Le immagini, classiicate con cura, ricostruiscono una carriera che non si può
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separare da una vita interamente dedicata a osservare la strada per coglierne i piccoli momenti di poesia. È una mostra bella, commovente, da percorrere lentamente assaporando il piacere delle immagini in piccolo formato, che evidenziano l’abilità della fotografa nello scoprire, dietro l’apparente banalità, composizioni eleganti e mai forzate. Nata nel 1913, Levitt fu attratta presto dalle immagini di Cartier-Bresson. Il fotografo francese le fece capire che “la fotograia non serve a dimostrare, a spiegare o a raccontare, ma a far provare qualcosa”. Levitt capì che la fotografia poteva farle scoprire le persone. L’inluenza del gruppo
Photo league, dell’artista Ben Shahn e di Walker Evans, la spinsero verso la fotografia documentaria. Ma lei conservò una poetica molto personale, nella quale si ritrovano gli elementi del Cartier-Bresson degli inizi (in particolare quello della Spagna e del Messico negli anni trenta) e le sue inluenze surrealiste. Questo spiega perché Levitt, anche se si dedicò soprattutto alla strada, ai bambini dei quartieri poveri e dello Spanish Harlem, riiutava di essere etichettata come fotografa sociale, impegnata o militante. Il suo obiettivo non era giudicare ma aiutare a capire, in modo che alla ine ognuno potesse farsi la sua idea. Erano tempi in cui in una grande città
come New York la strada apparteneva ai bambini, soprattutto nei quartieri poveri. James Agee, che nel 1948 collaborò con Janice Loeb e Levitt alla realizzazione del cortometraggio In the street, disse: “La strada è un teatro dei drammi e dei giochi, delle guerre e delle gioie, è il teatro della vita. Ed è quello che abbiamo cercato di ottenere qui”.
Inquadrature agili Il corto consiste in dieci minuti di puro piacere, riempiti dai volti dei bambini del quartiere ispanico che Levitt aveva fotografato spesso e che, complici o provocatori, istrioni o disinteressati all’obiettivo, giocano, si
baciano, lottano, ballano, ridono, tornano seri, usano un idrante per rinfrescarsi. Il tutto raccontato con inquadrature agili e un montaggio che si adatta benissimo al movimento. In questo lavoro si ritrova l’occhio di Levitt. La sua capacità di usare la Leica con eleganza e fermezza, senza mai calcare la mano, creando composizioni esemplari ma senza mai sforzarsi di ottenere delle geometrie. È così che, giocando alla guerra, ai cowboy e agli indiani, spuntando da dietro una inestra, mascherati sulle scale, riuniti davanti a un ediicio, i bambini diventano gli attori della loro libertà. Il loro mondo, fatto di fantasia e di scoperta, diventa per-
Alle pagine 56-57: New York 1942. Qui sopra, da sinistra: Messico 1941; New York 1939 cepibile insieme all’immensa tenerezza della fotografa che li osserva e segue il loro movimento. Anche se Levitt sceglie sempre la distanza giusta, si avverte spesso il movimento del suo corpo, che scivola con discrezione e libertà nello spazio, disturbando il meno possibile. Levitt sa farsi dimenticare, come se riuscisse a mantenere intatta la sua parte di fanciullezza per passare inosservata. Ogni tanto una donna elegante davanti a un ristorante popolare o dei lavoratori distrutti dalla fatica arricchiInternazionale 856 | 23 luglio 2010
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scono il contesto sociale in cui si svolge questa gioiosa festa infantile. La retrospettiva ospita anche venti magniiche stampe di scritte con il gesso, disegni, parolacce e poesie tracciate sui muri neri, che Levitt scovò nel corso degli anni e riunì in un libro che può essere paragonato solo a Graiti di Brassaï. Ma mentre l’innamorato delle notti parigine cercava scritte, rilievi e iscrizioni incise nella città, Levitt cercava di collezionare una poesia pura, naturale, casuale. Quegli anni di fotograia di strada e di tenerezza per i bambini, Levitt li condensò insieme a James Agee nel leggendario A way of seeing. Il libro, pubblicato solo nel 1965, è stato ristampato due volte ed è ancora una pietra miliare.
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Anche se New York restò sempre la sua principale fonte d’ispirazione, nel 1941 Levitt fece un lungo viaggio in Messico, raccontato nella seconda parte della mostra. Lì Levitt ritrovò, in modo del tutto naturale, i bambini che organizzavano lo spazio, che giocavano nonostante le diicoltà. In queste foto il peso del contesto sociale e della povertà si fa più forte. Molti dei bambini ritratti vivevano in strada e spesso i loro volti erano scuri e stanchi. Alcune immagini evocano Manuel Álvarez Bravo e il CartierBresson surrealista, ma l’insieme è molto più carico di energia. Le opere a colori di Levitt, scattate tra il 1959 e il 1993, sono introdotte da una proiezione di diapositive, come si faceva un
tempo. Questo permette di capire meglio il modo in cui, cogliendo al volo le immagini, sempre fedele al suo senso del movimento e alla sua brillante costruzione dello spazio, Levitt componeva con il colore e non si limitava, come facevano molti suoi contemporanei, a fotografare a colori. Ma anche se sono di ottima qualità, le stampe sono meno convincenti delle diapositive, che appaiono più efficaci grazie ai colori di fondo, alla ricerca dei verdi e delle variazioni cromatiche. Si avverte una forte volontà di esplorazione e di sperimentazione, che sfugge al formalismo. Negli ultimi anni Levitt tornò al bianco e nero, sempre a New York, ino al 1993. Il contrasto è spettacolare, anche se la strada
è sempre protagonista. In questi scatti non ci sono più bambini né tracce di gioia o di entusiasmo. Ci sono solo persone che lavorano duro, che trasportano, che spingono, che trascinano pesanti fardelli, dando vita a scene di grande estraneità. Qualcosa si è rotto nella città. Un pezzo di vita è scomparso, probabilmente per sempre. Quelli che oggi si spaccano la schiena sono i bambini che ieri giocavano per le strade di Spanish Harlem? No, sono passati sessant’anni. Sono i loro igli o forse i loro nipoti. u adr INFORMAZIONI
u Lirica urbana, di Helen Levitt, è in mostra al Museo colecciones di Madrid ino al 29 agosto 2010. L’evento fa parte del festival PhotoEspaña.
Qui a ianco: New York 1939. Sopra, da sinistra: New York 1940; New York 1983. Internazionale 856 | 23 luglio 2010
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Ritratti
Hotman Paris Hutapea Oltre l’onestà È un avvocato ricchissimo, considerato il simbolo della giustizia indonesiana corrotta. Ma lui sostiene di essere solo meno ipocrita degli altri
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n un paese dove le tangenti sono parte integrante del sistema giudiziario, dove avvocati e giudici nascondono parte della loro ricchezza per non attirare l’attenzione, Hutapea non ha mai negato di prendersi gioco del sistema. Ama celebrare il suo successo indossando enormi anelli di diamanti e, almeno ino al 2008, quando la legge ancora lo permetteva, portando una pistola alla cintura. Il palazzo dove ha il suo studio è decorato con la scritta “Hotman Paris” a caratteri cubitali. È citato regolarmente nelle trasmissioni tv di gossip, dove gli vengono attribuite relazioni con varie attricette. E mentre i colleghi viaggiano a bordo di auto ordinarie, Hutapea guida una Ferrari California rossa da 630mila dollari – la prima venduta in Indonesia – che si vede spesso parcheggiata di fronte al tribunale. Secondo i suoi critici, Hutapea e la sua auto sono il simbolo del cancro che infetta il sistema giudiziario indonesiano. Ma secondo lui, la Ferrari è la giusta rappresentazione delle imperfezioni del sistema. “Se dicessi che sono un avvocato ‘pulito’ sarei ipocrita”, sostiene. “Gli altri che dicono di essere onesti andranno in galera o all’inferno”. Non sorprende quindi che gli altri avvocati e le associazioni impegnate nella lotta
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alla corruzione abbiano puntato il dito contro di lui quando il governo di Jakarta ha deciso di ripulire il sistema giudiziario. In un mondo bizantino, popolato da funzionari e mediatori corrotti, il denaro viene spesso usato per smussare un’accusa o mitigare una sentenza. Quando gli hanno chiesto se abbia mai versato tangenti a procuratori o giudici, Hutapea ha risposto: “No comment. Mi limito a dire che non esistono avvocati ‘puliti’”. Per Hutapea non esiste peccato più grave dell’ipocrisia. E proprio un’accusa d’ipocrisia è al centro di una lunga contesa che lo contrappone a un altro avvocato, Todung Mulya Lubis. Al contrario di Hutapea, Lubis ha credenziali impeccabili: oppositore del dittatore Suharto, titolare di due master in legge conseguiti alle università di Harvard e di Berkeley, sostenitore di molte organizzazioni per i diritti umani e presidente del comitato esecutivo di Transparency international in Indonesia. La contesa, ha spiegato Lubis in un’intervista, è una battaglia tra “il cavaliere senza macchia e il cavaliere oscuro”. Ma le cose in Indonesia non sono mai così nette. Lubis è stato radiato da un’asso-
Biograia ◆ 1960 Nasce sull’isola di Sumatra. ◆ 1998 Fonda il suo studio legale. ◆ 2006 Denuncia per conlitto d’interessi l’avvocato rivale, Todung Mulya Lubis. ◆ 31 marzo 2010 Difende un cittadino indonesiano che ha chiesto un risarcimento al cantante Tom Jones per non aver terminato un concerto a Singapore a causa di una laringite.
THE NEW YORK TIMES/CONTRASTO
Norimitsu Onishi, The New York Times, Stati Uniti Foto di Kemal Jufri
ciazione di avvocati di cui faceva parte e sospeso da un’altra. Hutapea, invece, non ha mai ricevuto una sanzione.
Retorica ancestrale Hutapea, 50 anni, è seduto nella grande sala riunioni del suo studio. Le pareti sono ricoperte di ritagli di giornale incorniciati che parlano di lui. Mi fa vedere alcuni album di foto che lo ritraggono a matrimoni e ad altri eventi sociali in compagnia dei suoi migliori clienti. Si tratta soprattutto di indonesiani di origine cinese, proprietari dei più grandi gruppi industriali del paese. Da giovane non si sarebbe immaginato nulla di simile. Hutapea è cresciuto in un villaggio sull’isola di Sumatra, in una famiglia batak di religione protestante, insieme ad altri nove fratelli e sorelle. Suo padre gestiva un servizio locale di autobus. I batak sono noti in Indonesia per dare ai igli dei nomi strani. Uno dei suoi fratelli si chiama Washington. Sono conosciuti anche per la tenacia e l’abilità dialettica. Non è un caso se molti avvocati di primo piano, tra cui anche Lubis, sono batak. Hutapea ha studiato legge all’universi-
“Alle sei di mattina”. “Quando gli altri avvocati sono ancora a letto con amanti o mogli, io sto già lavorando”, aggiunge Hutapea. Lui non ha niente contro le amanti. Ha tre igli e dice di essere un “buon padre”. “E un marito relativamente buono”, aggiunge, ripetendo una battuta che fa spesso nelle interviste.
Interessi in conlitto
tà di Bandung, sull’isola di Java, poi si è trasferito nella capitale. Ha lavorato un anno alla banca centrale indonesiana, che recluta solo laureati a pieni voti. Come racconta Hutapea, quest’esperienza l’ha aiutato a capire meglio cosa voleva fare nella vita. “Dopo un anno avevo capito che non sarei mai riuscito ad arricchirmi”, dice. Hutapea osservava le auto dei colleghi più anziani. “Alcuni colleghi avevano vent’anni di carriera alle spalle e guidavano ancora un Kijang”, aferma, riferendosi al minivan della Toyota, diventato il simbolo delle aspirazioni della classe media indonesiana. Ha deciso di fare il grande salto entrando in uno dei più importanti studi legali del paese, specializzato in diritto commerciale internazionale. E sulla scia della crisi della inanza asiatica di ine anni novanta, è diventato l’avvocato più richiesto dalle società in fuga dai creditori. Ha aperto uno studio indipendente nel 1998, alla caduta del dittatore Suharto. All’epoca i mezzi d’informazione si concentravano sempre più sulle vite dei nuovi
ricchi e delle celebrità, e Hutapea ha deciso di sfruttare la situazione a suo vantaggio. Così ha assunto come assistenti personali alcune attrici di una certa fama, che lo accompagnavano in tribunale. Inoltre, prestava assistenza legale gratuita ad alcuni personaggi dello spettacolo. Lui insiste di aver lavorato duramente per ottenere il successo. “Chi apre l’ufficio tutte le mattine?”, chiede a un giovane avvocato presente in sala riunioni. “Lei, signore”, risponde. “A che ora?”.
Hutapea è seduto nella grande sala riunioni del suo studio. Le pareti sono ricoperte di ritagli di giornale incorniciati che parlano di lui
Non ha voglia di scherzare quando il soggetto della chiacchierata diventa la sua disputa con Lubis. Il loro contrasto risale al 2006, quando rappresentavano parti opposte in una causa aziendale. Lubis difendeva il gruppo Salim, una conglomerata vicina a Suharto, che era stata citata in giudizio dal gruppo Makindo, rappresentato da Hutapea. Prima del 2004, Lubis aveva condotto un’indagine governativa sul gruppo Salim e altre società colpite dalla crisi che non erano state in grado di saldare il debito con il governo. Hutapea ne aveva approittato per accusare Lubis di conlitto d’interessi. A quel punto Lubis è stato radiato dall’associazione di avvocati di cui faceva parte. Ma ora può esercitare di nuovo la professione perché ha contribuito a fondarne un’altra. Lubis, 60 anni, si difende dicendo di aver rispettato un accordo con il governo, secondo cui avrebbe dovuto aspettare due anni prima di rappresentare una delle società sulle quali aveva indagato. Hutapea accusa il rivale di ipocrisia. “Non puoi essere un attivista e allo stesso tempo avere rapporti con i grandi gruppi industriali”, dice. “Lubis ha un piede all’inferno e l’altro in paradiso”. Lubis risponde di “non odiare” Hutapea e di considerare il tutto “un capitolo chiuso”. Ma Hutapea non rinuncia a provocarlo: se Lubis accetterà di incontrarlo in un dibattito pubblico, dice, gli regalerà uno dei suoi anelli di diamanti. L’intervista sta per terminare, Hutapea comincia a rilassarsi. Tra poco il tribunale emetterà il verdetto su un caso importante, che, secondo lui, è “cristallino”. Ha lasciato a un associato il compito di andare in tribunale, invece di presentarsi di persona come è solito fare per dare una spintarella inale. “È pulito”, dice, “in primo luogo perché il mio cliente è molto avaro e poi perché il suo è un caso sicuro. Quindi non è necessario il mio intervento”. Altrimenti, dice, “sarei là adesso per assicurarmi che la sentenza sia quella giusta”. ◆ sv Internazionale 856 | 23 luglio 2010
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Viaggi
L’Africa dal inestrino
Città del Capo
A bordo di una jeep da Città del Capo al Cairo, e ritorno. Due coppie e i loro cinque igli hanno percorso quarantamila chilometri in sei mesi
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“
k ragazzi, siamo di nuovo bloccati. Tutti fuori”. Xander, nove anni, è già fuori. Ha viaggiato all’esterno dell’auto per quasi tutta la mattina, aggrappato al portapacchi sul tetto e con i piedi sul predellino. Va di corsa sul retro della jeep e sgancia le scalette di metallo. Max, 15 anni, mette al sicuro il gps e l’elenco delle coordinate (oggi è lui il nostro navigatore), poi prende una pala e comincia a scavare. Io sono in ginocchio davanti alle ruote anteriori e scavo con le mani per liberare i pneumatici dalla sabbia. Mia moglie Nicky è collegata con la ricetrasmittente all’altra jeep e sta dicendo all’equipaggio di aspettarci in cima alla duna. Il vento incessante del Sahara mi leva dalla testa il ronzio del motore. La sabbia, mossa dal vento, ci arriva in faccia e mentre scaviamo si accumula ai lati delle ruote. Siamo nell’Egitto occidentale, nel Great send sea (Grande mare di sabbia), a cento chilometri dalla strada asfaltata più vicina. Ci siamo divisi su due veicoli ben equipaggiati. Abbiamo cibo e acqua per dieci giorni, taniche piene di benzina e un telefono satellitare. Viviamo nello Zimbabwe da tanti anni e abbiamo lavorato e viaggiato in tutto il continente. Conosciamo bene i rischi di questa terra, ma anche le gratiicazioni che l’Africa può dare. Siamo due famiglie. La prima è formata da me, mia moglie Nicky e i nostri igli Max e Xander. La seconda, invece, è composta da Gus, Amanda e i loro tre igli: Jake, 13 anni, Ben, 8 anni, e Max, 6
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anni. Insieme abbiamo girato l’Africa per tanti anni: ci siamo accampati all’aperto in Tanzania, rilassati sulle spiagge del Mozambico e avventurati nella boscaglia dello Zimbabwe. I ragazzi vanno a scuola nello Zimbabwe da quando sono nati. Max e Jake cambieranno scuola tra qualche mese e approittando del passaggio tra un sistema scolastico e l’altro abbiamo deciso di prendere sei mesi di vacanza e di esplorare il continente. Io, Nicky e Gus siamo liberi professionisti, mentre Amanda, che fa la maestra elementare ad Harare, ha preso un anno sabbatico. Prima di decidere siamo andati a parlare con gli insegnanti dei ragazzi: anche i docenti concordavano sul fatto che avrebbero imparato di più in giro per l’Africa che sui banchi di scuola. La presenza di Amanda è servita a rendere più credibile l’ipotesi di continuare a fare lezione anche durante il viaggio.
