Il Barlume A2 N3

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IL BARLUME Anno 2 Numero 3 - Marzo 2008


EDITORIALE Un mese d’inferno, il freddo, la pioggia, il governo, i ladri. I pensieri sono spole e tornano a molestarci, come pregiudizi inevasi. Il sorriso si sofferma sui bambini, sugli amanti, sugli innocenti. Il dolore si ferma su scene di urbano tumulto: alle poste di Pistoia, in pieno centro, i primi del mese, una calca di persone urla e contorce gli occhi protestando per i ritardi sulla consegna della pensione, le mani dure picchiano contro le vetrate degli sportelli, l’odio feroce e la miseria si riaffacciano e con esse fantasmi che avremmo voluto credere passati. Pregiudizi inevasi, giorni della locusta a Zabriskie Point. Stiamo passando il tempo prevalentemente a salvarci la vita, vediamo di renderla anche più comoda con i nostri scritti e le nostre immagini. Novità, graditissime. La prima è la nuova rubrica di Emidio e Denni, si chiama “La sdraio"; peraltro, nel caso cogliate qualche analogia con “L’amaca”, sappiate solo che questo è un vostro malizioso pregiudizio e che i due autori non sono neanche stati sfiorati da un siffatto pensiero. Maliziosi!!! Sarà la nostra finestrella sulla politica e sui politici, che non sono la stessa cosa. Il sottotitolo di questo mese è "Non è un paese per vecchi". Bene, se né Serra né i Coen ci fanno causa tutto procede per il meglio, altrimenti portateci le arance, perché i soldi per pagare la causa non li abbiamo. La seconda novità è la collaborazione con un nuovo autore barlumista, Alessandro Pagni, che trovate impegnato con la sua “Favola delle foglie e del vento”. Per il resto nel numero di questo mese troverete il "Chiostro" di Vera, un sogno d’amore. Subito dopo continua il dittico di Valentina Santini con “Uomini all’inferno” e subito dopo Denni Romoli ci racconta un'infanzia come tante, omaggiando il suo prediletto Pavese. Come sempre, il tutto è condito dalle foto di Costanza, sempre più regina indiscussa dei salotti fotografici di mezza Europa. Buona lettura DePiCo

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CHIOSTRO Vera Aquino

Ai ragazzi di Prata Questo chiostro non ha mai visto tante persone riunite. Gli organizzatori compiaciuti del successo, ringraziano i frati benedettini che hanno concesso l'utilizzo del loro Convento per le riprese e per la musica. Avanzo tra la folla scortata da una gelida e scostante hostess che, nel suo tailleur blu, mi indica un posto libero. Che fortuna, in seconda fila, pur non avendo prenotato. Il chiostro si riempie di voci e risate. Fa caldo. Un caldo che brucia la pelle. Non so cosa stiano aspettando, posti liberi non ce ne sono più... eppure non si vede nessuno sul palco. Finalmente una brezza, il sole cala dietro quel monte enorme che porta uno dei nomi della Madonna. Così, penso, potremo ricominciare a respirare. Aspettano il tramonto, solo allora saranno visibili i volti e le luci. Tutto è organizzato in maniera semplice. Persino la presentatrice indossa un tubino nero, ad arricchirlo solo una stola con dei preziosi.

