IL BARLUME
Anno 1 Numero 12 - Dicembre 2007
EDITORIALE Come attraverso uno specchietto retrovisore, il nostro sguardo si posa sulla copertina del Barlume numero 0. Il ciglio si inumidisce, lo sguardo comunque orgoglioso della nostra creatura. Certo, un figlio particolare: frutto dell’unione di tre distinti gameti, due maschili e uno femminile, non parla, ma scrive, si sveglia una volta al mese, ma in realtà non dorme mai; non vede, ma fa vedere… insomma, nostro figlio è proprio bello. Soprattutto nostro e anche vostro, tanto che questo mese il Barlume si popola di vecchi e nuovi amici, in un numero speciale dalla lunghezza inusitata e dalla bellezza sopraffina. Siamo commossi, tanto che non riusciamo a trovare altre parole… Questo mese lo chef ha preparato per voi: 1. Davanti agli occhi di Denni. Davanti agli occhi, ad un passo da noi. Non invisibile agli occhi, anzi, forse troppo visibile. 2. Con gli occhi di W.E. ci spostiamo di lato, dalla parte di chi riteniamo non sia più in grado di vedere. Sbagliandoci, ovviamente. 3. Specchio di Valentina Santini. La nostra nuova collaboratrice vi condurrà in uno dei possibili inferni, l’inferno dell’Altro (sì, è proprio una parafrasi di Sartre…) 4. Il giorno in cui Giovanni Rana è venuto a casa mia di Riccardo Tronci. Buon pranzo signori. 5. Ciao di Alessandro Baglione. Un addio, un altro, l’ennesimo. 6. Brandelli di Cuore d’Asino. Estratti dal libro di Emidio. 7. A gift for you da Costanza e Denni 8. Fotografie: questo mese, oltre alla nostra Cos, ecco Gabriella Galli, psicologa barlumista. Vi segnaliamo inoltre che dal 17 al 22 dicembre si terrà, presso la Casa del Teatro Lia Lapini in via Aretina 32 a Siena, all’interno della rassegna TeatrInScatola (per maggiori informazioni www.straligut.it), la mostra di immagini e parole “BAR-LUME” di Costanza Maremmi (featuring Denni Romoli and Emidio Picariello). Ci raccomandiamo, accorrete numerosi.
Buona lettura
DePiCo
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DAVANTI AGLI OCCHI Denni Romoli Vi è più ragione nel tuo corpo che nella tua migliore saggezza. E chi sa a quale scopo per il tuo corpo è necessaria la tua migliore saggezza. F. Nietzsche I’m not young enough to know everything A Emidio, Emanuele, Andrea « Senta, signore, sa dove posso trovare la felicità? ». « Come piccola? ». « La felicità. Sa dove posso trovarla? Mia mamma mi ha detto che si trova molto molto lontano, così lontano che è davanti agli occhi. Mamma mi ha detto che devo camminare tanto tanto, così tanto che basta un passo. Non ci ho capito molto. Io non ci capisco niente. Lei sa dirmi dove si trova?». « Certo piccola, io sono un padre di famiglia, e i padri di famiglia sanno sempre come trovare la felicità per sé e per i propri cari. Allora, lo vedi quel palazzo verde dalle pareti sbreccate? Da quel punto in poi entri in via dell’Umiliazione, imboccala e prosegui sempre a diritto. Mi raccomando, non ti fermare a parlare e non chiedere niente a nessuno. Alla fine della strada troverai l’Arco di Trionfo delle Stelle, salici sopra e, quando si sarà fatta notte, guarda dentro al cannocchiale. Io ci porto sempre i miei figli, così imparano dove dovranno andare da grandi. Lì troverai la felicità. Ciao piccola ». « Ciao signore, grazie ». In cuor suo sollevata - “Pensa che fortuna, ho trovato la strada giusta al primo tentativo, che bravo quel signore. Menomale ci sono i papà.” - , la bambina si avviò lungo la strada insegnatale dal padre di famiglia. Però che strada buia, buia come il pozzo, anche se era ancora giorno: tutte le persone che incontrava portavano abiti scuri, grigi perlopiù, e sembravano respirare a fatica! Gli occhi poi sembravano rosicchiati dai topi. La bambina si ripeteva di non rivolgere la parola a nessuno, come le aveva raccomandato il padre di famiglia, ma quando vide un negozio di frutta non poté fare a meno di fermarsi incantata davanti al cesto delle mele, rosse e tonde, rose nel deserto. Si avvicinò cauta alla cesta e, alzando lentamente il capo, chiese al padrone del negozio, un omino striminzito dalla pelle cadente, se poteva prendere una mela. « 5 soldi brutta bambina » rispose il padrone con la voce gelida. « Ma io non ho soldi signore! » replicò quasi afona la bambina. « Come ti permetti, piccola e insignificante bambina, ti chiedermi una mela senza avere i soldi? La cinghia ti meriteresti, altro che una mela. E ora vattene, brutta e piccola bambina» Il volto della bambina scolorì di colpo, il respiro sembrava un flauto rassegnato, le vesti si fecero di colpo strette strette. La bambina scappò via, e passando davanti ad una vetrina, vide fugacemente la sua immagine. “Accidenti, sono diventata uguale a tutte quelle persone grigie”. Così pensando, la bambina arrivò senza accorgersene all’entrata per l’Arco di Trionfo delle Stelle. Il Barlume - Anno 1 - Numero 12 - Dicembre 2007
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L’Arco di Trionfo delle Stelle era una grande costruzione di forma semi-circolare che, a mo’ di ponte, univa le due sponde della città in cui abitava la bambina. Era enorme ed altissimo, sui lati vi erano dipinte le stelle più alte e lucenti, i pianeti più famosi e la luna durante tutte le sue fasi. Al centro si trovava un enorme cannocchiale, proprio come aveva detto il padre di famiglia. La bambina raggiunse il centro dell’Arco di Trionfo delle Stelle ed attese che si facesse notte. “Accidenti come sono in alto” pensava, “da qui sembra tutto più piccolo”. E, piano piano, sentì dentro di sé che qualcosa si stava gonfiando, era la famosa valvola dell’Orgoglio, che si trova proprio in mezzo al petto. “Come sono grande da qui, come sono alta, e voi invece siete così piccoli”, fantasticava rivolgendosi alle piccole sagome di uomini che vedeva muoversi indistinte lungo la strada sottostante, e in particolare al padrone del negozio di frutta! Giunta la notte, la bambina guardò dentro il cannocchiale e vide, meraviglia, le stelle proprie vicine a lei, poteva quasi toccarle, la luna che la illuminava, i pianeti che le danzavano attorno. “Che bello” - si diceva - “posso anche parlare con gli abitanti degli altri pianeti, se ce ne fossero. Ehi, c’è nessuno?”