Passaggio a est Il nome che abbiamo dato alla spedizione è Jangano, un termine shona che significa “lavorare tutti insieme per il bene comune”. Ci sembrava azzeccato. Ci abbiamo messo un anno a pianiicare il viaggio: itinerari, veicoli, attrezzature, posti da visitare e amici che volevamo incontrare. Forse per noi è stato più facile perché viviamo e lavoriamo in Africa, ma è un viaggio che si può organizzare anche stando seduti al tavolo di una cucina di qualsiasi città non africana. Abbiamo comunicato la notizia ad amici e familiari. Ci sono due modi di intendere la frase “Come siete fortunati, vorrei poterlo fare anch’io”. Il primo è letterale, l’altro signiica “morirete tutti”. La mamma settantenne di Nicky, nata e cresciuta nella ex Rhodesia settentrionale, è stata l’unica a dirci in faccia “siete pazzi”. Ad Harare abbiamo trovato un paio di Land Cruiser della Toyota, fabbricate negli anni novanta. Sono potenti, robuste, comode, facili da usare, e i ricambi si trovano
GEORGE STEINMETZ (CORBIS)
Robert Adams, The Guardian, Gran Bretagna
in tutto il continente. Le abbiamo ribattezzate Jambanja (in slang shona, una festa che degenera in rissa) e Mahali (in swahili, un posto che diventa un viaggio). Il nostro piano originario prevedeva di imbarcare le jeep da Durban ino ad Alessandria d’Egitto. Noi saremmo arrivati poco dopo in aereo. Il viaggio di ritorno lo avremmo fatto a bordo delle nostre jeep, passando per Città del Capo. La crisi economica mondiale e le incursioni dei pirati somali hanno stravolto il calendario degli imbarchi: le auto non sarebbero mai arrivate in tempo in Egitto. Così due mesi prima della partenza abbiamo deciso di percorrere in auto l’intero tragitto ino al Cairo e ritorno a Città del Capo. In tutto 40mila chilometri. Una volta comprate ed equipaggiate le
jeep, abbiamo stabilito un budget settimanale di 600 euro a famiglia per coprire tutte le spese: alberghi, visti, cibo, carburante, riparazioni, ingressi a parchi e musei. Sono bastati a malapena. Abbiamo scelto il passaggio a est, molto più agevole rispetto all’inferno di giungla, corruzione e violenza dell’Africa occidentale. Le strade africane migliorano ogni anno e presto sarà possibile attraversare in lunghezza tutto il continente senza deviare per le strade sterrate. Se si possiedono i documenti, i passaggi alla frontiera non danno problemi. Il bello del passaggio a est è che si può procedere a velocità sostenuta, ma avendo comunque l’opportunità di esplorare alcuni dei luoghi più selvaggi dell’Africa. Il Grande mare di sabbia, il deserto nubiano,
Informazioni pratiche ◆ Documenti. Chi ha un passaporto italiano può ottenere al conine il visto per la maggior parte dei paesi attraversati. Conviene, però, fare una veriica con le ambasciate dei singoli paesi. Il Sudan concede solo un visto di transito che dura 14 giorni. Può essere comprato al Cairo, ad Assuan e ad Addis Abeba. Costa cento dollari e ci vogliono tre giorni per ottenerlo. Per guidare è necessaria la patente internazionale. ◆ Traversata Il traghetto che collega Assuan a Wadi Halfa, e viceversa, fa una corsa a settimana. Il biglietto si può ac-
quistare negli uici della Nile navigation company del Cairo (0020 2 575 9058), di Assuan (0020 97 303 348) o di Khartoum. ◆ Assicurazione La Yellow card costa 150 dollari, dura un mese ed è valida in tutti i paesi che fanno parte del Mercato comune dell’Africa orientale e meridionale (Comesa). Le auto possono anche essere assicurate alla frontiera di ogni stato. ◆ Leggere Paul Theroux, Dark star safari. Dal Cairo a Città del Capo via terra, B.C. Dalai Editore 2006, 19,50 euro.
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Viaggi il lago Turkana, il Parco nazionale impenetrabile del Bwindi, la valle dell’Omo in Etiopia, la Tanzania occidentale, la riserva Niassa nel nord del Mozambico. Basterebbe visitare una sola di queste meraviglie per vivere un’avventura indimenticabile. Noi le abbiamo viste tutte. Dopo una serie di feste di addio, preparazioni di bagagli, acquisto di nuovi pneumatici e cambi d’olio, siamo partiti. Attraversato lo Zambia e parte della Tanzania, abbiamo trascorso il Natale a Peponi, nel nord della Tanzania. Arrivati a destinazione, abbiamo scartato i regali sulla spiaggia mentre il sole sorgeva sull’oceano Indiano, mangiando all’aperto pesce arrostito su un fuoco. Da lì è cominciata la spedizione vera e propria. Superata Nairobi, ci siamo lasciati alle spalle l’ambiente familiare dell’Africa conosciuta, per addentrarci nel deserto del Kenya meridionale, ino all’Etiopia. Ci siamo accampati con le nostre tende, più spesso ci siamo addormentati sotto le stelle. Abbiamo mangiato tutto quello che siamo riusciti a cucinare su due padelle e un fuoco (pasta, stufato, curry, riso). Uova, frutta e verdura fresca li abbiamo comprati lungo la strada, e ogni volta che arrivavamo in città abbiamo fatto rifornimento di cibi secchi.
La burocrazia impera A nord di Addis Abeba abbiamo imboccato la ripida strada sterrata di montagna che porta alla città santa di Lalibela, dove siamo rimasti a bocca aperta davanti alle chiese monolitiche scavate nella pietra. I ragazzi sono rimasti rapiti dall’atmosfera medievale del luogo: i sacerdoti con le croci dorate, le gallerie di collegamento tra una chiesa e l’altra, la macabra vista delle ossa umane che spuntavano dalle bare e le nicchie intagliate nella supericie della roccia. Tra tutti i paesi dell’itinerario pensavamo che il Sudan fosse il più diicile e anche il più pericoloso. Al contrario, nella parte settentrionale del paese abbiamo vissuto uno dei momenti più entusiasmanti del viaggio. Il nostro viaggio è proseguito seguendo il Nilo lungo l’ansa che scorre per 1.600 chilometri nel deserto nubiano, visitando piramidi e templi meroitici dove eravamo gli unici turisti. Dopo aver attraversato per centinaia di chilometri il deserto, ad Atbara ci siamo arrampicati sulle navi da crociera abbandonate sul Nilo. Per gli stranieri, l’unico mezzo di trasporto che consente il passaggio dal Sudan all’Egitto è il traghetto della Nile navigation company (Ncc) sul lago Nasser, da Wa-
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L’avventura è proseguita seguendo il Nilo lungo l’ansa che scorre per 1.600 chilometri nel deserto nubiano. Eravamo gli unici turisti
bambini e come avremmo fatto a tenerli impegnati. Non c’è stato alcun problema. I ragazzi non hanno notato l’assenza di tv e videogiochi. I più piccoli avevano una scatola di scarpe piena di lego e tre macchinine a testa, ci hanno giocato dall’inizio alla ine del viaggio. Questo non gli ha impedito di partecipare a tutte le nostre discussioni sulle rotte e le destinazioni, trattando con gli adulti da pari a pari.
Lezione di astronomia
di Halfa ad Assuan. Le auto, invece, devono essere imbarcate su una nave merci. Il trasbordo occupa un posto speciale nella mitologia africana sul viaggio, e le storie sono tali da spaventare anche i più coraggiosi. La burocrazia impera: prima di fare il visto di transito per il Sudan bisogna avere un visto per l’Egitto e per l’Etiopia. Per prenotare il biglietto per la nave serve un visto sudanese. Prima di prenotare il barcone per le auto bisogna avere il biglietto per i passeggeri. In Egitto bisogna calcolare un paio di giorni per sbrigare le pratiche per l’autorizzazione della polizia, le targhe e la copertura assicurativa. Tutto questo deve avvenire nella giusta sequenza e, a volte, sembra un’impresa insormontabile. Al porto ci hanno aiutato gli impiegati della Ncc. Con una buona dose di pazienza e determinazione tutto si sistema. Per fortuna, non c’è stato bisogno di corrompere nessuno. Però per compiere l’intera operazione c’è voluta una tappa di sette giorni ad Assuan prima che arrivassero le jeep. Mentre gli adulti si occupavano dei documenti, i giovani esploravano il suk, chiacchierando con i commercianti e le loro famiglie, bevendo tè, imparando qualche parola in arabo, scoprendo il piacere della contrattazione e mangiando chili di datteri. Quasi tutti i turisti arrivano ad Assuan da Luxor sulle navi da crociera che attraversano il Nilo, e si trattengono solo per un paio di giorni. I commercianti al mercato hanno imparato a riconoscerci perché sono pochi i turisti che si portano dietro i igli. Abbiamo subito messo in chiaro che avevamo pochi soldi e poco spazio nelle auto per le chincaglierie. Da quel momento ci hanno trattato come ospiti e non più come stranieri da spennare. Prima della partenza, gli amici ci chiedevano spesso come si sarebbero divertiti i
Quella di fare lezione ai ragazzi è una responsabilità che abbiamo cercato di prendere sul serio. La capacità di eseguire operazioni matematiche a mente è stata esercitata per calcolare il consumo del carburante e le distanze e i tempi di percorrenza. Per studiare l’anatomia abbiamo esaminato un’antilope morta sulla strada. Per quanto riguarda la isica, abbiamo visto l’acqua colare da una ciotola in due direzioni opposte da una parte e dall’altra dell’equatore. Ogni sera abbiamo fatto lezione di astronomia osservando i cambiamenti nella posizione delle stelle. Intorno al fuoco abbiamo discusso di politica ed economia, con interrogazioni notturne sui paesi appena visitati. Tutti, inine, abbiamo provato a imparare un po’ di swahili, di amarico (la lingua che si parla in Etiopia) e di arabo. Poi ci sono le cose che non si insegnano a scuola. Abbiamo imparato a orientarci con le stelle, a cambiare una ruota, a montare una tenda, ad accendere il fuoco e a preparare la cena per nove persone. Adesso i ragazzi sanno perché è importante cambiare il iltro dell’olio al motore. Inoltre, hanno imparato ad avvolgere il cavo di un argano e a usare le scalette da sabbia per far ripartire un veicolo. Sono entrati in conidenza con bambini e adulti delle culture più disparate. Abbiamo postato sul nostro blog commenti e disegni tratti dai diari dei ragazzi. Max, il maggiore, ha girato dei ilmati, li ha montati su un portatile e li ha caricati su YouTube attraverso il telefono satellitare. Un giorno di maggio, nella Tanzania occidentale, dopo trentamila chilometri e cinque mesi di viaggio, ci siamo resi conto che la nostra condizione di nomadi era diventata uno stile di vita. Stavamo percorrendo una strada sterrata, sotto la pioggia, guardando scorrere i villaggi sullo sfondo di una serie di montagne piene di boschi. Anche se sapevo che il viaggio non sarebbe durato per sempre, ho capito che il senso di appagamento, la consapevolezza di essere stati capaci di fare tutto questo, ci avrebbe accompagnato per tutta la vita. u fas
Faye Kellerman
IL BAGNO RITUALE Comincia la saga degli investigatori ebrei
Romanzo
I CASI DI PETER DECKER E RINA LAZARUS
IN LIBRERIA www.coopereditore.it
Graphic journalism
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Fanny Dalle-Rive è un’autrice francese di fumetti nata nel 1976 a Maubeuge. Vive a Parigi. Internazionale 856 | 23 luglio 2010
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Cultura
KaEL aLfOrD (NEwSmaKErS/GETTY ImaGES)
Libri
L’afresco di un incubo Andreas Kossert, Die Zeit, Germania L’Europa è un continente di migranti involontari. Un’enciclopedia della fuga e dell’esilio ne traccia le rotte
fascino di oggetti che nel caos sembrano durare più delle persone e dei loro ricordi, il sentirsi estraneo in un mondo che biso gna interiorizzare e che rimane comunque impenetrabile, e la sensazione di aver su bìto un’ingiustizia”.
L’
Nuove opportunità di ricerca
esperienza dell’estraneità è presente fin dal principio della storia del genere uma no. Quasi sempre le cause che spingono gli individui a lasciare la loro terra sono la fame, le guerre e la violenza. Di questa esperienza ha scrit to alcuni anni fa la scrittrice Olga Tokarc zuk, nata nel 1962 in Bassa Slesia, in Ger mania, da genitori che erano profughi po lacchi: “Nei ricordi personali, nei racconti di famiglia, quel dramma ricorre con l’ac canimento di un incubo: famiglie lacerate, parenti introvabili, documenti bruciati, una vaga nostalgia per i luoghi d’origine, il
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Il continente europeo è stato a lungo diviso politicamente e prigioniero delle ideo logie. Solo con l’apertura dei conini sono cadute le barriere, soprattutto quelle men tali, e si sono create nuove possibilità, an che a livello di ricerca, che hanno permes so di avere un punto di vista molto più am pio. Tuttavia, dopo che gli estranei di un tempo si sono alla ine incontrati, l’Europa ha cominciato a sembrare perino più com plicata. Sono crollati i tabù ideologici e i pregiudizi ancorati alle realtà nazionali. Solo allora per molti è diventato chiaro (ma è una verità lapalissiana) quanto fosse
e quanto sia ancora intricata la storia del nostro continente. Questo confuso intrico europeo è documentato in un’insolita no vità editoriale: vent’anni dopo la caduta della cortina di ferro, esce per la prima vol ta un’enciclopedia delle espulsioni e dei trasferimenti forzati, Lexikon der Vertreibungen, un grande progetto editoriale pub blicato da Böhlau. I curatori di questo imponente volume sono partiti proprio dalle nuove possibilità che si sono aperte in Europa: “La storia moderna dell’Europa è in gran parte, pro prio come quella del continente africano e asiatico, la storia di migrazioni forzate de terminate da conflitti etnicopolitici e in massima parte indotte dal potere degli sta ti”, in questo modo riassumono il loro lavo ro Detlef Brandes, Holm Sundhausen e Stefan Troebst. “E questo vale in particola re per il novecento”. In un’opera che riunisce più di cento autori europei, 308 articoli offrono uno sguardo su un terreno ancora oggi pieno di insidie: vittime e carneici, accordi tra sta ti, leggi e provvedimenti con conseguenze disumane, regioni colpite, gruppi etnici, musei e monumenti. Con stile piacevole e pacato gli autori dimostrano che i trasferimenti forzati sono un fenomeno tipicamente europeo. Per tutto il novecento l’espulsione è stata uno strumento legittimo della politica, dall’ini zio della prima guerra balcanica nel 1912, ino alla ine degli anni novanta nella ex
FRED RAMAGE (KEySTONE/GETTy IMAGES)
Un gruppo di sfollati attraversa il iume Elba, in Germania, nel 1945. Nella pagina accanto, profughi albanesi in Kosovo nel 2000 Jugoslavia. Solo le sconvolgenti immagini della disgregazione di quello stato multietnico, che nessuno avrebbe immaginato pochi anni prima, hanno fatto sussultare la comunità internazionale. Tanto che dopo è stato bandito l’orribile eufemismo della “pulizia etnica”, entrato nell’uso corrente dal 1992.