Lena, la sposa bambina, voleva una vita lontana dai quattro fratelli che la tormentavano. Da piccolissima andava a lavorare nei campi col suo papà. Non erano ricchi, ma sono riusciti a comprare la casa dove vivevano, tutti insieme. Una casa enorme con un terrazzo a pian terreno che affacciava sulla strada principale del paesino. Lena ha frequentato la scuola fino alla seconda elementare. Poi ha deciso di sposarsi, stanca di dover lavorare nei campi e a casa. Lavare, cucinare e stirare per quattro fratelli e il padre. La madre, troppo anziana per svolgere lavori pesanti si dedicava agli anziani della famiglia. Evidentemente una famiglia longeva. Lena, il suo nome, quello vero, quello che avevano scelto i suoi genitori alla nascita non l'aveva mai usato. Era il nome di sua nonna e suo padre non sarebbe mai andato contro alla tradizione. Lena, bionda riccia e 50 kili nel 1960 decise che la sua non sarebbe stata una vita di stenti, che le sue figlie sarebbero vissute nell'agio e nell'abbondanza, che lei stessa non avrebbe più lavorato. Così Lena e Antonio si sposarono. Lui un professore di scuola elementare, non bello, ma con una buona posizione. Le amiche la invidiavano. Tre figlie, femmine. Antonio era entusiasta della sua divinità casalinga. Lena orgogliosa delle sue tre figlie. Sane, belle, studiose e volenterose. Nessuna di loro avrebbe patito come aveva patito lei. Avrebbero avuto la libertà di fare ciò che volevano, quando volevano. Libere. Ecco come le immaginava. D'un tratto la brezza diventa quasi vento. Fa freddo faccio per cercare un golfino, che porto sempre con me e mi ricordo di non averlo preso, quando sono uscita si boccheggiava. La musica è coinvolgente. Nessun rumore, neanche applausi. Suor Clementina, mi tocca il braccio, è ora di andare. Stasera posso anche tornare nella mia stanza nell'istituto per orfani dove sono cresciuta. Suor Clementina mi tratta bene. Le altre suore, quelle filippine appena arrivate, mi dicono che sono lenta, che non capisco, che questo Antonio non esiste, l'ho inventato. Solo mentre lasciamo il chiostro, tutti il fila, mi accorgo di aver sognato ad occhi aperti. Antonio. il ragazzino più simpatico dell'istituto, occhiali sempre sporchi e pantaloni più grandi della sua taglia, vestito irrimediabilmente per la stagione sbagliata, è stato trasferito. Troppo grande per rimanere con noi, troppo diverso per avere una vita normale.

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UOMINI ALL’INFERNO Valentina Santini Menomale esistono le migliori amiche. Sono una specie in via d'estinzione, nella giungla dell'ipocrisia e dei buoni fasulli pensieri invidiosi, ma qualcuna c'è ancora. Anche perché, quando proprio non riesci a capire come mai li trovi tutti svitati, le migliori amiche riescono sempre ad addossare la colpa al lui di turno, facendoti sentire immune da difetti di fabbrica, al massimo blandamente sfigata. Così, quando sono andata per l'ennesima volta dalla mia amica lamentando sfortuna atavica e congenita con massiccia incapacità di relazione, lei mi ha risposto, con la solidarietà femminile di una sessantottina: "Mandali tutti all'inferno!". Non me lo sono fatta dire due volte e, ispirandomi a Dante, mi sono resa conto che lui aveva già fatto gran parte del lavoro. Antinferno, girone degli Ignavi: nel girone dei neutrali ci infilo tutti quegli invertebrati che vanno in crisi e chiamano la mamma per sapere se è meglio comprare un maglione blu di prussia o verde paolo veronese, tutti quei tipi che alla domanda "dove andiamo oggi?" rispondono "E' uguale". Allora, se è uguale, perché non accompagni la tua prozia al cimitero? Primo cerchio, i Nati prima di Cristo: avete presente? Tutti quelli alla “io c’ero”, tutti quei soggetti dalle mille esperienze, che in nemmeno trent'anni di vita ti raccontano mirabolanti