Il Barlume A1 N6

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IL BARLUME

Anno 1 Numero 6– Giugno 2007


EDITORIALE

Estate, che hai creato il nostro amore. Giunta. Tarda, calda tetragona primavera estiva. Siamo tutti di buon umore, come Pavese nel ’50. Era estate. Il Barlume va, contatti sulla piattaforma dei contatti, www.myspace.com/barlume, presto ve ne renderemo conto pubblicando materiale di autori che fino ad ora non avete visto, letto, sentito. Non abbiamo rapporti con i nostri vicini, in compenso creiamo identità più o meno verosimili per coetanei bielorussi. No Sex Cam. Magnifiche sorti e progressive, convegni sulla famiglia. Avremmo voluto esserci, ma dovevamo finire una partita di Freecell. Grande novità del mese, il riso. Pubblichiamo una lunga e sostanzialmente inconsistente, ma assai profonda in verità, acuta ma largamente già dettata, teologica ma niente più che soggettivistica, lettera. La prima parte, siamo giunti anche noi al feuilletons. La seconda, o terza, vediamo in quante parti suddividerla, ovviamente in base ai più biechi e personalistici capricci degli editori, sarà o saranno pubblicate nei prossimi numeri. Lo stile è enormemente sardelliano e borzacchiniano (sardelliano: da Federico Sardelli – borzacchiniano: da Ettore Borzacchini, entrambi autori o ex tali del Vernacoliere). Una precisazione: non abbiamo citato approssimativamente, né ci siamo ispirati. Per larga parte abbiamo più intellettualmente plagiato. La novità sta anche nel contenuto. Fin qui ci siamo più volte interessati di Dio e del rapporto con le istituzioni religiose, ma sempre parlando della Chiesa Cattolica. Adesso tocca anche un po' ai Testimoni di Geova, oppio per un altro popolo. Prima di questo, concedetecelo, cinque minuti dopo mezzanotte di occhi nell’ora più dolce e maledetta. Per finire come al solito per consigliarvi un album. Un abbraccio di carne viva. DePiCo Il Barlume - Anno 1 - Numero 6 - Giugno 2007

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CINQUE MINUTI Alessando Baglione Cinque minuti di mezzanotte non si deve parlare perciò avvicinati rintracceremo i nostri occhi in questo buio di pece come sempre abbiamo fatto arido e stopposo come il cuore di Trinacria mi fece per lunghi anni pietroso lo lasciai, intatto mai pensai a bonifica rassegnatosi infine a dolere stupido bruto malfatto non l’amore che leggero scorre, ma l’amore che paziente ara, vivifica che importa? Fummo gente di valore noi nodoso profumato legno di pino perché dinanzi ho solo desiderio genuino voglia di carne dolce, dimentico: sono inesperto eccedo in tutto indovinando in nulla sono tornato bambino, infante nella culla perché certo è desiderio genuino ma mi inganno parlando di carne che sazierà in seno al buio questa notte io non ti toccherò ti cerco gli occhi di fronte a me e a l’oscurità siamo gente di valore noi, li troverò.