Popolazioni in movimento Questa importante opera di consultazione dedicata a un tema estremamente delicato (che riguarda da vicino anche la Germania), si integra perfettamente con il volume realizzato da alcuni giovani storici polacchi dell’Università di Breslavia, Atlas Zwangsumsiedlung, Flucht und Vertreibung. Ostmitteleuropa 1939–1959 (Atlante del trasferimento forzato, della fuga e dell’espulsione, Europa centro-orientale 1939– 1959), che descrive le vicende di polacchi, ebrei, tedeschi e ucraini sul territorio polacco prima e dopo la guerra. Se prendiamo l’esempio della Polonia, le vicende storiche sono chiare: per quarant’anni, nella Repubblica popolare di Polonia, lo stato ha tenuto nascosto il trasferimento di parte della popolazione da Leopoli, da Vilnius o dalla Volinia. Solo dopo la caduta del Muro di Berlino la gente ha
potuto raccontare il proprio destino. Dal primo settembre 1939 la Polonia ha conosciuto inoltre espulsioni, trasferimenti forzati e deportazioni e il suo territorio fu scelto dagli occupanti tedeschi come centro del genocidio ebraico. La seconda guerra mondiale è stata senz’altro un momento cruciale. Nel dopoguerra milioni di tedeschi delle regioni orientali hanno dovuto abbandonare la loro terra. Come loro anche i inlandesi della Carelia, gli ungheresi della Slovacchia e gli italiani dell’Istria. Ma quello dei profughi è un argomento sempre d’attualità. Sulle strade del nostro continente continuano a riversarsi milioni di profughi. E al di fuori dell’Europa oggi vengono allontanati milioni di persone dal Darfur in Sudan, ma anche in altri angoli della terra, sotto gli occhi dell’opinione pubblica mondiale. “L’individuo che deve abbandonare la sua terra”, commenta Olga Tokarczuk, “ri-
La topograia storica del nostro continente si è costruita sui massacri, sulle tirannie e sui trasferimenti forzati di milioni di persone
nuncia a una parte fondamentale di sé, diventa vittima di una brutale amputazione. Il dolore dell’arto fantasma lo perseguiterà ino alla ine dei suoi giorni”. La topograia storica dell’Europa è costruita sui massacri, sulle tirannie e sui trasferimenti forzati. “Un afresco complesso”, prosegue Tokarczuk, “in cui le frecce sulle carte geograiche si trasformano in disavventure umane. Un afresco in cui bisognerebbe rappresentare numerose lingue, strade, distanze, conini. Morte e tragedia, coincidenze, destino”. L’enciclopedia può diventare un nuovo spunto scientiico per la narrazione della storia collettiva europea, che non dev’essere necessariamente un punto d’arrivo e non va semplificata solo per cercare di mettere tutti d’accordo. In Europa il riaffiorare dei ricordi, il processo di rielaborazione e la memoria nazionale non devono escludersi a vicenda. Uno degli scopi fondamentali di quest’opera è far ritrovare l’apertura e la curiosità di voler conoscere e capire anche il punto di vista degli altri. Per questo fornisce un contributo epocale, è una pietra miliare soprattutto se consideriamo che i conini ideologici sono stati abbattuti solo vent’anni fa. Questo libro ci dà coraggio e andrebbe tradotto in molte lingue europee. Mostra l’esilio dell’umanità e rappresenta, in forma enciclopedica, la cronaca della tragedia del nostro continente. u az Internazionale 856 | 23 luglio 2010
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Cultura
Cinema Dalla Gran Bretagna
In uscita
Nuova ondata di terrore
THE BOX
scrittori, registi e produttori sono pronti a rilanciare l’horror britannico, guardando al passato e al teatro La Hammer Films, la casa di produzione che tra gli anni sessanta e settanta ha esportato la sua formula per l’horror in tutto il mondo, lancerà una campagna per pubblicizzare quello che sembra in tutto e per tutto un revival del cinema horror britannico alternativo. Questo mentre lo spettacolo teatrale Ghost stories, di Jeremy Dyson e Andy Nyman, fa il tutto esaurito nel West End. Joe Cornish, del duo britannico Adam & Joe, è pronto
The descent, part 2 al suo debutto dietro la macchina da presa. Sarà il regista di Attack the block, per gli stessi produttori di Shaun of the dead, uno dei ilm che, insieme a 28 giorni dopo di Danny Boyle, ha contribuito al rilancio dell’horror britannico dal 2002 in poi. La Hammer
Films, invece, realizzerà un ilm in 3d tratto dal romanzo La donna in nero di Susan Hill e coprodurrà il remake statunitense di Lasciami entrare, di Tomas Alfredson, tratto dall’omonimo romanzo di John A. Lindqvist. Inoltre tutto è pronto per cominciare le riprese dell’adattamento per il grande schermo di Ghost sto ries. La sceneggiatura sarà irmata da Jane Goldman (Kick ass) mentre la regia sarà aidata a James Watkins, un uomo chiave del revival horror che ha già irmato My little eye, Eden Lake e The descent, part 2. Vanessa Thorpe, The observer
Massa critica T G HE ra D n A Br I e LY LE tag T n EL Fr F EG an I G a ci A R a R A O PH G L C O an B E ad a AN D T H M G E A ra G IL n U Br A et R T ag D I G HE n A ra a N n IN Br D et E P L a E Fr IBÉ gna N D an R EN ci AT a T IO LO N St S at A iU N n GE L E i ti L E Fr M S T an O IM ci N a D E S E T St H E at N iU E n W T i t i YO St H E R at W K T iU A IM ni S H E ti I S N G T O N PO ST
Dieci ilm nelle sale italiane giudicati dai critici di tutto il mondo
Media
The BoX
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Di Richard Kelly. Con Cameron Diaz, James Marsden, Frank Langella. Stati Uniti 2010, 116’ ●● ●●● Che fareste se qualcuno vi offrisse un milione di dollari esentasse per uccidere un estraneo semplicemente premendo un pulsante? Se la premessa di The box vi sembra adatta a un episodio di Ai coni ni della realtà, è perché la novella di Richard Matheson è stata in efetti già usata per una divertente puntata di quella serie, nel 1985. Ma Richard Kelly, il creatore di Donnie Darko, non è riuscito a trarne un lungometraggio soddisfacente. Dopo un inizio promettente, infatti, questo horror fantascientiico, molto bello da guardare ma molto confuso e poco pauroso, diventa un noioso rimaneggiamento di altri ilm visti e rivisti. Non migliora le cose il fatto che il montaggio del ilm sembra fatto con un tritatutto. Lou Lumenick, New York Post FISH TANK
Di Andrea Arnold. Con Katie Jarvis, Michael Fassbender. Gran Bretagna/Paesi Bassi 2009, 124’ ●●●● ● Fish tank è un racconto di formazione adolescenziale, ma il tono è più orientato verso le angosce che alla nostalgia. Come il sorprendente debutto di Andrea Arnold, Red road, il ilm è ambientato nella sconinata Inghilterra proletaria e racconta l’educazione sentimentale di una ragazza. La quindicenne Mia vive in un complesso residenziale vicino alle campagne dell’Essex con la madre e la sorella. Ha un carattere diicile, e si scontra di continuo con una madre troppo giovane e contro il mondo intero. La sua unica passione sembra l’hip-hop. Quando Connor, il giovane amante della madre, arriva in
i consigli della redazione
Fish tank casa, tra i due nasce qualcosa. Mia è sorpresa e compiaciuta del fatto che qualcuno possa essere carino con lei. Ma con il passare del tempo si capisce che Connor non è esattamente un principe azzurro. Arnold è bravissima a controllare la tensione crescente tra i personaggi e ha anche una grande capacità di sfruttare le ambientazioni, tenendo in perfetto equilibrio paesaggi urbani e bucolici. Katie Jarvis, al suo primo ilm, è meravigliosa. Anthony Quinn, The Independent il SoliSta
Di Joe Wright. Con Jamie Foxx, Robert Downey Jr., Catherine Keener. Stati Uniti 2009, 117’ ●●● ● ● Avrei potuto scrivere la recensione in un’anonima terza persona, ma sarebbe stato disonesto. Innanzitutto perché conosco Steve Lopez, che con i suoi articoli e il suo libro sulla strana amicizia con un barbone, dotato di un grande talento musicale ma afetto da schizofrenia paranoide, ha ispirato questo ilm. Inoltre perché ho anche lavorato con lui nelle stanze che, con un gesto senza precedenti, il Los Angeles Times ha messo a disposizione della produzione. In più ho anche lavorato al Washington Post quando è uscito Tutti gli uomini del presidente. E quindi so che cosa vuol dire lavorare in un giornale che diventa materiale cinematograico. So molto bene cosa aspet-
toy Story 3
about elly
bright Star
Di Lee Unkrich (Stati Uniti, 103’)
Di Asghar Farhadi (Iran, 111’)
Di Jane Campion (Australia/Francia/Gran Bretagna/Stati Uniti, 119’)
tarmi da queste selvagge scorribande e, soprattutto, so cosa è bene non aspettarsi. Perciò, quando ho visto l’alto e laconico Lopez trasformato da Downey Jr. in un basso ed energico giornalista diverso da quello che conoscevo, ho pensato: “Be’, Marlon Brando non somiglia a Napoleone”. E ho sorvolato. So anche che siamo lontani dai tempi in cui Hollywood saccheggiava la letteratura senza scrupoli, facendo inire Moby Dick con Ahab che uccide la balena e torna a casa dalla idanzata. Se Il solista fosse stato fatto a quei tempi avrebbe avuto un bel lieto ine commovente. E perciò sono grato per i piccoli piaceri che questo ilm mi ha dato. Ma nonostante tutto quello che so e che provo, non posso fare a meno di sentirmi molto frustrato. Non posso non notare le scorciatoie usate dagli autori per rendere la storia più appetibile e digeribile al grande pubblico. Esagerando sistematicamente ogni dettaglio, sempliicando per emotività standardizzate, accelerando quando sarebbe stato il momento di rallentare, gli autori hanno tolto signiicato alla storia e invece di esaltare il fascino del ilm l’hanno eliminato. Kenneth Turan, Los Angeles Times SpliCe
Di Vincenzo Natali. Con Adrien Brody, Sarah Polley. Canada/ Francia/Stati Uniti 2009, 104’ ● ● ●● ● Uno dei grandi e rari piaceri della vita di un critico cinema-
Splice
tograico è scoprire un buon ilm sottovalutato dai suoi stessi produttori. Che siano destinate a diventare dei classici (come M*A*S*H o Three kings) o semplicemente, piccoli, notevoli ilm, pieni di sorprese (come Out of sight), queste pellicole presentano sintomi comuni. Produttori e distributori organizzano pochissime anteprime, o perino nessuna, e fanno girare pochissime informazioni sul contenuto del ilm. È il caso di Splice, un horror fantascientiico perfetto per la categoria “piccoli, notevoli ilm, pieni di sorprese”. Non sarà un classico, non è niente di strepitoso. Si riconoscono perfettamente gli spunti presi in prestito da ilm molto popolari come Jurassic Park o Rosemary’s baby, per non parlare dell’onnipresenza della parabola di Frankenstein e del mito di Prometeo. Ma prima di arrivare alla ine del ilm vi aspetta una strada piacevolmente paurosa. Joe Morgenstern, The Wall Street Journal
a un delirio di scene di lotta e di azione che sembrano avanzi di tanti altri ilm del genere. Nigel Floyd, Time Out l’apprendiSta Stregone
Di Jon Turteltaub. Con Nicholas Cage, Alfred Molina, Jay Baruchel. Stati Uniti 2010, 108’ ●● ●●● Rumoroso calderone ribollente di efetti speciali, L’apprendista stregone non ricorda molto l’episodio di Fantasia e ancora meno il poema di Goethe. Questa storia di un ventenne che si trova per avventura a dover imparare le arti magiche da un mago arrivato dalla corte di re Artù, o giù di lì, sembra l’ennesimo, esagerato e pretenzioso tentativo della Disney di creare i presupposti per una serie con il terzetto già responsabile dei due ilm del National treasure: il produttore Jerry Bruckheimer, la star Nicolas Cage e il regista Jon Turteltaub. Sembra praticamente impossibile che possano riuscire nell’impresa. Justin Chang, Variety
pandorum
the loSerS
Di Christian Alvart. Con Dennis Quaid, Ben Foster, Cam Gigandet. Stati Uniti 2009, 108’ ●● ●●● Il fatto che sia realizzato “dai produttori di Resident evil” non è esattamente una garanzia di buona qualità. Tuttavia, vista la presenza del talentuoso regista tedesco Christian Alvart può far ben sperare, e nel inale c’è spazio per ben due colpi di scena. Due astronauti si svegliano dal loro ipersonno in uno stato confusionale. Non ricordano nulla della loro missione stile Arca di Noè e presto scoprono che sulla loro astronave ci sono dei mutanti cannibali. In tutto questo i sopravvissuti sofrono di febbri strane e presentano i sintomi di pandorum, una malattia spaziale che provoca delle allucinazioni. Alvart garantisce un buon ritmo al ilm, ma alla ine personaggi e idee si perdono in mezzo
Di Sylvain White. Con Idris Elba, Zoe Saldana, Jason Patric, Chris Evans. Stati Uniti 2010, 98’ ●●●●● Un gruppo di mercenari decide di vendicarsi dei cattivi che li hanno incastrati. È diicile non pensare al recente A-Team. Del resto The losers, tratto da un fumetto, è un ilm di cui si potrebbe immaginare tutto (personaggi, battute, perino le inquadrature mutuate dai fumetti) senza bisogno di vederlo. Eppure ha un suo fascino. Gli attori funzionano nei loro ruoli e la trama è eicace, anche se meccanica. La scelta insolita di non mostrare troppa violenza (le morti avvengono quasi sempre fuori campo) fa un efetto strano. Ma non abbastanza strano da guastarvi un paio d’ore di stupida spensieratezza. Peter Bradshaw, The Guardian
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Cultura
Libri Dalla Francia
I libri italiani letti da un corrispondente straniero. Questa settimana Frederika Randall che scrive per The Nation.
Flaubert secondo Gustave Il Dictionnaire Flaubert ricostruisce l’idea che lo scrittore aveva di sé
GUIDO VERUCCI
L’eresia del Novecento Einaudi, 156 pagine, 19,00 euro ●● ●● ● Negli ultimi anni le questioni biologiche – il caso Englaro, la pillola Ru486 – sono diventate campi di battaglia tra la chiesa cattolica e la società laica. Che ci siano altre verità – scientiiche, storiche – fuori da quelle religiose è un principio che la Chiesa stenta a riconoscere. Forse perché le verità scientiiche non sono immutabili ma cambiano ed evolvono. “L’evoluzione e la storia: questi i veri avversari della Chiesa”: Guido Verucci riassume così, in questo afascinante saggio storico, la guerra della Chiesa contro il modernismo, quella corrente di “qualche migliaio di sacerdoti e di laici” che nel primo novecento hanno cercato di misurare la loro fede con la scienza moderna. Nell’archivio del Sant’Uizio, Verucci documenta l’attività di repressione, e di quella che si può solo deinire persecuzione, di igure come padre Ernesto Buonaiuti, uno dei pochissimi professori in Italia a riiutare il giuramento fascista del 1931, scomunicato e tormentato dalla gerarchia ecclesiastica ino alla morte. O il barnabita Alessando Ghignoni, reo di aver difeso i diritti degli animali già nel 1903, sostenendo che dopo la ine della schiavitù, dopo l’emancipazione della donna e i diritti per gli operai, la liberazione toccava al regno animale.
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Dallo studente che scopre Madame Bovary, all’intellettuale che si perde nei meandri della sua opera, sono tante le persone che si sono fatte un’idea, anche piccola, di chi fosse Gustave Flaubert. Ma lo scrittore cosa pensava del “caso Flaubert”? E le sue opere cosa dicono di lui e del suo tempo? Il volume deinitivo sull’argomento potrebbe essere questo Dictionnaire Flaubert, un libro di ottocento pagine e 1.500 voci, ricco di estratti dalle sue opere e dalle sue lettere. Parla di luoghi, degli amici e degli amori dello scrittore, dei suoi continui problemi inanziari e delle invettive contro la bor-
HULTON ARCHIVE/GETTY IMAGES
Italieni
ghesia e i suoi editori. L’autore è Jean-Benoît Guinot, che ha collaborato alla redazione di uno dei cinque volumi della Correspondance di Flaubert e all’indice generale dell’opera. Il Dictionnaire aggiorna, ordina, classiica e amplia tutti i te-
mi afrontati da Flaubert nei suoi romanzi e, soprattutto, nelle sue 4.335 lettere. E anche se non ci dispensa dalla fondamentale lettura della Correspondance, la rende senz’altro più comprensibile. Le Monde
Il libro Gofredo Foi
Trilogia della schiavitù THORKILD HANSEN
Le isole degli schiavi Iperborea, 556 pagine, 19,50 euro Si chiude la pubblicazione italiana della “trilogia degli schiavi” scritta dal danese Hansen (1927-1989) i cui primi titoli erano La costa degli schiavi e Le navi degli schiavi, che resterà per la sua abile, appassionata e convincente commistione di storia e romanzo. Per Hansen la storia è certo più ricca di personaggi romanzeschi di quanti i romanzi non riescano a inventarne, e dunque la storia
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deve farsi narrazione se vuole incidere e “ammaestrare”. Qui, “l’impenetrabile continente africano e lo sconinato oceano Atlantico” lasciano il posto a tre isole dei Caraibi, una delle quali, Sainte Croix, vedrà davvero crociissi tanti ribelli. La tratta trascina migliaia di schiavi destinati a far ricca col mercato dello zucchero la borghesia di Copenaghen nella sua “epoca d’oro”, e come sempre in Hansen tutto è stato vero, i personaggi, le storie e perino le immagini che illustrano i suoi libri.
La sua capacità di focalizzare e di dilatare, di servirsi dei documenti per creare igure a tutto tondo, con le loro passioni o, a volte, i loro dubbi, è invero magistrale. Il segreto sta nella volontà di capire e di rendere giustizia alle vittime di questa storia terribile. Si distaccano l’avventuriero Iversen che inventa la formula per governare gli schiavi, “lavoro, preghiera, castigo”, il tormentato governatore von Scholden, i leader ribelli neri o creoli, il paciista generale Buddo eccetera. u
I consigli della redazione
ELIZABETH KELLY
Chiedi scusa! Chiedi scusa! (Adelphi)
Il romanzo
TOM PIAZZA
NICK HORNBY
È nata una star? (Guanda)
Resta con me (Fazi)
HUGO PAREDERO
Prigionieri di New Orleans La città che era Marco Tropea, 413 pagine, 18,90 euro ●● ●●● Cercare di capire le conseguenze dell’uragano Katrina è un’ossessione degli scrittori di New Orleans da cinque anni, da quando gli argini cedettero e la città si sforzò di tornare alla vita come una vecchia signora dopo un ictus. Tom Piazza ha scritto una delle risposte più immediate al disastro, e ancora una delle migliori: Why New Orleans matters. Ora continua a spiegare il fascino della sua città adottiva in La città che era, un romanzo sulle esperienze di due famiglie che vivono in due luoghi di New Orleans agli antipodi, da un punto di vista umano e geograico. Sj Williams è un tipico abitante del quartiere Lower Ninth Ward: falegname, vedovo, ex soldato, afroamericano, senza molti soldi, ma con una casa di sua proprietà. Dalla vita di Sj entrano ed escono la sorella alcolizzata, Lucy, che in qualche modo riesce a tirare avanti ogni mese, e il iglio di lei, Wesley, un ragazzo con un futuro incerto e che non sa niente della vita oltre Ninth Ward. Craig Donaldson è l’opposto di Sj: è un bianco che si è trasferito a New Orleans, attratto dalla sua cultura e dalle sue tradizioni. Ex bohémien, ora ha moglie, due igli, una casa e un lavoro. Anche prima di Katrina la moglie di Craig, Alice, non credeva che New Orleans fosse un posto dove crescere dei bambini. Quando l’uragano li esilia in un sobborgo di Chicago, Alice è contenta, ma il bisogno di Craig di tornare nella città adottiva comincia a rompere gli argini del loro matrimonio.