avventure che se le metti in fila ti accorgi che devono aver vissuto almeno 250 decadi collocando la loro nascita in un punto imprecisato a.C. Secondo cerchio, i Lussuriosi: detto così sarebbe anche una buona premessa, ma no, no, sono quei tipi che, dal momento che accetti di bere un caffè, è praticamente automatico che il passo successivo è saltellare guardando un film porno magari imitandone le peripezie. Terzo cerchio, i Golosi: loro sì che sono i interessanti. I golosi sono quella categoria di Homo Sapiens Sapiens che la domenica hanno l'appuntamento fisso con il pranzo dalla mamma, che si sveglia alle 4 di mattina per preparare il ragù proprio come piace al suo bambino e, quando hai la fortuna di partecipare ad una di queste inquietanti riunioni, la tua dolcissima suocera ti ricorda che toccherà anche a te. Si aprono squarci d’Averno, con l’inquietante visione di te, povera sirena rapita dal tuo panzonissimo marito, alzata alle 4 di mattina, e ti rendi conto in un lampo che i film di Dario Argento sono barzellette al confronto. Quarto cerchio, gli Avari: avete presenti quelli che ti invitano fuori e poi controllano lo scontrino e dividono minuziosamente le pietanze, facendo un conto che spacca il centesimo? Ecco, devo aggiungere altro? Quinto cerchio, gli Iracondi: non lasciatevi ingannare, gli iracondi non sono palesemente iracondi (non sono quelli che picchiano le donne, quelli non rientrano nella categoria “uomo” e non li vogliono nemmeno all’inferno). L'iracondo ha un atteggiamento sottile, è mansueto e docile, dolce e premuroso, ma si trasforma in un mostro con estrema rapidità. Lui è pronto per uscire per un colloquio di lavoro, tu inavvertitamente rovesci il caffé sulla sua giacca nuova. Ecco, esce la bestia: lui non parla, ringhia, il collo diventa taurino, il fiato si spezza nella gola e le vene del collo esplodono. Tu diventi piccola piccola… E se casualmente butti via la sua inutilissima collezione polverosa di fumetti? Lampi e fulmini, si si scatena il finimondo. Dico io, per così poco? Sesto cerchio, gli Eretici: sono quelli che credono in un unico e solo Dio, la squadra del cuore, anzi, la Squadra del Cuore. Sono quelli che piangono come vitellini sgozzati se perde, sono quelli che quando vince passano a festeggiare manco avessero vinto al Superenalotto. Settimo girone, i Violenti contro il prossimo: loro sono i più frequenti, sono quelli che nonostante i tuoi attacchi epilettici, la schiuma alla bocca e un principio di colica renale continuano ininterrottamente a narrarti le loro mirabolanti avventure, le loro esilaranti esperienze di “quando quella volta” e le loro vicissitudini superiori, mentre tu agonizzi, e tu ti vendichi, e vendicandoti trasformi un appartenente al settimo girone in un dannato dell’ottavo… Ottavo girone, i Violenti contro se stessi: questa specie si presta molto all'ascolto di narrazioni prolisse e acrobatiche delle tue peripezie, ma commette un errore atroce, un errore autocastrante. Dopo che hai parlato tutto il pomeriggio di quella volta che per sbaglio il tuo vicino di casa ti ha schiacciato il tuo gattino (per il quale hai approntato un apposito book fotografico), lui, alla domanda "che ne pensi?", risponde imbarazzatissimo e ignaro: "l'avrei fatto anche io", seguendo la regola “dalle sempre ragione”, mentre tu lo guardi come se fosse un mostro. Nono Girone, i Violenti contro la natura: sono quelli convinti che noi donne siamo solo coccoline e carezzine dolci dolci e dopo un bicchiere di vino ci beviamo tutte le ca***te rifilateci, così convinti che la natura femminile non contenga un istinto animale ti dicono: "io sono un tipo che ama molto le coccole, la notte adoro stare abbracciati stretti stretti dopo aver parlato per ore davanti ad un camino, io sono così, sono un Il Barlume - Anno 2 - Numero 3 - Marzo 2008