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LETTERA Denni Romoli La presente fu composta anni fa, in una notte insonne di patchwork e delirio avvinazzato, dove mi prefissi scopo ambizioso e ultramondano di redigere l’ufficial memoria di un amico, E., e della casta religiosa a cui apparteneva. Come ogni ateo, sono un fervente ammiratore delle religioni, curiosamente sopraelevate dal mio spirito. In tal senso, ho tentato di ammiccare a certi vezzi e costumanze stereotipate dei Testimoni di Geova, ricavati dalla conoscenza di E. e di alcuni rappresentanti dei TG. Ero impressionato dalla incrollabile rigidità interpretativa, dalla costante presenza del rassicurante tetto di Casa Geova e dalla disumanità, a mio avviso, di certa ideologia vetero-testamentaria. So di non giovare alla sacralizzazione del divino con il presente lavoretto, ma spero che i personaggi assumano una veste decisamente più carnale, consistentemente ondivaga, ambigua, sessualizzata, scornata e derisa. Umana. L’amico in questione, E., si era ritirato con intenti amoroso-lavorativi nella desolata Belluno, il cui unico onore geografico possiede, ad opinione dell’autore, nell’aver dato i natali a Dino Buzzati (una prece alla memoria). Quelle che riconoscerete come citazioni non sono citazioni, sono semplicemente dei plagi, accostati a mio esclusivo piacimento. Per il resto, che Dio sia con voi e con il vostro spirito. Mio lontano amico, come stai? Le tue impressioni ed i tuoi vissuti, relativi all’esperienza bellunese, sono sicuro saranno oggetto della tua missiva in risposta alla presente e, perciò, non ti tedierò oltremodo con futili domande alle quali sono sicuro darai soddisfacente risposta. Ho piuttosto intenzione di parlarti della tua religione da un punto di vista certamente inusuale per te, giacché proveniente dal basso volgo di stanza in Toscana e zone limitrofe, con alcuni accenni alla desolata piana di Belluno nella quale ormai, purtroppo per te invero, soggiorni. In particolare, sai che mi interesso attivamente delle complesse dinamiche psicologiche che intercorrono tra quegli esseri che siamo soliti definire, banalizzando costrutti certamente più arditi, Uomo e Donna. La pletorica crestomazia di testimonianze, raccolte in anni e anni di studi sul tema, mi porta ad esporti succintamente quanto esizialmente parole e accadimenti di personaggi di varia estrazione e lignaggio che hanno palesato, a riguardo delle tematiche sessuali, un apparentemente irrisolvibile paradosso che comporta il perpetuo oscillare tra una posizione edonistico-epicurea (“I want it all and I want it now”, Queen, The Miracle, 1989) e quella stoicoortodossa (“Che fretta c’era, maledetta primavera”, Loretta Goggi, Ed. Colera, 1965) attorno alla domanda che a guisa di spada di Damocle pende sulle teste del popolo di Geova: «ma sostieni che Dio s’incazza se scopiamo prima del matrimonio?» («but do you say God is angry if we fuck before the wedding?», conversazione registrata nel bosco di Galceti, estate 1996), la cui risposta, per il momento, resta celata nel mistero e alla quale le testimonianze che mi appresto a narrarti non pretendono di dare risposta, ma solo di riportare l’esperienza arbitraria di tanti bencreati individui. Le suddette fazioni edonistico-epicurea e stoico ortodossa per anni si sono contese la palma del vincitore in tale disputa teorica, ad ogni modo e sempre impostando la discussione in maniera estremamente formale e improntandola conformemente agli stilemi della più rigida etichetta vittoriana (lanci di molotov, secchiate Il Barlume - Anno 1 - Numero 6 - Giugno 2007

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di piscio bollente in occasione della passeggiata domenicale, sputi, mase sul capo, rincretinimento a furia di nocchini, morsi del ciuco, fionde riempite di sterco, gomitate sulla schiena, reciproci e malevoli aneddoti, emissione violenta di siti venefici al cinema al solo fine strategico di far evacuare rapidamente gli appartenenti alla fazione opposta ed assistere così alla proiezione con maggior comodità). Prima di lasciare spazio alla parola secolare di questo popolo ed intendendo farti cosa gradita, annuncio che alcuni dei brani testé riportati sono estrapolati dal mio ultimo lavoro, a mo’ di cronaca acconciato per offrire alla cultura un contributo di cui perfino la Storia (e dico Storia) mi sarà riconoscente (Denni Romoli, “Eros,

Thanatos e chi più ne ha più ne metta, come disse quello con tre cazzi – Fenomenologia della res extensa penis nella vita quotidiana dei Testimoni di Geova toscani e veneti” – Ed. Daitarn3, 2000). Abbandonato l’accennamento di virile auto-compiacimento letterario, passo ad esporti quanto finora annunciato, ma non ancora reso pago. Quale iniziativo, eccoti alcune considerazioni che faranno apparir quelle del sottoscritto vieppiù stantie e malconce, se confrontate con quelle dell’esimio maestro e amico professor Remigio O’Scannamelo (Remigio P.P.I. O’Scannamelo, titolare della cattedra di Solirario su Windows e Frenulectomia alla Mountmurlo University di Prato e autore del ponderoso saggio “Io e la Ginetta, quella che s’era fatta Testimone