ELIZABETH STROUT
Tom Piazza La maggior parte di La città che era non riguarda l’uragano ma l’inluenza che New Orleans esercita sulle persone. Il tutto viene espresso in una prosa al tempo stesso sentimentale e violenta, che a volte tende alla rozzezza. Piazza è al suo meglio quando lascia i personaggi a brancolare alla ricerca di parole e signiicati, non quando si lancia in invettive contro il governo federale. Sj e Craig, per quanto diversi, hanno una cosa in comune: sono bloccati, incapaci di andarsene da New Orleans, incapaci di tornarci. Chicago e Houston (dove inisce Sj) sono luoghi estranianti. Questa sensazione di sradicamento è il tema centrale del libro. Spiegare l’inesorabile richiamo gravitazionale di New Orleans a forestieri che vedono solo corruzione, criminalità, povertà e un tempo malarico è un compito diicile, ma ogni pagina della storia (molto sentita dall’autore) racconta una verità più ampia sul perché le persone vivono dove vivono: perché lì è la loro casa e il loro cuore. Kevin Allman, The Washington Post
I signori col berretto. La dittatura raccontata dai bambini Minimum Fax, 233 pagine, 12,50 euro ●●●● ● La dittatura militare argentina raccontata dai bambini che l’hanno vissuta. Il giornalista Hugo Paredero ha raccolto in un volume le testimonianze di centocinquanta bambini provenienti da ogni parte del paese, ciascuno dei quali ha dato voce ai suoi ricordi degli anni di Videla. L’ispirazione del libro venne da un dialogo tra due bambini di appena sette anni che Paredero ascoltò nel dicembre del 1983 in un ristorante del quartiere Palermo: “Perché improvvisamente sono tutti contenti?”. “Perché è arrivata la democrazia”. “E se gli piaceva tanto, perché non l’hanno fatta prima?”. “Perché hanno dovuto negoziarla moooolto a lungo con i signori con il berretto”. “Ah, sì, con i cattivi!”. I signori col berretto raccoglie le opinioni di bambini tra i cinque e i dodici anni, igli di guerriglieri e di militari, di operai e di imprenditori, di medici, psicologi, architetti, artisti, insegnanti, meccanici, pompieri, poliziotti, lavavetri. Se ha visto la luce solo più di vent’anni dopo, è perché tutti gli editori lo riiutavano: è un libro molto bello, dicevano, ma non è il momento adatto per riaprire certe ferite. Fernanda González Cortiñas, Página 12 JENS LAPIDUS
Mai far cazzate Mondadori, 665 pagine, 17,50 euro ●● ●●● Mai far cazzate è la seconda parte di una trilogia hard-boiled dello scrittore e avvocato svedese Jens Lapidus. Il suo stile è duro e laconico, con un acuto senso dell’umorismo e la capacità di ofrire un ritratto cre-
dibile del lato oscuro di Stoccolma. La storia si muove a ritmo rapidissimo tra gang criminali, traicanti di droga, club di strip-tease, protettori di prostitute. Al centro ci sono tre uomini, ossessionati dalla loro mascolinità, un’ossessione che li rende incapaci di relazionarsi al mondo: il detective cinico e brutale Thomas Andrén, il veterano di guerra Niklas Brogren appena tornato dall’Iraq, che deve fare i conti con il suo passato familiare, e l’iracheno Mahmud al-Askori, arrivato a Stoccolma da bambino. Le donne – madri, sorelle, mogli – compaiono di tanto in tanto sullo sfondo. Ulrika Stahre, Aftonbladet PADDY DOCHERTY
Khyber Pass Il Saggiatore, 269 pagine, 19,00 euro ●●●●● Lungo appena cinquanta chilometri, e in certi punti non più largo di tre metri, il Khyber Pass ha occupato per secoli una posizione strategica d’importanza vitale tra le montagne che separano l’India dall’Asia Centrale. Molti grandi conquistatori – i re persiani Ciro e Dario, Alessandro Magno, Genghis Khan – hanno usato il passaggio per lanciare le loro campagne militari. Molto tempo dopo le armate britanniche lo hanno percorso tentando senza successo di mettere in ginocchio gli afgani. Lo scozzese Paddy Docherty si è dato un compito diicilissimo: raccontare la storia della regione usando questa piccola via attraverso le montagne. Nessuno può negare che il lusso costante di eserciti, mercanti e idee ha lasciato un segno indelebile sulla politica e sulla cultura della regione. Ma il problema di Docherty, che il libro non risolve mai ino in fondo, è come tenere il Khyber Pass costantemente al centro di una narrazione che copre un arco di tempo così sconinato. L’autore
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Cultura
Libri
ndumiso ngCobo
Alcuni dei miei migliori amici sono bianchi Voland, 208 pagine, 14,00 euro ●● ●● ● Il campione dei critici da salotto Ndumiso Ngcobo, blogger e opinionista sudafricano di 38 anni, cresciuto quando c’era ancora l’apartheid, dipinge un afresco del Sudafrica con un pennello decisamente ofensivo e provocatorio, ma anche sarcastico ed esilarante. Il paese è andato a rotoli, cerca di riconciliare lingue diverse, etnie e culture in conlitto, ma ha i suoi bravi pregiudizi e alcune abitudini davvero bizzarre. E
allora? L’insistenza di Ngcobo su alcuni degli aspetti della vita sudafricana che la rendono facile bersaglio di satira ofre un punto di vista nuovo e stimolante su questo strano paese. Che siate neri o bianchi, questo libro esplora alcune delle tante aree grigie. GQ (Sudafrica) tristram hunt
La vita rivoluzionaria di Friedrich Engels Isbn, 390 pagine, 27,00 euro ● ● ● ●● Marx è tornato di moda. Per decenni i marxisti sono stati una specie in via di estinzione, ma ora la crisi del capitalismo ha scatenato un revival, e Il capitale è tornato in cima alla lista dei libri più venduti. La biograia che Tristram Hunt ha dedicato all’oscuro collaboratore di Marx, Friedrich Engels, non potrebbe essere più attuale. “Marx era un genio”, dichiarò Engels. “Noialtri al massimo avevamo talento”. Engels era uno scrittore socialista di valore non eccelso che ebbe il iuto di associarsi a una persona di
grande intelligenza come Marx. A distinguerlo dagli altri aspiranti rivoluzionari, ora dimenticati, era proprio la sua amicizia con il fondatore del socialismo scientiico. Ma, come Tristram Hunt mette in chiaro, Engels non era solo la spalla di Marx. Senza di lui, è probabile che l’autore del Capitale non ce l’avrebbe fatta. Alcuni sostengono che Engels abbia traviato l’autentico marxismo, e gli attribuiscono le parti meno attraenti della dottrina. Hunt lo difende da queste accuse, riscattandolo come un buon giornalista e un eicace organizzatore. La vita rivoluzionaria di Friedrich Engels è una biograia appassionante, e a tratti sembra che l’autore usi Engels come una molletta a cui appendere l’intera storia del pensiero socialista ottocentesco. Non è facile rendere interessante la ilosoia dialettica marxista, e il socialismo può essere noioso, ma a rendere il libro così vivo è la storia molto umana della relazione tra Marx ed Engels. Jane Ridley, The Spectator
non iction Giuliano Milani
mauro VaLeri
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bunali sportivi e su questo tema sono state fatte denunce, presentati ricorsi e pubblicate sentenze. I principali casi dibattuti dalla giustizia sportiva italiana sono stati raccolti e raccontati da Mauro Valeri in questo libro. Divisi per anni di campionato, dal 2000 al 2010, di ogni episodio viene fornito un resoconto alla luce della documentazione uiciale, delle interviste ai protagonisti (calciatori, arbitri, presidenti, tifosi) e dei commenti della stampa. Oggi in Italia il calcio è uno di
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meLVin Konner
The evolution of childhood Belknap Press of Harvard University Press In questo saggio monumentale Melvin Konner, docente di antropologia e neuroscienze all’Emory college, esplora l’evoluzione biologica del comportamento umano, soprattutto di quello dei bambini. Peter gray, Kermyt anderson
Fatherhood Harvard University Press Si sa che i igli hanno bisogno del padre, ma cosa succede agli uomini quando hanno dei igli? Gray e Anderson, due padri di famiglia, docenti di antropologia, scoprono che avere un iglio cambia la sessualità e altera il proilo ormonale e la salute degli uomini. Judith Warner
il calcio in tribunale Che razza di tifo Donzelli, 208 pagine, 17 euro Alla ine del 2000, per arrestare la difusione del razzismo negli stadi, la Uefa ha introdotto la possibilità di comminare multe più alte e di colpire con misure economicamente gravi (la squaliica del campo o la partita a porte chiuse) i club seguiti da tifoserie che manifestano atteggiamenti razzisti. Da allora, il razzismo di tifosi e calciatori è diventato oggetto del contendere nei tri-
Padri e igli
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lo fa a volte a prezzo di qualche congettura di troppo su episodi di cui si sa poco, e spesso si intuisce che non padroneggia del tutto la storia militare. Qualcuno, poi, potrebbe essere infastidito dai passi in cui Docherty racconta in prima persona i suoi viaggi nella regione, eppure il suo entusiasmo per l’argomento è davvero contagioso. Saul David, The Daily Telegraph
quegli argomenti di cui sono in pochi a non occuparsi, direttamente o indirettamente, in pubblico o in privato. Il libro di Valeri aiuta a capire, attraverso il calcio, quanto per molti italiani il fascismo sia un passato lontano e innocuo, l’immigrazione sia solo un problema e la pelle bianca un elemento importante dell’identità nazionale. E illustra come questi pensieri, passando per la scrittura di magistrati e giornalisti, diventano controversi discorsi pubblici. u
We’ve got issues Riverhead Perché negli Stati Uniti il numero dei bambini con disordini mentali si è moltiplicato? E si sta esagerando con le cure? Secondo la giornalista del New York Times, non si sta ancora facendo abbastanza. margaret K. neLson
Parenting out of control New York University Press Quali sono le ragioni che spingono i genitori a occuparsi in modo ossessivo dei igli, a essere degli helicopter parents secondo un’espressione molto usata recentemente negli Stati Uniti? Margaret Nelson, docente di sociologia al Middlebury college, esplora le radici di questo problema. Maria Sepa
Ricevuti JONATHAN LITTELL
Racconto su niente Nottetempo, 43 pagine, 3,00 euro Questo racconto, come dice il titolo, non ha una trama o un soggetto. È solo la testimonianza di uno stralcio di vita dell’autore.
BÉATRICE FONTANEL E AURÉLIA FRONTY
Tristano e Isotta Donzelli, 34 pagine, 24,00 euro La storia dell’amore tra il valente Tristano e la dolce Isotta in un libro illustrato per bambini. FILIPPO SCÒZZARI
JOAN NOGUÉ
Altri paesaggi Franco Angeli, 336 pagine, 39,00 euro Un punto di vista attento e originale sui paesaggi del nostro tempo, da quelli che abitiamo quotidianamente a quelli meno conosciuti. Con le foto di Maria Rosa Russo.
Fumetti
La macchia dell’innocenza ALESSANDRO TOTA
Yeti Coconino press, 112 pagine, 15,00 euro ●●●●● Certi giovani di oggi, spesso patinati, possono essere molto crudeli. Anche se apparentemente sono carini e simpatici, rivelano gradualmente qualcosa di mostruoso. Yeti è certamente la favola giusta per le vacanze: divertente, scorrevolissima nella lettura, con colori pop e toni leggeri. Ma questi sono gli elementi esteriori. Dietro l’apparenza da iaba contemporanea si celano contenuti cupi e disincantati, interrogazioni profonde. L’alienazione più comune, il lavoro di tanti giovani coninati nel precariato (i call center), la noia consumistica, l’indiferenza verso i nuovi poveri – sempre più numerosi – raccontati come una cronaca della quotidianità dal sapore autobiograico: Tota stesso è
uno dei personaggi. Lo Yeti è invece un innesto surreale (tipico di tanti fumetti) nel registro realistico. In preda a uno strano languore, desideroso di un altrove migliore, scende dalle montagne, esce dalle iabe (il prologo è raccontato come una favola illustrata), ma una volta giunto nella città, si scontra con il mondo reale. Lo Yeti perde il pelo ma non il vizio del candore, della purezza, della gentilezza: lui, inerme logo rosa come un Barbapapà, macchia innocente dell’estetica industriale di una parte del fumetto popolare, non può che soccombere in un mondo di lupi, talvolta però infelici di esserlo. È al tempo stesso una metafora e un resoconto puntuale della schizofrenia del mondo contemporaneo, privo di una linea d’orizzonte. Gli manca solo la voglia di ribellarsi di fronte a questo stato di cose. Francesco Boille
Filippo Scòzzari e l’insonnia occidentale Coniglio editore, 236 pagine, 14,50 euro Non si parla di incubi o di immagini oniriche, ma dei deliri del reale, diurni, che nottetempo arrivano al capezzale come angosce che impediscono il sonno.
NATHALIE KUPERMAN
BEN RATLIFF
Colazione con Mick Jagger Del Vecchio, 96 pagine, 12,00 euro Un romanzo, un esercizio di stile, un racconto. L’autrice non lascia troppi indizi, ma la sua abilità di mescolare realtà e inzione è stupefacente.
Come si ascolta il jazz Minimum Fax, 242 pagine, 16,00 euro Conversazioni con Wayne Shorter, Pat Metheny, Sonny Rollins, Ornette Coleman, Joshua Redman, Brandford Marsalis e altri.
LUDOVICA CANTARUTTI
JENNIE DIELEMANS
Armenia Via Montereale, 32 pagine, 7,00 euro La storia, l’arte, la gente e la cultura dell’Armenia. Con le foto di Udo Koehler.
Benvenuti in paradiso Bruno Mondadori, 207 pagine, 18,00 euro Dietro le quinte dell’industria del turismo globale tra lo sfruttamento dei lavoratori, l’estromissione dei nativi da spiagge e ritrovi per garantirne l’uso ai turisti, l’oferta di sesso, l’impatto ambientale.
HARA TAMIKI
L’ultima estate di Hiroshima L’Ancora del Mediterraneo, 160 pagine, 15,00 euro I danni e la soferenza provocati dalla bomba atomica raccontati da un testimone diretto. BICE MORTARA GARAVELLI
Il parlar igurato Laterza, 178 pagine, 12,00 euro Una guida per scoprire in cosa consiste il parlar igurato. L’identità, il nome e le funzioni di modi di dire fra i più sorprendenti dell’italiano comune e letterario.
ALAN MACFARLANE
Enigmatico Giappone Edt, 272 pagine, 20,00 euro Una lettura del Giappone attraverso la cerimonia del tè, la canzone popolare, le arti marziali, il cibo, la socialità, la vita politica, l’educazione. ALESSANDRO ESPOSITO
Manuale del perfetto venditore di droga Zero91, 234 pagine, 15,00 euro Il diario di uno spacciatore che vive nella periferia più malsana di Napoli.
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Cultura
Musica Dal vivo
Dalla francia
MerCury rev
il soul dell’atlantico
belle anD sebastian
+Baustelle, Arezzo, 25 luglio, playarezzo.it gotan projeCt
Tarvisio (Ud), 25 luglio, nobordersmusicfestival.com; Venaria Reale (To), 26 luglio, venariarealmusic.it tinariwen
Roma, 26 luglio, auditorium.com torino worlD MusiC Meeting
Afromatic, Souad Asla, Hasna el Bacharia, Afel Bocoum e Kady Diarra, Nuru Kane, Tony Allen, Torino, 21-30 luglio, musica90.net porretta soul festival
Green Brothers, Fred Wesley and new JB’s, McKinley Moore, Bruce James, Thelma Jones, Clay Hammond, Lavelle White, Chick Rodgers, Porretta Terme (Bo), 23-25 luglio, porrettasoul.it Dr. john anD the lower 911
Tortolì, 23 luglio, roccerosse.it; Castiglione del Lago, 24 luglio, trasimenoblues.it; Roma, 25 luglio, villaada.org frequenze Disturbate
Teatro degli orrori, Baustelle, The Niro, Kings of Convenience, Urbino, 30-31 luglio, frequenzedisturbate.it
Belle and Sebastian
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Les Nubians conquistano gli Stati Uniti con una miscela di tradizione e modernità Célia ed Hélène sono sedute sulla terrazza di un piccolo cafè di Montreuil, nella periferia parigina. Sono distrutte da una giornata di lavoro intenso: a ine settembre uscirà il loro quarto album, Nü (R)evolution. Le due sorelle, in arte Les Nubians, sono nate a Parigi. Padre francese, contabile, ateo e appassionato di musica classica, e madre camerunese, infermiera, psicologa, sociologa e credente, fan di Francis Bebey, Celia Cruz e Charles Aznavour.
FLICKR
Verrucchio (Rn), 27 luglio, verrucchiofestival.it
Les Nubians Célia ed Hélène sono cresciute tra il Ciad e la Dordogna, nel sudovest della Francia: una combinazione che ha prodotto una sensibilità artistica cosmopolita. È in virtù di questa fusione che Les Nubians hanno deciso di legare il loro futuro agli Stati Uniti, stabilendosi a New York.
“L’America ci ha sempre attirato”, dice Hélène. “Forse perché è la terra d’emigrazione per eccellenza”. Il loro primo album, Princesses nubiennes, è uscito nel 1998. Il loro soul è stato accolto bene in Francia ma ha entusiasmato dall’altra parte dell’Atlantico. Il disco ha venduto negli Stati Uniti più di 500mila copie: tante, considerando che Célia ed Hélène cantano in francese. La ricetta vincente? La capacità di fondere la storia dell’immigrazione nera con il malessere della generazione rampante di giovani globalizzati. Jean-Michel Denis, Afrique Magazine
playlist Pier Andrea Canei
samba e arena
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Bonnot Hal jathri (feat. Boikutt, Dj Gruf ) Il “basista” degli Assalti Frontali mette su il suo primo album da maestro delle cerimonie, Intergalactic arena. In effetti, c’è un cast da fantascienza: CapaRezza e Paolo Fresu, Don Gallo e il Piotta, i Sud Sound System e i Dead Prez. Un bailamme heavy-elettronico sul ritmo militante, dentro e fuori dai centri sociali dove si balla contro la repressione. Boikutt, il rapper dei Ramallah Underground, fa sempre l’effetto di un detonatore verbale, anche se non si capisce di che diamine parli: è energia furente da ascoltare afascinati.
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Daniele Sepe El hombre Yamamay Uno skit de Napule in salsa cubana, con un po’ di Modugno messo lì, iati jazz e una storia di mutande in testa; campione rappresentativo dell’ultimo lavoro di Sepe, Fessbuk, in cui mette assieme Bertolt Brecht e canzoni operaie, vedove greche, cabaret partenopeo e la “samba do tremone” in un grande social network dei vicoli. La militanza è colta e satirica, piovono riferimenti, a volte bisogna mettersi l’impermeabile; però è un’avventura da ascolto attento, accà nisciuno è fessbuk, anzi bisogna studiare il napoletano e scappellarsi a più riprese.
3
Paolo Fresu Quintet Blue Samba Ehi, sembra quasi la sigla di Kojak! È un Paolo Fresu in piena quello che tracima da Songlines/Night & Blue, gran misto di standard viaggiatori e notti in blu per attirare l’attenzione sulla nuova etichetta Tuk Music, fondata da Fresu per lanciare giovani talenti. Intanto qui si esercita con maestria con i talenti navigati del suo quintetto (sax Tino Tracanna, piano Roberto Cipelli, basso Attilio Zanchi, batteria Ettore Fioravanti) in una cosa molto classica in cui adagiarsi con headphones & iducia. Ehi, c’è Fresu da Piero Angela! Un jazzista superquark.