. Ma nessuno le rispondeva. La bambina provò a chiamare gli abitanti degli altri pianeti, ma non c’era proprio nessuno! E, improvvisamente, sentì un freddo pungente propria alla punta delle mani. In più, si accorse di essere proprio sola sull’Arco di Trionfo delle Stelle. Che paura, tutta sola nella notte! La bambina si spaventò così tanto che corse via, dirigendosi senza pensarci sull’altra sponda del fiume. Giunse così la mattina e per strada non c’era proprio nessuno, tranne una donna piccola piccola, che stranamente rideva, rideva, tutta sola, ballava, cantava e rideva da sola. La bambina si avvicinò alla donna, che le disse: « Come sei buffa, tutta pallida. Mi fai morire dal ridere ». La bambina non capiva cosa ci fosse di tanto divertente... ad ogni modo chiese alla donna: « Senta signora, io sto cercando la felicità. Lei sa dirmi dove si trova? L’ho già chiesto ad un signore, un padre di famiglia, ma credo che si sia sbagliato» « Ah ah » rise la signora piccola piccola, «certo che si è sbagliato. Non devi chiedere ai padri di famiglia, loro non lo sanno mica dove si trova la felicità. Ti dirò io la strada giusta. Allora, la vedi
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quella piazza? Quella è Piazza della Vergogna. Attraversa la piazza, dopodichè tieniti a sinistra: lì c’è il Cortile della Stupidità, entra dentro e troverai la tua felicità. Mi raccomando, quando passi per Piazza della Vergogna non guardare nessuno, nessuno, tieni gli occhi bassi e cammina veloce. Ciao bambina. Ih ih ih, come sei buffa ». La bambina continuava a non capire cosa ci fosse di buffo in lei, ma era contenta lo stesso - “Finalmente troverò la mia felicità” meditava allegra. La bambina entrò in Piazza della Vergogna, tenendo gli occhi bassi, ma riusciva comunque a vedere che tutte le persone indossavano una maschera. Era circondata da maschere! C’era la maschera del Diavolo, quella dell’Angelo, e poi quella dell’Infermiera, dello Scienziato, dell’Uomo d’Affari. Superò rapidamente tutte le maschere, ma ad un certo punto andò a sbattere contro un paio di gambe. Senza riflettere sollevò lo sguardo e fissò i suoi occhi su una maschera stranissima, la maschera del Professore. Sulla maschera era disegnato un monocolo, l’attaccatura dei capelli alta, il sorriso di chi la sa lunga e certo più di te, gli occhi sottili come una moneta. « Come ti permetti, ignorante di una bambina, di venirmi tra i piedi? Non sai che sto riflettendo su cose molto più importanti di te?» urlò la maschera del Professore « Scusi signore » disse la bambina, che nel frattempo si era fatta di brace sul volto « E poi, come osi farti vedere, alla luce del sole, con quel tuo volto osceno? Copriti, piuttosto. Una bambina per bene, che tu peraltro non sei nevvero, non farebbe mai una cosa del genere. Hai mai letto il “Trattato delle Maschere per bambini” dell’esimio collega H.I.P. Ocrisy? Ma cosa vuoi saperne tu, piccola e ignorante come sei » continuò a gridare la maschera del Professore, mentre il sorriso si era fatto più affilato e gli occhi ancor più stretti. La bambina, sempre più rossa in volto, si curvò così tanto che poteva vedersi le scarpine, e si allontanò il più rapidamente possibile dalla Piazza della Vergogna. Per fortuna era quasi arrivata all’altro capo della piazza, quando vide il piccolo cortile indicato dalla donna piccola piccola. “Ecco la mia felicità”, pensò istintivamente , ed entrò senza indugiare nel Cortile della Stupidità. Esso era pieno di uomini e di donne che se ne stavano chi appollaiato su un cavallino di legno, chi a sedere sull’altalena, altri ancora portavano un cappellino di plastica e il fischietto in bocca. Una donna, appena vide la bambina, la prese per mano e la condusse dentro ad un girotondo. “Sembra divertente” fece appena in tempo a pensare la bambina, prima di iniziare a ridere, a saltare e a correre. “Oh che bello, deve essere questa la felicità” sussurrò tra sé. Dopo alcune ore di tutto quel trambusto, la bambina si accorse che le scappava la pipì e che non ce la faceva più a tenerla! Si rivolse allora ad un uomo vicino a lei che stava giocando con una palla, chiedendo dove fosse il bagno. Per tutta risposta il ragazzo le tirò dei coriandoli e continuò a giocare. La bambina si avvicinò ad una donna vestita da Arlecchino, « Senta signora… », ma non fece in tempo a finire la sua frase che la donna si mise a ridere e a fare boccacce. E così via con tutte le persone presenti nel Cortile della Stupidità, chi la metteva sull’altalena, chi si faceva rincorrere, chi imitava i versi degli animali. La bambina allora si incupì, “Nessuno mi prende sul serio e a me scappa la pipì!”, e così pensando si allontanò. Trovò un bagno, diciamo naturale, proprio sul bordo del fiume, a pochi passi dal Cortile della Stupidità: “Accidenti, neanche stavolta ho trovato la felicità. Insomma, questi grandi non mi sembra che la sappiano poi così lunga!”. Così ragionando si accorse di un ragazzo che, a pochi metri da lei, brandiva una spada ed uno scudo di cartone, borbottando serio serio parole che alla
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bambina sembravano provenire dai libri delle favole. « Vieni avanti fellone, in guardia. Con questa spada ti ucciderò e salverò la mia principessa e tutto il regno di Frugaprillo » « Ciao cavaliere » disse ridendo sotto i baffi la bambina « Benarrivata mia signora » esclamò il ragazzo « io sono Ernesto, so tirar di spada e di destro, nel combattimento maestro, delle armi ministro, uccisor di ogni mostro. In cosa posso servirla? » “Che simpatico questo ragazzo. Sembra un po’ toccato, ma ad ogni modo forse può aiutarmi” pensò la bambina. «Sai dirmi dov’è la felicità? Ho chiesto ad un padre di famiglia e ad una donna piccola piccola, ma mi sa che si sono sbagliati. Tu sai dirmi dove trovarla? » « Certo mia signora » disse Ernesto che di destro era maestro del ministro mostro « lo vedi quell’edificio dai mattoni rossi? Quello è il Teatro della Paura, entra dentro, attraversalo tutto seguendo le frecce sul muro e sbuca dalla porta posteriore, lì troverai l’Assemblea degli Eroi, dove sta la vera felicità. Mi raccomando, quando entri nel Teatro della Paura vedrai tante cose spaventose, ma sappi che sono tutte finte, sono gli attori che si divertono a terrorizzare le persone. L’importante è che tu ti ripeta “Non devo aver paura”. Addio mia signora » profferì solenne e con un grande inchino Ernesto, il ministro destro del maestro mostro.