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romantico". No, caro mio, tu sei un coglione! Scusa tanto, non sei in grado di comportarti da uomo come tutti? Nel decimo girone troviamo una categoria difficilmente descrivibile con un unico epiteto. Questo, infatti, è il girone dei Ruffiani, Seduttori, Lusingatori, Adulatori: devo veramente aggiungere che cosa sono disposti a dire pur di portarti a letto senza neanche riconoscerti il giorno dopo? No, guardate nei vostri cuoricini bugiardi e troverete le risposte! Undicesimo cerchio, i Simoniaci: quelli che la buttano sulla biodanza, sulla filosofia, sullo spirituale, quelli che si iscrivono al corso di yoga per vedere come sei bravo a fare la posizione del loto, e se fai bene quella! Insomma, sono dei guarda-culi a tradimento, infidi e subdoli. Il dodicesimo girone, i Maghi e gli Indovini: ci sono gli attivi e i passivi, questi ultimi li conosco poco perchè mi dileguo dopo "Indovina quanti anni ho?" oppure "Secondo te da dove vengo con quest'accento?". Ma cosa vuoi che ne sappia io? E poi ci sono gli attivi che, dopo un intrigante, suggestivo e prorompente corteggiamento, puf, spariscono come Houdini. Il tredicesimo cerchio, i Barattieri: sono quelli che non dicono mai sì, ma negoziano. Tu: "Domani vieni con me a casa di Sara, facciamo 4 chiacchiere e poi la cena, dopo magari andiamo in un locale". Lui: "ma domani ho una giornata impegnatissima (dormire tutto il giorno, n.d.a.), magari vi raggiungo dopo?". Tu: "Dai! Che devi fare?" Lui: "Paolo ha bisogno di me, si sta lasciando, è in crisi, poi un sacco di studio arretrato e mi avevi chiesto di riparare la presa della corrente, controllare la caldaia e sistemarti quell'inconveniente del pc" Tu: "Puoi farlo anche un'altra volta" Lui: "Perfetto, allora vado da Paolo e vi raggiungo dopocena!". Il quattordicesimo cerchio, gli Ipocriti: quelli che non ammetteranno mai e poi mai, quelli che, dopo che gli tieni il muso una giornata perché non si sono accorti della tua nuova tinta mogano con deliziosi riflessi fragola di bosco, bofonchiano con riluttanza e, dopo aver controllato la foto che gli hai regalato per l'anniversario, sentenziano "sai, non c'è molta differenza dal biondo Barbie che avevi prima. Però, ora che me lo fai notare…". Il quindicesimo cerchio, i Ladri: solo poche parole per loro, ti rubano il cuore e poi, poi il resto è storia. Il sedicesimo cerchio, i Consiglieri Fraudolenti: loro sono perfetti, sono il tuo migliore amico, l'uomo che era accanto a te quando lui ti ha lasciato, lui che ti accarezzava quando eri triste, che ti accompagnava nello spogliatoio quando ti provavi i vestiti, il tuo grande amico che ti dava consigli, è proprio lui che ti ha consigliato di troncare quando il tuo lui ti ha chiamato con un giorno di ritardo perché si era rotto la gamba, che splendido amico! Il fatto che poi ti abbia messo una mano sul culo, “in amicizia ovviamente”. Il diciassettesimo cerchio, i Seminatori di discordia: solitamente sono i migliori amici di lui, quelli che conoscono tutto sulle donne e non si sa perché non sono fidanzati, quelli che gli svelano tutti i tuoi trucchetti con il risultato che non puoi più dire "Sei l'uomo dei miei sogni" senza che lui sappia esattamente cosa intendi. Il diciottesimo cerchio, i Falsari: sono quelli che ti trasformano il piombo in oro, i difetti in peculiarità, una spiccata tendenza all'alcol in serata divertente, una buzza prorompente in amore per la buona tavola, despotismo in "sono attaccato al vecchio concetto di famiglia", bugie a ripetizione in caratteristica delle persone che provengono dal suo paese, rutti, peti e sudore in virilità. Chiaro no? Diciannovesimo cerchio, i Traditori dei parenti: non mi dilungherò, la cosa importante è che “non succederà più” e che “ha pensato a te tutto il tempo”. Il rimorso lo uccide, ma tu gli risparmi volentieri la fatica e gli salti alla gola con un coltello a serramanico. Ventesimo cerchio, i Traditori della patria: sono quelli invece che ti convincono, perché hanno sempre una causa di forza maggiore, quelli che non lo fanno per piacere, lo fanno perché altrimenti chissà la mamma come ci resta male, chissà Gianni come si offende, chissà la sua collega dalle gambe chilometriche come farà, chissà, chissà, chissà come stai bene da single! Ventunesimo cerchio, i Traditori degli ospiti: sono quelli che organizzano la superfantacena con i colleghi barbosissimi, con il gruppo di calcetto, con gli amici del pub, e rovinosamente si addormentano sul divano e ti lasciano a destreggiarti e a sorbirti gli interessantissimi racconti goliardici della brigata. Ventunesimo cerchio, i Traditori dei benefattori: sono quelli che, nonostante non se li prenda Il Barlume - Anno 2 - Numero 3 - Marzo 2008