Scelti da Antonia Tessitore
Elettronica ThE Books
The way out (Temporary residence) ●●●●● Nei loro lavori precedenti i Books, il duo newyorchese formato da Nick Zammuto e Paul de Jong, si sono costruiti un loro campo d’azione particolare andando a rovistare nei territori dove il pop incontra l’avanguardia sperimentale, creando musica che integra elementi di folk ed elettronica, con campionamenti oscuri e misteriosi, soprattutto parlati. Un approccio che ha portato i Books a entrare in contatto con persone e situazioni particolari, che sono state un ottimo terreno per preparare The way out. I brani Group autogenetics, che aprono e chiudono l’album, presentano voci rassicuranti che ci spiegano come “ascoltare ino a quando non abbiamo raggiunto il tutto ininito”, tra percussioni discrete e armonici. Con The way out i Books hanno imboccato una linea più scherzosa e surrealista che rende il loro approccio sperimentale molto più attraente che in passato. Andy Gill, The Independent
Rock WavvEs
VOIR
King of the beach (Fat Possum) ●●●●● Nel mondo della musica indipendente imparare dagli errori non è concesso. Basta un qual-
Wolf Parade
han BEnnInk/faBRIzIo PUGlIsI/ERnsT GlERUm
Laiv (Basseferec) siasi segno di debolezza, un’esibizione mediocre, un’intervista discutibile e il pubblico si sentirà imbrogliato. Lo sa bene Nathan Williams, che dopo il suo disastroso tour del 2009 aveva raggiunto in certi ambienti livelli di derisione degni di Paris Hilton. Ma qualcuno è rimasto dalla sua parte, e se siete tra questi il suo nuovo King of the beach ricompensa la vostra fedeltà. Williams sfoggia ancora orgogliosamente tutta la sua ossessione per gli anni sessanta, ma rispetto al grezzissimo Wavvves la produzione è molto migliorata e le inluenze si sono moltiplicate. Qualcuno potrebbe obiettare che si sentono più i Green Day di Dookie che i Pixies di Doolittle, ma in ogni caso è un disco fantastico. Non rovinare tutto anche stavolta, amico Nathan. Ian Cohen, Pitchforkmedia
Wolf PaRadE
Expo 86 (Sub Pop) ●●●●● Lo charme dei Wolf Parade era emerso nel 2005 dalla poliedrica Montreal con l’eccellente debutto Apologies to the queen Mary. Cinque anni più tardi il gruppo è arrivato al terzo disco. Questo Expo 86 è pervaso da una cupa tenerezza. Anche nei momenti che sembrano pieni di una certa allegria, l’estetica dei Wolf Parade inisce sempre per far sembrare in parte sinistre le loro migliori intenzioni. I testi dei due leader e cantanti, Spencer Krug e Dan Boeckner, sono gioiosamente letterari: a volte suonano come se fossero delle liriche di Bret Easton Ellis scritte per la musica dei Modern Lovers. I Wolf Parade forse sono più diicili da amare rispetto ai loro compagni di tour Arcade Fire, ma Expo 86 è un disco abbastanza intelligente e intenso da meritare la massima attenzione. Will Dean, The Guardian
CURlEW
mECha fIXEs CloCks
A beautiful western saddle/The hardwood (Cuneiform)
À l’inattendu les dieux livrent passage (&records)
I Am Kloot I am klooT
Sky at night (Shepherd Moon) ●●●●● In dieci anni di carriera il trio di Manchester si è fatto la fama di gruppo britannico che è più amato all’estero, in particolare in Germania, che in patria. Questo Sky at night, il quinto album della band, sarà in grado di cambiare la situazione? Il disco è stato prodotto dagli Elbow, il duo formato da Guy Garvey (che ha prodotto anche l’esordio dei Kloot nel 2001, Natural History) e Craig Potter. Sky at night semplicemente distilla ed espande tutto quello che hanno fatto di buono i Kloot in questi anni, dalle melodie eleganti ai testi risolutamente dolceamari. Niente di rivoluzionario, dunque, ma la band si dimostra ancora in grado di raggiungere vette elevate, soprattutto nelle ballate: The moon is a blind eye è pallida e argentata come la luce lunare, I still do è spoglia e allo stesso tempo commovente, To the brink ha un malinconico fascino anni quaranta. Martin Aston, Bbc Music
Jazz P.E. hEWITT Jazz EnsEmBlE
Winter winds – The complete works (Now Again) ●●●●● Phil Hewitt aveva solo 16 anni quando incise il suo primo album, nel 1968. Registrato alla scuola pubblica di musica di Mountain View, in California,
Jawbones è un perfetto esempio di West coast groove sulla scia dei lavori di Don Ellis e Lalo Schifrin, con le percussioni e il basso elettrico in primo piano. Stampato in cinquecento copie, l’album fu seguito dal più malinconico Since Washington (questa volta le copie stampate furono cento), registrato dopo un’esibizione di fronte al presidente Nixon. Ma è al terzo disco che Hewitt deve la sua fama. Winter winds è un fragoroso attacco sonoro, con la batteria in 4/4, il vibrafono, il sax alto e un cantato vibrante che compongono uno scenario unico: come se Shelly Manne, Gary Burton e Art Pepper incontrassero i Brazil 66 di Sérgio Mendes in una sala da ballo californiana. Tra tutti i grandi lost album della storia, quelli di Hewitt sono tra i pochi che meritano la fama di cui godono. Andrew Male, Mojo
Classica nElson fREIRE
Chopin: notturni Nelson Freire, piano (Decca) ●●●●● Un’integrale dei notturni di Chopin pudica, quasi improvvisata, che è un’illustrazione dell’arte degli strumenti a tastiera idealizzata da Couperin e poi da Chopin, Erroll Garner o il giovane Duke Ellington. Il ritmo e i suoi scarti microscopici, il canto, l’armonia e il contrappunto s’intrecciano creando un universo che ammorbidisce le frasi e rende ogni nota necessaria. Paradossalmente, è sottolineando le caratteristiche più singolari di ogni pezzo che Nelson Freire rende possibile l’ascolto consecutivo di tutti i 21 notturni. L’articolazione leggera, l’assenza di punti d’appoggio troppo prevedibili o sottolineati e il clima di fantasia notturna sono il grande exploit di un pianista che suonando solo per sé suona per tutti noi. Alain Lompech, Diapason
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SHIRLAINE FORREST (WIREIMAGE/GETTY IMAGES)
Jazz/ impro
Cultura
tv in rete supermen of malegaon
l’arte di arrangiarsi
Lunedì 26 luglio, ore 22.30 Current Il bisogno aguzza l’ingegno: i paesi più poveri contrastano l’assenza di risorse creando nuovi prodotti, inventando dal nulla strategie e business, creando reti di solidarietà. La serie realizzata dal giornalista Sebastien Perez fa tappa in Cile. per falCone
Mercoledì 28 luglio, ore 01.10 RaiTre Ripercorrendo le fasi dell’attività di Giovanni Falcone, il documentario di Vittorio Rizzo traccia una storia della maia siciliana. Con brani di una lunga intervista del giudice, letti dalla voce di Luigi Lo Cascio. brume de guerre
Mercoledì 28 luglio, ore 20.35, Arte Robert McNamara, morto nel luglio 2009, ex segretario alla difesa con Kennedy e Johnson tra il 1961 e il 1968 e presidente della Banca mondiale, è stato uno degli uomini più inluenti del dopoguerra. Nel 2003 ha concesso una lunga intervista a Errol Morris: una lezione di storia e realpolitik.
dvd rip in pieces america Sta diventando un genere a sé quello del collage di materiali video presi dal web e che riutilizzano clip da YouTube, videoblog e social network per dare forma a inquietanti visioni dell’inconscio collettivo. Dominic Gagnon è un artista e regista canadese, interessato al fenomeno dei video censurati e rimossi dal web. Ha rac-
colto denunce, confessioni, fanatismi e profezie che toccano i nervi politici scoperti della rete e delle società occidentali. Da questo schizofrenico archivio vengono i contributi di centinaia di anonimi autori di cui è composto questo strano e inquietante documentario. Il dvd esce in Francia. lafamilledigitale.org
il lupo in CalzonCini Corti
fotograia Christian Caujolle
Mercoledì 28 luglio, ore 23.30 RaiTre
un ottimo punto di vista
Per Doc3 un documentario di Nadia Dalle Vedove e Lucia Stano sulle cosiddette “famiglie arcobaleno”: come fanno partner dello stesso sesso quando vogliono avere igli? E cosa vuol dire per un bambino avere due mamme o due papà? viva evita
Giovedì 29 luglio, ore 21.00 RaiStoria Evita Peron, da iglia illegittima di un piccolo proprietario terriero a prima irst lady moderna del Sudamerica. Per molti argentini è un’eroina popolare, per altri ha agito solo per appagare il suo arrivismo.
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OjodePez cambia formula, ma lo spirito ancorato a saldi princìpi resta lo stesso. Questo bimestrale, apparso quattro anni fa grazie all’infaticabile Frank Kalero (che ora è in India per dar vita a un altro periodico, Punctum, dedicato ai fotograi asiatici), è uno spazio di pubblicazione di fotograie documentarie, sempre meno presenti nella stampa. OjodePez ha una graica sobria, testi di varia natura, dal giornalistico al poetico e in ogni numero c’è un direttore
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ospite che sceglie le fotograie da pubblicare. La prima parte è nuova ed è dedicata a fotograi giovani (in questo caso quelli che sono emersi in PhotoEspaña). Un’altra novità è il Point of view, con un fotografo che ne promuove un altro: in questo numero Jordi Bernardo, l’autore catalano di panoramiche che sono terriicanti rilessioni sulle assurdità del mondo (da vedere il suo Welcome to Espain), ci introduce al lavoro di Taj Forer che mette a confronto l’uomo e la natura.
snipurl.com/zny04 Witness di Al Jazeera presenta una selezione di documentari brevi da Asia, Africa e Medio Oriente. In questo episodio il protagonista è Shaikh Nasir, appassionato di cinema di Malegaon, cittadina indiana a nordest di Mumbai. Shaikh ha deciso che superstar e grandi budget non sono poi indispensabili, bastano una videocamera e l’entusiasmo di amici e vicini. Così, a dispetto delle condizioni di vita di attori e tecnici improvvisati, parte la produzione di un kolossal straccione su un supereroe con tanto di tuta e mantello, che Shaikh e soci riusciranno addirittura a far volare sul villaggio. La versione integrale del documentario di Faiza Ahmed Khan, diventato un piccolo culto in rete e nei festival, è disponibile in dvd negli Stati Uniti.
Il direttore del numero 21 è Lars Willumeit, che è stato responsabile dell’edizione tedesca di Géo. Le sue scelte rilettono impegno, intelligenza, curiosità e rigore. Specialmente d’estate i periodici cedono all’idea di “leggerezza”. Willumeit allora ha scelto come focus le ideologie: Philippe Dudouit, Thomas van Houtryve, Andri Pol, Yann Mingard, Zed Nelson e Karim Ben Khelifa spaziano dalla Corea del Nord al Kashmir per evocare senza pathos un mondo dilaniato. u
Cultura
Arte QUESTA È LA GUERRA
Gerda Taro/This is war! Robert Capa at work. Circulo de bellas artes, Madrid, ino al 5 settembre, circulobellasartes.com Robert Capa e Gerda Taro si conobbero a Parigi e si amarono uniti dalla comune militanza antifascista. Partirono insieme per la Spagna nel 1936. Capa seguiva i soldati repubblicani sul fronte, Taro si concentrava più sul mondo femminile ai margini della guerra. Lei morì schiacciata da un carro armato, lui divenne un grande fotografo. Centosessanta stampe in bianco e nero raccontano la guerra secondo Robert Capa e Gerda Taro. El País
Valutare un’opera d’arte con numeri ed equazioni è un controsenso, come scrivere un trattato erudito sullo scherzo. Su questo terreno si afrontano l’artista Christo e il Bureau of land management del Colorado. L’uicio ha rilasciato quella che potrebbe essere la prima bozza di una dichiarazione di impatto ambientale di un’opera d’arte. Il documento si riferisce al progetto di impacchettare con pannelli di stofa la riva del iume Arkansas per 42,2 miglia. La battaglia per ottenere i permessi è parte dell’opera di Christo. The New York Times ROSSETTO O RASOIO
Strata tower, Londra, stratalondon.com Il sindaco di Londra la chiama lipstick, rossetto, ma ormai la Strata Tower è stata ribattezzata electric razor perché le turbine sulla sua sommità sembrano lame di un rasoio elettrico. È il tipico ediicio che ci si aspetterebbe di vedere in un ilm di fantascienza degli anni trenta. Esaltante, incombente o semplicemente sopra le righe: questione di gusti. The Guardian
COuRTESy OF FRAnCIS ALÿS AnD DAVID ZwIRnER
ARTE E BUROCRAZIA
Christo. Over the river, Colorado, overtheriver.org
Londra
Miraggi adolescenziali Francis Alÿs: a story of deception. Tate Modern, Londra, ino al 5 settembre, tate.org.uk L’impeccabile retrospettiva dell’artista belga Francis Alÿs comincia nel silenzio con le immagini in 16 millimetri di un miraggio che si dilegua all’orizzonte, per sempre irraggiungibile. È l’introduzione a un artista che si distingue per un umorismo delicato e un’inventiva inesauribile. Il suo lavoro è allo stesso tempo triste, serio e molto spesso indeinibile. Prendiamo Rehearsal, girato nei sobborghi di Tijuana, in
Messico, patria di adozione di Alÿs. Il conducente di un maggiolino rosso segue con l’acceleratore le note di una famosa brass band locale. Ogni volta che decelera perde la strada che aveva guadagnato e non riesce mai a raggiungere la ine del viottolo polveroso che sta percorrendo. In un’altra performance Alÿs trascina un blocco di ghiaccio per le strade bollenti di Città del Messico. Dopo nove ore lo ritroviamo in piedi in una pozzanghera, in mezzo a un manipolo di ragazzini che sbeffeggiano lo stupido gringo. Dal
punto di vista formale per Alÿs, che ha esordito come architetto, costruire un’opera richiede un’attenta preparazione, rigore compositivo e continue revisioni. L’apparente insensatezza del suo lavoro, invece, va al cuore del beckettiano “fail, fail again, fail better”. Ma più semplicemente questa mostra, tutt’altro che eccentrica e stravagante, chiarisce cosa intendesse Baudelaire quando sosteneva che il genio è l’adolescenza riportata alla ragione. Richard Dorment The Daily Telegraph
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Pop Londra e Parigi, la rivoluzione su rotaie Simon Kuper
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SIMON KUPER
è un giornalista e scrittore britannico. Il suo ultimo libro è Calcionomica (con Stefan Szymanski, Isbn 2010). Questo articolo è uscito sul Financial Times con il titolo High-speed trains will trasforme Europe.
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n fondo al binario dell’Eurostar, alla Gare du Infine negli anni ottanta, all’epoca di Margaret Nord, Londra incontra Parigi. È il posto perfetto Thatcher e François Mitterrand, i lavori cominciarono per chi vuole vedere un campionario di errori sul serio. Mitterrand era iglio di un capostazione, mennel galateo dei saluti, perché tutti si sforzano di tre la Thatcher era favorevole alle automobili in quanto capire quali norme di quale paese seguire. Ten- mezzo di trasporto individualistico. Vinse il presidente tativi di sbaciucchiamento diventano un rapido francese: il tunnel sarebbe stato soprattutto per i treni, siorarsi di guance, abbozzi di strette di mano si trasfor- non per le macchine. mano in un gesto appena accennato e i destinatari di un Quando i primi treni hanno collegato Waterloo staabbraccio assumono un’aria inorridita. Quando i saluti tion e la Gare du Nord, il 14 novembre 1994, sono stati vengono scambiati tra francesi prevale una rivelazione. Non si sono limitati ad una compassata eicienza. Eppure sono Questa è la avvicinare Parigi portandola alla stessa sempre gli inglesi a uscire meglio dalla storia di due distanza che c’è tra Londra e il nord situazione, perché un saluto inglese è ap- grandi città che dell’Inghilterra, ma hanno anche annunpropriato solo se lascia trasparire un’in- emergono ciato una seconda età dell’oro per i viaggi guaribile gofaggine. Bisogna incasinare dall’isolamento in treno. In un articolo pubblicato in quel tutto perché riesca bene. periodo dal Financial Times, Philip Stee dell’Europa È in questi termini che si è sempre occidentale phens scrisse che chi cercava la comodità parlato di Londra e Parigi: sottolineando che batte il mondo. prendeva l’aereo. I treni erano considerale diferenze. Ma è arrivato il momento di ti un mezzo di trasporto di serie B. Alla Anche grazie a un sbarazzarsi di un modello così datato. Le metà degli anni novanta, in Europa gran treno due città stanno diventando gemelle, anparte dei viaggi su rotaia durava come che se non proprio identiche. Oggi abitaprima della guerra. La Francia era l’unico no nello stesso quartiere, che si espande con il moltipli- paese del continente ad aver scelto i treni ad alta velocarsi dei treni ad alta velocità da Parigi. Questa è la cità, con i suoi Tgv. storia di due grandi città che emergono dall’isolamento Quei primi treni collegavano due città insulari. Ero e dell’Europa occidentale che batte il mondo. Anche tornato in Gran Bretagna da Boston l’estate prima del grazie a un treno. Fino agli anni novanta, per gli inglesi lancio dell’Eurostar, e dopo il technicolor degli Stati Parigi era esotica quasi quanto Giakarta e sicuramente Uniti ero rimasto sconvolto dalla tetraggine di Londra. più di Sydney e San Francisco. C’era il famoso odore del Gente stanca vestita di grigio aspettava per un’eternità metrò francese, una miscela di profumo e sigarette dei treni degli anni cinquanta su afollati binari della Gauloise. C’era lo spettacolo bizzarro della gente che metropolitana. Il cafè era una bevanda esotica quasi beveva vino per strada. C’era tutta quella ilosoia. introvabile, come l’ambrosia. Pranzare all’aperto era Parigi e Londra non sono mai state in sintonia. Du- vietato. Il centro della città era disabitato, e in ogni caso rante la guerra, Parigi era occupata e Londra bombar- alle undici di sera chiudeva tutto. I viaggi in aereo erano data. Poi Parigi diventò una specie di campo profughi sottoposti a regole molto rigide, e volare a Parigi era coper contadini in fuga dalle campagne, come Londra nei stoso. Per andarci in traghetto serviva un’intera, depriprimi decenni dell’ottocento. Mio padre, che ha studia- mente giornata. Se inalmente riuscivi ad attraversare to a Parigi nei primi anni sessanta, racconta che pren- la Manica ma parlavi solo il pessimo francese che la dere il traghetto per l’Inghilterra era un po’ come trasfe- maggior parte di noi imparava a scuola, era diicile corirsi da un paese povero a uno ricco. municare con persone del posto. L’idea di costruire un tunnel sottomarino era Poi entrambe le città hanno cominciato a cambiare. nell’aria da tempo. Napoleone aveva deinito la Manica Grazie all’aumento dei redditi e ai voli low cost un semplice “fosso che verrà attraversato non appena – e all’Eurostar, ovviamente – i londinesi hanno cominqualcuno avrà l’ardire di provarci”. Quando nel 1803 ciato a scoprire quanto Amsterdam, Barcellona e Parigi descrisse il suo progetto di un tunnel a Charles James fossero più piacevoli della loro città natale. Per tutta riFox, il leader degli whig, lui esclamò: “È uno di quei sposta, Londra ha afrontato i suoi punti deboli. Finalprogetti grandiosi che possiamo fare insieme!”. Sono mente si poteva stare seduti all’aperto, anche se di soliserviti altri 191 anni per completare l’opera. Un tentati- to le sedie erano di plastica e inivi sommerso dai gas di vo di scavare il tunnel era stato abbandonato nel 1974. scarico delle auto. Si riusciva a trovare una specie di caf-
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frANcEScA GhErMANdI
fè. Non bisognava più essere un cane da iuto per scovare una birra in tarda serata. La metropolitana era migliorata. Perino i ristoranti erano diventati più buoni. Appena Londra ha preso il via, i prezzi sono schizzati alle stelle. Io mi sono trasferito a Parigi soprattutto perché ho ignorato il consiglio di Philip Stephen di comprare subito un appartamento a Londra dove, secondo lui, i prezzi delle case non potevano più diminuire. Nel 2001, tagliato fuori dall’ormai proibitivo mercato immobiliare londinese e davanti alla scelta tra comprare un miniappartamento a Kilburn o qualcosa di incredibilmente economico nel centro di Parigi, ho scelto la seconda possibilità. Sono saltato su un Eurostar e, come non mi stanco mai di raccontare, ho preso un grazioso appartamentino per 60mila sterline. Ora è l’uicio dove sto scrivendo queste righe. Quando, poco dopo il mio acquisto, ne ho parlato con George, un amico francese che viveva a Londra, lui si è preoccupato per me. Prevedeva solitudine e uno
shock culturale: “Parigi è davvero molto diversa da Londra”. È vero ancora oggi, eppure in otto anni non ho mai avuto nostalgia. In parte è anche merito dell’Eurostar. È diicile sentire la mancanza di Londra quando puoi andarci a pranzo se ne hai voglia. Parigi non è più all’estero. La città oggi è piena di inglesi perché c’è l’Eurostar, perché i prezzi delle case dal 2001 non sono mai scesi, e perché Parigi è sempre Parigi. I miei amici inglesi vengono spesso a trovarmi per cena. E di solito sono più simpatici a Parigi che a Londra, perché in questa città si sentono meno stressati, parlano meno dei prezzi delle case e non hanno la prospettiva di un’ora di metro per tornare a casa. Nel frattempo Parigi ha in parte assimilato il grande pregio di Londra, il suo internazionalismo. La “capitale dell’ottocento” era diventata provinciale. Ma con l’arrivo di internet e dell’Eurostar, e la globalizzazione in generale, molti parigini hanno cominciato a capire che c’era un mondo nuovo e meraviglioso da scoprire se Internazionale 856 | 23 luglio 2010
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Pop
Storie vere Chase Fitzgerald, 24 anni, non riusciva più ad aprire la porta della sua Jeep Cherokee, che aveva parcheggiato vicino a una banca di Stroudsburg, in Pennsylvania. Così ha preso un pezzo di cemento e ha sfondato il parabrezza, prima di rendersi conto di avere sbagliato macchina: la sua era pochi metri più in là. È stato denunciato dalla polizia per condotta criminale, e dovrà pagare 2.555 dollari di danni al proprietario dell’auto danneggiata.