La bambina, assai colpita dal giovane cavaliere, si incamminò fiduciosa verso il Teatro della Paura; giuntavi davanti notò che l’ingresso tutto buio, con un tappeto di velluto rosso per terra e una freccia gialla sulla parete. “Il cavaliere Ernesto mi ha detto di seguire le frecce. Su, e non devo aver paura” diceva a se stessa la bambina. Fatto un primo passo, sentì scricchiolare le assi di legno del pavimento. “Non devi aver paura” si ripeteva sottovoce. Ed ecco che alla prima fila di poltrone vide sulla destra un grosso animale, metà cane e metà leone, che le ringhiava feroce. La bambina chiuse gli occhi e si voltò dall’altro lato, ripetendo dentro di sé “Non devi aver paura”. Le gambe le tremavano, sentiva lo stomaco stringersi, ma la sua voce era più forte, “Non devo aver paura”. Riaprì gli occhi e si trovò davanti lo spettro di un nobile che urlava e si lamentava in modo davvero spa-
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ventoso. “Non devi aver paura” continua a ripetere dentro di sé la bambina. Con la coda dell’occhio vide sul muro le frecce che indicavano l’uscita, era quasi arrivata ma alla sua sinistra vide un grosso albero scheletrico, i cui rami ossuti si protendevano per toccarla. “Non devi aver paura” si ripeteva, “Non devi aver paura”. Il grosso animale, lo spettro e l’albero erano sempre più vicini, sempre più vicini, quasi ad un passo, lo stomaco sempre più soffocato, “Non devi aver paura, non devi aver paura”, il respiro ansimante, le braccia fredde… « Ho paura. » gridò la bambina con tutto il fiato che aveva in corpo. Ed ecco che, da un momento all’altro, il grosso animale, lo spettro e l’albero scomparvero. Al loro posto la bambina trovò un piccolo gatto tigrato, un manichino e dei fiori di stellaria in un vaso, il teatro era illuminato e la porta che cercava era proprio davanti a lei! “Accidenti che paura mi sono presa!” si disse la bambina mentre apriva la porta. Alla sua vista si presentò l’Assemblea degli Eroi. Alla bambina quei signori sembravano molto accigliati e gravi: erano tutti uomini – “Non c’è neanche una donna, chissà perchè?” si domandò silenziosamente la bambina – vestiti con delle divise, c’era la divisa degli uomini che volano, quella degli uomini che fanno la guerra, quella degli uomini che vanno sul mare e anche una piccola rappresentanza di super-eroi, ognuno con la sua divisa personalizzata (c’era perfino, per chi fosse interessato, l’Uomo-Colibrì, il Contabile Volante e il Razzo Umano!). “Che bello”, pensò la bambina, “queste persone sembrano proprio coraggiose, chissà quante avventure potrò vivere con loro. Sì, deve proprio essere questa la felicità!”
Ma la bambina non conosceva ancora in cosa consistesse la loro riunione: dovete sapere che l’Assemblea degli Eroi sta tutto il tempo a parlare delle proprie imprese, senza fare nient’altro, anche perché tante avventure sembrano proprio inventate! La bambina si mise comodamente a sedere su di una piccola tribuna e iniziò ad ascoltare. Prese la parola il capo degli uomini che volano: « Cari amici, pensate che un giorno stavo sorvolando il mio paese e sono stato attaccato dai temibili Sparvieri Fetentoni, ma non mi sono perso d’animo. Ho chiesto al mio secondo di pilotare l’aereo, sono uscito dalla cabina e con la mia fedele spada laser ho fatto fuori ad uno ad uno tutti gli Sparvieri Fetentoni. Saranno stati almeno 100, ma io non ho avuto affatto paura». “Accidenti”, pensò la bambina, “che eroe”. Ma non fece in tempo a coltivare la sua ammirazione che
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ecco giungerle la voce del capo degli uomini che fanno la guerra: « Questo è niente in confronto a quello che ho fatto io, cari amici. Figuratevi che un giorno stavo perlustrando il territorio di Iraquilea alla ricerca delle armi segreti e sono stato attaccato da un plotone di 1000 soldati cattivissimi. Non mi sono certo perso d’animo e, contando sulla mia velocità e sulla mia fatale Pistola Spaziale, li ho uccisi tutti e mille, senza provar mai neanche un filo di paura ». La bambina era sempre più ammirata, anche se sotto sotto si domandava come si facessero a distinguere i soldati buoni da quelli cattivi. Questo pensiero però volò via quando si alzò la voce del capo degli uomini che vanno sul mare: “Queste sono sciocchezze in confronto a ciò che ho affrontato io, cari amici. Un giorno mi trovavo in mezzo al mare da solo con la mia nave e ad un certo punto ho visto avvicinarsi 10000 missili diretti verso di me. Allora, contando sulla forza della mia mente, ho sollevato la nave di peso, evitando i missili, che si sono scontrati fra loro senza che la mia preziosa nave subisse un graffio e senza che io mai provassi neanche un soffio di paura”. “Uffa che noia” pensò la bambina, “ma questi le sparano più grosse di mio fratello! E poi non sono mica tanto d’accordo, dicono tutti di non aver paura, ma io la sento eccome la paura e non vedo perché dovrei farne a meno. Mi sa che anche Ernesto si è sbagliato sulla felicità.” Senza porvi indugio la bambina scese dalla tribuna e lasciò l’Assemblea degli Eroi. Appena tornata sulla strada principale, si accorse di una cosa che prima non aveva notato: c’era una libreria proprio a pochi passi da lei: “Non sono mai entrata in una libreria prima d’ora!”