di Geova a vent’anni, oh, non ci crederai ma non me l’ha data, mai e poi mai, ciò provato in mille modi, neanche un’occhiatina di sguincio, eppure le avevo masterizzato il CD di Tiziano Ferro, le ho comprato 10 salvaslip per tanga e una caraffata di Tennent’s”, Ed. Spogliatoi del Benfica, 1954) il quale, rilevando la maliziosa costumanza delle donne testimoni di Belluno di non portare biancheria intima in occasioni speciali (in realtà nei giorni dispari e in quelli pari solo il perizoma) era solito pronunciare, nel falso alessandrino tanto caro al Pasolini de “Le ceneri di Gramsci”, «La donna di Belluno / ha qualcosa di divino / pur se ancora a digiuno / mi rintano nel casino», enfatizzando in tal modo un irresistibile desiderio sessuale tanto intenso da provocare un traboccamento pulsionale che lo costringeva ad appagare i suoi più primordiali istinti in posti di dubbia fama. Da chiosare che tale affannosa ricerca della congiunzione carnale si manifesta in un desiderio abnorme che sfida le leggi della fisiologia umana e sembra quasi avulso alla psicologia del piacere (altrove detto arrampinamento sulla fia, in special modo nelle zone di Livorno come il Bar Casati davanti all’edicola del Fiaschi, quello che la moglie gli ha messo più corna in capo di un cesto di lumache, prima col macellaio e poi col garzone del falegname, che con la scusa di rifare gli infissi alle finestre glielo pennellava nel tascapane), manifestantesi, vogliamo precisarlo, con una frequenza statisticamente significativa nei testimoni di Geova (3-4 volte superiore rispetto a cattolici, monsignor Milingo, camionisti, carrozzieri). E’ rinomata peraltro l’usanza, in vero non certo rispettatissima e sulla quale avremo modo di disquisire in seguito, tra gli adepti della religione in questione, di praticare il coito unicamente dopo aver espletato le pratiche burocratico-religiose inerenti il contratto matrimoniale, che sanciscono vita natural durante l’unione di due spiriti in sempiterna armonia («culo e camicia» sosterrà il noto teologo cattolico Gargamella Abbondanzio Protti nel suo pamphlet “Fosse per me li metterei tutti al muro, loro e il budello di su’ ma”, Ed. Santi Licheri, 1975, che in tono conciliante, come d’abitudine tra gli altolocati rappresentanti del Il Barlume - Anno 1 - Numero 6 - Giugno 2007

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clero pontificio, cercava una base comune per intavolare una dialettica che consentisse d’interloquire con membri d’altre religioni). Tra i più insigni rappresentanti del culto di Geova, vorrei porre l’accento su mio cognato Oreste che mi conferma, a sua onta e disonore ed a rischio di pubblico ludibrio, che prima di sposarsi, in vacanza con gli amici a Lipsia, si faceva fare dei bei ciuccioni da Ausonia Miratopa, cassiera occasionale presso il caffè Alighiero Barsporten, commentando così l’accaduto: «Avrò anche peccato, ma leilì ciaveva due puppe parevano i cassonetti del vetro», evidentemente rammaricandosi del malfatto ma al tempo stesso rimembrando sornione i funambolismi sessuali dei suoi verdi anni. Altra testimonianza, d’importanza oserei dire storica (e nota, dico storica), ci proviene dal Gasparri-Pudovkin (Theudofridus Gelasio Gasparri-Pudovkin, emerito professore di Antropologia Culturale e di Anguria con la Vodka alla Saint Roman University di Fucecchio e autore di “Si stava meglio quando