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parlavi inglese. Parigi poteva decidere di diventare un museo abitato, una specie di Roma più fredda, ma se voleva restare in contatto con il mondo doveva imparare l’inglese. Tutto sommato, i giovani l’hanno fatto. La leggenda che i parigini si riiutano di parlare inglese è superata da un decennio. Mentre scrivo, tutte le auto sulla strada davanti al mio uicio sono decorate con un volantino che reclamizza lezioni di inglese per bambini. Oggi i genitori sono così ansiosi di iniziare i lattanti alla lingua globale che, per noi genitori anglofoni, parlare inglese è diventato un’arma nella lotta per la conquista di un posto all’asilo nido. Quando si torna a Londra, si notano ancora le diferenze con Parigi che abbiamo imparato a cogliere in centinaia d’anni di stereotipi. Sull’Eurostar, i bambini francesi sono un po’ più silenziosi e puliti. I passeggeri inglesi hanno vestiti più colorati. Se arrivi a St Pancras la sera e trascini le valigie dentro la metro, resti colpito da tutti quei londinesi brilli e vocianti che straripano dal loro strano abbigliamento giovanilistico. A diferenza di Parigi, qui c’è aria di avventura. Eppure inglesi e francesi si somigliano sempre di più. L’Eurostar trasporta una tribù di franglesi in continua espansione che ha come mascotte il personale bilingue del treno. Con circa 250mila abitanti francesi, Londra oggi è uicialmente la sesta città della Francia, grande come Strasburgo o Nizza. Alcuni passeggeri dell’Eurostar, come il mio amico Paul, fanno avanti e indietro più volte alla settimana tra un appartamento a Parigi e un lavoro a Londra. Sta diventando più diicile indovinare la nazionalità di un passeggero da come si veste o da quanto pesa. Anche le due città oggi si somigliano di più. Dopo il restauro, la maestosa stazione di St Pancras non è altro che un grandioso progetto alla francese. Lo stesso vale per la Tate Modern, le Olimpiadi del 2012 (che Londra ha strappato a Parigi) e il Millennium bridge, che ricorda in modo sospetto il parigino Pont des Arts. Nella sala degli arrivi a St Pancras siete virtualmente aggrediti da delizie gastronomiche di stile parigino: “i prodotti del contadino” o un créateur chocolatier che pubblicizza la “collezione del sommelier”, ma anche involtini di carne allo zenzero, insalate di couscous, champagne e ostriche. I timori degli eurofobi britannici si sono concretizzati: la Gran Bretagna è diventata come il continente. Non stupisce che lord Adonis, ministro dei trasporti, abbia annunciato piani per una rete nazionale di treni ad alta velocità: inalmente un Tgv britannico! Ovviamente le cose potrebbero anche andare meglio. L’Eurostar ora sembra una sciatta visione del futuro datata 1994. Le tanto strombazzate due ore e un quarto di viaggio da una città all’altra tendono di fatto a diventare tre, perché bisogna passare gli sbarramenti di sicurezza e due controlli passaporti. Il tunnel della Manica subisce l’eterno destino delle infrastrutture britanniche: primo nel suo genere in tutto il pianeta, è anche il primo a essere invecchiato. Poco prima di Natale, l’anno scorso, la neve, il freddo e i guasti hanno fermato i treni. Migliaia di passeggeri sono rimasti bloccati per ore senz’acqua, cibo e aria condizionata. Ma perino in quel frangente era diicile pensare agli aerei come al
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futuro. Quella stessa settimana, il giorno di Natale, un nigeriano in arrivo all’aeroporto di Detroit ha tentato di far esplodere una bomba che aveva nascosto nelle mutande. Poi è arrivata la nuvola di cenere islandese. È più probabile che il futuro dei viaggi appartenga alla promettente famiglia dei treni europei, moderatamente verdi e ad alta velocità. Parigi sta diventando il loro snodo centrale. Si va a Bruxelles in meno di un’ora e mezzo, gli aerei ormai hanno rinunciato a quella tratta. Ci vogliono tre ore di treno per la Svizzera, i Paesi Bassi e la costa francese meridionale. Sono perino andato in treno a Torino perché è molto meglio che volare e a conti fatti non ci vuole più tempo. Gli ultimi treni ad alta velocità sono nettamente superiori all’Eurostar. Sul Thalys per Amsterdam potete saltare in carrozza senza che nessuno vi controlli il passaporto o il bagaglio, e c’è persino il collegamento wireless. Questi treni non sono soltanto comodi servizi per viaggiatori viziati. Lo straordinario punto di forza dell’Europa occidentale sono sempre stati i collegamenti rapidi tra le città. La fortuna della regione, secondo lo storico Norman Davies, è stata quella di avere un clima favorevole, mite e piovoso. Grazie a questo, la terra è fertile e permette a centinaia di milioni di persone di vivere in un’area limitata. Questo facilita le comunicazioni, e da secoli i popoli si scambiano idee rapidamente. La rivoluzione scientiica del cinquecento e del seicento fu possibile perché gli scienziati dell’Europa occidentale erano in contatto fra loro, discutevano e creavano reti di relazioni. Un prodotto tipico di questo contesto fu la macchina per molare le lenti, che ebbe un’importanza cruciale nell’evoluzione del microscopio, poco dopo il 1660. A Londra Robert Hooke inventò una molatrice che rendeva le lenti così precise da permettergli di pubblicare un’incisione dettagliata di un pidocchio attaccato a un capello umano. Ma nel frattempo sir Robert Moray, uno scozzese che viveva a Londra ed era a conoscenza del lavoro di Hooke, mandava lettere in francese sulla nuova macchina allo scienziato olandese Christiaan Huygens. Moray e Huygens “si scrivevano anche più volte alla settimana”, racconta la storica Lisa Jardine. Le loro lettere attraversavano la Manica in pochi giorni, quasi la stessa velocità delle poste di oggi. Intanto a Parigi l’astronomo francese Adrien Auzout riceveva copie di alcuni loro messaggi. E così le scoperte di Hooke raggiungevano i suoi rivali sul continente quasi immediatamente, cosa che lo irritava moltissimo. Ma la vicinanza di tanti scienziati creava un clima di fermento intellettuale. Dopo la seconda guerra mondiale, le reti scientiiche si sono spostate negli Stati Uniti, che però non riusciranno mai a riprodurre il collegamento Londra-Parigi-Bruxelles, neppure se il corridoio nordorientale americano si dotasse di treni ad alta velocità, come dovrebbe. Tutti i discorsi sull’Europa che “è rimasta indietro” rispetto al resto del mondo ed è diventata una specie di cimitero di grandi opere d’arte ignorano come il treno stia rinnovando i punti di forza del continente. Le ferrovie hanno disegnato l’America. Ora stanno ridisegnando l’Europa ad alta velocità. u gc
Ogni romanzo ha il suo cane lontano Rosecrans Baldwin
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ROSECRANS BALDWIN
è uno scrittore statunitense. Questo articolo è uscito su Slate con il titolo “Somewhere a dog barked”.
ANGELO MONNE
ome lettore di romanzi e ben poco altro, ho una lista aggiornata di vezzi autoriali. Gli scrittori maschi della generazione di Philip Roth e John Updike, per esempio, amano la parola “ica”. Un tempo i romanzieri abbellivano la loro prosa con qualche bon mot francese, oggi c’è il vezzo dello spagnolo. E ce n’è un altro: gli scrittori non sanno resistere alla tentazione di far spuntare un cane che abbaia in lontananza. Succede agli autori più diversi, da William Faulkner a Jackie Collins a Chuck Palahniuk: “Lei aspettò un po’ a rispondere. Volavano le lucciole; da qualche parte abbaiava un cane, malinconico, distante” (Luce d’agosto); “Aveva smesso di piovere, c’era solo una strana immobilità, un silenzio di morte. Da qualche parte, un cane abbaiava mestamente” (American star); “È un così bel quartiere. Salto lo steccato del giardino vicino, e atterro di testa nel roseto di qualcuno. Da qualche parte abbaia un cane” (Sofocare). Ora che avevo sentito il richiamo del cane, mi sembrava di non riuscire a trovare un solo libro senza di lui. Non La morte di Ivan Il’ič di Tolstoj. Non l’Ulisse di Joyce. Non Tutti gli uomini del re di Robert Penn Warren, Alentejo blu di Monica Ali, o Christine, la macchina infernale di Stephen King. Se c’è una cosa che i romanzieri hanno in comune è l’impulso a evocare il cane lontano. Immaginatevi una scrittrice al lavoro: è esausta, issa lo schermo del suo computer e sogna il pranzo. “[La scrittrice batte sui tasti] Boyd richiuse lo sportello dell’auto con un colpo. Fissò la sua nuova casa col cartello Vendesi in giardino. Prese una pistola e se la puntò alla testa. [La scrittrice pensa: E adesso? Devo prendere tempo] Da qualche parte un cane abbaiò. [La scrittrice pensa: Mmm… Sì, perfetto] Poi Boyd si ricordò che dopo tutto aveva diritto alle agevolazioni iscali per l’acquisto della prima casa, e posò la pistola”. Se un romanzo è la testimonianza archeologica di miliardi di decisioni come queste, allora i cani che abbaiano in lontananza sono i suoi reperti fossili, la prova del lavoro del romanziere per elaborare un’idea. I treni ischiano, i venti soiano, i cani abbaiano. Ora penserete: “D’accordo, i romanzi sono pieni di cani che abbaiano, e con questo? Anche il mondo ne è pieno”. Quando nei romanzi compaiono dei veri cani non lo trovo strano. Cani che gli autori si prendono la briga di descrivere o di trasformare in personaggi, che non mi risvegliano dalla mia trance libresca. Ma i cani che sono dappertutto non hanno un nome né un volto, e francamente dubito che esistano. Davvero, ci sono così tanti cani rumorosi nel mondo? Io scommetto che sentirete il rumore di un’autostrada, di un condizionatore o di un altro essere umano, prima del guaito di un cane. I cani che abbaiano nei libri sono di due tipi. Il primo
è il classico “un cane abbaia in lontananza”. Moderno, semplice, senza pretese. Alcuni autori sanno usarlo bene. In Le città della notte rossa, William Burroughs lo usa per rendere più comico il sesso: “Un cane abbaia in lontananza. Ci togliamo camicie e pantaloni e li attacchiamo all’appendiabiti. Lui si volta verso di me, con la patta dei calzoncini che sporge in fuori. ‘Questa roba mi fa arrapare’, dice. ‘Scopiamo?’”. Nel romanzo di Virginia Woolf La stanza di Jacob, un cane lontano ofre uno spunto lirico: “Faceva troppo caldo per camminare. Un cane abbaiava, abbaiava, abbaiava nella valle. Ombre liquide passavano sopra la pianura”. E quando in L’opera struggente di un formidabile genio la voce narrante di Dave Eggers cerca spasmodicamente di aiutare un amico vittima di una probabile overdose, una piccola proiezione riesce ad ampliicare la sua tensione: “Fuori c’è un cane che abbaia. Quel cane sta impazzendo”. Il secondo tipo è “da qualche parte abbaia un cane”. In Mattatoio n. 5 di Kurt Vonnegut, quella frase è il rintocco della campana del terrore. È anche un efetto sonoro che si evolve, perché diventa: “Con l’aiuto della paura, dell’eco e dei silenzi invernali, la voce di quel cane sembrava un grosso gong di bronzo”. E funziona. Funziona perché è un efetto voluto. Quasi tutti gli scrittori, però, usano questa igura retorica come una pausa narrativa, un modo innocuo per riempire lo spazio e il tempo: siccome l’abbaiare è un contenitore vuoto, il lettore può metterci dentro qualsiasi cosa, oppure niente. Ecco Charlaine Harris, regina degli scrittori di vampiri, in Morto stecchito: “Il parcheggio era completamente vuoto, tranne che per l’auto di Jan. Il bagliore delle luci di sicurezza rendeva l’oscurità ancora più profonda. Sentii un cane abbaiare in lontananza”. E Henning Mankell, il più grande scrittore scandinavo di polizieschi: “Lei comincia a raccontare. La tenda della inestra di cucina ondeggia delicatamente, mentre un cane abbaia in lontananza” (L’occhio del leopardo). I libri di “genere” non sono l’unica categoria colpevole. Prendete per esempio 2666, il capolavoro di Roberto Bolaño: “La inestra si afacciava sul giardino, che era ancora illuminato. Nella stanza entrò un profu-
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Pop SERGEJ STRATANOVSKIJ
è un poeta russo nato nel 1944. Questa poesia è tratta da Poeti russi oggi, a cura di Annelisa Alleva (Libri Scheiwiller 2008)
mo di iori ed erba bagnata. Egli sentì abbaiare un cane in lontananza”. Per quanto ne sappiamo, questi cani non sono altro che macchine sonore che fanno bau. Quando mi trovo di fronte a un abbaiare invisibile che non mi ispira, faccio inta che quel cane sia il cugino di Lassie, con un suo messaggio. Richard Ford, Il giorno dell’indipendenza: “All’ombra del tiglio, Kristy sente un rumore nella brezza pomeridiana… c’è un cane che abbaia da qualche parte, mio iglio nella nostra auto. Si gira e mi guarda, perplessa”. Traduzione: occhio, il bambino sta riprogrammando le nostre stazioni radio preferite! Tobias Wolf, Quell’anno a scuola: “Nel mezzo dei nostri peggiori incubi, è un cane che abbaia, è il motore di un vecchio frigorifero rotto a rassicurarci che presto torneremo alla realtà”. Traduzione: niente trascendenza inché non aggiusti il frigo! T.C. Boyle, Riven rock: “Tra due giorni sarebbe stato di nuovo sul treno per il New Jersey. Da qualche parte un cane abbaiò. L’alito di lei puzzava di sugo di carne.” Traduzione: la stronza si è mangiata il mio arrosto! Questi cani abbaianti sono inutili espedienti da quattro soldi, e secondo me gli editori dovrebbero tenerli al guinzaglio. A meno che questi latrati disincarnati non siano affatto errori maldestri. A meno che non abbiano uno scopo più recondito e profondo. Secondo Martin Amis “tutta la scrittura è una guerra ai cliché”. Be’, e se questi cani non fossero solo dei cliché? Forse il cane lontano è una strizzatina d’occhio che i romanzieri si scambiano tra loro, compiacendosi della straordinaria fortuna di essere ammessi alla corte dell’editoria. Prendete Il buio oltre la siepe (Harper Lee, premio Pulitzer): “Le bacche delle saponarie mature tamburellavano sul tetto al minimo soio di vento, e il buio era reso più desolato dall’abbaiare di cani lontani”. Prendete Questo bacio vada al mondo intero (Colum McCann, National Book Award): “Intorno a me, i rumori della
Poesia Groznyj devastata… Le bombe al vacuum… Chi crederà in Dio là? E poi dicono pure che non ci sono Atei nelle trincee, e che la pallottola dell’odiato nemico Non ti raggiungerà, se pregherai Allah O il Dio russo. Sergej Stratanovskij
strada. Non era colpa di nessuno, solo mia. Un cane passò rapido abbaiando”. E Martin Amis, nel suo Vedova incinta: “Keith chiuse gli occhi, cercando sogni agitati. I cani della valle abbaiarono. E quelli del villaggio, per non essere da meno, gli risposero”. Ho visto il mio amico Nic Brown la settimana scorsa. Il suo primo romanzo uscirà quest’estate. Gli ho chiesto se avesse seguìto anche lui la grande tradizione di inserire nel romanzo un cane che abbaia “in lontananza” o “da qualche parte”. Gli ho confessato che io ce l’avevo messo – inconsapevolmente, in una prima stesura – e poi avevo deciso di lasciarcelo, un po’ per veriicare la mia teoria, ma soprattutto perché era contestuale a una scena di sesso che richiamava altri comportamenti canini. Nic mi ha guardato come se fossi impazzito. “Ma stai scherzando?”, ha detto. Figuriamoci, un cliché così abusato. Abbiamo giocato a tennis, poi ci siamo salutati. Un’ora dopo, mi ha spedito un’email: “Non ci crederai. Pag. 108: ‘Da qualche parte un cane abbaiò, risvegliandomi alla mia condizione isica’. Ma poi quel cane ricompare qualche riga dopo, quindi esiste”. Non chiedevo altro. u dic
Scuole Tullio De Mauro
Il mondo che cambia Nei mesi scorsi sono stati presentati quattro rapporti Ocse sull’economia di altrettanti paesi: Cile, Cina, Germania, Israele. L’ovvia profonda diversità delle quattro realtà ha richiesto analisi diversiicate che proprio per questa loro diversità fanno bene emergere e cogliere alcune costanti delle analisi Ocse. Una prima preoccupazione è mettere in rilievo le condizioni di eguaglianza ed efettiva inclusione delle popolazioni, una seconda è collegare a ciò l’analisi dei sistemi educativi, visti come chiave di svi-
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luppo dell’inclusione sociale e come fattore determinante della crescita economica. Così per Israele si rilevano fattori macroeconomici positivi e i livelli di scolarità alti, “impressionanti”, della popolazione in età di lavoro, ma si insiste sui risultati mediocri nelle comunità di arabi israeliani e ultraortodossi e sulla complessiva debolezza delle competenze essenziali di base (lingua, scienze, matematica). In Cina è sottolineata l’ineguaglianza tra le aree sviluppate dell’est e le im-
mense aree deprivate dell’ovest, dove poco spazio è dato all’istruzione anche nei piani di sviluppo. In Cile la diseguaglianza è creata da disparità di accesso alla scolarità, con ricadute negative sull’università. In Germania si sottolineano gli efetti negativi, anche nella produzione, del sistema “duale” (licei da un lato, scuole professionali dall’altro) e dell’eccessiva specializzazione della formazione professionale, inadatta alle esigenze di un mondo che cambia velocemente. u
Scienza e tecnologia La cucina ci ha reso umani La capacità di cuocere gli alimenti ha segnato una svolta nell’evoluzione. Secondo alcuni ricercatori è addirittura all’origine dello sviluppo del nostro cervello francesi hanno elevato la cucina a una forma d’arte e perino gli inglesi hanno fatto qualche progresso. Gli scimpanzé invece non sanno proprio cucinare. Secondo una discussa teoria evolutiva, i primi esseri umani hanno sviluppato il gusto per il cibo cotto circa due milioni di anni fa, mettendo in moto dei cambiamenti che ci hanno resi molto diversi da ogni altro animale. Ora i sostenitori di questa ipotesi presentano nuove prove. Per convincere gli scettici, Richard Wrangham, dell’università di Harvard, e i suoi colleghi hanno accumulato diverse prove, compresi gli adattamenti evolutivi coerenti con una dieta a base di cibo riscaldato, come le dimensioni ridotte del nostro stomaco. Alla conferenza Evolution 2010 che si è tenuta a Portland, in Oregon, alla ine di giugno, Christopher Organ, di Harvard, ha presentato quella che lui e Wrangham considerano la prova migliore del nostro adattamento a mangiare alimenti cotti. Organ e Charles Nunn, anche lui di Harvard, sono partiti da un’ipotesi: se solo noi umani ci siamo adattati a mangiare cibo cotto, dovremmo impiegare molto meno tempo degli altri primati a masticare, perché il cibo cotto di solito è più morbido di quello crudo. Per veriicarlo, hanno riunito i dati su varie specie di primati e osservato la correlazione tra tempo di masticazione e dimensioni corporee, tenendo conto anche delle ainità tra le diverse specie. Hanno scoperto che un primate della nostra taglia dovrebbe, in teoria, passare il 48 per cento delle ore di veglia a masticare. Ma noi mastichiamo in media per meno del 10 per cento della giornata. I due ricercatori hanno poi confrontato
RIP HOPkINS (vu/bLObCG)
Catherine Brahic, New Scientist, Gran Bretagna
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le dimensioni dei molari e hanno scoperto che i nostri sono piccoli rispetto al corpo. Quando hanno incluso i denti ricavati dai fossili di ominidi estinti, l’analisi ha rivelato che l’Homo habilis e il suo contemporaneo Homo rudolfensis rientravano nella media dei primati che avevano dimensioni simili. L’uomo di Neandertal e il nostro diretto antenato, l’Homo erectus, avevano invece dei denti piccoli per la loro taglia. Questo conferma quello che i paleoantropologi sanno da tempo, dice Leslie Aiello, presidente della Wenner-Gren foundation for anthropological research di New York: “Nell’Homo erectus i molari sono notevolmente più piccoli di quelli dei primi ominidi. È un aspetto che nessuno è mai riuscito a spiegare”.