. Entrando notò un signore con un camice bianco, il pizzo e una pipa in bocca, il quale aveva in mano un libro che sembrava pesantissimo. « Ciao signore, tu chi sei? » chiese la bambina. « Ciao piccola, io sono il Dottore della Mente » rispose il signore. « E cosa fai di lavoro? » domandò la bambina. « Io faccio felici le persone, modestamente » replicò il signore. “Ecco, stavolta è proprio fatta, lui mi dirà sicuramente come fare a trovare la felicità” pensò la bambina. « Senti Dottore della Mente, allora tu sai dirmi dove si trova la felicità? L’ho chiesto ad un padre di famiglia, ad una donna piccola piccola, ad Ernesto il cavaliere lesto o destro, non ricordo bene, e nessuno ha saputo dirmelo ». « Bambina, sei capitata in buone mani. Allora, devi fare così: raggiungi il Paese della Bontà, che si trova proprio a pochi isolati da qui. Prendi la scorciatoia e arriverai in pochi minuti: passa dal Vicolo dell’Odio, è questa piccola viuzza davanti a te. Ma ti avverto: nel Vicolo dell’Odio troverai la Coppia Perfetta, una coppia di sposi senza figli che sta tutto il giorno a parlare e a litigare. Mi raccomando: non ascoltare quello che dicono, tappati le orecchie, altrimenti ti faranno arrabbiare così tanto che non potrai più uscirne. Ciao piccola ». “Che fortuna che ho avuto, un Dottore della Mente. Certo, beato lui che sa tutte queste cose sulla felicità. Allora, quello è il vicolo che devo prendere. Avanti verso la felicità!” ragionava allegra la bambina. La bambina entrò nel vicolo tappandosi gli orecchi con le mani, ma la sua curiosità era troppo forte: “cosa potrà farmi un po’ d’odio?” si diceva impavida e si mise ad ascoltare le voci dello sposo e della sposa della Coppia Perfetta. « È colpa tua se viviamo in questo vicolo, te lo avevo detto io » disse lo sposo. « Bravo, e dove volevi andare a vivere, con quella strega di tua madre? Lo sai che non mi ha mai sopportato. E tu sei uno scansafatiche » replicò la sposa. « Io uno scansafatiche? Tu piuttosto, che stai tutto il giorno persa davanti alla televisione. Non mi cucini mai niente di buono. Evidentemente ho sposato la donna sbagliata » ribatté sarcastico lo sposo. « Tu hai sposato una santa. Quante pensi che ti sopporterebbero? Se avessi dato retta a mia madre, invece di pensare che un giorno saresti cambiato! ». La bambina, che era proprio nel mezzo ai due sposi, non sapeva bene chi avesse ragione, ma si sentiva sempre più agitata, come se qualcosa di rotondo le frullasse nel pancino. « Perché non la smettete di litigare?» uscì dalla sua bocca senza che neanche se ne accorgesse. « E tu cosa vuoi bambina? Ah, ti vuoi mettere nel mezzo alle discussioni dei grandi? D’accordo, vediamo: secondo te, chi ha ragione?» disse la sposa. « Sì, vediamo » disse lo sposo. “Ma io non lo so” sospirò la bambina “comunque posso provare a darvi una mano” pensò. « Allora, Il Barlume - Anno 1 - Numero 12 - Dicembre 2007
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chi ha cominciato? » chiede la bambina « Lei » ringhiò lo sposo « mi critica sempre e non mi cucina mai niente di buono, e in più mi dà sempre torto ». « Lui » urlò rabbiosa la sposa « non mi aiuta mai in casa, io devo fare tutto da sola e quando torna a casa pensa solo a dormire » “Accidenti, non ci capisco niente” pensò la bambina, che oltre a quel qualcosa di rotondo nel pancino sentiva che anche i muscoli delle sue braccia diventavano sempre più tesi «E poi » riprese lo sposo « lei è così noiosa, superficiale. Non le interessa niente, non vuole mai andare da nessuna parte » « Io? » sbraitò la sposa « sei tu che quando puoi te ne stai in giro con i tuoi amici e non pensi a me». “Che persone antipatiche” pensò la bambina, mentre al qualcosa di rotondo nel pancino e ai muscoli rigidi della braccia si aggiunsero anche i denti, che cominciarono a stringersi uno contro l’altro, quelli di sopra con quelli di sotto. « Basta, siete cattivi, cattivi. Non si dicono queste cose ad una bambina, cattivi » urlò la bambina, che senza rendersene conto cominciò a piangere a dirotto, un pianto che partiva dal pancino sciogliendo quel qualcosa di rotondo, saliva alle braccia che tornavano ad essere morbide e apriva piano piano la bocca, che smetteva di serrarsi. « Addio » disse la bambina, e senza voltarsi se ne andò dal Vicolo dell’Odio. “Accidenti, menomale che adesso arriverò al Paese della Bontà e li troverò la felicità” pensava rinfrancata la bambina. La bambina camminava, camminava, ma non vedeva niente, finché non trovò un cartello bianco e nero sul quale era scritto PAESE DELLA BONTÀ e più sotto una scritta piccola piccola “Per chi avesse creduto di trovare il Paese della Bontà: questo paese non esiste, abbiamo lasciato il cartello solo per i Dottori della Mente, che ci credono tanto e ci spiace deluderli. L’amministrazione comunale”. La bambina si avvicinò al cartello, ma proprio vicino vicino, finché poté leggere “Per chi avesse creduto di trovare il Paese della Bontà: questo paese non esiste, abbiamo lasciato il cartello solo per i Dottori della Mente, che ci credono tanto e ci spiace deluderli. L’amministrazione comunale”.
