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Nota editoriale di Fabrizio M. Rossi
Emilio Salgàri (Verona, 1862 – Torino, 1911) fu senza dubbio un grande sognatore, ispiratore a sua volta di sogni esotici e d’avventura di generazioni intere. Egli stesso alimentò la leggenda che i suoi scritti fossero frutto di sue esperienze di viaggio, tanto reali quanto sfolgoranti; non era vero, e piuttosto per lui la scrittura era un modo – in certa maniera comunque reale e sfolgorante – per evadere dall’orizzonte ristretto della vita borghese e provinciale. Ciononostante, o forse proprio per questo, la suggestione delle sue opere più rappresentative fu irresistibile, almeno per il ragazzino che ero quando, costretto a letto da qualche malanno stagionale o dell’età, mi immergevo in furibonde e interminabili letture delle prodezze di Sandokan e Yanez o dei corsari dei Caraibi; noncurante degli inviti dei miei genitori a non stancarmi, mi nascondevo sotto le coperte a leggere montagne di quei libri alla luce di una torcia elettrica, ben deciso a terminarli tutti prima della mia guarigione. Il passo successivo fu Conan Doyle, quindi Poe e Dumas, ma questa è un’altra storia.
Sono certo di non essere stato il solo a venire attratto, in modo persino compulsivo, da quel sognatore. Per decenni i suoi innumerevoli racconti e i più di ottanta romanzi vennero inseriti nelle collane “giovanili” e spesso pubblicati senza troppi riguardi verso la correttezza redazionale o addirittura l’autenticità piena del testo. Solo nel decennio 1960–1970 iniziò un’attività di ricerca filologica che portò a edizioni rispettose della scrittura di Salgàri, pur con tutti i suoi limiti formali e strutturali; penso al lavoro di Spagnol e Turcato, che condusse ai diciannove volumi contenenti i lavori maggiori di questo autore. Ma io allora ero già cresciuto quanto bastava, e i suoi libri già tutti divorati e digeriti, fossero come fossero.
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Poco tempo fa, dunque molto tempo dopo, mi sono accorto che questo Viaggio della Stella Polare mi guardava da mezzo i libri che furono di mio padre, grande estimatore di Salgàri (e insisto sull’accento al posto giusto, dove lo metteva il suo titolare firmandosi, e facciamocene una ragione). A farmi l’occhiolino era una prima edi-
Nota editoriale
12 zione di questo testo, dall’aria molto vissuta e molto fin de siècle, che, all’ultimo, ha avuto la meglio sulle mie resistenze e mi ha riportato indietro nel tempo: nel mio e in quello di Salgàri. La trappola tesami dagli scaffali della mia biblioteca si è chiusa su di me, piccolissimo editore bibliofilo, quando ho associato idealmente al libro alcuni quadri di Màlgari (questa volta l’accento è davvero sdrucciolo) Onnis, dipinti dopo un suo viaggio nelle regioni polari: les jeux sont faits, ed ecco Il viaggio della Stella Polare nel terzo millennio.
In quest’occasione Salgàri si era ispirato a una storia vera: la spedizione verso il Polo Nord guidata da Luigi Amedeo di Savoia, duca degli Abruzzi, fra il 1899 e il 1900. Il libro uscì già proprio alla fine del 1900 come “strenna di Natale” – un instant book, diremmo oggi – basandosi sulle dichiarazioni del duca e su articoli pubblicati su giornali e riviste.
Le intenzioni dell’autore sono dichiarate nella sua dedica Ai miei giovani lettori: «rendere popolare, attraente e istruttiva la storia dei viaggi polari, dall’ultimo dei quali la nostra cara Italia ha gloria e onore». Un vero manifesto di tutta l’opera salgariana, che voleva essere appunto popolare, attraente e istruttiva (ricordate le sue talora estenuanti descrizioni naturalistiche seminate qua e là nel bel mezzo di imprese mirabolanti?). In più, e non di poco rilievo, c’è quella “cara Italia”, e la sua gloria e l’onore. Era l’Italia, da poco unita dai Savoia, che cercava a tutti i costi e in tutta fretta un posto alla pari con le altre nazioni già alle prese da tempo con le esplorazioni geografiche, corredo essenziale del colonialismo: così fan tutte, perché non l’Italia? La Società geografica italiana era stata fondata nel 1867 a Firenze, allora capitale del Regno d’Italia, per trasferirsi poi nel 1872 a Roma, nuova capitale da un anno.