La scoperta del fuoco Per Wrangham la spiegazione è la cucina. Tra 1,8 e 2 milioni di anni fa, sostiene, l’Homo erectus, o forse un suo antenato diretto, cominciò ad apprezzare il cibo cotto, accidentalmente inito nel fuoco. Così i primi esseri umani impararono a usare il fuoco
per cucinare, e senza saperlo ricavarono dal cibo più nutrimento. Poiché le pareti cellulari del cibo cotto sono già in parte scomposte, si può masticarlo meno ed è più facile da digerire. Wrangham sostiene che l’energia in più ricavata permise agli esseri umani di sviluppare cervelli più grandi e di costruire relazioni sociali complesse. Fa notare che i documenti fossili indicano una rapida crescita del cervello degli ominidi in quel periodo. Non si possono però escludere altre spiegazioni, come il passaggio al consumo di carne tra 1,5 e 2 milioni di anni fa. Anche se la carne cruda è diicile da digerire, i primi esseri umani avrebbero potuto masticare meno e ricavare più energia battendola o scegliendo i tessuti più morbidi e nutrienti. Il principale ostacolo alla teoria secondo cui i nostri antenati cucinavano è che non ci sono prove convincenti del fatto che fossero in grado di controllare il fuoco prima di un milione di anni fa. La più antica prova diretta del fuoco in un sito abitato da esseri umani risale a soli 790mila anni. u sdf
GENETICA
La vitamina D in Europa
SALUTE
Inquinamento da suicidio L’aria inquinata potrebbe far aumentare i suicidi, scrive l’American Journal of Psychiatry. Dall’analisi di 4.341 suicidi registrati in sette città della Corea del Sud è emerso un aumento del 9 per cento nei due giorni successivi al picco di inquinamento da pm10. Un’ipotesi è che il particolato provochi l’iniammazione di alcuni nervi, incidendo sulla salute mentale. è allo studio anche la relazione tra malattie respiratorie e mentali. L’aumento dei suicidi in Corea del Sud
14/100.000 1996
Fonte: New Scientist
23/100.000 2006
Meccanismi d’acquisto Science, Stati Uniti è possibile aumentare le vendite di un prodotto sfruttando lo spirito di solidarietà dei consumatori, scrive Science. Ma i meccanismi dell’acquisto solidale sono molto sottili. Forse è per questo che la responsabilità sociale d’impresa, cioè l’attenzione delle aziende alle questioni etiche, ha diversi limiti: spesso i clienti non credono alle buone intenzioni delle aziende e hanno obiettivi sociali diferenti da quelli che scelgono le imprese. Per mettere alla prova la beneicenza inalizzata al proitto, un gruppo di economisti ha compiuto un esperimento in un parco divertimenti. Si trattava di vendere delle foto souvenir seguendo quattro formule: prezzo isso di 13 dollari, una formula che ha prodotto vendite basse. Stesso prezzo isso e metà dei ricavi in beneicenza, che ha dato vendite maggiori, ma senza ricavi. Oferta libera, che ha dato vendite buone, ma prezzi inferiori a un dollaro. Oferta libera e metà dei ricavi in beneicenza che, superando il prezzo medio di cinque dollari, ha fruttato più degli altri sistemi. Secondo gli autori, la quarta formula funziona meglio perché permette ai consumatori di esprimere direttamente il loro coinvolgimento sociale attraverso l’acquisto di un bene. u
NASA
La carenza di vitamina D non dipende solo dalla mancanza di Sole, è anche una questione di geni. Dall’analisi del genoma di 34mila persone di origine europea e dei loro livelli di vitamina D, sono emerse quattro varianti genetiche coinvolte nella regolazione di questa vitamina chiave per muscoli e ossa sani. “I soggetti con gli alleli nocivi avevano 2,5 probabilità in più di avere concentrazioni di vitamina inferiori alla soglia di normalità (75 nanomole per litro)”, scrivono gli autori su The Lancet. “Ora resta da indagare se queste varianti riguardano anche altri gruppi etnici”. Il Lancet precisa che servono ulteriori studi per spiegare l’attuale pandemia da deicienza di vitamina D e, più di tutto, serve una strategia di intervento. La carenza di vitamina D riguarda più di un miliardo di persone nel mondo.
Psicologia
IN BREVE
Astronomia L’attività vulcanica su Mercurio potrebbe essere durata più a lungo di quanto si pensava, scrive Science. è quanto emerge dalle nuove foto inviate dalla sonda Messenger. Etologia Anche i gorilla giocano ad acchiapparsi. Il comportamento giocoso di colpire e allontanarsi, spiega Biology Letters, è un modo per capire i limiti imposti dalle situazioni sociali e per provare le tecniche di innalzamento del proprio rango. Medicina Le cellule adulte riprogrammate per somigliare a quelle embrionali, e poi poter essere trasformate in un altro tipo di cellule, conservano la “memoria” del loro stato precedente. Il dna mantiene una trasformazione chimica, scrive Nature, tipica del tessuto d’origine.
Davvero? Anahad O’Connor
Le virtù del rosmarino Il rosmarino riduce le tossine della carne alla griglia? Cuocere la carne ad alte temperature produce tossine chiamate amine eterocicliche, associate ad alcuni tumori. La marinatura riduce il rischio impedendone la formazione. Un ingrediente importante è il rosmarino. Aggiungerlo alla carne prima di grigliarla, friggerla o arrostirla riduce le amine eterocicliche. In un recente studio del Journal of Food
Science, i ricercatori hanno testato la capacità di alcuni estratti di rosmarino di ridurre la formazione di amine in medaglioni di carne tritata cotti a temperature dai 190 ai 205 gradi. Più alta era la concentrazione, maggiore era la riduzione delle amine eterocicliche (in alcuni casi di più del 90 per cento). Il fenomeno sembra dipendere dagli antiossidanti del rosmarino: acido rosmarinico, carnosolo e acido carnosico. Un altro studio del
2008 ha confrontato varie marinate e ha scoperto che la più eicace era una miscela caraibica che conteneva considerevoli quantità degli stessi tre antiossidanti. Se il rosmarino non piace, è eicace anche una marinata con aglio, cipolla e succo di limone (soprattutto grazie all’aglio e alla cipolla). Conclusioni. La marinata con il rosmarino contribuisce a eliminare alcune sostanze cancerogene dalla carne alla griglia. The New York Times
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Il diario della Terra Ethical living
Russia Grecia 5,1 M
Iran 5,6 M
50,0°C Al Ahsa Arabia Saudita
Lavarsi senza sapone
Cina
Cina 4,6 M
Papua Nuova Guinea 5,4 M
Brasile Zambia America Latina
-74,4°C Vostok, Antartide
AFP/GETTy IMAGES
sud dell’America Latina ha ucciso almeno venti persone. Morbillo Un’epidemia di morbillo ha ucciso almeno 88 persone in Zambia negli ultimi due mesi. Chongqing, Cina
Alluvioni Almeno 123 persone sono morte o risultano disperse dal 15 luglio a causa delle alluvioni e delle frane che hanno colpito varie regioni della Cina. Dall’inizio dell’anno più di 700 persone sono morte a causa delle inondazioni. La situazione potrebbe aggravarsi con l’arrivo della stagione dei tifoni. Terremoti Un sisma di magnitudo 5,8 sulla scala Richter ha colpito il sud dell’Iran. Ha causato una vittima e alcune decine di persone sono rimaste ferite. Altre scosse sono state registrate in Indonesia, Grecia, Tibet e Papua Nuova Guinea. Siccità Con 19 regioni in stato d’allerta per la siccità e temperature record tra i 30 e i 40 gradi, il mese di luglio 2010 potrebbe essere il più caldo mai registrato in Russia. Freddo L’ondata di freddo polare che ha colpito il cono
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Australia
Pinguini Centinaia di pinguini sono spiaggiati sul litorale dello stato brasiliano di São Paulo. Non è chiaro se sono morti di fame o se la responsabilità è di correnti molto forti e fredde. Topi Dopo le locuste, gli agricoltori australiani sono alle prese con un’invasione di topi, che divorano tutto quello che trovano sul loro passaggio. La regione più colpita è la costa ovest dell’Australia Meridionale. Tigri Si stima che la popolazione selvatica di tigri si sia ridotta a 3.2oo esemplari, contro i 100mila dell’inizio del novecento, denuncia il Wwf. Aids Nel 2009 nei paesi a basso e medio reddito è cresciuto il numero di persone trattate per l’hiv, ha annunciato l’Oms alla conferenza sull’aids di Vienna, che si è svolta dal 18 al 23 luglio. Ai quattro milioni di persone che già ricevevano il
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trattamento se ne sono aggiunti altri 1,2 milioni. Ma secondo l’Oms, le cure raggiungono tardi i pazienti, quando il sistema immunitario è già indebolito. Con cure più tempestive si potrebbe ridurre la mortalità del 20 per cento entro il 2015. u Un nuovo gel vaginale sperimentato in Sudafrica riduce del 39 per cento il rischio di contagio da hiv nelle donne, scrive Science. La protezione sale al 54 per cento se il gel viene usato molto spesso. Antiretrovirali in Africa Milioni di persone, stime
2,9 Persone che prendono degli antiretrovirali in Africa subsahariana
6,7 Persone che ne avrebbero bisogno Fonte: Oms 2008
Inluenza è in preparazione un vaccino universale contro l’inluenza, che potrebbe evitare di doversi vaccinare ogni anno contro tipi diversi del virus. Il vaccino, scrive Science, è basato su parti non mutevoli della proteina virale emoagglutinina. Per ora è stato sperimentato con successo su topi, furetti e scimmie.
Per essere puliti e in ordine non serve comprare prodotti costosi e inquinanti, scrive il Guardian. Prima di tutto non c’è bisogno di lavarsi così spesso. E poi, si può fare a meno del sapone. è un consiglio terribile per l’economia globale, ma fantastico per la pelle. Dopotutto le aziende che consigliano di lavarsi due volte al giorno con il loro prodotto, sono anche quelle che vendono le creme idratanti, e ci spingono a comprare due prodotti per ottenere una cosa sola: una pelle sana. è però importante seguire un’alimentazione ricca di frutta fresca, verdure, cereali integrali e noci, evitando i cibi rainati. Se proprio si vuole usare il sapone, il Guardian consiglia la saponaria, una pianta che cresce vicino ai laghi e che si può piantare in giardino. Si taglia la quantità necessaria, si triturano le radici, i gambi e le foglie e si fanno bollire. Aggiungendo della verbena viene fuori un ottimo shampoo. Considerati i cibi rainati che si consumano, è necessario pulire bene i denti. Al posto del dentifricio, che a volte viene sperimentato sugli animali, si può usare un osso di seppia ridotto in polvere e mescolato a semi di inocchio tritati: l’insieme tiene i denti puliti, l’alito fresco e il pianeta non inquinato. La biancheria si può tenere a bagno in acqua tiepida e saponaria per una notte, poi sciacquarla e stenderla. Per radersi, meglio il rasoio tradizionale invece di quelli usa e getta. Ma deodoranti e profumi non hanno sostituti: meglio abolirli.
Il pianeta visto dallo spazio
Brasile, le dune del nordest
Oceano Atlantico
Luís Correia
eArThOBServATOry/NASA
Lagoa do Portinho
u Le dune di sabbia lungo la costa nordorientale del Brasile a volte si spingono nell’entroterra per chilometri. Una vasta zona costiera è protetta da un parco nazionale, ma i suoi conini racchiudono solo una minima parte di queste dune in movimento. Circa 135 chilometri a est del parco un altro tratto sabbioso si spinge nell’interno vicino alla città di Luís Correia. Al loro margine sudoccidentale, alcune dune cingono uno specchio d’acqua interno, il Lagoa do Portinho (in basso a destra). A nordovest sono invece interrotte dal paesaggio urbano. Oltre alle zone abitate e occupa-
te dall’acqua, le dune sono circondate da una itta vegetazione. Tra la costa e il bordo interno delle dune, la sabbia si alterna ai terreni coltivati. Nel Brasile nordorientale il clima è fortemente condizionato dalla zona di convergenza intertropicale, una regione equatoriale dove s’incontrano gli alisei orientali degli emisferi sud e nord. Nella stagione secca, più o meno da agosto a novembre, i forti venti spingono la sabbia verso l’entroterra, formando alte dune a forma di mezzaluna. Uno studio del 1999 ha rivelato che alcune si spostano di oltre 17 metri all’anno. Nella stagione
Quest’immagine della costa vicino alla città di Luís Correia, nello stato di Piauí, mostra il movimento delle dune di sabbia che vengono spinte verso l’entroterra dai venti orientali.