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“Allora non si trova neanche qui la felicità” rimuginò tristemente la bambina “ho chiesto ad un padre di famiglia, ad una donna piccola piccola, ad un giovane cavaliere, ad un Dottore della Mente, e nessuno ha saputo dirmelo. Non mi resta che tornare a casa”. E così dicendo la bambina si incamminò verso casa propria, senza pensare più a niente. Giunta che fu, vide dalla strada che la luce della cucina era accesa. “Deve essere tornata mamma dal lavoro” si disse la bambina, e corse su per le scale. « Ciao Marta » disse la mamma appena la vide. « Ciao mamma » rispose Marta. E in quel momento pensò che nessuno nel suo cammino le aveva mai chiesto come si chiamava e che aveva quasi dimenticato il suo nome. « Vieni Marta, vieni a sedere. Ti ho preparato una cosa che ti piace, calda e cremosa. Sei stata fuori tanto, cosa hai scoperto?» « Sai mamma, io ho provato a cercare la felicità. Ho fatto come mi hai detto tu, sono andata lontano e ho camminato tanto, ma non l’ho trovata davanti a me e credo proprio che ci voglia più di un passo per trovarla!» « Piccola mia, vedrai che è più vicina di quanto pensi, solo che devi camminare e guardare, non fuori, ma dentro di te. E arriva quando meno te l’aspetti, senza bisogno di cercarla» « Mamma, io non so se troverò mai la felicità, e forse hai ragione tu, è faticoso cercarla sai?». Ma mentre così diceva avvertì una strana sensazione nel cuore, che iniziò a battere come le campane a festa, mentre lo stomaco riposava tranquillo. Le gambe erano leggere, con un passo si avvicinò al tavolo e le mani presero la tazza che Marta aveva davanti . « Questa cioccolata calda è proprio buona mamma» .
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CON GLI OCCHI http://writingeffort.wordpress.com L’autobus è ancora in ritardo? Mmm… sembrerebbe. - Mi scusi… è già passato il due? - No, signora. Lo aspetto anch’io. Appena lo vedo arrivare glielo dico. - Oh, grazie, molto gentile, ma sa, mi conoscono, mi avvertono quando sono loro. - Certo. Ha una voce che somiglia a quella di Mario. Chissà se ha i capelli rossi. - Ah guardi signora. Arriva. - Bene. - Buongiorno Leda! Va al mercato? - Oh ci sei tu oggi Paolo? È tanto che non ti vedo. Si fa per dire… eh eh… - Signora, le serve una mano a salire? - Oh grazie, lei è davvero premuroso, non capita tutti i giorni sa… - Si figuri… ecco, aspetti le reggo il bastone… - Eccoci. Grazie. Mi scusi, so che può sembrarle una domanda strana, ma per caso lei ha i capelli rossi? - Come? No, no. Veramente ormai ne ho pochi e tendenti al grigio. - Ah, ecco. Grazie eh, scusi. La ringrazio ancora per l’aiuto. Buona giornata giovanotto. Sorridendo: - Non si preoccupi, buona giornata anche a lei. - Allora Paolo…che si dice di nuovo? Leda. Leda. Smetti di ricordare. Delle strade bagnate puoi sentire ancora il profumo. E come. L’umidità della pioggia, certo. E poi il sole ti batte in faccia, comunque. Si scioglie la treccia, si spazzola i capelli morbidi e vecchi, con una mano si sfiora l’altra, e vede, davvero vede, le macchie, i nei, le vene ritorte e spesse. Il campanello. Dev’essere Carla. Il bastone? Ah, eccolo. Con le dita sfiora le lancette. Ah, meno male. Questa volta è puntuale. - Tesoro, com’è andata? - Cosa, mamma? - L’esame, non era oggi? - L’esame. - Allora? Lo sai che voglio assolutamente… - Mamma, toccami il viso. - Ogni volta questa storia. - Ad ogni tua domanda assurda. - Uff… andiamo, guarda nel forno. È tutto pronto. Oggi ho deciso che mi berrò anche un bel bicchiere di vino. Speriamo che tuo padre non s’arrabbi, ricordo quella volta… dai Bartolini… ne avevo bevuto uno di troppo… a proposito, sarà ora che ricambi l’invito. -
Mamma. Cosa? Lo sai. Che cosa? Che Elda e Luca sono morti da dieci anni. Oddio, Carla… E papà da dodici. Smettila per favore. E io fra un po’ vado in pensione. Di già?
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C’è ancora tutto, Leda. Quasi tutto. Le mele di Tonino, ad esempio. Sono sempre le stesse. Sempre buone. Pensa alle papille. Pensa se non avessi più la lingua. Pensa se non avessi più la vita. Sono sicura. Arcisicura che le piacerà. Arcisicura. Proprio come dice Mario. Ho avuto un’idea strepitosa. - Ecco, questo è per te. - Leda… grazie, non dovevi. - Ah, non dovevo, non dovevo. Perché quando si ricevono regali si dicono queste cose? È come fingere di non essere contenti. Magari non dovevo, volevo. Che non volevo almeno non me lo puoi dire, no? - Grazie. Grazie davvero. - Ci tenevo. - Lo so. Non ti sei mai scordata di un mio compleanno. - Beh due anni fa… ti sei anche arrabbiata. - Leda. Alza il viso, come per guardare. Guardare. - Lo so. Ma fammelo pensare. Mi ricordo il tuo viso bianco, i riccioli neri, il tuo corpo snello. Mi ricordo… Io ti vedo, capisci? Per me sarai sempre così. Lasciamelo fare. Una lacrima e poi due. - Oh, Leda. Guarda. Guarda quello che vuoi. Un abbraccio. Lungo e stretto. Ecco. Leda. Forse non ne vale la pena? Forse è una fortuna. Forse è proprio una fortuna che ti abbiano rubato gli occhi.