Salgàri s’infervora nel narrare le gesta del “giovine duca”, esibendo un lessico punteggiato di “ardenti” e “animosi”, “bollenti” e “focosi”, forse per sbrinare le gelide atmosfere iperboree, chissà; o magari per farci venire il sospetto che una certa retorica italiana non nasca col fascismo ma affondi le sue radici nell’Ottocento
sabaudo, al pari delle pulsioni coloniali; et de hoc satis. Di certo c’è un tono encomiastico e adulatorio nei confronti del potere monarchico, tono che abbiamo cercato di mitigare abolendo la Selva di Maiuscole, di Altezze Reali, Re e Regine, Augusti Príncipi, Duchi e Conti; siamo ormai in Democrazia, del resto.
Al di là di questa deferenza, Salgàri si attiene al programma esposto nella dedica; così mescola al resoconto del viaggio le sue già citate descrizioni naturalistiche – talvolta sfiorando le vette del lirismo, come nella descrizione delle notti artiche – ma anche la storia e le storie delle esplorazioni artiche. Là dove mette in secondo piano l’intento didattico piú puntiglioso sa come avvincere il lettore, sia che parli delle cose della natura, sempre superlativa e sorprendente e degli uomini antagonista, sia delle gesta di quegli uomini (poiché di donne non v’è traccia, in quelle gelide regioni, se non nei «doni generosi della buona Regina» o nelle «brave madri» eschimesi).
Tornando alla selva di maiuscole abolite: questa non è un’edizione filologica, non se s’intende una replica della prima edizione, e me ne assumo la responsabilità. Siamo intervenuti sui refusi, naturalmente, ma anche sui toponimi (che sembrano basati su una nomenclatura geografica tedesca) adeguandoli ove possibile a quelli oggi in vigore e segnalando con un asterisco quelli che non siamo riusciti a rintracciare. Tutte le note al testo sono di Salgàri stesso, non essendoci sembrato opportuno aggiungerne (salvo tre, per noi indispensabili, fra parentesi quadre) per non insistere sull’aspetto didattico. Siamo infine intervenuti anche su alcune delle forme ortografiche, grammaticali e sintattiche dell’italiano ormai desuete, con l’intenzione di rendere il testo più agevolmente leggibile al giorno d’oggi. Ci auguriamo di aver reso un servigio al lettore e, magari, a Salgàri stesso, proiettandolo un po’ nel nostro presente.
Questo libro è dedicato ai miei figli: Fedro, il geografo bibliotecario, e Tancredi, il viaggiatore musicista.
Fabrizio M. Rossi
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IL VIAGGIO DELLA STELLA POLARE
Ai miei giovani lettori
Per vostra strenna di Natale quest’anno ho scritto il presente racconto, desunto dagli articoli pubblicati dai giornali e dalle riviste scientifiche, sul viaggio della Stella Polare verso il Polo Nord. Con questo ho avuto in animo di magnificare uno dei tanti ardimenti gloriosi dovuti ai figli di casa Savoia.
La relazione ufficiale, che il duca degli Abruzzi sta preparando, è destinata agli scienziati; il racconto che ho scritto per voi, invece, è tessuto su quanto l’augusto principe ha comunicato alla stampa e al pubblico; ma vi ho intercalato quanto si conosce sulle regioni iperboree, cercando di rendere popolare, attraente e istruttiva la storia dei viaggi polari, dall’ultimo dei quali la nostra cara Italia ha gloria e onore.
A voi il dirmi se la meta che mi sono prefisso è stata raggiunta.
Torino, dicembre 1900.
Emilio Salgàri