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delle piogge, da gennaio a giugno, la velocità dei venti diminuisce e le precipitazioni raggiungono il culmine, lasciando degli specchi d’acqua eimeri tra le dune. Le strisce sabbiose nella foto, che vanno da nordest a sudovest, rivelano la direzione del vento dominante, che in genere soia da est. Scattata durante la stagione secca, l’immagine mostra un misto di marrone e verde nelle zone senza dune. In altri periodi dell’anno, nelle stesse zone si vede invece un misto di vegetazione lussureggiante e acqua stagnante.–Michon Scott
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Economia e lavoro
GEORG KNOLL (LAIF/CONTRASTO)
Stoccolma, Svezia
La Scandinavia è un porto sicuro per gli investitori Neil Shah, The Wall Street Journal, Stati Uniti Svezia e Norvegia sono una valida alternativa ai paesi dell’eurozona, che si sforzano di salvare le loro inanze. In Europa le economie scandinave sono le meno colpite dalla crisi entre l’eurozona è alle prese con la crisi del debito, Svezia e Norvegia cominciano a intravedere una ripresa che potrebbe rafforzare le loro monete. Quest’anno, per esempio, la corona svedese si è già apprezzata dell’8 per cento rispetto alla moneta unica. Dal momento che Norvegia e Svezia non hanno avuto particolari problemi con le banche e il debito pubblico, gli investitori, allarmati dalle diicoltà del dollaro e dell’euro, hanno trovato nelle monete dei due paesi una valida alternativa. “Oggi chi vuole trovare in Europa una valuta più stabile di dollaro ed euro, sceglie la Scandinavia”, dice Steve Barrow, un analista della Standard Bank di Londra. “Le monete di Norvegia e Svezia hanno già superato la loro crisi bancaria”. In Svezia le
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banche sono crollate negli anni novanta, e le riforme introdotte all’epoca hanno permesso di evitare gli efetti peggiori della crisi attuale. Il paese ha il secondo tasso di crescita nell’Unione europea: nei primi mesi dell’anno il pil svedese è cresciuto dell’1,4 per cento, soprattutto grazie all’impennata delle esportazioni nella vicina Norvegia e in Germania. Solo l’Irlanda ha fatto meglio, con un tasso di crescita del 2,7 per cento. Inoltre, aggiunge Carl Hammer, analista della banca svedese Seb, appena il 7 per cento delle esportazioni è diretto nei paesi più colpiti dalla crisi, come il Portogallo, l’Italia, l’Irlanda, la Grecia e la Spagna. Gli sgravi iscali e i sussidi, inine, hanno protetto i disoccupati e hanno sostenuto i consumi interni. Anche l’economia norvegese è in salute: quest’anno il pil crescerà del 2,1 per cento e nel 2011 del 3 per cento. Nel primo trimestre del 2010, invece, i sedici paesi dell’eurozona sono cresciuti in media dello 0,2 per cento e in tutto il 2010 non dovrebbero superare l’1 per cento. L’unico paese nordico dell’eurozona, la Finlandia, ha avuto più problemi degli altri scandinavi a riprendersi dalla crisi, in parte perché l’euro forte degli anni passati ha reso più diicili le sue
esportazioni fuori dall’Europa. Le buone prospettive economiche di Svezia e Norvegia hanno già spinto le banche centrali dei due paesi ad alzare i tassi d’interesse per evitare che l’eccesso di credito provochi squilibri dannosi. Chi investe nel mercato monetario, invece, preferisce proprio i paesi con tassi elevati che, per esempio, fanno salire il rendimento dei titoli di stato. Gli scandinavi hanno gestito con prudenza le loro inanze. Il debito pubblico svedese è pari al 40 per cento del pil nazionale, ben al di sotto della soglia del 60 per cento prevista dai trattati europei. Secondo un rapporto del Cma, un istituto specializzato in ricerche di mercato, la Norvegia è il creditore più aidabile del mondo, seguito da Finlandia, Stati Uniti, Danimarca e Svezia. Alcuni osservatori temevano che le banche scandinave potessero subire gravi perdite a causa dei crediti concessi nei paesi baltici, ma i danni sono stati minori del previsto. Oggi, grazie alla sua solidità inanziaria la Scandinavia non è costretta a tagliare la spesa con misure d’austerità che avrebbero ostacolato la crescita.
Forti proitti Richard Batty, responsabile delle strategie d’investimento globale della Standard Life Investments, un fondo che amministra un patrimonio di 163 miliardi di euro, spiega che nell’ultimo trimestre la sua azienda ha realizzato forti proitti puntando sulla corona svedese. Batty prevede un ulteriore apprezzamento della moneta rispetto all’euro per efetto dell’austerità voluta da Bruxelles, che frenerà la crescita economica europea. Secondo gli analisti della Seb, entro la ine dell’anno un euro varrà 9 corone, contro le attuali 9,43. La moneta svedese “è ancora sottovalutata”, aferma Carl Hammer. In realtà, se la crisi dell’eurozona dovesse aggravarsi, ne sofrirebbero anche le monete scandinave, dal momento che Svezia e Norvegia esportano molti prodotti nel resto d’Europa. Temendo uno scenario di questo tipo, la banca centrale svedese ha deciso di rinunciare al graduale innalzamento dei tassi d’interesse, anche se i recenti dati positivi sulla produzione industriale potrebbero farle cambiare idea. Barrow, comunque, ritiene che la corona norvegese e quella svedese continueranno ad apprezzarsi. “Una crisi del debito nei due paesi scandinavi”, osserva, “è l’ultima cosa che passa per la testa degli investitori”. u fp
Marocco
Altri tagli in vista
IN BREVE
Cina Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), la Cina è diventata il più grande consumatore di energia del mondo, superando gli Stati Uniti. Nel 2009 ha consumato 2,25 miliardi di tonnellate equivalenti petrolio, il 4 per cento in più rispetto agli Stati Uniti.
Gli europei lavorano in nero
ABDELHAK SENNA (AFP/GEtty IMAGES)
Il 19 luglio l’agenzia di rating Moody’s ha declassato da Aa2 a Aa1 il giudizio di solvibilità sul debito pubblico irlandese. La decisione, spiega l’Irish Times, è motivata dall’aumento degli interessi sul debito pagati da Dublino e dalle deboli prospettive di crescita del paese. Le misure di austerità degli ultimi due anni non sono bastate a risanare le inanze pubbliche. In vista della inanziaria del 2011, che sarà presentata a dicembre, il governo sta già discutendo ulteriori tagli alla spesa per tre miliardi di euro.
STATI UNITI
Oujda, Marocco
L’apertura economica del Marocco e la crisi globale hanno spinto sempre più lavoratori stranieri, soprattutto europei, a cercare opportunità nelle grandi aziende del paese. I permessi di lavoro sono aumentati da 6.200 nel 2004 a diecimila del 2010. Ma visto che la procedura per ottenere l’autorizzazione dall’agenzia nazionale per la promozione dell’impiego è lunga e complicata, spesso i datori di lavoro assumono senza contratto. Gli ispettori del lavoro, spiega TelQuel, chiudono un occhio davanti alle irregolarità, le multe sono leggere e alla ine pagano solo i lavoratori assunti in nero, che rischiano l’espulsione. u
Wall street assume Dopo il picco negativo di febbraio, scrive il New York Times, le banche di Wall street guidano una debole ripresa dell’occupazione negli Stati Uniti. La Jp Morgan ha circa duemila nuovi assunti, Goldman Sachs e Credit Suisse seicento. In altri settori le prospettive dei lavoratori sono ancora negative, ma la Federal reserve sottolinea che di solito Wall street anticipa le tendenze nazionali. Mentre dal giugno 2008 gli impiegati dell’industria manifatturiera sono scesi del 14 per cento e quelli dell’edilizia del 22 per cento, nella inanza il calo si è fermato all’8,5 per cento. Dipendenti dell’industria inanziaria statunitense, milioni 1,0 0,8 FoNtE: tHE NEW yorK tIMES
IRLANDA
0,6 0,4 0,2 0 2000
2005
2010
Il numero Tito Boeri AUSTRALIA
65 anni Dal 2012 le lavoratrici del settore pubblico potranno andare in pensione a 65 anni. oggi la loro età pensionabile è 61 anni. Questo nuovo “scalone” avrà conseguenze modeste dal punto di vista inanziario: il governo calcola che, anticipando al 2012 l’innalzamento dell’età pensionabile, le inanze statali otterranno un risparmio complessivo di 1,45 miliardi di euro in otto anni, cioè tra il 2012 e il 2019. La misura, invece, ha un effetto negativo sull’adeguatezza e la modernità del nostro si-
Case sempre più costose stema previdenziale: la riduzione del margine di libertà delle donne nella scelta del momento di andare in pensione può avere conseguenze negative sul lavoro domestico e sulla cura degli anziani, attività che in genere sono svolte dalle donne. Ma c’è anche un aspetto positivo: andando in pensione più tardi, la maggior parte delle donne riceverà una pensione più alta. Una cosa da non sottovalutare, dal momento che rischiano particolarmente di avere un reddito molto bas-
so nella terza età. resta irrisolto un problema culturale: cambiare la ripartizione degli oneri familiari tra uomini e donne. Le vecchie regole, che erano meno rigide sulla scelta del momento di andare in pensione, erano una specie di ricompensa per la mole di lavoro domestico e di assistenza alla famiglia svolto dalle donne. ora le nuove norme dovranno essere accompagnate da un maggior equilibrio nella divisione del lavoro non retribuito. u
L’Australia è il paese dove i prezzi delle case crescono di più, scrive Die Zeit. A Sydney un appartamento su due costa almeno 450mila euro. Ma, grazie a un’economia che cresce senza sosta da quasi vent’anni, gli australiani non sembrano temere un crollo come quello che ha travolto gli Stati Uniti. Inoltre, la popolazione cresce del 2,1 per cento all’anno, generando una domanda di case costantemente superiore all’oferta. Molti esperti, però, segnalano che i prezzi immobiliari sono ormai fuori controllo e che aumentano le insolvenze tra i privati.
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Thingpart Joey Alison Sayers, Stati Uniti
Mr. Wiggles Neil Swaab, Stati Uniti
Strisce sai Mr. Wiggles, il segreto del sesso è che un bravo amante le lascia sempre con la voglia di farlo ancora.
BE', SIGNORA CAPERTON, SEMBRA CHE SUA MADRE ABBIA LASCIATO TUTTI I SUOI AVERI AL GATTO, SPRINKLES.
VORREI CHE FOSSI MORTO.
18 ANNI DOPO...
Be’, incredibile… anni e anni dopo finalmente ho trovato una di quelle pentole.
SPRINKLES HA LASCIATO TUTTA L'EREDITÀ AL SUO GIOCATTOLINO SQUEAKERS.
Solo che era piena di zuppa di mais, ed era alla fine di questo megabuffet di insalatone alla corsa dei cavalli.
Red Meat Max Cannon, Stati Uniti
Mia madre mi diceva sempre: “Earl, c’è una pentola piena d’oro alla fine di ogni arcobaleno”.
senti, è l'unica cosa che ho. lasciami almeno questa.
perciò quando tu finisci in 12 secondi e loro dicono “è già finito?" è una cosa positiva?
Macanudo Liniers, Argentina
e allora quando vi decidete a comprare un ombrello?
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Rob Brezsny
L’oroscopo BILANCIA
Secondo la mitologia hawaiana, di notte l’anima lascia il corpo per andare in cerca di avventure. Il luogo di partenza e di ritorno è il “pozzo dell’anima” (lua’uhane), che si trova nel canale lacrimale dell’occhio. Nelle prossime notti mi piacerebbe che mandassi in volo la tua anima attraverso quel pozzo, alla ricerca di imprese che risveglino la tua voglia di vivere. Porta con te le lacrime arretrate e versale come pioggia sul giardino segreto che ultimamente hai trascurato. Il giardino risponderà al diluvio con una crescita rigogliosa. ARIETE
Le fantasie di vendetta inquinerebbero la tua coscienza. Ti consiglio di reprimerle. Crogiolarti nel risentimento avrebbe un efetto deleterio. Non permettere a questo sentimento di dilagare. Le fantasie di piacere e di gioia, invece, anche se esprimono un illusorio desiderio di fuga, toniicheranno e raforzeranno la tua coscienza. Ti consiglio di abbandonarti a questi pensieri, di scatenare la tua immaginazione per esplorare nel dettaglio e con un pizzico di genio vari scenari di felicità. Come medico part-time della tua anima, non riesco a pensare a niente di più vantaggioso per la tua salute isica e mentale.
ILLUSTRAZIONI DI FRANCESCA GHERMANDI
TORO
Immagina che esista una Regina del cielo, una dea la cui presenza eccitante e allo stesso tempo calmante accendesse in te il desiderio di vedere la vita com’è davvero. Se fosse con te in questo momento, cosa le diresti? Le chiederesti aiuto? Cercheresti la risposta alla domanda più importante della tua vita? Le riveleresti i tuoi segreti e le racconteresti quello che hai sempre desiderato condividere, iducioso del fatto che lei può vederti come sei veramente? Ti consiglio di fare al più presto questo esercizio di fantasia. È arrivato il momento di ottenere aiuto dalla più alta espressione del potere femminile. GEMELLI
Cosa sta succedendo ai tuoi migliori amici? Cioè, cosa gli sta succedendo nel quadro generale delle cose? Il mio intuito astrologico dice che almeno uno di loro è a un punto di svolta del suo
ciclo a lungo termine e potrebbe avere bisogno della tua capacità di rilessione e dell’aiuto catalitico che puoi dargli. Prova a fare un esercizio: metti da parte tutte le tue idee su chi sono i tuoi alleati più stretti e cerca semplicemente di vedere il mondo con i loro occhi. Poi immagina come stimolargli la mente e il cuore. Sforzati di pensare ad alcuni modi per fondere la tua forza vitale con la loro e permettergli di vedere più lontano di quanto non riescano a fare da soli.
In un ilm di fantascienza che sta per uscire, The adjustment bureau, Matt Damon recita la parte di un politico ambizioso. Tutto va bene inché non s’innamora di una ballerina. A quel punto arrivano i rappresentanti di una misteriosa organizzazione e lo avvertono che, se resterà con lei, non realizzerà mai i suoi sogni. “Siamo quelli che fanno in modo che tutto proceda secondo i piani”, dicono. “Controlliamo il mondo intero”. Sono lieto di informarti, Bilancia, che questa situazione è totalmente inventata. Non esiste nessuna “squadra riparazioni” né in terra né in cielo. È anche vero, però, che in mancanza di un progetto preciso è più probabile che siano gli altri a inluenzare il tuo destino. Perciò datti da fare. È il momento ideale per formulare un piano o per ainare quello che hai già.
Secondo il mio parere di astrologo, dovresti prestare più attenzione a tutto quello che nella tua vita è a livello embrionale. Dovresti risvegliare la tua capacità di amare in modo intelligente e dirigerla con la massima intensità verso le opportunità che stanno germogliando. Verrà il momento in cui dovrai imporre ordine e disciplina alle cose che crescono, ma ora non è necessario. Nutrile con abbondanza. Sii generoso. Divertiti a inondarle di cure vitali. VERGINE
Una ragazza che conosco è stata invitata a una festa dove avrebbe avuto l’opportunità di incontrare Devendra Banhart, il suo cantante preferito. Guardandosi allo specchio prima di uscire, ha visto che aveva un foruncolo sul mento e l’ha spremuto. Un grave errore: il suo aspetto è peggiorato. Presa dal panico, ha continuato a stuzzicarlo ululando dal dolore e la piccola imperfezione è diventata una catastrofe. Un quarto d’ora dopo, sconitta e in lacrime, era a letto a mangiare cioccolata. La morale della storia è: lascia in pace le tue piccole imperfezioni.
CAPRICORNO
Nelle grandi città pachistane gli organizzatori delle manifestazioni politiche fanno sempre in modo che tra la folla spuntino dei cartelli in inglese. In questo modo è più probabile che la loro protesta venga ilmata da tv come la Cnn e mostrata al pubblico statunitense. Prendi esempio da loro quando progetterai la tua prossima iniziativa, Capricorno. Non sarà suiciente dire quello che vuoi dire ed essere quello che vuoi essere, devi far arrivare il tuo messaggio a chi ha il potere di cambiare quello che va cambiato. ACQUARIO
Gli Stati Uniti sono il paese più potente del mondo dal punto di vista politico, economico e militare. La Cina sta cominciando a fargli concorrenza in tutti e tre i campi ma non può competere in termini di soft power, l’inluenza culturale. Lo stile, l’arte, le idee e le forme d’intrattenimento statunitensi sono considerati più attraenti di quelli cinesi. Dato che stai entrando in una fase in cui potrai aumentare la tua inluenza e la tua autorità, Scorpione, ti consiglio di puntare sul soft power. Otterrai molto di più afascinando le persone con la tua intelligenza, che non cercando di manipolarle o costringerle a fare qualcosa.
Lancio un appello al ribelle che è nel tuo cuore, non al ribelle rancoroso e vendicativo che hai nel cervello, ma a quello gioioso e pieno di desideri che hai nel cuore. Chiedo a quel tenero rivoltoso di ribellarsi ai comportamenti narcisistici. Non deve aggredire e mettere in imbarazzo chi si comporta in questo modo, ma cercare di girare intorno al problema dando prova di empatia e compiendo atti di estrema compassione ed esuberante gentilezza. Secondo la mia analisi dei presagi astrali, il tuo compito è diventare una squadra di demolizione, composta da una sola persona, in grado di abbattere la noiosa inerzia dell’egoismo grazie al tuo premuroso interesse per il bene di tutti.
SAGITTARIO
PESCI
Penso che per te sarebbe molto salutare varcare un conine per esplorare quello che c’è dall’altra parte. Potresti anche avere voglia di riconsiderare un tabù che non metti in discussione da un po’ o una formula che pensavi di non dover mai cambiare. Secondo me, impareresti molto anche provando a spostare leggermente un limite che inora hai ritenuto inamovibile. Detto questo, non ti consiglio di andare oltre. Se hai
Dato che la ripresa economica tarda ad arrivare, molti disoccupati hanno deciso di prendere in mano la situazione e l’imprenditoria privata va a gonie vele. Ti consiglio di fare come loro. Anzi, nei prossimi mesi auspico una rivolta imprenditoriale di tutti i Pesci. Anche se hai già un lavoro, è il momento ideale per creare il tuo lavoro perfetto, scavarti una nicchia speciale o sognare un ruolo adatto alle tue capacità uniche.
SCORPIONE CANCRO
proprio voglia di saltare il conine, infrangere il tabù e abbattere il limite, sii molto prudente. Cerca di sapere esattamente dove stai andando e quali potrebbero essere le conseguenze.
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LEONE
COMPITI PER TUTTI
“L’universo è pieno di cose magiche in paziente attesa che le nostre facoltà mentali si ainino”. Che ne pensi di questa frase di Bertrand Russell?
bennett, chAttAnoogA tImes Free press, stAtI unItI
L’ultima
gAdo, the dAIly nAtIon, kenyA
el roto, el pAís, spAgnA
Il cane da guardia d’America.
“bisogna impedire che la fuga di petrolio arrivi alle coscienze!”.
kAplAn
dIlem, lIberté, AlgerIA
“72 vergini!? Arrivano tutti qui con la stessa storia”.
Afghanistan, obama vuole trattare con i taliban. “posso parlare con suo marito?”.
“Facciamo così: invadiamo il picnic, restiamo cinque minuti e ce ne andiamo”.
Le regole Centro commerciale 1 Impuntarsi per trovare un parcheggio accanto all’ascensore signiica partire con il piede sbagliato. 2 rinchiudersi in un centro commerciale in una giornata di sole è triste. 3 Quando la temperatura supera i 35 gradi, ignora la regola precedente. 4 Ammortizza il viaggio spendendo almeno 500 euro. 5 se è più di un’ora che giri nel parcheggio in cerca della tua auto, non chiamare la polizia: chiama un taxi. regole@internazionale.it
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Internazionale 856 | 23 luglio 2010
Preparate le valigie: dal 30 luglio in tutte le edicole c’è un numero speciale di Internazionale
Viaggio Centotrentadue pagine di reportage, racconti di viaggi e immagini dai quattro angoli del pianeta