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SPECCHIO Valentina Santini Effimera di piacere instabile sei nella mia mente, come un riflesso che si vanifica sotto il peso del vento, bagnata che scivoli scorri via. Non ti trovo più negli specchi, non ti afferro. Ti pieghi al volere inclemente dell’ignoto che ti chiama, che ti vuole, ti brama, ti attrae. Sarai là e non sarai con me, tu ci sarai e quando ci sei io non mi trovo, quando cedi, involontaria e succube, mi annienti. Assassina rapisci vergogne e annego. Annego nell’inconsistenza del fantasticato, niente pensieri, niente tatto, solo la sublime ed indicibile essenza dell’abbandono. Quando ci sei io muoio, non respiro, non mi ricordo più quel sapore cadenzato di culla che muove l’aria. Apnea, chiudo gli occhi, ho paura, non sono più io, niente paura, ci sei tu che mi assali, niente più io. Arrivi e non c’è più voglio, solo sono, solo un pieno ed onnipotente niente che sanguina, che scorre inclemente fuori dalle vene prosciugando i miei intenti. Se mi abbandono non sono solo sola, non ci sono più, sono sparita, sono uno, sono tutta, tutta scomparsa e assorbita da te, più grande più forte e più bella di me, mi comandi mi possiedi, giochi con la mia inconsistenza, divento strumento, strumento assassino del mio annientamento. Se chiudo gli occhi sparisco, scomparsa, sono scomparsa in te, mi hai preso tutta, non accadrà più. Arrivi, ti sento, arrivi. Sei silenziosa nell’incedere, arrivi con la dolcezza del passo che precede la morte, mi attrai in quella morte che crea primizie, sono i miei doni, i doni che ti faccio prima di sparire, poi arrivi te e mi uccidi. Ancora, ancora, fallo ancora ti prego, soffocami con il tuo tocco leggero, rendi serena la mia fine e glorioso il tuo inizio, ancora, ancora lacera il mio corpo, come il seme che nasce, spacca il mio involucro sottile e ramificati nelle vene nascoste del mio inconscio, muoviti, muoviti, hai il tocco leggero e preciso, toccami lì, dove non voglio dire, toccami, toccami, arrivo, e tu arrivi, arrivi ogni volta, ogni volta prendi la mia mano e cominci a vivere al posto mio.
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IL GIORNO IN CUI GIOVANNI RANA È VENUTO A CASA MIA Riccardo Tronci Andando con ordine, visto che tutto è successo in breve tempo, direi che erano passati circa venti minuti dalle tredici, ero appena tornato con mio figlio a casa, ero andato a riprenderlo dall’asilo e adesso mi apprestavo a fare da mangiare. Mia moglie rincasa sempre più tardi, per motivi di lavoro, così il pranzo è di mia organizzazione. Nel tempo sono diventato uno specialista del pranzo: massimo gusto e piacere con minimo tempo di preparazione. Di solito mangiamo la pasta, a pranzo, e così sarebbe stato anche quel giorno, avevo letto in mattinata una ricetta che mi aveva allettato: pennette rigate ai carciofi e carote. Così rincasiamo, io e mio figlio, io mi metto a fare da mangiare, lui equamente ripartito tra finestra e televisione. La playstation per oggi vietata per un brutto voto a matematica, e viene da chiedersi cosa gli potrò dire quando capirà che nemmeno io sono portato per la scienza. Suonano alla porta, è mia moglie che è tornata prima, penso. Lo stesso pensa mio figlio, che va ad aprire, ma al suo chi è? segue qualche secondo di silenzio. La situazione mi lascia perplesso e mi insospettisce, così vado a vedere chi è riuscito ad ammutolire quel chiacchierone di mio figlio, e la cosa si svolge più o meno così: “Chi è?!” qualche secondo prima della risposta, giusto il tempo di arrivare sulla soglia della porta “Salve, sono il signor Rana e questi sono i miei nuovi tortellini alla zucca” Rimango perplesso e basito, a bocca aperta, cerco con lo sguardo mio figlio e lo scopro tenuto sotto braccio da quell’omino dalla faccia buona, dalla faccia telegenica. “Non mi fa entrare? Questi sono i miei nuovi tortellini alla zucca” Il suo sguardo era… era… non so come spiegarlo, dovreste avere una cultura profonda di manga e storie asiatiche per capire cosa voglio dirvi se paragono i suoi occhi a quelli di un saggio giapponese. Due pupille di normali dimensioni, ma fisse, ferme nel tempo, e due palpebre che si chiudono solo raramente, per non impedire agli occhi di ipnotizzarti. Quindi, il signor Rana entra in casa, spingendo mio figlio, io inizio a riprendermi dal mio sbigottimento e mi accorgo di avere in mano una scatola di tortellini alla zucca. A me la zucca nemmeno piace, tra parentesi, e nemmeno il resto della famiglia ne va matta. Rana si siede sul tappeto del salotto, e senza proferire parola accende la playstation, posando in mano di mio figlio uno dei due pad. L’altro, ovviamente, se lo prende lui. Nemmeno si volta, quando mi dice: “Fossi in lei seguirei le istruzioni dietro la scatola, la ricetta che consiglio è ottima, di mia invenzione” Giro la scatola, e leggo tortellini di zucca ai quattro formaggi. “Non abbiamo formaggi in casa, solo un po’ di parmigiano” mi sento dire in tono condiscendente, forse perché ancora non sono ben riuscito a realizzare ciò che sta succedendo. Rana si gira e con il solito sguardo fisso mi dice: “Andranno bene al parmigiano.” Poi si volta verso mio figlio, lo guarda duramente e dice: “Farai meglio a perdere, non mi piace essere battuto.” Mio figlio si volge con aria preoccupata, come gelato dallo sguardo, fa per alzarsi, ma Rana lo rimette seduto. “Non vorrai rovinarmi lo spot pubblicitario…?” Mi avvicino ai due seduti sul tappeto, ancora di spalle. Il gioco che il Rana ha scelto è Winning Eleven, gli deve piacere il calcio allo stronzo. “SENTA SIGNOR RANA, NON ME NE SBATTE UN CAZZO DEI SUOI TORTELLI. LEI QUI NON È GRADITO, SI LEVI DAI COGLIONI” Rana si gira appena, molto lentamente, e con il suo faccino da babbo natale ha il coraggio e la sfrontatezza di dire: “Al parmigiano andrà bene.” Sento il sangue ribollire nella testa, nemmeno mi accorgo sul momento di aver preso il signor Rana per il gozzo e di tenerlo a circa un metro da terra. E lui ride. Ride. Ride. Chiudo gli occhi, inspiro e sento i suoi occhi fissi sulla mia testa, così lo appoggio delicatamente a terra e lo accompagno fuori della porta di casa. “Tra poco tornerà sua moglie, vero?” dice ridendo proprio sulla soglia Il Barlume - Anno 1 - Numero 12 - Dicembre 2007