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nessuno, quelli che avevano un soprannome ridicolo nel periodo della scuola, quelli che hanno scoperto il sesso a 29 anni guardando il Grande Fratello, quelli che il primo bacio l'hanno dato svuotando un panino, quelli che ti sei presa giusto per fare un'opera di beneficenza, un servizio utile alla comunitĂ , sĂŹ, proprio loro, anche loro alla fine vanno con un'altra. Tanto alla fine le amiche hanno sempre ragione!

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PIU’ NOTTE CHE GIORNO Denni Romoli Più notte che giorno, in quest’ondulata evanescenza di sospiri. Marco in cuor suo passeggiava sereno, nella notte fredda di stelle riverse sul suo pavimento, forse sarà stato il troppo vino bevuto, forse il dolore. Da magmatiche le parole si trasformano in stile vitreo, sarà la retorica dell’alcol, sarà la consapevolezza di essere un incapace. Non sai amare, si ripete, come una nenia crocifissa, come un rosario senza termine. Ecco i miei specchi, le mie lamentazioni. Marco si affaccia dai suoi occhi e vede una figura di donna, non lo stupisce vederla nella sua casa, in fondo ha sempre saputo di possedere al suo fianco fantasmi antichi. Non mi hai mai amato. Lo so. Perché? Non ti so rispondere figlio mio. Ho fatto qualcosa di male? Sei nato Mi volevi uccidere? Sì, ci ho provato Marco inforca i suoi occhiali, come se cercasse un riposta alla sua vacue cecità. Si addentra nel sottobosco del suo letto, ritrova pagine e lenzuola sparpagliate, lo stesso freddo glaciale che gela le braccia, non bastando coperte spesse né fuochi nella notte. Io ero piccolo, non potevo farti del male. Io invece potevo. Sai, madre, mi trascino frammentato, come un puzzle di carne. Marco ricerca qualche dialogo, Pavese forse, Leucò. Accanto al letto un bicchiere testimonia la dissoluzione. Tu sei morta, anni fa. Io ti ho sepolto. Ne sei sicuro, figlio mio? Si madre, ricordo il rumore dei chiodi piantati sul legno. Vedi, figlio mio, tu non mi hai mai sepolto. Non ricordi, hai trafugato il mio cadavere, la sera stessa, forse ancor prima che morissi, e lo hai portato nel tuo cantuccio di vita. Non so cosa farmene del tuo cadavere, madre. Oh figlio mio, tu non puoi farne a meno. Anzi, è la sola cosa che conosci.

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FAVOLA DELLE FOGLIE E DEL VENTO Alessandro Pagni

Dedicato a Eric Quando piantò il suo primo albero il signore Felice Salice non era che un ragazzino brufoloso con i capelli sparati contro il cielo, 15 anni e in dosso sempre lo stesso paio di jeans strappati e sporchi. Aveva scelto l’angolo più lontano del suo grande giardino, proprio ai confini della proprietà di suo nonno. Era l’unico modo che aveva per onorare la morte del suo cane Ulisse, che era stato soppresso due giorni prima per aver morsicato e masticato a lungo il braccio di sua zia Fiorenza. Il vecchio Ulisse non era sostanzialmente un cane pericoloso, era solo un po’ impulsivo e detestava profondamente due tipi di persone: quelle che parlano a voce troppo alta e quelle che vogliono sempre mettere bocca nelle questioni che non le riguardano. La zia Fiorenza aveva entrambe le qualità, per questo, secondo Felice, il suo amico a quattro zampe, in un momento di saturazione, aveva avuto quella reazione improvvisa. Sabato pomeriggio durante la placida ora del Tè, senza preavviso alcuno si era avventato sull’anziana donna con una cattiveria che non gli apparteneva: c’era voluta la forza di cinque persone per bloccare il grosso cane divenuto un predatore implacabile. Per Ulisse, Felice aveva scelto un ulivo, non sapeva bene perché, ma era il tipo di pianta che gli veniva subito in mente pronunciando il nome del defunto. Scavò la buca con tanta feroce determinazione che la sua riserva di lacrime e rabbia andò esaurendosi nel tempo di una decina di colpi di pala. Poggiò delicatamente l’alberello all’interno della conca, ricavata nel terreno fradicio di ottobre, con il cuore che sembrava essersi lentamente alleggerito. Prese la terra tra le dita nude e provò un calore strano, cominciò ad adagiarla tutto intorno al piccolo tronco e sentì che presto sarebbe stato meglio, che il ricordo sarebbe stato dolce come quella sensazione di calore e pace. Da quel giorno ogni affetto della sua vita che se ne andava per sempre da questa terra veniva onorato e forse ( così amava pensare Felice ) traghettato nel neonato e robusto corpo di un albero. Per ogni persona cara venuta a mancare accudiva e nutriva una diversa specie di pianta. Si accavallarono in una corsa senza fine i mesi e gli anni, e ognuno portava con sé altri arbusti, disperazioni e solitudini, momenti di sconforto seguiti da nuove resurrezioni. Ogni stagione che passava portava con sé un numero crescente di nuove solide cortecce che faticavano sempre più ad ammortizzare il senso di precarietà e incertezza che pervadeva Felice. I 22 anni gli portarono via prematuramente il suo migliore amico e fecero nascere un Ficus pieno di foglie ellittiche grandi e resistenti, protese verso il sole, sempre disposte ad accogliere qualche insetto sperduto durante un acquazzone. Poi se ne erano andati i suoi nonni, un cipresso svettante lui e un Roseto, basso e buono come una chioccia, lei. Solo per i suoi genitori, ormai uomo fatto, aveva scelto due querce che, con il passare del tempo diventarono immense e si intrecciarono fondendosi l’una nell’altro in un abbraccio che, per essere più intenso, cercava la spinta delle nodose radici, puntellate nel terreno come fossero piedi di persone che si spingono sulle dita per vedere oltre un ostacolo. Monica, la sua compagna, era diventata un ciliegio che regalava frutti dolci e rossi come le sue labbra e lacrime di resina color miele ogni volta che Felice appoggiava le mani contro di lei e le diceva parole che non aveva mai pronunciato per nessun altra. Nei pomeriggi di sole, quando i raggi si insinuavano tra le fessure di quei tetti di foglie, lui si sedeva con la schiena contro la robusta corteccia di suo padre, leggeva ad alta voce le Elegie di Rilke e si soffermava solenne sui passaggi che lo commuovevano di più, ripetendoli a memoria con tono di voce differente per vedere che effetto faceva. Altre volte restava in silenzio e prendeva ampie boccate d’aria per riempirsi l’anima della miriade di profumi che il suo piccolo bosco segreto emanava. Era come non essere mai solo, come arrogarsi i diritti di Dio: la vita toglieva e lui, a modo suo, restituiva.