si stava peggio”, Ed. Punkabbestia, 1999) al riguardo della venditrice di bigiotteria Liboria di Siena che, seppur in procinto di convolare a giuste nozze con il fidanzato Carisio Ludovici, era solita farsi passeggiare sul monte di Venere dall’astuto vinaio Basilio Virgulti, accreditato assaggiatore di Tavernello presso l’enoteca “Boris”, nonché famoso nella bassa pisana per il suo soprannome, “Cavalletto”, in virtù dell’eccezionale dote di evitare le flessioni suppletive inflitte dal professore di ginnastica al liceo reggendosi unicamente sul membro virile eretto per l’occasione. Ci sembra inoltre d’uopo riportare gli studi di Semiramide Montalban, appartenente alla fazione epicurea, il quale, scartabellando nei suoi studi giovanili sui Vangeli Apocrifi, aveva rinvenuto in una pergamena del Palinsesto di Follonica un intero passo del rinomato Vangelo di San Gianetto La Melma dove un falegname di Nazareth, tale Nereo Pannocchia, accoglie la moglie Iolanda, la quale gli ha appena comunicato di essere stata messa incinta dall’Arcangelo Ubaldo, rivolgendosi a lei con il saluto «Maaledittam Troya», che nel dialetto dei falegnami della Galilea significa “Salve a te, o Piena della Divina Grazia, tu indubbiamente sei la prescelta dal cielo e se ti prendo ti tronco la schiena dalle legnate”. Il suddetto Montalban, ritenendo la fazione avversaria diretta discendente del falegname in questione, secondo alcuni suoi studi genealogici, rimprovera loro un malcelato moralismo, nonché palese mancanza di rispetto circa i voleri del Signore. Va rilevato che tale tesi ha sollevato numerose diatribe nonché opposizioni, fra le quali la maggiormente coerente e valida ci appare quella del testimone Remo Saltymbanky-Murnaü (1870-1958, alchimista, ritenuto l’inventore della pettinatura col riporto, ebbe contatti con il Pascoli, di cui trombò reiterate volte la sorella Maria, guarì dalla diarrea coatta la famiglia Agnelli dopo il crac americano del 1929 e ancora sue sono le note esperienze scientifiche per levarsi in aria con la sola spinta dei gas intestinali), che nel suo famoso opuscolo “Per me le donne o son sante o son troie” precisa che la testimone di Geova, per essere considerata donna dabbene, deve evitare “ (…) di far dei suoi pertugi ed orifizi ricettacolo d’ogni materia carnosa, come invece fa la mia nipote di Belluno che sui bagni dell’Istituto Magistrale c’era scritto «se le puttane volassero, tua madre dovrebbe darti da mangiare con la fionda»”. Si moltiplicano nel corso degli anni le testimonianze di matrice veneta che Il Barlume - Anno 1 - Numero 6 - Giugno 2007

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avvalorano la tesi del Saltymbanky-Murnaü, ritenuto da più parti padre totemico della fazione stoica, mentre viene valutato dagli avversari «più odioso della merda pestata», come ebbe a dire il peripatetico (ma malinconico) professor Etienne von Leroy, ordinario della cattedra di Manipolazione Orale e Manuale presso l’università di Durazzo, convertitosi alla religione di Geova dopo l’improvvisa morte dell’odiatissima cognata Kitergiata, strenua sostenitrice del mantenimento della verginità femminile ad libitum.

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PRIMO: NON RECENSIRE Costanza Maremmi

Volontà di far del male e necessità di proteggersi. Neanche nel tuo posto puoi stare al sicuro, ma sai dove chiedere aiuto. L’oscurità e il mal di testa impongono scelte obbligate. Giocattoli e abbracci rimpiazzati da una voce compatta ma intensa. Lei si crea intorno paesaggi onirici, lunari, di ombre accennate e riflessi d’acqua. Lei mi dipinge le unghie di nero, accentua lo scuro delle palpebre, scioglie i capelli e mi porta in posti dove le foglie s’incrinano sotto la pressione dei piedi scalzi. Campanelli che si avvolgono al collo a scandire il tempo durante la marcia. Aloni di chitarre acustiche, profondi tonfi di batteria e scariche di note elettriche a sei corde. Innesti discreti di archi. Attacchi di corrente elettrica amplificata e teneri affondi in tenere cavità. I movimenti conoscono il percorso e arrivano lenti tra il calore e l’umidità. L’odore acustico crea contrazioni nervose e involontarie. Lei è la tua bambina e so che appartiene a te. Finale di velluto. Mazzy Star “So tonight that I might see”, 1993.

Le foto di questo numero sono state scattate da Costanza Maremmi

Il Barlume

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Mensile fondato e diretto da Costanza Maremmi

c.maremmi@barlumismo.org Denni Romoli

Anno 1 Numero 6 Giugno 2007

Il Barlume - Anno 1 - Numero 6 - Giugno 2007

d.romoli@barlumismo.org Emidio Picariello

e.picariello@barlumismo.org

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