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Lo getto come una palla di carta in casa, contro il muro, sbatto la porta, chiudo gli occhi per non esplodere; qualsiasi persona con la fedina penale immacolata non se la vuole macchiare per colpa di due tortellini alla zucca. “Cosa vuoi dire?” E il signor Rana ride. Ride. Si asciuga una goccia di sangue che gli ho procurato. Cerco di riflettere. Chiamerò la polizia, gli dirò che c’è un matto che se n’è entrato in casa mia ed ha trattato male mio figlio, e come se non bastasse ha fatto allusioni pericolose su mia moglie. Prendo il cellulare, facile da comporre quel numero, anche in queste occasioni di rabbia: “Questura, pronto?” “Si, buongiorno, senta, ho un problema” “Mi dica…” “Il signor Rana è entrato in casa mia con in mano una scatola di tortellini…” “SE HA VOGLIA DI SCHERZARE SI RICORDI CHE ADESSO QUALCUNO POTREBBE AVERE PROBLEMI MOLTO SERI. ARRIVEDERCI.” Linea chiusa, telefonata finita. La possibilità di una telefonata ai carabinieri viene scartata all’istante, per cui cerco di ragionare, inspiro, accompagno il signor Rana a sedere, e provo a parlamentare: “Adesso lei prende i suoi cazzo di tortellini, e senza fiatare se ne esce di qua. Conto fino a tre…. Uno…”
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E mentre conto, il signor Rana si alza in piedi e si riavvicina alla televisione, riprendendo la sua partita da dove l’aveva iniziata, come se nulla fosse, come se fosse veramente mio ospite, e gradito. È a quel punto che mi fermo a cercare di capire, schematizzare, razionalizzare. Allora, ho il signor Rana in casa, si è invitato a pranzo, è vecchio, ed è odiabile, tratta male mio figlio ed ha minacciato qualcosa di indefinito su mia moglie, penso un attimo allo spot in televisione e all’improvviso sorrido. Lascio che il signor Rana giochi ancora un poco con mio figlio, ma non prima di aver tranquillizzato il secondo con una carezza e un occhiolino di intesa. Vado a preparare i tortellini alla zucca. Apro la scatola e faccio due gruppi, uno piccolo e uno più grosso. Prendo un bicchiere di acqua, ci sciolgo qualche cucchiaio di detersivo, seguito da un po’ di spray sgrassatore alla varechina. Con uno spruzzo via tutto recita l’etichetta. Speriamo dico io. Prendo la siringa con cui ricarico le cartucce della stampante e tiro su tutto quel bel liquido grigiastro, mentre assaporo le grida di mio figlio che ha fatto doppietta al vecchiaccio. Ad uno ad uno tengo a battesimo del mio estremo esperimento culinario i tortellini del mucchio piccolo. Poi li metto a bollire. Entrambi i mucchi, ma in due pentole differenti, ovvio. Cuociono davvero velocemente questi tortellini, non c’è che dire. Passano pochi minuti, giusto il tempo di fare a scaglie il parmigiano, e sono pronti. Il gruppo più piccolo nel piatto per il signor Rana, l’unico con una macchia sulla porcellana, e il resto tra me e mio figlio. La macchia del piatto è piccola e sul bordo, è una di quelle scodelle che avevamo comprato io e mia moglie in Francia, in una di quelle poterie a basso costo per piccoli difetti. I tortellini li ho preparati solo per pura finzione, non mi sono scordato di mia moglie. “E’ pronto!” dico ad alta voce, serena e affettuosa Il signor Rana, come da copione di spot, corre al tavolo, come un ingordo, si mette il tovagliolo al collo come se fosse un bavaglio e ride. Non smette mai di sorridere. Mi guarda, aspetta che sia io a mangiare il primo tortellino. Così avvicino la forchetta alla bocca e sorrido, mostrando il mio gusto sensibilmente dedito alla lussuria del tortellino alla zucca. Rana gira lentamente lo sguardo e aspetta che mio figlio faccia la stessa cosa. Con lo stesso sguardo di sfida del due a zero da poco guadagnato, Lorenzo, mio figlio, mette in bocca il primo tortellino. Ed è lì che me ne accorgo. Rana ride ancora. E il suo piatto non è macchiato.
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CIAO Alessandro Baglione Senz’altro i trecento giorni che ti ho dato e che non ti sei tenuta non avrebbero fatto molto di più lasciati in mano mia perciò non te ne voglio in due o tre abbiamo conosciuto degli uomini tutti gli altri ne hanno solo sentito parlare non è vero che un risveglio è notizia, vengono cento stagioni di risveglio nel corso di una vita ma solo una è vera eclissi ho ballato intorno ad essa sull’orlo era come la bocca di un pozzo rotondo trecento giri non ne ricordo neppure uno tutto rimandato a settembre, come si diceva una volta mentre io ti saluto come si usa dire tuttora
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BRANDELLI DI CUORE D’ASINO Emidio Picariello Il senso di tutto questo gesto, almeno per me, è quello di arrivare direttamente al posto più recondito di me, alla sede dei miei sentimenti, nell’angolo nascosto e buio dove risiede quello che sono. Il mio amico dice che se non ha bevuto non può provare sentimenti. Il mio amico dice che se non ha bevuto non essere ad essere se stesso. - In vino veritas, dice - La peggiore delle verità, ribattò - Comunque una verità, mi corregge Quindi preparo un Martini, agitato non shakerato, così ho fatto i miei omaggi, a James Bond adesso, a Sherlock Holmes, prima. Il mio amico non ha partecipato al primo omaggio, dice che sono stupido. ma sembra non disprezzare il mio Martini, cinque parti di gin, cinque parti di vermouth, e tre - non una, per carità - olive verdi, infilzate in uno stuzzicadenti che stanno lì a macerare un pochino fino a prendere quel gusto eccezionale di olive nel Martini. Adoro le olive del Martini. Potrei andare avanti per mesi mangiando olive