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E quando stava li in mezzo, tra tutte le persone che aveva amato nella vita, diventate esseri saggi, privi di qualsiasi crudeltà, riusciva a scordarsi di come ogni cosa stesse diventando più difficile e quanto in fretta si fosse scoperto vecchio. Ma SANTISSIMOCUOREDIMARIA era un paese al passo con i tempi, bando ai sentimentalismi, consumo e progresso erano le parole d’ordine per entrare in Europa. Il Sindaco Baffetti, uomo grasso e sudato come un maiale, completo scuro da mafioso e aria televisiva da “GRANDE SIMPATICO”, non mancava mai nelle sue performance pubbliche di sciorinare le sue convinzioni su come DEMOLIZIONE-COSTRUZIONE-SVILUPPO-BENESSERE fossero termini che, a rigor di logica, dovevano andare aventi a braccetto. Aveva avuto due o tre occasioni, per altro pietose, di portare i suoi intenti di sciacallo in televisione. In quelle occasioni aveva cercato di vendere “SANTISSIMOCUOREDIMARIA” come una località pronta ad accogliere le novità che il terzo millennio prospettava. In breve questi presagi si risolsero nella concreta minaccia di costruzioni frenetiche ovunque: chiese, fabbriche, negozi, impianti sportivi, complessi residenziali…cantieri ad ogni angolo. In tutta questa sarabanda di cemento, calce e mattoni, il sindaco assieme alla giunta comunale cominciò a sondare il territorio in cerca della più piccola tovaglia di verde, per colarci sopra con una betoniera una panchina, o una fontana o un nuovissimo negozio di cellulari e telefonia varia. PROGRESSO-PROGRESSO-PROGRESSO Non ci misero molto i seguaci di Baffetti a trovare il piccolo paradiso familiare dell’ormai sessantacinquenne Felice Salice. Cominciarono i primi incontri garbati con tanti paroloni di prologo sul “sogno comune”, sul “nuovo che avanza” e ingenti somme di denaro che scivolavano in maniera quasi distratta sul tavolo di casa Salice. Mai il rifiuto di Felice era altrettanto garbato ma categorico. Piano piano la pazienza di Baffetti andò diminuendo e i toni si fecero più cupi. Arrivarono le prime ipotesi di esproprio. Felice non aveva intenzione di mandare a morire i suoi cari una seconda volta. Passava sempre più tempo nel piccolo bosco accudendo con cura ogni singola pianta come se intendesse rassicurarle che non sarebbe successo niente di spiacevole. Gli alberi restavano in silenzio, fidandosi ciecamente di quello che i loro custode diceva. L’amore degli alberi è un amore profondo e discreto, fatto di suoni quasi impercettibili e profumi fluttuanti. È qualcosa di sottile e delicato, fragile come i sogni della tarda mattinata. Le visite del sindaco, che aveva promesso troppe cose a troppe persone per rinunciare, divennero pressanti, quasi ossessive. Il suono della sua voce si fece sempre meno rassicurante, quasi metallico, e ogni considerazione velava una minaccia sottintesa. Fu in una delle ultime notti di quel giugno secco che Felice si destò dal sonno inorridito da un coro di grida straziate che non sapeva identificare. Vide delle luci danzare sulla parete e subito si precipitò alla finestra per aprire le imposte. Le grida di prima divennero più forti e atroci. Il bosco stava bruciando. Rimase senza fiato, immobilizzato dall’orrore. Appena gli fu possibile corse fuori, ma secchi d’acqua e coperte furono inutili. Le case e i nuovi palazzi intorno lo ignoravano in modo crudele. Le fiamme erano così alte che non riusciva a vedere niente al di sopra di esse.. Corse da una parte, poi immediatamente dalla parte opposta senza riuscire a fare niente, l’incendio era ormai troppo grande per domarlo. Sentì il pianto di sua madre, la vide stringere spaventata con i rami i nodosi bracci di suo padre che si era piegato verso l’erba, il vecchio Ulisse guaiva e le labbra di Monica era diventate incandescenti e nere come l’inferno. Felice cadde in ginocchio piangendo come un bambino, gridava, ma la voce faticava a superare il masso rimbalzante di un singhiozzo convulso. Era tutto finito, era davvero solo, lo sarebbe stato fino alla fine dei suoi giorni. Prima di svenire per le esalazioni vide una tanica di benzina gialla gettata vicino alla fossa che delimitava il suo giardino. Il Barlume - Anno 2 - Numero 3 - Marzo 2008