macerate in gin e vermouth. Forse dovrei produrle industrialmente, vendere confezioni di olive che sono state per alcuni minuti in un Martini ghiacciato. Sarebbe un gran business, ne sono sicuro. Quando arrivo in piazza e la vedo, con un cappotto che copre l’abito scuro, il cuore mi sobbalza in gola. Mi chiedo se a lei fa lo stesso effetto, o se c’è o c’è stato qualcuno per il quale lei ha provato quelle stesse cose che adesso provo io nel vederla apparire davanti a me. L’idea che sia così mi è insopportabile, come una specie di conato di vomito, invece non mi da nessun fastidio lo sguardo invidioso degli altri ometti che affollano il piccolo teatro, la differenza sta nella proprietà. Lei è mia, se provasse emozione per un altro, allora, non potrei più considerarla tale. Questa notte, mentre faremo l’amore, le morderò leggermente un braccio, a segnare in modo inequivocabile la proprietà. - Ieri ho rimorchiato una farda - Strano - Solo puttane e psicopatiche, mi toccano - Come quella che ti presentai quando vivevo a Belluno - Quella era davvero fuori di testa, mi disse che teneva più alla sua religione che a suo padre - Aveva un sacco di problemi, dovresti essere più comprensivo, col mestiere che fai - Non sono tenuto ad essere comprensivo fuori dell’orario di lavoro - Però questo pasticcio di melanzane è venuto bene - Non le hai fritte, le melanzane - No, le ho stufate - Si sente - Stronzo - Non ho detto che è cattivo - Che film si guarda stasera? - The Big Kahuna - Che palle, chi è il regista? - Che palle, sempre con questa storia dei registi, non puoi giudicare un film dal regista, cerca di aprire i tuoi orizzonti, questa è una pièce teatrale riuscitissima - Come puoi giudicare un film senza conoscere il regista? - Infatti i film non si giudicano, si guardano, i giudici giudicano gli imputati, i giurati giudicano le miss, gli spettatori guardano i film, fa parte del naturale corso delle cose - Non c’è niente da fare, non capisci un cazzo di cinema - È noto, ma volendo potrei anche dire a tutti che ci capisco, basta che dico di aver visto Metropolis e che mi fa cagare qualunque film abbia vinto un premio Oscar e voilà, l’esperto di cinema è servito -… - Scacchi? - Scacchi.
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A GIFT FOR YOU Costanza Maremmi e Denni Romoli I regali, diceva qualcuno, sono un modo per sedurre. Ecco, questo è il mio intento. I miei colleghi ne beneficiano frequentemente, c’è chi apprezza e conosce (Denni), chi rigetta e accusa di snobismo (Emidio), ad ogni modo accettano. Non a caso "Alta fedeltà", oramai giunto alla quindicesima proiezione privata, è uno dei film che guardo con più gioia, come se fosse la prima, ogni volta illibata, e ho detto "Alta fedeltà" Emidio, non "L'enigma di Kaspar Hauser" (altra opera cinematografica che Emidio utilizza per tacciare me e il caro Denni di essere “degli spocchiosi di merda”, come dicevano i latini). Mi inviti a cena? Ti porto una compilation. E' meno cara del vino, d’un paio d'etti di pasticcini, non fa ingrassare e non pregiudica il test alcolemico. Rimane, fa capire tante cose e testimonia un grande impegno e perdita di tempo per la sua preparazione. Volendo ci sono anche delle regole compositive, ma per questo punto vi rimando al consiglio di John Cusack a fine film. Quale film? Leggere sopra. Dice che è arrivato natale, che il Barlume compie un anno. E allora regalo, seduzione, musica. Io me ne cibo, altro che panettone. Accostabile solo al Negroni sbagliato, per chi conosce, per gli altri consiglio vivamente: Martini rosso, bitter Campari e spumante dolce. Buon Natale, buon compleanno figlio mio, buona notte e soprattutto buona fortuna, come soleva dire il nostro amico fragile. 1. TALKING HEADS - I Zimbra (assolutamente superflua, quindi indispensabile.. e poi Byrne era un grandissimo ammiratore di Faber…) 2. SUFJAN STEVENS - Come on feel the Illinoise (perdersi nel coretto non è un’esigenza solo dei fans dei Pooh) 3. THE SHINS - New Slang (Facile facile da suonare con la chitarra) 4. THIN WHITE ROPE - Down in the Desert (Ascoltata la prima volta un anno fa, giusto giusto la sera della nascita del Barlume) 5. LOVE - Always see your Face (alta fedeltà docet) 6. DEVENDRA BANHART - At the Hop (all’Hop Store, pub pratese e nostra maison, dove l’alcolemia è la norma) 7. T.REX - Metal guru (glam, paillettes e lustrini… praticamente Platinette) 8. SPARKS - Falling in Love with myself again (Inno al narcismo, il nostro) 9. PATTI SMITH - Summer Cannibals (Patti = orgasmo)
10. EELS - Last Stop: This Town 11. JONI MITCHELL - All I want (Dolcezze d’amore) 12. GRINDERMAN - No Pussy Blues (dedicata a chi la notte rimane da solo con i suoi desideri e il suo cognac) 13. THE ARCADE FIRE – Intervention (lo sapete che se smettiamo di pagare I benefici economici di cui gode il clero possiamo dimezzare la finanziaria di quest’anno?) 14. PIXIES - Where is my Mind (legame affettivo) 15. THE FLAMING LIPS - Do you realize? (one, two, three, four…) 16. NICK CAVE CAVE AND THE BAD SEEDS - The Mercy Seat (capolavoro, senza commenti) 17. VIOLENT FEMMES - Kiss off (il decalogo della perdita) 18. LISA GERMANO - A beautiful Schizophrenic (Ricordando la prima non-recensione) 19. BLACK HEART PROCESSION - It's a crime I never told you about the diamonds in your eyes (inciampa, piuttosto che tacere) 20. NICK DRAKE - Saturday Sun (Sfumiamo con malinconia) 21. FAUST - Chère Chambre (Avete presente l’effetto suscitato da Morticia in Gomez quando parla francese? Ecco, a me fa lo stesso effetto…)
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Le foto di questo numero sono state scattate da Costanza Maremmi, tranne quelle di pagina 10 e 17, opera di Gabriella Galli
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Mensile fondato e diretto da Costanza Maremmi
c.maremmi@barlumismo.org Denni Romoli
d.romoli@barlumismo.org Emidio Picariello
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