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Vide degli spiriti fatti di fumo liberarsi nell’aria e poi solo buio. Passò due giorni senza mangiare, dormendo tra i cadaveri della sua gente. Il terzo giorno rientrò in casa. Il telefono stava squillando. Al ricevitore una bocca maleducata, piena di cibo, sbrodolava un fiume di grugniti poco chiari ma apparentemente esaltati.. Felice disse solo – Benissimo – con voce atona, poi riappese. Meno di due ore dopo, alla porta, con un sorriso raggiante, trovò l’intero “commando comunale” capitanato da Baffetti, pronto a mettere nero su bianco il passaggio di proprietà. Fecero subito un sopralluogo dove appena tre giorni prima c’era il più bel boschetto della zona. Il sindaco non si risparmiò con i paroloni di condoglianze per “tutte quelle bellezze andate in fumo” (usò proprio queste parole ), poi notò in mezzo al prato, che si stendeva come un lenzuolo nero, una macchia verde che interrompeva la continuità di quella desolazione. Si avvicinò accucciandosi un poco: - Signor Salice guardi qua…- rideva sornione arricciando il naso – ironia della sorte, si è salvato proprio un piccolo salice dall’incidente ha visto? – e indicò l’alberello voltandosi verso l’ex proprietario con un sorrisetto ironico. - Ho piantato io quell’albero stamattina. – disse Felice fissandolo negli occhi in modo strano. - E a che le serve diamine? Tanto qua costruiranno una banca nuovissima. – Felice si avvicinò senza parlare, tolse di tasca un coltello affilato e lo portò alla gola del ”primo cittadino” e con l’altra mano gli tirò i capelli per fargli sollevare la testa. Tutti rimasero immobili per paura che l’uomo facesse una pazzia. Felice trascinò il sindaco verso un tronco cavo vi tirò fuori la tanica gialla che aveva provocato lo scempio. Era di nuovo piena. Baffetti gridava e si dimenava come una bestia che sta per essere sgozzata, chiedeva pietà con una voce che sembrava quasi una caricatura. Felice invece rimase in silenzio e versò l’intero contenuto della tanica su di lui e sul sindaco. Il forte odore di benzina si sprigionò ovunque, gli altri che osservavano la scena capirono e si avvicinarono di scatto. Ma il custode degli alberi alzò il coltello con uno sguardo glaciale, schiacciò la lama contro la pelle del grasso individuo, in preda al panico, e loro arretrarono senza sapere cosa fare. Poi in un attimo prese in mano l’accendino e fece girare la minuscola ruota dentata. Si accesero come una torcia: il sindaco si contorceva dal dolore e dalla paura, Felice restava ancora immobile e lo stringeva in un abbraccio mortale puntando il coltello contro chiunque cercasse inutilmente di avvicinarsi. In pochi minuti fu tutto finito. Restava solo un forte odore che dava il voltastomaco.

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Il piccolo Salice divenne grande e forte, si decorò di una folta chioma che scendeva a terra in una cascata di foglie e ogni volta che passava qualcuno si piegava in un inchino . Quell’albero lo potete ammirare ancora oggi se passate dal centro di “SANTISSIMOCUOREDIMARIA”, nascosto da strade, case e negozi, ma vi assicuro che c’è. Il paese è diventato una cittadina in perenne fermento, sembra una persona che non la smette più di crescere. Felice è sempre lì, immobile e fiero, leggermente genuflesso in un inchino di riverenza. Quando soffia il vento sembra che le foglie fingano il ridere stridulo e spregiudicato di un quindicenne brufoloso, con i capelli sparati verso il cielo e lo stesso paio di jeans strappati. Nelle notti buie, quel suono fa paura ai bigotti e ridicoli paesani che giocano a fare i cittadini, è come se scavasse nelle loro coscienze macchiate di ipocrisia. Qualcuno un giorno ha messo un recinto intorno all’albero, come a voler prendere le distanze da quell’abominio naturale, non rendendosi conto di avergli regalato una specie di corazza, di averne fatto un monumento. Nessuno si sogna di abbatterlo, dicono che è maledetto, ma un albero non può far del male a nessuno. Sono solo leggende che la gente di qui racconta ai bambini per farli stare buoni entro i limiti stabiliti. Non c’è giustizia. Non è una storia di paura, è solo la favola più triste del mondo.

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LA SDRAIO

Emidio Picariello e Denni Romoli

Quanto più invecchio tanto più diffido della popolare dottrina che l'età porta saggezza

Henry Louis Mencken

Non è un paese per vecchi La realtà: Hai trent’anni e desideri mettere su casa? Certo, siamo disposti a darti un mutuo: allora, al mese guadagni mille euro, la tua donna 800. Vediamo, con 1800 euro al mese puoi comprare un bellissimo sgabuzzino in stile Luigi XIV, 3 metri quadrati, oppure ti possiamo offrire una finestra sul mondo, però panoramica. Con una piccola fideiussione sulla tua milza possiamo anche trovarti un posto macchina dove sistemare l’eventuale figliolanza. Accetti? La politica: Valter Weltroni (53 anni) licenza Ciriaco De Mita (80 anni), i bookmaker inglesi reagiscono facendogli perdere quote. Il probabile prossimo presidente del consiglio Silvio Berlusconi (72 anni) resta a quota 1,44. Praticamente certo. Nel frattempo Valter Weltroni (53 anni e due righe) trova un accordo con Antonio Di Pietro (58 anni) e Emma Bonino (60 anni). In campo scendono due nuovi virgulti della politica italiana, tenutisi in disparte fino a che erano troppo giovani, ma si sentono adesso abbastanza maturi per l'agone: Luca Cordero di Montezemolo (61 anni più il tempo che ci vuole a dirne il nome) e Beppe Grillo (60 anni). A sinistra, stufi e in cerca di rinnovamento, candidano a premier Fausto Bertinotti (68 anni). La destra aveva giustamente lasciato in panchina l'inesperto Gianfranco Fini (56 anni) e il fanciullo PierFerdinando Casini (53 anni) che quindi se ne va da solo. Nel resto d'Europa Josè Zapatero (48 anni - 44 quando ha cominciato a governare la Spagna) si candida per il suo secondo mandato. Tony Blair (55 anni - 44 quando ha cominciato a governare il Regno Unito) esce di scena. In America i bookmakers danno per buona la vittoria di Barak Obama (47 anni). Pensateci, la prossima volta che, trentenni, andrete a fare un colloquio di lavoro e si stupiranno del fatto che volete guadagnare quanto basta per vivere da soli e non i mille euro che vi permetterebbero di vivere da re a casa dei vostri genitori. Pensateci, la prossima volta che andrete a chiedere un qualsiasi finanziamento e vi chiederanno in cambio il cuore di vostra madre per i loro cani. Forse troverete un nesso.

Il Barlume - Anno 2 - Numero 3 - Marzo 2008

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SALUTI DA… ...il cesso del bar dell’area di serv izi o Alberes eRispescia (GR)

Piccola sorpresa: qui metteremo le foto di audaci pubblicitari del Barlume. La nostra Costanza ha scattato questa nel suo viaggio in direzione Strasburgo. Pubblicizza il Barlume nei cessi (o in altri muri) di tutto il mondo (o di Brozzi), fotografa e manda. (mmm... nota per il nostro avvocato: è incitare al reato di imbrattamento di bagni? E’ plagio di altre iniziative simili? Usciremo mai dal carcere dopo questo numero?) Le foto di questo numero sono state scattate da Costanza Maremmi

Il Barlume

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Il Barlume - Anno 2 - Numero 3 - Marzo 2008

Mensile fondato e diretto da Costanza Maremmi

c.maremmi@barlumismo.org Denni Romoli

d.romoli@barlumismo.org Emidio Picariello

e.picariello@barlumismo.org

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